Bigòl ·· - Group:
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| Vigilo Confido
SABOTARE, DISTRUGGERE, ATTIRARE. ‘ Sleale è colui che si accommiata quando la via si fa oscura ’
Era un vecchio detto piuttosto in voga tra i nani del Nord; uno di quelli che amano assopirsi tra le pieghe dei secoli, uno di quelli strappati al silenzio ed all’ oblio da qualche mente infarcita di proverbi dal sapore stantio. Albrich, dal canto suo, non aveva mai dato molto peso alla saggezza popolare: per lui erano cocci di pensiero, nulla più che frasi fatte, create su misura per scoraggiare la gente ad usare la propria testa. Tuttavia, proprio in quel preciso istante quelle antiche parole riverberavano nella sua testa sgombra, sbocciando come bucaneve nel manto di ovatta che sembrava riempirgli la scatola cranica. Davanti a lui, ad ogni suo malfermo passo, l’ oscurità si dilatava sempre più. Il bosco sussurrava tutt’ attorno; le foglie, morbide e gialle, sembravano ghignare maligne al suo passaggio, le frasche garrivano, ondeggiando come lunghe dita nodose protese al firmamento in qualche bizzarra invocazione. Albrich, ben avviluppato nel cencio maleodorante che in quei giorni era stato per lui cappa, manto e coperta, andava spesso a cercare con i tozzi polpastrelli la fredda impugnatura del Mjolnir che penzolava come addormentato da un piccolo lembo di cuoio alla destra della sua cintola. Quella mano che per giorni e giorni aveva impugnato solamente colli di bottiglie piene, che in pochi sorsi diventavano vuote, ora cercava sicurezza nel freddo volume dell’ unica cosa che in tutti quegli anni gli fosse rimasto fedele: il Frantumatore. Perché era dovuto andare a cercarsi altri guai? Ormai gli Insonni avevano persino smesso di dargli la caccia, tanto la taglia sulla sua testa era misera. Perché gettarsi un’ altra volta tra i due fuochi? Era come un invitare i Cani Bradi a pranzare con le sue viscere crude. Le ampie creste degli abeti si facevano man mano più rade, permettendo agli occhi cristallini del nano di errare in cerca di un astro propizio nel cielo notturno. Qualche lieve pennellata di nebbia soffocava il freddo baluginio delle stelle in lontananza. Un cuore malato ed ansimante gli galoppava a fatica nel petto. Percepì il sudore scendere gelido dal collo e aprirsi la via tra le sue scapole. Aveva una voglia matta di fuggire, di mettersi a correre sino nel ventre nero della foresta, dove non sarebbe stato che un’ ombra tra le ombre, un misero frammento di oscurità.
“… qualche giorno di galera ti ha trasformato in un cacasotto, Albrich …”
Disse tra sé e sé. Badava bene a non far uscire dalle labbra più di un mugugno soffocato. Dare la minima prova di esitazione avrebbe dissolto quel poco il credito che gli era stato dato. Sapeva che non avrebbe guadagnato granché offrendosi di sua spontanea volontà per quell’ incarico, ma lui era abbastanza disperato da poter chiudere un occhio sul compenso e loro, a loro volta, erano abbastanza disperati da poterlo accettare come compagno in quella folle avventura. Perché di follia si trattava. Già, una grande, immensa giostra di follia che spingeva le persone ad estendere la propria fiducia oltre il limite concepito dalla ragione per avere qualche spalla in più su cui poter contare. Ammesso che la loro fiducia fosse ben riposta, ammise Albrich con un gran sorrido sardonico che si stampava sul suo volto scavato dalla fame.
“ Se nemmeno io riesco a fidarmi di me stesso, come diavolo fa questa gente a credere che io sarò un buon compagno?”
Lo chiese al bosco, agli alti pinnacoli neri degli alberi che segnavano il cammino; lo chiese alle radici, nodose e possenti che affondavano del grembo della terra madre; lo chiese agli esseri che respiravano nella notte, di cui poteva udire i sussurri e le risa. Ma nessuno di loro rispose e, di riflesso, nulla allentò la morsa che stringeva il suo stanco cuore. Mentre i piccoli passi cadenzati con cui aveva cominciato il proprio cammino diventavano un caracollare disordinato, strozzato dalle grosse radici degli alberi a ridosso della via e dalle asperità del soffice terreno rivestito da un umido strato di fogliame. Il rado sottobosco della foresta inaridì di colpo egli alberi che parevano averlo seguito lungo tutta la durata del suo cammino sembrarono fermarsi impauriti al limite della proprio territorio, alle soglie della notte. Il mattino stava pian piano sbocciando nella campagna che circondava Basiledra.
“Finalmente …”
Albrich tirò il fiato; era piacevole sentire il suo cuore tornare al passo con il resto del corpo, ma il sollievo del riposo era stemperato da un velo di inquietudine che il nano non riusciva a scrollarsi di dosso. Davanti a lui, il cielo sembrava soffocare sotto una rigida coltre di pietra bianca. Molto tempo addietro, lui era lassù in cima, a cavalcare quell’ enorme serpente dalle scaglie di roccia, a vedere un ragazzino perdersi nella nebbia che inumidiva il mattino e non tornare più indietro. Le mura di Basiledra rimanevano irte ed imponenti benché il sovrano che le governasse non fosse più il giovane Julien ma bensì la nuova voce della Guardia Insonne, capaci di fare sentire minuscolo ed inferiore anche il più fiero degli uomini, ma bastava spostare lo sguardo un po’ più a destra per vedere quella cinta concava di pietre tagliate dissolversi nella notte. Le mura giacevano morte laddove erano state trafitte per la prima e l’ ultima volta; nessuno aveva avuto il riguardo di appaltare dei lavori di ricostruzione: non ce ne sarebbe stato il tempo, e soprattutto gli Insonni non ne sentivano il minimo bisogno, dato che il terrore che il loro esercito incuteva e la delusione per la sottomissione di un popolo che desiderava essere liberato erano i migliori deterrenti per qualsiasi tentativo di reazione. Ma a quanto pare, allo sciogliersi della notte, qualcosa sarebbe cambiato definitivamente, che Albrich si sentisse pronto o no. Doveva farsene una ragione: erano passati i bei tempi in cui poteva permettersi di gettarsi a bere in un qualsiasi maleodorante angolo di città! Ah, che nostalgia il liquore che ti scende ruvido giù per la trachea! E che belle serate passate a brindare alla luna, fino a non capire nemmeno più in che mondo si trovasse! Albrich, sistemandosi il cinturone, pregò gli dei che i bei tempi non tornassero mai più. Oltre la soglia dell’ oscurità, si muovevano palpabili ombre. Gli furono accanto presto; le loro vesti odoravano di spore, corteccia ed aghi di pino, l’ odore del bosco di cui avevano appena varcato la soglia. Tre voci si unirono in un unico, lieve sussurro, che si disperse nello stormire del vento. Dopo aver udito, dopo aver detto la sua, gli tornò quella tremenda voglia di tornarsene da dove era venuto, laggiù, nel fitto del bosco.
“ Sleale è colui che si accommiata quando la via si fa oscura.”
Si ripeté. La sua voce riverberò piatta e fredda nell’ aria d, piena di tensione, piena di speranze che forse sarebbero anch’ esse andate perse nel vento, che già si stava portando la notte lontano, là dove lo sguardo più non osa. Il mattino si levò placido dai campi. La città ancora dormiva.
[…]
Ogni vicolo di Basiledra era uguale al precedente, in tutto e per tutto: decadenti case popolari, dove le muffe fiorivano come primule in primavera e ampie macchie di umidità si espandevano sul legno imbarcato di ogni facciata. I suoi passi si muovevano veloci su un lastricato rotto e divelto in più punti; una patina di rugiada permeava il terreno, rendendolo pericolante e scivoloso. Tetti biechi, finestre sbarrate si susseguivano senza fine; non un lume a rischiarare la via, solo la pallida luce che saliva da oriente. La consapevolezza di essere l’ unica anima che si aggirava per quelle vie lugubri faceva Albrich sentire come una sorta di fantasma, uno spettro destinato a vagare per tutta la dannatissima vita per i Bassifondi di Basiledra. Già, perché a differenza degli altri esuli della Resistenza, Albrich non aveva mai lasciato la Capitale; i Cani Bradi non azzannavano un povero accattone ricoperto di stracci di fustagno, si limitavano ad alzare la zampa posteriore con delicatezza e a pisciarci sopra. Che facesse finta di essere ubriaco o che l’ alcool gli arrivasse sin sopra i capelli, la massima reazione che la sua innocua figura raggomitolata nei cenci aveva mai potuto suscitare era stato qualche calcio al ventre, ma nulla di più di una sonora umiliazione. Ad ogni angolo svoltato, ad ogni vicolo che scompariva nell’ ombra, Albrich vedeva sé stesso steso semi-cosciente sul terreno lurido, pieno di liquore, senza più la forza di reagire alla vita: così aveva passato i giorni e le notti dopo l’ evasione, gettato per la via come il cadavere di un appestato. Rivedeva i suoi occhi vuoti, privi di qualsiasi bagliore in ogni pozzanghera, in ogni vetro impolverato e sentiva il cuore gonfiarsi di collera. Ricordava il rumore sordo della punta dello stivale di una Guardia che gli si conficcava nell’ addome, il sapore ramato del sangue che cola, goccia a goccia, dal suo labbro spaccato labbro spaccato; ricordava il rancore ingurgitato, misto all’ alcool di cui aveva costantemente bagnata la gola e la consapevolezza di doversela prendere solo con sé stesso, per non aver saputo reagire, per non aver nemmeno sperato in una possibilità di rivalsa, di riscatto. Perché lui era solo un nano, insignificante, miserabile e tutto era tanto più grande di lui. Nelle stradicciole vuote, piene di silenzio e allucinazioni, Albrich camminava con passo sicuro; le anonime vie dei bassifondi, che farebbero girare la testa anche all’ esploratore più esperto, nella sua testa avevano tutte un appellativo, una peculiarità, un senso. Giorni e giorni passati raggomitolato come un gatto al sole, ad aspettare che il torpore del liquore gli infiammasse le membra, avevano insegnato più ad Albrich della topografia di Basiledra che intere settimane passate nei polverosi archivi reali a spulciare mappe. Conosceva a memoria le vie più pattugliate, sapeva quali strade imboccare ed a quali crocevia svoltare per arrivare alla meta che gli si era stampata in mente. I sobborghi, del resto, erano rimasti come erano sempre stati: pieni di degrado ed ignorati dal resto del mondo, pesino dalla mano di ferro degli uomini del Nord. Faceva poca eccezione laggiù che l’ argento e l’ oro che riempivano le casse dei bordelli recassero il simbolo del Leviatano o il fiero stendardo della Guardia Insonne.
“Eccoti qui …”
Albrich alzò lo sguardo sino a poter osservare il fondo del viottolo in cui si era tuffato con un ghigno sdentato sul volto; il fuoco del rancore covava nei suoi occhi. Il vicolo si chiudeva su sé stesso, come lo scuro torrione di una fortezza; la “Birreria” si stagliava sopra gli altri edifici compressi che si calpestavano i piedi l’ uno con l’ altro ai lati della strada. Difficile dire cosa fosse la “Birreria”: un tempo si diceva fosse stato un granaio, uno di quelli molto capienti dove vengono stipate le derrate di un intero anno, tra farina di mais, semi di soia e quant’ altro; era infatti un locale ampio, scuro e troneggiante, una vera reggia in confronto alle case annichilite che sembravano volerlo trascinare verso il suolo; una reggia di fascine di legno non troppo stabile, né troppo sicura. A quanto si dice, nei freddi inverni dell’ epoca, il tetto rovinò al suolo almeno un paio di volte a causa del peso della neve che vi si depositava come una candida e grave coperta, seppellendo sotto metri di macerie e ghiaccio le messi di una completa stagione. Si pensa fosse stato abbandonato per lungo tempo, permettendo ai topi ed alle blatte di ricavarsi un’ accogliente dimora tra le travi scoperte, prima che la malavita posasse il suo occhio e le sue mani proprio su quello stabile abbandonato, facendolo risorgere dalle proprie ceneri come un’ araba fenice. I signori locali avevano concepito di riconvertire il magazzino in una sorta di circolo privato; ma il circolo privato venne presto aperto al pubblico, che solo ed esclusivamente in quel luogo poteva godere del miglior liquore clandestino di tutta Basiledra. In origine, quel capanno dal tetto rammendato non aveva un nome e il popolino fu ben felice, esaltato della reputazione che il posto aveva, di affibbiargliene uno. Nacque la Birreria, dove la guardie reali non osavano mettere piede se ancora si reggevano sulle proprie gambe. Il liquore scorreva a fiumi sulle sue assi di legno marcescente, così come il denaro scorreva nelle tasche dei criminali da due soldi che gestivano il traffico di alcool di contrabbando. Presto vecchi pezzenti ubriaconi si trovarono con così tanti soldi da riempire sino all’ orlo qualsiasi materasso avessero mai posseduto; il denaro, si sa, chiama altro denaro. La malavita cominciò quindi a investire il ricavato della vendita di liquori nel peggior oppio che potesse essere recuperato nell’ intero Dortan. Albrich nutriva una repulsione sincera e viscerale verso quel posto, ma era l’ unico in cui sapeva con certezza che ci sarebbe stato sempre qualcuno disposto a fargli credito per un paio di bottiglie di liquore alla rapa. Si faceva sempre più schifo ogni singola volta che varcava la soglia della Birreria, ma sapeva di non poter fare a meno del liquore, se voleva mettere a tacere anche solo per un istante i demoni che gli ruggivano dentro. Molti altri, come lui, cercavano rifugio dalla quotidianità in quella grande illusione, brulicante di voci, fumo e vita. La gente di quel quartiere - un mare sterminato di casupole popolari nel cuore di Borgo Basso - aveva imparato a farsi gli affari propri già da molto tempo e di diffidare dell' aiuto delle autorità per le faccende che li riguardavano di persona. La via all' uscio, una porta dai cardini rugginosi con un imposta traballante, era sgombra e sicura; almeno questo Albrich presumeva, pur senza concedersi il lusso di stare calmo e tranquillo.
La porta della Birreria si aprì con uno schiocco sordo che echeggiò per l’ ambiente vuoto.Per un breve istante, Albrich fu colto dalla sgradevole sensazione che la vita pulsasse ancora tra quelle quattro mura, che il fumo acre e bluastro si levasse dai narghilè disposti senza soluzione di continuità tra tappeti e logori cuscini e che di nuovo i bicchieri tintinnassero nella profonda quiete del mattino. Il panico si dissolse nel vuoto del salone, mentre un lungo brivido finiva la sua corsa lungo la sua schiena capace.
" Nient' altro che polvere ... sto diventando totalmente pazzo ..."
Un uniforme velo di polvere ricopriva le travi dai chiodi sporgenti che costituivano il pavimento. Albrich soffocò uno starnuto affondando il naso nella manica della propria sdrucita veste. Se c’ era mai stato qualcosa di buono nel regno di Mathias Lorch, era stato mandare le sue truppe a chiudere per sempre i battenti di quel falò di anime perse. Pochi giorni dopo il suo insediamento a nuovo monarca della Capitale, le truppe della Guardia Insonne, vennero, videro, distrussero e sequestrarono. Albrich in fondo era grato al vecchio Mathias: ora poteva dire di essere un nano onesto, dato che non doveva più un centesimo a nessuno per tutto quello che si era tracannato.
*Gli Insonni si credono molto retti e molto furbi ...*
Pensava lentamente, quasi il suo pensiero potesse riverberare per l' alta volta lignea della Birreria e destare il vicinato.
* E per certi versi nessuno può negarlo ...*
I suoi pesanti stivali di cuoio scuro facevano scricchiolare il legno su cui poggiavano.
* Ma nessun invasore potrà mai conoscere i segreti ... *
Brace viva avvampava negli occhi spiritati del nano. Erano rivolti verso il basso, sul pavimento lercio di polvere e altro sudiciume non ben definibile; ogni suo senso era teso a quel pavimento di travi mal inchiodate: bramava quel suono, quella sensazione.
* Che questa fogna di città custodisce ... *
Sotto la punta del suo stivale, un' asse emise un gemito. A ben guardare, essa, come le assi contigue, risultava sporgere impercettibilmente dal livello del pavimento.
* Nelle sue viscere .*
Una grande mezzaluna si disegnò tra gli zigomi cadenti del nano. Si avventò sulle assi come una furia; le tolse dal terreno con estrema facilità malgrado le loro grandi dimensioni, poiché non erano inchiodate ma solamente adagiate e perfettamente combacianti con la trama del pavimento. Un' ondata di umidità, cavalcata da un penetrante odore di carboni e di oli rancidi, salì sibilando dal suolo. Albrich dovette trattenere un conato di vomito quando quel turbine di odori insidiò le sue narici. Già alla seconda trave rimossa, una grossa botte di legno opaco fece capolino dallo scomparto segreto che si celava esattamente sotto i suoi piedi. Ve ne erano diverse, sulla dozzina, ma estremamente bombate e capienti: botti solide, dai grandi coperchi cosparsi di pece perché l' umidità della terra in cui erano stipate non ne compromettesse il contenuto. Tutti quelli che frequentavano la Birreria sapevano dove i gestori conservassero l' oppio destinato all' intero quartiere, ma nessuno osava provare ad impossessarsene; tuttavia, la Guardia Insonne si era preoccupata solo di fare "pulizia della clientela" e delle merci di contrabbando, non curandosi di fare un indagine più approfondita. Il Frantumatore calò con un fragore asciutto sul coperchio di una delle enormi botti che spuntavano appena dalla loro alcova. I semi di papavero neri e lucidi come minuscoli opali, disseccati e perfettamente integri, piovvero sul pavimento della Birreria. I ricordi che Albrich aveva di quel posto erano sempre immersi nella nebbia di pochi narghilè che sfiatavano sino a permeare il salone quadrangolare di denso vapore azzurro. Il suo sorriso si fece ancora più grande e maligno, nel pensare a quanto fumo sarebbe potuto scaturire dodici intere botti interamente cosparse di morbida pece e colme di oppio disseccato e pronto all' uso.
* Non mi resta che scoprirlo *
La mano destra del nano ripose il Mjolnir e si insinuò nei meandri della sua cappa di iuta, sino a recuperare un corno ripieno di polvere da sparo e qualche zolfanello.
"Sto per fare la mia parte ..."
Sussurrò mentre cospargeva di polvere nera il barile incastonato nel bel mezzo dell' alcova. Nella semioscurità del mattino, nella polvere e nel vuoto di una catapecchia di legno fra altre catapecchie di legno si accese una luce. Albich stette così giusto il tempo di un respiro, con la fiamma che avrebbe deciso il suo futuro che covava lenta tra le sue tozzi mani. Avrebbe potuto calpestare quella flebile scintilla sotto i propri stivali d andarsene, fuori, via da tutto. Ma poteva gettarla sopra la botte, girare i tacchi prima che la combustione fosse completa, sparire nel primo vicolo che portasse altrove e scatenare le nebbie, simulare un incendio nel vicinato e richiamare su quello stabile tremendamente vicino agli affollati quartieri popolari l' attenzione delle milizie. Poteva fare l' una e l' altra cosa. Era una bella sensazione, poter finalmente rispondere delle proprie azioni, concluse con un lampo di acida allegria che gli attraversava gli occhi stanchi mentre la fiammella roteava nell' aria, vicino, sempre più vicino alla polvere.
"Ora voi fate la vostra ..."
Albrich (IMG:http://i39.tinypic.com/ypa9e.jpg) Classe: Guerriero Razza: Nano Talento: Avanguardia I CS: 1 Forza 1 Costituzione Stato Fisico: Illeso (100 %) Stato Psicologico: Illeso(100%) Stato Emotivo: Galvanizzato Energia: 80% Equipaggiamento: Mjolnir(Mano destra) Varja (Mano sinistra) Martelli da guerra. [riposti] Desperia, ascia bipenne [riposta] Tecniche attive: Big Smoke in the Sky(Gettone slot Variabile utilizzato a consumo Alto): la tecnica utilizzata consiste nel creare una fitta e gigantesca torre di fumo oppiaceo che fuoriesca dall' edificio e che lo porterà a sembrare avvolto dalle fiamme. Tecniche passive: CITAZIONE Runa del Nerbo: (Talento I: Avanguardia) >> Passiva
Ciò che contraddistingue Albrich è chiaramente una straordinaria prestanza fisica. La muscolatura allenata oltre ogni dire di questo individuo gli permette infatti di brandire armi o scudi di dimensioni ragguardevoli, difficili da padroneggiare per qualsiasi altro. Ciò si traduce nella possibilità di utilizzare, ad esempio, due grosse asce - una per mano - senza risentire quasi del loro peso, oppure di portare senza fatica un grande scudo in battaglia. In termini tecnici, i possessori di questo talento potranno utilizzare armi di grandi dimensioni come se fossero equipaggiamenti normali.
Runa dell’Acume >>Passiva (Pergamena “Tattiche di combattimento”: il guerriero acquisisce le conoscenze necessarie a sfruttare tatticamente l'ambiente circostante. In uno scontro ciò potrà anche tradursi nell'abilità di vincere scontri fisici a parità di CS, grazie alla superiore conoscenza del terreno di scontro da parte del guerriero.)
Non c’ è nulla di più importante per un guerriero che entrare in simbiosi con il campo di battaglia, analizzarlo, coglierne le impercettibili sfumature che ad un occhio meno esperto, ad un animo meno temprato, sfuggirebbero come l’ acqua serpeggia silenziosa tra i bianchi ciottoli di un torrente; Se tale coscienza è essenziale per un combattente, per un nano, un infimo, sottovalutato nano, è questione di vita o di morte. Se per un nano tale conoscenza è questione di vita o di morte, per Albrich, nello scorrere impetuoso degli anni, è diventata una questione d’ onore. Con quasi un secolo alle spalle,con troppe cicatrici ancora aperte ed il forte sapore della guerra sempre e costantemente sulle labbra, Albrich ha visto davvero un sacco di cose. I suoi piedi hanno calcato la nuda roccia, le fredde vallate del nord, sono affondati nella neve fresca. Il suo animo non ha vacillato dinnanzi alla natura crudele dell’ Akeran, né dinnanzi al cupo squallore dei bassifondi più torbidi. Ovunque si trovi, è stato di certo in un posto simile, sebbene peggiore, del quale conosce a mente punti deboli e punti di forza. Il campo di battaglia non ha più segreti, per l’ orgoglioso Albrich Durno Jovill Saemund Brisgamet Rotghaar.
Runa della Razza: (Abilità Razziale) >> Passiva
La razza dei nani gode da sempre di una particolare predisposizione alla vita dura, cosa che li ha resi nei secoli famosi per la loro tenacia senza pari; abituati a vivere nelle condizioni più abiette (sotto terra, dove la roccia viva non offre occasione di coltivare o allevare grandi quantità di vegetali e animali), i nani sono col tempo divenuti meno sensibili delle altre razze alla fatica fisica. Ciò si traduce, all'atto pratico, in una resistenza alla fame, alla sete, all'affaticamento del corpo dovuto a lunghi viaggi o combattimenti estenuanti. In termini di gioco un nano non sentirà i morsi della fame, non avrà bisogno di bere se non quando gli aggrada e non risentirà della fatica durante il combattimento, anche qualora questo dovesse protrarsi a lungo; ciononostante sverrà al 10% delle energie come qualsiasi altro. Note: Non sapevo come considerare la Variabile di questo turno, se Offensiva o Illusoria quindi mi sono permesso di ometterlo dalle specifiche lasciando chiaramente al Qm la reazione dell' ambientazione alla tecnica.
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