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Lòthspell aprì gli occhi, richiamato dall'eco remota nella sua mente. Il paesaggio, attorno a lui, non mutò: le tenebre lo avvolgevano ancora come un sudario d'oscurità in grado di eclissare perfino le stelle più luminose. Il concetto stesso di occhi, del resto, non aveva alcun senso, come anche quello di mente. Lì, nell'Oneiron, il Viandante non aveva forma nè materia. Era soltanto un'idea, un concetto. Pura potenza in attesa di essere trasformata in atto. Era, in poche parole, un sogno.
« Sai, ho scoperto l'ironia, di recente. La trovo una cosa meravigliosa. » Commentò in tono pacato, la voce venata da una lieve inflessione di divertimento. « Il sognatore che chiede al suo sogno di svegliarsi. » Era quello il punto in cui le sue labbra si sarebbero increspate in un sorriso beffardo.
« Non lo trovi anche tu... ironico? »
Theras. E' lì che devi cercarmi.
Proseguì la voce in quel suo mormorio a stento udibile. Era del tutto atona e impossibile da definire: poteva trattarsi di una bambina con gli occhi ancora colmi di speranza come di un vecchio dal volto solcato dalla sofferenza. In realtà non era neanche umana, o quantomeno non assomigliava a quelle delle altre persone incontrate da Lòth nel corso dei suoi viaggi. Era il gorgoglio di un fiume, il sibilo del vento, l'acciottolio della ghiaia, il frusciar di foglie. Era tutto questo e molto altro e niente di ciò.
Thera- « Sì, ho capito, » la interruppe.
Erano giorni ormai che la voce ripeteva quella parola, con insistenza sempre maggiore. In quel lasso di tempo Lòth non era rimasto a far niente: aveva scandagliato le visioni che germogliavano e sfiorivano attorno a lui, aveva solcato i sogni degli essere viventi ed esplorato i loro pensieri, fino a quando non aveva trovato ciò che gli interessava. Ora sapeva dove doveva andare. Ora era pronto. Un varco spaziale sbocciò dalle tenebre davanti a lui, si dischiuse nel vuoto come i petali azzurri di un fiore notturno. Oltre di esso scorgeva un paesaggio indistinto eppure allettante.
Lòthspell, il Viandante dei Mondi, il sogno, varcò il portale.
~
Y M S H L I N G dicotomia di un sogno
Una leggera brezza gli accarezzò il volto etereo e impalpabile. Inspirò a fondo cercando di non lasciarsi sfuggire neppure il più flebile sentore. Profumo di ossa triturate, cenere e sabbia. Era l'odore dell'immensità, della desolazione. Ma c'era anche altro: la fragranza liquida dell'acqua, l'aroma dolciastro dei fiori e, più lontano ma in avvicinamento, il tanfo di una qualche bestia indefinita. Aveva già sperimentato quelle sensazioni, nelle sue infinite peregrinazioni: un deserto, lo seppe prima ancora che i suoi occhi finissero di formarsi nel tumulto ribollente del suo volto, un ammasso di sottili filamenti d'ombra che si torcevano e attorcigliavano per comporre la trama delle sue mortali fattezze. Del resto, quel mondo di carne corruttibile e materia in decomposizione richiedeva una forma più appropriata, più... concreta - ma non troppo, almeno per ora. Lòthspell si erse in tutta la sua statura, una figura perentoria e dissonante nella monotonia del paesaggio. Il suo corpo era pura notte, più nera di quella distesa sul mondo circostante; i suoi occhi pallidi come la luce lunare che risplendeva su di lui. Le membra erano spettrali ed evanescenti, quasi che un soffio di vento più deciso potesse disperderle via nell'universo. Si guardò intorno: nel cielo, dove lampeggiavano le stelle, si librava una maestosa creatura delle ampie ali membranose: essere reale di quel mondo, o residuo di un sogno che dall'Oneiron l'aveva seguito fin laggiù? Difficile a dirsi. In ogni direzione si allargava il deserto, sconfinato. Da una parte dolci dune dai crinali arrotondati si estendevano a perdita d'occhio, una uguale all'altra, fino all'orizzonte; dall'altra complesse formazioni rocciose si ergevano dalla sabbia, archi e obelischi di dura arenaria. Lui però si trovava su un rilievo al centro di una specie di conca naturale bordata da un pendio circolare alto una decina di passi, come il cratere lasciato sulla terra dal pugno chiuso sferrato da un gigante. L'oasi era piccola ma accogliente, con una pozza d'acqua cristallina, palme profumate e una rigogliosa vegetazione; più in là, scorse quello che riconobbe come un pozzo. Si curvò per raccogliere una manciata di sabbia; i granelli erano fini e ruvidi, sfregavano sulla sua pelle d'ombra mentre li lasciava ricadere; una sensazione strana, ma non spiacevole. Con le mani a coppa attinse al laghetto: l'acqua era gelida e lo colse di sorpresa, mandandogli un brivido lungo il corpo. Sensazioni, stimoli, percezioni. Ogni colore, ogni sfumatura, suono, profumo, ogni minimo dettaglio costituiva per lui un microcosmo di esperienze che non smettevano mai di affascinarlo, limitato com'era nel suo interagire col reale dalla propria essenza onirica.
Non prestò da subito attenzione alle parole del fauno, assorto com'era nei suoi pensieri; solo quando l'eco della sua voce si fu inaridita fra la sabbia Lòthspell abbassò lo sguardo per appuntarlo con fredda curiosità sulla creatura prostrata ai suoi piedi. Lo credeva forse un dio? Non sarebbe stato troppo lontano dal vero, perchè tale era rispetto a quell'ammasso di carne sfaldata e pelo arruffato, così come a tutti gli altri esseri soggetti al dominio implacabile del tempo e del decadimento. Lo studiò per qualche istante: aveva figura vagamente umanoide, ma le gambe caprine con zampe dure come zoccoli e un grugno animalesco; gli arti superiori, da bestia, terminavano in minacciose grinfie artigliate. Nei grandi occhi acquosi scintillava la fiamma di un'intelligenza ferina, più istinto che ragione.
« Emissario del Gelo? Lòthspell è il mio nome » precisò il Viandante. « E tu chi saresti, strana creatura? »
Gli chiese, mentre con un gesto di accondiscendente superiorità lo invitava a rialzarsi. Al suo fianco, la notte si coagulò in una massa di tenebra informe, risucchiando la luce delle stelle e i suoni dell'universo, prima di partorire dal suo grembo scuro un nuovo essere d'ombra. L'ultimo arrivato era ben più imponente del Viandante, possedeva un fisico massiccio e lunghi arti poderosi. Il suo corpo era un conglomerato di fluida oscurità che vorticava pigra e lenta in superficie.
« Come vedi, non mi serve un compagno di viaggio. Lui è Tanæquil » annunciò indicando il golem d'ombra.
« O forse dovrei dire, io sono Tanæquil. Siamo parti della stessa entità, perfetta e finita in sè e per sè. »
Il suo tono era indulgente, come di un adulto che debba spiegare a un bambino qualcosa di ovvio per lui ma incomprensibile a quest'ultimo.
« Niente che tu possa capire, cucciolo. »
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