| J!mmy |
| | Silenzio di tomba. In lontananza stormi di corvi inneggiavano al cielo cupo della notte, una notte d’autunno, una notte gravida di pessime nuove. La magione dei Pogwish appariva maestosa al pallido chiarore di luna: un imponente e lugubre mastio a foggia gotica circondato da solide mura di marmo con merlature squadrate ed arricchite quasi casualmente di effigi di strane e mostruose creature. Gli immensi portoni anteriori erano rimasti sigillati a lungo, al punto che la ruggine ne aveva divorato lo stemma e gran parte dei cardini. Un edificio austero, questo è certo, ma così tetro che tra i popolani circolavano voci di una maledizione che ammorbava il nome dei proprietari e le generazioni a venire di chiunque osasse anche solo mettere piede nel maniero. Un mito, forse, dicerie senza fondamento che tuttavia avevano sortito l’effetto di allontanare ogni essere vivente dai confini del feudo, cingendolo ben presto con un’area di brulla e desolante aridità. In una qualche maniera, sembrava che il borgo si fosse sviluppato a debita distanza dall’abitazione.
“Tac-tac” Un profondo suono esplose d’improvviso nel silenzio. Un paio di tacchi si affrettavano duramente per il lungo corridoio che preludeva agli alloggi della struttura. La porta di uno di essi si spalancò con un tonfo secco, breve, brutale. Un ragazzino vi rotolò attraverso, rovinando al suolo e urtando bruscamente contro il pannello inferiore di un letto a baldacchino dai tessuti rosso sangue. Una seconda figura, però, rimase immobile sull’uscio della camera, rigida come una lama pronta a trafiggere. Un uomo sulla sessantina, dall’ispida barba bianca e una lunga treccia canuta a ciondolare dalla spalla destra, fissava il ragazzo con occhi iniettati di rabbia.
« Mai! » ringhiò. Al ragazzino parve di scorgere un rivolo di bava ruscellare da un angolo della bocca, benché l’oscurità e il pelo rendessero difficile scorgere chiaramente i connotati del vecchio. « Non deve accadere mai più! » berciò. L’uomo, nonostante l’età, esibiva un collo tarchiato e un corpo stranamente vigoroso, agghindato da una tunica a strisce gialle e vermiglie, orlata da una finissima bordura color d'oro. Per la veemenza con cui l’uomo gridò, il petto parve gonfiarsi a dismisura e la veste esplodere dai fianchi. « Sei il disonore di questa famiglia, e verrai punito per questo. » Allungò qualche passo in direzione del ragazzo. Quest’ultimo, visibilmente scosso, sembrò raggelarsi sul posto, sbarrando lo sguardo e digrignando i denti. Respirava pesantemente, tremava, ma ripromise a se stesso che qualunque cosa fosse accaduto non avrebbe mai versato alcuna lacrima, non avrebbe mai mostrato la propria debolezza. Quando l’altro gli fu molto vicino, dunque, strinse le palpebre con tutta l’energia che gli era rimasta. Mai; non avrebbe urlato mai. Contro ogni aspettativa, però, il vecchio parve accorgersi della sua ostinazione. Si fermò e volse lo sguardo indietro, scorgendo uno dei servi presenziare impassibile poco oltre la porta della camera. Qualcosa dentro di lui si nutrì del suo furore ed esplose in un gemito di corrugato disgusto. Suo figlio lo aveva deluso nuovamente, contravvenendo alle regole della casa; ma stavolta non sarebbe stato lui a sporcarsi le mani, non più. Si avvicinò al servo e, tenendo lo sguardo immobile sul fondo del corridoio, ordinò: « Portatelo nelle cantine. Trecento frustate all’alba e altre trecento al tramonto. » Quindi scoccò un’ultima furiosa occhiata al ragazzo. Era ora che anche lui imparasse la lezione. « L'Oceano di Zar rimarrà solo nei tuoi ricordi. » « Il tuo posto è qui, Davos. »
N U O V O I N F E R N O Non è un lavoro per vecchi
Due erano le cose che lo Spezzacarne detestava delle città portuali: le puttane e l’odore di salsedine; le prime per lo sdegno di cavalcare una puledra già sciupata – e i porti, si sapeva, erano luoghi trafficati da un numero esagerato di uomini bisognoso di calore – e il secondo perché riaccendeva in lui il dolore di una ferita mai ricucita, bruciando come se il sale di quelle acque penetrasse direttamente nelle sue ossa. Due cose di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Un’ampia palizzata lo separava da un continuo vociare, urla di giubilo e negozianti miste a un sotteso scalpiccio su dell'arido selciato. Un suono molesto, come quasi ogni altro traspirasse dai confini di quell’agglomerato di casupole e fango, il cui nome non si era neppure scomodato a domandare. Davos aveva preferito starsene in disparte, all’ombra di un grosso cumulo di rocce grigie come la cenere. L’incontro di poche ore prima con una carovana di briganti gli aveva procurato due costole rotte e una lacerazione a mezzaluna sulla coscia; pertanto, aveva convenuto che fosse il caso di evitare un ulteriore dibattito con qualsivoglia altro abitante dell’Akeran. Gente apprezzabile, dovette dargliene atto, ma alquanto restìa alla condivisione, specie se di vino, acquavite o qualsiasi altra bevanda con dell’alcol dentro. Era stato un peccato doverli eliminare tutti. Uno di loro aveva gli occhi chiari e un altro una fede nuziale al dito. Aveva sempre desiderato avere gli occhi chiari.
« ... vecchio! » Qualcosa lo colse alle spalle. Una voce, forse, ma Spezzacarne era troppo intento a spalmarsi del balsamo di rondine sulla ferita alla coscia per curarsene. Gli arrivò alle orecchie come un sordo e remoto fruscio, reso ovattato dalla più totale strafottenza.
« Si, tu, vecchio, dice a te! » Questa volta aveva udito qualcosa: vecchio. Come dargli torto, d’altronde. Aveva un aspetto orrendo, la casacca aveva perduto ogni sfumatura del suo colore originario, esibendo chiazze di vomito gialle come catarro e un ampio squarcio all’altezza dell’ombelico. Si guardò, e quasi provò ribrezzo per se stesso.
« Avanti, lascia i tuoi soldi e va via. Altrimenti ti uccideremo » lo minacciò uno. « Ma cosa dici? Lo uccideremo in ogni caso. Ma se si arrende ora, avrà una morte indolore » lo rimbeccò l’altro. Il crepitio del fuoco era l’unico suono che Davos volesse percepire: placido, cadenzato, nostalgico, malinconico; ma il gracchiare di quegl’uomini ne frantumava irrimediabilmente l’armonia, inculcandosi nel suo cervello – troppo sobrio per tollerarlo – con una violenza disarmante. Si alzò, quindi, e volse lo sguardo agl’interlocutori. Fu sorpreso nel constatare che non si trattava di uomini, bensì di semplici, tozzi e raccapriccianti uomini delle rocce: nani.
« Buonasera signori » disse, forzandosi di sorridere. Era il tramonto e fra poco avrebbe fatto buio; chi poteva sapere cosa celasse l’oscurità dell’Akeran. « Vorrei davvero aiutarvi, ma come potrete immaginare devo aver lasciato le mie ultime monete in qualche bettola. » Scosse le spalle e spalancò le braccia, come a fingere un abbraccio. Nel farlo sentì le costole stridere e vomitare il loro dolore, inondandogli il torace di un bruciore lancinante. Non fece alcuna smorfia, però, né verso o movimento. A giudicare dall’aspetto, i cinque nani sembravano passarsela meglio di lui. Vide le fibbie delle loro cintole, fatte d’argento; vide alcune impugnature delle loro spade e pugnali, fatte d’avorio e legno; vide uno di loro ostentare un borsello penzolante dalla tasca sinistra delle braghe. « Però, se domandate scusa per la vostra scortesia e mi porgete gentilmente parte del vostro bottino, potreste andarvene sulle vostre, di gambe. Altrimenti » il sorriso dello Spezzacarne, adesso, divenne tutt’altro che finto, aprendosi sulle sue labbra affilato come una falce « sarò costretto a farvi molto male. » Sbuffò. « Ed è una serata troppo bella per imbrattarla di sangue due volte. » In cuor suo, Davos sapeva che quelle parole avrebbero aizzato i ladri come lupi affamati a cui viene negato il pasto, ma non se ne preoccupò troppo. Sarebbe bastato ucciderne solamente uno per metterli in fuga tutti.
« Cosa cazzo dici? Mi prendi per il culo, vecchio? Provaci se ci riesci. » Pessima risposta.
Lo Spezzacarne fece a malapena schioccare le labbra, ma da queste non fuoriuscì alcun suono. Inspiegabilmente, uno strano clangore di catene li colse dal fianco, lontano e lento come l’avanzata di un gigante. “E tu ci chiamerai a gran voce, ma udirai nient’altro che un misero alito di morte” I cinque nani si volsero in direzione del suono, mentre un’ombra silente affiorava dal terreno prossimo al ladro con il borsello.
« Rojik attento! » gli urlò contro il compagno. Troppo darti. Il nano fu avvolto da braccia di bambino, esili eppure violente e forti. Frammenti di ricordi resi ciechi dal rancore, frammenti di memorie corrotte dall’odio e dall’impotenza. Nulla di ciò che un tempo erano stati: un mozzo... il mozzo. « G-Gh! » La vittima non fece neppure in tempo a supplicare. L’ombra si lasciò esplodere tra risa sguaiate, risa di eterno godimento. Gli arti inferiori del malcapitato si spappolarono dalla rotula in giù, andando in pezzi come carne da macello. Rimase un corpo esanime in preda alle convulsioni, riverso al suolo come una bambola di pezza a cui erano state strappate le gambe. Davos zoppicò fino al cadavere e lo ribaltò. Due occhi vitrei dalle iridi color pece lo fissavano a palpebre completamente spalancate, terrorizzate e inquisitorie come ad accusarlo di un'eccessiva crudeltà. Ma l’anima di uno spettro non può più essere ripulita. Davos si flesse a fatica sulle ginocchia e strappò via il borsello, che tintinnò come a volersi ribellare. Dita avvizzite si strinsero sul legaccio e sulla stoffa ora pregna di sangue. Lo sentì caldo e stranamente piacevole. « Mostro! » lagnò il più vicino al cadavere. « Mostro! » gli fece eco il compagno. « No! Via! No! » Fuggirono, dissolvendosi rapidamente oltre la barricata. In pochi istanti, il silenzio era tornato a primeggiare a Qatja-Yakin. DAVOS "LO SPEZZACARNE" STATO MENTALE Ottimale
STATO FISICO Due costole rotte (danno inferiore a basso); lacerazione alla coscia sinistra (danno basso)
ENERGIA RESIDUA 100 - 10 - 5 = 85%
EQUIPAGGIAMENTO Rochelle "Puttana dell'Oceano": spada dalla lunghezza di 110 cm e dal peso di 2.5 kg. La lama è a doppio taglio e la parte inferiore della stessa è dentellata; l'elsa è molto esile e maneggevole, con una smaltatura in bronzo rosso ricoperto da una fitta fasciatura in cuoio. Il tratto distintivo dell'arma è un grande occhio privo di palpebre intarsiato in prossimità della guardia. Squarciademoni: balestra dalla capacità di gittata di 50 m, con peso di 6kg ed interamente composta da acciaio misto a legno d'acero. Quest'arma è stata riadattata in seguito alla menomazione di Davos, pertanto non è più necessario - grazie ad un sofisticato meccanismo a scorrimento - impiegare entrambe le mani per incoccare di volta in volta i quadrelli. La modifica, tuttavia, non altera in alcun modo i tempi di caricamento o la velocità di attacco, i quali restano comunque identici a quelli di una qualsivoglia balestra tradizionale. Il tratto distintivo dell'arma è un modesto tamburo in grado di raccogliere tutti e quindici i dardi disponibili in ciascuna giocata. (dardi residui: 15)
PERGAMENE E ABILITA' IMPIEGATE Necromancer « ti credono un fanatico privo di senno » Non importa che tu sia bianco o nero. Non importa che il tuo sangue sia caldo o freddo. Non importa a che razza tu appartenga, sia essa elfica, nanica, orchesca, umana, draconica o demoniaca. Ovunque tu vada, ovunque la tua carne riposerà, ovunque il tuo spirito crederà di aver trovato la pace, la paura della morte tornerà comunque più forte e graverà sempre, sempre sulle tue spalle. Davos lo Spezzacarne lo ha capito a proprie spese. Mutilare, rubare carni morte per poi rivenderle al miglior offerente non era mai abbastanza, non era una punizione sufficiente: loro volevano di più, sempre di più. Volevano camminare tra i vivi, si, ma volevano che solo lui li percepisse; volevano sussurrare i loro lamenti, a voce bassa, stridula, ma volevano ancor più che solo lui potesse udirli, che solo lui potesse soffrirne. La mente del contrabbandiere si assottigliò, il suo cuore cadde in pezzi, marcio e tormentato. Ravvisò nella magia nera un labile sollievo, benché falso e temporaneo. Apprese il talento dell’invocazione, o perlomeno dell’unica strada perché anche gli altri – seppur per pochi istanti – soffrissero del ronzio dilaniante che lo martoriava giorno e notte, perché vedessero e sentissero ciò che lui sentiva continuamente. Capì che rinunciare a un quantitativo medio di energia poteva servire a spalancare gli occhi di chi gli stava di fronte, cosicché vedesse e capisse a cosa era stato costretto: una figura ambigua, non molto alta, un ragazzino scorticato dalle fiamme, il ragazzino che il vecchio Pogwish non aveva potuto salvare in quell'atroce incendio e che lo sbeffeggiava ogni istante. L'ombra si manifestava per un breve lasso di tempo, aggirandosi moribondo e gemente per il campo, soffermandosi il tanto bastante a individuare l'avversario e aggredirlo con foga indescrivibile, infliggendogli un danno pari al consumo. Un'ombra del passato più osceno, un'ombra satura d'odio.
nel silenzio udirai i nostri lamenti__ primo stadio Quando il mondo tacerà, quando il respiro ti s'incepperà tra le narici e la gola, gonfio d'angoscia e pregno di stanchezza, tu ci udirai. Il silenzio ingoierà le spoglie del tuo corpo, la paura vibrerà dentro e fuori il tuo petto. Cercherai la pace, ma non la troverai che in passi silenti come il diffondersi della nebbia nella notte, non la scorgerai neppure se non nell'assenza di odori e in membra gelide come il ghiaccio; le nostre membra. Noi, spiriti inquieti, pioveremo su di te che ci berrai, nutrendoti della nostra carne, dissetandoti del nostro sangue innocente. Lì, tu ci chiamerai con voce flebile. Il nostro rancore si dispiegherà sulle tue labbra e ciò che proferiranno diventerà a malapena un distante fruscio del vento, un sussulto di morte; perchè tu possa patire l'indecenza di cui noi siamo stati resi schiavi, perchè tu possa assurgere a spettro tra i vivi, a defunto tra i defunti. [passiva: nessun passo di Davos emetterà rumore, né il suo corpo possederà odore o suono • attiva: spendendo un consumo Basso, Davos potrà riprodurre come un ventriloquo un suono lontano, senza che il nemico possa in alcun modo ricondurlo a lui. L'avversario dovrà difendersi dalla distrazione o, alternativamente, cedere all'urgenza di volgere altrove il proprio interesse. La tecnica ha natura fisica.]
NOTE Eccoci qua. Chiedo scusa fin da subito, ma sono parecchio arrugginito. Per quel che concerne il post, parto già con alcuni danni a seguito di un vuoto temporale precedente a questo momento in cui Davos affronta alcuni briganti, evento che ho scelto di non raccontare per ora. Inoltre, ho supposto che, essendo molto deboli, i nani non esitassero a fuggire di fronte alla morte di un compagno, specie se a causa di qualcosa di sovrannaturale come nelle succitate circostanze. Spero di non aver esagerato. Infine, specifico che ho sfruttato alcuni tuoi vuoti descrittivi (come il momento della giornata e il luogo dell'incontro) e che lo specchietto riassuntivo andrà sistemato, per cui questo è da considerarsi assolutamente provvisorio. A te.^^
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