Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Rou ~ Verlos

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K i t a *
view post Posted on 29/12/2014, 11:41




CITAZIONE
Continua da qui.

Non era mai successo che lo spiazzo polveroso di fronte alla cava ospitasse tante persone. Misdra detestava quella situazione, sia perché da uomo rigoroso qual era, non tollerava il vociare caotico che ormai da giorni gli massacrava le orecchie, sia perché un fottuto demone si era impossessato delle sue miniere, e forse tra le due cose questa era quella che maggiormente lo urtava. Non solo per la presenza del mostro, ma perché Akym, il rampollo del proprietario di quella zona delle Hooglans, aveva ben pensato di prendere le veci del capo, come se il solo fatto di condividere lo stesso sangue potesse superare quello di avere ancora il mento sporco di latte materno. Era poco più che un ragazzo, che detestava sporcarsi e stare troppo tempo sotto la luce ardente del sole, eppure andava in giro con il naso per aria, dispensando ordini ai suoi uomini, che Misdra vedeva scambiarsi occhiate truci tra loro, desiderosi di mettere al proprio post quel signorotto. Il ragazzo avrebbe fatto meglio a dormire con un coltello sotto il cuscino, perché questo genere di uomini non è il tipo che si lascia trattare come cani incatenati.
Come in risposta a questi suoi pensieri, vide avvicinarsi le colossali guardie che Akym aveva fatto venire alla cava in protezione della sua persona. Forse non era tanto stupido quanto pensava Misdra. Quello era il solo motivo per cui i minatori non avevano ancora reclamato la sua pelle: quattro uomini imponenti, dalla pelle d’ebano, gli occhi scuri che scrutavano con espressione minacciosa chiunque invadesse il proprio spazio vitale.
Erano stati giorni frenetici, in cui tutti loro avevano dormito poco e nulla, fattore che aumentava il malcontento generale. Avevano studiato ogni possibile modo per estirpare la creatura dalla montagna, perdendo anche diversi uomini. Sembrava essersi messa parecchio comoda, e che non fosse intenzionata ad andarsene molto presto. Le loro possibilità stavano andando a esaurirsi rapidamente, fino a rimanerne una sola, la più definitiva: distruggere tutto. Misdra si stava dannando l’anima per impedirlo; se avessero seguito quella linea d’azione lui e i suoi uomini avrebbero perso tutto, e di quei tempi anche il lavoro più schifoso andava difeso con unghie e denti. Cercava di persuadere Akym che neanche a suo padre avrebbe giovato quella soluzione, vista la grave perdita economica che avrebbe comportato. Solo quell’idea sembrava farlo desistere, e l’uomo approfittava del tentennamento per trovare altre idee, senza però avere grande successo. Ormai la notizia era divagata in tutta la regione, e nessuno sarebbe stato così folle e incosciente da correre in loro aiuto. O almeno, questo era quello che credeva.

~ ~ ~

Erano talmente tanto in fermento da non accorgersi dell’arrivo di uno straniero nel campo. Forse era complice anche la sua bassa statura, anche se era compensata dalla goffa e bitorzoluta forma del suo corpo, avvolta in un pastrano grigio. Era accompagnato da due uomini, decisamente più alti e slanciati, coperti con abiti leggeri e chiari, con un copricapo in tessuto calato sulla testa. Attraversarono l’accampamento senza guardarsi intorno, per fermarsi una volta raggiunto Misdra. L’uomo era chino su un tavolo, scrutando intensamente delle carte sopra disposte, una mano che stringeva i folti capelli, chiaramente disperato. Il trio di estranei rimase in silenzio alle sue spalle, e dopo pochi minuti l’uomo cominciò a sentirsi osservato. Si voltò, trovandosi davanti agli sconosciuti che lo osservavano con interesse. «Ma che ca-» cominciò a dire, ma la figura più bassa e incappucciata si calò il mantello dal capo, mettendolo a tacere. Era un goblin, il volto sottile e tagliente tipico della sua razza distorto in una smorfia divertita, la pelle di una sfumatura rossiccia, simile a quella delle montagne che li circondavano. Lasciò scivolare lo sguardo su tutti e tre, fermandosi sul piccoletto. «Che cosa volete? La cava è chiusa, non c’è lavoro!» anticipò, corrugando la fronte. Il goblin sbottò in una risatina, un suono stridente e fastidioso. «Non c’è lavoro per voi, human, ma per noi sì!» ribatté, spostando il peso del corpo da un piede all’altro. Aveva una voce acuta, e il movimento del corpo fece emanare un insolito tintinnio dal suo corpo, come se sotto il manto nascondesse diversi ninnoli. Misdra lo guardò perplesso, cercando di capire il significato della sua risposta, senza successo. La creatura rise di nuovo; sembrava sinceramente divertito dallo sbigottimento dell’uomo, cosa che non aiutava la sua predisposizione nei loro confronti. «Siamo qui per proporti affare. Affare per tua cava.» continuò lui. «Sappiamo che sei nei guai. E noi volere aiutare.» concluse, rivolgendogli una smorfia risoluta e sorridente. «Che genere di aiuto?» chiese l’uomo. «Noi ci sbarazzeremo del vostro demone, per voi!» disse con sicurezza. Misdra lo guardò sbigottito, chiaramente soppesando la follia del piccoletto. Non gli avrebbe dato neanche un singolo pezzo d’oro, eppure sembrava piuttosto sicuro di quel che diceva. Dopo tutto, chi era lui per convincerlo del contrario? Non aveva idea di chi fossero queste persone, e se avevano intenzione di suicidarsi, beh, lui non lo avrebbe di certo impedito. «Se volete cimentarvi nell’impresa, accomodatevi! Sono certo che il Governatore sarà generoso, se riuscirete a cacciare quella bestiaccia. Avrete tutto l’oro che desiderate.» disse lui. Tanto valeva infiocchettare al meglio la cosa. «Oro? No, noi non serve oro.» rispose il goblin, ghignando. Quella risposta sorprese Misdra, che corrugò la fronte, sospettoso. «Volete farmi credere che lo farete solo per la gloria?» sputò quell’ultima parola come se fosse una bestemmia. Quello rise, per poi scuotere la testa. «No. Noi volere in cambio vostri goblin prigionieri. Considera questo uno scambio: noi liberare voi da demone, voi liberate goblin da voi. Facile!». «CHE COSA?!» urlò Misdra, incapace di nascondere oltre la sua irritazione. Avrebbe concluso il discorso in quel momento, ma il suo grido attirò l’attenzione di Akym, che già studiava da lontano la scena. Si avvicinò, seguito a breve distanza dai suoi colossi, e quando fu abbastanza vicino, s’inserì: «Cosa succede?» chiese, guardando prima Misdra poi il goblin. Questo gli sorrise, provocando nel ragazzo un moto di disgusto, ma fu l’uomo il primo a rispondere. «Questi… pazzi si sono proposti di cacciare la bestia dalla montagna, ma lo faranno solo in cambio degli orchetti chiusi dentro!» snocciolò con ira. Si aspettava la medesima reazione da Akym, almeno una reazione stizzita per l’assurdità della proposta, ma vide che sgranava gli occhi per poi assumere un’espressione interessata. Si voltò verso la piccola creatura: «È così?» chiese. Quello per tutta risposta annuì con convinzione. «Beh, si può fare. Chiaramente non possiamo garantire che i tuoi… compagni siano ancora vivi. Ma se quell’immonda creatura li avesse risparmiati, sono tutti tuoi.» concluse. Il goblin sorrise soddisfatto, ma prima che potesse rispondere, Misdra esplose: «Akym, non puoi permettere uno scambio del genere! Quella gente sono nostri lavoratori, servono alla cava!» gli prese il braccio, stringendolo nella sua mano, come se cercasse di scuoterlo dalla follia in cui sembrava essere precipitato. Le guardie si mossero immediatamente, ma il ragazzo sollevò la mano libera, bloccandoli, e strattonò il braccio, liberandosi dalla sua presa. «Bada a ciò che fai, scavatore.» cominciò, guardandolo con astio palpabile. «Potrei mandare via anche te, insieme a quelle orrende bestie.». Misdra sgranò gli occhi, sentendo la rabbia che montava nel petto. Riuscì a trattenersi, ma rimase immobile, incapace di emettere alcun suono, certo che se avesse ceduto a una sola parola le cose sarebbero definitivamente degenerate. Il ragazzo gli lanciò un’ultima occhiata di sufficienza, per poi voltarsi verso il goblin. «Abbiamo un accordo, dunque?» chiese. Lui annuì con convinzione, ghignando soddisfatto: «Oh sì, signore, un accordo». «Cominciate pure quando volete.» disse Akym, preparandosi ad allontanarsi. Il goblin rise ancora: «No, non oggi, signore. Porterò qui la mia squadra, e cacceremo il demone per voi. Ricordate, un accordo!». Il ragazzo lo guardò perplesso, ma alla fine annuì. «Molto bene allora. Radunate la vostra squadra e tornate da me. Avrete ciò che abbiamo che pattuito, signor…?» domandò, rendendosi conto di non conoscere neanche il nome del suo interlocutore. Ma del resto, a chi importava il nome di un sudicio pelleverde. «Sapp, signore. Mio nome è Sapp».



CITAZIONE

QM Point ~

Salve ragazzi, e benvenuti nella seconda quest di Rou. Spero vi divertirete!
Questo primo post è introduttivo, e anche i vostri non saranno da meno. Per questo primo giro dovrete infatti descrivere in che modo siete stati reclutati da Sapp – o chi per lui – nella sua squadra. Avrete piena libertà, perciò date sfogo alla vostra fantasia. Mi aspetto scelte degne da un gruppo di giocatori esperto come voi, quindi non mi deludete.
Per qualsiasi domanda di sorta, vi rimando al topic in confronto. Avrete 7 giorni di tempo per postare, quindi entro le 23:59 del 5/1. Potete usufruire della proroga se chiesta in anticipo.
Buon lavoro!

 
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view post Posted on 3/1/2015, 02:02

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Rou ~ Verlos: Capitolo I ~ Tre ottime ragioni
Continua da qui ...

«Convincerlo non sarà facile...Dobbiamo trovare un pretesto, una causa per farlo combattere. E' molto provato, non pensavo fosse diventato così ... Tiepido. La sua fiamma si sta spegnendo, sta perdendo la fede. »
La sirena annui mordicchiandosi l'unghia dell'indice con fare riflessivo.
«Forse so come rinfocolare il suo fuoco. Ho sentito una strana storia. Lui crede di essere un grande eroe non è così? Un paladino dei deboli e degli indifesi! Certo! Andrà più che bene! »
«Sono proprio curioso di sentire questa storia.. »
«Allora ero in una taverna, poco lontano da qui e all'improvviso è scoppiata una rissa. Non ho saputo resistere e mi sono avvicinata per capire cosa diavolo stava succendo. C'erano quattro uomini, grandi e grossi, minatori a giudicare dagli attrezzi che portavano addosso. Accerchiavano un piccoletto, la tua razza li chiama pelleverde.. »
«E scommetto che non hai resistito all'impulso di far saltare qualche dente... »
La sirena sfoggiò un sorriso irriverente e agitò il polso. Intorno ad un filo erano stati inseriti alcuni molari ed incisivi a formare un'eccentrico braccialetto.
«Avevo notato quei quattro, mi avevano fissata per troppo tempo e avevano fatto commenti sconci sulla mia scollatura. Avevo una buona ragione. »
«Su, avanti sono proprio curioso di sentire come una rissa da taverna si è trasformata in un occasione per la buona riuscita del nostro progetto di fuga. »
«Mentre lottavo ho notato che il piccoletto non si è mosso. E' rimasto li a guardarmi come se stesse assistendo ad uno spettacolo. Sistemati i quattro idioti mi si è avvicinato e si è complimentato con me per la bella prova. Quando gli ho chiesto come mai l'avevano aggredito mi ha fatto cenno con la testa e mi ha detto di chiedere ai diretti interessati. Mi hanno raccontanto piagnucolando che l'orchetto voleva offrirgli un lavoro: ripulire una miniera da un demone. Gli idioti si sono sentiti offesi dalla proposta perchè lo ritenevano membro di una razza inferiore e colpevole di rubare il lavoro agli "onesti minatori umani".»
Nonostante non potesse vederla Erein era sicuro che, a giudicare dal tono di voce alterato, il volto della sua avvenente servitrice era rosso per la rabbia. Era semplicemente deliziosa quando si arrabbiava, anche se pagare lo scotto di quello spettacolo non doveva essere altrettanto piacevole. La donna sapeva essere spietata.
«Quindi la tua idea sarebbe quella di mandare Malzhar Rahl a combattere contro un demone per conto di un orchetto? »
La donna assunse un espressione astiosa credendo che il suo signore stesse per bocciare la sua idea tentando contemporaneamente di ridicolizzarla. Si era già sufficientemente irrata al ricordo della condotta xenofoba degli umani e sarebbe bastano un nonnulla per scatenare una scenata. Nonostante ciò Erein la tenne sulle spine, disinnescare una delle tante esplosioni di rabbia incontrollata della sirena era un gioco con cui si sollazzava spesso. Adorava osservare il viso distorto in una maschera d'ira tramutarsi lentamente un ghigno complice.
«Dovrò ricamarci intorno ma il pretesto è buono. »
Come previsto alla rabbia seguì un iniziale delusione per il non poter più sfogare chissà quale capriccio, poi il sorrisetto cospiratore. Non poteva vederla in senso stretto, ma poteva immaginarsela leggendo i vari stati emotivi nei suoi pensieri.
«Il goblin, Sap ha detto di chiamarsi, mi ha fatto la stessa offerta e mi ha detto che semmai avessi accettato mi avrebbe aspettato tra una settimana all'ingresso della miniera. Mi ha fornito anche una mappa.»
«Ho elementi a sufficienza. Non mi resta che parlare al nostro nuovo amico. »


Malzhar Rahl attendeva nella piccola camera della locanda. Continuava a tenere il broncio, a sentirsi irritato da quella intrusione nella sua esistenza, quell'ennesimo tentativo di utilizzarlo come una marionetta per servire chissà quale scopo più alto.
Ma nonostante tutto aspettava, attendeva trepidamente quella voce che non sapeva più se fosse un'ennesima alienazione della sua povera mente o una reale opportunità di salvare il suo popolo. In fondo non vedeva l'ora di ascoltare la voce quieta e rassicurante di Re Erein Dewin mormorargli nel cervello e c'era una ragione: era stato inquietante, cinico, arrogante e subdolamente affascinante ma sopratutto era stato sincero fin dal primo minuto. Non aveva mascherato i suoi intenti, mai ; aveva ammesso, con un candore che avrebbe fatto arrossire una prostituta, che il suo fine ultimo sarebbe stato quello di utilizzarlo per i suoi scopi. Aveva dichiariato, il monarca, di volerlo indottrinare ma a differenza di molti altri che avevano tentato di fare lo stesso non si era nascosto dietro un ideale o la promessa di un bene superiore.
In quella notte di confusione e inganni il Re Stregone aveva raccontato una storia che altrove, ma non nei Quattro Regni, sarebbe sembrata l'allucinazione di un folle.
Poi senza troppi preamboli gli confessò che lui, lo Sciamano, era la chiave di cui aveva bisogno per evadere dalla sua prigione. Per poter riuscire nel suo intento Malzhar avrebbe dovuto credere in lui come aveva fatto per Caino, il Sovrano, i Sussurri.
Il Tiranno dei Sogni avrebbe dovuto combattere, versare lacrime e sangue, ardere di devozione per un uomo - sempre che di un uomo si trattasse - che non aveva mai visto e possedeva una sfilza di azioni immorali degne del peggior Mathias Lorch.
Ma tutti gli sforzi, infine, sarebbero stati ripagati. Il Re Stregone aveva infatti promesso, una volta uscito, di aiutarlo a combattere il nemico che tormentava i suoi incubi e Basiledra.
«Bada » - gli disse - «Non ti sto promettendo niente di concreto, sto solo dicendo che se mi aiuterai farò quanto in mio potere per esaudire il tuo desiderio. »
Quella promessa tanto vaga era sembrata più sincera e concreta di molti giuramenti e dichiarazioni di intenti sentiti nell'arco della sua breve ma intensa esistenza.
Ad un tratto la porta si aprì e la donna che lo aveva condotto in quella spirale di follia e chimere apparve sulla soglia. Il sussurro notò che era ancora più avvenente della sera precedente perchè sorrideva. Non era quel sorriso velato di minaccia che aveva visto la sera prima, ma un riso leggero, illuminato dal calore che solo la soddisfazione e la certezza di essere nel giusto potevano conferire. Gli si accostò con leggerezza, gli carezzò la guancia e lo baciò sulla fronte. Dopodichè lo avvertì che presto il suo signore si sarebbe fatto sentire, poi si accomodò sulla poltrona dinnanzi il focolare e prese a leggere.
Dopo qualche istante Malzhar avvertì la stessa sensazione di leggero intontimento ed ebrezza che aveva provato durante il primo incontro con Re Erein.
«Spero che tu abbia passato una notte gradevole. » - lo salutò - «Dimmi Malzhar Rahl, hai riflettuto sulle mie parole? »
Sebbene non amava ammeterlo lo Sciamano trovava quel modo di comunicare intimo e molto piacevole, oltre che indiscutibilmente discreto. Nessuno avrebbe potuto intercettare il loro discorso e ciò permetteva ad entrambi di parlare con franchezza. Inoltre la voce del Re Stregone aveva qualcosa di rassicurante qualunque fosse l'argomento trattato ... M
«Ho seguito così tanti fantasmi nella mia vita...» - esordì lo Sciamano scandendo lentamente le parole- «..tutti invariabilmente forieri di qualche disgrazia. Tu sei solo l'ultimo di molti.»
«Dunque?
«Non ho mai trovato nessuno di loro concreto come lo sei stato tu. So che ascoltarti potrebbe portarmi direttamente nel più profondo inferno del Baathos o peggio ma ... Al diavolo! Sono Malzhar Rahl quando mai una simile prospettiva mi ha mai fermato? Ho iniziato a servire i Quattro Regni volendo far saltare in arai una catasta di fuoco alchemico alta quanto una casa, di sicuro tu non mi chiederai qualcosa di più folle!»
La voce nella sua testa rise brevemente.«Questo non posso assicurartelo ... - tacque alcuni istanti e proseguì - «Bene se -come credo- devo considerare le tue parole come un si, ho già la prima missione da assegnarti, credo la troverai coerente con la tua morale.
Lo stregone raccontò brevemente quello che era accaduto nella locanda e il risultato dell'eroico intervento della donna a difesa del goblin. Aggiunse che per precauzione aveva mandato Ursula ad indagare sui proprietari della miniera, tanto per essere sicuri di non cadere in un tranello e questi non solo avevano confermato tutto ma avevano parlato anche della strana ricompensa richiesta da Mr. Sap.
«Come avrai modo di notare hai tre ottime ragioni per accettare quel lavoro: in primo luogo aiuteresti il Regno a mentenere piena la sua borsa. Una miniera è una risorsa preziosa e in tempi di guerra come questi non potete permettervi di perdere nemmeno una moneta di rame, figuriamoci una miniera. La seconda buona ragione è il Demone: è un tuo preciso dovere proteggere il Regno dalla minaccia che rappresenta. La terza motivazione riguarda voti fatti dinnanzi al tuo Dio. Il prezzo che Sap ha chiesto per liberare la miniera è la libertà dei goblin che ci lavorano come schiavi. Non credi che aiutarlo in questo nobile gesto di emancipazione sia doveroso oltre che indubitabilmente giusto? »
Lo sciamano storse la bocca al solo sentire nominare la terza "buona ragione".
«Cosa ha a che vedere un pugno di pulciosi, raccapriccianti pelleverde con il Sovrano e la Giustizia?
«Tutto! » - rispose accalorandosi la voce - «La schiavitù, chiunque la pratichi, per qualsiasi ragione lo faccia e qualunque sia la vittima, è una pratica abominevole! Tu dici di essere un araldo giustizia, dimmi Malzhar Rahl è giusto essere schiavizzati solo perchè si appartiene ad una razza differente? O credi che soltanto i tuoi cari concittadini meritino di respirare aria di libertà? Giustizia non è solo salvare Basiledra da un folle, usurpatore, sanguinario è anche difendere coloro che non hanno altro mezzo per farlo. Hai ucciso per molto meno, credendo di essere dalla parte del giusto, io non ti sto chiedendo niente di così cruento. »
Il rimprovero della voce nella sua testa fece dapprima arrosire poi irritare lo Sciamano.
Senza pensarci due volte affilò la lingua e mandando al diavolo ogni prudenza si azzardò a rispondere a tono.
«E tu non trovi ipocrita che sia un Re a a farmi questa lezioncina? Non usi forsi i tuoi sudditi? Non li hai costretti a venire con te? Non hai appena detto di voler usare me? Non mi chiedi niente di cruento, certo, ma non sei altrettanto gentile quando mi hai drogato o chissà cos'altro costringendomi a sentire quello che avevi da dire!»
«C'è differenza. I sudditi sono liberi di scegliere all'interno delle regole imposte dal loro regnante. E semmai quelle regole gli andassero strette potrebbero sempre abbandonare il proprio stato. Per quanto riguarda te ... Sei libero, libero di scegliere di cogliere un opportunità o lasciarla andare. Non ti ho imposto catene, non l'ho mai fatto. » - prese un attimo di tempo e poi con il tono di un padre ferito dalle parole del figlio concluse - «Sei stato inutilmente crudele ad riaprire certe vecchie ferite. Sai che non avrei mai costretto la mia gente all'esilio se non fossi stato costretto da cause di forza maggiore. Se non volevi accettare quel lavoro non era necessario essere così cinici e spietati. »
La reprimenda del regnante fece arrosire nuovamente lo sciamano. Malzhar rimase ancora un attimo in silenzio riflettendo, rimuginando, dubitando. Poi ad un tratto esplose:
«Al diavolo, sei riuscito a farmi sentire in colpa! Lo farò! Solo..Non capisco è cosa a che fare tutto questo con il credere in te.
«Ho scelto questo lavoro perchè credevo fosse in linea con i tuoi ideali. Ultimamente la tua fede in essi vacilla, se hai smesso di credere in loro come posso pretendere che tu creda in me? Combattere per ciò che ritieni giusto riaccenderà la tua devozione e ti farà capire che in fondo vogliamo la stessa cosa. »
«E cosa di preciso?
«Il bene del nostro popolo. »


Note: Come avevo già accennato a Kita e Dra ho voluto sfuttare la grande liberta offertaci in questo primo turno per sperimentare e introdurre ( anche se molto vagamente) il mio futuro PG. Come al solito ne è uscito un wall-post, zeppo di dialoghi in pieno stile Malzhar xD Spero che comunque il contenuto e la motivazione scelta non deludano e che vi divertiate a leggere quanto io mi sono divertito nello scrivere. L'idea iniziale era sommare questo post a quello che ho linkato, ma sarebbe stato troppo anche per me. Ho preferito lasciare a voi la scelta se approfondire o meno. Spero che anche questo sia gradito e non crei troppa confusione.



 
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view post Posted on 5/1/2015, 23:05
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Rou - Verlos



[color=purple]Ma guarda un po’ chi si vede. Il sogghigno era visibile persino da sotto il cappuccio scuro che ne copriva la testa, un anonimo e consumato mantello nero. Era, come individuo, più basso della media e più esile, dai lineamenti affilati se l’apparenza non ingannava, quasi delicato al confronto del robusto Kasumaki. Dalla stoffa gli sfuggiva una ciocca di capelli bianchi, sottili e candidi come la neve, e l’unico occhio che Shimmen riusciva a vedere era di un’insolita tonalità azzurro- verde, come il fondo di un lago di montagna.
Eh? Ci conosciamo, per caso?
Domandò, riportando gli occhi dal piatto di verdure al vapore davanti a lui, un po’ insospettito dalla familiarità con cui veniva trattato. Poteva essere benissimo uno dei tanti, troppi mendicanti che cercavano di spillare soldi ai forestieri ed ai contadini venuti al mercato della città di Basiledra, in quel giorno di festa ... ma poteva anche non esserlo, considerando gli stivali di buona qualità e certi rigonfiamenti sospetti al sotto della stoffa che potevano essere armi, all’altezza della vita. E poi un tizio del genere se lo sarebbe certamente ricordato, se lo avesse visto altrove ... con quei capelli bianchi e quel volto da mezzelfo era tutto fuorché comune. Rialzò lo sguardo.
Hihihi.
Una risatina fastidiosa, un po’ chioccia e decisamente fuori luogo nell’atmosfera densa della locanda seguì l’accomodarsi disinvolto dello strano individuo su una sedia davanti a lui, senza essere stato invitato. Questo, e la risatina, provocarono un’espressione corrucciata sul volto di Shimmen, che aprì la bocca per invitare lo sconosciuto ad alzarsi.
Non credo. Lo prevenne il mezzelfo, facendogli sfacciatamente segno di tacere con l’indice appoggiato alle labbra. O meglio ... è difficile che uno come te conosca uno come me, un cantastorie errante, un musico senza dimora ... e di solito non frequento la Locanda dell’Orco Nero. Non è il posto di Enteri Silverhand, come il Cuore di Marmo non è il tuo in questo momento.
A quelle parole il Kasumaki si irrigidì, sorpresa o apprensione non avrebbe saputo dirlo, preparandosi a fuggire o a difendersi.
Era lì infatti, dentro una città nemica, una città ancora controllata dalla forte presa della Guardia Insonne, per spiare la situazione, per riportare informazioni ai ribelli che vi si opponevano fin da quando i soldati venuti dal nord avevano conquistato la città dopo una dura battaglia. Ribelli di cui faceva parte, per inciso, anche se all’epoca aveva contribuito non poco a far si che la Guardia Insonne conquistasse la città, una situazione sfuggita poi al controllo. Se lo avevano scoperto, se la sua copertura di carrettiere era saltata ... beh, avrebbe potuto passare un brutto momento con tutti i militi che pattugliavano le strade della capitale.
In un istante sentì l’adrenalina scorrergli impetuosa nella vene, un flusso potente di energia che conosceva e che adorava, che ricercava al punto da essersi lui stesso proposto per quella rischiosa missione in diverse occasioni. Semplicemente gli piaceva il rischio, l’avventura, soprattutto se nel farlo sfidava gli ordini di potenze a cui non voleva sottostare.
Cosa vuoi? Chiese con quanta più freddezza e faccia tosta gli riuscì di tirare fuori in quel critico momento. E dove mi hai già visto?
Un po’ qui ed un po’ là. Eri abbastanza famoso, prima che arrivassero i Lorch, ed il tuo supposto “tradimento”, nonché fuga dalle prigioni del Cuore di Marmo, non ha certo contribuito a diminuire la tua fama sai?
Rispose l’altro muovendo le mani in un gesto vago mentre faceva cenno alla locandiera, una donna robusta e dalla risposta pronta conosciuta da Shimmen con il nome di Donna Carmen, di portargli qualcosa da bere.
Ah! Il famoso Spadaccino Rosso dell’Ovest, visto da mezza città volar via su un drago insieme a vari altri ricercati in beffa ai soldati del nord ... beh, sono cose che vale davvero la pena di vedere. Hihihi. E raccontare, soprattutto.
Il mezzelfo gli strizzò un occhio, ammiccando esageratamente alla smorfia che il Kasumaki fece nel ricordare quel particolare avvenimento, quella fuga pazza all’ultimo momento che li aveva salvati tutti da morte certa, mentre Donna Carmen poggiava sul tavolo una brocca e due bicchieri di terracotta, ricevendone in cambio una sonante moneta d’argento.
Ma non preoccuparti, non ce l’ho con te.
Continuò tranquillamente, dopo che la donna si fu allontanata abbastanza da non poter più sentire quanto veniva detto al tavolo.
Porto solo una voce che credo possa interessarti. Un certo goblin, uno di nome Sapp, è in città e mi ha chiesto di diffondere la voce che cerca persone disposte ad affrontare un grosso demone cattivo, uno di quelli brutti e scuri che si nascondono dentro tenebrose caverne in attesa di mangiare i bambini e divorare incauti viaggiatori ...
Si! Ho afferrato il concetto. Grazie!
Lo interruppe deciso Shimmen che si era spazientito di quello che prometteva essere l’inizio di una lunga storia senza importanza: decisamente il suo compagno di tavolo aveva un debole per i lunghi racconti ma lui no, e voleva sapere il resto. Il nome del goblin non gli era per niente nuovo: era stato infatti il suo compagno nell’infiltrazione che li aveva portati poi a quel memorabile volo sopra la città, il tutto per trovare una “Reliquia” dei pelle verde che non era altri che il drago stesso con cui erano poi fuggiti. Era da quando si erano separati dopo l’incontro con l’antico e venerabile drago Venatrix che lo Spadaccino aveva una mezza idea di parlare ancora con Sapp. C’erano tante cose che voleva chiedergli: se la missione di Bara-Katal aveva avuto successo, come erano stati riaccolti tra le tribù di Pelleverde, se poteva spiegargli meglio quella faccenda della fede in T’al, che lo aveva interessato, promettendo di essere un dio al quale era giusto rivolgere le proprie preghiere. Poteva essere questa la buona occasione.
... insomma, dato che gli dovevo un favore ho pensato che potevo riuscire a convincerti a partecipare alla faccenda. Dalla tua fama direi che ci sai fare, con creature di quel genere, e tutti trarranno un gran beneficio dalla cosa ...
Solo perché supponi che io accetti.
Rispose Shimmen con un sorriso astuto, un po’ rassicurato dalle parole dell’altro e solleticato da quei richiami alle sue imprese di cui in effetti era piuttosto orgoglioso. Il mezzelfo sembrava sincero e, sinceramente, la notizia era parecchio intrigante.
E perché dovrei fidarmi di te, dopotutto?
Domandò portando avanti l’ovvio gioco di parole, in quanto era chiaro che se avesse voluto tentare qualcosa contro di lui non sarebbe stato difficile avvertire le guardie che un pericoloso ricercato con una grossa taglia sulla testa si trovava in città, in una certa locanda a Borgo Basso.
Beh, Sapp mi ha detto che se ti avessi trovato e tu avessi posto questa domanda avrei dovuto risponderti “per lo stesso motivo che ha spinto dei pelle verde ad uccidere dei cani”, dicendo che avresti capito.
Con questo voleva ricordargli la promessa di aiuto reciproco che si erano fatti dopo che il gruppetto di orchi e goblin aveva salvato i membri della Resistenza, esausti per la corsa e circondati dalle forze superiori della Guardia Insonne: in pratica aveva bisogno del suo aiuto. Forse Basiledra e la Resistenza potevano aspettare un po’, non stava succedendo niente di anomalo in ogni caso, niente da segnalare dunque.
Ho capito. Portami da lui allora e vedremo se la sua proposta è così interessante come potrebbe sembrare.



Edited by vulcano1 - 5/1/2015, 23:22
 
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view post Posted on 6/1/2015, 00:09
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Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
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Adesso si improvvisava perfino cacciatore?
Non che gli avessero promesso poi chissà quali grandi ricchezze; sarebbe andato avanti giusto una settimana con la ricompensa per l'uccisione del Lupo Bianco.
La cosa avrebbe richiesto un'assicurazione assai maggiore, visto che la tana della bestia albina era sulle Hooglans, e il Demone sarebbe stato messo alla prova più dai pericoli del viaggio che dall'animale stesso.
Ma era una scusa come un'altra per fuggire dalla quotidianità a cui quella guerra sfiancante l'aveva costretto. Non aveva mai abbandonato i boschi, e nelle capanne dei cacciatori aveva trovato spesso un luogo sicuro, un focolare accogliente, gente perbene che era disposta a farsi aiutare in cambio di un pasto caldo.
Per la prima volta gli avevano offerto invece qualche moneta d'oro, e senza nemmeno accorgersene si era ritrovato lì, a Khafji, ultimo avamposto degli uomini prima degli altipiani.
L'insieme di capanne e bazar di Khafji si estendevano quasi come fosse una piccola città, dove si potevano trovare insieme, non senza i problemi del caso, quasi tutte le razze di Theras. Una delle principali rotte commerciali verso il Regno della Regina Dalys passava per Khafji e perfino i nani dell'Akeran affrontavano il Deserto per arrivare in quel luogo.
Camminava nel poco spazio lasciato libero dei banchi dei venditori, andando incontro alle montagne che si stagliavano all'orizzonte, il Sole iniziava a morire alle sue spalle proiettando lunghe ombre ai suoi piedi. La palizzata di legno che circondava la zona teneva i mercanti al sicuro dai Pelleverde che potevano scendere dalle Hooglans in cerca di prede facili, ma non certo dai briganti che scippavano ogni giorno decine di malcapitati.
Tutti sapevano che con il tempo si erano formate varie piccole bande, che si occupavano ognuna di una zona del grande mercato all'aperto, e quando una di queste sconfinava in un territorio che non le apparteneva non era difficile inciampare in qualche cadavere. Ma non c'era nessuno che gestiva l'ordine a Khafji, nessun eroe senza macchia che difendeva i deboli. C'era solo la legge del più forte, e seppur le bande facevano paura agli avventurieri, nessuno dimenticava che erano i Mercanti i padroni della zona. Un torto a loro, e non ci sarebbe stato un domani neppure per il più organizzato dei criminali.
Ma quella sera il Fato decise di muovere diversamente le sue pedine, e fece sì che il Demone raggiungesse il goblin, che aspettava un guerriero per risolvere una rogna ben più grande di un lupo.

Un giovane ragazzo tentò di scippare Montu, che se non fosse stato per l'ingenua corsa del ladro tra la folla nemmeno si sarebbe accorto delle monete sparite.
Il Demone lo rincorse facendosi strada non troppo delicatamente fra le ultime persone che si attardavano, per un motivo o per un altro, tra i banchi di Khafji.
Scoprì che se l'intero distretto non godeva di ottima fama esisteva un area dove neppure i mercanti più giovani mettevano piede. I vari bazar si facevano sempre più radi, ed era sempre più facile seguire lo scippatore.
-Hai messo piede nella zona sbagliata! Mi divertirò a vederti morire nell'arena!-
Il ragazzo gettò ai piedi di Montu le monete rubate, e quando il Demone rialzò lo sguardo, dopo averle raccolte, notò fin troppi archi puntati contro di lui.
Un quadrello si conficcò nel terreno, davanti ai suoi piedi, e una voce gli urlò contro:
-Posa le armi straniero! O la prossima te la pianto in mezzo agli occhi!
Qui comandano gli Eredi.-
Guai... Se non era lui a cercarli, erano loro a corrergli spavaldamente incontro.
Sperava di potersela cavare con meno problemi di quanti non ne sembrassero necessari.
-L'hai detto tu, sono uno straniero, e solo di passaggio. Non sapevo chi governasse questa terra, e spero che il mio cammino non abbia dato fastidio a qualcuno.
C'è un modo per far sì che me ne vada da qui senza inutili spargimenti di sangue, con il mio equipaggiamento?-

Mentre parlava alzò le mani, e in silenzio aspettò la risposta.
Uscì dall'ombra un uomo, di poco più basso del Demone, con il viso sporco e la barba incolta, l'arco rudimentale messo in spalla, e l'armatura tipica dei mercenari, o di chi viveva di furti: un'accozzaglia indefinita di parti di varie armature, legacci di pelle, parti di cuoio e rare piastre di metallo.
Vide un grosso coltello da macellaio smussato rimbalzargli contro la gamba mentre lentamente gli si avvicinava.
Rimase a circa cinque passi dal Demone, e lo squadrò dall'alto in basso. Si credeva ad una distanza sicura, ma se non ci fossero stati i suoi sgherri a tenere le frecce puntate sul Demone sarebbe morto prima di rendersi conto di aver fatto la più grande sciocchezza della sua miserabile vita.
-Un modo ci sarebbe, le armi e gli altri oggetti potresti riuscire a portarteli via... Ma l'oro è mio.-
Bastava quello? Fin troppo facile.
-E dovrai sopravvivere all'Arena.-
Inevitabile.

Aveva consegnato tutto ad un energumeno che, a dirla tutta, aveva l'aria tutt'altro che raccomandabile.
Tutto ciò che aveva come assicurazione era la parola di quello che si era poi definito come capo degli Eredi, e sperava che l'oro perso fosse abbastanza per convincerlo a non rivendere niente della sua roba.
Gli lasciarono solo un paio logoro di calzoni, e lo spinsero a petto nudo in quella che doveva essere l'Arena. Mentre il piccolo drappello di uomini lo scortavano aveva iniziato a sentire il chiasso della folla, e quando ormai il Sole era morto dietro l'orizzonte e le fiaccole illuminavano l'intero avamposto raggiunse la fonte di tanto divertimento.
Tanto barbaro quanto semplice: una piccola palizzata alta poco più di un metro e mezzo disegnava un cerchio di sabbia del diametro di circa dieci metri, e la gente si beava e scommetteva sul combattimento mortale tra i malcapitati.
Vedeva, in attesa del proprio turno, esseri di ogni razza, ma senza dubbio i Pelleverde erano la grande maggioranza, perlopiù schiavi dei Mercanti più sadici o di Pelleverde più furbi e civilizzati.
Ogni combattente, o almeno ogni favorito, aveva "l'onore" di essere presentato da un ometto tarchiato, e quando fu il turno del Demone Montu capì che, nonostante la stazza, non era lui il favorito.
L'ometto raccolse un pugno di sabbia da terra, la folla lo accoglieva urlante ogni volta, poi si zittirono tutti, volevano sapere su chi scommettere.
-Qui si combatte fino alla morte, e questa sabbia si è impregnata del sangue di moooolti dei suoi nemici.-
Lasciò che la folla scoppiasse in un fragoroso applauso, avendo già capito di chi si trattasse, mentre gettava a terra il pugno di sabbia e livellava il tutto con il piede.
-Forse lo sottovalutano per la taglia, ma voi sapete meglio di me come le montagne abbiano forgiato il nostro piccolo amico.
Questa sera il suo sfidante sembra un osso duro, ma cosa potrà fare contro l'agilità e l'astuzia del nostro Campione?! Come premio per aver vinto cinque volte nell'Arena, ed essere stato il primo a raggiungere tale traguardo, stasera voi-sapete-chi potrà armarsi di uno stiletto!-

La folla accolse la notizia con un boato di entusiasmo. Si aspettavano più sangue di quanto non se ne vedesse normalmente.
Poi iniziarono ad acclamare il prodigio che avrebbe dovuto uccidere Montu.
-Ora basta con le chiacchiere, lasciamo che siano i contendenti a dare spettacolo! Signore e signori... Iniziate a scommettere, potreste non avere tempo per pensare.
...GLIK!-

Applausi scroscianti, e un goblin verdognolo, deforme, con il naso adunco e bitorzoluto, saltò il cancelletto impugnando uno stiletto. Era alto poco più della protezione di legno, le gambe magrissime e storte si muovevano freneticamente, e saltava da una parte all'altra leggerissimo osservando il Demone entrare nell'arena.
Guizzava lo stiletto davanti i suoi occhi neri, privi di pupilla, e inaspettatamente scattò fulmineo verso la gola di Montu.
Le persone intorno ridevano, fremevano, volevano vedere la morte.
Il braccio dell'Eterno si infiammò, e un gigantesco pugno nero, duro come l'acciaio, caldo come la lava di un vulcano, si abbatté sul muso di Glik, spedendo il suo deviato setto nasale dritto nel cervello.
Prima che si trasformasse del tutto il Demone lasciò che il suo braccio tornasse quello di un normale essere umano, mentre la folla, finalmente ammutolita, vedeva il loro campione con le pupille riverse, morto nella sabbia.

Nello sbigottimento generale, nel silenzio attonito degli Eredi, Montu era stato ricondotto al suo equipaggiamento, e gli era stato intimato di allontanarsi da Khafji appena recuperate le sue cose.
Quando assicurò la katana al fianco, accertandosi con sollievo che niente tranne l'oro era stato toccato, un altro goblin lo affiancò.
La sua pelle era rossiccia, e attese qualche secondo prima di parlare.
-Glik lavorare per me. Tu molto più forte di lui però, congratulazioni.-
Si perse in un cerimonioso quanto inadeguato inchino.
-Posso proporti affare, straniero?-
Molto probabilmente si trattava di qualcosa di più ghiotto di un lupo bianco, e in fondo ascoltare non costava nulla.
-Ti ascolto.-
Sul viso sottile del goblin si disegnò un ghigno soddisfatto.
-Mio nome è Sapp.-



Energia: 100%
Status Fisico: Illeso
Status Psicologico: Illeso
CS Forma Umana: +1 Intelligenza +1 Astuzia = 2CS

Armi:
Shokan: Riposta
Pistola: Riposta (5/5 colpi)

Armature:
Pelle Coriacea [Arma Naturale]

Oggetti:
Biglia Stordente: 1
Biglia Tossica: 1
Biglia Deflagrante: 1
Rubino: Forma Umana: +1 Forza; +1 Velocità; +2 Maestria nell’uso delle Armi. Forma Demoniaca: +2 Forza; +1 Velocità; +1 Intelligenza.
Gemma della Trasformazione

Abilità Usate:
//

Note: Nulla da segnalare. Spero di non aver osato troppo, mi sono reso conto di essermi dilungato forse molto più del necessario, spero che la lettura non risulti pesante.
 
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view post Posted on 6/1/2015, 12:12
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Verlos

(Vahram [pensato, lingua aramana], Zahira, Alice, beduino.)


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Le fievoli luci dell’alba velavano Boos Roi: un minuscolo insediamento incastonato in un’angusta valle fluviale scavata tra due ripide pareti rocciose. Era un villaggio minerario, uno come tanti in quella regione montuosa. Un paretaio di sentieri sterrati costellato da scialbi abituri e recinti per il bestiame costruiti con tronchi d’albero.
Faceva freddo quella mattina. Il gelo reduce della notte che si attacca alla pelle e penetra fino alle ossa. Eppure già di buon’ora la penombra delle strade si animava di gente indaffarata: si approntavano i carri, si giogavano buoi e cavalli, si sistemavano gli arnesi. Qualche donna rassettava l’uscio della propria abitazione. La giornata dei minatori iniziava presto e finiva tardi. Qualcuno però quel giorno, come ogni giorno, aveva lavorato per tutta la notte.
Due giovani donne passeggiavano oziosamente per le viuzze fangose, in netto contrasto con l’atmosfera operosa che fremeva intorno a loro. I loro vestiti, dalle tinte vivaci – seppur leggermente scolorite – risaltavano come fiori tra le rocce in mezzo agli abiti da lavoro e i grembiuli inzaccherati degli abitanti. Le provocanti scollature sfidavano il clima rigido, attirando gli sguardi dei manovali. Molti si trattenevano, limitandosi a rivolgere loro schive occhiate quando non li guardavano; tutti le conoscevano, ma nessuno osava salutarle o rivolgere loro la parola... sopratutto di fronte alle proprie mogli. Una, la più appariscente tra le due, era una stangona dalle forme prosperose e seducenti. Una donna del Sud, dalla pelle d’ebano, capelli lunghi d’ebano e labbra rosse e turgide da mangiatrice di uomini. L’altra invece era una giovinetta dai ricci capelli di un biondo sporco, pareva non avere più di diciotto anni. Le palpebre gonfie di sonno, le braccia conserte sul petto per cercare di proteggersi dal freddo, con passo lento seguiva pigramente la sua amica.
Prostitute. Eh sì, non importava quanto l’umanità si spingesse ai confini più remoti del mondo conosciuto, o dove trovasse un buco dove insediarsi; ovunque vi fossero maschi in astinenza, prima o poi arrivavano anche laggiù... o qualcuno ce le portava.

«Brr... ho dimenticato lo scialle alla casa. Forse è meglio se torniamo indietro, Zahira.» Si lamentò la biondina battendo i denti, con una voce piccola che si sarebbe addetta a una bambina.

«Tornaci da sola, Alice.» Rispose l’altra, ignorandola. «Non ti ho chiesto di seguirmi.»

Il loro passo e il loro atteggiamento denotavano che non erano uscite per procacciarsi clienti; chiunque desiderasse una svelta o un servizio completo, poteva rivolgersi direttamente alla Casa di Zago, il bordello dell’insediamento. Anzi, sembrava proprio che quella mattina fosse Zahira ad essere uscita a caccia: si guardava intorno, altera, impettita, squadrando i lati della strada come una poiana predatrice. Cercava qualcosa... o di qualcuno. E non era la prima volta.
Alice restò in silenzio per un po’, combattuta, ma non tornò indietro. Continuò invece a seguire la sua compagna più veterana come una ragazzina attaccata alla sottana della sorella maggiore. La piccola avventura in cui si stava imbarcando la intrigava. Affrettò il passo per mettersi al fianco di Zahira.

«Ahh... Comincio a odiare questo posto...» Si lamentò ancora. «Un giorno mi imbucherò nella prima carovana di passaggio e me ne andrò via da qui. Verso Basiledra, magari...» Un pensiero buttato lì, tanto per fare un po’ di conversazione.

La donna del deserto scosse la testa. «Non lascerai facilmente questa valle.» La ammonì con flemma tediata, come se avesse ripetuto quel discorso molte altre volte a molte altre persone. «Zago. È quel vecchio strabico a comandare qui. Viene puntualmente messo al corrente di chiunque arriva e chiunque se ne va, e lui non molla facilmente le sue donne, lo sai bene. Probabilmente ti beccherebbe ancora prima che tu riesca a superare il passo.» Si espresse in un sospiro annoiato. «E anche se ci riuscissi, dubito che faresti molta strada senza un protettore, o una persona fidata.» Le rivolse un’occhiata eloquente. «Le terre selvagge non sono posti per fanciullette... tantomeno per una puttana.»

La giovane rispose con un malinconico cenno d’assenso, abbassò lo sguardo e si zittì di nuovo. Sottecchi la donna dalla pelle scura la squadrò con distacco, quasi insofferente. In un certo senso le comprendeva le prostitute come Alice. Ragazzine figlie della guerra, orfane, abbandonate o strappate dalle loro famiglie, vendute come schiave e trascinate in quei posti abbandonati dagli dei a patire il freddo e ogni tipo di soprusi. Alcune di esse non superavano nemmeno la fredda stagione.
Zahira però non era come le altre: sembrava insensibile a qualsiasi disagio, guardava chiunque dall’alto verso il basso e sapeva lavorare instancabilmente tutta la notte, quasi amasse davvero il proprio lavoro. Tra le sue compagne, alcune la temevano e sparlavano alle sue spalle, altre la ammiravano, ma nessuna aveva mai avuto il fegato di criticarla in faccia. Si atteggiava come se fosse la padrona di casa, e più o meno lo era. Da quanto riuscissero a ricordare, lei c’era sempre stata; si diceva che fosse arrivata insieme allo stesso Zago, ancora dieci anni prima. Di certo l’avrebbero vista meglio come primadonna in uno dei bordelli più in voga di una grande città.

«Fai come faccio io, cucciola.» Disse dopo un po’, forse impietosita dal silenzio di Alice.

«Devi godertela.»


Si arrestò improvvisamente, piantando decisa gli stivaletti di cuoio del fango. Avevano appena raggiunto lo spiazzo al centro del villaggio. Di fronte a loro si ergeva il Rifugio di Boos, la costruzione più grande dell’insediamento e l’unica locanda – se così la si poteva chiamare – nel raggio di cinquanta miglia. Era talmente piccola e disadorna da non avere nemmeno un nome decente, tantomeno un’insegna che la distinguesse – non che fosse comunque tanto difficile trovarla in mezzo a quelle quattro case.

«Dì un po’, Alice.» Sbottò Zahira, senza preavviso. Fissava l’uscio della bettola con un enigmatico, bramoso sorriso. «Lo hai mai fatto con un guerriero?»

La ragazzina tentennò. Poi fece un timido cenno di no con la testa. Le facevano paura i soldati: le loro facce turpi, i loro modi rozzi e senza scrupoli. Le armi... Ai suoi occhi erano solo dei bruti, e per questo motivo preferiva averci a che fare il meno possibile. Fortuna che erano un’apparizione rara da quelle parti.

«Non sai cosa ti perdi.» Proseguì Zahira, trasognata. «Muscoli di roccia, spalle come travi di legno. E poi quei glutei... gonfi e sodi. Quelli sì che sono uomini! Quando un guerriero ti sbatte lo senti... lo senti eccome. Quei cazzi mosci di manovali sempre troppo stanchi anche per le loro mogli non sono nulla in confronto.» Ammiccò con sensuale eloquenza. «Quando capita l’occasione, io la colgo. Chissenefotte del denaro.»
Sorrise divertita nel vedere Alice ammirarla in soggezione, mentre raccontava.
«Ho sentito Zago parlarne, poco fa.» Con un cenno del capo indicò la bettola al lato opposto della piazza. «Ieri sera al Rifugio è arrivato un guerriero. Gira voce che abbia cavalcato il demone più grande che abbia mai camminato sulla terra.» Sbarrò gli occhi, eccitata. «Porci gli dei... non c’è verso che io creda a una stronzata simile. Però... mi stimola.» Intrigata ma al contempo scettica, tornò a piantare lo sguardo sulla locanda, quasi potesse riuscire a scorgere quell’eroe misterioso attraverso le assi della facciata. «Io li conosco bene i guerrieri. Sai che ti dico? Secondo me questo “demone” è in realtà una gran puttanona di Basiledra. O forse di Ruldo... o di Laslandes. Ce ne sono di molto famose da quelle parti. E si danno tutte pseudonimi del genere: Ninfa della Strada, Tigre Bianca, Rosa Purpurea... Demone Rosso. È un classico, te lo assicuro. Ci scommetterei la lingua.»

Alice deglutì combattuta tra curiosità e timore, convinta dalle parole di Zahira ma visibilmente non molto incline a voler davvero incontrare quell’uomo spaventoso. Si sarebbe volentieri accontentata di osservarlo da lontano.

«S-Sì, senza dubbio.» Sorrise, strofinandosi agitata le mani. «Si tratta di...di alla... ehm... di allegoria!»

La donna emise un verso infastidito. Si voltò di colpo fulminando con uno sguardo indignato la povera biondina, come se quelle parole l’avessero ferita nell’orgoglio.

«C-Che c’è?» Squittì Alice intimorita, facendosi ancora più piccola.

Quando Zahira si alterava faceva veramente paura.

«Come cazzo fa una sciacquetta come te a sapere una cosa del genere?» Sbuffò incredula.

«Eh? I-Io? Be’, mio cugino di secondo grado è...è valletto presso il Marchese di Laterna. De Lacroix, presente?» Snocciolò con voce tremante, agitando per aria il dito indice, tentando di nascondere la fifa dietro un briciolo di saccenteria. «Sa leggere, sai? Me lo insegnò lui quando ero piccola.»

Zahira scoppiò a ridere. «Tuo cugino? Pfff! Ma non dire stronzate!» S’impettì. «Io conosco ogni battona degna di rispetto nei Quattro Regni, ma questa tizia di nome Allegoria non l’ho mai sentita.»

Calò un silenzio imbarazzante.

«Be’, tu aspettami qui se proprio ti va.» Cinguettò, troncando la conversazione. Tornò a rivolgere la sua attenzione alla bettola, allargando la scollatura e sistemandosi il corpetto sotto le vesti per rendere più prosperose le sue rotondità.

«Io vado a dare il bacio del buongiorno al nostro amico.»

Si avviò di gran carriera verso la porta del Rifugio, abbandonando senza troppe cerimonie la sbalestrata Alice sul posto con la bocca aperta e il dito indice ancora alzato.
Mentre gli stivaletti di pelle sciaguattavano passo dopo passo nel fango, tornò a farsi pensosa.

«Ci scommetterei la lingua.
Doveva essere una gran cicciona...
questa Allegoria...
»


Non passarono più di dieci minuti da quando Zahira aveva varcato la porta che un urlo maschile di puro terrore, seguito da un sonoro rumore metallico, riscosse l’aria umida di quella mattina.

Una come poche, a Boos Roi.

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Il sole cocente aveva già asciugato il melmoso spiazzo centrale di quel minuscolo insediamento minerario dimenticato dal mondo.
Era quasi mezzogiorno e Vahram era più scocciato del solito. Guardava assorto il suolo riarso segnato da un contorto reticolo di crepe di fronte a sé, rimuginando su quanto fosse iniziata male la giornata. Seduto curvo sulla traballante panchetta a ridosso del muro di fianco all’entrata della spartana locanda in cui aveva pernottato, rigirava pigramente un’asticella di legno nella tazza di ayran che teneva in mano. A giudicare dall’occhiata che l’oste gli aveva rivolto, doveva averci sputato dentro. Comprensibile... dopo ciò che era successo. Sperò solo che non si fosse sparsa la voce; non voleva incrociare lo sguardo di nessun altro locale. Fortuna che a quell’ora le strade erano praticamente deserte, giacché tutti i minatori erano al lavoro. Desiderava solo andarsene, e al più presto.
Aveva passato tutta la mattinata a litigare con Zago, un vecchio strabico che tirava le redini di quel posto, nel tentativo di convincerlo che tutta la faccenda con quella sua prostituta era stata solo un terribile malinteso.
Picchiare una donna era l’ultima cosa che si sarebbe sognato di fare. Era solo mezzo addormentato, non avrebbe mai fatto una cosa simile.

Sospirò.
Vahram il mamūluk maledì sé stesso. Maledì per l’ennesima volta quel giorno di dieci anni addietro.
L’estinto impero del Sulimanato si faceva vanto dell’irriducibilità dei propri mamūluk, dei propri schiavi guerrieri. Si affermava che non provassero il minimo senso del terrore, nemmeno dinanzi al nemico più terrificante, o alle situazioni più disperate. Erano inamovibili, incorruttibili, fedeli. Eppure una notte, in una piccola cittadina nel bel mezzo del califfato di Turkmenia, qualcuno riuscì a dimostrare che era possibile aprire una ferita indelebile persino nella scorza dura dell’animo di un mamūluk.
Era stata lei. Era tutta colpa sua.
Il suo nome era Şehrazat Saya Erdoğan. O almeno così la chiamavano, nessuno sapeva se fosse il suo vero nome. I più conoscevano il suo alias: Cobra. L’assassina più letale, terrificante e chimerica di Turkmenia. Sensuale, corpo perfetto, pelle ambrata. Un cobra tatuato in mezzo ai seni. Si raccontava che cambiasse volto ogni qualvolta la si incontrava, sebbene chi la incontrasse difficilmente ne usciva vivo per raccontarlo. Angelo della morte, adescatrice fatale.
Vahram all’epoca era giovane, sventato. La missione che stava perseguendo per conto dell’Impero e del suo padrone non andava a genio a qualcuno, a qualcuno molto potente.
Chiamarono lei.
Fu attirato nella trappola mortale della serpe. Giacque con lei, fu sedotto, raggirato, drogato, torturato... ma non finito. Fu un caso fortuito, un miracolo. Vahram riuscì a sfuggire dalle sue spire per il rotto della cuffia. Dopo tanti e tanti anni si scoprì capace di provare l’agghiacciante sensazione del panico. Non riusciva a riesumare dalla mente quella notte di orrore: furono momenti nebbiosi, indistinti, guidati solamente dal puro terrore, ma ricordava ancora perfettamente tutte le sensazioni che provò. Quel calore corporeo, le piccole mani artigliate che gli graffiavano la pelle, la voce suadente. Le labbra... quelle labbra... Non riuscì più a scollarsele di dosso.

Bastava solo la lieve vicinanza di una donna,
un particolare tono di voce,
una innocente carezza...

...e lui dava di matto.


Si sfiorò con il pollice la cicatrice sottile e pulita che gli solcava il mento; l’unico marchio visibile rimastogli di quella notte. Fortuna che era un medico: se non si fosse sistemato tempestivamente quella ferita, la cicatrice sarebbe apparsa molto più orrenda.
Quel giorno, lei gli era comparsa in sogno mentre dormiva. Lui giaceva nel letto su di un fianco, Cobra d’un tratto lo afferrava alle spalle, avvinghiava le braccia intorno alla sua cintola, gli accarezzava il petto. Percepiva quei due seni d’ortensia sulla sua schiena, la sua voce sibilargli sussurri incomprensibili. Ma lui era paralizzato nel sonno e nell’orrore.
Vahram urlò. Dalla sua bocca però uscì solo il silenzio. Urlò più forte, come un ossesso, finché il suono non uscì davvero. E solo allora riprese il controllo delle sue membra. Si divincolò, la sua mano raggiunse un oggetto freddo, metallico. Fu d’istinto che lo picchiò sul capo del Cobra. Una sensazione di bagnato, odore di urina.
Dunque si svegliò...

...solo per accorgersi che nel letto insieme a lui c’era veramente qualcuno.


Si ritrovò d’un tratto seduto sul suo giaciglio con le mani tra i capelli e un capannello di curiosi alla porta accorsi per vedere cosa era successo. Una donna seminuda dalla pelle scura giaceva tramortita ai piedi del letto in una posizione ben poco decorosa: le braccia e il busto riversi per terra e le gambe all’aria ancora sul materasso di paglia. Il vaso da notte ficcato in testa. E, peggio ancora, il vaso era pieno, per cui c’era piscio sparso ovunque nella stanza.

I momenti successivi furono di puro caos. “Chiama Zago!” “Chiama questo!” “Chiama quell’altro!” “Brutto bastardo!” “Oh, santi numi, che schifo!” Lo trascinarono fuori. Per poco non si sfiorò la rissa. Fu solo grazie all’intervanto di Zago e alle spiegazioni di un’amichetta di quella prostituta, una biondina ricciola, che il quadro della vicenda divenne un po’ più chiaro. Dal canto suo, Vahram ne uscì con una spiegazione imbastita sul momento – “Solo un pazzo si avvicina di soppiatto alle spalle di un guerriero senza preavviso!” – e offrendosi di dare un primo soccorso alla povera disgraziata. Fortunatamente il vaso da notte era in latta; nulla di grave, se non un grande spavento e un bernoccolo che sarebbe sparito nel giro di una settimana.
Non gli risparmiarono però le ingiurie e le minacce, oltre alla promessa di non far vedere più il suo brutto muso da quelle parti.

«Ginofobia, tsk...» Un commento che sembrava più una sentenza. Era il suo punto debole. Una vera e propria maledizione più che un disordine psicologico. E mai e poi mai avrebbe osato menzionarlo di fronte a qualcuno.

Fu in quel momento che scorse un individuo avanzare verso di lui. Aveva la pelle nera come il carbone. Indossava un thawb e pantaloni stretti alla caviglia bianchi, sporcati dalle intemperie, lunghi e ampi, leggeri, da viaggio. La sua testa era coperta da un kefiah del medesimo colore. Portava sopra una sobria zimarra marrone in pelle di cammello. Era un uomo imponente, dai muscoli turgidi e possenti. Cintola da spada.
Un nomade del deserto.
Agli occhi di un guerriero esperto come Al Patchouli non sfuggirono i calli sulle sue grandi mani, probabilmente abituate a impugnare armi ben più grosse di una semplice scimitarra.

«Sei tu!» Esclamò l’estraneo con voce profonda, apparentemente riconoscendolo. Vahram non lo aveva mai visto in vita sua.
«Al Patchouli. Calvalcademoni. Io cercato tanto te.» Lo chiamò, sfoderando un sorriso lungo da un orecchio all’altro.

L’aramano storse il naso: non amava per niente quell’ultimo appellativo. Era vero che aveva cavalcato quel mostro durante l’assedio di Qashra, ma era stato il demone Sharuk a farlo, controllando il suo corpo. Per giunta, il fatto di essere appena uscito da un increscioso malinteso riguardante demoni e battone non migliorava il suo umore.

«Ti avverto: non è una buona giornata, aper.» Borbottò Vahram, squadrandolo torvo dalla panchina, continuando indefesso a mescolare la sua bevanda lattiginosa. «Che vuoi?»

«Io avere qui grosso affare...» Disse ammiccante, indicandosi con entrambi i palmi aperti lo spazio rigonfio sotto la cintola. «...per te.»

Vahram si congelò sul posto, il pugno gli si strinse d’impulso intorno alla tazza. La sua espressione ebbe un fremito disgustato.
La piega della giornata era appena mutata da pessima a grottesca.

«Ascolta, aper.» Si alzò con cautela, quasi stesse fronteggiando una belva feroce, cercando di mantenere la calma. «Io non ho quel genere di gusti. Trovati qualcun altro.» E si avviò a passi svelti verso l’interno della locanda. La mano del beduino però saettò al suo braccio libero, ghermendolo in una stretta d’acciaio prima che potesse varcare la porta.

«Ehi! Perché mi tratti così, amico? Ho detto qualcosa che ti ha offeso?» Il suo tono sembrava sinceramente preoccupato. «Se è per soldi, no preoccupare. C’è paga. 10 monete d’oro al giorno, più anticipo.»

Vahram si divincolò dalla presa e si portò il palmo alla fronte.
«No, tu non hai capito!» Cominciava a perdere la pazienza. «Insomma, mi hai appena fatto una proposta indecente!»

Il beduino ci pensò su un momento. «No problema.» Infilò una mano nella lunga veste e ne estrasse una sacca gonfia di monete, dall’esatto punto rigonfio che aveva indicato prima. «Facciamo 15 monete al giorno? Più anticipo, ovviamente. Più eventuale premio all’uccisione di mostro. E puoi tenerti un trofeo, se desideri.»

Il cavaliere rimase sconcerto a bocca aperta, visibilmente confuso.
«Aspetta, aper... Di che diamine stiamo parlando?»

«Io vengo da lontano. Cavalco da Sud. Un demone grande, il più grande che si sia mai visto in questa regione ha occupato una cava. Stiamo cercando uomini validi per abbatterlo, uomini con esperienza. Uomini come te.» Gli puntò l’indice addosso guardandolo dritto negli occhi, sfoggiando sempre quel suo largo e cordiale sorriso.

«No no, un momento. Chi ti manda?» Domandò l’aramano, cercando di fare ordine nella propria testa..

«Sapp.»

«Sapp?»

Mai sentito.

Vahram si zittì. Cominciò a passeggiare assorto per la piazza con la tazza in mano, senza ancora averne bevuto un singolo sorso, realizzando a poco a poco che in quel dialogo sconnesso si era appena messo tra le mani un contratto da un sacco di soldi.

«15 monete d’oro, allora?» Rincalzò il beduino.

Al Patchouli scrollò le spalle.
«Oh... al diavolo.» Versò il suo spuntino biancastro per terra e gettò malamente la tazza vuota sulla panca.
«15 monete d’oro son perfette. Accetto!» Esclamò, animato da una certa fretta di abbandonare quel dannato posto. «Resta qui, vado a prendere il mio bagaglio e il mio cavallo. Partiamo subito. Mi spiegherai i dettagli strada facendo.»
 
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K i t a *
view post Posted on 11/1/2015, 11:39




La carovana proseguiva a velocità moderata lungo il deserto che li avrebbe accompagnati fino alle alte montagne. Potevano vederle stagliarsi davanti ai loro occhi, come denti ferini che cercavano di artigliare il cielo, la sfumatura rossastra della roccia già distinguibile da quella distanza. In testa a quell’insolito gruppo stavano i due beduin, in sella a dei possenti destrieri, avvolti in abiti leggeri che gli lasciavano scoperte solo le mani e parte del viso. Cavalcavano ai lati del piccolo goblin, che sedeva invece sulla groppa di un mulo, più adatto alle sue dimensioni ridotte. Anche lui era coperto da un lungo manto, che nascondeva quello strano corpo bitorzoluto, da cui a ogni sobbalzo della bestia provenivano inaspettati tintinni di qualcosa che cozzava al suo interno. Eppure non era quella la cosa più bizzarra di Sapp.
Il viaggio verso la miniera nelle Hooglans aveva permesso ai quattro uomini di conoscere meglio il goblin e la sua spiccata personalità, e il fatto che non avessero cercato di ucciderlo denotava la loro grande pazienza. Rumoroso, chiacchierone, lamentoso, sovraeccitato, questi alcuni dei tanti aggettivi che possono descrivere il pelleverde: difficilmente smetteva di parlare, mescolando la lingua comune con l’aardens, a volte con entusiasmo, altre esprimendo tutto il suo malcontento per lo scomodo viaggio, per la distanza ancora da ricoprire, per il caldo logorante e argomenti simili. Anche i due beduin tolleravano con pazienza il goblin, sforzandosi di chiacchierare con lui ed esortandolo alla calma quando necessario.
Avevano informato i quattro uomini dello stretto necessario: un demone sconosciuto aveva preso possesso della miniera, il loro compito era cacciare il mostro e per la loro impresa sarebbero stati pagati profumatamente. Cosa il trio avrebbe ottenuto da quella missione era incomprensibile, ma vista la ricompensa promessa nessuno si sarebbe messo a fare questioni a riguardo.
Finalmente, dopo quelle lunghe ore di viaggio, raggiunsero le montagne, che si ergevano con regalità davanti ai loro occhi, creando un muro che nascondeva tutto ciò che c’era oltre. La carovana entrò nel largo spiazzo polveroso, dove solo qualche decina di uomini sostava. Dall’ultima visita di Sapp la situazione si era in qualche modo calmata: molti lavoratori erano stati mandati via, temporaneamente a detta di Akym, ma in realtà quanto temporaneo fosse dipendeva dal goblin e la sua squadra. Erano rimasti in pianta stabile solo il figlio del proprietario, le sue guardie, Misdra e pochi altri scavatori fedeli a quest’ultimo, che si erano rifiutati di abbandonare la nave che affonda. L’uomo era rimasto commosso dal gesto, anche se quell’ultima definizione non gli piaceva poi granché.
I giorni trascorsi dall’accordo con Sapp erano stati una tortura per Misdra: per quanto ci provasse non riusciva a fidarsi del goblin. In quei lunghi anni di onorato servizio aveva avuto a che fare con diversi pelleverde e mai nessuno aveva rifiutato dell’oro, soprattutto per avere in cambio dei compagni che erano stati esiliati dai loro villaggi. Quella gente era feccia ai loro occhi, non erano neanche più considerati membri della loro razza, dunque perché affrontare un mostro per riaverli? Non era riuscito a trovare una risposta valida, e sapeva che il piccoletto nascondeva qualcosa.
Nell’attesa che tornasse alla cava, aveva continuato a riflettere su soluzioni alternative a quel bizzarro e suicida piano, ma niente sembrava adatto a estirpare quell’orrenda creatura dalla miniera. Non poteva fare altro che sperare che il goblin e i suoi riuscissero nell’impresa, e anche se lui avesse perso dei lavoratori, beh… In ogni guerra c’è un prezzo da pagare.

Il loro arrivo catturò l’attenzione dei presenti, che interruppero le loro attività per osservarli avanzare e fermarsi a ridosso della montagna. Mentre il gruppo smontava dai propri cavalli, Akym li raggiunse, seguito a pochi passi di distanza dalle sue guardie e da Misdra, la cui espressione funerea lasciava intendere che non aveva cambiato opinione su tutto quello. «Sapp, mio buon amico.» lo accolse Akym, con un ampio sorriso sul volto. Quella spiacevole situazione aveva fatto fare un bagno di responsabilità al ragazzo, che non aveva reagito nel modo in cui farebbe chiunque: se possibile, la sua convinzioni di essere diverse spanne sopra gli altri era raddoppiata, e trattava chiunque con condiscendenza, forte dell’idea di essere il padrone di quel luogo e di chi vi lavorava, e che per questo ognuno di loro dovesse provare un grande senso di gratitudine nei suoi confronti.
Fece scorrere lo sguardo dal goblin agli altri compagni, riconoscendo i due uomini che lo avevano accompagnato la prima volta, e osservando con maggiore interesse i nuovi arrivati. «Così questa è la tua squadra?» domandò poi. Sapp annuì, con il suo solito malevolo sorriso: «Oh sì, grande squadra, uomini forti. Loro sono il meglio che tu possa desiderare!» rispose. Il ragazzo continuò a guardare il quattro, non proprio sicuro di condividere il parere del goblin. Comunque, non aveva importanza. Quello era l’affare migliore che potesse siglare, si sarebbe potuto liberare del mostro e di quelle altre orrende creature, o sarebbero tutti morti, senza alcuna perdita economica. Un vantaggio non da poco per la sua famiglia.
Annuì, cercando di mostrarsi convinto. «Bene, molto bene!» disse. Misdra, alle sue spalle, sbuffò rumorosamente, ma il ragazzo lo ignorò. «Se volete seguirmi, vi mostro l’ingresso per la cava.» proseguì, cominciando a camminare. «Non sappiamo esattamente dove quella bestia sia nascosta, ipotizziamo sia nel livello più basso della miniera. Sono certo che non avrete difficoltà a raggiungerlo!» si sforzava di mostrare sicurezza ed entusiasmo, ma i versi soffocati di Misdra tendevano a smorzare l’effetto delle sue parole. «Non vi preoccupate, signore. Mia squadra molto preparata, non avremo problemi!» disse Sapp, guardando gli altri con un sorriso convinto. Akym annuì di rimando: «Senza dubbio. Ma a questo proposito, preferirei che con voi venisse anche uno dei miei uomini, per aiutarvi in caso di necessità, sapete… – si voltò verso le sue guardie – Jhadar?» chiamò, e uno dei possenti uomini fece un passo avanti, con un cenno di capo che dichiarava il suo assenso. Misdra corrugò la fronte, perplesso: non si aspettava che Akym sacrificasse uno degli energumeni per aiutare il gruppo di pazzi, e quella scelta non lo tranquillizzò minimamente. Sapp si voltò brevemente verso il beduin alla sua destra, scambiandosi una rapida occhiata, per poi tornare sul ragazzo: «Nessun problema, nessun problema. Come si dice… più siamo, più è divertente!» rispose in tono entusiasta. Akym sorrise soddisfatto: «Ottimo. Jhadar vi aiuterà in ogni modo desideriate, sarà un valido supporto». Erano arrivati vicino all’ingresso, una cavità scavata nella dura roccia, retta da lastre di legno che s’infilavano dentro la montagna. «Qua ci salutiamo, dunque. Sono certo che potremo festeggiare il vostro vittorioso ritorno, amico mio.» disse il ragazzo. Sapp lo guardò, e ancora una volta il suo viso fu distorto da quell’inquietante sorriso, che fece vacillare la maschera ossequiosa di Akym: «Non ne dubito.» disse infine. Il ragazzo deglutì, allontanandosi leggermente dal gruppo, seguito dalle guardie rimanenti. Jhadar li osservò allontanarsi, per poi concentrarsi sul goblin, con l’espressione seria e truce perpetuamente scolpita sul volto. Anche Misdra rimase con loro, deciso a non perderli d’occhio fin quando ne avesse avuto occasione. Sapp sembrò ignorare i movimenti degli estranei, e si voltò verso il resto del gruppo, con il suo solito, incomprensibile, entusiasmo: «Allora, amici miei! Mettiamoci al lavoro!» sentenziò, battendo le mani.



CITAZIONE

QM Point ~

Molto bene, proseguiamo! Arrivate alla miniera insieme a Sapp e i due beduin. Durante il viaggio avete modo di conoscere meglio la personalità del goblin (per maggiori delucidazioni v’invito a leggere qualche post della quest Fetiales; Rou), e scoprite che non è un tipetto con cui è facile convivere. Vi vengono fornite delle informazioni base: nella miniera c’è un demone, il vostro compito è ucciderlo e per questo sarete premiati con tanto denaro.
Anche questo è un turno semplice: nel vostro post dovrete limitarvi a descrivere l’arrivo alla miniera fino all’ingresso nella cava. Avete però la possibilità di interagire con i PnG (oltre che tra di voi, ovviamente), ponendo le vostre domande nel topic in Confronto.
Spero di essere stata chiara, se avete perplessità non esitate a chiedere. Avete tempo fino alle 23:59 di Domenica 18/01, compresi gli eventuali turni in confronto. Come sempre, potete richiedere una proroga, se necessario. Buon lavoro!

 
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view post Posted on 18/1/2015, 13:30

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Rou ~ Verlos: Capitolo II ~ Un'allegra rimpatriata

Imbarcato in un'avventura estremamente rischiosa per conto di un Re che dice di volere la mia lealtà. Andare a caccia di demoni in una miniera, pagato da un pelleverde quando l'ora di Lorch si approssima, quando il giorno della vendetta è così vicino che posso sentire l'odore di sangue, sudore, polvere e metallo che domina ogni battaglia.
Non mi meraviglio se ho la fama di essere un folle... Eppure, eppure so che in qualche modo è la cosa giusta da fare, non saprei dire perché ma le parole del Re Stregone mi hanno convinto. In quanto Sussurro ho promesso di progettare il Regno ad ogni costo. Ho combattuto e versato sangue - mio e di altri- per quest'ideale. Sono stato prossimo a raggiungere gli antenati più di un paio di volte ma ogni volta ero quasi felice di morire per i miei fratelli, per il mio paese, per la mia gente. Come Corvo ho giurato dinnanzi il Sovrano di essere suo volto e bocca. Giurai ma a parole, il mio cuore batteva solo per il potere di cui quella maschera è simbolo. Ma Giano, il Corvo, ha fatto presto ad assorbire e cambiare Malzhar. L'ha trasformato in un uomo devoto, un sincero e fedele credente.
Ho preso su di me il carico che ogni Araldo di Giustizia porta con se: ubbidire e servire nel nome del Sovrano, nel nome di Zoikar. Ho stretto persino un folle patto con il Mercante di Sogni per Basiledra e ... non è servito a salvarla.
In tutto questo tempo dov'era il resto del Mondo? Lontano, un miraggio all'orizzonte ...
Tutto si condensava intorno ai Quattro Regni, ogni anima, ogni forma di vita viveva in funzione della gloria e della grandezza del Regno. Tutto poteva essere sacrificato per il bene del Regno! Quanta miopia, quanta malriposta devozione!
Cos'ero diventato? Un essere peggiore di ogni Lorch e Nicolaj Luciano, un essere accecato solo da quello che crede essere la sua visione di un mondo giusto. E tutto il resto? Non era niente.
Poi l'incontro con Lady Ursula, un tuffo nelle allucinazioni ispirati dalla sua polvere di vetro e le parole di Erein di Deyrnas. Ed eccolo il Mondo ritorna, si fa sentire forte, mi rimprovera per essere stato così cinico e pressapochista.
Un Sussurro, un vero Silenzioso Sussurro sa che il Regno si estende ben oltre le bianche mura di Basiledra. Un leale e devoto servitore del Sovrano non guarda solo agli abitanti di una città, per quanto importante e simbolicamente preziosa sia. Un Araldo di Giustizia non serve un solo Regno, non porta giustizia ad un solo popolo ma è di tutti, come di tutti è la giustizia del Giusto.
Liberare una miniera da un demone, una scelta avventata ma consona a chi si proclama campione del suo popolo. Liberarla per permettere ad un goblin di liberare i suoi fratelli, pura pazzia per alcuni, ma quante volte ho detto a me stesso che avrei combattuto per la libertà? Riappropriarsi di una risorsa preziosa per un regno ferito dalla violenza, indebolito dalla dittatura di un usurpatore, ridotto alle pezze da una guerra di cui non riesco nemmeno a ricordare l'inizio. Uno spreco di tempo? Probabile, ma la guerra non si vince forse battaglia dopo battaglia, conquista dopo conquista? Non mi hanno insegnato i Sussurri che non è con il roboante, splendido, truculento spettacolo di due eserciti in scontro, ma con l'astuzia, la progettazione minuziosa di ogni traguardo che si sconfigge il nemico? Si, Erein di Deyrnas mi ha aperto gli occhi e per questo gli sarò eternamente grato. Ora però è lontano, la sua servitrice ha preferito non seguirmi ed io mi trovo da solo a percorrere il tragitto che mi separa dalla carovana di Mr. Sapp.
Userò il tempo a disposizione per riflettere su me stesso, per vivere senza maschere o titoli, solo come Malzhar Rahl nel breve tempo che mi separa dal giorno in cui ci riprenderemo la Capitale dall'Usurpatore.

__________________________________________________________________________

Mi aspettavo un gruppo più nutrito e invece non siamo che un pugno di uomini guidati da un Goblin scortato da due beduin. Ci sono facce note tra i miei compagni di viaggio: lo Spadaccino d'Oriente, ammantato - come al solito- dalla sua arroganza; noto il volto amico di Montu, il Demone, il Sussurro; c'è anche quell'esotico uomo con il suo carretto con cui collaborai nel tentativo di catturare Kermis, tentativo trasformatosi poi in una triste mattanza. Sospiro, ognuno di loro aveva visto una parte di me che avrei preferito mantenere nascosta. Shimmen - così doveva chiamarsi- ha visto Giano l'Arrogante, Eccessivo, Sacerdotale servitore del Sovrano. Sapevo che quella era solo una posa, avevo visto crollare le speranze riposte nei Corvi quando Caino si era dato alla fuga lasciandoci nella proverbiale "merda". Eppure mi intestardivo a portare quella maschera come se potesse davvero proteggermi e darmi dignità ...
Montu era quello che di me aveva potuto vedere i lati migliori. Abbiamo combattuto spalla a spalla per salvare la Mano, abbiamo incrociato le spade ognuno forte della sua convinzione che quella fosse la via per il "Bene del Regno". La sua fiducia può anche aver vacillato, ma la stima che provo nei suoi confronti non è mai andata diminuendo, anzi.
Vederlo lì a rischiare la vita per scacciare uno della sua stessa razza mi faceva capire quanto lontana fosse dal vero la mia visione di un Silenzioso Sussurro. Lui, lui doveva essere preso a modello! Io non ero altro che retorica e vuoti principi ...
Infine lo strano uomo con il carretto. Non conosco il suo nome ma ricordo bene le circostanze del nostro primo incontro. A pensarci provo una vergogna senza limiti. Che razza di mostro ero! Affamato di sangue e vendetta, cieco, folle, totalmente privo di autocontrollo. Una larva di ciò che si dovrebbe chiamare uomo.
Mi farebbe piacere scambiare qualche parola con ognuno di loro ma la precedenza va al nostro datore di lavoro: il Signor Sapp.
Lady Ursula mi ha dato una descrizione di lui affascinante e singolare al contempo. Devo dire che il ritratto fatto dalla donna è abbastanza vicino al vero. Sapp è strano, la creatura più strana che abbia mai visto. Alterna momenti di loquacità insostenibile e iperattività estenuante ad attimi di omertoso silenzio e riflessione impenetrabile.
Un secondo prima saltella eccitato dando ordini a destra e manca, quello dopo sta lì impalato sulla sua cavalcatura senza nemmeno degnarti di uno sguardo. Voglio proprio capire cosa frulla in quella zucca verdognola.
Decido di avvicinarmi a lui e farli un paio di domande. Nonostante la mia buona volontà il dialogo diventa immediatamente un serrato interrogatorio. Cosa spinge un goblin a radunare una squadra di mercenari per liberare una miniera? Come mai un goblin è "così civilizzato “e parla tanto bene le lingue degli uomini? Chi sono gli uomini della scorta e perché mai dovrebbero mettersi al servizio di un pelleverde?
Affari, human. Voi non fare scambi?
E' l'unica risposta che ottengo, insieme all'ovvia constatazione che i pelleverde sono barbari solo nelle xenofobe credenze degli umani. Quanto ai due uomini del deserto quello che riesco a scucirgli è tanto poco da non essere nemmeno degno di nota.
«Affari certo, ma gli affari presuppongono un guadagno tu che ci guadagni da tutto ciò se posso chiederlo?» - domando, ripartendo all'attacco- «Sono stato sgarbato sulla tua razza. So quanto detestabili possano essere certi preconcetti, anche il popolo da cui provenivo era considerato "barbaro". La mia era semplice curiosità, volevo sapere qualcosa dei vostri costumi da una fonte attendibile ...» - concludo trovando il coraggio di scusarmi per l'idiozia di cui sono stato un limpido esempio. Ma Sapp non è dell'umore e mi liquida dicendomi:
Noi risolvere problema loro, loro risolvere problema loro. Libero per libero. Ah! Non volere parlare di noi, capisci human.
E' evidente che non caverò un ragno dal buco continuando a parlargli, non oggi almeno.
«Un nobile affare dunque.» - affermo con un sorriso d'approvazione - «La mia razza ha molto da apprendere dalla tua. Ci sono ben pochi umani che rischierebbero la pelle per la libertà dei propri simili. Spero proprio di non appartenere a questo gruppo e spero anche di meritarmi la fiducia necessaria a poter chiedere di nuovo qualcosa sui tuoi simili. »
E speriamo che la prossima volta vada meglio, aggiungo tra me e me.
Proprio mentre me ne stavo tornando al mio posto con l'orgoglio sotto i piedi ecco che il mio desiderio di chiacchiere viene soddisfatto.
«Non è la prima volta che ci incontriamo, vero aper?» - mi saluta. «Ruldo... eravamo insieme durante una certa spedizione.» - afferma consultando un libricino rosso con fare invero un po' inquietante.
Si ci siamo visti li, in quel maledetto Ruldo! Si sono io il pazzo! E si che il Baathos si porti Ainwen d'Oriente e i suoi leccapiedi che per due volte hanno rischiato di farmi crepare.
Avrei voluto dirgli questo ma lo tenni prudentemente per me. Sfoggiai invece un sorriso, affilai la mia retorica e mi preparai alla piacevole rievocazione di vecchie imprese polverose.
«Pessime le circostanze del nostro primo incontro. Nonostante ciò sono lieto di rivederti in salute » - gli sorrido appena - «La mia salute è migliorata di certo.» - e qui il mio sorriso si allarga. Una battuta di pessima fattura, ma lui ridacchia lo stesso. E' gentile.
Lancio uno sguardo alla carovana e proseguo - «Strani datori di lavoro. Specialmente Sap. Così loquace quando gli fa comodo eppure dannatamente taciturno quando gli si fanno domande sul lavoro. Speriamo che questa volta le cose vadano meglio rispetto all'ultima spedizione che abbiamo condiviso. Allora ci era stato detto che non avremmo corso alcun rischio ... »
"Sono un tipo coriaceo." Mi risponde e poi aggiunge cortese: "Mi fa piacere vederti in forma. I tuoi occhi sembrano più sereni rispetto all'ultima volta che ti ho incontrato."
"Fa sempre piacere rivedere una faccia conosciuta." Poi il suo tono si fa più cauto, il suo sguardo si sposta sulla strada "Quando si parla di demoni si va sempre incontro a un grande rischio. Sono subdoli, sadici, imprevedibili... che siano grandi o piccoli." Non sembra felice di andare ad incontrarne uno. "Piuttosto spero di non ritrovarmi contro i miei stessi compagni come la scorsa volta." Ringhia sommessamente. "Non è la prima volta... Odio quando succede. Per questo in genere preferisco lavorare da solo."
Ah ecco si ricorda! Penso e non posso fare almeno di arrossire.
"Davvero hai già lavorato con Sapp? Cos'è successo la volta scorsa? "
«Di demoni non so molto ...» - rispondo- «...ma conosco molto bene la mia razza e da quello che ho visto noi umani sappiamo fare molto peggio.» - mi guardo intorno per delicatezza vorrei che Montu non ascoltasse. Insomma non mi è mai sembrato molto felice di mostrare la sua vera natura agli altri.- «Ho conosciuto un demone una volta era molto ... umano. Ho persino incrociato la spada con lui ...» - Ho parlato troppo, come al solito. Forse è meglio cambiare argomento.
Osservo incuriosito il carro e attrezzature e gli faccio qualche complimento per la fattura delle provviste. - «E' capitato anche a me di combattere con i miei compagni. Non è stato piacevole, non lo è stato affatto ma temo che in questi casi non ci sia molta scelta. O la nostra vita o la loro ... » . Chiarisco cercando di farli comprendere che io non sono quel pazzo assetato di sangue che ha visto la volta precedente. - «Forse mi hai frainteso, io mi riferivo all'altra spedizione ...Quella conclusasi in tragedia ...o in un successo. » - Solo allora mi rendo conto che non ci siamo mai presentati, faccio io il primo passo - «Non ricordo di essermi mai presentato. Non ero propriamente in me l'ultima volta. Io sono Malzhar, Malzhar Rahl.»
"Non ce ne va bene una, eh...?” Afferma con superficiale leggerezza. Superficiale, infatti, c'è qualcosa che nasconde nel profondo, posso percepirlo.
Mi stringe la mano. "Al Patchouli. Al per i compagni. " Mi fissa negli occhi e poi con naturalezza conclude. "Ovviamente non è il mio vero nome."
E qual è? Avrei chiesto a voler dare sfogo alla mia vera natura. Ma poi opto per una risposta delicata e contegnosa, non vorrei fare altre figuracce. Quella con Sapp basta e avanza. «Un nome è solo un nome. Ciò che ci perseguita non smetterà di farlo cambiandolo. » - mi fermo un attimo- «Ma se hai scelto uno pseudonimo avrai le tue ragioni, non sarò indiscreto. Spero un giorno di essere degno della tua fiducia in modo che tu possa rivelarmelo. » - poi per alleggerire il tema della discussione concludo -«Ma prima cerchiamo di uscire vivi da questa missione. Troppi segreti, troppe cose non dette. Ma almeno lo facciamo per una buona causa ... »
Ed eccolo. Mi ero chiesto fino a quando sarei riuscito a godermi la marcia, mi sembrava troppo bello poter finalmente chiacchierare amabilmente senza correre il rischio di dover sguainare una spada.
Malzhar, il Corvo.
Mi mordo la lingua per evitare di affibbiargli un epiteto anch'io. E' lui, il Signor Boria d'Oriente, Cavaliere dell'Arroganza, Lord di Grande Pallone Gonfiato. Stringo i denti e mi ricaccio le parole in gola. Lo lascio parlare, in fondo non posso permettermi di aggredirlo senza un buon motivo. Dopotutto non sarebbe nemmeno onesto accusarlo di egocentrismo e arroganza quando io non sono certo un modello di umiltà e mitezza.
Ci siamo visti a Ruldo l'ultima volta, se non sbaglio.
In circostanze più mondane e probabilmente più piacevoli di quelle attuali.
Ma ho sentito che stavate parlando di demoni: io me ho una certa esperienza ... ho subito le torture dei Korps nell'Akeran settentrionale per diversi giorni, e nel mio dominio di Vallegelida ho sentito narrare molte leggende sulle creature della notte.

Bravi i Corps! Ottimo lavoro! Tagliarli la linguaccia no? No, no non va affatto bene.
Cosa mi ero ripromesso quel giorno durante una delle adunanze delle Resistenza?
Avrei cercato di riparare alla frattura con lo Spadaccino, questo mi ero promesso.
Tu non mi piaci Corvo e so che io non piaccio a te. Ma sono qui per fare un favore a Sapp e per uccidere un abominio che merita solo la distruzione eterna: se sei d'accordo proverei a cercare di lasciarci indietro il passato e di collaborare al meglio delle nostre possibilità, per questa occasione
E addio ogni possibilità di far finire questa discussione con un cordiale " non preoccuparti! N'è passata d' acqua sotto i ponti!" . Sento invece un grumo velenoso salirmi per la gola, bruciarmi la lingua, spingere sulle labbra per uscire. Lo lascio andare? Lo faccio?
«Ecco un'altra vecchia conoscenza» - esclamo felice di rivederlo come di ficcarmi un dito in un occhio - «A Ruldo le circostanze erano certamente più mondane, ma non ricordo niente di piacevole in quell'incontro. »
Proseguo simpatico come una passeggiata tra i rovi con foglie d'ortica nei calzoni.
« Mi ero presentato alla festa sotto falso nome: Padre Lewing dissi di chiamarmi. Ma il mio passato è riuscito a trovarmi e darmi tormento anche in quel pacifico feudo ... Così ho lasciato che ogni prudenza andasse al diavolo e ho rivelato la mia vera identità. » - spiego ad Al. Poi torno a dedicarmi al buon vecchio spadaccino. «Qualcuno mi ammonì dicendomi di essere grato al passato perché mi ha reso ciò che sono oggi. Io non dimentico Spadaccino, sento ancora l'odore del sangue di Medoro nelle narici e le urla disperate degli innocenti massacrati dal tuo Lorch. Ma chi è mondo da colpe su questa terra? » - scordati pure di essere mai mio commensale, questo è il messaggio non troppo velato. -«Stavamo giusto notando quando fosse spiacevole combattere contro i propri stessi compagni di viaggio. Se fingere di aver dimenticato mi risparmierà questo fastidio allora facciamo finta di esserci conosciuti oggi. » - aggiungo poi. Vorrei proprio evitare di finire a chiarire le nostre reciproche divergenze di opinione a scazzottate, specie se c'è un demone che rischia di farci fuori. Discorso chiuso, puoi anche ritornare al tuo posto amico.
Fortunatamente giunge Montu a rompere il silenzio imbarazzato che ha seguito le mie parole.
-Malzhar, amico mio, fratello!
Le nostre strade sembrano destinate ad incrociarsi. E nonostante il pericolo incomba su di noi, è una situazione molto meno spiacevole dell'ultima volta.-

Eccolo! Sempre sorridente e cordiale. Sono proprio felice di rivederlo.
«Montu! Sono felice di rivederti »
-Beh, non che affrontato un Demone tu li abbia affrontati tutti, ma abbiamo la nostra dose di esperienza.-
Arrosisco di nuovo. Deve avermi sentito. Dannazione oggi ne non faccio una buona! Ma lui non sembra essersela presa.
«Di sicuro abbiamo la nostra dose di cicatrici!» - gli rispondo cercando di buttarla in allegria. «Non vorrei essere troppo ottimista ma siamo un gruppo numeroso e ognuno di noi ha avuto le sue belle avventure. Sempre che quel piccoletto non ci riservi qualche spiacevole sorpresa se ci comportiamo con la dovuta prudenza non dovremmo rischiare la pelle questa volta ...»
Mi rivolgo agli altri due.
«Al, Messer Shimmen vi presento Montu, un mio caro amico, una persona degna della massima fiducia.» - batto le mani con fare pratico - «Bene i convenevoli di rito li abbiamo espletati. Ora che ne dite di abbozzare una strategia? Temo che il Signor Sapp adori tenerci le informazioni nascoste e i due beduin al suo fianco ... bè ho visto pietre più espansive e loquaci. Voi siete riusciti a scoprire qualcosa di interessante?»
Il tempo delle rimpatriate giunge alla fine, dobbiamo iniziare ad organizzarci se vogliamo sperare di uscire interi. Il Demone propone qualcosa al nostro finanziatore ma quello per tutta risposta stravolge la sua idea. Ora gli toccherà aprire la fila, mentre il gentile pelleverde se ne starà al sicuro nelle retrovie. Al Patchouli dichiara di voler anche lui aprire la fila e tanto per non essere da meno affermo:
«Non ha senso stare dietro; una volta lì dentro avanguardie o retrovie non fa differenza sono con voi. »
E speriamo di non pentircene.




 
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view post Posted on 19/1/2015, 17:22
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Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
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Affare? Andare incontro ad un Demone era una missione potenzialmente suicida.
Doverlo andare a stanare in una miniera aumentava di molto le possibilità di morire, e dato che Sapp non aveva nemmeno una descrizione dell'essere erano totalmente impreparati.
Il vantaggio per Montu, oltre l'oro ovviamente, sarebbe stato quello di confrontarsi con un membro della sua razza. Non di certo per cooperare, i Demoni non lo fanno nemmeno nelle profondità del Baathos, ma per saggiarne il potere, per carpire segreti, e porsi dei limiti da superare. E se per farlo avrebbe dovuto uccidere il Demone che dava tanti problemi ai minatori... La razza per i Demoni è indifferente, un po' come per gli Uomini, e non si sarebbe fatto problemi.
Arrivato alla miniera, scoprì un gruppo ben meno numeroso di quello che si aspettava, e con gioia e stupore trovò un volto familiare: Malzhar Rahl!
I minatori, per la maggior parte Pelleverde, sostavano fuori quello che era l'ingresso alla miniera, i volti spaventati e i movimenti rapidi, incuranti degli uomini che erano appena arrivati.
Montu si avvicinò al Sussurro, intento a parlare con altri due uomini, probabilmente gli unici altri componenti della spedizione.
-Malzhar, amico mio, fratello!
Le nostre strade sembrano destinate ad incrociarsi. E nonostante il pericolo incomba su di noi, è una situazione molto meno spiacevole dell'ultima volta.-

Il ricordo di Selva Rossa era ancora vivido nella memoria del Demone, e in qualche modo cercò di sorridere, sperando che l'amico non serbasse rancore.
-Beh, non che affrontato un Demone tu li abbia affrontati tutti, ma abbiamo la nostra dose di esperienza.-
Si lasciò quasi andare ad una risata, e vedendo il volto sorridente di Malzhar capì che, anche per lui, ormai era acqua passata.
-Montu! Sono felice di rivederti. Di sicuro abbiamo la nostra dose di cicatrici!-
Le risate dei due compagni archiviarono l'episodio, e forse un giorno ne avrebbero riso ancora, in una taverna.
Avrebbe voluto offrire da bere a tutti i suoi compagni, in una Basiledra libera. E si chiese se quell'allontanarsi costantemente dai Quattro Regni, anche in periodi vuoti per i Sussurri o la Resistenza, non fosse un voler fuggire dai suoi doveri.
No, non poteva essere così. Era l'impotenza di fronte al terrore imposto da Mathias che lo obbligava a non rimanere con le mani in mano, seppur le sue azioni lo trascinavano ai confini di Theras. Le parole di Malzhar lo riportarono immediatamente alla realtà, ora era lì, ed era inutile pensare a casa, o a cosa avrebbe potuto -non- fare.
-Non vorrei essere troppo ottimista ma siamo un gruppo numeroso e ognuno di noi ha avuto le sue belle avventure. Sempre che quel piccoletto non ci riservi qualche spiacevole sorpresa se ci comportiamo con la dovuta prudenza non dovremmo rischiare la pelle questa volta...- Poi si voltò verso gli altri, per le presentazioni del caso. -Al, Messer Shimmen vi presento Montu, un mio caro amico, una persona degna della massima fiducia.-
-Piacere mio, signori.- Disse chinando leggermente la testa, e uno dei due uomini gli rispose portandosi un pugno al petto.
-Al Patchouli. Lavoreremo insieme, a quanto pare.-
Malzhar battè le mani, evidentemente ansioso di iniziare. -Bene i convenevoli di rito li abbiamo espletati. Ora che ne dite di abbozzare una strategia? Temo che il Signor Sapp adori tenerci le informazioni nascoste e i due beduin al suo fianco ... bè ho visto pietre più espansive e loquaci. Voi siete riusciti a scoprire qualcosa di interessante?-
Qualcosa di interessante? Sapp alternava momenti di euforia ad attimi di cupo silenzio, ma in una cosa era sempre rimasto costante durante il viaggio: la sua chiusura verso discorsi quali la sua razza o la missione. No, niente da riportare.
-Non credo che Sapp ci lascerà organizzare l'ingresso nella miniera, ma spero vivamente che i due beduin aprano la strada! Non vorrei che ci rimettesse la pelle il nostro finanziatore.-

Quando raggiunsero l'ingresso della miniera altri uomini si erano aggiunti al gruppo.
Uno di loro, Akym, era il rampollo della famiglia che possedeva la miniera, insieme a lui due energumeni, necessari forse a proteggerlo, e infine tal Misdra, addetto alla miniera e a capo dei lavoratori. Per i Pelleverde, molto probabilmente, uno schiavista.
Akym concesse a Sapp l'aiuto di una delle sue due guardie, Jadhar, e in quel momento Montu si avvicinò, proponendo al goblin una strategia d'ingresso.
La cosa più logica, e soprattutto sicura, sarebbe stata quella di mandare avanti l'uomo, poi i due beduin, seguiti da Sapp e i quattro mercenari.
-Oh sì, buona idea. Humans grossi avanti, noi dietro. Altri in mezzo. Buono buono.-
Stravolse l'idea, e costrinse proprio il Demone ad aprire la fila.
-E sia, imparerò a tenere la bocca chiusa.- Sorrise.
-Vado avanti io insieme a lui, se nessuno ha da obiettare. In fondo non ci pagano per nulla.-
Proprio Al Patchouli, un modo come un altro -forse non il migliore- per conoscersi meglio.
-Non ha senso stare dietro; una volta li dentro avanguardie o retrovie non fa differenza, sono con voi.- E infine Malzhar si accodò, chiudendo la testa del gruppo.
Humans grossi... bella scusa, Pelleverde timoroso!
-Ottimo Mal, allora aprirai la fila insieme ad Al e me, se i tunnel ci permettono di camminare accanto.-
Spostò gli occhi su Misdra, che annuì frettolosamente.
-Le gallerie principali sono abbastanza larghe da permettere a tre uomini di camminare affiancati. Ma i cunicoli secondari sono stretti anche per i Pelleverde.-
-Perfetto. Se a te va bene, Shimmen, rimarrai qualche passo indietro con Sapp e Jhared, chiudono i nostri silenziosi beduin.
Misdra, è rimasto qualcuno nella miniera?-

L'uomo rispose ancora, quasi sorpreso dal fatto di essere stato nuovamente interpellato.
-Qualche minatore è rimasto dentro, nella parte più bassa della miniera probabilmente. Ma non so quanti, e nemmeno in che condizioni siano.-
-Questo ci complica un po' le cose. Augurandoci che i minatori siano ancora vivi, dobbiamo riuscire a portarli in salvo. Spero che la cosa non ci ostacoli quando ci troveremo davanti il Demone, o qualunque cosa ci sia là sotto.-
Si voltò verso Jhared e i beduin, era ora di andare.
-Signori, copriteci le spalle, e cerchiamo di non crepare dentro quella miniera.-



Energia: 150%
Status Fisico: Illeso
Status Psicologico: Illeso
CS Forma Umana: +3 Astuzia

Armi:
Shokan: Riposta
Pistola: Riposta (5/5 colpi)

Armature:
Pelle Coriacea [Arma Naturale]

Oggetti:
Biglia Stordente: 1
Biglia Tossica: 1
Biglia Deflagrante: 1
Rubino: Forma Umana: +1 Forza; +1 Velocità; +2 Maestria nell’uso delle Armi. Forma Demoniaca: +2 Forza; +1 Velocità; +1 Intelligenza.
Gemma della Trasformazione
[Amuleto del Potere]

Abilità Usate:
//

Note: Tutto come da confronto.
 
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view post Posted on 19/1/2015, 23:37
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Rou - Verlos



[color=black] Misteri.
Quel viaggio e quella missione. Sapp ed i due beduin. I suoi compagni avventurieri, mercenari attratti dall’oro o dai principi, dal desiderio di fare del bene o chissà che altro. Era tutto pieno di misteri e, lo ammetteva, era questo lo sprone che lo spingeva ad andare avanti, molto più che l’oro di cui non aveva veramente bisogno o il voler fare un favore al piccolo goblin che una volta lo aveva aiutato, che costituiva quasi una semplice scusa per poter giustificare il suo temporaneo allontanamento dalla fila della Resistenza.
Avvicinandosi all’ingresso della miniera Shimmen ne sentiva sempre di più il flusso di aria fresca e l’odore intenso, particolare, di roccia e polvere; così come sentiva la chiara ostilità di Malzhar, intento a camminare qualche passo più avanti con Al Patchouli e Montu, un vecchio amico del servo del Sovrano.
Dai loro discorsi sapeva che lui lo considerava arrogante ed egocentrico, beh un pochino lo era in effetti, ma probabilmente il Corvo era più simile allo Spadaccino stesso di quanto gli facesse piacere ammettere. In effetti, si era reso conto con una certa sorpresa, finora lo aveva disprezzato in massima parte per il semplice fatto di essere un Corvo, e lui odiava profondamente i servi del Sovrano: non gli aveva concesso neanche una piccola possibilità di dimostrarsi qualcosa di diverso. Forse perché addirittura temeva il fatto che uno di loro gli potesse sembrare qualcosa di diverso dall’immagine che si era fatto del loro culto. Perché si era abituato a vederli come nemici. E si che andava fiero della sua abitudine di giudicare le persone per le loro azioni, e non per la loro apparenza ... quanta ironia nello scoprire che sbagliava!
All’accampamento era convinto di aver fatto un piccolo passo avanti, offrendo almeno onestà su quelli che erano i suoi sentimenti e la propria esperienza con i Demoni al servizio della causa comune: luce sull’insidiosa oscurità degli intrighi in cui i preti erano inclini a nascondersi. Se Malzhar era quel tipo d’uomo che non rifiutava la verità si poteva provare almeno costruire un rapporto di rispetto reciproco. Un nuovo inizio.
Ripensò al viaggio, sentendo al suo fianco la continua chiacchera di Sapp e la presenza del massiccio e silenzioso Jhadar, a fare da contrappunto alla minutezza del goblin. Anche durante l’aspro percorso vi era stata abbondanza di loquacità da parte sua. Aveva chiesto alla piccola creatura qualche notizia di Bara-Katal e degli altri Pelleverde che erano con lui durante la spedizione a Basiledra, ricevendone però in cambio solo vaghi accenni e cambi di discorso. Sbuffò forte, attirandosi un’occhiata interrogativa da parte di Jhadar: era frustrante quanto la precisa volontà di nascondere informazioni, o della mancanza effettiva delle stesse, fosse frustrante certe volte. Se da un lato era sicuro che Sapp ed i beduin stessero volutamente nascondendo qualcosa, e la cosa non accresceva la sua già labile fiducia in ciò che avevano in mente, era abbastanza certo che le persone della cava, i cavatori, Misdra ed Akyim, non avessero effettivamente idea di come e perché il demone fosse “comparso”, né di che aspetto o poteri avesse ... semplicemente per loro il giorno prima non c’era ed il giorno dopo si.
Chissà che razza di creatura era. Si chiese tastandosi la cintura per essere sicuro di avere ancora la mappa della miniera. Chissà dov’era, in quel momento.
Probabilmente ai livelli più profondi
, rifletté, lontano dalla luce del sole. Se i goblin che dovevano liberare erano ancora vivi era probabile che si fossero rifugiati nei cunicoli più stretti e profondi, dove una creatura più ingombrante avrebbe avuto difficoltà a seguirli. Chissà come si sentivano, al buio ed in trappola da giorni. Rabbrividì quasi involontariamente al pensiero di essere sul punto di andare a cacciarsi sotto terra: lui odiava sentirsi rinchiuso.


Energia: 100%
Status Fisico: Illeso
Status Psicologico: Illeso
CS: 1 destrezza, 1 forza

Armi:
arco e frecce 15/15
spada
pelle resistente come un'armatura di ferro

Oggetti:
- Erba Ricostituente x2 (+5% energie ciascuna)
- Gemma della Trasformazione

Abilità Usate:
Abilità Passive:
- Chaos Istinct: passiva di auspex basata sull'ostilità rivolta verso Shimmen.
- In labor Force: passiva che dona un +2 cs sotto power up
- Non fa rumore e non lascia tracce al passaggio (dominio Assassino)
- Capacità di combattere anche se ferito gravemente (razziale)

Mantello dell'Esploratore: Esploratore dell'Ovest e Eroe del Nord.

Note: Perdonate la scarnezza del post ma l'ho fatto tra un impegno e l'altro, alla sera, nel giorno di proroga. Sessione di esami è così.
 
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view post Posted on 20/1/2015, 01:53
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Aper army
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Վեժի ~ Rou ~ ՃԳեր

~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~O~~~
Verlos

Atto II

(Vahram [pensato, lingua aramana], Malzhar.)


01_armeniantablemini_zps55180b48

I giorni di viaggio trascorsero quieti e senza intoppi. Le strade per il luogo d’incontro si rivelarono non troppo disagevoli e il tempo fu clemente. Le albe e i tramonti si susseguivano rapidi, come rapide si susseguivano le terre e le plaghe che i due cavalieri – uno aramano e l’altro beduin – attraversavano. E ogni sera il borsello di Al Patchouli si riempiva sempre di più. Dobloni di oro puro, oltremodo rari e ben valutati nelle desolate lande selvagge delle Hooglans. Neanche a dirlo, nel giro di un paio di settimane riuscì a rimpinguare completamente il suo novero di costose attrezzature e sostanze alchemiche, reperendole qua e là presso diversi mercanti nei piccoli insediamenti che incontrò durante il viaggio. A lungo andare, la groppa del suo povero cavallo Knel divenne talmente trasbordante di bizzarre strumentazioni, vasetti tintinnanti pieni di misteriose polveri colorate e cianfrusaglie varie da far sgomento.
Si aggregarono alla comitiva di mercenari assoldata da Sapp circa a metà strada.

Tipo singolare Sapp. Quell’inflessione marcatamente ironica nella sua parlantina, quel suo diabolico ghigno bonario degno di una iena sempre spiaccicato sul volto, l’accento disarmonico che ostentava quando parlava – o almeno tentava di parlare – la lingua comune. Sveglio, schietto e dalla risposta pronta, dimostrava dimestichezza e determinazione ogniqualvolta capitava di conversare insieme a lui.
Il beduin che lo aveva accompagnato – uno dei due nel gruppo – glielo presentò non appena giunsero al punto di incontro. Al Patchouli porse cordialmente i suoi omaggi a lui e ai suoi accompagnatori. Insieme all’aramano, erano stati reclutati altri tre avventurieri.
Uno era un uomo dai capelli rossi. Assomigliava in tutto e per tutto a uno di quei samurai dei regni dell’Est, a giudicare dai suoi abiti variopinti dalle ampie maniche e dai larghi pantaloni, ma soprattutto dalla lunga e caratteristica sciabola che portava alla cintura. Gli ricordava vagamente Chojiro, il suo vecchio amico di Taanach. A differenza di quel vecchio ubriacone, però, ostentava un comportamento ben più altero e sussiegoso, nonché un gusto decisamente migliore nel vestire.

Il secondo era invece un colosso di due metri, spalle larghe, pelle scura, spavaldi capelli corvini e una barba rasposa che gli incorniciava il mento. Gli segnava il lato destro del volto una deturpante cicatrice. Era una guerriero vissuto: certe cose non sfuggivano agli occhi di Al Patchouli. Il suo aspetto era sì minaccioso, ma più lo si guardava, più sembrava ammantato da un’inquietante atmosfera innaturale. Quasi non fosse del tutto umano. Vahram ebbe l’impressione che quella faccia non gli fosse nuova, ma non riuscì a rammentare dove avesse incontrato quel singolare barbaro. Per il momento, decise di tenersi quella domanda per sé.

L’ultimo, invece, stranamente gli parve molto più familiare. Quegli abiti, quelle movenze caratteristiche che la Volpe degli Altopiani non mancò di notare. Vahram estrasse il taccuino rosso, dove schedava ogni persona che ritenesse degna della sua attenzione, e iniziò a sfogliarlo agilmente, lasciandosi guidare dal suo affinato istinto.
Tirò con sé Knel dalle redini e si avvicinò quel misterioso individuo del suo passato.

«Non è la prima volta che ci incontriamo, vero, aper?» Lo approcciò, tenendo sempre con una mano il libricino rosso aperto davanti a sé.

Il suo dito scorse tra le varie didascalie scarabocchiate, fitte e disordinate su quella pagina come tante macchie nerastre affollate su un lembo bianco fino a quasi coprirlo del tutto, finché non si fermò esattamente sopra quella che cercava.
Batte il polpastrello su una di quelle macchie di sgorbi indecifrabili, in mezzo a una pagina contrassegnata da una grande intestazione scritta nel suo bizzarro alfabeto:

Րհլդո

Rhldo.

«Ruldo...
Eravamo insieme durante una certa spedizione.
»


Gli parlò sottovoce, avvicinando leggermente la bocca all’orecchio dell’uomo. Vahram non sorrideva. Né felice, né amareggiato nel rivederlo. Curioso ma distaccato come un investigatore in procinto di interrogare un testimone. La descrizione che aveva redatto corrispondeva.

Era molto cambiato dall’ultima volta che lo aveva visto, ma non c’erano dubbi: si trattava dello stesso sciamano che prese parte alla missione punitiva contro Yu Kermis insieme a lui. Non era riportato nessun nome sul taccuino: probabilmente non glielo aveva neppure mai domandato.
L’individuo squadrò Vahram con un’espressione indecifrabile. Ad un tratto mosse il capo, come se anche a lui avesse ricordato improvvisamente qualcosa.

«Pessime le circostanze del nostro primo incontro. Nonostante ciò sono lieto di rivederti in salute.» Esordì, sorridendo lievemente. «La mia salute è migliorata di certo.»
Si voltò ad osservare la carovana in marcia. «Strani datori di lavoro. Specialmente Sapp. Così loquace quando gli fa comodo eppure dannatamente taciturno quando gli si fanno domande sul lavoro. Speriamo che questa volta le cose vadano meglio rispetto all'ultima spedizione che abbiamo condiviso. Allora ci era stato detto che non avremmo corso alcun rischio...»

Vahram ridacchiò giovialmente, pago di averci azzeccato e divertito dai convenevoli del suo vecchio compagno di avventura.
«Sono un tipo coriaceo.» Rispose, allargando un mezzo sorriso da vecchia volpe. «Mi fa piacere vederti in forma. I tuoi occhi sembrano più sereni rispetto all'ultima volta che ti ho incontrato.»

Rammentava ancora la rabbia incontenibile che al tempo invadeva lo sciamano, la maledizione del Mercante di Desideri.

Si mise al passo con lo stregone, tirando dietro di sé il cavallo carico delle sue attrezzature nuove di zecca. «Fa sempre piacere rivedere una faccia conosciuta.» Tornò a guardare davanti a sé, concentrandosi nuovamente sulla strada. «Quando si parla di demoni si va sempre incontro a un grande rischio. Sono subdoli, sadici, imprevedibili... che siano grandi o piccoli.» Tirò un sospiro irritato. «Piuttosto spero di non ritrovarmi contro i miei stessi compagni come la scorsa volta.» Ringhiò sommessamente. «Non è la prima volta... Odio quando succede. Per questo in genere preferisco lavorare da solo.»
Tornò in silenzio. Solo dopo qualche istante ricominciò a parlare.
«Davvero hai già lavorato con Sapp? Cos'è successo la volta scorsa?» Cambiò argomento. Distrarsi facendo quattro chiacchiere non avrebbe certo fatto male.

«Di demoni non so molto...» Replicò lo sciamano. «...ma conosco molto bene la mia razza e da quello che ho visto noi umani sappiamo fare molto peggio.» Si guardò intorno, sincerandosi di non essere ascoltato. «Ho conosciuto un demone una volta era molto... umano. Ho persino incrociato la spada con lui...»
Non raccontò oltre. Presto il dialogo si spostò verso altri argomenti. L’uomo rivolse alcuni complimenti per l’ottima fattura delle attrezzature di Vahram, ai quali l’aramano rispose con un artificioso sorriso lusingato.

«È capitato anche a me di combattere con i miei compagni.» Annuì, tornando a parlare delle disdicevoli vicende della loro passata missione. «Non è stato piacevole, non lo è stato affatto ma temo che in questi casi non ci sia molta scelta. O la nostra vita o la loro...»
«Forse mi hai frainteso, io mi riferivo all'altra spedizione ...Quella conclusasi in tragedia ...o in un successo.» Concluse infine, chiarendosi.
Ebbe un sussulto, come se si fosse accorto di aver dimenticato qualcosa di importante.
«Non ricordo di essermi mai presentato. Non ero propriamente in me l'ultima volta. Io sono Malzhar, Malzhar Rahl.» Si presentò.

Finalmente conosceva il suo nome. Vahram aggiunse una piccola nota in mezzo alla pagina del suo taccuino. Nel frattempo il suo volto si era fatto cupo, pur continuando a mostrare al compagno un sorriso amaro e distaccato. Si pentì di aver sollevato quell’argomento, nonostante concernesse di fatto il lavoro che li aspettava. Dopo Qashra non amava più parlare di demoni: quei discorsi rivangavano nella sua mente le atrocità che aveva commesso durante la possessione di Sharuk. Aveva quasi ucciso la sua cara amica Fanie, al fianco delle orde dell’Abisso aveva assediato la roccaforte dei suoi fratelli schiavi e ne aveva fatto strage.
Con un lento movimento chiuse il libricino rosso, asciugò la penna d’oca con un panno e ripose tutto dentro la sua bisaccia.

«Non ce ne va bene una, eh...?» Concluse, in breve. Il suo tono era sornione, ma stranamente carico di un’improvvisa spossatezza.
Tese la mano verso lo sciamano. «Al Patchouli. Al per i compagni.» Scrutò con sguardo eloquente gli occhi svegli di Malzhar.
«Ovviamente non è il mio vero nome.»

«Un nome è solo un nome. Ciò che ci perseguita non smetterà di farlo cambiandolo.» Rispose l’uomo, pensieroso. «Ma se hai scelto uno pseudonimo avrai le tue ragioni, non sarò indiscreto. Spero un giorno di essere degno della tua fiducia in modo che tu possa rivelarmelo.» Gli rivolse un’espressione sincera.
«Ma prima cerchiamo di uscire vivi da questa missione. Troppi segreti, troppe cose non dette. Ma almeno lo facciamo per una buona causa...»

Vahram non rispose. Semplicemente sorrise, guardando avanti a sé, verso l’orizzonte. Difficilmente Malzhar sarebbe venuto a conoscenza della sua vera identità.
Vahram. Il suo vero nome. Reale quanto inutile. Una delle poche eredità ormai rimastegli del popolo che aveva visto i suoi natali per poi scomparire trucidato e disperso nei meandri più incolori della storia. Un piccolo popolo di pastori, cacciatori, cavalieri degli altopiani. Uno dei tanti di cui nessuno mai sarebbe importato.

Tutti lo conoscevano come Al Patchouli.
Tutti lo stimavano come Al Patchouli.
Vahram ormai non era altro che un nome vuoto.


Non lo aveva rivelato nemmeno a Kirin, una delle poche persone che finora avesse chiamato veramente “amico”. Lo ripeteva di tanto in tanto a se stesso, per non dimenticarlo. Lo confidava unicamente ai suoi fratelli schiavi, poiché solo loro potevano comprendere...

...il significato di non avere più un nome da difendere.
Un popolo a cui appartenere.
O avi a cui votarsi.



Specchiettosfondoheaderpx_zps802a5de7

~~O~~O~~O~~ PG ~~O~~O~~O~~
Fascia: Rossa
Pericolosità: D

CS: (4)
2 Intuito, 1 Tattica, 1 Tempra


Basso 5% | Medio 9% | Alto 18% | Critico 36%

~~O~~O~~O~~ Salute ~~O~~O~~O~~
Corpo (Illeso):
Illeso.

Mente (Illesa):
Illesa.

Energie: 100%

~~O~~O~~O~~ Strumenti ~~O~~O~~O~~
Armi:
Yen Kaytsak: Infoderata sul cavallo.
Spada: Infoderata.
Arco (15): Infoderato.
Pistola (5): Infoderata.

Armature: Brigantina.
Oggetti: Biglia dissonante.


~~O~~O~~O~~ Abilità Passive ~~O~~O~~O~~

[Mamūluk ~ Abilità razziale Umana (Audacia)] Gli schiavi guerrieri sono vere e proprie macchine da guerra plasmate per affrontare irriducibili gli sforzi più inumani e le condizioni ambientali più estreme. Possono combattere senza posa per giorni interi. Raggiunto il 10% delle energie infatti, un mamūluk non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.

[ Disilluso ~ Passiva di talento Stratega (Capacità di discernere le illusioni)] La sua integrità mentale e il suo inumano addestramento lo resero congeniale ad affrontare senza timore anche la magia o le malie psioniche. Per questo motivo, nel caso in cui si trovasse innanzi ad una illusione, sarebbe sempre in grado di discernerla come tale, pur non dissolvendola né distruggendola.

[ Imperturbabile ~ Passiva di talento Stratega (Difesa psionica Passiva)] Addirittura, esistono alcuni nemici talmente potenti da poter manipolare la mente di chi sta loro intorno senza neppure doversi impegnare per farlo: è un processo naturale, che avviene spontaneamente con la semplice vicinanza e si diffonde come un'aura passiva tutt'intorno a loro. Ma simili poteri non influenzano Vahram: si rivelano inutili dinanzi alla sua sterilità emotiva e la sua totale estinzione della percezione della paura.

[ Irriducibile ~ Passiva di talento Stratega (Immunità agli effetti mentali)] La pervicacia e la ferrea disciplina dei mamūluk sono tanto proverbiali quanto terrificanti. Non demordono nel perseguire il loro obiettivo anche quando la loro mente è incredibilmente danneggiata. Per tale motivo, Vahram è tanto incrollabile e caparbio da essere pressoché insensibile al dolore psichico e a qualsiasi effetto di natura psionica, pur riportando i normali danni alla mente.

[ Flessibile (Pergamena Guerr. Tattiche di combattimento) ~ Passiva fisica (Padronanza del campo di battaglia)] In quanto ex membro delle Squadre Speciali dei Lancieri Neri e sicario professionista, Al Patchouli è addestrato a elaborare strategie e tattiche che sfruttino a suo favore il terreno circostante. Possiede dunque capacità di trarre vantaggio del terreno e delle circostanze in qualsiasi situazione di battaglia: strategie, tattiche, intuizioni. In combattimento ciò potrà anche tradursi nell'abilità di vincere scontri fisici a parità di CS, grazie alla superiore conoscenza del terreno di scontro.

Ricordo di cenere
[Malus Passivo] Vahram avrà nei suoi ricordi la mente di una bambina a lui sconosciuta che brucia tra le fiamme; non conta come un'influenza passiva, ma come un semplice spunto narrativo. Il guerriero ricorda anche il nome della bambina: Giselle

[Passiva Psionica (Obnublia i sensi dei nemici in prossimità)] Assecondando quella memoria, quel lutto mai affrontato e superato, Vahram saprà rievocare parte del dolore e della pena a cui non ha potuto opporsi. Appena sarà sua intenzione farlo, la cappa comincerà a perdere cenere dalle bruciature senza che alcuna fiamma la arda. La sottile polvere grigia si solleverà come nebbia offuscando i sensi di chi sarà abbastanza vicino al portatore pur potendovi scorgere attraverso. La sintomatologia della cenere avrà valenza di malia psionica passiva e difendibile in quanto tale.

[Passiva (La cenere può essere usata per portare attacchi fisici)] Ma la cenere potrà essere anche adoperata per altri fini, per infliggere un bruciante dolore, lo stesso che la piccola Giselle dovette sopportare nel suo piccolo inferno in terra, poiché nessun demonio – o quasi – raggiunge la malvagità insita nell'uomo. Vahram sarà infatti in grado di utilizzare la cenere posatasi sul terreno e quella ancora per aria come fosse un'arma, manipolandola a suo totale piacimento. Ustionanti al contatto, gli attacchi non avranno valenza di tecnica ma solo di attacco fisico, la loro potenza sarà direttamente proporzionale alle Capacità Straordinarie in suo possesso e potranno avere origine solo nelle sue strette vicinanze.


~~O~~O~~O~~ Abilità Attive ~~O~~O~~O~~


(Nessuna)



~~O~~O~~O~~ Sunto ~~O~~O~~O~~


Scusate il ritardo e la brutta qualità del post. Per quanto riguarda la parte dell'organizzazione in seguito all'arrivo alla cava, l'ho tralasciata apposta qui preferendo piuttosto amalgamarla al post successivo. Per le mie azioni in questo ultimo intervallo di tempo, vi chiederei per favore di riferirvi per ora alle decisioni prese in confronto. Detta in poche parole, Vahram chiede informazioni a Misdra e Akym senza ottenere nulla di chiaro, passa il tempo rimanente a studiare la mappa e infine si accorda con gli altri sulla formazione: all'interno della miniera aprirà la fila insieme a chi tra gli altri si era offerto.

 
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K i t a *
view post Posted on 25/1/2015, 19:27




Sapp attese con insolita pazienza che il gruppo di umani finisse di organizzarsi. Non si riusciva a capire se dipendesse da un’eccessiva fiducia nella sua squadra o un totale disinteresse per quei discorsi. Mostrò la sua attenzione solo quando Montu si rivolse a Misdra, chiedendogli notizie degli altri minatori. Lo guardò di sottecchi, ascoltando la sua risposta, per poi battere di nuovo le mani, catturando l’attenzione degli altri: «Allora andiamo! O demone finirà per andarsene e tutta questa fatica sarà per nulla!» sentenziò, annuendo con convinzione.
Mentre il gruppo cominciava a disporsi, Misdra si schiarì la voce, richiamandoli. Alcuni lavoratori si erano avvicinati, reggendo tra le mani alcuni fagotti bitorzoluti. «Vi farà comoda dell’attrezzatura quando sarete la sotto.» disse, e insieme ai suoi uomini cominciò a distribuire della corda e delle torce, in modo che tutti ne fossero forniti. Sapp annuì, sorridendo all’uomo, aprendosi sempre in quel suo ghigno indecifrabile. «Molte grazie, human.» gli disse. Aspettò che tutti imbracciassero l’equipaggiamento fornito, e lentamente, uno dopo l’altro, cominciarono a varcare la soglia della miniera. Poco prima di sparire nell’oscurità si voltò verso il manipolo di uomini alle sue spalle, osservandoli per un paio di secondi, per poi girarsi e avanzare.

Il lungo corridoio della miniera si estendeva davanti ai loro occhi per diversi metri, fino a immergersi nell’oscurità. La luce del sole li accompagnò per pochi metri, ma ben presto il buio cominciò a farsi avanti rendendo la loro vista più difficoltosa, perciò furono costretti ad accendere le torce. Le lastre di legno percorrevano quel lungo corridoio per buona parte della sua lunghezza; anche sotto i loro piedi era stata creata una passerella, il materiale solcato da lunghe e profonde strisce, segno dell’usura. Nonostante avessero percorso pochi metri, potevano già sentire il cambiamento di pressione nell’aria, che lasciava presagire cosa avrebbero trovato nei piani inferiori: un’informazione che Sapp non aveva ritenuto importante puntualizzare.
Passarono i primi dieci minuti in silenzio, continuando ad avanzare nel cuore della montagna, con solo l’eco dei loro passi a fargli compagnia. Perfino il goblin stava riuscendo a stare zitto, concentrato su dove mettere i piedi e a studiare il passaggio che stavano percorrendo. Sembrava tutto piuttosto facile, fino a quel momento, ma ancora non avevano trovato alcun montacarichi o passaggio per raggiungere i piani inferiori. Le difficoltà, pero, non si fecero attendere a lungo, ed ecco che il gruppo dovette fare la sua prima sosta: davanti a loro si profilavano due fessure nella roccia, in cui il sentiero si divideva. Non riuscivano a vedere cosa ci fosse oltre, potevano scorgere solo altra oscurità. Rimasero qualche secondo perplessi, soppesando il da farsi. «Beh, questo è un… come dite voi? Indovinello?» chiese Sapp. «Enigma.» suggerì Idir, il beduin alla sua sinistra. Il goblin annuì: «Sì, esatto!» esclamò, come se fosse stato l’uomo ad aver indovinato. «Dunque, come risolviamo questo?» chiese poi a tutti loro con estrema noncuranza.



CITAZIONE

QM Point ~

Perdonate il tempo impiegato, ma la sessione d’esami mi sta divorando l’anima e solo il weekend riesco ad avere più tempo per stare al PC!
Bando alle ciance inutili, veniamo a noi: come evincete dal post si comincia la discesa nella miniera. Prima di entrare vi vengono forniti diversi metri di corda e una torcia (una di quelle vecchio stampo, non la versione moderna che conosciamo noi: per capirci, di questa tipologia), che potrete utilizzare durante il vostro cammino.
Una volta entrati nella miniera, dopo aver percorso il corridoio principale, vi trovate ad un bivio. Vulcano nella sua mappa vede che entrambe le strade conducono potenzialmente al piano inferiore, perciò dovrete semplicemente tentare la sorte e scegliere una direzione in Confronto, e una volta fatto proseguirete la con Dra, fino al suo “stop”. A quel punto avrete 5 giorni per postare. Spero di essere stata chiara e di aver detto tutto! Se avete dubbi, chiedete pure.
Buon lavoro!

 
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view post Posted on 4/2/2015, 13:49

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Rou ~ Verlos: Pessimi presagi, spiacevoli dejavù
Un fumo denso, nero come la notte spira dalla lanterna che il goblin ci ha fornito. Un esile serpentello di fuliggine, figlio della combustione dell'olio che nutre l'unica fonte di luce concessaci in quei budelli oscuri, irti di pericoli. Scendere così in profondità nella terra mi turba, mi porta alla memoria eventi oscuri ...Una caverna, un gruppo di uomini, una accia ad un demoniaco nemico. Oscurità, follia, rabbia, morte, tragedia e lontano, lontanissimo un senso di soddisfazione cruenta, ferina. Questo era accaduto l'ultima volta in cui mi ero inoltrato nel ventre duro e nero della terra. Il pensiero di tornare la giù mi mette addosso brividi freddi. Uno stormo di cornacchie passa a punteggiare il cielo di nero: pessimo presagio. Nella lingua dei cieli, interpretando gli "oracoli con le ali" il mio popolo sapeva prevedere il futuro ... Le cornachie rappresentavano la morte disonorevole, la fine della vita senza gli onori funebri, lontano dalla tua terra, abbandonato dagli amici. Rabbrividisco, mi guardo intorno e allontano ogni pensiero molesto. Ci infiliamo nella miniera, io silenzioso e tetro in viso. La mia pelle è grigiastra, lo stomaco contratto, i nervi a fior di pelle. C'è qualcosa che non torna, c'è qualcosa che non và ... Faccio appello alla mia parte razionale, cerco conforto nella fredda logica da Sussurro.
Certo, ovvio che la situazione ti turbi! Siamo appena entrati in casa di un demone. Una maledetta miniera tutta cunicoli e pozzi. Le miniere crollano, nelle miniere i gas della terra soffocano le persone e fanno esplodere le fiamme vive di chi è così idiota da portarsele dietro. Le miniere sono piene di buche, buche in cui è facile cadere e rompersi una gambe ... Ad accompagnarmi, poi, due beduin simpatici come succo di limone negli occhi, un piccolo, verdognolo, spiacevole padroncino, un demone, un mercante dal passato fosco e uno spadaccino che non vede l'ora di ficcarmi la sua bella lama tra le costole ... E poi ci sono io. Non proprio una compagnia di uomini rassicuranti.
A peggiorare le cose ci si mettono i soliti spiriti. Quando sono nervoso non riesco ad escluderli, sembrano diventare più invadenti. La miniera è piena di anime disperse, uomini e goblin morti per chissà quale misera pepita d'oro.
Uno spettro grande, grosso dall'aria stanca è seduto vicino l'ingresso. Non mi degna di uno sguardo... Più in la la figura esile e macilenta di un minatore mi guarda con gli occhi pieni di dolore e la faccia mezza abbrustolita che non lascia dubbi sul tipo di morte incontrata. Più avanziamo e più il numero dei miei silenziosi compagni di viaggio aumenta.
C'è un vero e proprio esercito di goblin. Deperiti, la pelle scolorita dalla permanenza sotto terra, il ventre gonfio d'aria, le costole esposte, gli occhi infiammati dalla follia. Sciamano intorno a me chiedendomi del loro fratello. Alcuni non parlano la nostra lingua, altri una lingua nemmeno l'hanno più. Che pena ...
Ecco, ecco cosa siamo capaci di essere: mostri. Chi può ridurre un'altra razza vivente a quello spettro, quella larva di esistenza in cui erano stati trasformati i pelleverde prima della loro morte? Con quale diritto?
Forse, forse i nostri sforzi eviteranno ai prigionieri della minera la stessa sorte dei loro compagni. Forse Sap saprà assicurare loro una vita migliore ... O forse li userà per i suoi scopi, non pare possedere una morale limpida il piccoletto.
Cammino quasi senza accorgermi di ciò che mi accade intorno. Gli spiriti tormentati e la spiacevole sensazione che qualcosa andrà storto occupano interamente la mia attenzione.
Metto un piede in fallo, inciampo e ruzzolo a terra. Imprecando alzo la testa e lo vedo .... Il tunnel si biforca. Destra o sinistra? Questo è il primo indovinello che la miniera infestata ci pone. Ognuno sfodera le sue armi, affila le sue abilità ma niente. Dobbiamo affidarci alla sorte, il resto non c'è molto d'aiuto.
La frustrazione sale, il disagio aumenta. Detesto non poter controllare la situazione, odio questa maledetta minera! Proseguo, seguendo gli altri; di certo sono più lucidi di me. Qualcuno - Montu forse? - invia una strana bambola in avanscoperta. La situazione peggiora: dobbiamo scendere giù, in profondità. Giungiamo ad un pozzo. Il mio nuovo, esotico amico dimostra un ingengo e un 'agilità degna di un felino. Mio malgrado riesce nell'impresa di attivare e rendere utilizzabile un vecchio argano che ci aiuterà nella discesa. Inizio davvero a pentirmi di aver preso parte a questa follia!





 
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view post Posted on 8/2/2015, 18:48
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Վեժի ~ Rou ~ ՃԳեր

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Verlos

Atto III

(Vahram [pensato, lingua aramana], Malzhar, Montu, Shimmen, Sapp, Idir, Misdra, Jhadar, Akym.)


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Sotto il sole battente del mezzogiorno, Vahram sedeva a gambe incrociate sul costone composto da sabbia compattata, osservando la vasta sequela di rupi e avvallamenti crivellati da gallerie incastonati tra i monti ferrosi. Taccuini di diversi colori stavano aperti sulle sue ginocchia, e lui di tanto in tanto intingeva la penna nel calamaio e scriveva qualcosa sulle pagine sporche e stropicciate.
La cava era deserta, come gli era stato detto e come si aspettava. Gran parte dei minatori era stata rispedita a casa, giacché nessuno osava più mettere piede in quel luogo dopo la comparsa del demone.
Demone... in verità le informazione che era riuscito a raccogliere a riguardo non lo soddisfacevano per niente. Aveva interrogato Akym, il datore di lavoro delegato della miniera, Misdra, il capo delle sue guardie, e alcuni dei pochi manovali che avevano deciso di rimanere, eppure nessuno era stato in grado di fornire una descrizione precisa della creatura. Alcuni parlavano di un mostro dotato di corna e zanne, altri di una lucertola sputafuoco, altri ancora di un’ombra informe che inglobava e condannava all’oblio chiunque toccasse. Insomma, nessuna di queste testimonianze si rivelò esaustiva, tantomeno soddisfacente. Venendo alle conclusioni, la creatura in questione poteva essere qualunque cosa; forse non si trattava nemmeno un demone. In fondo cosa poteva saperne quel gruppo di bifolchi di demonologia o zoologia? Probabilmente avrebbero gridato “al demone” pure di fronte a un cinghiale deforme.
Forse avevano a che fare con un ghoul, con un gauth, oppure avevano invaso il territorio di un mephit o di un qualche altro elementale della terra. Possibile... ma nulla era certo.
Tanto per peggiorare la faccenda, alcuni minatori risultavano dispersi. I loro compagni avevano raccontato che si erano avveduti della loro assenza subito dopo essere fuggiti dalla miniera; probabilmente erano rimasti intrappolati sottoterra o dispersi nel labirinto di gallerie. Non era nemmeno da escludere che fossero stati sbranati dal mostro. In ogni caso, le possibilità di trovarli vivi sembravano esigue, ma con un po’ di fortuna non del tutto escludibili.

Akym era un giovane smilzo dagli occhi fieri. Il sua figura curata e ben vestita, che stonava alquanto con l’aspetto degli altri uomini intorno a lui, lasciava intendere che fosse di nobili origini. Una certa fanciullesca ingenuità traspariva dal suo sguardo e dal suo sorriso affabile, nonostante egli tentasse di nascondere questa manchevolezza dietro a maldestri atteggiamenti alteri e affabili. Mostrava un atteggiamento bendisposto verso di loro, al contrario di Misdra, un militare dal volto di granito, visibilmente avvezzo alle ostilità delle terre selvagge, il quale non smetteva di lanciar loro occhiate sospette, per nulla convinto dalle apparentemente eque proposte di Sapp.
Invero anche Vahram aveva molti dubbi su quali fossero le reali intenzioni dell’orchetto, difatti non aveva detto loro nulla riguardo il perché avesse deciso di prendersi a carico una missione tanto rischiosa. Aveva sentito che nella cava lavoravano anche un gran numero di pelleverde. Ipotizzò più di una volta che questo fattore avesse a che fare con i disegni del goblin, ma erano solo congetture senza fondamento. Aveva combattuto contro i pelleverde anni addietro, quando era ancora un mamūluk, durante la grande campagna del Nord perpetrata dall’Impero Sulimano. Aveva imparato a conoscere bene l’orgoglio della loro razza: mischiarsi agli esseri umani per loro equivaleva al tradimento, e gli orchi delle comunità tribali solitamente troncavano ogni rapporto con i traditori, allontanandoli dai loro villaggi e marchiandoli come reietti. Ma era vero anche che neppure Sapp disdiceva la compagnia degli umani.
Nonostante non potesse evitare di pensarci, a Vahram non importava realmente di tutto ciò. Aveva suggellato un patto, e un ex schiavo guerriero lo avrebbe onorato fino in fondo; aveva una reputazione da difendere, dopotutto. Tra l’altro veniva pagato profumatamente e questo gli bastava per eseguire il compito assegnatogli senza fare domande.

Continuò ad annotare informazioni e dettagli riguardanti il luogo e le persone che aveva incontrato sul posto e stendendo un resoconto dell’attuale stato della missione finché non giunse l’ora di riunirsi agli altri. Aveva pure ricopiato in modo stilizzato la rudimentale mappa dalla miniera che Akym aveva consegnato loro.

Era la sua prassi. La prassi di Al Patchouli.
Dopotutto era un professionista.

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La squadra si addentrò a passo deciso nelle cupe e umide gallerie della miniera. Non partirono da soli: Akym assegnò in loro ausilio Jhadar, uno dei membri della sua guardia personale. Anche Misdra si unì alla compagnia, probabilmente per tenerli d’occhio piuttosto che per amore della causa. Prima di entrare, furono forniti loro diversi metri di corda e lanterne ad olio, più fiaschette di combustibile di riserva. Vahram si premunì anche di riempire un paio di borracce d’acqua fresca e si procurò provviste sufficienti per alcuni giorni, oltre a munirsi di una nutrita varietà di armi e sostanze alchemiche adatte per ogni occasione; non si poteva sapere quanto tempo sarebbero rimasti là sotto.
Avanzava in testa al gruppo insieme a Montu e a Jhadar, il taccuino blu con la mappa ricopiata in mano, la corda messa a tracolla e la lanterna accesa infilata sulla sommità del tridente. I cunicoli di una miniera non erano un posto rassicurante, ma non si trattavano certo dell’ambiente peggiore in cui si fosse infilato. La situazione sembrava apparentemente tranquilla, sebbene il cammino fosse appena agli inizi, e Vahram avanzava cauto ma deciso, non mostrando alcun segno d’inquietudine. Al contrario di lui, lo stregone Malzhar sembrava invece in difficoltà: incedeva barcollando, guardandosi intorno angosciato, come stesse vedendo ad ogni angolo mostri invisibili agli occhi degli altri. L’aramano non lo disturbò, suppose si trattasse di una qualche fobia, me avesse voluto proseguire insieme a loro, avrebbe dovuto farsi forza.

Ad un certo punto si ritrovarono di fronte a un bivio. La galleria si divideva in due direzioni differenti. Indecisi su quale fosse la strada migliore da prendere, i membri della compagnia studiarono il terreno sabbioso e l’aria proveniente da ognuna delle due aperture, ma senza alcun risultato. Allora Vahram abbassò le palpebre e si concentrò, cercando il calore ormai tanto familiare del liliale fantasma che infestava il suo corpo alla stregua di un parassita. Lo spirito di Giselle si destò dal torpore, infiammando nuovamente la simbiosi tra in due corpi. Il cavaliere percepì l’energia concentrarsi nelle sue pupille. Appena li riaprì, i suoi occhi si erano illuminati di un rosso fiammeggiante, come se una pira accesa stesse ardendo in ognuno di essi. Energia spettrale vi scorreva, donandogli la capacità ultraterrena di scrutare il tepore delle anime dei vivi e la magia insita nelle aure delle creature incantate.

«Scorgo segni di vita in profondità.» Dichiarò, guardando verso il terreno.

Fiammelle distanti apparivano in basso, sotto i loro piedi. I minatori dispersi erano forse ancora vivi? Oppure non si trattavano di umani? Di certo c’era qualcosa – o qualcuno – sul fondo della miniera, sfortunatamente però erano troppo sparpagliati per fornire qualche indizio su quale fosse la strada migliore da seguire.

«Io ho un metodo infallibile.» Disse infine, risoluto. Avrebbe affidato la decisione alla dea Fortuna.

Si fece avanti e appoggiò la base della lancia a terra di fronte al bivio, in modo che l'asta fosse perfettamente verticale. Chiuse gli occhi e si concentrò, stringendola come se le stesse infondendo+ un qualche potere mistico. Dunque la mollò, lasciandola cadere.
La lancia calò a terra in mezzo alla polvere con la punta rivolta verso la via a destra. Vahram borioso indicò agli altri il cunicolo con un gesto eloquente della mano, come per dire: "Visto? È questa la via giusta".

«Allora andiamo, e non impieghiamo qui altro tempo prezioso. Teniamo la stessa formazione di prima , direi...» Suggerì Shimmen, impaziente.

«Allora, da questa parte? Bene! Forza, forza, lavoro comincia ora.» Aggiunse Sapp con voce squillante, esortando i suoi mercenari ad aprirgli la strada.

Nessun’altro obiettò.
Ebbene si proseguì lungo il budello selezionato dal caso.

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Non passò molto tempo prima che incontrassero un nuovo problema. Una voragine larga quanto un carro da fieno troncava il pavimento della galleria. La mappa stranamente non lo segnalava. Su un lato, un angusto cunicolo laterale portava verso un’altra direzione. Ancora una volta si ritrovarono dubbiosi sul da farsi. Vahram gettò una grossa roccia nella buca per sincerarsi che non ci fossero trappole o minacce sul fondo: il masso cadde con un tonfo sulla sabbia, poi silenzio. Sembrava sicuro.
Ad un certo punto il guerriero Montu propose una bizzarra soluzione: estrasse una buffa bambolina di pezza con uno spillo infilzato nel petto e la animò di fronte agli occhi sorpresi di tutti, scheggiò un listello dalla sua torcia e glielo mise nella manina, così da fornirgli una fonte di luce. Le ordinò di entrare nello stretto budello, fare un breve sopralluogo e tornare a riferire. Senza esitazione, l’omino di pezza obbedì e si avviò dentro il buco. Il lumino che si portava dietro continuò a evidenziare la sua posizione prima di sparire infine dietro l’angolo di roccia scavata.
Misdra sbuffò irritato. Con tono piccato iniziò a lamentarsi senza peli sulla lingua della poca motivazione del gruppo. Aggiunse che non erano molto lontani dall’entrata, pertanto si sarebbe potuto tornare indietro a recuperare delle assi per superare la fossa. Infastidito dal suo atteggiamento, Vahram si voltò verso di lui.

«Se abbiamo davvero a che fare con un demone, è sempre meglio usare prudenza. Certo, mentre parliamo sotto di noi i minatori dispersi stanno rischiando la vita, ma non è una scusa per agire di fretta e avventatamente.» Analizzò la situazione. «Attraversare questo crepaccio con delle assi? Siete voi gli esperti del luogo, aperes. Intendete dire che questo percorso è più diretto?» Indicò il tunnel sventrato dalla voragine.

«Diretto, lo è. In fondo al corridoio c'è il pozzo per i piani inferiori. Poi, voi vi siete offerti per questo lavoro, io solo detto la mia.» Brontolò Misdra in tutta risposta, per poi andare a sedersi brontolando sopra un masso.

Lemme lemme la bambolina nel frattempo era tornata dalla sua avanscoperta. Col suo spillino scarabocchiò sulla sabbia una piccola mappa di ciò che aveva esplorato. A quanto sembrava, in quella direzione la galleria proseguiva e si diramava ancora in vie secondarie, che apparentemente si allontanavano però dai loro obiettivi.
Si tornò a discutere. La buca non era eccessivamente larga, con un balzo e un tocco di fortuna forse era possibile superarla. Questa soluzione era però improponibile, giacché: primo, coloro che indossavano equipaggiamento pesante difficilmente sarebbero riusciti nell’impresa; secondo, si sarebbero trovati ad affrontare il medesimo problema anche al ritorno, senza contare il fatto che nel caso si fossero trovati a fuggire di gran carriera dal mostro o da altri pericoli, saltare la voragine in fretta e furia si sarebbe rivelato un azzardo potenzialmente mortale.

«Torniamo indietro a prendere delle assi, ci metteremo sì e no quindici minuti.» Vahram espose la sua opinione. «Se Misdra afferma che la via più diretta per le profondità è oltre la fossa, mi fido. Non sappiamo dove portino le vie laterali; potrebbero condurci fuori strada, costringendoci a vagare per ore. Fossi in voi, per amor della certezza, quindici minuti li spenderei volentieri.»

Tutti concordarono. Ordunque si tornò indietro a recuperare un’abbondante quantità di tavole di legno sufficientemente lunghe per superare il baratro. Le si posizionò accuratamente e ben puntellate l’una di fianco all’altra, e si proseguì.

Camminarono ancora per una quarantina di minuti, con Sapp in coda che non la smetteva di saltellare elettrizzato da una parte e dall’altra continuando a parlare in aardens.
Giunsero infine al pozzo principale della miniera. La struttura a torre del montacarichi si ergeva solida e intatta sopra la fossa, ma inspiegabilmente le corde si erano strappate... o meglio, erano state recise. Vahram guardò giù nel pozzo. La luce della lanterna non illuminava che pochi metri, più sotto il buio inglobava tutto come una barriera impenetrabile.

«Quanto è profondo il pozzo?» Domandò Vahram a Misdra.

«A quindici metri si ferma, poi prosegue per altri cinquanta metri. Grosso modo ogni livello è a quindici metri sotto il precedente.» Spiegò il soldato.

L’aramano continuò a scrutare pensoso verso il fondo delle tenebre. I suoi occhi iniettati del rosso ardente di Giselle brillavano nella penombra. Le aure che riusciva a scorgere sembravano trovarsi sparse in un ampia zona all’incirca al livello del fondo del pozzo, ma come aveva detto Misdra, la miniera giocava scherzi. La roccia o altri fattori potevano star interferendo con la sua vista. Si tolse dunque la corda dalla spalla e si rivolse agli altri.

«Uniamo le funi. Forse ne abbiamo abbastanza.» Suggerì.

Solo a Vahram, Malzhar, Montu e Shimmen avevano fornito delle corde. Gli altri non si erano presi nemmeno la briga di portarsene dietro; sprovveduto da parte loro. I quattro avventurieri stesero le loro funi sul terreno, ne legarono assieme le estremità e a intervalli regolari vi fecero dei nodi, così da potervicisi arrampicare sopra con più facilità. Allora Idir, uno dei due beduin, iniziò a misurarne la lunghezza complessiva usando l’avambraccio come unità di misura.

«Hoer moeder...» Giunto alla fine della corda, bestemmiò in aardens. «Sono ventiquattro cubiti e mezzo. Non ci arriviamo, ce ne mancano sei abbondanti.»

«Shevaher! È ridicolo! Non abbiamo altro?!» Imprecò Vahram, con sensibile tono seccato e incredulo.

Il beduin scosse la testa. «Portiamo con noi solo corda da rete, ma non è abbastanza resistente per sostenere un uomo.»

Al Patchouli girò in tondo intorno al pozzo, scrutando ogni angolo e ogni struttura nelle vicinanze alla ricerca di qualcosa che potesse fungere da prolunga o comunque fosse in grado di tirarli fuori in qualche modo dalla situazione incresciosa in cui si trovavano. Anche gli altri discutevano, cercando una soluzione.
Avevano circa dodici metri di fune. Tornare ancora una volta indietro per un misero pezzo di cordame era fuori questione. Sarebbe stato più sensato farlo per recuperarne una sessantina di metri e raggiungere direttamente il fondo del pozzo, ma questo avrebbe comportato problematiche non indifferenti: sarebbero dovuti scendere a uno a uno onde evitare il rischio di rompere la corda. In quel frangente qualunque pericolo avrebbe potuto coglierli indifesi. Era meglio procedere con calma, con cautela, piuttosto che calarsi fin da subito tra le profondità delle fauci del mostro, da cui non sarebbero potuti fuggire tanto facilmente.
Quando gli occhi dell’aramano si posarono sulle funi recise penzolanti dalle carrucole, si convinse di aver risolto parte del problema.

«Forse quelle cime sono ancora utilizzabili.» Richiamò l’attenzione degli altri, indicando i meccanismi dell’argano. «Potrebbero bastare almeno per raggiungere il livello inferiore. Vado a prenderle.» Disse, sperando che una volta raggiunti i livelli inferiori, trovassero un cunicolo che portasse verso il fondo della miniera.

Si tolse l’equipaggiamento più pesante che indossava e lo ripose in un angolo, così da avere più libertà di movimento, poi slegò la sua fune dalle altre se la mise nuovamente a tracolla. Si arrampicò dunque con prudenza sulla torre dell'argano, con la lanterna tra i denti. Giunto nei pressi della carrucola, vicino al soffitto, si assicurò con la corda alla trave di legno, in modo da evitare ogni rischio di cadere di sotto mentre operava. Fatto questo, una alla volta sganciò le carrucole e le buttò a terra vicino ai compagni, cosicché potessero recuperare il cordame rimasto.

«Ci siamo. Messi insieme questi sono otto cubiti abbondanti. In tutto adesso arriviamo a trentadue.» Dichiarò Idir con tono soddisfatto, dopo aver misurato il nuovo materiale.

«Bene.» Vahram balzò giù dalla torre atterrando in ginocchio sul pavimento di detriti con un gran tonfo. «Abbiamo i nostri quindici metri. Ora, se nessuno ha altro da aggiungere, non perdiamo altro tempo.»

Passò lo sguardo su tutti i membri della compagnia, cercando il loro assenso. Poi legò le vecchie corde alle nuove, ne assicurò un’estremità intorno a una delle travi di sostegno della torre dell’argano, in basso vicino al terreno, e gettò l’altro capo giù nel baratro.
Fatto questo si rizzò in piedi e si volse verso agli altri, fregandosi le mani.

«Lav e, aperes.» Dichiarò infine nella sua strana lingua, guardando a uno a uno i suoi compagni con un sorriso appagato stampato sul volto.

«Decidiamo l’ordine di discesa e andiamo.
Io scendo per primo.
»




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~~O~~O~~O~~ PG ~~O~~O~~O~~
Fascia: Rossa
Pericolosità: D

CS: (4)
2 Intuito, 1 Tattica, 1 Tempra


Basso 5% | Medio 9% | Alto 18% | Critico 36%

~~O~~O~~O~~ Salute ~~O~~O~~O~~
Corpo (Illeso):
Illeso.

Mente (Illesa):
Illesa.

Energie: 100-9= 91%

~~O~~O~~O~~ Strumenti ~~O~~O~~O~~
Armi:
Yen Kaytsak: Infoderata sulla schiena.
Spada: Infoderata.
Arco (15): Infoderato.
Pistola (5): Infoderata.

Armature: Brigantina.
Oggetti: Biglia dissonante.


~~O~~O~~O~~ Abilità Passive ~~O~~O~~O~~

[Mamūluk ~ Abilità razziale Umana (Audacia)] Gli schiavi guerrieri sono vere e proprie macchine da guerra plasmate per affrontare irriducibili gli sforzi più inumani e le condizioni ambientali più estreme. Possono combattere senza posa per giorni interi. Raggiunto il 10% delle energie infatti, un mamūluk non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.

[ Disilluso ~ Passiva di talento Stratega (Capacità di discernere le illusioni)] La sua integrità mentale e il suo inumano addestramento lo resero congeniale ad affrontare senza timore anche la magia o le malie psioniche. Per questo motivo, nel caso in cui si trovasse innanzi ad una illusione, sarebbe sempre in grado di discernerla come tale, pur non dissolvendola né distruggendola.

[ Imperturbabile ~ Passiva di talento Stratega (Difesa psionica Passiva)] Addirittura, esistono alcuni nemici talmente potenti da poter manipolare la mente di chi sta loro intorno senza neppure doversi impegnare per farlo: è un processo naturale, che avviene spontaneamente con la semplice vicinanza e si diffonde come un'aura passiva tutt'intorno a loro. Ma simili poteri non influenzano Vahram: si rivelano inutili dinanzi alla sua sterilità emotiva e la sua totale estinzione della percezione della paura.

[ Irriducibile ~ Passiva di talento Stratega (Immunità agli effetti mentali)] La pervicacia e la ferrea disciplina dei mamūluk sono tanto proverbiali quanto terrificanti. Non demordono nel perseguire il loro obiettivo anche quando la loro mente è incredibilmente danneggiata. Per tale motivo, Vahram è tanto incrollabile e caparbio da essere pressoché insensibile al dolore psichico e a qualsiasi effetto di natura psionica, pur riportando i normali danni alla mente.

[ Flessibile (Pergamena Guerr. Tattiche di combattimento) ~ Passiva fisica (Padronanza del campo di battaglia)] In quanto ex membro delle Squadre Speciali dei Lancieri Neri e sicario professionista, Al Patchouli è addestrato a elaborare strategie e tattiche che sfruttino a suo favore il terreno circostante. Possiede dunque capacità di trarre vantaggio del terreno e delle circostanze in qualsiasi situazione di battaglia: strategie, tattiche, intuizioni. In combattimento ciò potrà anche tradursi nell'abilità di vincere scontri fisici a parità di CS, grazie alla superiore conoscenza del terreno di scontro.

Ricordo di cenere
[Malus Passivo] Vahram avrà nei suoi ricordi la mente di una bambina a lui sconosciuta che brucia tra le fiamme; non conta come un'influenza passiva, ma come un semplice spunto narrativo. Il guerriero ricorda anche il nome della bambina: Giselle

[Passiva Psionica (Obnublia i sensi dei nemici in prossimità)] Assecondando quella memoria, quel lutto mai affrontato e superato, Vahram saprà rievocare parte del dolore e della pena a cui non ha potuto opporsi. Appena sarà sua intenzione farlo, la cappa comincerà a perdere cenere dalle bruciature senza che alcuna fiamma la arda. La sottile polvere grigia si solleverà come nebbia offuscando i sensi di chi sarà abbastanza vicino al portatore pur potendovi scorgere attraverso. La sintomatologia della cenere avrà valenza di malia psionica passiva e difendibile in quanto tale.

[Passiva (La cenere può essere usata per portare attacchi fisici)] Ma la cenere potrà essere anche adoperata per altri fini, per infliggere un bruciante dolore, lo stesso che la piccola Giselle dovette sopportare nel suo piccolo inferno in terra, poiché nessun demonio – o quasi – raggiunge la malvagità insita nell'uomo. Vahram sarà infatti in grado di utilizzare la cenere posatasi sul terreno e quella ancora per aria come fosse un'arma, manipolandola a suo totale piacimento. Ustionanti al contatto, gli attacchi non avranno valenza di tecnica ma solo di attacco fisico, la loro potenza sarà direttamente proporzionale alle Capacità Straordinarie in suo possesso e potranno avere origine solo nelle sue strette vicinanze.


~~O~~O~~O~~ Abilità Attive ~~O~~O~~O~~


[ Percepire vita (Pergamena Ladro Esplorazione) ~ Consumo Medio] La tecnica ha natura magica. Al pari di molti spettri, Giselle è in grado di percepire dal piano etereo il calore delle aure dei viventi o l’energia sprigionata da creature animate al pari di fuochi in mezzo al buio della notte. Allo scopo di individuare e inseguire intrusi e obiettivi e tenere sotto il proprio controllo il proprio dominio, può estendere i propri sensi oltre ogni limite umano. Essendo il suo spirito in simbiosi con Vahram, ella può condividere con lui questa capacità. La sua percezione potrà procedere fino a chilometri di distanza, potendo agguantare l'aura di individui nascosti in regioni inconcepibilmente lontane. La tecnica consiste in un auspex passivo dispiegato in un area incredibilmente vasta. Le applicazioni di questo potere sono innumerevoli, e trovano utilità specialmente nel corso di missioni complesse, di individuazione o inseguimento. Questa capacità permane per due turni.


~~O~~O~~O~~ Sunto ~~O~~O~~O~~


Eccomi. Scusate se ho imbastito autoconclusivamente alcuni dialoghi con i png ai fini dell'esecuzione delle azioni descritte in confronto.
In ogni caso, non faccio nulla di diverso rispetto a ciò che ho scritto appunto in confronto: al bivio attivo la tecnica Percepire vita (Media) per scrutare le aure in lontananza, poi vado a destra. Davanti alla voragine torniamo indietro per recuperare le assi e le utilizziamo per proseguire. Al pozzo, salgo in cima alla struttura dell'argano, sgancio le carrucole e le getto ai miei compagni in modo da recuperare la corda che penzola ancora da esse. Infine leghiamo il tutto e lo assicuro a uno dei piedi della struttura di legno e, come concordato, mi calo per primo.

Devo ammettere che inizialmente ero tentato di tornare indietro e prendere 60 metri di corda per arrivare direttamente sul fondo, ma poi ci ho ripensato. Troppi rischi, sopratutto al ritorno. :P

PS: dimentico qualcosa? Ah, sì! La lanterna a olio è super bellissima! *Scruta l'orizzonte attento a eventuali mortali in arrivo*

 
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view post Posted on 8/2/2015, 21:07
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Rou - Verlos


Il tono noncurante di Sapp aveva cominciato ad irritarlo da quando grigie pareti di roccia scura si erano strette attorno a loro, fresche ad anguste come una gabbia, stillanti un odore di polvere e profondità.
Non che non fosse avvezzo al continuo parlare della piccola creatura: era solo che a lui gli spazzi stretti proprio non piacevano, lo facevano sentire in una di quella prigioni che odiava e che ostacolavano la sua libertà di muoversi e di agire.
Si guardò nervosamente intorno, l’avventuriero che era stato un samurai, cercando di scrutare l’oscurità oltre il cerchio di luce delle lanterne, dove le assi di legno segnato dall’usura si perdevano nel buio della pietra e del silenzio.
In quelle condizioni opprimenti era più facile farsi dominare dalla paura ed anche i sensi più acuti potevano essere ingannati da un’immaginazione troppo fervida, dalla luce di un fuoco improvvisamente vacillante. Anche Sapp, l’eterno chiacchierone, aveva ridotto i suoi fastidiosi interventi a non più di qualche battuta ogni tanto, concentrato nel mantenere l’equilibrio e nello studiare le pareti del passaggio che stavano percorrendo. Cosa c’era in agguato in quelle tenebre striscianti, che cos’era il demone al quale stavano dando la caccia?
Erano domande senza risposta, del tipo peggiore, e lui le scacciò in fretta dalla sua mente, prima che potessero trasformare in paura o panico una giusta cautela. Il fulcro dell’avventura, aveva scoperto, era proprio quello: dominare le proprie paure impedendo alle proprie gambe di portarlo lontano dallo scoprire nuovi posti e nuovi orizzonti, di incontrare altri popoli, di provare qualcosa che nessuno aveva mai provato prima. Sapeva che Elebeth avrebbe apprezzato quel ragionamento.
Da piccoli loro due passavano spesso le ore in giardino, sotto il vecchio ciliegio dai rami penduli e contorti come gli alberi di montagna, ad interrogarsi sulle storie degli eroi del passato e su quelle che potevano essere state le loro vite: se avevano avuto paura, come erano da giovani, se avevano amato qualcuno ... poi erano cresciuti, e combattendo insieme per la libertà del loro Casato avevano avuto modo di sperimentare personalmente quella verità, nelle dure terre desertiche dell’Akeran settentrionale. Ai grandi eroi spesso era richiesta un’infinità di piccole cose, montare il campo, cucinare un pasto, gioire di una scorciatoia che permetteva di risparmiare mezza giornata di cammino nell’attraversare quella vallata incassata tra i monti Doregreen.
Casa mia ...
Non si potevano apprezzare le gioie del mondo senza affrontarne i disagi ed i pericoli, così come non si poteva credere nella forza dell’essere umano senza averne visto la debolezza.
Tirò su col naso commosso da quei ricordi di un tempo, lontano neanche una manciata di anni eppure così distante nei suoi ricordi, accorgendosi che erano arrivati ad un bivio: un punto nel quale si aprivano due fenditure scure nella parete rocciosa che altrimenti chiudeva la via. L’aveva amata troppo, quella donna, dedicando tutto se stesso ad esclusione di tanto altro: perderla era stato un immenso dolore, un buco scavato nel petto con le proprie mani insanguinate durante l’attacco di Yanawi-sama-Kasumaki al suo stesso clan, per spodestare il fratello Masakura, suo zio.
Si sforzò di cercare tracce, osservando attentamente gli ingressi dei due budelli oscuri in cui si sarebbero dovuti cacciare ma niente, nessun indizio rilevante su quale fosse la migliore direzione da prendere. Lasciò agli altri il compito di indagare più a fondo, prendendo quasi istintivamente nota di dettagli come la capacità di Malzhar il Corvo di “sentire” che entrambi i cunicoli portavano al demone, in qualche modo, mentre flash di quella cruenta battaglia fratricida gli tornavano in mente a ripetizione; o di Vharam, che aveva indicato con sicurezza il cunicolo più stretto tra i due, facendo cadere a terra un’asta di legno dopo averle impresso qualche tipo di potere.
A destra, per me.
Scrollò le spalle, quasi a scusarsi di non avere altrettante certezze da offrire.
Stessa formazione di prima direi.


Ancora passi, ancora insicuro cammino nell’oscurità.
Il gocciolare dell’acqua era più forte qui, più vicino, e dal tunnel arrivava come un’impercettibile brezza, carica di sentori putridi appena avvertibili. Rabbrividì, nonostante il mantello ed i vestiti pesanti che i minatori gli avevano consigliato di indossare. Faceva freddo là sotto, dicevano, non come in altre miniere in cui il calore dei vulcani rendeva le gallerie trappole soffocanti e budelli roventi. Lui ne sapeva qualcosa: i demoni Korps avevano provato a rinchiuderlo in un posto del genere, prima che l’arrivo di uno stregone li liberasse dalla prigionia. Si augurava con tutto il cuore di non finire mai in un posto del genere.
Poi di nuovo l’alt.
Una profonda voragine interrompeva il cunicolo, un buco che la mappa non segnalava, lasciando come unica strada un cunicolo laterale che era appena un budello, un passaggio appena sufficiente per passare girati sul fianco e trattenendo il respiro per scivolare tra quella morsa di roccia. Da li, secondo la mappa che aveva con se, sarebbero passati ad un altro tunnel, e poi ad un altro ancora, il quale li avrebbe condotti lo stesso ad un altro pozzo che dava sul livello inferiore.
Nessun rumore, in quella tomba di pietra.
Nessun suono se non il fruscio dei loro respiri, amplificati dalla risonanza della piccola grotta.
Nessun movimento se non quello della piccola “bambola” evocata, che riportò una traccia dei passaggi in cui era stata mandata come esploratrice, intanto che Misdra e Sapp discutevano della possibilità di tornare a prendere delle assi per attraversare la voragine.
Nessun pensiero, solo cauta osservazione del nero buio circostante. E l’oppressione di tutta quella roccia intorno a loro, invadente e massiccia quanto la montagna che li sovrastava. Brrr. Come facevano i minatori a lavorare là dentro per giorni interi? Senza essere pazzi, s’intendeva ...


Ancora tunnel ed ancora oscurità. Poche decine di metri stavolta, per fortuna, ed erano arrivati alla fine del loro percorso in quel livello di cunicoli e sale.
Un pozzo senza ascensore, una corda tagliata, un montacarichi da riparare per scendere ancora nella gola vorace della terra.
Oh, perfetto! Mormorò Shimmen, assolutamente lieto di tutti quegli ostacoli imprevisti che allungavano il tempo della loro, della sua, permanenza sottoterra. Il sarcasmo era qualcosa che bisognava tenere allenato.
Comunque in poco tempo fu agganciata un’altra fune all’argano, in sostituzione di quella tagliata, così da poter proseguire ... ma c’era qualcosa di strano che lo aveva colpito, un dettaglio colto istintivamente che solo quando Vharam mise mano alla corda per essere il primo a calarsi gli risultò chiaro.
Tu! Aspetta un secondo Vharam ...
Gli avvicinò la mano alla spalla, come se volesse fermarlo anche se poi non proseguì il gesto e si girò invece verso Misdra, socchiudendo gli occhi in preda ad un improvviso sospetto.
Non ti pare un po’ strano che la corda sia stata tagliata? E’ come se qualcuno avesse voluto impedire una risalita. Chiunque l’abbia tagliata poteva certamente anche uscire dalla miniera e non mi sembra logico che i minatori là sotto si siano preclusi da soli una via di fuga. Per caso sai se questa corda era integra prima che comparisse il demone? O se qualcuno è venuto qui prima di noi per cercare di impedire al demone di risalire dal profondo?
[color=green]Non saprei.
Rispose lui scrollando le spalle.
Non lo so il motivo per cui questa corda sia stata tagliata. Potrebbe essere sia un sabotaggio o anche è come dici tu ... quando usciremo da qui cercherò di scoprirlo.
Andiamo allora, tenendo gli occhi bene aperti però.
Borbottò tra sé e sé il Kasumaki, scoccando una lunga occhiata al piccolo goblin ed ai due che lo accompagnavano.
Questa cosa mi mette addosso dei sospetti, oltre al fatto che nessuno sembra aver mai visto il demone. Ha un che di artificiale.



[SPOILER]

۩ SHIMMEN• KASUMAKI۩
Aki no Kenshi - lo Spadaccino Rosso


Sinossi : Attraente, capelli rossi, lineamenti aristocartici.
Avventato, opportunista, riservato.
Razza : Orco Umano
Classe : Cacciatore
CS: 1 Destrezza, 1 Forza
Talento : Assassino
Stato Fisico : 0/16
Stato Psicologico : 0/16
Energia : 100/100
Equip :
- Erba Ricostituente x2 (+5% energie ciascuna)
- Gemma della Trasformazione
- spada lunga
- arco + 15 frecce
- Pelle resistente come un'armatura di acciaio (arma naturale)
- Biglia Assordante

Passive
Chaos Instinct: Auspex passivo basato sull'ostilità di chi lo circonda.
War Spirit: Possibilità di combattere anche con un corpo gravemente danneggiato, prossimo al Mortale. Sotto l'effetto di un qualsiasi power-up Shimmen prende 2 CS bonus.
Essence of Silence: Shimmen non produce rumori, odori o qualsiasi cambiamento nell'ambiente circostante.
Mantello dell'Esploratore (oggetto incantato):
- Eroe del Nord: [Passiva] attorno a Shimmen l'aria sembrerà di qualche grado più fredda, come se lo spadaccino portasse con sè il gelo del Nord. Chiunque gli si avvicini vedrà i propri movimenti rallentare a causa del freddo; Attiva, tecnica magica, consumo Basso: Shimmen sceglierà un nemico, e le gambe del bersaglio verranno ricoperte di una solida patina di ghiaccio che gli impedirà di usare gli arti inferiori per un turno. Non causa alcun danno, e il ghiaccio si scioglierà alla fine del turno. È possibile difendersi con una difesa di potenza Bassa o spezzando il gelo con un'offensiva di livello Basso.]
- Araldo del Sud: [Attiva], tecnica Magica, consumo Medio: fuoco si sprigionerà dal mantello e avvolgerà il nemico, distruggendo un pezzo del suo equipaggiamento a scelta di Shimmen e togliendogli una CS. Non causa altri danni.

Attive:
Note:


 
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view post Posted on 8/2/2015, 21:30
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Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
·····

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Avevano abbandonato la tenda di Misdra con corde e lanterne.
Sembrava che proseguendo non avrebbero avuto bisogno di altro, per raggiungere i piani inferiori della miniera, e il demone.
Superarono l'ingresso, puntellato da grosse travi, e camminando si addentrarono nell'oscurità. Dopo pochi minuti furono costretti ad accendere le lanterne, e iniziarono i problemi.
Il corridoio principale, in cui tutta la compagnia aveva marciato senza alcun problema, si divideva in due: un listello di roccia separava le due vie, che da quel poco che si poteva vedere alzando le fiamme proseguendo si allontanavano l'una dall'altra.
Al Patchouli abbassò lo sguardo, i suoi occhi fiammeggiavano, perfino più di quelli del Demone, fissava il terreno sotto i loro piedi:
-Scorgo segni di vita in profondità.-
Non seppero se prendere la notizia come buona, o meno. Al non specificò se la vita che percepiva era dei minatori o demoniaca.
Nel primo caso avevano più lavoro da fare, ma almeno quei poveracci erano ancora vivi; nel secondo la voglia di andare avanti scendeva considerevolmente: i minatori erano morti, e il demone non era solo.
Un problema che forse avrebbero affrontato più avanti, perchè ora erano ancora davanti a quel maledetto bivio.
La mappa che aveva preso Shimmen indicava entrambe le vie come possibili strade per raggiungere i livelli inferiori, e mentre alcuni controllavano la sabbia in cerca di indizi, o l'aria in cerca di qualsiasi cosa potesse essere d'aiuto, ancora Al prese la parola:
-Io ho un metodo infallibile.-
Strinse la lancia nel pugno, chiudendo gli occhi e tenendola perfettamente perpendicolare al terreno. Forse quella magia che gli si era vista negli occhi poteva in qualche modo essere trasferita alla sua arma.
Lasciò cadere la lancia, la cui punta si rivolse verso la galleria alla destra del gruppo.
-Allora, da questa parte? Bene! Forza, forza, lavoro comincia ora.-
La voce pungente di Sapp si alzò dalla metà del gruppo, spingendoli a muoversi più velocemente.

Ancora una decina di minuti di marcia, e la formazione incappò in un altro ostacolo.
Una profonda fossa, lunga circa tre metri, impediva loro di proseguire. Sul fianco correva un piccolo cornicione di roccia, su cui non potevano di certo camminare, non senza il rischio di precipitare per quelli che ad occhio sembravano essere sei o sette metri.
-Ho io qualcosa che può servire.-
Montu estrasse la sua piccola bambola voodoo, e conficcandole uno spillo nel corpo questa prese vita, sfilandosi l'ago di metallo dalla stoffa e brandendolo come uno stiletto.
Il Demone si alzò, sfoderando la katana, e si avvicinò ad una delle travi che sorreggevano la volta. Scalfendola con la lama ne ottenne una scheggia, che poi infiammò usando la sua lanterna poggiata a terra, e la diede alla piccola creatura, affinchè la utilizzasse come una torcia.
-Prosegui lungo quel pezzo di roccia, e torna a dirci cosa c'è dall'altra parte. Fai presto.-
Ordinò alla bambola, che impugnando il piccolo fiammifero e lo spillo si addentrò nell'oscurità, poi forse svoltò l'angolo, e sparì alla vista degli altri.
In attesa del suo ritorno Misdra iniziò a lamentarsi, erano entrati da appena un quarto d'ora, e avrebbero fatto assolutamente in tempo a tornare indietro per recuperare delle assi.
L'idea era fattibile, e mentre il gruppo ragionava sul da farsi la bambola tornò, e iniziò a disegnare sulla sabbia una piccola mappa stilizzata: dalle pareti del cunicolo principale si diramavano altre piccole vie, che però non aveva esplorato, ma che sembravano allontanarsi dalla loro mèta; in fondo alla strada che stavano percorrendo fece capire che un profondo salto le impediva di proseguire.
Le assi erano l'unica soluzione possibile, visto che il salto di tre metri, forse non impossibile per chi come l'Eterno godeva di una considerevole stazza, poteva risultare un problema per i più minuti, tra cui ovviamente era compreso Sapp.
Tornarono indietro, e Akym fu sorpreso di vederli tornare così presto, salvo poi apprenderne infastidito il motivo.
Molti dei Pelleverde accampati fuori l'ingresso della miniera guardarono incuriositi, e forse un po' spaventati, la piccola bambola che si reggeva in piedi sulla spalla del Demone, e che restituiva loro uno sguardo a dir poco inquietante, con gli occhi definiti dalle cuciture.
Le assi furono fissate al terreno, ben vicine le une alle altre, il passaggio ora era senza dubbio sicuro.
Sembrava che i problemi non potessero finire presto, e il Demone si preoccupò nel pensare a cosa li attendeva più sotto, nel cuore della terra.
Aveva finalmente raggiunto il pozzo che conduceva ai livelli inferiori, il salto insuperabile per la sua piccola bambola. Insuperabile lo era per chiunque, perchè le corde legate all'argano, che permettevano la discesa a la risalita, erano state tagliate.
Misdra li informò che ogni livello si trovava circa quindici metri più in profondità rispetto al precedente, così per circa una sessantina di metri.
Al Patchouli si arrampicò sull'argano, e recuperò le corde che, nonostante fossero state tagliate, fornivano al gruppo metri in più per poter organizzare la scalata.
Le funi di ognuno furono legate assieme e assicurate alla costruzione che si affacciava sullo strapiombo.
Era molto, molto strano che quelle corde erano state recise, condannando di fatto tutti i minatori ad essere uccisi dal demone.
La domanda che Montu aveva già posto a Misdra fuori dalla miniera fece di nuovo capolino nel turbinare di pensieri: forse qualcuno ce l'aveva con il capo dei lavori, forse a qualcuno quella miniera dava fastidio, ed era conveniente averla chiusa.
Ma chi? E perchè?
Forse il demone era una minaccia tutto sommato alla loro portata, ma gli intricati giochi di potere che si celavano dietro quella che poteva essere una messinscena potevano avere risvolti molto spiacevoli.
Si inizò a chiedere cosa Akym avesse promesso a Sapp per convincerlo a muovere il gruppo.

Montu scese, seguendo Al Patchouli, la bambola ancora saldamente aggrappata sulla sua spalla, che scrutava curiosa nell'oscurità sottostante.



Energia: 150 -10 =140%
Status Fisico: Illeso
Status Psicologico: Illeso
CS Forma Umana: +3 Astuzia

Armi:
Shokan: Riposta
Pistola: Riposta (5/5 colpi)

Armature:
Pelle Coriacea [Arma Naturale]

Oggetti:
Biglia Stordente: 1
Biglia Tossica: 1
Biglia Deflagrante: 1
Rubino: Forma Umana: +1 Forza; +1 Velocità; +2 Maestria nell’uso delle Armi. Forma Demoniaca: +2 Forza; +1 Velocità; +1 Intelligenza.
Gemma della Trasformazione
[Amuleto del Potere]

Abilità Usate:
La bambola è dentro di te. Dal diario di Kugg (primogenito): Ormai ho imparato tutto ciò che c'è da sapere sull'arte Voodoo. Papà è stato un maestro davvero bravo, ha saputo insegnarmi anche i più infidi dei segreti. Sono sicuro che diventerò molto bravo, con il tempo. L'altro giorno l'ho vista, la bambola. Si era animata, ne sono certo; mi ha guardato negli occhi per qualche secondo, poi si è alzata ed è andata a prendere un bottone da mettersi sull'occhio mancante. Forse le lezioni di papà mi stanno facendo impazzire, o forse ho scoperto una cosa che nemmeno lui sa: una volta create, sanno agire da sole. Ho iniziato a controllare la cantina, prima di andare a dormire.
{Tecnica di natura Magica, Medio. Evocazione di una piccola bambola voodoo dotata di due CS per la durata di due turni. La bambola sparisce incassato un danno totale pari a Medio o alla fine dei due turni. La tecnica necessita di uno spillo}

Note: Nulla da segnalare.
 
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39 replies since 29/12/2014, 11:41   1009 views
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