Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

La cour des miracles ~ l'Armata dei Sonnambuli

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Lenny.
view post Posted on 16/11/2014, 20:56




La cour des miracles~
L'Armata dei Sonnambuli


Il vento picchiava contro le assi della porta come un cane impazzito. Le lanterne a olio della taverna sembravano vacillare, come se potessero essere raggiunte dal soffio gelido dell'inverno. La Grazia Malevola, una bettola sgangherata dalle pareti di legno e calce, vagamente tinte di un intonaco marroncino tutto scrostato, si trovava tra gli stretti vicoli periferici della capitale, il più possibile lontano dagli occhi della nobiltà. L'insegna era un pezzo di legno marcito che forse, molti e molti anni prima, recava dipinto un simbolo che permetteva agli abitanti di riconoscere la taverna. L'interno non rendeva più onore al locale rispetto all'esterno. Un'ampia e bassa sala ingombra di tavoli tarlati e traballanti. Vari relitti di vita quotidiana, viventi e non (o non più), riempivano il resto dello spazio, affollati attorno al bancone di mescita, il cui aspetto era il risultato di un lungo lavorio di coltelli e sostanze corrosive. Un fuocherello asfittico faceva pallida mostra di sé nel camino, unica parte di mattoni dell'edificio, mentre su tutto si stendeva, democratico, uno strato di sporcizia appiccicosa. L'oste, un uomo di mezz'età calvo e rubizzo di nome Kvothe, accoglieva ogni giorno e ogni notte quell'agglomerato suburbano di umanità male assortita rigurgitato dai bassifondi di Basiledra. Umili lavoratori, mercenari, perditempo e prostitute, Ma quella notte aveva un paio di clienti molto particolari. Uno di questi era uno stramaledetto goblin di sua conoscenza che nel tempo gli aveva portato più guai che denaro..

Vagun incrociò le braccia, accennando un mezzo sorriso. L'allegria era un elemento assai raro in quei nefasti tempi, ma il goblin ne faceva genuinamente sfoggio ai tre uomini che sedevano al suo tavolo.

« Hai un luccichio familiare negli occhi, Chett. Belle carte immagino.. »

Chett, l'armadio di muscoli seduto di fronte, si accarezzò l'incolta barba castana mentre i suoi occhi scrutavano con sospetto le cinque carte -girate verso il basso- che il goblin aveva posato sul tavolo. Dalla sua parte c'era un ben misero gruzzolo di monete di rame mentre da quella del goblin una montagnetta ben più corposa. Scambiò un'occhiata con i due compari che lo fiancheggiavano prima di scoprire le sue cinque carte e rispondere, in tono fermo e deciso.

« Angelo della morte, partita finita. Ho una serpe, il crepuscolo e un paladino, accompagnati da due draghi. Tu, pelleverde? »

Vagun sospirò profondamente, teatrale fino al midollo, prima di prendere le carte e voltarle una a una con ostentazione ed eleganza. E un sogghigno irrisorio che si allargava ogni secondo di più sul suo verde, bitorzoluto grugno.

« Buone carte, basterebbero a battere un giocatore meno esperto..ma io ho tre angeli: carità, fermezza e verità. Più il cavaliere dell'alba. Vinco di nuovo io. »

Visibilmente nervoso e frustrato, Chett si portò le mani tra i capelli mentre Vagun afferrava avido una manciata di monete dalla parte di Chett per aggiungerla al suo abbondante gruzzolo. Fissò sottecchi il povero, indebitato umano indeciso se continuare a perdere denaro o arrendersi e fermarsi lì. Ma il suo piano non prevedeva remore: spogliare Chett e gli altri due di tutti i loro averi, lasciarli in mutande. Costringerli a ridursi talmente male da vuotare il sacco sulle informazioni che lo interessavano. Perché i pochi spiccioli che aveva onestamente guadagnato erano soltanto il mezzo per raggiungere un unico, grande scopo finale. Quei tre pesci piccoli potevano condurlo all'unico viatico per il vero successo.
La Volpe Nera.

La Volpe Nera, all'anagrafe Karolis Remi, un ladro le cui gesta avevano ispirato così tanti racconti da rendere indistinguibili verità e fantasia. Nonostante le sue origini nobili, era divenuto una sorta di eroe tra la gente comune di tutta Dortan. Una delle sue prime imprese fu ridicolizzare il tirannico signore di Val Chevin. Indossando una maschera nera la Volpe compariva in pubblico e mandava a monte i piani del signore al punto che questi mise una ricca taglia sulla testa di "quella scaltra volpe" (da cui l'origine del soprannome). Il principale cacciatore di taglie che accettò il lavoro, Urgot "L'Ammazzaincredibili" divenne alla fine il compagno di crimini di Karolis (ma soltanto dopo aver tentato di ucciderlo parecchie volte). Dopo anni passati a terrorizzare i signorotti locali e a ostacolare gli esattori delle tasse (uno dei passatempi preferiti di Karolis) la Volpe Nera e la sua banda si trasferirono nella loro ricca sede finale: la capitale dei Quattro Regni, Basiledra.
Dotato di sorprendente intuizione e coraggio impareggiabile già prima di abbracciare la causa degli umili, sceglieva gli uomini per il suo manipolo di banditi a uno a uno: niente ubriaconi, niente inutili tagliagole, niente stupratori di merda, solo gente decisa, sveglia e interessata al bottino dei ricchi o per l'ambizione di imprese degne della sua approvazione. La chiamò l'Armata dei Sonnambuli, per il semplice motivo che sembravano spuntare dal nulla ogni notte, facevano i loro sporchi lavori, per poi scomparire di giorno. Una masnada da lui formata uomo per uomo che ormai aveva seminato il panico tra la nobiltà della capitale: imprendibili, audaci e fulminei.
E Vagun aveva tutta l' intenzione di raggiungere il cuore della segreta corte nascosta nei bassifondi di Basiledra. Distolse lo sguardo da Chett, improbabile stolido membro dell'Armata (stando a quanto gli aveva confidato Kvothe), per poi scuotere la testa con aria sconsolata.

« Ancora imbattuto, dopo tutti questi anni..troverò mai qualcuno alla mia altezza? »



Allora, ho descritto il contesto in cui vi trovate e ho gettato le basi per la futura quest, quindi sono già abbastanza soddisfatto. Oltre alla varia gentaglia da taverna, al tavolo c'è un goblin (il mio pg, la cui descrizione potete trovare in SCHEDA, e tre energumeni (ho descritto sommariamente solo Chett, ma in generale li lascio alla vostra fantasia). La situazione è abbastanza chiara: il goblin sta surclassando i tre a un gioco di carte, battendoli a uno a uno partita dopo partita. La tensione sale e presto i tre si trovano senza il becco d'un quattrino.
Qua entrate in scena voi. I vostri pg sono infatti gli unici (sarà la posizione di fortuna nella taverna, saranno i CS, saranno i superpoteri) ad accorgersi del trucco. Vagun bara spudoratamente a ogni partita, sul finale, sostituendo con un abile gioco di mano le carte prima di mostrarle agli altri, col classico trucco dell'"asso nella manica". Adesso siete liberi di agire in qualsiasi modo: ignorarlo e farlo continuare, smascherarlo o sussurrare il trucco nell'orecchio di Chett. Ma si tratta della nostra scena free, non della mia, quindi se avete voglia potete creare un vostro filone e ignorare quanto accade al mio tavolo e vedere cosa succede dopo. Fate voi. Turnazioni libere, attendo i vostri post e vado io. Per organizzarsi e sparare chiacchiere c'è il topic in confronto!

PS: ovviamente il titolo del ciclo di quest vuole essere un omaggio all'opera di Hugo °w°

Pregherei infine l'admin di quartiere di moddare il titolo col seguente codice ^^

CODICE
<b> <font color=#00002C>Le cour des miracles ~</b></font color><i> l'Armata dei Sonnambuli </i>



Edited by Lenny. - 17/11/2014, 07:37
 
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view post Posted on 22/11/2014, 16:53
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Դատարան ~ La cour des miracles ~ Հրաշքներլ

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L'Armata dei Sonnambuli

(Vahram [pensato, lingua aramana], Vagun, Chett, Ambrose, Kirin.)


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Yen Kaytsak volteggiò in aria disegnando cerchi invisibili nel cielo. Vahram seguì i suoi movimenti quasi con ansia finché la fedele arma, da sempre in passato suo strumento premonitorio, non ricadde conficcandosi di punta perfettamente verticale nel prato asperso dalla rugiada mattutina.

«Buon segno...» Il medico errante tirò un sospiro di sollievo. «Dopo tutti questi anni... dopo tutti i peccati che ho commesso... la Dea Fortuna mi arride ancora?»

Non ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva compiuto quel gesto scaramantico; un tempo faceva parte della sua routine mattutina: lanciava Yen Kaytsak in aria e in base al modo in cui ricadeva assumeva se aspettarsi una buona o una brutta giornata. Ma dopo l’assedio di Qashra, nulla a lui pareva più importare. Non vedeva più un destino nella sua vita, gli sembrava di aver dimenticato quale fosse il sapore dell’appagamento, o dell’amicizia; dopo la possessione, la sua strada era divenuta un oblio di solitudine e oscurità. Errava esule per il mondo come un fantasma, inseguito dai morti, tormentato ogni notte dagli incubi di fiamme di Giselle. Camminava insieme agli spettri, e talvolta si domandava se fosse ormai divenuto egli stesso uno di loro.

Alzò lo sguardo verso le imponenti mura che s’innalzavano in lontananza di fronte a lui. Dopo settimane e settimane di viaggio, Basiledra era finalmente lì, più immensa di Taanach, più movimentata di El Kahir, ma non più fastosa, no... I suoi tempi di gloria erano ormai storia passata, quel luogo non era più la Capitale che tutti conoscevano.

Le ferite della guerra erano ancora aperte, sia sulle facciate dei palazzi e dei monumenti, sia negli occhi della gente che si incrociava per strada. Al Patchouli era giunto nel cuore della tirannia, nel quartier generale della Guardia Insonne. Aveva combattuto contro di essa ad Alagar, nella Roesfalda, e lì era stata sconfitta. Viaggiavano molte voci sul suo compagno d’armi Lhotar Doppielame, il Ribelle, il Paladino del Nord, ma nessuna di esse parlava di un certo medico itinerante proveniente dal Grande Sud... e questo a Vahram stava più che bene.
Quel giorno varcò le porte della Capitale nei panni del Dottor Azad, rispolverando dopo tanto tempo il suo vecchio travestimento: palandrana turchese finemente ricamata, fez rosso, farsetto nero, pantaloni scarlatti alla zuava e stivali a punta. Si era pure rasato e sistemato i capelli fluenti e la barba pizzuta. A chiunque gli avesse chiesto se avesse qualcosa da dichiarare avrebbe risposto che era in città per affari. Nessuno però gli domandò nulla, nessuno lo fermò per un controllo o una perquisizione, le guardie non lo degnarono nemmeno di uno sguardo mentre varcava il cancello in coda a una piccola carovana di venditori di stoffe, tirando la sua mula carica di viveri e attrezzature che aveva acquistato durante il viaggio. Non destò sospetti, fortunatamente.

«È filato tutto liscio, eh, Danika?» Disse una volta entrato in città, rivolgendosi alla bestia da soma.

L’aveva comprata da un contadino, sul confine della Roesfalda. Finora si era rivelato un animale robusto, caparbio e affabile.

«Credo proprio che resterò qui per un po’. Dovremo trovare una sistemazione sia per te che per me... e uno straccio di lavoro.»

Aveva già pianificato cosa fare una volta assicuratosi un temporaneo alloggio e sostentamento economico. Aveva ripercorso le tracce della Guardia Insonne per un unico motivo. Cercava riscatto, una risposta.

Cercava lei.

«Fanie...»

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«”Le faremo sapere”... “Le faremo sapere”... Ah, andate tutti al diavolo.» Aveva dimenticato quanto fossero ostili e caotiche le metropoli. Per tutto il giorno aveva girato da quartiere a quartiere, senza alcun contatto, senza alcuna conoscenza, cercando un’occupazione per racimolare qualche soldo, ma non aveva trovato nulla.
Tamburellava amareggiato la penna d’oca sul suo taccuino verde, quello in cui riportava la contabilità e le risorse in suo possesso, seduto al tavolo di una locanda sgangherata di periferia: la Grazia Malevola, il posto meno costoso che era riuscito a trovare nella zona. Vahram infilò la mano nella saccoccia alla cintura e tastò l’esiguo gruzzoletto di spicci che gli era rimasto.

«Ho già pagato l’albergatore. Con questi potei tirare avanti ancora fino a domani, ma se non troverò nulla ho paura che mi toccherà vendere qualcosa. La mia spada, magari...»

Si portò alle labbra il minuscolo bicchiere di latte di capra e ne bevve un piccolo e misurato sorso. Di tanto in tanto gettava lo sguardo ai tavoli vicini e tendeva l’orecchio cercando di carpire qualche discorso interessante. Doveva capire come giravano le cose in quella città, doveva cercare qualcuno che potesse dargli qualche dritta, o metterlo a parte di una qualche opportunità. In quelle occasioni, il saper usare un sorriso e la giusta quantità di eloquenza poteva valere ben più del denaro.
In quella bettola i locali non parlavano d’altro che trivialità, nulla di interessante. L’occhio del medico saltuariamente si rivolgeva al chiassoso tavolo vicino, dove una bizzarra cricca era impegnata a giocare a carte. Tre uomini che a prima vista sembravano del posto, e un pelleverde, uno di quelli piccoli, per essere precisi. Un incontro raro da quelle parti.
Il goblin stava chiaramente avendo la meglio sui suoi compagni di gioco, a giudicare dal cospicuo mucchio di monete sul suo lato del tavolo. Vahram aveva visto altre volte quelle situazioni; ebbe un velo di sospetto. La sua sedia era proprio alle spalle del pelleverde, abbastanza ben posizionata per poter vedere chiaramente la sua mano. Il medico restò a guardarli, solo per curiosità, senza aspettarsi nulla, e comprese ben presto che l’esserino stava imbrogliando. Puntualmente le sue dita scivolavano sotto la manica opposta e improvvisamente come per magia una nuova carta appariva tra le sue mani. Sempre le stesse: i tre angeli del mazzo basiledriano da Perla Nera. Un movimento rapido, impeccabile, ma che non sfuggì agli occhi attenti di Al Patchouli.
Un’idea interessante gli passò per la mente; forse sarebbe riuscito a racimolare qualche soldo da quella situazione. Nelle condizioni in cui versava, anche solo qualche spicciolo in più nelle sue tasche avrebbe potuto fargli comodo. Vuotò il bicchierino di latte di capra in un sorso, trasse un profondo respiro, entrando nella parte e si alzò.

«Barev sehres, il vostro gioco sembra divertente.» Esordì con la sua voce gracchiante, avvicinandosi al tavolo dei quattro, snocciolando l'accento marcatamente esotico che era solito riservare ai clienti della sua – ormai perduta – bottega ambulante. «Vi dispiace se mi unisco al vostro tavolo?»

Il goblin gli sorrise con garbo, quel garbo finto e astuto che Vahram conosceva bene. «Mi dispiace straniero, ma saremmo al completo. Ripassa da queste parti un'altra volta e sarò lieto di…» Cercò di allontanarlo.

«Ma sta zitto, Vagun, che alla Perla Nera si può giocare anche in dieci.» S’intromise uno degli energumeni, procurando prontamente una sedia da un tavolo vicino per il nuovo arrivato e invitandolo a sedersi con un sorriso sdentato. «Mi chiamo Chett, e quei due poveri diavoli Simon e Ambrose. Il pelleverde… FERMO!» Berciò al pelleverde, che già stava iniziando a mescolare, e gli strappò il mazzo di mano per porgerlo a Vahram. «Mischia tu. Cinque carte a testa, poi si punta e si scopre. Vince chi ha la mano migliore. Magari insieme riusciamo a schiacciare questo nanerottolo verde.»

«Come preferite. Non sarà il povero Vagun a impedire agli umani di rovinarsi. Regalatemi pure la vostra onesta paga, le mie tasche hanno sempre spazio!» Appuntò il goblin, scrollando le spalle.

L’uomo di nome Chett sogghignò malevolo.
«Vedremo.»

Fu proprio in quel momento che una figura incappucciata, snella e slanciata si avvicinò al tavolo. «La Perla Nera... Si può giocare fino a dieci persone... Molto interessante. Sono in tempo per questa mano? Altrimenti posso attendere il prossimo giro. A questo tavolo sembra proprio che ci si sappia divertire.» La sua voce lasciava chiaramente intendere che fosse un giovane. Vagun cercò un’altra scusa per allontanarlo: troppa gente si stava affollando intorno a loro, a quanto pareva; ancora una volta Chett lo interruppe fece posto al ragazzo.
Vahram salutò in nuovo arrivato con un rapido e gioviale cenno del capo, mentre questo si sedeva. Per un attimo quella voce gli parve stranamente familiare, ma non ci fece caso, forse era stata solo un’impressione. La sua attenzione tornò presto alle carte. Se le passò rapidamente da una mano all'altra, cercando di intrattenere gli astanti con qualche - abbastanza maldestro - gioco d'abilità, tentando di dissimulare le sue vere intenzioni: quel tipo di mazzo lo aveva visto altre volte durante la sua permanenza nel Dortan, sapeva per lo meno di quante carte è composto e quali e quante figure ha ogni seme. Prima di iniziare, desiderava cercare di capire come funzionasse esattamente lo’imbroglio del goblin. Scorse rapidamente le carte del mazzo alla ricerca dei tre angeli. Non li trovò. Ora tutto era chiaro.
Si dilunga a mescolare e rimescolare più o meno creativamente le carte fino quasi allo sfinimento dei presenti, ammiccando verso di loro dopo ogni abile giochetto, cercando maldestramente di impressionare i giocatori al tavolo.

«Ah! Accidenti!» Un gesto goffo e le carte gli scivolarono dalle mani, cadendo alla rinfusa sul tavolo. «Hahaha! Scusate, non sono ancora molto pratico.» Rise, sdrammatizzando, riammucchiando alla svelta il pasticcio che aveva combinato. «Be', almeno adesso sono mescolate. Ehehe...» Sistemò il mazzo con due colpetti e distribuì le carte.
«Spero che giochi meglio di come mischi, o finisci davvero male, amico.» Commentò Ambrose, dando una pacca amichevole sulla spalla si Vahram. Vagun tamburellava, mal celatamente innervosito dall’arrivo dei due nuovi giocatori.
«Che vinca il più sveglio allora.»

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La partita non iniziò bene per l’aramano. Ne era consapevole, non era certo un abile giocatore di carte, in particolare se si trattava di giochi stranieri. La Perla Nera l’aveva solamente vista giocare in passato. In ogni caso, però, del gioco gli importava ben poco: la sua attenzione era principalmente rivolta alle maniche di Vagun. Sottecchi osservava, scherzando con gli altri e fingendo di concentrarsi sul gioco, e ben presto ciò che aspettava accadde. Con un rapido e dissimulato gesto il pelleverde infilò la mano sotto la manica, estraendone qualcosa.
La mano del medico scattò in avanti come un fulmine. Un baluginio metallico guizzò dalla manica del medico. Pochi attimi e il lungo e affilato ferro chirurgico, quasi spuntato fuori dal nulla, inchiodò l’imbroglio sul tavolo insieme alla bianca carta raffigurante un angelo abbozzatamente dipinto a mano da qualche artigiano di bassa categoria.

«Aah, ecco dov'erano finiti gli angeli.» Esclamò, Vahram, il suo sorriso gioviale ancora sinistramente stampato sulla sua faccia come se fosse scolpito nella pietra. La voce squillante ma insolitamente calma per un uomo che è stato appena ingannato. «Imbrogliare degli onesti lavoratori... Aper, dovresti vergognarti. Tu non meriti questo denaro!»

Non sprecò quell’attimo di sorpresa. Si chinò sul mucchietto di denaro davanti a Vagun, cingendolo in un abbraccio quasi paterno, per poi strapparglielo e trascinarlo rabbiosamente al centro del tavolo, verso i suoi ex legittimi proprietari. Un atto di solidarietà verso chi era stato gabbato, una mossa audace. Probabilmente nessuno si era nemmeno accorto che un consistente gruzzolo di monete era finito “accidentalmente” all’interno delle ampie maniche del medico – o almeno così egli credeva.
Fece per puntare nuovamente il dito verso il goblin, ben intento a cogliere la palla al balzo, quando si accorse che il ragazzo dal volto celato era proprio al suo fianco, e lo fissava con sguardo severo da sotto il cappuccio.

«Truffare degli onesti lavoratori. Davvero un'azione riprovevole. Qui qualcuno dovrebbe proprio vergognarsi, non trovi?» Intervenne il giovane, ma non si rivolgeva al goblin; si rivolgeva a lui. Si scoprì il volto... e per poco Vahram non perse l’equilibrio per lo spavento. Stentò a credere ai suoi occhi.

«K-Kirin?!»


 
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Ashel
view post Posted on 23/11/2014, 16:18






Da diverse settimane ormai Arsona e Nuri alloggiavano nelle bettole meno in vista dei territori di Dortan, a molti giorni di cavallo da Qashra.
Dovevano incontrarsi con alcuni membri del gruppo a cui avevano deciso di unirsi per merito di Nergal dopo gli accadimenti che avevano scosso e rivoluzionato Basiledra e il suo governo. Naturalmente un manipolo di nani dall'accento straniero avrebbe destato più di qualche sospetto, così avevano deciso di alloggiare in piccoli gruppi a qualche miglia di distanza tra loro.
Nuri, sottoufficiale dell'esercito, e Arsona in qualità di sua attendente avevano trovato una camera modesta in quella vecchia osteria frequentata da povera gente, disperati e donne di malaffare; lì avevano dormito per qualche tempo in attesa che giungesse la chiamata da parte di quel misterioso membro dei dissidenti di Basiledra che li aveva convocati assieme a Fanie Elberim qualche settimana prima per muoversi verso la capitale del Regno degli Uomini.
Entrambi avevano mantenuto un profilo basso fin da quando erano arrivati. L'oste li aveva squadrati con fare sprezzante prima di prendersi il sacchetto di monete per la squallida sistemazione che aveva loro destinato - una paga senz'altro esagerata, quando non addirittura disonesta per una stanza piccola, umida e che puzzava di piscio - ma almeno non aveva fatto domande.
Nuri si era adattato alla bell'é meglio sul piccolo materasso di paglia che odorava di vecchio: del resto era avvezzo alla vita scomoda e spartana dei militari e non si era mai lamentato né del cibo né del sonno; mentre Arsona aveva preferito il pavimento.
Avevano compiuto diverse ispezioni in quella zona per esaminarne la pericolosità, il numero di guardie presenti, il grado di tolleranza della popolazione. I nani aveva scoperto loro malgrado che in quelle terre la presenza di razze diverse da quella degli umani risultava invisa a gran parte degli abitanti e il clima di pacifica convivenza a cui si erano abituati a Qashra lì era solo un vago ricordo.
Giravano spesso coperti, indossando abiti poveri e non riconducibili ai territori più meridionali da cui provenivano, camuffavano il loro accento come potevano e in generale cercavano di evitare di parlare con gli estranei.
Quel giorno l'attenzione di Nuri, immobile al bancone mentre beveva la sua dose giornaliera di liquore alle erbe, era tutta per la partita che si stava svolgendo poco lontano da loro. Avrebbe volentieri voluto prendere parte al gioco, in fondo le uniche cose a cui non avrebbe mai rinunciato erano le carte e le giovani nane dei quartieri più libertini della Capitale, che ormai conosceva talmente bene da chiamarle per nome; ma si limitò ad osservarne lo svolgimento senza fiatare non osando attirare l'attenzione su di sé.
Arsona dal canto suo continuava a bere il boccale di birra perdendosi nei suoi pensieri. Scambiò qualche parola con il suo compagno, i cui folti baffi biondi si increspavano spesso seguendo il profilo dei suoi sorrisi rivolti ai giocatori che discutevano tra loro, ma per il resto non fece che tenere d'occhio gli altri avventori come le era stato ordinato.
A un certo punto la situazione al tavolo da gioco sembrò scaldarsi.

- Aah, ecco dov'erano finiti gli angeli. Imbrogliare degli onesti lavoratori...
Aper, dovresti vergognarti. Tu non meriti questo denaro!


Un uomo vestito con abiti piuttosto inusuali in quelle terre e con un accento che Arsona non aveva mai sentito prima pareva aver denunciato un inganno perpetrato ai danni degli altri giocatori da parte di un pelleverde che non aveva fatto altro che vincere per tutta la durata della partita.

- Truffare degli onesti lavoratori. Davvero un'azione riprovevole. Qui qualcuno dovrebbe proprio vergognarsi, non trovi?

A un tratto fu un giovane ad alzarsi e ad accusare il baro, uno straniero che per qualche ragione aveva preferito tenere il suo volto coperto.
La nana, che in circostanze diverse avrebbe senz'altro preferito ignorare l'accaduto, strabuzzò gli occhi e non resistette alla tentazione di salutare un suo vecchio amico conosciuto in un luogo lontano, frequentato dai viaggiatori più strani e governato da tribù di maghi e stregoni senza scrupoli che entrambi avevano visitato in occasione di una grottesca festività della quale non conservava alcun ricordo allegro.

- Kirin!

Esclamò, quasi all'unisono con l'uomo dagli abiti esotici.
Nuri le rivolse uno sguardo grave ma non disse nulla, limitandosi a rimanere in disparte. La sua attendente nel frattempo scese dallo sgabello per avvicinarsi al suo amico, che senz'altro non si sarebbe mai aspettata di ritrovare in quella bettola sperduta nel regno degli uomini in tempi così oscuri.


Arsona "Shah" Jahan



Stato fisico: Ottimo
Stato psicologico: Ottimo
Energia: 100%

Armi: Tughlaq (sulla schiena), Balestra (15/15) (infoderata)
Pericolosità: E
Fascia: Gialla

CS: 1 Destrezza, 1 Costituzione

Passive attive:

~ Contrattare. Arsona ottiene più facilmente le informazioni da chi viene interrogato; inoltre le sue parole risultano più convincenti sia che abbiano finalità benevole che minacciose. L'avversario subirà un contraccolpo psicologico relativo all'approccio di Arsona.
[Passiva razziale]

~ Gli attacchi di Tughlaq infliggono danno di elemento Luce; in aggiunta provocano un senso di intorpidimento nei muscoli della zona colpita, rallentandone i tempi di reazione.
[Passiva Artigiano I]

~ Tughlaq emana una malia psionica passiva nei confronti degli avversari: essa si manifesta tramite un'aura di istinto omicida che pervade la mente dei nemici nelle vicinanze, naturalmente portati a provare un timore istintivo nei confronti del martello e della sua padrona.
[Passiva Artigiano II]


Attive utilizzate:


Riassunto: Arsona si trova a Dortan con Nuri, sottoufficiale dell'esercito nanico, assieme alla delegazione di Qashra venuta in soccorso alla Resistenza contro i Lorch. Nell'osteria trova Vahram e Kirin, che riconosce, e lo saluta non potendo fare altrimenti. I due infatti non si vedono da molto tempo - l'ultima volta è stato a Loco Muinne per l'Eterno Carnevale.
Note: Un post modesto giunto per introdurre Arsona nella giocata ^_^
 
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view post Posted on 24/11/2014, 04:25
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Suzushikei
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Dalle nebbie del passato...

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La cour des miracles
L'Armata dei Sonnambuli
Atto I

«Parlato (Umano)» «Parlato (Incubus)» Pensato Narrato



Camminavo per le strade della città bassa soffermandomi, di tanto in tanto, ad osservare la vita ai limiti di una società sofferente, intrisa di degrado e povertà, lontano dallo splendore di Borgo Alto.
Eppure quei luoghi mi riportavano alla mente ricordi di un passato non troppo lontano, vissuto tra gli edifici fatiscenti di un'altra città, dove avevo appreso cosa significasse avere qualcuno da proteggere, da amare.
Mariha e Sullivanyus si trovavano nel territorio del Sultanato, al sicuro nella città di Qashra, la dimora che avevo scelto per dare loro la possibilità di crescere lontano dagli orrori e dalla disperazione di quegli ultimi tempi.
Era la nostra possibilità di vivere come una famiglia, per quanto il termine assumesse un significato alquanto particolare considerando la presenza di un demone, una bambina umana e un cucciolo di drago.
Sulle mie labbra si schiuse un sorriso pensando a come fossero drasticamente cambiate le mie priorità.
Negli ultimi mesi la strada, che stavo perseguendo, mi aveva portato lontano dall'Akeran per abbracciare nuove responsabilità, per onorare doveri e promesse, per non lasciar scivolare nell'oblio il ricordo di una cara amica.
Potrei dire che mi trovassi a Basiledra per motivi altruistici, per portare dei fiori su una tomba solitaria nel giardino di una casa abbandonata o per rintracciare i miei compagni. Nulla di tutto questo era stato lo stimolo, che mi aveva condotto a girare da una locanda all'altra della zona più fatiscente e pericolosa della città.
Ero semplicemente in cerca di informazioni su una persona, la cui fama viaggiava di voce in voce.
Un fuorilegge trasformato in leggenda, le cui gesta avevano acquisto il profumo speziato delle imprese epiche. Verità o finzione? Difficile discernere ascoltando i racconti di strada.
La Volpe Nera...
Il mio interesse verso quella persona era stato risvegliato da una serie di concatenanti coincidenze.
Un calice ingioiellato in possesso di uno dei nobili della città alta.
Ad un'occhiata sommaria poteva sembrare uno di quegli oggetti con cui pavoneggiarsi durante un ricevimento, il cui lustro era quello di rilucere all'interno di un antico mobile di legno intagliato con le ante di vetro.
In realtà la ricchezza di quel calice era racchiusa all'interno, nascosta dall'oro e dalle gemme incastonate per cancellare il ricordo di un potere antico, sigillato dopo essere stato strappato dalle mani morenti di una vestale.
Ne avevo scoperto la storia su un polveroso tomo della biblioteca di Qashra, che stavo leggendo per una delle mie ricerche sulla magia antica.
Non faceva menzione del rituale, ma mostrava un consunto dipinto raffigurante il calice nella sua vera forma, la storia e il triste fato. Qualcuno aveva aggiunto di propria mano delle annotazioni recenti e uno schizzo di come sarebbe dovuto apparire l'oggetto nel presente.
Il “Calice della Vita”, questo era il nome vergato su quelle pagine, e se il racconto era veritiero...

...forse avrei potuto riportare alla vita chi avevo promesso di proteggere...
...con l'aiuto di una vestale...


Cosa centrava la Volpe Nera in tutto questo?
Dalle informazioni che avevo ottenuto sembrava che il calice in questione fosse finito in suo possesso ed io ero fermamente intenzionato a ridiscuterne la proprietà.
L'unico indizio a mia disposizione erano delle voci riguardanti una delle locande dei bassifondi, dove avrei potuto trovare un contatto, qualcuno che, se avessi giocato bene le mie carte, mi avrebbe potuto condurre fino al mio obiettivo.
Il rigore della notte non concedeva tregua, filtrando tra le pieghe del mantello che avevo avvolto sulla mia persona per tenermi al caldo; il cappuccio calato fino a coprire la parte superiore del viso nel tentativo di evitare gli schiaffi gelidi del vento.
Quando varcai la soglia della “Grazia Malevola ”, ebbi la spiacevole sensazione che quelle pareti non sarebbero state in grado di proteggere gli occupanti dalla morsa dell'inverno ancora per molto.
Rivolsi un'occhiata alle tremolanti luci delle lanterne. Esili lingue di fuoco che lottavano per non piegarsi alla forza di un vento che, probabilmente, filtrava dalle fessure della porta e degli scuri fatiscenti.
Chiamare “locanda” quella bettola era farle un complimento.
Mi concessi del tempo per guardarmi attorno, soffiando sulle mani come per riscaldarle, fingendo di acclimatarmi ad un ambiente meno rigido dell'esterno.
Gli avventori erano una genia molto variopinta, alla quale non avrei mai dato la schiena. Sfiorai l'elsa della schiavona e l'impugnatura della dragon cross rose, le mie fidate compagne, in cerca della loro presenza rassicurante.
Per quanto non mi allettasse l'idea di sedermi al bancone ed ordinare una delle strane strane misture non ben identificate, che facevano bella mostra sulle mensole dietro l'oste, restare in piedi, a poca distanza dalla porta, avrebbe potuto attirare sguardi non voluti.
Mi stavo incamminando, riluttante, verso uno sgabello di legno dall'aria malferma, quando la mia attenzione fu attratta da uno dei tavoli da gioco, finendo per trasformarmi in un improvvisato testimone delle scorrettezze di un goblin, se avevo riconosciuto la sua etnia. Probabilmente a quei tavoli si praticava l'antica arte del barare per alleggerire dei propri averi le inconsapevoli vittime, anche se chiamare vittime quegli energumeni non era esattamente il termine adatto.
Se avessero scoperto di essere stati ingannati si sarebbe, quasi sicuramente, scatenata una rissa non necessariamente limitata a quel solo tavolo.
Una perla di saggezza risiedeva nella ferrea volontà di non andare a cercare i guai, proseguendo oltre, senza lasciarsi coinvolgere. E per una volta avevo deciso di dare ascolto alla mia sfortunata coscienza. Peccato, però, che qualcosa o, per essere più corretti, qualcuno cancellò tutti i miei buoni propositi.
Il mio sguardo si soffermò verso l'uomo che aveva parlato e, nel riconoscerlo, mi sentii come se tutta l'aria dai polmoni fosse stata espulsa per un violento pugno assestato all'altezza della bocca dello stomaco.
«Al... Al Patchouli...» mormorai, senza che le parole riuscissero a fuoriuscire dalle labbra serrate.
Mi strinsi ancora di più nel mantello per proteggermi da quell'improvviso gelo nelle ossa, che superava di intensità quello che bussava con insistenza all'uscio della bettola.
In quei fugaci istanti, il mio animo era un subbuglio di sentimenti contrastanti. Non potevo dimenticare il racconto di Fanie, ma...

...ma la vendetta non avrebbe mai potuto ripagare l'alto tributo di sangue che aveva pagato.


Nel vederlo prendere posto al tavolo da gioco del pelleverde baro, mi domandai se quella persona fosse il nostro amico di un tempo oppure il contenitore di uno spietato demone. Non avevo altre ipotesi per spiegare come un rapporto di amicizia si fosse trasformato, tempo prima, in uno scontro alla morte.
I miei passi avevano seguito l'istinto, conducendomi vicino ad Al, prendendo il sopravvento sul mio pensiero cosciente.
«La Perla Nera... Si può giocare fino a dieci persone... Molto interessante. Sono in tempo per questa mano? Altrimenti posso attendere il prossimo giro. A questo tavolo sembra proprio che ci si sappia divertire.» mi sforzai di sembrare interessato alla partita.
Il mio arrivo aveva contrariato il goblin, ma, per mia fortuna, qualcuno sembrava interessato alle monete tintinnanti in mio possesso. Un giocatore di nome Chett. Probabilmente sperava di aver trovato, nella mia apparente giovane età, una vittima su cui rifarsi delle ingenti perdite subite.
Mi accomodai, prendendo posto in modo da poter osservare sia le mosse del baro che quelle del mio vecchio am... di Al.
«Una giusta osservazione... e poi i soldi non hanno età.» osservai, rivolgendomi al giocatore che aveva caldeggiato la mia richiesta di partecipare al gioco.
I miei lineamenti erano ancora celati dalla penombra del cappuccio. Non me la sentivo di rivelare la mia identità.
Rimasi in silenzio ad osservare la fin troppo sospetta goffaggine di Al, restando concentrato per non lasciarmi distrarre, mantenendo i sensi vigili.
« Spero che giochi meglio di come mischi, o finisci davvero male, amico. » il commento di un altro dei presenti al tavolo, mi strappo un sorriso divertito.
« Che vinca il più sveglio allora. » sentii dire dal pelleverde, trattenendomi dal commentare con un sorriso ironico.
Che vinca il più furbo... riflettei tra me.
Un'altra perla di saggezza insegnava che un trucco ripetuto più volte alla fine verrà rivelato. Ci sarà sempre qualcuno più bravo che scoprirà l'inganno. Mai lasciarsi prendere dall'ingordigia.
Quel baro era decisamente recidivo!
Sfortunatamente per lui questa mano divenne la sua rovina.
Quasi rimasi stupito nell'osservare Al svelare il trucco, inchiodando la carta al tavolo con una sottile lama, prima che il pelleverde potesse farne uso.
«Aah, ecco dov'erano finiti gli angeli. Imbrogliare degli onesti lavoratori... Aper, dovresti vergognarti. Tu non meriti questo denaro!» Purtroppo il suo gesto fin troppo altruistico di restituire i soldi ai rispettivi proprietari, si era rivelato essere un diversivo, compiuto nel tentativo di distrarre i presenti dalla cospicua somma che aveva fatto scivolare, con noncuranza, all'interno delle ampie maniche.
«Peccato sia già finita. Speravo durasse un altro po' il divertimento.» osservai. «E' proprio vero che, a questo gioco, vince il più sveglio!» aggiunsi scuotendo la testa e lasciandomi andare ad un profondo sospiro.
Era giunto il momento di svelare le mie carte.
Mi alzai in piedi per affiancarmi ad Al, senza perdere di vista il baro.
«Truffare degli onesti lavoratori. Davvero un'azione riprovevole. Qui qualcuno dovrebbe proprio vergognarsi, non trovi?» osservai, rivolgendomi all'uomo più che al pelleverde, mentre mi calavo il cappuccio sulle spalle.
L'espressione, che si dipinse sul volto di Al, sembrò duella di chi avesse visto un fantasma.
Coscienza sporca?
- Kirin! La voce era decisioniste femminile per appartenere al mio compagno di un tempo.
Mi voltai per cercare la fonte di quell'esclamazione.
«Dama Arsona?» commentai, con una sfumatura di stupore nel tono della voce, accennando ad un inchino nella sua direzione.

Energia: 100%
Danni fiisci e mentali: //
CS
[Riflessi 3, Intuito 1], «Kirin l'umano»
[Intuito 2, Intelligenza 2], «Zeross l'incubus»
Note:
[size=1]Ed ecco che anche Kirin entra in gioco!
Spero vi piaccia il motivo per cui Kirin si sia ritrovato in locanda.

 
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Ramat~
view post Posted on 24/11/2014, 11:23




La cour des miracles ~ l'Armata dei Sonnambuli


what do we do with a drunken skeleton



Pochi rintocchi alla mezzanotte.
Odore di piscio, sesso e alcol nei vicoli stretti e oscuri come tane di animali.
Una figura ammantata di nero si erge fra i rantoli della povera gente, la pioggia che batte duramente sulle sue vecchie.
Un ghigno malevolo, la maschera di un uomo, un contratto di morte. E il rantolo sparisce.
Dodici decessi in un solo giorno. Friedrich ha l'aria stanca. Annoiata.
Il mondo dei vivi sembra dipinto da un'artista che nella tavola ha solo bianco e nero. Un mondo deturpato, corrotto, poco allegro.
Pochi passi fra le pozzanghere e il morto arriva in un centro di vita.

La Grazia Malevola. Un nome. Una garanzia. Neanche l'odore della pioggia riesce a coprire il lezzo che esce da lì.
Fried tira dritto fino al bancone con i suoi pesanti stivali inzaccherati, l'impressione che il legno debba cedere da un momento all'altro.
« Oste, qualcosa per questo morto. »
L'uomo è calvo, particolarmente contento della richiesta. Inizia a trafficare dietro il bancone.
Nell'attesa il Mietitore quasi si abbandona allo sgabello. Turno di 24 ore. Nessuna pausa. Nel mondo dei vivi.
L'oste torna con un boccale che sembra contenere ciò che pisciano i demoni dopo una sbronza secolare.
« Tieni straniero, dimmi che ne pensi. Si tratta di una mia invenzione, già famosa in tutta la capitale. »
Dice lui. Probabilmente deve avere il naso fuori uso per non sentire l'odore della brodaglia.
«L'ho chiamato Torcibudella. E' un po' forte, ma un solo sorso ti fa sentire un leone! »
Fried fa spallucce e cala in un sorso solo l'intruglio.
La prima sensazione è che dentro lo stomaco si sia acceso un inferno. La seconda è che quell'inferno sia abitato dai peggiori demoni di Baathos. La terza è che quei demoni stiano ballando a suon di tamburi e maracas fino a fargli scoppiare le viscere.
La testa del Mietitore si piega in un arco innaturale. I suoi occhi sembrano vuoti ( più del solito ). Poi...
un sonoro rutto, un grosso scarafaggio nero finisce sul bancone, prontamente schiacciato dalla mano ossuta di Friedrich.
« Ops »
Il mietitore si esibisce in un ghigno di scuse, un sorriso marcio e putrefatto.
«Mi piace, se fosse un po' più forte sono sicuro che riporterebbe in vita i morti...no, aspetta, ripensandoci è meglio lasciarla cosi com'è, abbiamo già abbastanza lavoro.»
Sotto le luci calde della taverna, per pochi attimi, è possibile intravedere il vero volto scheletrico di Fried sotto l'aspetto di un vecchio uomo.
L'oste ride sonoramente alla battuta. Sembra apprezzare che la sua brodaglia sia mortalmente buona ma non abbastanza da mandare al campo santo i suoi clienti.
« Non ho mai incontrato un becchino con tanto senso dell'umorismo. Non sei di queste parti, vero? » Dice appoggiando contento come un bimbo i gomiti al tavolo.
Nel momento stesso in cui l'oste conclude la frase Fried avverte un secondo movimento intestinale.
La testa sembra essersi messa a cavallo di una giostra confusa. La taverna gira mescolando i propri colori.
Dalla bocca iniziano a uscirgli versi strani e rabbuiosi. Barcolla pericolosamente.
« Ehi, tutto bene? » chiede l'oste.
Ma Fried sembra troppo vivo per rispondere.




CITAZIONE
ok, questo post è stato cancellato e riscritto almeno 4 volte e tutte in modo diverso. Alla fine ho optato per qualcosa di noir/hard boiled ( spero, almeno l'inizio ), genere a cui mi sono affacciato da poco. Come avete notato i miei post in generale hanno tutti stili diversi proprio perchè non ne ho ancora trovato uno mio. Speriamo!
Ho cercato di mantenere tutto molto semplice, senza dilungare troppo il discorso.
Continuiamo!
 
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Lenny.
view post Posted on 24/11/2014, 18:40




La cour des miracles~
L'Armata dei Sonnambuli


Vagun si contorse sulla sedia, visibilmente a disagio, lo sguardo che scattava da un angolo all'altro della Grazia Malevola in cerca di chissà quale soprannaturale salvezza.

« Suvvia, non c'è bisogno di queste accuse meschine. Possiamo parlarne tranquillamen.. »

SBRAAAAAAAAM
Chett, rosso in viso, decise senza tanti complimenti di interrompere l'eloquenza di Vagun. Scattò in avanti, caricò la mano aperta con tutto il braccio e la stampò sulla faccia del goblin, che crollò insieme alla sedia, rischiando di travolgere i due nani vicini. Rovinò malamente contro le gambe di Nuri, mentre l'altro sventolava il pugno in aria, tra le risa e gli schiamazzi generali del pubblico della Grazia Malevola.

« Bastardo d'un pelleverde! Pagherai ogni moneta con una goccia di sangue! »

« Intanto prendi un goccio di questo! »

Gli gridò Vagun di rimando da terra, sputandogli in piena faccia. Il gesto -nonché il grumo di bava viscida sulla guancia- innervosirono non poco Chett, che si alzò per andare a torcere il collo al goblin. Simon gridò di farla finita e frenò il compare. Kvothe, l'oste, si prodigava in vani tentativi di tranquillizzare tutti, imbarazzato e paonazzo come un bambino incapace. Solo il terzo, Ambrose, non si scompose, non disse una parola, lo sguardo e la mente rapite dal mucchio di monete mentre le faceva scivolare da una mano all'altra. Per poi, dopo una manciata di secondi passati in quella confusione generale, sancire il verdetto con cipiglio aggrottato.

« Qui mancano tredici pezzi, Chett. Più due monete d'argento. »

La scena si bloccò. Chett e Simon all'udire quelle parole rimasero inizialmente come impietriti, l'orgoglio ferito del primo che ormai contava come un soldo di cacio a confronto con una simile perdita nella borsa. Lentamente, le teste dei tre si girarono verso il piccolo pelleverde, che nel frattempo era tornato in piedi e si stava massaggiando la mascella, il viso ancora contratto dal dolore. Chett non si lasciò sfuggire l'occasione: si fiondò contro il goblin e lo afferrò per il collo con entrambe le mani, sollevandolo di una spanna da terra. Vagun si contorse su se stesso, boccheggiante.

« Il resto, brutto imbroglione. Vedi di cagarlo fuori subito. »

Allentò la presa, quel tanto di permettere al goblin di tornare coi piedi per terra e respirare. E pensare. Mettere in moto ogni rotella degli intricati meccanismi della mente per trovare una strategia, un piano, un miracolo che lo tirasse fuori di lì. I suoi piani erano finiti miseramente in fumo, poteva dire addio alle informazioni sull'Armata dei Sonnambuli, sulla Volpe Nera, e tutto a causa di quel maledetto forestiero. Tante chiacchiere e alla fine a rimetterci doveva essere sempre il povero pelleverde. Anche in mezzo a quel casino.
Strabuzzò gli occhi, come colto da una brezza improvvisa. Ecco come tirarsi fuori dai guai, come sfruttare il disordine creatosi nella locanda per salvare la pellaccia. Aveva bisogno di far crescere quel disordine, di alimentarlo sino a farlo sfociare in una vera e propria rissa generale magari, perché no. Per poi dileguarsi, fuggire via dagli occhi e dall'ira vendicativa dei tre. Al momento, l'unica cosa di cui aveva bisogno era una miccia per far esplodere tutto. Le mani di Chett ripresero a serrarsi attorno al collo, a ricordargli il gravoso debito.

« K..Kirin. »

Biascicò infine, tra un affanno e l'altro. Il nome che gli frullò in testa fu abbastanza casuale, lo aveva appena udito un paio di volte e non provò la minima compassione per il suo proprietario. Eppure sortì l'effetto sperato: adesso le teste dei tre si voltarono, lentamente, verso il poveraccio che doveva chiamarsi Kirin. Sguardi che non promettevano nulla di buono. La presa sul collo di Vagun si rilassò quel tanto da permettere al goblin di tossire, mentre puntava un accusatorio dito indice verso il giovane umano, che guarda caso era anche l'ultimo ad essersi aggregato al tavolo. Perfetto, non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione.

« Eravamo d'accordo..gli ho passato parte del denaro sottobanco, mentre eravate distratti. È stata tutta una sua idea, lo giuro! »



Shinodari, Ashel, Orto- Vagun cerca di trovare una scappatoia creando zizzania, interessato ormai solo ad andarsene via sulle proprie gambe. Accusa Kirin di essere suo complice nonché mente del raggiro, le parole rivolte ai tre rafforzate dalla seguente tecnica psionica usata a consumo Basso.

CITAZIONE
Tradimento__ _“Tutti hanno un prezzo. Gli gnomi, per esempio, possono essere convinti con animali di pezza e un po' di cioccolato.”

La tecnica ha natura psionica e per essere castata c'è la sola necessità che le vittime possano sentire le parole di Vagun. La sua parlantina è di fatto il mezzo della tecnica. Il potere dell'ambra ha infatti dotato non solo la mente ma anche la lingua del goblin di poteri a dir poco straordinari. Uno fra i più potenti è proprio fare in modo che le sue parole possano suonare come incredibilmente credibili e indiscutibilmente veritiere alle orecchie degli ascoltatori. Qualunque cosa egli dica, dalla più sincera e verosimile alla più ridicola. Nel momento in cui i bersagli nelle vicinanze cederanno alla tecnica, subiranno un danno da confusione alla mente di un livello inferiore al consumo speso per castare la tecnica, in modo direttamente proporzionale. Si tratta quindi di un ammaliamento temporaneo ad area su uno o più soggetti che potranno quindi reagire alla menzogna nel modo più affine alla propria psicologia.
{Abilità Personale - Consumo Variabile}

Ovviamente si tratta di una semplice scena free: le menti dei vostri pg non subiscono alcun danno e siete liberi di ignorarla, affidandovi solo al post in sé. I tre png però ci cascano eccome, e mentre Chett strangola Vagun, Simon si dirige con aria minacciosa contro Kirin, per costringerlo a tirare fuori la grana afferrando il ragazzo per la collottola. Come detto nel primo post, Shinodari, il tizio puoi descriverlo liberamente tu e puoi pngizzarlo tranquillamente nel tuo stesso post, anche in modo autoconclusivo, tanto non mi servirà in futuro.

Ramat -Il torcibudella annebbia la mente di Fried, che per questo turno -dal prossimo lasciamo la cosa alla tua libera interpretazione- e acuisce i suoi sentimenti. Rivolgendo lo sguardo verso il tavolo del pelleverde, infatti, ciò che vede il morto è un povero bambino strangolato da un energumeno, la pelle di uno strano colore livido per la mancanza di respiro. Il suo prossimo cliente, forse? E a pochi passi da lui un altro ragazzo -Kirin- aggredito da un altro uomo maltrattato da un altro energumeno. Il ragazzo in questione però ha tratti familiari, ricordi di un passato lontano tornano alla mente di Fried (ovviamente per effetto temporaneo dell'alcool) e rendono quel giovane incredibilmente simile ad Alex. Ma la sua sagoma viene messa in ombra, totalmente coperta da quella di Ambrose. Cosa fare, quindi? Intervenire o lasciare che l'effetto alcolico svanisca nel tempo? Restare a guardare? Salvare un povero bambino dalla morte o ricongiungersi con Alex?

Tutti -Ok, avevo in mente qualcosa di diverso per questo giro, ma ho deciso di slittare al prossimo rendendo questo più una "pausa interattiva" visto che ben tre di voi già si conoscono, e bisogna considerare le giuste reazioni in game. Rispondete in confronto (come al giro scorso) o qui, come vi trovate meglio, tanto io son disponibile in entrambi i casi.
Spero che il post piaccia, l'idea in questo giro è quella di coinvolgervi tutti il più possibile, dal prossimo andrò avanti con la trama =D



Edited by Lenny. - 10/12/2014, 13:41
 
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Ramat~
view post Posted on 3/12/2014, 19:30




Fried Straborda. Starnazza. Sorseggia Saluta.
Come uno zoppo che pare ballare un valzer di forchette stridenti su un piatto il Mietitore ondeggia senza controllo per la taverna.
Urta attendenti. Sorride agli sconosciuti con un sorriso bello come una spada tra le natiche.
Quantomeno sta avendo un' "esperienza da vivo" - come le chiama lui.
Lo spettacolo indecoroso procede finchè non urta un energumeno corazzato con l'espressione di uno che passato le ultime ventiquattro ore della sua vita a fare le cose che più odia.
Fuori controllo, Fried emette un suono orribile ( veramente, non ci sono parole per descriverlo ) che dovrebbe assomigliare a una risata.
Allunga un dito ossuto percorrendo la corazza dell'energumeno fino a sfiorargli la punta.
« EeeHIii..Hic! Fustacchion..E, attento a dove vai. Hic! »
Esclama facendo schizzare delle gocce dell'intruglio ingurgitato sull'armatura del soldato per poi esibirsi in un occhiolino imbarazzante.



CITAZIONE
note: post brevissimo e giusto per fare casino e sfruttare le preferenze sessuali del personaggio :v:
Fried si scontra con l'energumeno della Guardia Insonne che è avanzato al centro della sala. A voi!
 
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view post Posted on 7/12/2014, 16:29
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Դատարան ~ La cour des miracles ~ Հրաշքներլ

~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~
L'Armata dei Sonnambuli

(Vahram [pensato, lingua aramana], Vagun, Chett, Ambrose, Kirin, Arsona, Friedrich, guardie insonni.)


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La parapiglia non tardò a scoppiare, proprio come la Volpe degli Altopiani aveva previsto. Il disprezzo e la rabbia dei tre energumeni si rivolse al goblin imbroglione; nessuno sospettò che l’audace straniero rivelatore della truffa fosse egli medesimo parimente truffatore quanto il piccolo pelleverde. Nessuno... tranne Kirin. Vahram guardava quel suo vecchio amico, pietrificato dallo sgomento, quasi si trovasse davanti a un fantasma del proprio passato riemerso dagli inferi per tormentarlo. Non era preparato a quell’evento, non era preparato a quell’incontro.

«K...Kirin. Eravamo d'accordo... gli ho passato parte del denaro sottobanco, mentre eravate distratti. È stata tutta una sua idea, lo giuro!» Biascicò il goblin con un filo di voce, soffocato dalle callose mani da manovale di Chett che si stringevano sempre più attorno al suo collo. Stava cercando di aggrapparsi disperatamente al nome di quel giovane estraneo, l’unico che era riuscito a carpire, sfuggito incolpevolmente dalle labbra di quella nana guerriera che si era avvicinata per salutarlo. Subito Simon, uno degli energumeni, aggredì Kirin acchiappandolo per il colletto.

«Vi assicuro signore che non sono responsabile della vostra perdita. Se aveste la cortesia di lasciarmi andare, vi potrei mostrare che non ho il vostro denaro.» Rispose con fermezza il ragazzo dai capelli rossi, senza lascarsi intimidire.

Liberato dallo sguardo accusatore dell’antico compagno d’avventure, Vahram si riprese. Desiderava solo sparire, non voleva restare un solo secondo di più in quel luogo. Sentiva l’estremo bisogno di ritrovare la calma e la concentrazione. Non gli importava nulla della rissa imminente o delle conseguenze del gesto che aveva compiuto a quel tavolo; in quel momento nella sua testa vibrava l’ansia, l’angoscia insostenibile, il panico. Arretrò con cautela, cercando di allontanarsi quanto bastava per filarsela senza dare nell’occhio. I suoi occhi già balzavano dalla cricca di corpulenti braccianti, avvicinatasi incuriosita dal tumulto, tra cui defilarsi, poi la fila di tavolate dietro cui sgattaiolare e la porta d’entrata da cui uscire e scomparire. Improvvisamente, però... qualcosa lo fermò.

«Che cosa sto facendo...?» Pensò.


È vero che il demone Sharuk lo aveva manipolato contro la sua volontà a compiere gesti atroci: per causa di quel mostro aveva quasi ucciso la sua amica e compagna d’armi Fanie, aveva massacrato quegli stessi schiavi ribelli che insieme a Ydins, Tigran e tutti i suoi fratelli del Cartello Mamūluk aveva giurato di proteggere, e infine... aveva preso parte all’assedio di Qashra, aiutando quel tale, Caino della stella nera, a ottenere le redini delle coorti dell’Abisso. Dopo tutte quelle stagioni passate a vagare esule nella speranza di un riscatto, davvero intendeva abbandonare così un suo amico? Quell’unico legame del suo passato felice a Taanach che l’indecifrabile destino aveva portato incidentalmente sulla sua strada?
I suoi denti si strinsero fino a stridere. Si sarebbe morso la lingua per ciò che stava per fare, ma doveva farlo; non avrebbe aggiunto altro rimorso alla sua esistenza tormentata. Si fece avanti a passi rapidi e decisi.

«Togligli le mani di dosso. Lui non c'entra.» Vuotò sul tavolo le maniche colme di monete tintinnanti. «Non ascoltate quel tappo. Eccoli i vostri soldi, e ora lascia andare il ragazzo.» La sua espressione era diventata improvvisamente severa, la sua voce perentoria.
Sul volto di Kirin si aprì un’espressione incredula, a vedersi sembrava incapace di credere che il suo vecchio compagno di viaggi fosse lo stesso di una volta. «Al, sei proprio tu?»

Vahram per un attimo ricambiò lo sguardo, ma subito lo distolse. Non riusciva a sostenerlo, non meritava alcuna comprensione. Ambrose raccattò il denaro grugnendo soddisfatto, mentre Simon lasciò andare il colletto del giovane stregone, squadrando Vahram dalla testa ai piedi, indeciso se dargli una lezione o lodarlo per la sua sincerità. Decise infine di lasciar perdere l’aramano; i tre avventori tornarono dunque a rivolgere le attenzioni all’ultimo colpevole rimasto, cioè Vagun.

«E tu dove credi di andare? Fermo qua, pelleverde!» Berciò Chett, riacciuffando il piccoletto, che nel frattempo stava tentando di svignarsela, e spiaccicandolo sul tavolo a faccia in giù. «Ai bari si taglia la mano, ai bugiardi la lingua. E a chi è tutti e due?» Ringhiò, cercando di tenere fermo quell’omuncolo che si dimenava come un forsennato.

«Messer Kirin, che cosa ci fate qui?» Intervenne sorpresa la nana, cercando risposta al quesito a cui, più di ogni altro nella sala, Vahram avrebbe desiderato ottenere una risposta.

«Dama Arsona, mi trovo a Basiledra per motivi di... mh... studio e di affari.» Replicò sbrigativamente Kirin, pur con estrema cortesia. Si conoscevano? Perché quell’esitazione? Stava forse nascondendo qualcosa? «Vogliate scusarmi un attimo, mia signora.» Interruppe la conversazione con la nana guerriera – che a quanto pareva si chiamava Arsona – e si rivolse a Chett.
«Chett, giusto? Le maniere forti non servono a nulla per persone come lui. Vi volete arrogare il diritto di essere il giudice e l'esecutore della pena, ma in questo modo cosa otterreste? Una soddisfazione passeggera e nulla di più. Non sarebbe più vantaggioso per voi riservagli un trattamento meno drastico e fare in modo che vi sia debitore? Potreste stabilire un risarcimento in soldi o tramite un favore. Alla fine non ha ingannato solo voi. Ha cercato di infangare la mia reputazione e non sono convinto di volerlo perdonare, ma la vendetta non risolve mai nulla.»

«Hai sentito il leguleio? Ecco il tuo risarcimento!» Stridette Vagun, il quale, approfittando del momento di distrazione, riuscì divincolandosi a menare una sonora gomitata in mezzo alle gambe di Chett. L’uomo si piegò in due gemendo di dolore e mollando la presa, permettendo così allo scaltro e lesto goblin di fuggire a gambe levate verso la porta d’uscita, ben intento a sottrarsi alle crudeli punizioni dei suoi ex compagni di gioco. Fu proprio in quel momento che accadde il terribile imprevisto.

«Eccheccazzo, il bordello che combinate lo si sentirà fino al Cuore di Marmo!
Chi turba l'ordine cittadino qui?
»


Il minuto pelleverde si congelò sul posto terrorizzato, ugualmente al resto degli altri avventori, i quali troncarono improvvisamente ogni conversazione facendo sprofondare l’intera locanda in un angoscioso silenzio, non appena tre grugni scavati e irsuti apparvero alla porta d’entrata. Cintole armate di spade, volti induriti dalle intemperie delle terre del Nord, voci ruvide aduse all’intimidazione. Le uniformi inconfondibili e temute dei miliziani della Guardia Insonne.
La faccenda stava inaspettatamente prendendo una brutta piega. Vahram si allontanò un poco, cercando di dissociarsi dalla tavolata di giocatori d’azzardo, centro della caciara, e avvicinarsi al bancone. Non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello di scatenare una colluttazione con le guardie: non intendeva per nulla ritrovarsi mezza Basiledra alle calcagna proprio in quel momento delicato. Decise di attendere lo svolgersi della situazione. Avrebbe preferito non farsi notare, magari defilandosi approfittando di un momento di distrazione dei tre soldati.

«EeeHIii..Hic! Fustacchion..E, attento a dove vai. Hic!» L’occasione si presentò non appena un fesso sbronzo fino al midollo, che già da un pezzo di divertiva a vagare senza meta pencolando in giro per la locanda come un’oca rintronata, andò a scontrarsi goffamente contro lo sgherro in testa al piccolo plotone.
Lanciò uno sguardo di intesa a Kirin, cercando di intendere le sue intenzioni.

 
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view post Posted on 8/12/2014, 01:30
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that life has many shades



L’ ultima volta che era stato così sobrio nemmeno se la ricordava ; e più si annegava nell’ ovattato silenzio dei suoi pensieri, in cerca di qualche coccio di ciò che era stato da incollare alla meglio, non trovava altro che immagini sbiadite, echi di canti da osteria, desolazione. E tutto questo ribollire di pensieri, neanche a dirlo, gli procurava un gran cerchio alla testa. Tirava una brezza gelida laggiù, nei bassifondi, un vento infido che penetrava sin dentro le ossa. Poche torce covavano ancora lungo le pareti della via - un serpeggiante strascico di terra battuta racchiusa in un solido guscio di mattoni grezzi - torce che nessuno si sarebbe curato di ravvivare, siccome dopo il calare del sole quella strada era battuta unicamente da puttane, accattoni e gatti randagi. Albrich si faceva strada attraverso la periferia della capitale come una zattera alla deriva, sospinto nell’ oscurità sempre più fitta come da una corrente torrenziale che non gli era dato modo di vedere. Gliene importava poco se fosse il vento a portarlo nei vicoli dove con più forza si ode l’ eco della notte, alla stregua di una foglia secca, o se avesse più semplicemente sciolto le briglie ai suoi piedi, senza una logica, senza una ragione.
Perché, se anche stesse cercando qualcosa, qualcosa in particolare, non vi era nulla che potesse trovare in quei luoghi, salvo un silenzio glaciale e un penetrante odore di vomito. Il passo del nano era il ciondolare sonnolento di chi non ha fretta di arrivare da nessuna parte, senza nessuna strada precisa da percorrere. Di tanto in tanto crollava il capo, come se d’ improvviso la sua testa scapigliata diventasse troppo pesante per il collo che la sosteneva, sospirando, cercando di scacciare qualche amaro pensiero che turbava la quiete del suo naufragio in quei vicoli neri. A volte arrestava i suoi passi, guardava il cielo in cerca del morbido alone bianco della luna, ma non vedeva altro che lamiere consumate dalla pioggia e dal vento , finestre sbarrare dall’ interno, ruggine e muffa. Non c’ era nulla per cui valesse davvero la pena essere sobri, pensava il nano mentre i suoi stivali calcavano grevi il suolo: un’ approccio lucido alla realtà non aveva restituito al mondo più valore di quanto ne avesse per gli occhi opachi di un povero beone in cerca di un giaciglio che non puzzasse di cadavere in necrosi. E la realtà valeva davvero poco agli occhi di un nano a cui l’ alcol era arrivato fin sopra i capelli: era un miraggio, un illusione, una natura morta da cui la più piccola goccia di vitalità era stata succhiata via come da un avido parassita. E quando la realtà perdeva di spessore e consistenza, allora anche l’ intero fluire degli eventi sembrava non lasciare traccia del proprio passaggio. Ecco che erano passati i giorni, le settimane, i mesi, senza che lui, Albrich, figlio dei picchi del nord, muovesse un dito per rialzarsi dal fango in cui era caduto. Del resto, non vi era alcun senso nella redenzione quando la corruzione strangolava ogni misero granello di polvere su cui Basiledra poggiava le sue fondamenta. Ora, forte di un pensiero nitido, vedeva con molta più chiarezza che malgrado il cambio di gestione, la capitale era ancora quel disgustoso ricettacolo di perversione che era sempre stata. La Guardia Insonne aveva rinsaldato la sua stretta sulla città e le aveva passato sopra una bella pennellata di cipria, facendo pascolare di tanto in tanto una mandria di cani bradi a banchettare con le carni degli strozzini e dei contrabbandieri, ma il fulcro di degrado attorno a cui si sviluppava l’ intera città, dai più inospitali buchi nella terra alle stanze più nobili del cuore di marmo, era rimasto immutato nella sua gloriosa essenza. Era quasi confortante, pensò Albrich, avere delle certezze solide come quella nella vita.

Le taverne, i casini e le bische non avevano mai visto nella storia della città un’ affluenza così grande di clienti e le battone agli angoli delle vie non avevano mai indossato trucchi così vistosi e corpetti così succinti. Gli affari per osti e papponi andavano a meraviglia, e l’ oro e l’ argento tintinnavano come non avevano mai tintinnato sotto la reggenza del vecchio Sennar o del giovane ed ingenuo Julien. Poco importava se le monete portassero i sigilli e gli emblemi delle casate dello Ystfalda, il metallo aveva ovunque lo stesso peso e lo stesso prezzo, da che mondo era mondo.
A cosa serviva allora essere abbastanza lucidi per rendersi conto della propria impotenza, per capire di non essere più di un granello di sabbia nel deserto, che una folata di vento può spazzare via come se non fosse mai esistito, per comprendere che il destino della fulgida fiamma dei valori sarà sempre e comunque quello di estinguersi,di accompagnare alla forca chi si è riempito il cuore della sua luce, senza nemmeno rendere un minimo di significato alle vite che per tenerla viva sono state sacrificate?.
Tirando i capi dei suoi pensieri per sgrovigliarne la matassa, Albrich si rese conto che la sobrietà era ben poca cosa, in fondo. Un soffio di vento gelido gonfiò la mantella del nano, facendolo rabbrividire; lo sbuffo riverberò lungo tutto il vicolo, urlando contro le pareti scrostate delle abitazioni popolari, facendo stridere di dolore le giunture arrugginite di una vecchia, scrostata insegna che oscillava in alto, a ridosso di un edifico altrettanto vecchio e scrostato. Il nano, attratto dalla sinfonia di lamenti, posò gli occhi su quella tavola di legno marcescente, tentando incuriosito di dare un senso le incisioni che il tempo aveva consumato, quasi gli fosse stato proposto un gioco di abilità. Con qualche difficoltà decifrò il nome di quella che doveva essere una stamberga di infimo rango.

* La Grazia Malevola … *



Inviò la mano destra ad esplorare le tasche dei calzoni in cerca di qualche spicciolo. Le sue dita ghermirono poche monete di bronzo: un tesoretto più che sufficiente per mettersi qualcosa sotto i denti e scaldarsi le ossa. Al pensiero di un cantuccio tiepido ed accogliente in cui potersi prendere una tregua da sé stesso, l’ aria sembrò ad Albrich ancor più gravida di gelo di quanto prima non fosse.

* Sembra proprio il posto adatto a uno come me *



Pensò tra sé e sé con un ghigno rassegnato. Bhe, quello che c’era da dire bisognava dirlo, le stelle parevano avergli voltato le spalle da un bel po’ di tempo a quella parte.



“Gradisci qualcos’ altro, amico ? Ho un liquore alle erbe insuperabile, che non ne troverai di eguali in nessun altro posto in questo buco di città, te lo posso garantire, parola mia. Che ne dici, te ne porto un bicchiere?”



A sentire pronunciare la parola “liquore”, ogni muscolo che dava forma al viso coriaceo del nano si irrigidì di colpo. Albrich levò uno sguardo furente verso il viso melenso oste dalla testa calva ed imperlata di sudore, su cui campeggiava un sorriso arido e affabulatore; braci covavano nei suoi occhi rabbuiati e stanchi.

“Ho ordinato una zuppa di frattaglie, solo una zuppa di frattaglie. Portami quella zuppa e fa che sia degna delle monete che ci ho speso sopra; il resto tienilo per te.”.



Il tono perentorio e grave della risposta parve raggelare l’ uomo sino alle ossa, tanto che, dopo un iniziale fremito di indecisione, girò i tacchi mollemente e filò dietro il bancone senza più proferir parola. Sotto la folta barba d’ argento, incrostata di polvere e terriccio, Albrich se la rideva di gusto; e non era l’ unico là dentro, anche se le risate che gli giungevano alle orecchie sembravano nate più dall’ imbarazzo che dallo spasso.

“Ah, accidenti“
"Hahaha! Scusate, non sono ancora molto pratico! Be’, almeno adesso sono mescolate. Ehehe…”



In tavolo poco distante, immersa nella luce densa e caliginosa di una coppia di lanterne ad olio che pendevano sulla loro testa, una bizzarra compagnia ci dava giù pesante con le scommesse. Albrich conosceva quelle carte, una ad una e sapeva che per vincere alla Perla Nera non bisognava essere tanto abili giocatori quanto abili bari – che in quel gioco, guarda caso, erano pressoché sinonimi-. Il piccoletto verdognolo che gli dava le spalle pareva saperla lunga in questo senso, dal momento che stava spennando piuma per piuma a tre energumeni dal cervello semplice, almeno a giudicare dalle loro facce imbambolate; a distribuire le carte vi era un uomo dalla pelle ambrata, dalle vesti che sapevano d’ oriente. Dal tavolo da gioco si levavano imprecazioni, ghigni di soddisfazioni, sguardi eloquenti, fondendosi in un ronzio assordante che echeggiava per la stamberga. Albrich, che volentieri distoglieva la propria attenzione da quell’ immenso spazio vuoto e grigio che era la sua mente, cominciò ad osservare con interesse gli sviluppi della giocata. Sentiva a pelle che da quella sgangherata combriccola sarebbe uscito qualcosa di interessante; era una sensazione inspiegabile, dettata più dal sesto senso che dall’ esperienza. Nel preciso istante in cui il vecchio ed arrendevole oste gli porse un fumante brodo di frattaglie, il ferro chirurgico dell’ uomo dalla pelle bruna si conficcò con maestria eccezionale dritto nell’ “asso nella manica” che il goblin teneva in serbo per quella mano; allora per il nano cominciò lo spasso vero e proprio. Mentre Albrich sorseggiava placidamente la sua zuppa, riscaldandosi l’ animo con il calore di quel piacere fugace, a uno sputo da lui era scoppiato il finimondo: accortosi del trucco del goblin, uno dei tre polli spennacchiati aveva alzato la cresta ed aveva cominciato a minacciare l’ omuncolo verde per farsi restituire le sue piume; il goblin, in tutta risposta – e qui Albrich trattenne a stento una violenta risata di pancia – accusò un giovane dai capelli color rame, che aveva tutta l’ aria di essere capitato per puro caso a quel tavolo, di essere l’ artefice della truffa. Che tipetto comico, quel mostriciattolo verdastro! Il nano ebbe la forte tentazione di mettersi a battere le mani per la sublime interpretazione della “vittima indifesa” di cui il piccoletto aveva dato sfoggio e magari avrebbe pure seguito quella pulsione così sincera, se la sua attenzione non si fosse spostata su un’ altro elemento comico che contribuiva ad arricchire il bel quadretto: un tipo emaciato, smorto, che fino a poco prima era stato quietamente seduto al bancone a punire il suo corpo e la sua mente con gli intrugli più impensabili e che ora gironzolava inebetito per l’ intero il perimetro della taverna, come una gallina senza collo in preda agli spasmi del rigor mortis, dispensando grandi sorrisi a perfetti sconosciuti. Valeva la pena essere lucidi solo per ammirare uno spettacolo del genere! Vociate, acclamazioni e minacce provenienti da ogni angolo della taverna si mescolavano in un ruggito assordante, tanto alto e potente da far tremare le pareti. Ecco che Chett, il cavernicolo che aveva tenuto il piccoletto verde tra le sue grinfie, si accasciava al suolo come una grande quercia abbattuta da un solo, poderoso colpo di scure. Il goblin se la svignava verso l’ uscita, sicuro sui suoi passi brevi. Quasi Albrich si mise a fare il tifo per lui, in piedi sullo sgabello a tre gambe su cui poggiava, affinché prendesse il largo senza lasciarci la pelle. Non si meritava una brutta fine quell’ omuncolo dalla lingua affilata: aveva solo seguito le regole del gioco . Poi, d’ un tratto, silenzio. Un silenzio surreale, quasi macabro: pareva che la lingua di chiunque avesse fino a quel momento aperto bocca fosse stata recisa in un solo istante. Albrich non seppe capacitarsi di un tale cambio di atmosfera e rimase a dir poco disorientato. Fu una voce, dura e levigata come una pietra di fiume a risvegliarlo dal torpore.

“Eccheccazzo, il bordello che combinate lo si sentirà fino al Cuore di Marmo!
Chi turba l'ordine cittadino qui?”



Dita gelide corsero lungo la schiena del nano. Bastavano un nome ed un attributo per fargli rizzare i peli delle braccia: Guardia Insonne; e ora ce li aveva proprio davanti al grugno, un manipolo di Insonni, con tanto di armi e divisa.
Che il suo nome apparisse ancora nelle liste di proscrizione del nuovo sovrano, poco importava; laggià, nessuno sapeva il suo nome. Era quel rancore assopito, come i residui di un fuoco ormai consunto, pronti ad sprizzare lapilli al primo respiro del vento, tutto l’ amaro ingoiato nei giorni bui dell’ alcol e della perdizione a renderlo pietra tra le pietre, a mozzargli il fiato, a bloccargli i muscoli. Lasciò scivolare le mani lungo i fianchi, ben coperti dalla cappa sudicia che aveva addosso da tempo immemore, mentre si metteva quietamente a sedere. Diede un rapido sguardo attorno: l’ uomo dalla pelle d’ ebano si era discostato dalla massa di avventori responsabili della cagnara, alla stregua del ragazzo dai capelli rossi; i tre energumeni tacevano, compatti nel loro silenzio. Il goblin era una statua di marmo, non osava nemmeno più respirare. Il timore riluceva bieco negli occhi di ciascuno: tutti volevano stare fuori dai casini, nessuno voleva screzi con la nuova gestione. Non doveva cacciarsi nei guai. Doveva dominarsi.

“EeeHIii..Hic! Fustacchion..E, attento a dove vai. Hic!”



Quel beone dall’ incarnato pallido che aveva passato il suo tempo a ciondolare qua e là per la stamberga incontrò nel petto capace di una milizia un ostacolo al suo moto inerziale. Un debole sorriso increspò le labbra dal nano, mentre le sue dita tozze lambivano le impugnature dei martelli da guerra che nascondeva sotto la lunga cappa, ben francati alla cintola. Sperò con tutto se stesso di non doversi vedere costretto ad utilizzarli per riportare un po’ di ordine nel caos di quella folle nottata.


Post di introduzione alla scena. Nulla da dire, spero piaccia.
 
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view post Posted on 9/12/2014, 23:03
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Suzushikei
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Dalle nebbie del passato...

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La cour des miracles
L'Armata dei Sonnambuli
Atto II

«Parlato (Umano)» «Parlato (Incubus)» Pensato Narrato



Si dice che la Saggezza sia un dono dell'età matura, ma nel mio caso è una causa persa.
Potrei dire che il Destino complotti contro di me, facendomi capitare, il più delle volte, nel luogo sbagliato al momento sbagliato...
...ma io non credo nel Fato!
La Verità?
Seguo il mio Cuore e da quando sono rinato ho sviluppato l'insana abilità di cacciarmi nei guai anche quando i guai non mi stanno seguendo.




Non mi sorpresi più di tanto quando il goblin decise di cogliere l'attimo, cercando di addossare le sue responsabilità ad una sventurata vittima.
Vittima identificata nella mia persona, l'unico tra i presenti cui era stato attribuito un nome.
Arsona non poteva saperlo, ma il suo saluto aveva cambiato le priorità dei nostri amichevoli compagni di giocata.
Mi ritrovai afferrato per la collottola in maniera non troppo gentile. In qualche modo il nostro simpatico baro era riuscito a rendere fin troppo veritiero un discorso che puzzava di menzogna lontano un miglio.
Il mio sguardo cambiò, la mia aria fanciullesca scomparve mentre osservavo con aria severa il goblin.
Non era una situazione piacevole. Se le mie prossime parole non avessero convinto il mio assalitore a lasciarmi andare con le buone, non avrei avuto altra scelta che ricorrere alle maniere forti.
Una soluzione che avrei preferito non prendere in considerazione, non in quel particolare momento, non quelle profonde cicatrici che si ostinavano a non volersi chiudere. Sarebbe stato così facile scaricare il mio dolore, la rabbia repressa su quell'innocente, ok non proprio innocente, credulone che aveva tutta l'aria di non darmi tregua, ma non ero più un demone assetato di vendetta, ero meglio di così... Non è vero?
Cercai di assumere un'espressione stupita, come se il gesto del tizio mi avesse colto di sorpresa.
Non provai a divincolarmi, fingendomi più debole di quanto fossi in realtà.
«Vi assicuro signore che non sono responsabile della vostra perdita. Se aveste la cortesia di lasciarmi andare, vi potrei mostrare che non ho il vostro denaro.» diedi una sfumatura tremolante al tono di voce.
Avevo puntato la mia difesa sulla diplomazia; potevo solo sperare di non dover ricorrere entro breve a quella armata.
«Togligli le mani di dosso. Lui non c'entra.» istintivamente mi voltai verso Al. Questa volta l'espressione incredula, che si dipinse sul mio volto, era genuina. Lo vidi rovesciare i soldi mancanti sul tavolo. «Non ascoltate quel tappo. Eccoli i vostri soldi, e ora lascia andare il ragazzo.»
Mi stava difendendo, scagionandomi da un'accusa menzognera, assumendosi le sue responsabilità.
In quel fugace istante, il tempo sembrava essere scivolato nel nostro passato, quando la nostra amicizia si stava formando, un delicato germoglio inconsapevole dei drammi che ci avrebbe riservato il futuro.
«Al, sei proprio tu?» Mi lasciai sfuggire.
Forse era giunta l'ora di fare il primo passo, anche se sapevo non sarebbe stato facile per nessuno dei due.

L'odio non rimargina le ferite, l'ascolto e il perdono possono ridare speranza.


Risposi con un cenno del capo alle scuse alquanto impacciate del tizio che mi aveva, nel frattempo, lasciato andare.
La mia attenzione era rivolta altrove, mentre cercavo di dare una sistemata agli abiti sgualciti.
Non è ancora giunto il momento per i chiarimenti, vero Al? Considerai tra me, non vedendo in lui alcun tentativo di replicare alle mie parole.
- Messer Kirin, che cosa ci fate qui?
La voce della nana mi riportò alla realtà.
Non era esattamente una domanda cui potevo dare una risposta onesta.
«Dama Arsona, mi trovo a Basiledra per motivi di... mh... studio e di affari.» Replicai con estrema cortesia. Alla fine non stavo mentendo, semplicemente stavo omettendo una parte della verità.
In attesa di una possibile replica mi soffermai per un attimo su Vagun e Chett.
Non mi erano sfuggite le minacce contro il goblin. Non che avesse tutti i torti ad essere adirato contro il baro, ma una tale reazione mi sembrava decisamente esagerata.
In fondo non ci trovavamo esattamente tra educande all'interno di un convento.
D'altra parte...
...Non sono affari miei. In fondo se l'è cercata, no? Non ho tempo per intromettermi nelle loro beghe... Belle parole le mie, ma sapevo che tale determinazione sarebbe durata il tempo di un battito d'ali.
Dannazione! Imprecai mentalmente.
No, non avevo intenzione di lasciar perdere.
«Vogliate scusarmi un attimo, mia signora.» con un inchino appena accennato mi congedai da Arsona per avvicinarmi ai due amiconi. «Chett, giusto? Le maniere forti non servono a nulla per persone come lui.» osservai, lanciando un'occhiata severa al goblin. «Vi volete arrogare il diritto di essere il giudice e l'esecutore della pena, ma in questo modo cosa otterreste? Una soddisfazione passeggera e nulla di più. Non sarebbe più vantaggioso per voi riservagli un trattamento meno drastico e fare in modo che vi sia debitore? Potreste stabilire un risarcimento in soldi o tramite un favore. Alla fine non ha ingannato solo voi. Ha cercato di infangare la mia reputazione e non sono convinto di volerlo perdonare, ma la vendetta non risolve mai nulla.» No, non risolveva nulla e io lo sapevo fin troppo bene.
Proprio non riuscivo a lasciarla andare, a lasciare andare il Suo ricordo.
« Hai sentito il leguleio? »
Chi? Cosa? Non feci in tempo a dare voce ai miei pensieri, che il nostro non troppo amichevole “tappo” assestò una gomitata sui gioielli di famiglia dell'altro.
Non sapevo se apprezzare l'audacia di Vagun o rincorrerlo per evitare che la facesse franca.
Dubbio rapidamente cancellato dall'arrivo di nuovi avventori sui quali si arrestò la fuga del goblin.
Quando si dice “dalla padella nella brace”.
Il mio sguardo si posò sulle loro insegne e per poco non scoppiai a ridere, una risata isterica a dirla tutta, il che sarebbe stato molto fuori luogo, vista l'atmosfera poco piacevole che si era appena venuta a creare.
« Eccheccazzo, il bordello che combinate lo si sentirà fino al Cuore di Marmo!
Chi turba l'ordine cittadino qui?
»
Ma proprio un drappello di appartenenti alla Guardia Insonne dovevamo attirare?
Con la coda dell'occhio percepii i movimenti di Al, che stava prendendo le distanze dal tavolo da gioco.
Non potevo biasimarlo.
Non eravamo in una bella situazione.
Io ero pure ricercato dalla Guardia Insonne, anche se dubitavo che la mia faccia fosse nota ai più.
Ammetto che, in un primo momento, la tentazione di attaccare briga con il terzetto fu forte.
Sarebbero stati un ottimo bersaglio su cui sfogare la mia sofferenza; per fortuna possedevo ancora sufficiente autocontrollo per fermare la mia parte demoniaca.
Bastava mantenere un basso profilo fino a quando non avessero perso interesse per la bettola e tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Ma, naturalmente, quando mai fila tutto liscio?
« EeeHIii..Hic! Fustacchion..E, attento a dove vai. Hic! »
Spalancai gli occhi dall'incredulità.
No, non poteva davvero accadere.
Un avventore, non propriamente sobrio, aveva fatto la comparsa in quel surreale teatro, attirando l'attenzione di uno dei soldati con atteggiamenti alquanto ambigui.
Colpa dell'alcool?
Non chiedetemi il perché, ma mi voltai verso Al proprio quando il suo sguardo era rivolto su di me.
Istinto, telepatia, coincidenza, fortuna?
Non avevo tempo per un simposio con la mia mente.
Non ero molto bravo con il linguaggio dei gesti, ma supposi che il mio profondo sospiro facesse intuire qualcosa.
Decisamente la saggezza in me non era propriamente di casa!
Era più un impulsivo compulsivo istinto suicida.
Mi avvicinai ai soldati di qualche passo, mantenendomi, però, a una certa distanza di sicurezza.
Volevo evitare un non troppo involontario colpo di spada.
«Signori, pensate che un giro di bevute gratuite potrebbe farvi dimenticare questo increscioso incidente? In fondo non è successo nulla di grave. Semplicemente, alcuni dei presenti si sono lasciati andare ai ricordi in modo forse un po' troppo acceso ed altri...» lanciai una rapida occhiata al tizio alticcio «... non reggono bene l'alcool, ma in una taverna è comprensibile. Potreste soprassedere per quest'unica volta?»

[size=1]Energia: 100%
Danni fiisci e mentali: //
CS
[Riflessi 3, Intuito 1], «Kirin l'umano»
[Intuito 2, Intelligenza 2], «Zeross l'incubus»
Note: Ho cambiato anche io il colore al parlato di Friedrich per differenziarlo da quello di Vagun. Sorry.^^''

 
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Lenny.
view post Posted on 10/12/2014, 12:11




La cour des miracles~
L'Armata dei Sonnambuli


Il soldato soppesò la richiesta di Kirin circondato da un silenzio tombale. Sguardi gelidi, occhi fessurati, parole bisbigliate nelle orecchie. Non ci volle molto a comprendere come la stasi creata attorno ai tre sgherri di ronda fosse carica di minaccia. Perché se la popolazione di Basiledra provava sospetto e diffidenza nei confronti dei pelleverde come Vagun, ciò che covava verso la Guardia Insonne era puro e semplice odio. Considerati una masnada di tagliagole al soldo di Mathias Lorch, forestieri che avevano preso la città con la forza, che avevano tradito il messaggio di Sigmund Lorch, che avevano ridotto le strade a pantani di cadaveri abbandonati a marcire e roghi spenti. L'astio nei loro confronti, tra l'altro, era negli ultimi tempi ulteriormente fomentato dall'azione sovversiva dell'Armata dei Sonambuli. La taverna ospitava poco più di una dozzina di clienti, quella sera, e loro erano solo tre. In quel momento il soldato dovette tenere in conto molti di questi elementi, perché esitò, prima di dare un borbottio sconnesso in risposta a Kirin.

« Limitatevi ad abbassare la voce..e il gomito. »

Ringhiò infine, rivolto a Fried. Scambiò un'occhiata coi sue due colleghi, un cenno diretto alla porta, e decisero all'unanimità di levare le tende, mentre già si facevano più alte dai tavoli frasi come "i cagnaccia non cambiano mai" o "che la rogna si porti via i cazzofacenti di Lorch". E fu proprio mentre l'ultima delle tre guardie si trovava sulla soglia che lo sguardo, perso tra la clientela della Grazia Malevola, incrociò quello di Vagun -seminascosto dietro uno dei tavoli. La guardia allungò il collo, strinse gli occhi. Fu un attimo. L'uomo, assalito per strada non più d'un paio di settimane prima e rapinato a volto scoperto, si trovò di fronte il pelleverde che gli aveva scippato la paga dell'ultimo mese, infischiandosene altamente della sua appartenenza alla Guardia Insonne. Forse non lo riconobbe: strizzò gli occhi per vederci meglio, si lisciò i lunghi baffi a spirale, poi seguì gli altri due tra le strade della capitale. Vagun dal canto suo si trattenne dall'esibire un ghigno strafottente e preferì attendere un altro po' di tempo, prima di uscire a sua volta.

« L'altra sera una puttana della Casa dei Fiori ha accoltellato uno di loro e se la sono legata al dito. I gran figli di buona donna faranno la voce grossa per qualche giorno e poi torneranno a farsi impestare dalle nostre figliole. E ben gli sta, maledetti tutti loro. »

Spiegava intanto Chett ai presenti, la voce arrochita dalla birra. Poi l'allegria tornò a impadronirsi della Grazia Malevola, ulteriormente fomentata dalla notizia che ben tre luridi sbirri della Guardia Insonne erano stati messi in fuga dal furioso sguardo dei cittadini di Basiledra. Simon lanciò una sfida di canzoni al contrario e cominciò a proporre la sua intonandola con voce da orco:

« Sono uscito stamattina che faceva già buio,
con la falce per andare a zappare,
per la strada son salito su una quercia,
e ho mangiato tutte le ciliegie,
è arrivato il padrone di quel melo
mi ha detto di pagargli la sua uva.
»

Altri rilanciarono con filastrocche che raccontavano di lupi che belano, di gusci che trascinano lumache, di pulcini che si trasformano in uova.
Di Sonnambuli che scacciano Insonni.

__ _ __


Non mancava molto all'alba. Era tempo di andare.
Vagun si affrettò tra le vie deserte di Basiledra, lasciandosi alle spalle quel postaccio pieno di ubriachi gonfi di birra. I loro rutti risuonavano sin da lì fuori. In strada non c'era un anima, solo un cane gli lanciò un'occhiata dubbiosa mentre spolpava degli avanzi.
Un trambusto improvviso da un vicolo sulla destra. Con la coda dell'occhio vide i tre soldati della Guardia Insonne di poco prima stretti attorno a un uomo, intenti a massacrarlo di botte. Un cliente della Grazia Malevola, quasi certamente. I tre vigliacchi non potevano affrontare tutti quei cittadini all'interno del locale, quindi avevano deciso bene di vendicare l'orgoglio ferito attendendo i primi idioti che fossero usciti da soli. La cosa non lo riguardava, e temendo di essere proprio lui il secondo idiota affrettò il passo, i gemiti del poveraccio soffocati dai conati di vomito e dai cazzotti nello stomaco. Calma, ripeteva a se stesso, calma, anche quando i passi alle sue spalle si fecero più vicini, prese a correre.

« Rottinculo, pensavi di riuscirci eh? »

Il soldato coi baffi a spirale gli tagliò la strada, spuntato da chissà dove.

« Maccheccazz.. »

Un calcio nelle costole gli spezzò il fiato in gola. Si accasciò e per poco non svenne. Il goblin si aggomitolò come un gatto, altri calci, la testa, doveva proteggere la testa con le mani. Lo stivale continuava a colpirlo alla schiena, duro e inesorabile. Il mondo prese a girare attorno agli occhi di Vagun, le straducole del Distretto della Polvere, le case, la Grazia Malevola, i baffi ridicoli del bastardo..

«Devi ringraziare gli dei che il mio capitano ha ordinato di lisciarvi solo il pelo, fosse per me ti ammazzerei qui come un cane. »



Bene, questo è un punto un po' delicato della giocata in quanto devo chiedervi di fare una scelta un poco "metagamica". In sostanza visto l'elevato numero di partecipanti la dividerò in due spezzoni, e voi dovrete decidere quale seguire in base a ciò che volete fare in futuro con il vostro personaggio. Vagun ha lasciato il posto, ma io posso usare ancora altri png per proseguire all'interno della locanda ;D

-Prima scelta: il vostro pg resta dentro. Si comporta come preferisce in un ambiente abbastanza piacevole, proseguendo la scena free in modo abbastanza "tranquillo e civile". Interagisce con altri pg e png e visto quanto è accaduto sin ora, è ciò che consiglierei sopratutto per Ramat e Ashel, visto che l'altra sarebbe più impegnativa.

-Seconda scelta (che definirei "opzionale"): il vostro pg esce dalla locanda e assiste al pestaggio di Vagun. Reagisce come meglio crede ma attenzione: fare questa scelta, col proseguire della scena, legherà indissolubilmente il vostro pg a eventi e png abbozzati in QUESTO topic. Chiedo di ponderare la scelta non perché ciò significhi entrare a far parte di una gilda di ladri (il vostro pg avrà sempre libertà di scelta in gioco) ma perché facendola, in termini di gioco, il vostro pg dovrebbe restare nella capitale per un bel po' di tempo (circa qualche mese) e a dirla tutta preferirei che, a farla, sia solo chi è realmente interessato al progetto e vorrebbe parteciparvi.

Ci tengo a precisare che sia la prima che la seconda scelta non escluderanno i vostri pg dalle prossime quest. la seconda è, detta in parole povere, per chi sin da ora sa con certezza di volervi partecipare. Entrare o no a far parte dell'Armata dei Sonnambuli (cosa che accadrà a Vagun) sta solo alle vostre scelte in game :zxc: Rispondete pure in confronto.



Edited by Lenny. - 10/12/2014, 13:42
 
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Ashel
view post Posted on 15/12/2014, 15:56






La situazione, nel frattempo, si era complicata.
La discussione attorno alla partita e al presunto baro si era accesa fino a quando Kirin non aveva cercato, con fare accomodante, di calmare gli altri giocatori.
Ad Arsona tutto ciò non interessava minimamente. Il goblin aveva anche provato a svignarsela sotto lo sguardo dei suoi assalitori ma pensò che tutto sommato sarebbe riuscito a cavarsela anche da solo; Nuri, nel frattempo, le aveva lanciato uno sguardo severo.
Non potevano permettersi di attirare l'attenzione, avrebbero dovuto rimanere buoni fino a quando un delegato di dama Fanie non fosse venuto a cercarli; non avevano viaggiato attraverso il deserto fino ai Quattro Regni per partecipare a una volgare rissa da locanda tra ubriachi.
La nana, obbediente, tornò al suo posto. All'improvviso la compagnia si voltò questa volta a guardare non il piccolo pelleverde che furbescamente li aveva ingannati, ma una delegazione di soldati che aveva fatto il suo ingresso scrutando con aria cupa gli avventori e in special modo il goblin che stava cercando di squagliarsela.

- Eccheccazzo, il bordello che combinate lo si sentirà fino al Cuore di Marmo!
Chi turba l'ordine cittadino qui?


Guardia Insonne.
Naturalmente da quando erano arrivati in quei territori Arsona e Nuri avevano incontrato diversi soldati di Lorch, ma nessuno dei due pareva averci fatto ancora l'abitudine.
Gelidi nelle loro uniformi, famosi per la loro crudeltà e per la loro mancanza di scrupoli, amministravano la legge a modo loro con metodi che Arsona trovava inaccettabili.
Era anche per loro che i nani di Qashra erano arrivati fin lì. Nella mente della giovane essi rappresentavano una sola cosa: il Nemico.
Il silenzio tombale che era piombato nel locale le risultò opprimente; ma ancora una volta fu Kirin a cercare di sistemare le cose.

- Signori, pensate che un giro di bevute gratuite potrebbe farvi dimenticare questo increscioso incidente? In fondo non è successo nulla di grave. Semplicemente, alcuni dei presenti si sono lasciati andare ai ricordi in modo forse un po' troppo acceso ed altri... non reggono bene l'alcool, ma in una taverna è comprensibile. Potreste soprassedere per quest'unica volta?

Con tutti gli sguardi dei presenti addosso, nessuno dei quali amichevole, le guardie ebbero ben poco da fare.
Erano in minoranza e senza dubbio non avevano davvero intenzione di affrontare tutti quei civili da soli. Così cercarono di riparare con una frase di circostanza prima di andarsene.

- Limitatevi ad abbassare la voce..e il gomito.

Vedendoli andar via anche Nuri trasse un sospiro di sollievo.

- Andiamo, adesso. C'è fin troppo casino qui.
Meglio ritirarci.


Terminò il suo boccale di birra e si apprestò a salire le scale per raggiungere la loro stanza aspettandosi che anche Arsona facesse lo stesso; ma lei chiese di rimanere un poco. Non gli disse che avrebbe voluto parlare con Kirin, solo che aveva voglia di un'altra birra prima di coricarsi.
L'ufficiale le rivolse qualche altra raccomandazione ma visto che i soldati se ne erano andati non si dilungò come suo solito e si ritirò senza aggiungere altro.
Voltandosi, la nana vide che il ragazzo se ne stava andando. Non sapeva bene che cosa avrebbe voluto dirgli, in fondo si erano visti solo una volta a Loc Muinne in una circostanza sgradevole almeno quanto quella e nessuno dei due sapeva niente dell'altro; però era il primo viso amico che incontrava in quelle terre e da troppo tempo la sola compagnia del suo superiore le stava stretta.
Terminò la sua birra, saldò il conto e cercò di raggiungerlo.

~

Le strade in quella dannata cittadina erano tutte uguali e con il buio Arsona non riusciva ad orientarsi. Ci volle un po' perché riuscisse ad udire delle voci e ad avvicinarsi, certa che a quell'ora non avrebbe trovato altri che Kirin a gironzolare per quello stupido villaggio.
Invece riconobbe la voce di qualcun altro, quello straniero dallo strano accento che sedeva accanto al giovane nella locanda.

- Siamo tra gentiluomini, che bisogno c'è di scaldarsi, aperes? Mica vogliamo creare problemi. Parliamone civilmente. Ma per carità!
Lasciate stare quei due disgraziati; gli avrete rotto sì e no due o tre costole! L'hanno capita di sicuro la lezione. Piuttosto, conosco un posto meraviglioso qui vicino. Fanno la birra più buona del quartiere. Che ne dite? Una birra? Per farci perdonare. Chi vuole una birra? Avanti, offro io. Sempre meglio che star fuori al freddo a pestare la gente!


Gli sgherri di prima si stringevano attorno a un malcapitato e l'uomo stava cercando di farli ragionare.
Un pestaggio in piena regola, secondo gli usi e costumi dei galoppini di Lorch.
C'era anche Kirin, che sembrava contrariato: probabilmente avrebbe preferito un'azione più incisiva fin da subito.
Arsona intravide anche un nano, in disparte, che però sembrava non sapere bene come comportarsi. Dal canto suo la giovane sapeva benissimo cosa fare.
Trovare una soluzione pacifica con quei dannati soldati era impossibile e infatti uno di loro, brutto come la morte e infame come un volgare ladruncolo di strada, aggirò lo straniero per colpirlo alle spalle.
Dimentica di tutti gli avvertimenti di Nuri si fece prendere dalle circostanze e, impugnando il pesante martello, si fece grossa agli occhi dei soldati trovando nella sua arma, che vibrava di un potere antico, lo spirito per affrontarli. Da troppi giorni assisteva alle angherie di quei tiranni e il fatto che si trovassero lì apposta per combattere il regime dell'usurpatore di Basiledra bastava a giustificare il suo attacco; sapeva che non avrebbe dovuto esporsi, ma che cosa avrebbe pensato di se stessa se avesse semplicemente fatto finta di niente?
Era troppo facile voltarsi e fingere di non aver visto.
Così, con lo stesso impeto con cui aveva difeso assieme a Rogozin gli schiavi di Loc Muinne si scagliò sugli aggressori, da soldato a soldato.
Una luce accecante esplose nell'aria, emanata dal suo stesso corpo e dalla sua arma, capace di ferire gli occhi e inficiare la vista.
Tughlaq vibrò nuovamente nelle mani della nana; trovandosi allora più presso a una delle due guardie menò infine un fendente da sinistra verso destra sprigionando dall'arma una raffica di energia luminosa diretta verso il suo avversario.

- Avrete pane per i vostri denti, codardi!




Arsona "Shah" Jahan



Stato fisico: Ottimo
Stato psicologico: Ottimo
Energia: 80%

Armi: Tughlaq (mano destra), Balestra (15/15) (infoderata)
Pericolosità: E
Fascia: Gialla

CS: 1 Destrezza, 1 Costituzione

Passive attive:

~ Contrattare. Arsona ottiene più facilmente le informazioni da chi viene interrogato; inoltre le sue parole risultano più convincenti sia che abbiano finalità benevole che minacciose. L'avversario subirà un contraccolpo psicologico relativo all'approccio di Arsona.
[Passiva razziale]

~ Gli attacchi di Tughlaq infliggono danno di elemento Luce; in aggiunta provocano un senso di intorpidimento nei muscoli della zona colpita, rallentandone i tempi di reazione.
[Passiva Artigiano I]

~ Tughlaq emana una malia psionica passiva nei confronti degli avversari: essa si manifesta tramite un'aura di istinto omicida che pervade la mente dei nemici nelle vicinanze, naturalmente portati a provare un timore istintivo nei confronti del martello e della sua padrona.
[Passiva Artigiano II]


Attive utilizzate:

CITAZIONE
~ Bagliore
La paladina di Qashra emana da sé una luce abbagliante che stordisce i suoi nemici e costringe i demoni ad abbandonare la loro forma diabolica. Gli avversari rimarranno accecati dal lampo luminoso per due turni: in questo modo sarà più difficile per loro difendersi dagli attacchi avversari.
Elemento luce, proprietà illusorie.
[Tecnica Magica personale 2/10]
Consumo di energia: Medio

CITAZIONE
» Effetto attivo: spendendo un quantitativo Basso o Medio di energie, sarà possibile sprigionare dall'arma incantata una bordata di natura magica dal potenziale pari al consumo, che infliggerà danni per la medesima portata.
La tipologia di manifestazione magica sarà di elemento Luce e si manifesterà sottoforma di potenti raffiche di energia luminosa.

Riassunto: Nuri se ne va a dormire, mentre Arsona decide di seguire Kirin fuori dalla locanda per parlargli; incappa nelle guardie che stanno assalendo il povero Vagun e da brava paladina della giustizia senza macchia e senza paura li attacca con tante abilità luccicose e tanti brillantini molto Pally-stile :3
Con la personale spendo un consumo medio.
Scusate se non intervengo tanto in confronto, nei prossimi turni cercherò di collaborare di più :sisi:
PS: Nella foga generale Arsona non riconosce Albrich, ma i due si conoscono perché sono stati in missione insieme nel deserto.

Note: -
 
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view post Posted on 21/12/2014, 20:46
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Aper army
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Դատարան ~ La cour des miracles ~ Հրաշքներլ

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L'Armata dei Sonnambuli

(Vahram [pensato, lingua aramana], Vagun, Albrich, Kirin, Arsona, Friedrich, guardie insonni.)


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Non appena i tre brutti ceffi si resero conto quale aria tirasse dentro la bettola, parvero abbandonare il loro atteggiamento prevaricatore, maggiormente preoccupati per la propria incolumità piuttosto che a difendere l’orgoglio del proprio ordine a sprezzo del pericolo. Sbottarono un titubante rimprovero all’accozzaglia di bevitori che non smettevano di fissarli in silenzio e girarono i tacchi.
Un breve e sempre più consueto momento di tensione con gli sgherri delle Guardia Insonne, quella sera, per fortuna, finito senza incidenti, a quanto pareva. Da ciò che si diceva in giro, episodi del genere con i miliziani dei nuovi occupatori capitavano sempre più di frequente, e non di rado degeneravano in percosse, bastonate e sevizie ai danni dei più vulnerabili. La guardia cittadina, l’istituzione che incarnava il pugno di ferro dell’antico sovrano, ormai poteva fare ben poco, spogliata del proprio potere e demolita com’era. Durante l’occupazione la giustizia e l’ordine la mantenevano i miliziani della Guardia Insonne, così: con la violenza e le dimostrazioni di forza, non importa contro chi, poteva essere il ladruncolo di strada come il povero artigiano trovatosi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ciò che contava era che la popolazione di Basiledra avesse paura.
La serenità nella locanda tornò presto, non appena l’ansia dello spavento passò. Dai tavoli tornarono a gorgheggiare incerti canti popolareschi locali – che ancora, dopo i tanti mesi passati del Dortan, parevano così insoliti ed esotici alle orecchie indigene di Vahram –, a berciare aneddoti goliardici, accese discussioni su quanto si fosse alzato il prezzo del pane e indiscrete lamentele e malelingue in merito a mogli, suocere e figlie – talvolta anche apprezzamenti, soprattutto riguardo queste ultime.
Tuttavia la Guardia Insonne intimorì ben poco il medico errante, ben poco rispetto a quel confronto che da anni temeva. Non si unì alle crapule degli avventori; si trascinò in un angolo buio, da solo insieme ai suoi tormenti, come un condannato in terribile attesa della sentenza... la quale non tardò ad avvicinarsi.

«Grazie,... per prima...» Mormorò Kirin, fermandosi a pochi passi da lui, senza guardarlo negli occhi. Trasse un sospiro, prima di pronunciare quella fatidica richiesta di chiarimenti che probabilmente si portava dietro dalla battaglia di Qashra. «Ti ascolto. Suppongo sia arrivato il momento di conoscere anche la tua versione dei fatti.» Lo fissò con espressione seria. «Niente menzogne od omissioni... Non importa quanto sarà dolorosa o inaccettabile la verità... Voglio l'intera versione dei fatti.»

Vahram sorrise lievemente al pensiero che il suo amico dovesse trovarlo invecchiato e smunto, dopo tutto quel tempo; Kirin al contrario non sembrava cambiato di una virgola, come se gli anni non incidessero minimamente suo aspetto. Era tale e quale al giovane che aveva incontrato a Taanach quel giorno lontano che ormai stentava a ricordare.

Aprì la bocca. «K-Kirin! Sei proprio tu?» Biascicò, quasi incapace di parlare. «Che cosa ci fai qui?»

In quanto ex membro delle Squadre Speciali Mamūluk, credeva di aver raggirato, rovinato e ucciso fin troppe persone per saper provare ancora rimorso, e allora perché la voce gli tremava? Perché nella sua proverbiale insensibilità non riusciva a buttare lì una della sue solite battute con cui sdrammatizzava cinicamente anche le più turpi delitti che commetteva? Ogni volta non provava nulla quando lo faceva, ma in quel momento parve che qualcosa fosse drammaticamente cambiato. Si sentiva male, sentiva l’urgente bisogno di prendere aria, di andarsene da quel luogo fitto di chiasso martellante. Lo deconcentrava, gli faceva andare il sangue al cervello.

Ma ricordare... tornare con la mente a faccia a faccia con i demoni che gli avevano rovinato l’esistenza si rivelò persino più difficile del semplice spiegare la realtà dei fatti di ciò che accadde durante la grande guerra che scosse l’intero Akeran.

«Sei qui per me? Per uccidermi? Vuoi la tua vendetta?» Si portò le mani ai capelli. Il suo volto era contratto in una smorfia mista di rabbia e dolore. «N-Non sono stato io a fare quelle cose... nono... Mi braccavano... mi tormentavano. Per cinque anni mi hanno inseguito. Per cinque anni io sono fuggito. Ho resistito, giuro che ho resistito... ma loro erano furbi, e pazienti; si nascondevano nell'ombra, in attesa di un mio momento di debolezza. Dopo la caduta del Goryo ero... ero... ero ridotto male, non riuscivo nemmeno a muovermi! E allora loro... loro... lui! Quel mostro!» Ansimò nervoso, a denti stretti, nel rivedere nella propria mente gli occhi di ghiaccio di Sharuk. «Non ho potuto farci nulla.» Scosse la testa «Lui... mi ha... preso...» Guardò negli occhi Kirin con sguardo delirante. «Io non volevo... Io non volevo fare quelle cose. Non avrei mai fatto del male ai miei compagni, ai miei fratelli.» Si coprì la bocca con le mani, voltandosi e arrancando verso la sedia più vicina. Proseguì, con un filo di voce. «No... no... Non ci riesco. Non posso spiegare... Fammi tutto quello che vuoi, ma non posso spiegare.»


Kirin si avvicinò ancora, pur continuando ad evitare il suo sguardo. «Ucciderti?» Scosse la testa. «No, la vendetta non serve a nessuno. Sarei un ipocrita se mi rivalessi su di te.» I suoi occhi abbassati parvero rilucere innaturalmente come rubini ardenti. «Questo non significa che ti abbia perdonato per le sofferenze che hai inflitto a Fanie. Le ferite fisiche alla fine guariscono, ma quelle dello spirito... È tutta un'altra storia... D'altra parte non sta a me giudicarti. So cosa può fare un demone e spero che tu abbia compreso che, anche nella debolezza, mai e poi mai dovrai scendere ancora a compromessi con loro. I demoni distruggono ogni cosa bella possa esistere a questo mondo. Annichiliscono i legami, spazzano via la Speranza. Ingannano, ti tentano, ma ciò che ti offrono non è veramente il potere... solo l'illusione. Conducono l'anima alla dannazione e ti condannano alla solitudine e all'oblio. Non si può tornare indietro e, sinceramente, non so se lei sarà in grado di guardare al futuro, di dimenticare, di perdonare. È la tua prova; se vi incontrerete dovrai avere il coraggio di guardarla dritto negli occhi e dirle tutto. In quanto a me... è solo un caso se ci siamo incontrati. Non credo nel fato, ma nelle scelte che facciamo. Puoi fuggire da tutti noi, ma non potrai fuggire per sempre da te stesso. Voltati e guardami... Affronta i tuoi demoni!»

Vahram seduto lo ascoltò in silenzio guardandolo sottecchi, ingobbito con i gomiti puntellati sul tavolo. Anche nell’atteggiamento pervicace e severo e nel suo spirito paterno l’amico non sembrava cambiato... ma era chiaro che non sapesse cosa significasse essere un maledetto di El Kahir.
«No...» Il medico scosse la testa, ridendo mestamente. «Tu non capisci. Non puoi capire.» Guardò il ragazzo, sorridendo malinconico. «Io sono un mamūluk, uno schiavo guerriero. Non posso cambiare ciò che sono: mi hanno cambiato... troppo. Non possiedo sogni, né ambizioni. Non sono quel tipo di fesso che si lascia abbindolare dai demoni con promesse di gloria.» Iniziò a lisciarsi nervosamente la barba con due dita, cercando le parole giuste. «Lascia che ti spieghi... Io sono uno schiavo. Avevo dei padroni umani una volta, a El Kahir; loro li hanno sterminati, e ora, secondo una logica malata e a me incomprensibile, sono fermamente convinti di essere diventati i nostri nuovi padroni. Io non ho scelto nulla. Nessuno viene a patti con uno schiavo: uno schiavo è uno schiavo. È questa la maledizione di El Kahir»" Sospirò. «Forse qualcuno mi ha venduto, non lo so con certezza. Le clausole dei demoni sono impenetrabili... e terribili. Non sono stato tentato; sono stato condannato, e solo perché mi trovavo nel posto sbagliato al momento sbagliato. È... complesso... Posso combattere quanto mi pare in questa vita, e l'ho fatto, credimi.» Appoggò la fronte sul palmo della mano. «Ma nell'altra vita...» Scosse la testa. «...non avrò scampo.»
Restò in silenzio per un po’, assorto, in preda ai sensi di colpa. «Sto dedicando la mia vita a riparare gli errori del mio passato... ma a che scopo, quando la vita è tutto ciò che ti rimane? Non potrò mai trovare pace.» Fece un'altra triste pausa. «Vuoi la verità?» Guardò Kirin. «Non so proprio cosa dovrei fare.»

«Vivere Al, devi vivere... e perdonare te stesso.» Il suo volto sembrava calmo, ma la voce vibrava d’inquietudine dopo aver udito le parole di Vahram. «So che può sembrare un controsenso dopo quello che hai fatto, ma la strada del perdono altrui, della redenzione parte da te stesso. Non è facile, le nostre colpe ci accompagneranno per tutta la vita, ma non possiamo cambiare il passato, non possiamo cambiare chi siamo stati...» Restò in silenzio, cercando le parole giuste per affrontare l’argomento. «Possiamo, invece, scegliere di essere persone nuove, sforzandoci di essere migliori. Non possiamo ripagare le sofferenze arrecate, ma possiamo espiare in modo che nessun altro possa provare quello che abbiamo inflitto agli altri nel passato. Possono sembrare parole vuote le mie, di un ragazzino che non sa cosa sia la vita vera... ma tu sai quale sia la mia ascendenza. A Qashra i miei fratelli mi hanno chiamato traditore, i miei alleati mi hanno considerato un loro nemico... Devo a Fanie se sono qui a raccontartelo. Un demone che combatte contro i propri simili per salvare degli innocenti. Assurdo, vero?» La sua espressione si fece malinconica. «Loro non mollano la presa, Al... L'ho visto con i miei occhi... Una volta che sei in loro potere, sarai per sempre la loro marionetta a meno di non cancellare il contratto o estinguere i tuoi demoni...» Proseguì, serio. «Ti propongo un patto. Se davvero non vuoi più essere loro schiavo, dovessero ritornare, combatterò al tuo fianco... Che ne dici, Al?»

Ciò che gli disse Kirin regalò a Vahram un grande e inaspettato sollievo, forse immeritato. Non si aspettava il vecchio amico avesse tanto cuore non solo da perdonarlo, ma anche da sostenerlo nella sua battaglia. Ormai aveva creduto di essere rimasto solo, isolato in quel suo vagabondare che lo stava rendendo pazzo. E i sussurri talvolta rancorosi, talvolta supplichevoli di Giselle non aiutavano.

«Ti ringrazio, achper. Le tue parole mi danno conforto.» Sorrise impercettibilmente; era da tempo immemore che non provava l'emozione di avere una persona cara al proprio fianco. «Ah, suvvia... non fare quella faccia. Ti ho omesso parte della verità: tuttora è una faccenda preoccupante, non lo nego, ma dopo che re Jahrir bandì i demoni da questo mondo il giogo dei miei tormentatori si è allentato. Mi sento rinato.» Si voltò verso Kirin sedendosi di traverso sulla sedia, cingendo con un braccio lo schienale. «Dopo l'esilio viaggiai fino a Loc Muinne, per far visita ai negromanti della Basilica Depredata, alla ricerca di un modo per liberarmi per sempre del legame tra la mia anima e quei mostri. Mi sottoposi a un esorcismo, andò tutto come pianificato, ma prima di congedarmi il capo dei negromanti mi avvisò: ora Horun l'Effimero – così si chiama l'arcidemone – non potrà più percepire la mia posizione finché sarò vivo, e nemmeno dopo la morte non è detto che riuscirà a trovarmi; nonostante ciò, sono ancora vulnerabile... Il problema è che nonostante questo, probabilmente non desisterà dal continuare a cercarmi.» Fece una pausa. «Ora sto bene. È da mesi ormai che non sento più i loro occhi gelidi piantati sulla mia nuca...» Esitò. «Il fatto è che... accidentalmente ho scoperto un altro modo per liberarmi del patto con i demoni. Anche se... non sono sicuro che ti piacerà sentirlo...»

«Loc Muinne dici? Che coincidenza! Tempo fa sono andato con Mariha e Sullivanyus proprio in quella città per assistere a dei festeggiamenti.» Esclamò. «Una strana esperienza, se devo essere sincero.» Commentò. «Al, se hai trovato un modo per cancellare un patto demoniaco vorrei saperlo, anche non dovesse piacermi. Ho un conto in sospeso con un demone antico ed intendo saldarlo!» I suoi occhi di demone tornarono a baluginare intensamente.

Vahram sorrise. «Davvero eri lì anche tu, quel giorno?» Abbassò lo sguardo. «Che peccato... Se ci fossimo incontrati, forse mi sarei risparmiato molti patimenti. L'ironia del destino talvolta mi sorprende.» Temporeggiò, prima di rispondere alla richiesta di Kirin. «Anche tu hai un conto in sospeso con un demone? Dici sul serio? Non immaginavo.» La sua espressione divenne impensierita. «Be'... Non sono certo che la mia scoperta possa esserti utile. Non ne vado fiero... ma te lo mostrerò lo stesso.»

Si guardò intorno circospetto, come per accertarsi che nessuno li stia osservando, poi lentamente, quasi con cautela, sollevò un lembo della palandrana, mostrando cosa vi nascondeva sotto. Sulle sue spalle e lungo la schiena lasciò intravedere a Kirin lo strato grumoso di cenere grigiastra che gli scendeva fino ai fianchi, imbrattando sconciamente il farsetto nero sottostante. Il medico guardò Kirin, mostrandoglielo con un enigmatico cenno del capo.

«Intaccare un patto demoniaco si può, se ci si lega a qualcos'altro con un nuovo patto.»


Kirin rimase in silenzio per alcuni attimi, studiando l’emanazione magica che irradiava la bizzarra mantellina. «Interessante... Un patto che cancella un precedente patto.» Sollevò lo sguardo verso Vahram. «Non sarai mai libero... però... il sacrificio potrebbe valerne la pena...» Mormorò come se stesse riflettendo per se stesso. «...Ma non vorrebbe che arrivassi a tanto...» Si riscosse. «Non lo so, Al...»

«Ehm... a dire il vero, come ti ho detto, non è che l'abbia voluto.» Sdrammatizzò il guerriero, spiegandosi più chiaramente. «È avvenuto tutto per puro caso. Diciamo che ho toccato qualcosa che forse era meglio toccare... ma in fondo non è poi così male. La notte mi capita spesso di avere degli incubi... ma di certo ora mi sento molto meglio rispetto a prima.» Dice sorridendo, sperando di non aver impensierito troppo Kirin.
«Be'? Che mi racconti, achper? È da un'eternità che non ci vediamo.»

Restarono a parlare a parlare ancora a lungo. Vahram raccontò a Kirin ciò che era veramente accaduto in quei mesi di orrore, prigioniero di un demone nel suo stesso corpo. Fu difficile... ma la consapevolezza di avere al proprio fianco un amico disposto ad ascoltarlo e ad accettarlo per ciò che era: un mostro senz’anima, maledetto e braccato da un signore dell’Abisso, per giunta. Gli parlò dell’incidente con Fanie, di ciò che successe durante l’assedio di Qashra, di Caino della stella nera. Gli parlò dei suoi anni da esule, di come traversò l’immenso e mortale deserto dei See. E poi Ruldo, di come partì alla ricerca di Yu Kermis, il Mercante di Desideri... e di come egli morì. Accennò anche alla battaglia di Alagar, dove, insieme a Lhotar e agli abitanti locali, combatté contro la Guardia Insonne per la liberazione della città.
Sembrava quasi che fossero rimasti i compagni di una volta, ma una pesante amarezza pareva accompagnare costantemente le loro storie, come se quel periodo di lontananza passato tra atroci sconfitte e dolori avesse indurito i loro animi e sciupato molte speranze. Sedettero allo stesso tavolo quasi sino all’alba, finché ad un certo punto Kirin non decise che l’ora si era fatta troppo tarda.

Alla fine della lunga serata, i due amici si salutarono,
promettendosi di rivedersi ancora, molto presto...

Invero ciò accadde,
e ben prima di quanto potessero immaginare.

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Vahram uscì in strada, lasciandosi alle spalle il chiassoso vociare della locanda. Accese un cerino con la fiamma della lanterna all’entrata e vi attizzò la sua lunga pipa di foggia turkemanna. Saggiò il fumo aromatico, cercando di ritrovare la quiete nel silenzio della notte. Era ancora buio, sebbene l’alba si stesse avvicinando. Nonostante l’ora fosse già assai tarda, il medico decise di fare un’ultima passeggiata per le vie del quartiere prima di andare a dormire. Camminava pensoso, con una mano dietro la schiena e l’altra a reggere la pipa, sbuffando lunghe zaffate di fumo nell’aria fredda.
Fu ad un certo punto che udì lamenti di agonia, risa sguaiate e turpi insulti provenire da una vicoletto laterale, uniti all’inconfondibile rumore di percosse. Riconobbe una di quelle voci roche e imbruttite dalle notti passate al gelo del Nord: apparteneva a uno dei miliziani che avevano fatto visita qualche ora prima alla taverna; da quanto si poteva supporre, c’erano altri due sgherri insieme a lui, probabilmente i due che lo accompagnavano.

«Aggredire il nemico in un vicolo buio... Puah! L'onore deve proprio essersi eclissato dalla faccia della terra! Non siete soldati, siete luridi briganti di montagna! Un ammasso di putride carogne!» Inveì una stentorea voce maschile. «Nella locanda non avete osato alzare un dito, per paura che vi spaccassero il vostro bel faccino! Prendetevela con qualcuno della vostra taglia, se vi é rimasto un briciolo di dignità!»

Vahram svoltò l’angolo appena in tempo per vedere Kirin insieme a un possente guerriero nanico avanzare verso quei tre energumeni intenti a malmenare con sprezzo uno dei poveri avventori, uscito testé della bettola, e il goblin baro che prima giocava a carte al tavolo.

«Non avrei usato un eloquio così forbito, ma la sostanza del discorso credo sia la stessa.» Il giovane dai capelli rossi parlò ai soldati con tono severo. «Ora lor signori, avete due scelte: potete accettare il gentile invito di questo messere oppure eclissarvi lasciando alle nostre cure queste persone di cui vi siete fatti così amorevolmente carico.»

Non appena Vahram presagì che la situazione stava per degenerare – e prendersela con le Guardie Insonni nella loro città, che da soli pochi mesi avevano espugnato, occupato e stritolato sotto il pugno di ferro di Mathias Lorch, non era certo una buona idea – avanzò a passi svelti verso i due.

«Ehi ehi! Aperes, che fate?! Siete pazzi?» Esclamò, tendendo una mano per afferrare la spalla di Kirin prima che commettesse qualche stupidaggine. Uno degli sgherri si stava già avviando fuori dal vicolo, senza dubbio intenzionato a cercare rinforzi per far fronte a quelle nuove seccature appena comparse.
L’aramano si avvicinò ai due indignati. «State mettendo in pericolo voi e questo quartiere, diamine! Andiamocene!» Tentò ancora di convincerli.

«Il Bene Superiore, eh?» Rispose il ragazzo, senza distogliere lo sguardo dalle guardie, sensibilmente sforzandosi di mantenere un tono calmo «Li lasciamo a subire le loro angherie come tributo per proteggere il resto del quartiere. E' questo che mi stai chiedendo? La loro sofferenza per il bene di chi? Di chi non penserebbe a pugnalare gli altri alle spalle per il proprio tornaconto o per una popolazione che ha perso la Speranza di un futuro migliore?» Tornò a rivolgersi al capo degli sgherri. «Ti sto annoiando perché sono preoccupato per la loro salute? Sono praticamente in fin di vita, non vi siete sfogati abbastanza? Non avete ottenuto quello che volevate? Lasciateceli soccorrere. Posso curarli prima che sia troppo tardi. Vi costerebbe così tanto un gesto di magnanimità?»

Il tentativo di diplomazia non ebbe successo: il brutto ceffo rise, sventolò la mano scacciando il giovane come se fosse una mosca fastidiosa e tornò a occuparsi del disgraziato Vagun.

Vahram avvicinò la bocca all'orecchio di Kirin. «Magari per il bene di una trentina di donne e bambini che domani potrebbero venire trucidati? Davvero attaccheresti briga con le Guardie Insonni senza pensare alle conseguenze?» Gli sussurrò parlando tra i denti, preoccupato, pur mantenendo la calma.

Fu chiaro che il suo amico non aveva ugualmente intenzione di scatenare una rissa con le Guardie Insonni, e farlo probamente non sarebbe stata nemmeno un’idea saggia. Vahram durante la sua carriera aveva preso parte già a sette assedi, escludendo quelli di Lithien e Qashra, vivendo dalla parte dei vincitori anche i mesi immediatamente successiva all’occupazione. Le repressioni nei confronti dei cittadini erano a dir poco atroci. Talvolta qualche gruppo di sconfitti sovversivi dava sfogo al proprio desiderio di vendetta compiendo attentati e imboscate contro l’esercito invasore per poi sparire nel nulla; il prezzo di queste coraggiose gesta di ignoti però era spesso la popolazione a pagarlo... e caro. Al tempo, fu statuito dai Sulimani che per ogni soldato imperiale ucciso dai ribelli dovessero morire dieci cittadini nemici; uomini, donne, vecchi e fanciulli, persino infanti venivano strappati alle loro case con la forza, ammucchiati come bestiame in mezzo alla piazza cittadina e trucidati in massa. Decapitati e le loro teste esposte ad ogni angolo della città, gettati nell’oscurità del forre fuori dalle mura, o giù da scarpate, mazzolati, impiccati. Non importava chi, non importava come. Gli invasori erano disposti a fare di tutto pur di scoraggiare qualsiasi desiderio di ribellione... e questo Vahram lo sapeva bene. Erano infatti sempre i mamūluk, i corpi più spietati dell’esercito Sulimano, ad eseguire questo genere di ordini.

È romantico giocare a fare gli eroi, ma il romanticismo finisce non appena i primi a maledirti diventano gli stessi che intendevi proteggere.


Giselle fremeva alla vista di quei soprusi: desiderava il sangue di quei bifolchi, cancellare dalla loro faccia col fuoco quei ghigni irrisori, gli stessi che i suoi carnefici e accusatori le avevano riservato quando era in vita, e lo avrebbe fatto se Vahram non stesse cercando di trattenere quelle pulsioni con tutte le sue forze.
Entro breve la guardia che si stava allontanando sarebbe scomparsa alla vista; bisognava agire alla svelta se volevano uscire da quella situazione nel migliore dei modi. Avrebbe tentato lui stesso di far cambiare idea ai tre armigeri. Inspirò profondamente, entrando nella parte.

«Ehi ehi! Che intenzioni avete? Fate tornare indietro il vostro amico.» Cominciò, frapponendosi tra Kirin, Albrich e le guardie, sfoggiando un sorriso rassicurante e una parlantina affabile. «Siamo tra gentiluomini, che bisogno c'è di scaldarsi, aperes? Mica vogliamo creare problemi. Parliamone civilmente.» Si avvicinò con le mani aperte, come per mostrare che non aveva cattive intenzioni. «Ma per carità! Lasciate stare quei due disgraziati; gli avrete rotto sì e no due o tre costole! L'hanno capita di sicuro la lezione. Piuttosto, conosco un posto meraviglioso qui vicino. Fanno la birra più buona del quartiere. Che ne dite? Una birra? Per farci perdonare. Chi vuole una birra? Avanti, offro io. Sempre meglio che star fuori al freddo a pestare la gente.»

Il capo del trio sorrise, arricciando i baffi di gusto all’interessante piega che stava prendendo la serata. Aprì la bocca, in procinto di accettare quella allettante offerta, ma non tutto era andato per il meglio...

«E VA BENE, 'STI FICCANASO SE LA SONO ANDATA A CERCARE!» Il suo compagno, uno spilungone orbo di un occhio, per nulla convinto della proposta, aveva approfittato di una distrazione dell’aramano, per aggirarlo e attaccarlo alle spalle. Sferzò il suo mazzafrusto verso la schiena di Vahram, caricando un colpo micidiale.

Maledetti...

Vahram non riuscì più a trattenerla.


Una vampata di cenere e fiamme esplose tra il guerriero e il guercio, modellandosi in pochi attimi nella forma di una bambina composta da puro fuoco scarlatto, dagli occhi iniettati di furia ultraterrena. Incomprensibili sussurri rabbiosi echeggiarono tra in muri del vicolo. Volò a mezz’aria frapponendosi appena in tempo tra l’arma del miliziano e la schiena dell’aramano. Non appena la mazza ferrata la colpì, si infranse in una finissima nuvola di cenere che si sparse come un rapido banco di fumo grigio per tutta la stradina. Sibili pregni di rancore si udivano ancora, mentre la nube cominciava ad agglomerarsi intorno alle armi delle Guardie Insonni.

«Volevo solo essere gentile.» Rispose Vahram, pacato. Il falso sorriso bonario era ancora stampato sulla sua faccia, immutato. «Ma credo proprio che ora vi convenga filare, e alla svelta, se non desiderate che questa serata si trasformi in una pessima serata. State giocando con le persone sbagliate, aperes. Ve lo chiedo un'ultima volta.» Scostò un lembo della palandrana variopinta, svelando l'elsa della scimitarra infoderata.

«La volete questa birra oppure no?»
Era una minaccia.



Vahram "Al Patchouli"

Stato fisico: Illeso
Stato mentale: Illeso

Energia: 100-5-18-9= 68%

Tecniche utilizzate:
[3/10] Parola di mercante ~ Sicuro! È così, aper. Parola del caro vecchio Azad.
[(Tecnica personale offensiva di natura psionica) ~ Consumo Basso]
Gli anni passati a girovagare e a imbonire la propria merce non possono che aver affinato le abilità retoriche di Vahram. Non è facile resistere alla sua insistenza e al suo naso per il negozio. Ogni cliente è ignaro di avere bisogni reconditi che solo gli occhi sagaci di un mercante possono notare. Imbonire è un’arte: è necessario saper indossare la maschera giusta davanti alla persona giusta, abbinare le giuste parole alle orecchie giuste e mostrare gli oggetti giusti agli occhi giusti.
Il vero lavoro di un mercante non è vendere le proprie merci, ma saper acquistare i propri clienti.
I consigli, le provocazioni, gli inganni e le minacce di Vahram possono essere tanto convincenti da persuadere chiunque. Chi ascolta le sue parole è portato a credere che tutto ciò che suggerisce sia una buona idea.
L'umiliazione o la sorpresa di essere stati gabbati o suggestionati si traduce in un danno Basso alla mente.

[ Manifestazione maggiore (Pergamene Ladro Servitore di tenebra) ~ Consumo Alto] La tecnica ha natura magica. Non è semplice contenere la furia e il cieco rancore di Giselle. Se sollecitati, si potrebbe essere testimoni di sinistri fenomeni e visioni, spettri emersi del presente o del passato mossi dall’unica pulsione di consumare ogni cosa che li circonda. Talvolta assumono indistintamente le sembianze di Giselle stessa, ma essendo il Ricordo di Cenere legato indissolubilmente anche alla mente di Vahram, potrebbero emergere dall’oblio dell’inconscio umano le effigi più criptiche e disparate del cavaliere, imitando persino equipaggiamento, voce, odore e aura di qualsiasi figura apparirà. La manifestazione potrà aggredire un bersaglio con un’offensiva che avrà una potenza effettiva pari al consumo della tecnica infliggendo un danno dello stesso livello. L’apparizione rimane attiva solamente nella fase di attacco, svanendo dopo aver compiuto l'azione offensiva nei confronti dell'avversario o chi per lui.

Ricordo di cenere
[Tecnica di potenza Media] La cenere potrà anche essere dominata non per infliggere danno, ma per piegare a sé l'avversario nel segno di un colpa deflessa nel passato. Attraverso un consumo Medio di energie, la cenere - come calamitata dal bersaglio - intaccherà il suo intero equipaggiamento poggiandosi su di esso e rimanendovi fissata. Come risultato, dopo istanti di quieta incertezza, l'equipaggiamento si polverizzerà e disperderà nell'aria insieme alla stessa cenere. In termini di gioco la tecnica agisce ad area - quindi con potenza di un livello inferiore al consumo energetico - su un oggetto che rientri nella categoria 'armi' di ogni avversario sul campo, infliggendo su di essi un danno Basso ciascuno. Altri oggetti come abiti, amuleti o acquisti effettuati presso l'Erboristeria saranno immuni al suo effetto.

Sunto:
Scusate lo specchietto ristretto e la qualità eventuale del post, am devo proprio scappare.
Tecnicamente prima Vahram usa Parola di mercante (Bassa) per ingraziarsi il capo delle guardie e convincerlo insieme ai suoi compagni di andare a prendere una birra insieme a lui e lasciare in pace Vagun e il tizio X.
Appena viene attaccato, usa Manifestazione maggiore (Alta) manifestando il fantasma di Giselle a scopo difensivo, parando così l'attacco (senza ovviamente cagionare danno alla guardia). Poi sparge una nuvola di fumo per tutto il vicolo utilizzando l'abilità sopra descritta dell'artefatto Ricordo di cenere con l'intento di distruggere le armi "primarie" di tutti e tre gli sgherri, così da cercare di demoralizzarli. Tutto il resto è scena. :8D:
Bon, scusate, ma devo fuggire. :look:

EDIT: corretto un errore nello specchietto




Edited by Orto33 - 21/12/2014, 23:07
 
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view post Posted on 22/12/2014, 06:53
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Suzushikei
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Dalle nebbie del passato...

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La cour des miracles
L'Armata dei Sonnambuli
Atto III

«Parlato (Umano)» «Parlato (Incubus)» Pensato Narrato



I tre rappresentanti della Guardia Insonne avevano scelto una ritirata strategica.
La loro scomparsa aveva riacceso gli animi degli avventori presenti all'interno della locanda.
Ls gente era ritornata ad immergersi nei suoi affari, rallegrati da canzoni di dubbia morale.
Se da un lato quella crisi era stata scongiurata, esistevano delle questioni che andavano risolte da troppo tempo ormai.
Al...
Lo cercai con lo guardo fino a scorgerlo confinato in un angolo buio.
Suppongo che a questo punto il primo passo tocchi a me. Riflettei tra me, mentre avanzavo lentamente nella sua direzione.
Mi fermai a pochi passi da lui.
«Grazie,... per prima...» mormorai.
Distolsi lo sguardo, incapace di sostenerlo. Non sapevo come far breccia attraverso la barriera che il passato aveva eretto tra noi, ma se volevo la verità non potevo indugiare oltre.
Inspirai profondamente per schiarirmi le idee.
«Ti ascolto. Suppongo sia arrivato il momento di conoscere anche la tua versione dei fatti.» lo fissai con espressione seria «Niente menzogne od omissioni... Non importa quanto sarà dolorosa o inaccettabile la verità... Voglio l'intera versione dei fatti.» Ero pronto al dialogo, ma solo se fosse stato completamente sincero con me.
Parve esitare nel pronunciare il suo nome, quasi stentasse a riconoscermi.
Era invecchiato di qualche anno, ma non ero sicuro che il suo volto mostrasse solo i segni legati allo scorrere del tempo.
La colpa di cui si era macchiata sembrava pesare sulla sua coscienza, ma non ero io il giudice al quale chiedere la propria sentenza.
Scaricare l'animo non sarebbe servito in quello stato in cui si trovava.
Mi mossi per seguirlo in quel suo incedere verso un sostegno per i suoi arti.
Questa volta non ricercai il suo sguardo, limitandomi a dare una risposta alle sue domande.
«Ucciderti?» Scossi la testa in segno di diniego «No, la vendetta non serve a nessuno. Sarei un ipocrita se mi rivalessi su di te.» Era una lezione che avevo amaramente imparato a mie spese «Questo non significa che ti abbia perdonato per le sofferenze che hai inflitto a Fanie. Le ferite fisiche alla fine guariscono, ma quelle dello spirito... E' tutta un'altra storia... D'altra parte non sta a me giudicarti. So cosa può fare un demone e spero che tu abbia compreso che, anche nella debolezza, mai e poi mai dovrai scendere ancora a compromessi con loro. I demoni distruggono ogni cosa bella possa esistere a questo mondo. Annichiliscono i legami, spazzano via la Speranza. Ingannano, ti tentano, ma ciò che ti offrono non è veramente il potere... solo l'illusione. Conducono l'anima alla dannazione e ti condannano alla solitudine e all'oblio.» Parole severe le mie, ma preferivo essere sincero. «Non si può tornare indietro e, sinceramente, non so se lei sarà in grado di guardare al futuro, di dimenticare, di perdonare. E' la tua prova; se vi incontrerete dovrai avere il coraggio di guardarla dritto negli occhi e dirle tutto. In quanto a me... è solo un caso se ci siamo incontrati. Non credo nel fato, ma nelle scelte che facciamo. Puoi fuggire da tutti noi, ma non potrai fuggire per sempre da te stesso. Voltati e guardami... Affronta i tuoi demoni!» Cercai di scrollarlo dal quel suo stato d'animo confuso in cui sembrava essere precipitato.
No, aveva ragione. Non conoscevo quasi nulla su di lui, la sua storia, eppure mi ero permesso di donargli alcune perle di saggezza non richieste, fuori contesto.
Anche lui portava delle profonde cicatrici nel suo cuore e, dopo lo scontro con Fanie, probabilmente altre si erano andate a sommarsi, rendendo la sua esistenza ancora più sofferta.

Gli avevo chiesto la verità.
...E la sua verità era di non sapere cosa fare...
Lo ascoltai restando in silenzio.
Non lasciai trasparire alcuna emozione, ma il suo cuore non era calmo. Non era facile nenache per me pronunciare quelle parole, argomentando delle azioni dannatamente difficili da fare proprie. «Vivere Al, devi vivere... e perdonare te stesso. So che può sembrare un controsenso dopo quello che hai fatto, ma la strada del perdono altrui, della redenzione parte da te stesso. Non è facile, le nostre colpe ci accompagneranno per tutta la vita, ma non possiamo cambiare il passato, non possiamo cambiare chi siamo stati...» restai in silenzio per alcuni istanti, lottando contro me stesso per proseguire. «Possiamo, invece, scegliere di essere persone nuove, sforzandoci di essere migliori. Non possiamo ripagare le sofferenze arrecate, ma possiamo espiare in modo che nessun altro possa provare quello che abbiamo inflitto agli altri nel passato. Possono sembrare parole vuote le mie, di un ragazzino che non sa cosa sia la vita vera... ma tu sai quale sia la mia ascendenza. A Qashra i miei fratelli mi hanno chiamato traditore, i miei alleati mi hanno considerato un loro nemico... Devo a Fanie se sono qui a raccontartelo. Un demone che combatte contro i propri simili per salvare degli innocenti. Assurdo, vero?» La mia espressione si fece malinconica. C'erano ferite che ancora sanguinavano nel mio animo «Loro non mollano la presa, Al... L'ho visto con i miei occhi... Una volta che sei in loro potere, sarai per sempre la loro marionetta a meno di non cancellare il contratto o estinguere i tuoi demoni...» Tornai serio. «Ti propongo un patto. Se davvero non vuoi più essere loro schiavo, dovessero ritornare, combatterò al tuo fianco... Che ne dici, Al?» Ero sincero, non volevo perdere più nessuno per colpa dei demoni.
La sua espressione sembrò distendersi, come se in parte si fosse tolto un gravoso peso sul sui cuore.
Cercò di drammatizzare mentre mi spiegava come fosse riuscito a liberarsi dalla possessione.
Loc Muinne, Basilica abbandonata, negromanti, esorcismo, bandire....
Alla parola “bandire” mi oscurai in volto.
Peccato che non sia stato sufficiente... Ma nessuno poteva udire il mio muto pensiero.
«Loc Muinne dici? Che coincidenza! Tempo fa sono andato con Mariha e Sullivanyus proprio in quella città per assistere ai dei festeggiamenti. Una strana esperienza, se devo essere sincero.» considerai.
Entrambi eravamo stati in quella cittadina, ma le nostre strade non si erano incrociate
«Al, se hai trovato un modo per cancellare un patto demoniaco vorrei saperlo, anche non dovesse piacermi. Ho un conto in sospeso con un demone antico ed intendo saldarlo!» Sentivo il sangue fluire al viso, quasi non riuscissi a controllare l'ira che mi saliva al ricordo di quel demone.
Lo vidi sorridere, lasciarsi andare in un commento, mostrandomi un assaggio di un potere arcaico che sembrava avvolgere la sua persona come un sudario invisibile, impalpabile.
Mi concentrai su quell'enigmatico mucchio di cenere che celava Al sotto il farsetto, tentanto di capire la sua natura.
«Interessante... Un patto che cancella un precedente patto.» Sollevai lo sguardo verso di lui «Non sarai mai libero... però... il sacrificio potrebbe valerne la pena...» mormorai come se stessi valutando la possibilità di seguire il suo esempio «...Ma non vorrebbe che arrivassi a tanto...» Zaide non l'avrebbe voluto. Mi destai da quell'allettante malia «Non lo so, Al...» Mi sentivo confuso.
«Ehm... a dire il vero, come ti ho detto, non è che l'abbia voluto.»
«È avvenuto tutto per puro caso. Diciamo che ho toccato qualcosa che forse era meglio toccare... ma in fondo non è poi così male. La notte mi capita spesso di avere degli incubi... ma di certo ora mi sento molto meglio rispetto a prima.»
«Be'? Che mi racconti, achper? È da un'eternità che non ci vediamo.» Cercò di sdrammatizzare.
Trascorremmo il tempo l'uno raccontando all'altro gli avvenimenti occorsi in quel lasso di tempo.
E mentre parlavamo, la barriera si riempì di una miriade di crepe, fino a quando s'infranse in tanti frammenti luminosi.

Uscii dalla locanda alla ricerca di Vagun, che era riuscito a sfruttare la nostra distrazione, dileguandosi alla nostra vista con una certa maestria.
Mi ero congedato da Al, dopo esserci ripromessi di non perderci di vista.
Purtroppo non ero riuscito ad accomiatarmi da Arsona, che avevo perso di vista nel mentre della mia conversazione.
Mentre mi guardavo in giro non mi sfuggirono dei lamenti sempre più sommessi, intercalati da voci minacciose.
Accelerai il passo per trovarmi davanti una scena inquietante.
Il goblin e un tizio sconosciuto erano riversi a terra, in condizioni pietosi, esanimi, mentre su di loro stavano infierendo a suon di percosse i tre soldati della Guardia Insonne.
Un possente nano stava prendendo le difese di quei due sventurati.
Aggredire il nemico in un vicolo buio... Puah! L'onore deve proprio essersi eclissato dalla faccia della terra! Non siete soldati, siete luridi briganti di montagna! Un ammasso di putride carogne!»
«Nella locanda non avete osato alzare un dito, per paura che vi spaccassero il vostro bel faccino! Prendetevela con qualcuno della vostra taglia, se vi é rimasto un briciolo di dignità!»
Avrei voluto applaudirlo.
«Non avrei usato un eloquio così forbito, ma la sostanza del discorso credo sia la stessa.» osservai con una sfumatura gelida nel tono della voce. «Ora lor signori, avete due scelte: potete accettare il gentile invito di questo messere oppure eclissarvi lasciando alle nostre cure queste persone di cui vi siete fatti così amorevolmente carico.» socchiusi volutamente gli occhi, fissandoli con aria minacciosa.
Mi avvicinai di qualche passo.
Purtroppo non sembravano sentire ragioni.
Un vero peccato visto che la mia dose di pazienza stava raggiungendo il limite.
In quel momento mi sentii tirare da qualcuno che mi aveva afferrato per la spalla.
Riconobbi la voce di Al.
Con le sue parole cercò di riportarci, di riportarmi alla ragione.
Un'azione avventata poteva provocare spiacevoli conseguenze a chi abitava questa zona della città.
Ne ero conscio, però...
Mantenni lo sguardo fisso sulle due guardie rimaste, la terza sembrava aver scelto di allontanarsi dal luogo del pestaggio. «Il Bene Superiore, eh?» mi sforzai di mantenere il tono di voce calmo. «Li lasciamo a subire le loro angherie come tributo per proteggere il resto del quartiere. E' questo che mi stai chiedendo? La loro sofferenza per il bene di chi? Di chi non penserebbe a pugnalare gli altri alle spalle per il proprio tornaconto o per una popolazione che ha perso la Speranza di un futuro migliore?» Non accennai ad indietreggiare.
«Ti sto annoiando perché sono preoccupato per la loro salute? Sono praticamente in fin di vita, non vi siete sfogati abbastanza? Non avete ottenuto quello che volevate? Lasciateceli soccorrere. Posso curarli prima che sia troppo tardi. Vi costerebbe così tanto un gesto di magnanimità?» considerai, rivolgendomi alla guardia che mi aveva, non troppo velatamente, minacciato.
Mi guardai attorno alla ricerca di una via di fuga in caso la situazione si fosse fatta “complicata”.
Se la diplomazia di Al non avesse funzionato avevamo solo due scelte. Fuggire con i due esanimi o combattere.
La proposta di una bevuta gratuita era allettante, ma non sembrò ottenere l'effetto sperato.
All'improvviso tutto degenerò e mi ritrovai il solo a non essere stato coinvolto nello scontro.
La stessa Arsona, appena sopraggiunta, era passata all'attacco.
Era proprio vero che i piani non sopravvivevano alla loro attuazione.
Approfittando della distrazione delle due guardie rimaste, scattai verso Vagun.
Il goblin non aveva un bell'aspetto.
Vista l'entità delle ferite il mio potere di guarigione avrebbe giusto permesso al goblin di camminare da solo, peccato che non sembrava cosciente.
Lasciai fluire l'energia magica curativa all'interno del suo corpo, mantenendo uno sguardo vigile su quanto stava accadendo.
Ero preoccupato per entrambi i feriti.
In qualche modo dovevamo portarli via e io, al momento, potevo al massimo trasportare Vagun.
Mi serviva aiuto.

Energia: 90% = [100 - 10, Tocco Curativo]%
Danni fiisci e mentali: //
CS
[Riflessi 3, Intuito 1], «Kirin l'umano»
[Intuito 2, Intelligenza 2], «Zeross l'incubus»

Pietra Lunare della Percezione, amuleto dell'auspex
Auspex Magico, passiva Liv.III Arcanista

Tocco Curativo

L'incantesimo inscritto in questa pergamena permetterà al mago, una volta che l'abbia imparato, di risanare ferite di lieve entità [massimo livello: Basso]. La magia curativa si attiverà attraverso il contatto del palmo di una delle mani, illuminato da un alone azzurrino, sulla lesione.
Note: Guarigione di Natura Magica.
Consumo di energia: Medio.

Note: Come da Confronto.

 
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view post Posted on 24/12/2014, 00:28
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Bigòl
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La Cour Des Miracles
L' Armata dei Sonnambuli
I



I drew the tales of many lives
And wore the faces of my own




Una scintilla lampeggiò nelle iridi scure delle guardie. Albrich percepì un fremito, lieve come un refolo di vento, percorrere il loro corpo e vide i loro sguardi smarrirsi nell’ aria caliginosa della locanda. Quel bagliore fioco che per un istante il nano aveva potuto scorgere in fondo agli occhi dei tre era lo stesso che dilagava ogni giorno nel profondo delle pupille delle donne, mentre il loro padre, il loro marito o il loro figlio pendeva mollemente dalla forca, con il collo in frantumi ed il respiro ancora intrappolato nel petto gonfio; era lo stesso che si poteva scorgere tra le lacrime dei bambini gettati a mordere il fango della strada, bambini che nemmeno sanno pronunciare la parola rivoluzione ma che vedono le fiamme divorare la loro casa e i Cani Bradi contendersi ringhiando i corpi carbonizzati dei loro genitori. Era paura, il sentimento più democratico che gli dei avessero piantato nel cuore dell’ uomo. Ognuno, per quanto stabile ed appagante la sua vita possa essere, ha almeno una volta sperimentato il brivido della paura scendere gelido la propria schiena. Certo, la paura sincera, quella che affonda nello stomaco, rimaneva una sensazione che solamente pochi potevano dire di aver provato; perché la vera paura è figlia delle speranze infrante, è la desolazione di chi osserva , senza poter fare nulla, tutto ciò che fosse mai riuscito ad amare dissolversi in un pallido nugolo di fumo.
La paura gettava su ciascuno ombre differenti, del resto e la voce docile del capitano dai ridicoli baffi impomatati, che intimava con poco più di un mormorio silenzio e sobrietà era una prova di quanto la paura che avevano provato gli Insonni a vedersi davanti i musi dei brutti ceffi che popolavano la Grazia Malevola fosse nulla più di un banale attaccamento alla pellaccia.
Albrich sentì un sorriso arrogante affiorare da quel suo cuore atrofizzato,lasciato ad appassire da qualche parte in lui come un fiore reciso. Con un unico gesto fluido,posò sul tavolo che aveva innanzi la mano che sino a quel momento aveva accarezzato l’ impugnatura del Frantumatore come se spasimasse per poterlo brandire con la decisione di un tempo. Basiledra stessa era piena di gente che aveva sentito la vera paura svuotargli il torace,mozzar loro il fiato; quella era semplice codardia. Non valeva nemmeno la pena sprecare le forze, per dei vermi simili.
La fiamma di rancore che gli consumava le viscere smise di ruggire a poco a poco dopo che l’ uscio della taverna fu finalmente chiuso. Il nano non provò nemmeno a consumare ciò che restava del suo pasto: la zuppa era ormai fredda, le frattaglie avevano perso consistenza, diventando informi e gelatinose, come se fossero state appena rimosse dal ventre aperto di una pecora. Non sarebbe riuscito comunque a cacciarsi in gola gli avanzi quella brodaglia nemmeno se fosse stata cucinata e servita in quel medesimo istante: la sua testa era altrove, tra quei ricordi sbiaditi, tra le memorie che aveva lasciato sul ciglio di qualche strada di periferia o sul fondo vuoto di qualche bottiglia di liquore.
Non poteva dire di aver sentito la paura in quei giorni maledetti. Era una carcassa, uno spettatore inerme e passivo delle disgrazie del mondo, a cui non faceva differenza se i Cani Bradi facevano a pezzi un presunto sovversivo davanti ai suoi occhi , perché non temeva – anzi, desiderava con tutto sé stesso – una simile fine. Di marcire nelle segrete del Cuore di Marmo non se ne parlava: non c’ era nemmeno un goccio di vino laggiù ;sarebbe finito di certo per impazzire. In tutta risposta aveva lasciato che il marcio scavasse in lui sino all’ osso, lentamente, facendo del suo corpo niente più di un guscio vuoto, incapace di sentire. Il liquore gli rimestava i sentimenti sino a renderli indistinguibili; certe volte era talmente sbronzo che nemmeno sapeva se quel flusso di immagini annebbiate che passavano davanti agli occhi fossero sogno o realtà. C’ era poi da stupirsi, se pregava di nascosto, sottovoce, perché facessero di lui un pendaglio da forca? Non riusciva più a sostenere il peso della vita. Era un avanzo, troppo insignificante, troppo miserabile, troppo solo per affrontare il mondo. L’ alcol, quel fuoco vivo che gli infiammava il torace, era allo stesso tempo ciò che lo logorava e ciò che lo teneva sano di mente. Non c’ era spazio in lui per sentimenti umani, allora.
Albrich crollò il capo con forza e si costrinse a pensare ad altro. L’ oste lo osservava con le sopracciglia inarcate, confuso; si accorse di aver fissato il rancio che galleggiava nella ciotola sino a quell’ istante, con il gelo negli occhi, come se avesse visto nella broda oleosa chissà quale infausta profezia. In risposta a quell’ occhiata piena d’ inquietudine il nano grugnì, allontanando da sé gli avanzi della zuppa mentre lasciava spaziare libero lo sguardo per la taverna.
Nella Grazia Malevola regnava ora la concordia e il buonumore; ci voleva così poco a volte, pensò, per far cessare i battibecchi: basta trovare a un manipolo di uomini che sbavano per fare a pugni qualcuno da odiare ed il gioco è fatto. Quelli che avrebbero voluto sbattere le proprie nocche sul grugno dell’ altro, o passarlo a fil di lama ora brindavano assieme al proprio nemico, facendo risuonare i pesanti boccali di peltro come fossero campane il giorno di festa.
E c’ era anche chi cantava, oh sì: un coro di voci roche, consumate dalla birra come suole di stivali che lanciavano urla al firmamento. Del piccoletto verde non c’ era più alcuna traccia: doveva essersela battuta poco dopo che le guardie erano uscite di scena. Era davvero un grosso peccato, pensò il nano passando i polpastrelli nella sua folta barba: chissà che altro avrebbe combinato quell’ omiciattolo dallo sputo facile. Ora che quel moscerino verdognolo aveva fatto perdere le proprie tracce, nella locanda c’ era calma piatta: era illudersi sperare che senza quel baro alto un soldo di cacio a combinare casini potesse succedere ancora qualcosa per cui valesse la pena restare con il sedere poggiato allo sgabello. Albeggiava ormai, ed in quell’ umido buco nella terra non era rimasto più nulla da vedere.
Questa consapevolezza scese come un’ ombra sul volto emaciato del nano, scavandogli un lungo solco attraverso la fronte; aveva passato la notte lontano da sé stesso, che era più di quanto si sarebbe mai aspettato da una serata del genere, ma ora era tempo di lasciare ciò che rimaneva di quella giornata all’ allegria ed al canto.

“Peccato … un vero peccato”



Mormorò Albrich, chiuso in sé, mentre si avvolgeva stretto nella sudicia cappa di iuta.
Un paio di monete di bronzo tintinnarono davanti agli occhi gonfi e sanguigni dell’ oste, strizzato come un vecchio straccio dagli sconvolgimenti di quella sera, che se li infilò in silenzio sotto il grembiule. Il nano spalancò le imposte, lasciando che l’ aria del mattino, cruda e uggiosa, gli si riversasse nei polmoni. Nessuno si sprecò di osservarlo mentre a piccoli passi abbandonava quel luogo; se ne andò nello stesso modo in cui era arrivato, perdendosi nei vicoli bui, anonimo, come se non fosse mai esistito. Ed in fondo ad Albrich andava bene così.



Era difficile dire cosa si aspettasse di fare, una volta valicata la soglia della Grazia Malevola: lasciare le briglie dei propri pensieri, meditare, seguire la via tracciata dalla brina mentre il sole sorgeva dal nero delle foreste. Mai si sarebbe immaginato di rivedere così presto quel goblin dagli occhi furbi e guizzanti. Dapprima, Albrich udì solo un lieve lamento, quasi un muggito, provenire dai vicoli di dirimpetto alla locanda. Poteva essere la voce del vento, che pareva amare intonare la sua lugubre melodia negli anfratti più desolati della capitale. Ma il lamento divenne quasi il latrato di un randagio preso a sassate, crescendo sempre più, sino ad arrivare ad essere vere e propria urla di dolore. Il nano non fece in tempo a chiedersi cosa potesse succede a quell’ ora morta in quei dintorni popolati solo di notte che vide e fu costretto a capire. Riconobbe l’ esile figura del baro con la faccia bitorzoluta che baciava la terra, rantolando. Sopra di lui, un ombra: fu in grado di riconoscere gli stivali che affondavano nel petto del moscerino e la divisa che ad essi si accompagnava. Il sangue gli si fece lava nelle vene. Cocci di parole gli rimbombavano nella testa, come i colpi di un maglio che gli colpiva le tempie.

* Co … da … rdi , codardi, codardi, CODARDI *



Dodici contro tre, non c’ era partita, meglio ritirarsi, aspettare nell’ ombra. Ora erano tre, ben armati e bardati di tutto punto, contro un solo, piccolo, insignificante orchetto che poteva difendersi solo con le unghie e con i denti: adesso sì che si cominciava a ragionare. La Guardia Insonne, le genti del nord, educate alle virtù militari sin dalla culla, si accanivano di nascosto contro un malcapitato senza dargli nemmeno la possibilità di difendersi. Avevano già reso il servizio completo ad un povero disgraziato steso a terra, forse morto, la cui sagoma era appena visibile all’ ombra del vicolo. Il fuoco sibilò nel ventre del nano , dilagò, esplose,trovò nella bocca una valvola di sfogo. Albrich urlò, forte come non ricordava di aver mai urlato nella sua lunga vita,con quella sua voce profonda e aspra. Urlò e per un gli parve di sentirsi più leggero, come se avesse lasciato cadere per un istante il fardello che gli gravava sul petto.

" Aggredire il nemico in un vicolo buio... Puah! L' onore deve proprio essersi eclissato dalla faccia della terra! Non siete soldati, siete luridi briganti di montagna! Un ammasso di putride carogne!"
Inspirò con violenza, sputando a terra l’ amaro della sua bocca.
"Nella locanda non avete osato alzare un dito, per paura che vi spaccassero il vostro bel faccino! Prendetevela con qualcuno della vostra taglia, se vi é rimasto un briciolo di dignità! "



Il mondo sembrò essersi fermato. I tre insonni si bloccarono di colpo, con la schiuma alla bocca, rivolgendogli sguardi carichi del più vivo disprezzo. Albrich, con sua grande sorpresa, di vide affiancato da due figure che emergevano dall’ antro della Locanda. Il ragazzo dai capelli di rame, uno degli avventori al tavolo del goblin, giunse a dargli man forte

“Non avrei usato un eloquio così forbito, ma la sostanza del discorso credo sia la stessa.”
“Ora lor signori, avete due scelte: potete accettare il gentile invito di questo messere oppure eclissarvi lasciando alle nostre cure queste persone di cui vi siete fatti così amorevolmente carico.”



Quelle parole fecero credere per un secondo al nano che il fato avesse cominciato ad essere benevolo con lui. Si lasciò sfuggire un commento che sapeva di ironico.

“Uh, è arrivata la cavalleria”



Certo, non era la guardia imperiale in assetto da combattimento, ma aveva davvero il diritto di giudicare un dono del cielo? Si insinuò in lui la gelida consapevolezza che senza l’ aiuto di quei due, sarebbe presto finito a rantolare lungo disteso al suolo, insieme a quel disgraziato di un goblin.

“Attento a ciò che chiedi, mezz'uomo, potresti addirittura ottenerlo.”
"Sono io a darvi una scelta, moccioso. Andare fuori dai coglioni da vivi. O continuare ad annoiarmi, e finisce che vi
mando fare compagnia al vostro amichetto verde"



Quel milite dai baffi ridicoli credeva in quello che diceva? Pensava davvero che una minaccia gettata a mezza voce sarebbe bastata a far desistere un nano folle di rabbia e senza più nulla da perdere dallo spaccare almeno un paio di costole a qualcuno di loro prima di crollare al suolo? Era irreale persino considerarla un’ ipotesi. A che gioco stavano giocando, quei tre vermi di terra? Una goccia di sudore scese lenta e fredda lungo la spina dorsale di Albrich. Uno delle tre milizie aveva cominciato ad indietreggiare, staccandosi dal gruppo. Il nano sigillò le labbra, chiudendosi in un silenzio di pietra. Che stava a significare? Se la batteva di gran lena, lasciando i nemici in sovrannumero? No, era una riflessione che non stava in piedi. L’ unica soluzione possibile a quel dilemma, considerando l’ andatura blanda con cui metteva un piede innanzi all’ altro, era che si stesse allontanando per tentare di racimolare qualche truppa di rinforzo. Non era un’ idea rassicurante, per nulla.
L’ uomo dal profumo esotico, il mazziere dallo sguardo vispo ed il sorriso affabulatore che era quasi riuscito a strappare a Chett e la sua cricca un bel gruzzolo in monete d’ oro si interpose prontamente tra il nano, il ragazzo dalla chioma rossa e le tre guardie. Quasi, dal groppo che aveva in gola, scaturiva un debole sorriso nel vedere con quanta abilità e sagacia l’ uomo dalla pelle ambrata tentava di piegare con la retorica la mente degli Insonni. Il nano, dal canto suo, non credeva affatto che una parlantina fluida e pacata sarebbe stata più efficace di una violenta capocciata assestata nel punto giusto, ma si guardò bene dall’ esternare queste sue considerazioni.

“Ma per carità! Lasciate stare quei due disgraziati; gli avrete rotto sì e no due o tre costole! L'hanno capita di sicuro la lezione. Piuttosto, conosco un posto meraviglioso qui vicino. Fanno la birra più buona del quartiere. Che ne dite? Una birra? Per farci perdonare. Chi vuole una birra? Avanti, offro io. Sempre meglio che star fuori al freddo a pestare la gente”



Ci andò vicino, molto vicino. Il soldato dai baffi arcuati mostrò all’ offerta un molle sorriso di accettazione. Albrich stava quasi per osservare sotto una nuova luce il potere della retorica quando dalle retrovie si udì l’ urlo di una testa calda che si lanciava all’ attacco.

“E VA BENE, 'STI FICCANASO SE LA SONO ANDATA A CERCARE!”



In un lampo, lo stallo si tramutò in guerra aperta. Urla, strepiti, il sibilo delle lame sguainate. Il poderoso colpo del soldato si infranse nel nulla. L’ aria si riempì di cenere nera. Ombre danzavano lungo le pareti scrostate. Albrich era lì, immobile, sommerso da questo soverchiante conflitto di forze. I suoi occhi scorsero il movimento repentino delle gambe del fuggiasco, che approfittava dell’ esplosione di violenza per chiedere aiuto. Non sarebbe andato molto lontano, decise Albrich senza preavviso. Il Frantumatore scivolò tra i suoi polpastrelli come se l’ incavo delle sue dita fosse la sua sede naturale. Fu allora che la runa venne invocata. Schiantò il maglio al suolo e la terra si aprì. Avrebbe cinto il fuggiasco nel suo abbraccio materno, bloccandogli la fuga e impedendogli di allontanarsi dalla ressa.

“Kazàd ai- mènu!!!”



Il grido di battaglia della sua terra gli riempì la bocca, facendo vibrare le pareti umide e gocciolanti del vicolo. “I nani vi assaltano”;era ciò che stava succedendo: un’ altra minuta figura, un ombra dalla voce familiare, aveva preso parte in quella festa isterica. Il giovane dai capelli color rame nel frattempo si era precipitato sul goblin e sull’ altra vittima di quella insensata rappresaglia, tentando di lenirne i dolori.
Albrich non sapeva cosa accomunasse coloro che avevano deciso di difendere quei due derelitti calpestati, se fosse nobiltà d’ animo, la ricerca della redenzione, la sofferenza, l’ orgoglio o l’ odio per il regime degli Insonni. Lui nemmeno conosceva quell’ uomo dalla barba color carbone e la lingua affilata che gettava contro i tre ondate di fuliggine. Lui non sapeva chi fosse quel ragazzo dalla voce di ghiaccio che lo aveva fiancheggiato quando il sudore cominciava ad imperlare la sua fronte. Quanto all’ ultimo di quella disperata armata, nemmeno sapeva se fosse con certezza un nano, come aveva tentato di dedurre. Tuttavia, si sentiva vicino a loro, inspiegabilmente. Sentiva il suo cuore, malato e raggrinzito , battere all’unisono con quei petti vigorosi e freschi e gli sembrava a sua volta di acquisire vigore e freschezza. Sentiva di aver ritrovato, da qualche parte in sé, un motivo per reagire. Ed in fondo ad Albrich andava bene così.


Albrich




Classe: Guerriero
Razza: Nano
Talento: Avanguardia I
CS: 1 Forza 1 Costituzione

Stato Fisico: Illeso (100 %)
Stato Psicologico: Illeso(100%)
Stato Emotivo: inferocito
Energia: 70%

Equipaggiamento:


Mjolnir(Mano destra) [in uso]
Varja (Mano sinistra) [riposto]
Desperia, ascia bipenne [riposta]


Tecniche attive:

1)
CITAZIONE
Runa Frangiterra

(Abilità personale)>> Attiva

La Runa Frangiterra si disegna sull' avambraccio destro del nano, sottoforma di solchi alcalini simili alle increspature della terra ruvida ed arida del deserto. Una runa leggendaria ed arcana che pare trovi la propria origine dal genio demiurgico del sommo monarca nanico Dvalin. Nelle leggende che ancora sembrano risuonare nel canto del fuoco, il signore dei nani utilizzo l' immenso potere della runa per aprire un gigantesco valico tra una massiccia catena montuosa che bloccava il suo cammino. Albrich non è tuttavia così abile da poter sprigionare del potere occulto della runa allo stesso modo del suo ideatore. Il nano riesce tuttavia, concentrando l' essenza della runa nelle nocche del proprio pugno destro, ad aprire profonde voragini in qualsiasi tipo di suolo, impattando un pugno di incredibile potenza al terreno. A livello di gioco la tecnica si concretizza nella creazione di una spaccatura nel campo di battaglia, abbastanza profonda ed ampia per fare sprofondare sino al bacino l' avversario. la tecnica dura un singolo turno di attivazione e blocca totalmente gli arti inferiori del contendente, lasciando però libertà di movimento al di sopra del tronco .La tecnica ha natura Fisica e un consumo pari a Medio; come tale può essere contrastata da una tecnica di potenza Media o superiore.

2)
CITAZIONE
Runa del Fragore

(Pergamena "ruggito di guerra"il guerriero emette un suono impressionante, in grado di spaventare i nemici circostanti.)
>>Attiva

Per un nano, un infimo, inconsistente nano, solo gli dei sanno quanto sia difficile essere ascoltato; nel furore della battaglia, nel cacofonia della ressa, un nano può fare due cose: chinare le testa, o alzare la voce. Della sua tonante voce, profonda come una grotta, Albrich non ha fatto solo ed unicamente motivo di mero orgoglio personale. Essa è il ruggito di uno spirito guerriero. Essa l' afflato della grande audacia che dimora in un corpo così piccolo. Nemmeno l' occhio più impassibile, nemmeno la spada più ferma può placare l' angoscia che tinge gli animi quando il boato della sua voce si spande nell' aria. Uomini dalla mole possente hanno tremato come verginelle impaurite, lieve timore è balenato negli occhi di impavidi soldati. Tutti, costretti a riconoscere quanta grandezza dimorasse in un cuore tanto piccolo.

La tecnica ha natura Psionica ad Area ed implica un consumo pari ad Alto, cagionando un danno pari a Medio alla psiche di ogni vittima.

Tecniche passive:

CITAZIONE
Runa del Nerbo:
(Talento I: Avanguardia)
>> Passiva


Ciò che contraddistingue Albrich è chiaramente una straordinaria prestanza fisica. La muscolatura allenata oltre ogni dire di questo individuo gli permette infatti di brandire armi o scudi di dimensioni ragguardevoli, difficili da padroneggiare per qualsiasi altro. Ciò si traduce nella possibilità di utilizzare, ad esempio, due grosse asce - una per mano - senza risentire quasi del loro peso, oppure di portare senza fatica un grande scudo in battaglia. In termini tecnici, i possessori di questo talento potranno utilizzare armi di grandi dimensioni come se fossero equipaggiamenti normali.


Runa dell’Acume
>>Passiva
(Pergamena “Tattiche di combattimento”: il guerriero acquisisce le conoscenze necessarie a sfruttare tatticamente l'ambiente circostante. In uno scontro ciò potrà anche tradursi nell'abilità di vincere scontri fisici a parità di CS, grazie alla superiore conoscenza del terreno di scontro da parte del guerriero.)

Non c’ è nulla di più importante per un guerriero che entrare in simbiosi con il campo di battaglia, analizzarlo, coglierne le impercettibili sfumature che ad un occhio meno esperto, ad un animo meno temprato, sfuggirebbero come l’ acqua serpeggia silenziosa tra i bianchi ciottoli di un torrente; Se tale coscienza è essenziale per un combattente, per un nano, un infimo, sottovalutato nano, è questione di vita o di morte. Se per un nano tale conoscenza è questione di vita o di morte, per Albrich, nello scorrere impetuoso degli anni, è diventata una questione d’ onore. Con quasi un secolo alle spalle,con troppe cicatrici ancora aperte ed il forte sapore della guerra sempre e costantemente sulle labbra, Albrich ha visto davvero un sacco di cose. I suoi piedi hanno calcato la nuda roccia, le fredde vallate del nord, sono affondati nella neve fresca. Il suo animo non ha vacillato dinnanzi alla natura crudele dell’ Akeran, né dinnanzi al cupo squallore dei bassifondi più torbidi. Ovunque si trovi, è stato di certo in un posto simile, sebbene peggiore, del quale conosce a mente punti deboli e punti di forza. Il campo di battaglia non ha più segreti, per l’ orgoglioso Albrich Durno Jovill Saemund Brisgamet Rotghaar.



Runa della Razza:
(Abilità Razziale)
>> Passiva


La razza dei nani gode da sempre di una particolare predisposizione alla vita dura, cosa che li ha resi nei secoli famosi per la loro tenacia senza pari; abituati a vivere nelle condizioni più abiette (sotto terra, dove la roccia viva non offre occasione di coltivare o allevare grandi quantità di vegetali e animali), i nani sono col tempo divenuti meno sensibili delle altre razze alla fatica fisica. Ciò si traduce, all'atto pratico, in una resistenza alla fame, alla sete, all'affaticamento del corpo dovuto a lunghi viaggi o combattimenti estenuanti. In termini di gioco un nano non sentirà i morsi della fame, non avrà bisogno di bere se non quando gli aggrada e non risentirà della fatica durante il combattimento, anche qualora questo dovesse protrarsi a lungo; ciononostante sverrà al 10% delle energie come qualsiasi altro.

Note: Come da confronto. Spero sia di vostro gradimento gente!
 
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19 replies since 16/11/2014, 20:56   518 views
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