La cour des miracles
L'Armata dei Sonnambuli
Atto I
«Parlato (Umano)» «Parlato (Incubus)» Pensato Narrato
Camminavo per le strade della città bassa soffermandomi, di tanto in tanto, ad osservare la vita ai limiti di una società sofferente, intrisa di degrado e povertà, lontano dallo splendore di Borgo Alto.
Eppure quei luoghi mi riportavano alla mente ricordi di un passato non troppo lontano, vissuto tra gli edifici fatiscenti di un'altra città, dove avevo appreso cosa significasse avere qualcuno da proteggere, da amare.
Mariha e Sullivanyus si trovavano nel territorio del Sultanato, al sicuro nella città di Qashra, la dimora che avevo scelto per dare loro la possibilità di crescere lontano dagli orrori e dalla disperazione di quegli ultimi tempi.
Era la nostra possibilità di vivere come una famiglia, per quanto il termine assumesse un significato alquanto particolare considerando la presenza di un demone, una bambina umana e un cucciolo di drago.
Sulle mie labbra si schiuse un sorriso pensando a come fossero drasticamente cambiate le mie priorità.
Negli ultimi mesi la strada, che stavo perseguendo, mi aveva portato lontano dall'Akeran per abbracciare nuove responsabilità, per onorare doveri e promesse, per non lasciar scivolare nell'oblio il ricordo di una cara amica.
Potrei dire che mi trovassi a Basiledra per motivi altruistici, per portare dei fiori su una tomba solitaria nel giardino di una casa abbandonata o per rintracciare i miei compagni. Nulla di tutto questo era stato lo stimolo, che mi aveva condotto a girare da una locanda all'altra della zona più fatiscente e pericolosa della città.
Ero semplicemente in cerca di informazioni su una persona, la cui fama viaggiava di voce in voce.
Un fuorilegge trasformato in leggenda, le cui gesta avevano acquisto il profumo speziato delle imprese epiche. Verità o finzione? Difficile discernere ascoltando i racconti di strada.
La Volpe Nera...
Il mio interesse verso quella persona era stato risvegliato da una serie di concatenanti coincidenze.
Un calice ingioiellato in possesso di uno dei nobili della città alta.
Ad un'occhiata sommaria poteva sembrare uno di quegli oggetti con cui pavoneggiarsi durante un ricevimento, il cui lustro era quello di rilucere all'interno di un antico mobile di legno intagliato con le ante di vetro.
In realtà la ricchezza di quel calice era racchiusa all'interno, nascosta dall'oro e dalle gemme incastonate per cancellare il ricordo di un potere antico, sigillato dopo essere stato strappato dalle mani morenti di una vestale.
Ne avevo scoperto la storia su un polveroso tomo della biblioteca di Qashra, che stavo leggendo per una delle mie ricerche sulla magia antica.
Non faceva menzione del rituale, ma mostrava un consunto dipinto raffigurante il calice nella sua vera forma, la storia e il triste fato. Qualcuno aveva aggiunto di propria mano delle annotazioni recenti e uno schizzo di come sarebbe dovuto apparire l'oggetto nel presente.
Il “Calice della Vita”, questo era il nome vergato su quelle pagine, e se il racconto era veritiero...
...forse avrei potuto riportare alla vita chi avevo promesso di proteggere...
...con l'aiuto di una vestale...
Cosa centrava la Volpe Nera in tutto questo?
Dalle informazioni che avevo ottenuto sembrava che il calice in questione fosse finito in suo possesso ed io ero fermamente intenzionato a ridiscuterne la proprietà.
L'unico indizio a mia disposizione erano delle voci riguardanti una delle locande dei bassifondi, dove avrei potuto trovare un contatto, qualcuno che, se avessi giocato bene le mie carte, mi avrebbe potuto condurre fino al mio obiettivo.
Il rigore della notte non concedeva tregua, filtrando tra le pieghe del mantello che avevo avvolto sulla mia persona per tenermi al caldo; il cappuccio calato fino a coprire la parte superiore del viso nel tentativo di evitare gli schiaffi gelidi del vento.
Quando varcai la soglia della “Grazia Malevola ”, ebbi la spiacevole sensazione che quelle pareti non sarebbero state in grado di proteggere gli occupanti dalla morsa dell'inverno ancora per molto.
Rivolsi un'occhiata alle tremolanti luci delle lanterne. Esili lingue di fuoco che lottavano per non piegarsi alla forza di un vento che, probabilmente, filtrava dalle fessure della porta e degli scuri fatiscenti.
Chiamare “locanda” quella bettola era farle un complimento.
Mi concessi del tempo per guardarmi attorno, soffiando sulle mani come per riscaldarle, fingendo di acclimatarmi ad un ambiente meno rigido dell'esterno.
Gli avventori erano una genia molto variopinta, alla quale non avrei mai dato la schiena. Sfiorai l'elsa della schiavona e l'impugnatura della dragon cross rose, le mie fidate compagne, in cerca della loro presenza rassicurante.
Per quanto non mi allettasse l'idea di sedermi al bancone ed ordinare una delle strane strane misture non ben identificate, che facevano bella mostra sulle mensole dietro l'oste, restare in piedi, a poca distanza dalla porta, avrebbe potuto attirare sguardi non voluti.
Mi stavo incamminando, riluttante, verso uno sgabello di legno dall'aria malferma, quando la mia attenzione fu attratta da uno dei tavoli da gioco, finendo per trasformarmi in un improvvisato testimone delle scorrettezze di un goblin, se avevo riconosciuto la sua etnia. Probabilmente a quei tavoli si praticava l'antica arte del barare per alleggerire dei propri averi le inconsapevoli vittime, anche se chiamare vittime quegli energumeni non era esattamente il termine adatto.
Se avessero scoperto di essere stati ingannati si sarebbe, quasi sicuramente, scatenata una rissa non necessariamente limitata a quel solo tavolo.
Una perla di saggezza risiedeva nella ferrea volontà di non andare a cercare i guai, proseguendo oltre, senza lasciarsi coinvolgere. E per una volta avevo deciso di dare ascolto alla mia sfortunata coscienza. Peccato, però, che qualcosa o, per essere più corretti, qualcuno cancellò tutti i miei buoni propositi.
Il mio sguardo si soffermò verso l'uomo che aveva parlato e, nel riconoscerlo, mi sentii come se tutta l'aria dai polmoni fosse stata espulsa per un violento pugno assestato all'altezza della bocca dello stomaco.
«
Al... Al Patchouli...» mormorai, senza che le parole riuscissero a fuoriuscire dalle labbra serrate.
Mi strinsi ancora di più nel mantello per proteggermi da quell'improvviso gelo nelle ossa, che superava di intensità quello che bussava con insistenza all'uscio della bettola.
In quei fugaci istanti, il mio animo era un subbuglio di sentimenti contrastanti. Non potevo dimenticare il racconto di Fanie, ma...
...ma la vendetta non avrebbe mai potuto ripagare l'alto tributo di sangue che aveva pagato.
Nel vederlo prendere posto al tavolo da gioco del pelleverde baro, mi domandai se quella persona fosse il nostro amico di un tempo oppure il contenitore di uno spietato demone. Non avevo altre ipotesi per spiegare come un rapporto di amicizia si fosse trasformato, tempo prima, in uno scontro alla morte.
I miei passi avevano seguito l'istinto, conducendomi vicino ad Al, prendendo il sopravvento sul mio pensiero cosciente.
«
La Perla Nera... Si può giocare fino a dieci persone... Molto interessante. Sono in tempo per questa mano? Altrimenti posso attendere il prossimo giro. A questo tavolo sembra proprio che ci si sappia divertire.» mi sforzai di sembrare interessato alla partita.
Il mio arrivo aveva contrariato il goblin, ma, per mia fortuna, qualcuno sembrava interessato alle monete tintinnanti in mio possesso. Un giocatore di nome Chett. Probabilmente sperava di aver trovato, nella mia apparente giovane età, una vittima su cui rifarsi delle ingenti perdite subite.
Mi accomodai, prendendo posto in modo da poter osservare sia le mosse del baro che quelle del mio vecchio am... di Al.
«
Una giusta osservazione... e poi i soldi non hanno età.» osservai, rivolgendomi al giocatore che aveva caldeggiato la mia richiesta di partecipare al gioco.
I miei lineamenti erano ancora celati dalla penombra del cappuccio. Non me la sentivo di rivelare la mia identità.
Rimasi in silenzio ad osservare la fin troppo sospetta goffaggine di Al, restando concentrato per non lasciarmi distrarre, mantenendo i sensi vigili.
«
Spero che giochi meglio di come mischi, o finisci davvero male, amico. » il commento di un altro dei presenti al tavolo, mi strappo un sorriso divertito.
«
Che vinca il più sveglio allora. » sentii dire dal pelleverde, trattenendomi dal commentare con un sorriso ironico.
Che vinca il più furbo... riflettei tra me.
Un'altra perla di saggezza insegnava che un trucco ripetuto più volte alla fine verrà rivelato. Ci sarà sempre qualcuno più bravo che scoprirà l'inganno. Mai lasciarsi prendere dall'ingordigia.
Quel baro era decisamente recidivo!
Sfortunatamente per lui questa mano divenne la sua rovina.
Quasi rimasi stupito nell'osservare Al svelare il trucco, inchiodando la carta al tavolo con una sottile lama, prima che il pelleverde potesse farne uso.
«
Aah, ecco dov'erano finiti gli angeli. Imbrogliare degli onesti lavoratori... Aper, dovresti vergognarti. Tu non meriti questo denaro!» Purtroppo il suo gesto fin troppo altruistico di restituire i soldi ai rispettivi proprietari, si era rivelato essere un diversivo, compiuto nel tentativo di distrarre i presenti dalla cospicua somma che aveva fatto scivolare, con noncuranza, all'interno delle ampie maniche.
«
Peccato sia già finita. Speravo durasse un altro po' il divertimento.» osservai. «
E' proprio vero che, a questo gioco, vince il più sveglio!» aggiunsi scuotendo la testa e lasciandomi andare ad un profondo sospiro.
Era giunto il momento di svelare le mie carte.
Mi alzai in piedi per affiancarmi ad Al, senza perdere di vista il baro.
«
Truffare degli onesti lavoratori. Davvero un'azione riprovevole. Qui qualcuno dovrebbe proprio vergognarsi, non trovi?» osservai, rivolgendomi all'uomo più che al pelleverde, mentre mi calavo il cappuccio sulle spalle.
L'espressione, che si dipinse sul volto di Al, sembrò duella di chi avesse visto un fantasma.
Coscienza sporca?
-
Kirin! La voce era decisioniste femminile per appartenere al mio compagno di un tempo.
Mi voltai per cercare la fonte di quell'esclamazione.
«
Dama Arsona?» commentai, con una sfumatura di stupore nel tono della voce, accennando ad un inchino nella sua direzione.
Energia: 100%
Danni fiisci e mentali: //
CS
[Riflessi 3, Intuito 1], «Kirin l'umano»
[Intuito 2, Intelligenza 2], «Zeross l'incubus»
Note:
[size=1]Ed ecco che anche Kirin entra in gioco!
Spero vi piaccia il motivo per cui Kirin si sia ritrovato in locanda.