Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Risalire la corrente, Cotest di Settembre, Crudeltà

« Older   Newer »
  Share  
Lill'
view post Posted on 30/9/2014, 13:13




{continua da Qui}
se ne consiglia ora o dopo la lettura dell'ultima parte, a ridosso dell'ultimo divider



…GGhhh
Soffoco. Nell’affievolirsi del dolore e del senso d’umidità negli stivali, tra le falangi mostruose che stritolano la mia vita intera serrate attorno al mio collo, intravedo alla fine qualcosa. C’è silenzio, almeno. Abbandono questa maledetta caciara e l’urtare del ferro, ma una cosa rimane: il calore che sento in gola, quello, lentamente si espande attorno a me. Però non viene dalle torce; non dall’incendio. Il fumo non mi incespa più gli occhi, i crepitii nella galleria sono lontani.
No: è candido qui.
Una luce bianca mi accoglie ed è quasi confortevole, quasi amica. Quasi, perché so che credulonerie del genere finiscono sempre per svanire come bruma a mezzodì. Eppure in questo spazio bianco come le facciate delle mie montagne, le due sorelle, sto in pace. Vedo solo una figura confusa, che prende forma piano. Se è la morte mi è andata bene, perché dicono sia una gran baldracca, e lei è sottile e slanciata.
Temo non mi toccherà niente di allegro neppure a una passo dalla fossa però: tutt’intorno l’ambiente somiglia all’altare dei vecchi Mabinogi, al villaggio, tra la neve.
E lei, la donna, lei somiglia a mia madre che mi ci portava da bambino.

______________________________



noHi2cm

Risalire la corrente



La colonna d’abete scrutava severa con le sue tante facce, quattro serie di scanalature nel vecchio legno una sopra l’altra, livello dopo livello. Storia dopo storia. In basso, nel piccolo recinto in cui crescevano gli alberi sacri agli dei delle montagne, i Mabinogi, l’altare era ricco di ogni bene che il villaggio potesse ancora produrre in quei tempi duri. Ben poca cosa in verità: vi era qualche vecchia pelliccia, miele ed erbe; e al centro, rialzato, un piccolo germoglio sferico, lascito degli elfi.

♪ O grande manto che tutto ricopri,
getta le tue ombre, ma non troppo a lungo ♪



Oh, ce l’hai fatta con cui pesci!” dice una delle anziane finiti i canti, i lunghi capelli un intreccio d’oro e d’argento che ondeggia ai venti d’autunno. Beit non sarà la più vecchia del gruppo, ma di certo in quanto ad autorità non è da meno alle altre: basta guardare come tira dritto il figlio!
Prendendo la cesta tra le mani mostra ora il contenuto alle sacerdotesse. Il giovane Tias aspetta lì davanti intanto, tutto concentrato in attesa del responso. “No, non va.” sentenzia dopo poco Beit, rimarcando al figlio il dissenso del gruppo con ancor maggiore alacrità. “Potrai essere in gamba con tante altre cose”, gli dice, gli occhi turchini di madre e figlio che s’incontrano per un istante; certo non possono però essere cose di rilievo quelle di cui parla la sacerdotessa, perché nessuno ne sa nulla al villaggio. “…ma non sei ancora la metà del pescatore che era tuo padre.
Oh se è severa Beit, e se aveva amato il suo uomo. E come non avrebbe potuto? Il padre di Tias s’era ritagliato negl’anni un posto di tutto rispetto, primo nella caccia e gran lavoratore; persino le anziane sentivano il suo consiglio e tutto il villaggio ne ha pianto la scomparsa.
No, non possiamo offrire agli dei creature che non siano pure; piene del soffio che dà la vita. Specie adesso, se vogliamo che essi vengano davvero in nostro soccorso.” Come da sempre, però, la giuste leggi dell’inverno passano dai genitori ai figli, i loro insegnamenti.
Te l’ho detto,
ci sono due motivi per cui i pesci risalgono la corrente…





Poco dopo, ritornando al fiume tra le gole, Tias continuava a guardare gli animali scartati nella cesta. “Pff!” sputacchiò innervosito tra le neve: da quando il bosco era attorniato da quelle cose le bacucche s’erano fatte ancor più puntigliose sui vecchi rituali – e così s’era dovuta adeguare sua madre, fatta bacucca da poco. Ma continuò a passo spedito. Glielo diceva sempre, l’importante è mantenere la calma: altro che preghiere! Come se loro, madre e figlio, non sapessero che cosa tenesse davvero gli spettri alla larga.
Certo quei maledetti salmoni gli complicavano la faccenda. Non era mica semplice riconoscere quelli che stavano ancora bene e quelli che avevano già dato via tutto! Il fiume spumeggiava e batteva impetuoso tra le rocce, e i pescatori del villaggio, quei pochi rimasti, avevano tanto da temere dalla correnti e poco tempo per acciuffare la preda. Solo in un’ansa del fiume, quando le due pareti di roccia della gola davvero incombevano a strapiombo sull’acqua, solo allora era possibile pescare. Il Seirbigh acquietava la sua discesa rabbiosa dall’Erydliss per qualche istante lì, formando una specie di laghetto; in quella bella scenetta di neve e riflessi però – davvero, con la neve intorno, pareva l’ondeggiare dell’albume tra la farina quando le vecchie preparavano le frittelle! – la questione si complicava per lui: era difficile distinguere i pesci che scendevano dall’Erydliss da quelli che, invece, vi ritornavano.
A parte le carcasse sbrindellate e violacee, certo: quelle scendevano giù, e per l’unica striscia di terra non invasa dall’intrico della foresta. E da ciò che in essa girava.

Passò tutto il pomeriggio giù al fiume. I primi venti gelidi avevano preso a battere le montagne ma in quel piccolo borgo, ai piedi delle due sorelle, il freddo pareva penetrare più a fondo. Nella gola i refoli diventavano ululati, e le fronde degli abeti si piegavano in gemiti. Lui rimase sicuro, sapendo che lontano dagl’alberi non aveva da temere. Quando i raggi del sole non arrivarono più nel fondo della gola, sovrastata da quei muri di roccia, e quando si sentì inzuppato in tutto e per tutto,
allora tornò.

Chi glielo faceva fare, a rischiare per due lische fradice, proprio non lo capiva.
Quasi non avessero altro di cui vivere.


Cadendo leggera, la neve aveva già cominciato a ricoprire tutti i segni di vita al villaggio: luci di focolare dalle baite e stradicciole vuote, e ben poche impronte. Non che rimanesse molta gente lì, in ogni caso.
Sulla via di casa lasciò la cesta con il pescato ai piedi dell’altare, ma conservò le teste, che aveva già separato. Le gettò a due grossi cani da pastore, il pelo candido e gonfio che pure non riusciva a coprire la magrezza. Difficile, quando non puoi risalire ai pascoli. Poco più in là salutò i due pastori, presi ad armeggiare con sacchi di mangime e scarti, lauto pasto dei montoni; gli risposero con un cenno. Ricordava che da bambino trovava il latte accanto alla porta certe mattine, e lo facevano giocare al cavaliere sui cani – non quei due certo, con quegl’occhi incupiti dalla fame non potevano di sicuro esser oggetto di gioco per i marmocchi. Perciò non si ingannava: i saluti di quegli uomini con i medesimi occhi diffidenti, ora, non erano che rispetto alla sua famiglia. Il rispetto che ancora non era scivolato col fiume a valle, almeno, portato via come il corpo del suo vecchio due inverni prima, al pari delle frattaglie dei pesci.

♪ O grande manto che tutto ricopri,
gela le acque, ferma la vita, trattieni il ricordo; ma non troppo a lungo ♪



A casa la luce fioca del focolare filtrava appena dalle finestre annerite dal fumo, e niente si azzeccava della vita all’interno. Solo una scia sottile si contorceva dal comignolo, perdendosi nel cielo bianco di nevischio.
per il legno, ci si arrangia con le riserve
Trovò sua madre sul tavolone, la zuppa già pronta per lui. Affianco al pasto, una serie di oggetti di tutti i tipi sparsi sul legno, uno sopra l’altro. Era un misto di statuette di vero argento, gioielli sospettosamente opachi e incomprensibili amuleti di viaggiatori che tornavano dalla città dorata: li ricordava bene, tutti i frutti dei loro baratti e degli innumerevoli imbrogli ai danni degli avventori.
Su, non farla raffreddare più di quello che è.
Il ragazzo mangiò in silenzio, mentre Beit annotava tutte quelle carabattole in un grosso quadernone di pelle di bue, le lettere grandi e sgraziate. La zuppa al solito mancava di carne, e non era un granché. Così ogni tanto, scrutando fuori dal vetro affumicato della finestra, lo sguardo di Tias si perdeva. Conosceva bene il profilo delle montagne, il saliscendi più chiaro di quella linea che, dopo il vespero, indicava fin dove si spingeva il bosco e dove cominciava la pietra. Sapeva dire con esattezza a quale picco corrispondesse l’ombra che spezzava il candore del cielo stellato – sapeva trovare ad occhi chiusi la città dorata.
Lithien la bella, tra le Due sorelle, il faro che aveva illuminato la sua infanzia.
la luce che da due inverni era coperta da un'ombra costante
Adesso, avvicinandosi al vetro, a fatica poteva trovare la forma dei monti, assieme alla chiazza di buio dove avrebbero dovuto svettare i due picchi più alti. Ma ne scorse pure un’altra, di luce. Un puntino flebile, appena visibile dal lato opposto della chiazza nera, a cavallo tra cielo e roccia: la ragione per cui sua madre si stava dando da fare.
Un viandante che aveva attraversato il passo.
Probabilmente l’ultimo prima dell’inverno.

Se la neve continua, ci metterà un paio di giorni”, le disse; Beit annuì, assorta nel lavoro. Fu in quel mentre che, girandosi per guardarla meglio, notò la scatolina posta in un angolo del tavolo. Era un oggettino dai bordi smussati, grande poco più di un pugno; il legno di cui era fatta antico più di quello della colonna dei Mabinogi, antico quanto possono esserlo gli elfi.
Al suo interno, un'altra delle sfere che si diceva venissero da un posto sacro ai Veri Elfi, e che davvero teneva lontano gli spettri: come quella dell'altare.
il segreto suo e di sua madre, uno

All’insistere dello sguardo del ragazzo, ai suoi occhi turchini puntatigli addosso con tanta, troppa forza, la donna reagì di scatto. “Che?! Basta chiederlo, sai; puoi conservare i tuoi trucchi per il giorno dopo domani, per il mercante.
Le iridi di ghiaccio della donna gli tolsero la parola, lo sguardo altrettanto fermo.
Hai… hai intenzione di farmi giocare anche quello?! Sai quanto può valere?”, sussurrò.

Le scommesse -gli imbrogli- che faceva con gli avventori, unica fonte di comunicazione con l’esterno da quando la foresta si era animata di spettri; unici viaggiatori disposti ad attraversare il passo; unici in grado di affrontare le Ombre ed arrivare alla città dorata – i superuomini, gli eroi di Lithien.

Lo sguardo di Beit indugiò un attimo: una sola nota di tristezza, nello scivolare dal volto del figlio – stessi occhi di gelo, ma tutto il resto suo padre – fino all’oscurità dilagante fuori dalla finestra; fino al passo, ai sogni dorati che si ergevano sulla sommità del mondo e poi giù, in abissi che non aveva mai conosciuto, lei data in sposa solo adolescente e già anziana da sapere tanto e niente.
Così, la donna prese in mano la sfera sfibrata all’interno della scatola; il germoglio prossimo ad avvizzire.
Fu in quell’instante che Tias capì, e il suo sguardo perse ogni stupore – stessi occhi di gelo, tutto il resto nulla più che un’ombra portata via dal vento e dalla corrente.

…Sta …sta succedendo lo stesso anche all’altare.

Questo”, deglutì, e per l’ultima volta nella sua vita di adolescente, scrutò con occhi velati di nostalgia e rammarico il buio
…sarà il nostro ultimo inverno.





Pochi al villaggio si aspettavano un altro viaggiatore con l’avvicinarsi dell’inverno. C’era chi l’aveva scorto scendere dalle montagne, sì, e chi se ne avvedeva ora; e chi, come comandano gli dei delle montagne e per ingraziarsi il ricco vagabondo, s’è offerto per un giaciglio. Il viaggiatore dice di andare a Lithien, meta per cui il villaggio è un passaggio obbligato, e di conoscere uno degli arcimaghi, suo amico di gioventù. Bardato in cuoio di fattezze strane, con vesti pregiate e ben rifinite, davvero c’è da crederlo: ma non è cosa rara da queste parti.
Le anziane hanno detto di trattarlo con i dovuti onori, e una di loro – Beitiris vedova di Dubh, da tutti rispettata – lo servirà a cena, come di consueto. Certo non rimarrà per il desco l’ospite, che è cosa poco conveniente per una donna sola. Di sicuro però questi apprezzerà il giovane Tias e il suo scaltro gioco con il fidchell, il gioco dei re. Tutti gli avventori ne sono rimasti soddisfatti, si dice, in partite di puro diletto.
E anche se così non fosse, diamine, si lasci al ragazzo la soddisfazione di vincere un qualche gingillo di scarso valore, quelle poche volte che può. Tanto, è evidente, a noi che a turno li ospitiamo per il desco resta il meglio: vesti e cibo esotico.





L’ospite veniva dagli alti ranghi dell’esercito di Dortan. Era considerato un nobile eroe di guerra, abituato alle corti dell’Impero degl’uomini e ai suoi sfarzi, alle pietanze elaborate e sopraffine del Sud; possedeva svariati monili come Tias non ne aveva mai visti e un orologio placcato interamente nell’oro. E davvero era di animo nobile, e gentile di parola.
Pure, o forse proprio per la sua gentilezza pensò Tias, non disdegnò la cucina umile di Beit.
Oh, una simile abbondanza non me l’aspettavo”, disse il viandante più volte: prima gradendo durante il pasto, poi nel vedere la posta in palio per la partita a fidchell. Eroicamente, aveva proposto di giocarsi l’intero malloppo dei due contro i suoi averi, che non erano poco; almeno non per loro. La padrona di casa disse di rilanciare a un quarto, lui di convenire alla metà: Tias ci pensò un attimo, scrutando con estrema concentrazione gli occhi dello straniero e -sua madre lo sapeva- dentro la sua testa. Ci rifletté su ancora e poi, malgrado la ritrosia della donna, finì per accettare: mossa azzardata o meno la situazione era critica e lui sapeva che non avrebbe perso; aveva capito quanto poteva valere quel tipo al volo, fissandolo negl’occhi. E Beit sapeva che il figlio non sbagliava, quand'era così sicuro.
Dunque lo lascio giocare; e perse.
Al tentativo di rilancio della donna con una nuova partita, l’amico dell’arcimago di Lithien acconsentì di buon grado. Dopo lunghe trattative i due dovettero capitolare nel donargli un oggetto a sua scelta, nel caso egli avesse vinto. Vinse.
Senza rifletterci neppure, scelse la scatoletta.

Quando fu chiaro che l’inviato di Dortan possedeva capacità ben maggiori di quelle di Tias, i due implorarono, ma questi non volle sentirne.
Andiamo”, gli disse, “Qui avete avuto più fortuna che altro oggi, messeri: con le conoscenze che ho, appena arriverò a Lithien gli parlerò della delicata situazione qui al villaggio, e del giovane talento qui nascosto. Questo oggettino qui, ecco, mi servirà solo per essere sicuro di arrivare sano e salvo alla città dorata, come dite voi: sarò capace, ma credete possa avventurarmi in quella selva di Spettri con le mie sole forze?
E poi, tornerei di sicuro: almeno per vedere se in altre case giocano allo stesso modo di qui, ecco.

In seguito alle velate minacce dell’uomo, i due non poterono che acconsentire. Egli gli giurò che, messosi in viaggio l’indomani, l’avrebbero rivisto prima della luna nuova; che avrebbe davvero propugnato a tutti la criticità della loro condizione, lì.

L’inverno venne.
L’avventore, fuggito con il germoglio dell’albero sacro o tradito dal suo avvizzirsi e sbranato dagli spettri con esso,
non torno più. In un certo senso, a Tias manco dispiacque.



Te l’ho detto,
ci sono due motivi per cui i pesci risalgono la corrente:




Al disgelo il giovane Tias si preparò a lasciare il villaggio. Non era certo ancora un uomo, tutti ne convenivano, ma pochi erano rimasti sopra la maggiore età dopo l’imperversare degli spettri.
Il primo giorno di primavera egli decise di ridiscendere il fiume, sfidando la lunga gola in cui lo Seirbigh si insinuava, tra cascate e schianti, fino ad inabissarsi nella terra. Era l’unica via non dominata dagli spettri, l’unica folle strada di salvezza dove il villaggio non aveva mai visto divorati i propri figli, se non dalla impetuosa corrente, e che per primo il ragazzo di Beit si era deciso di perseguire. Nessuna delle anziane lo biasimò, tant’era la disperazione.
Beit, austera come una vera anziana, non si sciolse in facili emozioni verso il suo ragazzo, e lo baciò una volta sola sulla gota. “Va”, gli disse con occhi vacui davanti all’altare, “e rendi i tuoi avi fieri”. Il cimitero improvvisato davanti alla Colonna sacra gli era testimone; gli epitaffi dei figli, le carcasse dei cani, tutto l'intreccio prodotto dalla fame ch'era soffiata come una bufera sul villaggio velava gli occhi di ciascuno lì presente. E le tombe almeno, se non gli dei, quelle gli erano testimoni.

Il ragazzo li lasciò come sua madre gli aveva insegnato, senza una lacrima: Beit sapeva che una buona parte del figlio non vedeva l'ora di abbandonare il solo posto che aveva conosciuto in vita sua, ora un campo di tragedie. Neirusiens, la città nera, l’avrebbe accolto e gli avrebbe dato più opportunità: ricchezza, nei sui traffici; potere, se davvero il figlio fosse stato in grado di entrare tra i leggendari Danzatori. Perché fin lì sotto arrivava il fiume Seirbigh, scendendo dalle montagne verso le viscere della terra: e se tutti, nei mesi prima dell’inverno seguente, rimasero sicuri dell’imminente ritorno del giovane,
nessuno sentì mai Beitiris sbilanciarsi neppure su quello.

Raramente tanta virtù è concessa ai mortali.




______________________________

Ci sono due motivi per cui i pesci risalgono la corrente:




Cosa conta ciò che sono diventato?
Se ho capito perché, davvero, ci li chiamano Danzatori D'Ombra?

Guardando la donna in bianco svanire un senso di freddo mi assale. Il suo sorriso sottile mi ricorda quello di mia madre quel giorno, ogni giorno, simile al ghiaccio che qualcosa sempre nasconde e riflette, per quanto cristallino. Non ho mai capito se c’era qualcosa che mi sfuggiva ogni volta, o se invece avevo compreso tutto nei suoi occhi. Tutto e anche più, forse: per questo non sono mai tornato indietro una volta giunto a Neirusiens. Per questo - perché avevo compreso affondo il suo insegnamento - mi sono accampato nei quartieri peggiori, vivendo come potevo per settimane; fino a trovare un lavoretto decente, stando con le orecchie aperte – fino a sentire dei reclutamenti.
L’inverno, un intero anno era già passato allora.
Quando provai l’ingresso tra i Danzatori mi ero preparato ormai a tutto, avevo vagliato ogni diceria. Un colpo di fortuna volle che trovassi Rick, tipaccio di un nano che ne aveva viste di tutti i colori come me: così passai la prova.

E’ perché avevo scrutato a lungo negli occhi di mia madre in una baita fredda, con la legna contata,
per quello non ebbi pietà per nessuno; perciò non tornai.

Non è quindi una sorpresa per me quando il nano cala la sua arma sul mio corpo freddo. Qualcosa, nella mia testa, non aveva mai sperato diversamente – un compagno e un fratello, forse un padre oltre che un tagliagole con cui bere e cercare baldracche; la possibilità di tornare veramente al villaggio, ora che lui mi aveva proposto di fuggire per le gallerie con l’amuleto…

Plic
Plic

un passo incerto alla volta

No. Tutto questo scorre via.
Cosa conta ciò che sono diventato?
Credevo di scendere a valle, fuggire dagli spettri; non risalire e unirmi a loro. Il sopra e il sotto si mescolano.

La mia coscienza scivola e gocciola pian piano sulla dura roccia lasciandomi in un fiume di voci vecchie e nuove, in cui però mi ritrovo. E’ come se, con la mia testa, anche i miei pensieri si librassero nel buio delle gallerie. E’ come se questa nuova visione, il confine del mio straccio di anima, ondeggiasse e incontrasse persone del passato, persone che avevano creduto e voluto così malamente come me: ed è strano, molti conoscono Rick; c’è suo padre, sua madre. C’è anche la mia, di madre: ma pure questo importa sempre meno mentre ci perdiamo tutti in un discorso lungo ere e mondi, fatto di sussurri e grida.

Plic

Solo il senso di freddo rimane. Però non mi dà fastidio: come nel giorno in cui ritrovai il cadavere di mio padre che galleggiava, portato via dal fiume mentre stavo pescando – come il giorno in cui scoprii i miei poteri, i tuoi trucchi da circo dicono le voci. E’ un freddo inteso e però liberatorio, come se le cose avessero fatto il loro corso; si fossero compiute. Ha una nota familiare ed autentica,
come aspettare i salmoni ascoltando la nenia del Seirbigh,

Plic,
plic
.

e un attimo prima di lasciarmi andare del tutto tra le sue anse, una voce mi sussurra:
…Per amare, e per morire.






SPOILER (click to view)
Il contest approfondisce le vicende di un png da me usato nella quest Onde di Fumo, Tias. Questi era un cadetto danzatore d'ombra che, in seguito ai combattimenti nei cunicoli di Neirusiens, risveglia un potere affine alle Ombre chiamato "l'Oscurità"; egli viene ucciso da Lomerin Volkoff, pg di Oblivion, e decapitato da Rick, il mio pg, per portare con sé nei cunicoli una prova materiale del potere dei danzatori. In questo senso si da spazio anche al punto di vista del png, subito prima (e dopo) la morte.

La crudeltà dovrebbe essere presentata in varie forme, più o meno volontarie e gratuite, ma comunque tutte legate ed in grado di influenzare enti e situazioni esterne ad esse. Un po' come la corrente di un fiume, che trasporta ciò che è in esso con sé. Ho anche tentato però, in particolare sul finale, di indebolire l'effetto di casualità e rendere più ambiguo (o ampio) il concetto di corrente - "Credevo di scendere a valle, [...] non risalire", "Il sopra e il sotto si mescolano".
Infine il tema dovrebbe avere a che fare anche con il rapporto tra Tias e sua madre.

So che il contest è lungo e al limite con i tempi, ma di meglio non ho potuto fare. Spero di esser stato decentemente chiaro.
Ah, e il nome del fiume vuol dire Destino, inteso come Doom, in Gaelico.

EDIT [20.11]: due errori di battitura.


Edited by Lill' - 30/9/2014, 20:11
 
Top
0 replies since 30/9/2014, 13:13   74 views
  Share