Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Spring

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view post Posted on 11/11/2014, 16:05
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All Heavens sent to dust
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Un assoluto silenzio, la fine delle voci.
No, della voce.
Colui che giaceva seppellito, prima di essere seppellito, aveva compreso che - seppure molteplici quei suoni, come screziature di una pietra preziosa - quella dolce melodia era appartenuta solo ad una persona. Forse era per quello che aveva avuto timore a farsi avanti immediatamente, come se ci si alzasse in piedi durante uno spettacolo, avendo avesse timore di disturbare gli altri ostruendo loro la vista. No, riconobbe, non era quella la verità.

La mano ricoperta di cristalli rilucette alla luce dell'alba nascente, e all'avvertire il tepore svogliato del sole le dita presero vita. Tap; colpirono debolmente il terriccio ancora fangoso come se avesse piovuto. No, aveva piovuto - e anche tanto, realizzò. Il corpo pareva immerso in acqua, ma il tanfo lasciava ben intendere che quello era fango. Ed era buio, tanto buio da non lasciar dubbio su quanto profonda fosse la buca scavata.

Raspò il fango con le mani, un movimento dapprima esitante, poi dettato dalla frenesia - era la prima traccia di paura, quella che avvertiva.
Tomba, Lapide - il palpitare che proveniva dal petto schiacciato scandì quelle parole. Era il masso che lo sovrastava, gigante martello su un'incudine di melma, ad instillargliela. Si divincolava, ma ad ogni movimento la terra lo inghiottiva sempre più. Doveva essere un incubo, ma qualcosa gli disse che tirarsi un pizzicotto non sarebbe bastato a fuggire.

Strinse le dita in un pugno e digrignò i denti, e al tendersi dei muscoli la patina lucida che ricopriva la mano si infranse; il ghiaccio incrostato di fango emise un suono sommesso simile a vetro schiacciato sotto un cuscino. Il Seppellito tirò un respiro profondo, lasciando che le narici catturassero l'odore pestilenziale che pervadeva la fossa, e si costrinse a fermarsi. Finalmente, si costrinse a pensare.
Non può andare così.

Non più una supplica disperata ad un imprecisato dio o a sé stesso, ma una constatazione. Non poteva, semplicemente. Aveva qualcosa da fare, prima di morire in maniera così sciocca.
Oltre lo Squarcio aveva scorto più e più volte ciò di cui lo Specchiato era in grado di fare: poco ma sicuro, qualcosa del genere non lo avrebbe fermato.
E allora nemmeno il Seppellito avrebbe arrestato la propria crociata ancora prima di iniziarla.

Poggiò le mani sulla gelida, scivolosa roccia che lo teneva prigioniero nella melma. Era un masso che avrebbe potuto -anzi, dovuto- schiacciarlo senza nemmeno bisogno di cadergli sopra: era grande al punto che gli avrebbe maciullato le ossa in ogni eventualità. E spinse.

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Il sole non aveva ancora avuto il coraggio di splendere, né i venti avevano iniziato l'opera di purificazione di quel campo di morte: le macchie d'inchiostro che coprivano la terra, come una pergamena su cui era stata improvvisata una storia infinita, erano di sangue rappreso e acqua vischiosa. E l'odore di quell'inchiostro marcio, non sospinto da alcuna brezza consolatoria, era il perfetto simbolo di una terra che ancora non aveva recuperato le proprie forze dopo l'ennesima guerra.

Chi aveva vinto? Chi aveva perso?
Nessuno. Ad entrambe le domande.

Ma, in fondo, tanto si meritavano coloro che avevano voluto violare una terra che non apparteneva loro.
No, non è andata così.
Era inutile generalizzare: che per pochi degenerati e la loro arroganza fosse un intero mondo a prenderne la colpa...sì, sarebbe stata quella la vera ingiustizia.

Eppure il pensiero che pure lo Specchiato fosse stato punito, nel mezzo di tutti gli altri sventurati, gli rese impossibile cancellare dal volto il sorriso amaro.
Il superstite spazzò la veste ampia dallo sporco, anche se con scarsi risultati - la brina rimasta raschiò qui e lì il dorso della mano, mentre quella in procinto di sciogliersi si limitò a sporcare le dita ancora di più. Fu solo quando fece il primo passo fuori dalla fossa da cui era sfuggito, tuttavia, che si rese conto di quanto fosse stanco.

Crollò su un ginocchio con il fiato mozzo, come se il suo corpo si fosse ricordato in quel momento di aver bisogno di riposo, maledicendo la scelta frettolosa che lo aveva portato lì.
Non avevo fretta. Ho scelto bene. Solo, mi sono mosso in ritardo.
Esalò un'imprecazione prima di piegarsi ulteriormente sotto i colpi di tosse, agonizzando e maledicendo ancora il farsi arrestare dal proprio stesso corpo.

Si era mosso in ritardo perché...aveva avuto paura dello Specchiato.

Non è vero.

Ogni volta che negava, le viscere si stringevano ancora di più e si annodavano - come a provocarlo nel voler mentire ancora.
Riaprì gli occhi, davanti a sé erano apparse delle macchie nere. Un attacco di nausea lo colse, nel riconoscere il proprio sangue.

« Erik, qui ce n'è un altro vivo! »
Sussultò e si guardò attorno, posando una mano sulla veste all'altezza di una tasca - ma la tasca non c'era più, il masso l'aveva strappata quando si stava liberando dalla fossa, e adesso il suo contenuto era stato agganciato alla cintura alla men peggio.

« Come diavolo è vestito? No -voglio dire- come diavolo è sopravvissuto vestito così? »
Gli occhi si posarono sui due cavalieri che si avvicinavano, armatura scheggiata qui e lì e lordata tanto di fango quanto di sangue: lo smarrimento sulla loro faccia, più del loro aspetto, era l'unico vero dettaglio necessario ad intuire dello scontro fra i Leoni e Velta.

« Ohi, tutto bene? Sei ferito? »
Si esaminò. Aprì la bocca più volte, alla ricerca di parole che non riusciva a ricordare.
« Io... »
A parte le mani insanguinate dallo spingere il masso, e i lividi sul corpo...
« No. »

Erik annuì con aria assente e si guardò attorno, strofinandosi gli occhi. Pareva che si fosse appena svegliato. Sulle cotte di maglia i due recavano un'araldica, un leone abbozzato su un colore di sfondo troppo sporco perché si potesse più riconoscere. Il suo compagno lanciò una borraccia semivuota al superstite, che la afferrò con aria poco convinta e la guardò a lungo.
« Non è tanta, ma pazienza. Nemmeno tanto fresca. »
Erik scrollò le spalle.
« Meglio che niente. »

Ah. Non doveva aver lasciato un'impressione particolarmente brillante. Devo bere.
Si accostò la borraccia alle labbra e fece finta di bere qualche goccia, prima di restituirla al compagno. Esitò, prima di mormorare
« Grazie. »

Si risollevò tentando di ignorare le ginocchia doloranti.
« Non sono rimasti in molti. Di vivi, dico. I primi a riprendere i sensi se ne sono sempre andati. »
La torre era crollata sul branco, decimandolo e disperdendolo. Del capobranco, nessuna traccia.
« Ma non può essere finita. Alexandra non può essere fuggita, vero? » Cercava rassicurazione, rassicurazione che il superstite non era in grado di conferire. Non era nemmeno sicuro di volerlo fare, considerato cosa la Regina aveva tentato di compiere. « Se è viva, non è qui. » Erik stesso non sembrava nutrire molte speranze, come suggeriva il suo cipiglio. « Hans, devi fartene una ragione. »
Hans guardò la borraccia, poi le rovine della torre, poi ancora la borraccia.

« Oggi si è conclusa una storia. »
Entrambi i cavalieri si voltarono verso il Seppellito, chi inarcando il sopracciglio e chi confuso.
L'uomo si passò una mano fra i capelli neri e legati in una piccola coda improvvisata, prima di lisciarsi la veste un'ultima volta.
« Lo sentite anche voi. La voce non c'è più. »
Hans ed Erik si guardarono, titubanti. Anche non comprendendo appieno cosa fosse, era davvero finita.
« Allora il nostro lavoro... »
« È finito. Il vostro sogno è finito, il suo regno pure. Siete soldati senza generale, cosa altro potreste fare? »

Hans si morse il labbro e lanciò uno sguardo altrove, come alla ricerca di qualcuno che potesse rispondergli. Erik, pure, non seppe replicare. Alla fine fu Hans ad azzardare
« ...rintracciare chi possiamo. Cercare Ser Donovan, forse lui è rimasto - forse... »
Il superstite non riconobbe il nome, né a quel punto se la sentì di continuare il discorso. Aveva provato a liberarli dalle loro catene, ma non poteva sprecare altro tempo.

« Allora buona fortuna. »
Si voltò e diede loro le spalle. Hans reagì come se gli fosse stato appena assestato uno schiaffo, prima stupito, poi quasi con veemenza
« Aspetta, dove vai? »
Nella giusta direzione, avrebbe voluto dirgli acidamente, ma si costrinse a trattenersi.
« Per la mia strada. Qui non ho più niente da fare. »

Se solo fosse stato più veloce, la sua crociata si sarebbe conclusa proprio in quel luogo.
Posò sovrappensiero la mano sulla veste, guardando ad ovest: lontano giaceva uno spiazzo semicoperto da uno dei pezzi della cupola della torre. L'istinto gli suggerì che lì si trovavano i passaggi più recenti dello Specchiato - e in circostanze normali, prima di avviarsi, avrebbe esaminato la zona e cercato qualche indizio. Ma era come se avesse paura di vedere cosa avrebbe trovato, sapendo cosa era accaduto.
Le dita passarono il punto vicino alla cintura, ma non trovarono nulla; fu come una doccia gelata.
« Ti è caduto qualcosa. »
Erik lo aveva raggiunto, porgendogli un oggetto strano metallico, lungo e tagliente - a prima vista, sarebbe sembrato un coltello un po' bizzarro e con incavi ondulati sul piatto che imitavano una fiamma.
« Grazie ancora. »
Ma il tono fu gelido, e il lampo che balenò nel suo sguardo improvviso fece rabbrividire internamente il soldato: quasi che glielo avesse rubato. Con un movimento lesto si riprese l'oggetto, ma non abbastanza velocemente perché Erik non riuscisse a scorgere sul dorso della mano destra un simbolo.Era intricato, completamente nero, forse un tatuaggio. E sebbene non raffigurasse nulla, il Leone era sicuro di averlo già visto da qualche parte. Gli occhi freddi verdi con cui lo stava squadrando, tuttavia, lo fecero desistere.

L'uomo si voltò e fece per andarsene, eppure Hans non poté a sua volta reprimere la propria curiosità.
« Che cos è? »

Per rispondere attese, e a lungo. Non riusciva a trovare la parola adatta.
« Una chiave » disse alla fine,
anche se ai loro occhi non poteva essere che un pugnale ridicolmente decorato.
« E anche di più. »

Erik non parve molto convinto.
« E cosa apre? »
Il superstite sgranò gli occhi, colto alla sprovvista.
Apre?
Poi scoppiò a ridere.
Fu una risata amara e resa gracchiante da spasmi di dolore e fitte lancinanti lungo tutto il corpo,
e riecheggiò nel campo di battaglia come un pianto disperato.



Quanto sopra è una scena a sé stante, ambientata non troppo poco gli eventi illustrati in Rapsòdia. Si prega di non rispondere.
 
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