Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Every single Night and Day, Quest di Mentoraggio

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view post Posted on 7/1/2015, 22:24
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Antefatto qui


Sorride, la dama, mentre carezza con le lunghe dita pallide il lungo drappo di seta rossa. I suoi polpastrelli scivolano lungo i ricami, ma i suoi occhi gelidi sono distanti, persi in un altro tempo e in un altro luogo. Sono occhi belli, piccoli cristalli di ghiaccio limpido incastonati sotto le ciglia dorate. Quando socchiude gli occhi, lievi arabeschi si disegnano sulle iridi e sulle guance.
E’ bella, ricca, di successo. Eppure le manca qualcosa.
Sorride.
Lei sa esattamente di cosa si tratti, lo sente scivolare lungo la propria pelle diafana. Quasi può ricordare il suo sudore contro il proprio corpo asciutto. Quasi può ricordare il suono della sua disperazione infrangersi contro il proprio cuore impermeabile alla passione.
Le è mancato per tanto tempo.
Per quanto lo abbia negato.
Qualcuno, in una stanza remota della sua residenza, sta suonando il pianoforte. Le note le giungono inutili e lievi. Dopo tutto lei ha sempre amato i violini. Ricorda per un istante lo sguardo di lui, che la fissava a lungo di sottecchi. La fa sentire più giovane.
È ciò che ogni donna vorrebbe essere. E’ ciò che ogni uomo dovrebbe desiderare.
Eppure ambisce a qualcosa di più.
Facciamo le valigie.
Lo pensa solamente, ma i suoi servi già iniziano ad affrettarsi. Piccoli, sudici, rimasugli di un potere troppo grande e antico per esserne pari. Bellocci, fatui, scelti tra i giovanotti più affascinanti. Ma privi di qualsiasi carattere, inutili, noiosi e poco divertenti. Tutto il contrario di lui.
Si torna.
Non si interroga nemmeno per un attimo su come lui potrebbe reagire. Vuole che sia una sorpresa.



La carrozza non aveva insegne quando si fermò fuori dal palazzo di Ardeal. La sua cara, vecchia Ardeal, per niente diversa da come la ricordava. Forse la luna era un po’ più pallida di quando era partita o forse le stelle un poco più distanti. Forse qualche piccolo dettaglio era mutato dopo il Crepuscolo e nei secoli, ma si respirava comunque la stessa aria. La stessa solitudine, la stessa inquietudine, la stessa paura strisciante e nascosta nell’ombra. Era un buon presagio, voleva dire che non si era sbagliata.
Uno dei suoi servi aprì lo sportello e la aiutò a scendere offrendole la mano. Le ricordò i bei tempi, quando ogni notte a palazzo dava un ballo e lei era sempre accolta da applausi e sguardi d’ammirazione. I nobili di allora e le loro sciocche fanciulle erano probabilmente tutti sepolti nel cimitero. E lei, invece, era ancora la stessa. La luce della luna carezzò il suo viso perfetto per l’amore, le labbra piene, le guance di una fanciulla appena affacciata sull’età adulta. Indossava un vestito dello stesso colore del legno di cedro, un semplice abito da viaggio, che si apriva ammiccante sul petto e scendeva stretto attorno alla sinuosa curva dei fianchi. Suggeriva le lunghe gambe e le curve perfette di un corpo che non aveva conosciuto stanchezza o deperimento.
I suoi servi erano attorno a lei, da qualche parte, ma aveva ordinato loro di attendere. Voleva fare il proprio ingresso da sola, i capelli d’oro morbidamente sciolti sulle spalle, come quando era ancora una ragazzina. Voleva che lui la vedesse incedere in quelle sale che le erano appartenute e riconoscesse in lui la sua signora e la sua padrona. E ammutolisse, nuovamente conquistato dalla sua bellezza fuori dal comune. Era stato così anche prima che tutto cominciasse, ma la sua nuova natura l’aveva resa ancora più abile nell’attirare a sé le anime degli uomini.
Il portone d’ingresso era socchiuso, come lei gli aveva insegnato a fare. Ne carezzò la superficie familiare, dandosi il benvenuto. Probabilmente i servi di lui sgusciavano dentro e fuori come ladri, vestiti nei loro abiti da signorotti, le labbra ancora lorde di sangue innocente. Probabilmente non aveva insegnato loro a sedersi attorno ai banchetti di sangue che solo lei sapeva organizzare. Ma non era veramente importante: le buone abitudini potevano sempre essere recuperate.
All’interno della grande sala c’era solamente un tavolo e al tavolo un giovane, il libro mastro aperto davanti. Al primo sguardo poteva sembrare una guardia della contea, ma era abituata a riconoscere i propri simili: quella luce negli occhi, quel guizzo famelico, quello sguardo nervoso. Gli sorrise, mentre i suoi piedi scivolavano sul pavimento senza produrre quasi rumore.


La signora desidera registrarsi?


Doveva aver capito, ma certamente non poteva sapere chi lei fosse. Poggiò entrambe le mani sulle pagine ingiallite, dove figuravano solo pochi nomi. Si sporse in avanti, regalandogli un’occhiata impudica alle proprie grazie e catturando subito dopo il suo sguardo nel proprio. Gli sorrise, e immaginò che in quel momento lui la stesse desiderando.


Non c’è bisogno che mi registri. Annuncia al tuo Signore che la Contessa è arrivata”.


L’altro le rivolse uno sguardo incerto e lei pensò che forse l’aveva addestrato bene, che forse non si sarebbe mosso. Ma non ci sarebbe stato bisogno, no davvero. Poteva quasi sentire il suo odore attraverso i muri, così come lui certo doveva aver avuto consapevolezza della presenza di lei. Si faceva solamente attendere, forse perché era diventato affettato o forse perché l’aveva colto durante un pasto. Ma presto sarebbe giunto, perché il richiamo sarebbe diventato irresistibile. Doveva solamente avere pazienza.
Con noncuranza lasciò scivolare lo sguardo sui nomi che erano elencati nella pagina sotto le sue dita. Erano pochi, come aveva notato all’inizio, quelli di una comitiva di tre viaggiatori. Si chiese se fossero già morti o se le avrebbe dato il privilegio di essere lei a cacciarli.





CITAZIONE
Qm Point

Benvenuto ^^!
Eccoci al primo post della quest ^^. Da questo momento proseguiamo per un po' in confronto prima di postare.
La Contessa, che tu ben conosci, ha al momento attive le seguenti passive: 1. Una passiva di fascino 2. Una passiva che rende immediatamente nota la sua presenza in un'area a coloro che sono del suo stesso sangue (creature generate da lei e dal suo sangue).

 
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Stella Alpina
view post Posted on 16/1/2015, 17:39




Every single Night and Day






Quattro Regni, Contea di Ardeal, tempo attuale


Gabriel si lasciò sprofondare nella poltrona al lato del caminetto osservando le fiamme contorcersi e dimenarsi, pronte a trascinarlo in una sorta di ipnosi rilassante. Il riflesso delle lingue di fuoco bagnava la mobilia della stanza e ballava sul volto del conte disegnando forme morbide e sinuose. Fuori dalla finestra le punte degli alberi ondeggiavano sotto le carezze del vento, ma restavano nascoste dal manto d'ombra della notte. Il fruscio delle foglie penetrava appena i vetri creando un leggero brusio all'interno della stanza che si alternava al crepitare e allo scoppiettare del fuoco. Il calore delle fiamme si adagiava sui vestiti del vampiro rilassando le sue membra e provocando un senso di pace assai in contrasto con l'umore attuale del conte. Gli occhi di Gabriel ardevano come le fiamme di fronte a lui, le mani strette con forza sui braccioli della poltrona. Un fastidio interno lo tormentava e lui sapeva bene a cosa fosse dovuto. Un nome rimbalzava tra le pareti della sua mente provocandogli un mal di testa incontenibile: Isabella Levié. Quel nome l'aveva tormentato praticamente per tutta la vita e aveva la sensazione che non avrebbe mai smesso. Doveva molto a quel nome, rovine e bellezze, sofferenze e piaceri. Doveva a quel nome persino la sua condizione. Conte di Ardeal, vampiro, dannato. Erano quasi duecento anni che il suo cuore non provava quella sensazione di disagio causata dalla presenza della contessa. Aveva perso le sue tracce dopo la fuga frettolosa dalla rivolta eppure in quel momento era di nuovo lì. Le fiamme danzarono con più intensità, quasi percepissero le sue emozioni muoversi dentro di lui. Gli occhi erano fissi in un punto in mezzo al fuoco, punto in cui comparve l'immagine di un corpo danzante, uno a lui noto. Si muoveva delicatamente e in modo provocante, ammiccava nella sua direzione. Il viso della ballerina era splendido, i capelli biondi svolazzavano tra le fiamme ad ogni movimento della testa, gli occhi azzurri penetranti guizzavano su di lui per poi cambiare subito oggetto dell'attenzione. Giocavano con lui, sfuggivano al suo sguardo, si facevano desiderare. Le dita del conte penetravano con sempre maggiore forza all'interno dell'imbottitura dei braccioli della poltrona, gli artigli si allungavano squarciando la stoffa delicata. I denti digrignarono al ricordo di quel volto maledetto, di quel corpo dannato.







Quattro Regni, Contea di Ardeal, 200 anni prima


Un ragazzo correva nella notte diretto verso il posto più proibito per la gente povera come lui. Un sorriso allargato sul volto e l'adrenalina in circolo nel suo corpo. Correva per non arrivare in ritardo, per non perdersi tutto il divertimento. Aveva sentito parlare della magnificenza delle feste organizzate a palazzo dalla contessa. Aveva sentito parlare della sua bellezza senza pari e dal suo forte carisma. Dicevano che nessuno poteva resistere al suo sguardo senza innamorarsene, che ogni amore mai provato nulla valeva in confronto a quello che quella donna avrebbe fatto provare. Lui sapeva che non era così, non poteva davvero essere cosi. Sapeva quanto forte era il suo amore per Lara ed era pronto a scommettere che nulla fosse in grado di superarlo. Voleva vedere la ricchezza del palazzo di cui tanto si parlava, l'abbondanza di cibo e di bevande offerte agli ospiti. voleva assistere ai balli accompagnati dalla musica più dolce e delicata mai udita. Avrebbe osservato ogni dettaglio, avido di novità. Sapeva come fare, gliel'avevano detto.
Si avvicinò all'ingresso del castello e sgusciò dentro sfuggendo allo sguardo distratto della guardia. Sentiva il cuore battere all'impazzata e rimbombargli nelle orecchie. Sentiva caldo come non mai, era eccitato al solo pensiero di ciò che avrebbe visto. Seguì le indicazioni che gli avevano dato e arrivò indisturbato fino alla sala d'ingresso dove erano disposte decine e decine di maschere e nessuno a custodirle. Osservò incuriosito la forma di una decina di quelle e alla fine decise. Un volto privo di espressione, nero con le curve sinuose. Voleva passare inosservato anche se sapeva che i suoi abiti non erano affatto adatti all'evento. Sperò soltanto di non attirare l'attenzione delle persone sbagliate.
Impugnò il bastone su cui si poggiava la maschera che accostò poi al viso nascondendo il suo volto emozionato. Osservava interdetto la porta di ingresso alla sala da ballo, cosa l'avrebbe atteso dall'altra parte? E se l'avessero scoperto? Sarebbe riuscito a tornare dalla sua ragazza?
Si fece coraggio avvicinandosi alla porta dalla quale proveniva una musica attutita, musica bella come non l'aveva mai sentita. Il sorriso gli si allargò e il coraggio arrivò. Spinse delicatamente il legno e il battente si aprì rivelando al ragazzo un mondo a lui sconosciuto, pieno di tutte le sue meraviglie. Una sala immensa gremita di gente danzante con abiti larghi e colorati. Maschere ovunque, di tutti i tipi e sfumature. In alto il candelabro dorato svettava come un secondo sole, cosparso di candele accese. L'oro compariva in ogni dove rilucendo su tutta la sala, distorcendo i riflessi degli ospiti, creando strane figure divertenti. Nessuno si era accorto di lui, ma lui aveva notato tutti i dettagli possibili. Osservava stupito le tavolate immense ai lati della sala, il cibo così abbondante da poter sfamare l'intera contea per giorni e giorni. La musica gli penetrava nel petto sfiorandogli il cuore e facendogli venire voglia di ballare. Se soltanto Lara si fosse convinta a venire con lui avrebbe potuto ballare con lei, condurla su quella pista e muoversi con lei tra le sue braccia. Cominciò a farsi spazio tra la gente alla ricerca della donna di cui tutti parlavano, stando attento a non disturbare troppo gli altri ospiti con i suoi movimenti. Arrivò al centro della sala e si fermò, di fronte a lui si apriva uno spazio circolare vuoto delineato dai corpi degli ospiti. Al centro si muoveva una donna bionda, con la maschera dorata. Il ragazzo lasciò che il suo sguardo l'ammirasse in tutta la sua bellezza e magnificenza. Si muoveva proprio come fosse una dea e ballava da sola sotto gli sguardi estasiati dei presenti. Girava su sé stessa facendo ondeggiare la lunga gonna intorno a lei, le braccia allargate ad abbracciare tutti. Poi all'improvviso si fermò spostando lo sguardo nella sua direzione. Gli occhi azzurri penetranti si intravedevano nelle fessure della maschera e in quel momento il ragazzo giurò che stesse guardando proprio lui. Il cuore gli balzò in gola spingendo per uscire ma lui strinse le labbra per bloccarlo. Si maledì per essere stato così imprudente ma i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da quelle due ampolle di ghiaccio così attraenti. Il volto della donna restava celato dalla maschera ma il ragazzo ebbe l'impressione che stesse sorridendo. La contessa attese ancora qualche istante poi fece un piccolissimo cenno con la testa nella sua direzione prima di spostare lo sguardo agli altri ospiti ed esibirsi in un delicato inchino sotto gli applausi scroscianti dei presenti. La donna abbandonò la pista da ballo entrando in una porta laterale tra i saluti dei presenti, poi una volta uscita tutti tornarono alle loro danze. Il ragazzo rimase lì dove si era fermato mentre dentro di sé iniziò la lotta. Una parte di lui gli urlava di uscire, di tornarsene a casa, mentre l'altra gli sussurrava di scoprire la vera bellezza di quella donna, priva della maschera. Un istante ancora ed infine decise. La porta si richiuse dietro di lui lasciando fuori la musica, i balli e gli ospiti. Un salottino con un camino con il fuoco acceso, una poltrona lì affianco e una finestra. La donna era in piedi affianco alla poltrona e fissava il nuovo arrivato. Il ragazzo spalancò la bocca nell'ingenuo stupore del trovarsela davanti senza la maschera e sotto la sua attenzione. All'improvviso la paura lo strinse al petto. Forse aveva fatto il passo più lungo della gamba. Nonostante questa sensazione però, la mente reagì d'istinto, ignorando ogni avvertimento del cuore. La mano destra si abbassò privando il viso della protezione della maschera, gli occhi si spalancarono fissando quelli della contessa. Il sorriso della donna si aprì ancora di più mentre il volto annuiva leggermente.

« Ragazzo qual'è il tuo nome? »

Una voce angelica, una musica forse persino più bella di quella suonata nella sala da ballo.

« Gabriel. »

D'altronde cos'altro poteva rispondere se non la verità?




Quattro Regni, Contea di Ardeal, tempo attuale


Il conte fece il suo ingresso nel salotto, lo stesso salotto in cui anni prima si erano conosciuti. Non era un caso se l'aveva fatta condurre lì, la odiava a morte e avrebbe voluto la sua testa su una picca, ma una parte di sé desiderava ricordare. Duecento anni non erano bastati a dimenticare, il torto che gli aveva fatto non sarebbe svanito. La vista della donna lo congelò sul posto in un misto di emozioni. Sperava di poter resistere alla sua presenza ma era evidente che il controllo era ancora da mettere a punto. Era incredibilmente bella, non era cambiata affatto. Non che si aspettasse diversamente, era pur sempre un vampiro, come lui. Isabella lo osservò probabilmente mettendo insieme le stesse considerazioni e alla fine sorrise maliziosa. Un moto di rabbia lo prese dal profondo nel ricordare quel sorriso maledetto cosa aveva comportato.

« Hai una bella faccia tosta a ripresentarti qui. »

L'educazione non trovò spazio in quella frase, il controllo di fronte a quella donna non esisteva affatto. La donna ammiccò allargando ancor di più il sorriso mentre un brivido percorreva la schiena del conte.

« Al contrario, Gabriel Voltura. Io sono semplicemente tornata nella mia casa. Non sei felice di rivedermi? Una volta non mi apostrofavi così. »

Una volta... molte cose erano cambiate, troppe sofferenze erano passate per quelle mura. La donna si leccò le labbra nel tentativo di stuzzicarlo provocando però solo altro fastidio.

« Questa casa non ti appartiene più. Perché sei tornata? »

La donna non si scompose ma si alzò in piedi avvicinandosi al conte in tutta tranquillità.

« Sei teso mein liebe. E poco elegante. »

La mano di lei si avvicinò al volto di Gabriel per poi sfiorandogli una guancia con un dito. Il conte trattenne un modo di fastidio e la lasciò fare mentre un'altra parte di lui agognava avidamente altre attenzioni della donna. Quanta dolcezza c'era stata tra loro nel periodo della convivenza. Quei corpi si erano stretti l'un l'altro più di una volta nel torbido gioco della passione. Gabriel poteva immaginarne ogni piccolo dettaglio sotto l'abito come se non fosse mai andata via. Poteva ricordare ogni singolo neo o la forma delle curve della donna. Strinse i denti trattenendosi dall'afferrarla di forza, obbligandosi a restare immobile.

« E a chi apparterrebbe ora la mia casa? A te? E tu, Gabriel, a chi appartieni? »

Non certo a te, maledetta. Avrebbe voluto dirle, ma il controllo forse non era del tutto sparito. La risatina successiva della contessa lo distrasse dalle sue imprecazioni.

« Lascerai immediatamente la contea per non tornare più. La Vostra presenza non è gradita. »

Il sorriso della donna non svanì, ma perse tutto il calore che aveva.

« Sei sempre stata la migliore delle mie creature. Altrimenti non sarei tornata. »

Creature... era questo che era sempre stato per lei, una creatura. Nulla di più. Un divertimento sacrificabile, un prezzo da pagare per il semplice svago personale. Il giovanotto con cui passare il tempo quando il conte non c'era.

« Ora che hai arruffato le penne, mio stupendo pavone, mostrami le mie stanze e poi forse ti porterò a caccia con me. »

La sentì cercarlo, la sentì tentare di penetrare la sua mente e il suo cuore, come una volta. Come la prima volta. Troppo tempo era passato ormai da quando era stato in suo possesso, adesso era libero. Chiuse la mente ad ogni tentativo della contessa di tirarlo a sé e tornò a fissarla con un disprezzo maggiore.

« Credo tu non abbia ben compreso la situazione. Questa terra ti ha bandita e dimenticata. Conosci già l'uscita. »

Lo sguardo della contessa vacillò, forse per l'inattesa resistenza. Lo scontro tra i due vampiri continuava invisibile a chiunque fosse entrato in quella stanza in quel momento. Alla fine la donna rinunciò.

« Molto bene. Ne riparleremo quando tornerò, se naturalmente non verrai tu a cercarmi prima. »

Isabella si inchinò lievemente mantenendo quella cerimonialità che entrava in contrasto con tutto ciò che li riguardava ma che al tempo stesso li contraddistingueva, poi lasciò la stanza allontanandosi in tutta tranquillità verso l'uscita. Gabriel poteva percepirla, poteva seguire il suo percorso senza minimamente muoversi dalla sua posizione. Alla porta si affacciò un giovane di bell'aspetto e attese che il suo signore proferisse parola.

« Seguila, ma senza allarmarla. Voglio capire quali sono i suoi intenti prima di strapparle quel sorriso dal viso. »

Il ragazzo si inchinò e si avviò lungo il corridoio. Gabriel tornò a sedersi sulla poltrona di fronte al fuoco, lasciando che i pensieri si muovessero liberi nell'aria accompagnati dal crepitio del fuoco e dal lieve sussurro del vento oltre la finestra.

 
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view post Posted on 16/1/2015, 18:01
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Come aveva potuto rifiutarla?
La dama scivolò rapida lungo le scale che un tempo aveva percorso maestosamente. I suoi piedi sfiorarono la pietra antica e la sua mano scivolò come allora sul corrimano. Eppure dentro di sé sentiva il gelo di un'ira impossibile da controllare. Lui era la sua creatura, il più perfetto dei suoi figli. Lui era il suo progetto meravigliosamente portato a termine, il suo nido che avrebbe dovuto semplicemente attenderla. Non era contemplato che lui potesse mandarla via. Forse gli aveva giocato qualche brutto scherzo, ma questo non giustificava un astio perdurante da tanto tempo.
Il tempo cancella le ferite, dicevano gli sciocchi umani. E lui avrebbe dovuto comprendere la propria superiorità, l'impossibilità di dividere ciò che era con una sciocca femmina di carne e di sangue. Loro erano molto di più, cacciatori naturali scolpiti tra le ombre con lo stesso materiale di cui sono fatte la violenza e la fame.
Come aveva potuto scacciarla?
Non aveva neppure voluto sfiorarla.
Ripensò con un brivido ai giorni in cui si inchinava fino a terra solo per carezzare l'orlo della sua gonna. Digrignò i denti con un sibilo che fece subito accorrere uno dei suoi servi. Era piegato a metà in un gesto di deferenza, ma desiderò che si schiacciasse ancora più in basso, fino a scomparire sotto terra. Se non avesse imparato a controllarsi, se non avesse avuto tutto il tempo necessario per diventare una vera signora, allora forse lo avrebbe smembrato in quella sala. Avrebbe lasciato al conte Gabriel il compito di ripulire i resti. Ma non era più la ragazzina di campagna, non si affacciava più nei torrenti per guardarsi nuda. Quei tempi erano passati.


Ce ne andiamo, signora?


Stupido, sciocco, servo. Gli regalò un'occhiata gelida, astiosa. La luna che si affacciava alle grandi finestre le proiettava sul volto una serie di ombre pronunciate e impietose. Le sue labbra si piegarono, trasformando il suo volto in una maschera priva di ogni compassione.


No, mio servo. Non così presto”.


Gli poggiò una mano sulla spalla. Le sue unghie affondarono attraverso la stoffa e nella carne, ma lui non fece neppure un lamento, non palesò il proprio dolore. Solamente un burattino, come tutti gli altri, una copia sfuocata di quello che il suo Gabriel era diventato. Così spavaldo, così consapevole. Al punto da rifiutarla. Aveva reso la sfida interessante. Si leccò le labbra. E terribilmente irritante. Naturalmente sarebbe stato punito, ma alla fine la ricompensa sarebbe stata ancora più dolce. Era sicura che dietro l'atteggiamento di lui si nascondesse qualcosa, lo conosceva troppo bene. Ma non gli avrebbe lasciato il tempo di tirare il fiato.


Il nostro buon conte ha bisogno di imparare alcune cose. Voglio che scopri cosa mi nasconde”.


Le ultime parole gliele sussurrò all'orecchio, per essere certa che nessuno potesse sentirla. Quel palazzo era sempre stato pieno di occhi e di orecchie. Ben presto alcune sarebbero state mozzate o sarebbero corse da lei, ma la prudenza non era mai troppa. Si guardò intorno per un'ultima volta, prima di abbandonare la propria dimora. Quando fosse tornata avrebbe portato qualche vaso di fiori per adornarla.




Sedeva sull'ampio davanzale, dietro i vetri sbarrati. La sua bambola umana guardava distrattamente fuori dalla finestra. Il silenzio del mondo fuori la aiutava a concentrarsi, a pensare ad una strategia per ingannare il conte ancora per un giorno. Non le aveva ancora chiesto di guardare nel futuro, ma presto lo avrebbe fatto. E naturalmente lei avrebbe dovuto inventarsi qualcosa. Poggiò le mani e la fronte sulla finestra fredda, lasciandosi percorrere da un brivido. Fuori le nuvole si addensavano, promettendo che sarebbe giunto un temporale.
La bambola si mosse attraverso la stanza, recuperando il pesante mantello rosso che lui le aveva donato. Era un po' troppo grande per lei, forse appartenuto ad una donna più alta. Doveva essere rimasto sbarrato in un armadio a lungo, e quando lo aveva indossato l'odore di chiuso le era sembrato giustamente malinconico. Insieme stavano bene, pensò, lei e quell'indumento dimenticato per chissà quanto. Le mani della giovane donna la avvolsero senza alcun calore. Le sfiorò per un istante, mentre si avvolgeva nel tentativo di raccogliere qualche briciola di vita. Si sentiva stanca, stanca di pensare per ore allo stesso problema senza riuscire a risolverlo. Stanca di sobbalzare ogni volta che lui le si fermava vicino, di passare il tempo insieme a lui riuscendo a guardarlo in volto a fatica. Lui le leggeva antichi volumi e le mostrava i segreti della sua biblioteca. Lui suonava il violino mentre lei ascoltava trattenendo a stento la commozione. Eppure non si parlavano quasi mai, come se dentro di lui, fra di loro vi fosse un silenzio immenso, un burrone in attesa di essere colmato. Ogni volta che le parlava direttamente si trovava ad arrossire. Ogni volta che si svegliava la mattina, cercava la mano di Akela senza trovarla. E poi cercava lo sguardo di lui, che spesso le sedeva accanto. Solo allora il cuore le balzava in gola.
Era stanca di cercare di comprendere cosa lui stesse nascondendo, quale fosse il linguaggio con cui le parlava. Era stanca di immaginare chi fosse o quando si sarebbe deciso a capire chi lei era. Niente altro che una imbrogliona. Gli occhi della bambola si chiudevano allo stesso ritmo dei suoi, inesorabilmente. Le palpebre calavano verso il basso, gravate dal primo tepore. Presto il sonno se la sarebbe presa.
Lo intravide di sfuggita, come un'ombra ai margini di un sogno. Spalancò gli occhi, tirandosi indietro di scatto. Il vetro rifletteva il suo volto contratto, quello impassibile della bambola umana. Incespicò all'indietro. Non importava cosa ora le dicesse la ragione. Non importava quanto potesse essersi sbagliata. Là fuori, a quell'altezza impossibile per qualsiasi essere umano non dotato di ali, aveva visto un volto. Due occhi che si erano fissati su di lei con rabbiosa curiosità. Avrebbe semplicemente potuto nascondersi, chiamare un servo, o essere coraggiosa e ignorare tutto quanto. Dopo tutto avrebbe potuto essere un riflesso della propria coscienza.
Ma il cuore le batteva tanto forte da toglierle quasi la parola. Vi poggiò contro le mani, quasi stesse per rotolare a terra. Era stata lì, con i capelli sciolti sulle spalle. Con le labbra che parevano quasi sorridere. Solo un'impressione su una retina che non le apparteneva. Bella come non ne aveva mai viste. Così bella da farla sentire una nullità. Bella come una vera dama avrebbe dovuto essere.


Gabriel...


Pronunciò il suo nome a mezza voce, appigliandosi ad esso per non sprofondare nel terrore. Non comprendeva chiaramente perché quella visione l'avesse spaventata, ma aveva imparato a fidarsi della propria paura.


Gabriel!


Alzò la voce, divenne quasi isterica. Cosa sarebbe successo se la figura si fosse rivelata reale? Se fosse ritornata? Si strinse nel mantello, cercandone l'abbraccio. Si rannicchiò su se stessa, pronta a fuggire se la finestra si fosse aperta d'improvviso. Ma i primi secondi trascorsero senza che accadesse nulla.
Gabriel.
Lo pensò, sperando che da un momento all'altro lui arrivasse. Allora tutto sarebbe passato, si disse. Una voce nella sua mente le ricordò di quando era un mercenario imponente a difenderla nella notte. Ma il suo cuore impazzito le sussurrò che questa volta non sarebbe bastato.


ozPmq5m


Se ne sarebbe chiesta il motivo, se la finestra appannata dal calore del caminetto che iniziava a diffondersi non le avesse strappato un nuovo grido. Un grido acuto, con le mani che salivano alle tempie, incapaci di serrare occhi che non le appartenevano. Proprio lì davanti a lei, tracciate con calligrafia sicura come luci nella nebbia, poche lettere campeggiavano sul vetro, più gelide dell'inverno fuori.




CITAZIONE
Qm Point

Proseguiamo pure in confronto ^^.

 
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Stella Alpina
view post Posted on 23/1/2015, 23:00







Quattro Regni, Contea di Ardeal, tempo attuale


Il liquido rosso girava lentamente nella coppa argentata seguendo il ritmo dei pensieri del conte. Il vino ancora non era stato toccato dopo esser stato versato nella coppa e Gabriel non sembrava in procinto di assaggiarlo. Il bere era uno dei pochi vizi umani che ancora rimaneva nel suo essere vampiro. Non ne traeva alcun piacere, non lo dissetava affatto, ma non gli dispiaceva ricordare i tempi in cui quel sapore ancora gli trasmetteva qualcosa. Ormai il suo unico cibo o bevanda rimaneva il sangue con il suo sapore ferroso. Nella testa del conte, le immagini di un passato ormai andato ma che sembrava voler tornare. Nei suoi occhi un viso in particolare. La poltrona su cui era seduto aveva perso tutta la comodità e lui ci si rigirava sopra in continuazione alla ricerca di una posizione migliore che faticava a trovare. Nell'aria un forte odore di incenso riempiva la stanza e una sottile voluta di fumo saliva dal punto in cui era stato acceso. La coppa salì alle labbra e il vino bagnò finalmente le labbra del vampiro. Cosa aveva attirato la contessa di nuovo da lui? Si era ripromesso di ucciderla se soltanto l'avesse rivista ma trovandosi davanti a lei si era reso conto che sarebbe stato molto più difficile di quanto si era immaginato. Un legame era rimasto tra loro due, per quanto malsano. Una parte di lui ancora la desiderava mentre l'altra, quella umana, la odiava immensamente. Tra i suoi ricordi si infilò un pensiero più recente. Il volto di Ainwen comparve davanti a lui come un'immagine e un sorriso a malapena celato si aprì sul viso del conte. Un sorriso che non riuscì pienamente a spiegarsi. Sentì forte in lui la voglia di rivederla, di sapere cosa stesse facendo in quel momento. Ci mise poco a decidersi. Qualche istante e si alzò lasciando la coppa di vino sul tavolo lì vicino e si avviò verso la stanza dell'oracolo. Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto. Forse si sarebbe fermato ad origliare alla porta, forse sarebbe entrato proponendole un qualche discorso campato in aria, forse avrebbe alzato la mano per bussare per poi riabbassarla subito dopo rinunciandovi. Una cosa sola era certa, stava camminando lungo il corridoio che conduceva alla sua porta quando udì quell'urlo. Il cuore gli balzò alla gola prendendolo di sorpresa proprio come la voce della ragazza. Senza pensarci si lanciò in avanti entrando di volata nella stanza pronto a reagire ad una possibile minaccia. La scena che trovò lo lasciò in parte perplesso. Ainwen inginocchiata al centro della stanza era raggomitolata su sé stessa e avvolta dal mantello rosso che lui le aveva dato. Le mani premute con forza sugli occhi nascondevano calde e abbondanti lacrime. La donna cadavere resuscitata dall'oracolo era immobile in piedi guardando in direzione della finestra. Il conte ne seguì lo sguardo fermandosi immediatamente alla vista della scritta.

"Uc.i...a"



Fuori dalla finestra il panorama buio faceva da controcampo ai vetri mezzi appannati dal calore del caminetto acceso da poco. Gabriel si avvicinò alla scritta e si piegò per alitarci sopra. Le lettere mancanti comparvero una dopo l'altra fino a comporre definitivamente la parola.

"Uccidila"



Gli occhi del conte si sbarrarono per la sorpresa e i pugni si serrarono in un moto di rabbia trattenuto malamente. Affianco alla scritta notò l'impronta di una mano macchiare il vetro esterno della finestra. L'avrebbe giudicato impossibile se non avesse conosciuto i modi poco ortodossi della contessa. Una paura improvvisa si impossessò del suo cuore nel realizzare il significato di quella scritta. Lei l'aveva trovata, era a conoscenza della sua ospite e poteva intuire l'importanza che aveva per lui. Un punto debole su cui fare leva per colpirlo indirettamente. La contessa amava giocare, lui lo sapeva bene.
Si voltò tornando a fissare la ragazza ancora inginocchiata e le si avvicinò appoggiandole una mano sulla schiena.

« Cosa è successo? »



Sapeva bene cosa potesse essere successo ma in cuor suo sperava di potersi sbagliare, di aver lasciato correre la fantasia, che Ainwen si stesse macabramente prendendo gioco di lui. L'oracolo sobbalzò leggermente al tocco della mano sulla schiena e prese a farfugliare.

« Fuori...Era...fuori... »



Sotto la sua mano, il conte riusciva a sentire la ragazza tremare. Gabriel si sforzò di indagare ulteriormente per quanto la risposta attesa fosse ovvia.

« Cosa era fuori? cosa avete visto? »



Percepì la presenza della contessa al di fuori del castello, forse appena oltre il giardino e un brivido freddo gli percorse il corpo. Ainwen si strinse ancora più a sé mentre cercava le parole giuste con cui rispondere.

« Fuori. C'era una...donna. La scritta... »



Il conte chiuse gli occhi per un istante cercando di calmarsi prima di perdere il controllo in una situazione che necessitava la lucidità più assoluta. Il tremore della ragazza era aumentato e un moto di affetto prese Gabriel alla sprovvista. Strìnse a sé Ainwen cercando di tranquillizzarla e riscaldarla più di quello che era riuscito a fare il caminetto appena acceso. Rimanere in quella stanza non avrebbe aiutato, così prese la decisione.

« Venite con me. »



Alzò di peso l'oracolo ma facendo attenzione a non strattonarla, poi con un braccio sulle spalle di lei si avviò fuori nel corridoio, assicurandosi che la donna cadavere li seguisse. Percorsero tutto il corridoio e scesero le scale lasciandosi alle spalle la paura di quegli strani eventi. Entrarono in un salottino e Gabriel sistemò la ragazza sulla poltrona coprendola meglio con il mantello che lei aveva ancora addosso. Il fuoco in quella stanza mandava un calore ben superiore a quello appena acceso nella stanza di Ainwen.
Un servo si affacciò dalla porta e il conte gli si avvicinò. Due parole e l'altro si congedò con un inchino. Poco dopo, convocata, lady Miria si presentò nella stanza. La bambina vampiro fissò i suoi occhi glaciali in quelli del conte mentre lui la prendeva in disparte.

« Cerca la contessa e portale un messaggio. Se si avvicina nuovamente a me, ad Ainwen o al castello metterò la sua testa su una picca. »



La bambina non aveva bisogno di altre indicazioni, annuì ed uscì dalla stanza in tutta fretta chiudendosi la porta alle spalle. Finalmente soli, il silenziò calò inesorabile lasciando spazio allo scoppiettio ritmico del fuoco. Il conte si avvicinò alla ragazza e si abbassò alla sua altezza per guardarla negli occhi, quelli ciechi.

« Questa notte la passerete con me. »



Sperava di non doverle spiegare di più, ma dentro di sé sapeva di non poterla lasciare nel dubbio più totale.

« Mi dispiace che voi dobbiate passare tutto questo. »



Era vero. Non era passato molto tempo dal giorno in cui l'aveva relegata in quel castello eppure aveva sviluppato nei suoi confronti una sorta di affetto. Un interesse leggermente superiore al suo ruolo di oracolo che ancora non aveva sfruttato. Avrebbe potuto chiederle qualcosa del suo futuro ma una parte di sé era restia a farlo. La voce della ragazza risuonò insicura e tremante.

« Cosa sta accadendo? Non so nemmeno questo. »



Cosa poteva risponderle? In fin dei conti non lo sapeva nemmeno lui. Poteva fare congetture, ma con la contessa non si poteva mai dare qualcosa per scontato.

« Vecchie ferite stanno tornando a tormentarmi. »



La ragazza cadavere lo stava osservando e Gabriel le restituì lo sguardo. Da un po' di tempo ormai aveva capito che i suoi occhi funzionavano a favore dell'oracolo.

« Siete un uomo dai mille segreti, conte. »



Il vampiro sorrise annuendo pensieroso.

« Non se ne hanno mai abbastanza, direi. »



La ragazza sorrise leggermente mostrando un po' di sicurezza in più. Aveva smesso di tremare e il calore del fuoco l'aveva ormai riscaldata abbastanza da concederle un po' di rilassamento. Il silenzio tornò padrone della stanza per qualche istante, poi la ragazza tornò a parlare.

« Grazie. »



Gabriel restò sorpreso per quel ringraziamento inaspettato ma annuì, poi si rialzò e si avvicinò al camino.

« Riposatevi. Baderò io a voi. »



« Non siete tenuto a farlo. Dopo tutto sono solamente il vostro ostaggio. »



Gabriel sorrise ma non si voltò. Quella parola era quanto mai azzeccata per la situazione dell'oracolo ma il conte sperava di poterle alleviare la pesantezza del suo status. Sperava di riuscire a farla ambientare nel castello tanto da convincerla a restare.

« Buonanotte mia signora. »



I suoi occhi si persero nella danza delle fiamme, accompagnati da ricordi riaffioranti e da emozioni dimenticate.









Quattro Regni, Contea di Ardeal, duecento anni prima


Gabriel entrò nella stanza della taverna che usava spesso quando doveva incontrarsi con Lara. Lui non era ricco, non poteva permettersi di pagarla ogni volta, ma il taverniere era un amico dei suoi genitori e quando era libera gliela lasciava usare. La ragazza non era ancora arrivata così iniziò a percorrere a larghi passi le due mediane della stanza. Era nervoso, teso. Ogni piccolo rumore lo metteva in allerta, ogni sussurro del vento gli provocava brividi di paura. Guardava fuori dalla finestra ad ogni giro che faceva sperando di vederla arrivare, di saperla salva. Dopo una mezz'oretta lei si presentò buttandosi tra le sue braccia. Lui la strinse a sé baciandola e accarezzandole i capelli. Era tanto che non la vedeva, la contessa lo tratteneva sempre più spesso al castello e tra quello e gli impegni della ragazza i loro momenti insieme erano ancora più rari. Per qualche istante Gabriel si dimenticò di tutto e si perse nel profumo di lei, nel tocco della sua pelle delicata, nell'ipnotico dolce sguardo. Sapeva di amarla con tutto sé stesso e ogni volta che la guardava poteva riconfermare il suo sentimento per lei. Poi però, tutte le ansie e le paure tornarono a galla e lui si lasciò cadere sul letto. Lara si accorse del suo cambio di umore e senza dire nulla gli si sedette accanto attendendo che fosse lui a parlarle.
Passò più di un minuto prima che lui si decidesse ad aprir bocca. Le prese le mani e cominciò ad accarezzarle mentre cercava le parole adatte da usare.

« Non possiamo più vederci. »



Lara rimase interdetta per un po', poi scosse la testa violentemente.

« Ma di cosa stai parlando? Perché mai? »



Gabriel si alzò di scatto e riprese a fare avanti e indietro per la stanza in preda all'agitazione.

« Lei sa. Lei sa di te! »



La ragazza perplessa rimase a fissarlo.

« Lei chi? »



« La contessa! Ha scoperto del mio amore per te e si è ingelosita! Tu non hai idea di cosa possa fare, credimi io lo so! »



L'agitazione del ragazzo era salita alle stelle e aveva ripreso a guardare fuori della finestra, questa volta però aspettandosi di vedere qualcun altro.

« Gabriel io non ti lascio. Che venisse, quella lì. Niente ci può dividere. »



Il ragazzo tornò sul letto di volata riprendendo le mani della ragazza. Se lei gli avesse appoggiato l'orecchio sul petto avrebbe potuto sentire il cuore rimbombare come un ariete su un portone.

« No, no, no! Tu non capisci! Non ci sarà che sofferenza per noi! »


Lara scosse di nuovo la testa ma questa volta più delicatamente. Sul suo volto un sorriso insicuro.

« Non mi importa. Io voglio stare con te. »








Quattro Regni, Contea di Ardeal, tempo attuale


Tre colpi leggeri risuonarono oltre la porta e poco dopo entrò nella stanza la bambina. Avanzò verso il conte stringendo nella mano una pergamena, ma dalla sua bocca non uscirono parole. Gabriel le si avvicinò e senza dirle nulla prese il pezzo di carta srotolandolo tra le sue mani.

"σκοτώσει μικρή κούκλα σας και να ξεχάσουμε την έλλειψη μόρφωσης σας. Μην με αναγκάσεις να πρέπει να το κάνουν μόνοι τους."



Gli occhi del conte scorsero il testo scritto in antico theraniano, lingua che conosceva bene, gliel'aveva insegnata la contessa. La calligrafia apparteneva chiaramente alla donna che lui tanto odiava. La sua mente tradusse in breve il significato e quello che lesse lo lasciò interdetto.

"uccidi la tua bambolina e dimenticherò la tua mancanza di educazione.
Non obbligarmi a dover fare da sola."



Gabriel accartocciò il foglio in un impeto di rabbia e si voltò a guardare Ainwen che dormiva accomodata sulla poltrona e coperta dal mantello rosso. Il conte sentì la tensione tornare a tormentarlo. Si voltò di nuovo verso la bambina dopo aver preso la decisione.

« Raduna tutti, stanotte si va a caccia. »


 
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view post Posted on 23/1/2015, 23:33
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Accovacciata sulla grande poltrona, le ginocchia contro il petto, completamente avvolta in quel mantello rosso, pareva quasi una bambina. Il suo mantello rosso, constatò con un certo disappunto. Una delle tante cose che aveva abbandonato in attesa di un ritorno che non era più arrivato. Le stava troppo grande e in ogni caso non avrebbe saputo portarlo. Era solo una sciacquetta arrogante e priva dell'eleganza che lei aveva sin dalla nascita. Il suo sangue nobile, acido come quello di tutti i suoi simili, non la rendeva all'altezza di una contadina divenuta contessa. La fissava con disprezzo attraverso i vetri. Si chiese cosa ci trovasse Gabriel in quel corpicino magro e incolore, troppo alto per le proporzioni di un'amante, troppo piatto per appartenere a una cortigiana. In quella ragazzina c'era più boria che bellezza, eppure lui pareva nutrire per lei un certo...interesse. Storse le labbra, rifiutandosi di pensare che potesse essere qualcosa di diverso. Lo conosceva troppo bene, conosceva cosa fosse per lui la passione. Conosceva cosa gli piacesse guardare, come sapesse carezzare, come non chiedesse il permesso per avvicinarsi. Ricordava cosa era stato tra loro, e come gli aveva insegnato ad amare il proprio fascino pericoloso, innaturale. Non poteva essere caduto tanto in basso da fare il galante con quella creaturina rachitica che non riusciva nemmeno a riempire un mantello polveroso.
Era perfino andato a caccia per proteggerla. O forse stava cercando la Contessa per parlarle, perché finalmente si era accorto del proprio errore. Preferiva credere questo. Non voleva immaginare il motivo per cui lui potesse osare combatterla in nome di quel rifiuto. Non era neppure immortale, non sarebbe durata una manciata di secondi a confronto con la vita un vero vampiro. Eppure lui pareva nutrire una sorta di istinto di difenderla. Dopo tutto aveva sempre avuto quel malato feticismo per le ragazze umane. Non era mai riuscita ad insegnargli a mangiarsele e basta. Aveva ancora molto da imparare, ma avrebbero avuto tempo. Prima avesse tolto di mezzo quella scocciatura, meglio sarebbe stato.
All'inizio aveva pensato di bersela mentre lui era via. Naturalmente aveva cancellato le tracce della propria presenza e lui era stato tanto sciocco da non capirlo. Con un'idea degna di un cavaliere delle fiabe era corso fuori con i suoi segugi. E lei era lì, a due passi da lui, ad aspettare come una leonessa nell'erba alta della savana. Lei, che cacciava da quando lui era ancora solo un ragazzetto senza barba. Ora avrebbe potuto prendere per il collo la sua gattina e leccarle la vita dalla punta di quella lingua da saputella. Forse avrebbe potuto perfino lasciargliene un goccio. Era questo che si era detta mentre la guardava piangere e farsela addosso come una bambinetta in fasce.
Ma poi aveva cambiato idea. Li aveva visti parlare. Invisibile, ingoiata dalle tenebre, li aveva visti avvicinarsi e scambiarsi domande e risposte. Aveva visto le loro dita sfiorarsi. E soprattutto aveva visto negli occhi di lui. C'era davvero qualcosa che iniziava ad intrecciarsi tra loro. E lui le aveva disobbedito in nome di quell'infinitesimale filo rosso. Meritava una piccola punizione, niente di irreversibile. Non per lui. Ma che gli insegnasse chi era la sua vera signora, chi l'aveva trasformato, chi era l'unica donna degna di attenzione in quel luogo.
Le finestre naturalmente erano chiuse, ma per lei non era un problema. Tese un dito verso la bambola di carne e ossa che quella povera sciocchina credeva fosse propria. Spalancò gli occhi. Certo, non era così naturale adesso che la controllava lei, ma era certa che se ci si fosse impegnata nessuno avrebbe potuto notare la differenza. Pazienza, lei non aveva bisogno di stupidi assistenti senza anima. Ne aveva già abbastanza. La bambola si mosse avanti a passi legnosi, con le mani afferrò a fatica la maniglia. La finestra si aprì scivolando silenziosa, uno spiffero di aria gelida scivolò all'interno. Non troppo, per non allarmare eventuali guardiani alla porta.
La contessa guardò il corpo addormentato davanti al camino. Per la prima volta nulla le separava. Era davvero in suo potere. Allargò le braccia, dissolvendosi in sottili filamenti dello stesso colore dell'oro e scivolò all'interno, a pochi passi dalla poltrona. Nemmeno un rumore, nemmeno un respiro. Avrebbe solo voluto che Gabriel la stesse guardando, che potesse soffrire in quei pochi secondi. Ma purtroppo se lui fosse stato lì tutto sarebbe diventato più difficile. Dopo tutto era un amante e un guerriero di straordinaria energia. Si leccò le labbra in silenzio, assaporando il momento in cui si sarebbe gettato tra le sue braccia senza più distrazioni. In cui le avrebbe leccato dalle labbra il sapore di quella sua ultima, inutile follia.
Torse la mano. La bambola scricchiolò, o forse lo fecero le sua ossa o qualsiasi cosa la tenesse in piedi. Cadde a terra, la bocca spalancata e gli occhi rivolti al soffitto. Quella ragazzina, quale che fosse il suo nome, ancora dormiva. Ebbe un sussulto, storse la bocca, ma non si svegliò. Un peccato, aveva quasi sperato opponesse resistenza e non lasciasse altra scelta che sgozzarla davanti al fuoco.
Le si inginocchiò davanti, la gonna le si allargò attorno alle ginocchia, diffondendo il suo profumo. Con la punta dei polpastrelli carezzò la guancia ancora appiccicosa per le lacrime, la pelle sottile e punteggiata di lentiggini. Veramente insignificante, pensò, mentre il fuoco le disegnava riflessi ambrati sui capelli e sul profilo di porcellana. Le sue dita scivolarono inesorabili sulla bocca e sul naso, strinsero forte. Ainwen, ecco come si chiamava. Ainwen ebbe un sussulto, spalancò gli occhi. Ma ovviamente non poteva vedere. Per un attimo tentò di sollevare le mani, imprigionate sotto al mantello. Al s u o mantello. Con un moto di stizza le sbattè la testa contro il bracciolo della poltrona. Ormai aveva inspirato. In pochi secondi era svenuta.
La sollevò tra le braccia. Era così leggera che perfino un'umana avrebbe potuto sollevarla. Sorridendo, slacciò la spilla e il mantello rosso scivolò a terra. Si chiese se Gabriel avrebbe capito. Probabilmente sì, era più furbo di così. Senza premurarsi di richiudere la finestra alle proprie spalle, si allontanò lentamente. Ovviamente era tornata individuabile per il tempo necessario ad avvisarlo. Voleva che soffrisse anche durante il tragitto, che soffrisse dell'incertezza di non sapere. Il gatto nella scatola con il boccone avvelenato potrebbe essere ancora vivo. Ma il buon senso dice che sia ormai condannato.


S i l e n c e


RqULehk
E' buio.
Perché faccio fatica a respirare?
Intorno a me voci, qualcuno ride, qualcuno mi sfiora. Solamente brividi.
Cosa è stato prima? Stavo dormendo, ora mi sono svegliata. Mi fa male la testa.
È buio.
Intorno suoni e odori che non riconosco.
Dove sei?
Akela.
Perché sono qui? Non è colpa mia. Io non sono l'Oracolo. Non sono nulla.
Lasciatemi andare.
Non di nuovo, non ancora oscurità.
Catene ai polsi e alle caviglie.
Voglio andarmene. Per favore. Cosa avrei fatto. I miei piani non vi riguardano.
Incubi. Silenzio. Buio. Ancora buio. Per favore. Non ancora. Non di nuovo.
Io non sono nulla.
Tu non sei nulla.
Nulla.
Buio.
Dove sei?
Gabriel. Vieni a prendermi.
Non verrà.
Gabriel.




CITAZIONE
Qm Point

Proseguiamo in confronto per un qualche giro. Mi riservo un Qm point anche lì.
Ti inquadro la situazione: sei libero di descrivere cosa faccia Gabriel durante la caccia o a chi si accompagni. Di fatto, però, non riesce in alcun modo a localizzare la contessa. I tuoi segugi, se li hai, sentono la presenza dei suoi servi ai margini di Ardeal, ma nessuno si avvicina a sufficienza. Ad un certo punto, però, la presenza della contessa risuona distintamente. Ti rendi conto che deve essere all'incirca nei pressi del palazzo. E' la sensazione di un istante, e subito svanisce. A te la libertà di agire.

 
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Stella Alpina
view post Posted on 16/2/2015, 15:25







Quattro Regni, Contea di Ardeal, tempo attuale


Adrenalina. Calore. Sudore. I vampiri avanzavano per la cittadina compatti alla ricerca di un indizio che li guidasse, un odore familiare, uno sputo di traccia. La notte copriva i loro movimenti silenziosi e i predatori se ne beavano accogliendola e sfruttandola a loro vantaggio. Gli abitanti non dovevano sapere delle cacce che saltuariamente avvenivano fuori dalle loro case, mentre loro riposavano stretti nelle loro coperte speranzosi di non essere presi dalla piaga almeno per un'altra notte. Gabriel si muoveva per secondo, seguendo uno dei suoi compagni incaricato di individuare la preda. Dentro di lui l'agitazione si faceva spazio crescendo ad ogni minuto passato nell'incertezza. L'avrebbero trovata? L'avrebbero uccisa? Avrebbero fallito? Il conte chiuse la mente a quelle domande che avrebbero trovato risposta a breve e si concentrò sui suoi sensi. Il freddo di quella notte gli penetrava nelle ossa nonostante non fosse realmente così intenso.


« Avanti trovala! »


Il vampiro ignorò il comando e continuò ad annusare l'aria passo dopo passo. La tensione presente vibrava nell'aria come note stonate, la pressione e l'incertezza inibiva in parte il cacciatore in testa al gruppo. La via continuava ma loro si infilarono in un vicolo laterale, lontani dal rischio di essere visti. Le finestre e le porte sbarrate si susseguivano una dopo l'altra, i muri rovinati correvano paralleli stringendo i fianchi del gruppo.


« Dannazione trovala! »


L'ansia del vampiro cresceva, come la sensazione di essere nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. La luna si liberò delle nuvole che la coprivano e cominciò a sbirciare tra le vie della città, illuminando dove poteva l'avanzare dei cacciatori. I corpi si muovevano morbidi e tesi allo stesso istante. Una scarica improvvisa attraversò il corpo del conte, un brivido tanto forte quanto chiaro nel suo significato. La presenza della contessa era di nuovo nell'aria, ma non dove lui sperava di sentirla. Una fitta di paura afferrò lo stomaco di Gabriel mentre realizzava ciò che fino a quel momento era stata solo una sensazione. La mano si strinse forte nella spalla del vampiro in testa al gruppo facendolo piegare da un lato per l'inaspettata sofferenza.


« Il castello... Ainwen... torniamo indietro! ORA! »


Il gruppo si mosse all'unisono aumentando il passo e portandolo quasi ad una corsa sfrenata in direzione del castello dove era risuonata la presenza della contessa. Il cuore di Gabriel batteva a ritmi raramente sfiorati, il tempo scorreva più lento rendendo quella corsa dolorosamente infinita. Il cancello si aprì di fronte a loro e i vampiri si divisero alla ricerca della donna che fino a quel momento era rimasta nascosta ai loro sensi. Era vibrata per un solo singolo istante, un giro di luce di un faro, quanto bastava per allertare tutti e riempirli di paura. Il conte irruppe nel castello aprendo le porte quasi a spallate, fece gli scalini a due a due e si fiondò nella stanza in cui aveva lasciato l'oracolo. Quel che vide lo gelò all'istante. La finestra aperta faceva entrare il freddo che fino a poco prima l'aveva attanagliato per le strade. A terra, scomposta in una posizione disarticolata, giaceva la donna-bambola che l'oracolo usava per vedere. Poco più in là, il mantello rosso riposava ai piedi della poltrona che fino ad un'ora prima aveva accolto il corpo della ragazza ma che ora aveva lasciato andare. Di Ainwen nessuna traccia. Un odore vagamente familiare giunse alle narici del conte, un odore che lasciava pochi dubbi: il profumo della contessa. Gabriel afferrò il mantello e lo sollevò da terra. Lo sguardo gli cadde su dei graffi impressi sulla superficie rossa della stoffa causandogli un nuovo brivido di paura. D'istinto corse alla finestra speranzoso di vederla andar via, di sapere di essere ancora in tempo per raggiungerla, ma niente. Il giardino era vuoto, se non per il vecchio vampiro che controllava i dintorni della struttura. Una sensazione di sconforto gli si mosse dentro ma lui la scacciò cercando di ragionare sul da farsi. Poco dopo uscì di corsa dalla stanza e si diresse verso l'unico posto conosciuto collegabile alla contessa. La locanda aprì le sue porte al passo del vampiro e l'ostessa l'accolse emozionata riconoscendo il volto del suo conte. L'espressione gli cambiò non appena gli arrivò contro la valanga di domande a cui tentò di rispondere come poteva. La contessa aveva lasciato Ardeal in carrozza la sera prima insieme ai servi. Stronzata. Pista sbagliata. Gabriel tornò di volata al castello per poi uscire di nuovo a caccia con il vampiro che prima dirigeva il gruppo. Questa volta non si sarebbero fermati, questa volta avrebbero cacciato fino ad assaggiare il dolce sapore metallico del sangue.


« Conte Gabriel Voltura. Credevo amasse passare la notte con l'Oracolo e non a caccia come un animale. »


Quella voce gli penetrò nella schiena prendendolo di sorpresa. I due vampiri si voltarono all'istante verso l'uomo che aveva attirato la loro attenzione. Erano a caccia già da un po' quando furono fermati dal tizio appoggiato al muro di una casa e avvolto in un mantello che doveva essere verde smeraldo. Il conte sospirò rabbioso e si lanciò in avanti perdendo la pazienza. La mano si strinse con forza intorno al collo dello straniero mentre la voce uscì bassa e roca.


« Chi diavolo sei. »


Non era una domanda, era un'affermazione. Non ammetteva non risposte, esigeva la verità. L'altro non oppose resistenza e per di più sorrise sinceramente. La sua mano si poggiò delicatamente sulla spalla del conte.


« Il mio nome è Ho Igoo. Ma Ainwen mi chiamava la spia. Cosa agita i tuoi sonni, conte? Fai meglio a dirmelo prima che lo scopra da solo. »


Quella risposta spiazzò completamente Gabriel. Si era aspettato un servo della contessa pronto a ricattarlo in qualche modo, un lacchè maledetto da sgozzare dopo avergli estorto la posizione della donna.


« Ainwen... in che modo sei legato a lei? »


Il sorriso dell'uomo si allargò ancor di più mentre la confusione del conte aumentava. Chi si trovava davanti? Poteva fidarsi?


« Noi eravamo i suoi servi, Gabriel. I suoi guardiani, i suoi mercenari, i suoi occhi e le sue mani. Lo eravamo, prima che tu ce la portassi via. E lo siamo ancora, in attesa che lei ti sfugga e torni da noi »


La sfrontatezza con cui quelle parole vennero pronunciate sbatté contro l'impazienza di Gabriel. Non aveva tempo per prendersela per qualche stupida frecciatina, aveva urgenze più importanti a cui dover far capo.


« Oh. Ma forse questo è stato indelicato da parte mia. Quindi te lo chiederò chiaramente. Dov'è? »


Successe qualcosa di inaspettato. Lo straniero si contorse improvvisamente in un'acrobazia elaborata e cercò di saltare in braccio al conte. Gabriel lasciò la presa al collo dell'uomo assecondando i suoi movimenti e attese. Il corpo della spia passò in mezzo al suo incontrando solo fumo nero. Se quel contatto avesse potuto trasmettere anche le sensazioni Ho Igoo avrebbe percepito il fastidio intenso provato da Gabriel in quel momento. Il corpo del conte si ricompose subito dopo e lo straniero evitò di rovinare a terra ricorrendo ad un'altra complicata acrobazia. Dopo un secondo di silenzio il vampiro si voltò a fissare l'uomo.


« Non ho tempo per giocare. Ainwen è stata rapita. »


Era vero, in un qualsiasi altro momento quell'uomo sarebbe stato massacrato sul posto, ma non aveva tempo né energie da sprecare per punire quell'insolenza.
Inoltre vista la difficoltà del momento ogni aiuto era ben accetto.


« Ti aiuteremo a trovarla. Torna al tuo palazzo, arriveremo lì. »








Non passò che un'ora dall'incontro con la spia prima che quattro uomini si presentassero al cospetto del conte. Gabriel li accolse in uno dei tanti saloni del castello. Un unico tavolo al centro riempiva lo spazio, dietro il quale sedeva il vampiro. Gabriel cercava di mantenere un atteggiamento sicuro, ma la verità era che la sua tensione arrivava alle stelle. I quattro sfilarono davanti ai suoi occhi posizionandosi al bordo opposto del tavolo. Il primo di tutti era la spia, Ho Igoo. La sua pelle olivastra e gli occhi dorati gli concedevano una particolarità fuori dagli schemi, caratteristiche difficili da gestire per una spia che voleva passare inosservata. Il suo atteggiamento era delicato e non sembrava particolarmente preoccupato della situazione, cosa che infastidì non poco il conte. Dietro di lui avanzava il gigante rosso, Akela. L'aveva già incontrato tra le tombe del suo cimitero qualche tempo prima, il giorno in cui gli aveva sottratto Ainwen. Non doveva essergli andata giù la questione perché l'atteggiamento era estremamente chiaro: scontroso e incazzato. Affianco all'omone si muoveva una donna vestita con un abito non proprio elegante ma comunque di nobile foggia. Un abito che sarebbe andato più che bene negli ambienti della sua corte. La particolarità che gli risaltò all'attenzione fu però un'altra. Gli occhi della ragazza erano di un viola acceso, caratteristica assai rara, soprattutto in una donna. Accanto a lei un uomo del tutto insignificante a differenza degli altri. Sarebbe risultato un uomo normalissimo in un altro contesto, ma vista la situazione destò l'interesse del conte proprio per quell'anonimato stridente con le altre tre personalità. Il disagio che provava però era ben evidente e questo incuriosì ancora di più il vampiro.


« La ringrazio di averci ricevuti, Conte. Come ben sa siamo qui per ritrovare la nostra signora, che pare essere...scomparsa. »


« Che pare ti abbiano rapito sotto il naso, stronzo. »


Gabriel spostò di scatto lo sguardo sul gigante che lo aveva appena insultato e un fastidio interno prese a sbattergli contro gli organi. La reazione però non ci fu. Non era il momento. Ma quando sarebbe arrivato quell'uomo l'avrebbe pagata cara.


« Come lei, siamo molto interessati al che venga ritrovata. Quindi ci consideri a sua disposizione, per quanto è in nostro potere. »


Akela borbottò qualcos'altro che stavolta non raggiunse le orecchie del conte.


« E' evidente che tra noi vi siano dei dissapori. Ma li metteremo da parte fino a quando Lady Ainwen non sarà tornata. Poi spetterà a lei decidere chi meglio possa proteggerla. »


Gabriel attese qualche istante in silenzio considerando quanto gli era stato detto e cercando di non farsi influenzare dal fastidio provocatogli dal gigante. La contessa conosceva lui e i suoi vampiri, ne poteva percepire la presenza. Loro invece avrebbero potuto agire ai suoi ordini nell'anonimato più assoluto. Sfruttando questo vantaggio forse avrebbe potuto farcela. Il suo sguardo passò in rassegna tutti e quattro i presenti prima di parlare.


« Il potere di chi l'ha rapita va molto oltre i vostri semplici muscoli... »


Lo sguardo gli cadde su Akela nel pronunciare quelle parole volute.


« Se è stata strappata a me potete star certi che si tratta di una situazione grave. Proprio per questo accetto il vostro aiuto. »


L'incontro proseguì ancora per una mezzoretta prima che tutti si avviassero a svolgere i loro compiti assegnati, tutti tranne l'uomo insignificante che il conte tenne lì qualche istante in più. Nella solitudine della stanza vuota, Gabriel cercò di capire qualcosa di più su quell'uomo e sui suoi compagni. Kaa, quello era il suo nome, si rivelò una bocca sciolta e le informazioni arrivarono. Parlò delle sue capacità di cercatore di tracce, delle caratteristiche mutaforma della ragazza, del ruolo di spia di Ho Igoo e dell'attitudine al comando di Akela. Il vampiro ascoltò con attenzione e dopo aver assimilato quelle informazioni lo congedò lasciandolo al suo compito. Da quel momento la partita iniziava e il conte cominciava a calare le sue carte. Sperò vivamente di avere una mano più forte della contessa.








Gabriel si lasciò cadere sulla poltrona abbandonandosi al tepore consolatorio del fuoco da poco acceso. Le sue ricerche per le stanze del castello non avevano portato a nulla se non all'esclusione della presenza della contessa intorno a lui. La prima stanza che aveva controllato era proprio quella di Ainwen e vi aveva trascorso qualche minuto in più del dovuto ad osservare la finestra su cui aveva letto il messaggio della contessa. Per la prima volta dopo circa duecento anni si ritrovava a provare dei veri sentimenti per qualcuno. Poteva mentire a sé stesso quanto voleva, ma non sarebbe riuscito a negare il suo interesse sentimentale verso la ragazza. Ainwen. Il ruolo dell'oracolo era la motivazione con cui la teneva lì, ma il piacere della sua presenza era la vera ragione. Forse era per quello che ancora non le aveva chiesto nulla sul suo futuro. Non voleva realmente sapere, non fino in fondo. Quello che non sapeva era cosa pensasse lei di lui. Era sicuro che se avesse voluto avrebbe potuto fuggire in qualche modo ma lei ancora non l'aveva fatto. Al contrario sembrava trarre un minimo di piacere nelle conversazioni con lui. Cominciava a fidarsi, a capire che non le sarebbe stato fatto alcun male, almeno prima che si presentasse la contessa. La mente del conte si perse nell'immaginare tutte le crudeltà di cui sarebbe stata capace quella maledetta, quanto potesse far soffrire Ainwen gratuitamente per il solo scopo di giocare con lui, di impartirgli una stupida lezione che non avrebbe attecchito, non più. L'alba era ormai vicina e a breve sarebbero tornati i suoi uomini con i risultati delle ricerche. Una parte di sé sperava vivamente di poter esultare del ritrovamento avvenuto, un'altra ben sapeva che non sarebbe stato così facile. Si sdraiò ancora di più sulla poltrona cercando di godere di quel poco di calore proveniente dal caminetto. Si coprì con la coperta rossa che qualche ora prima ricopriva il corpo di Ainwen. Il suo sguardo si fermò sui graffi rimasti sulla stoffa. Nella sua testa risuonarono le parole di Kaa. Ainwen era stata portata via nel sonno o comunque senza che opponesse resistenza. In quel momento il buio la circondava, priva della sua bambola non avrebbe potuto vedere. Non era ferita, non c'erano tracce di sangue, per il momento.
La porta si aprì e Jakala fece qualche passo all'interno della stanza. Gabriel voltò il suo sguardo verso di lei notando che il suo viso era rilassato esattamente come l'aveva visto ad inizio della notte, non sembrava affatto stanca. La ragazza fece rapporto riferendo di non aver trovato nulla se non un aumento delle fosse scavate. Non c'era da stupirsene, i servi della contessa si procuravano il cibo esattamente come lui e i suoi familiari. Jakala riferì inoltre dell'inutilità di Akela in un compito del genere, vista la sua difficoltà a vedere al buio. Gabriel sbuffò e tornò a fissare il fuoco senza rispondere. La discussione era finita. La ragazza attese qualche istante poi lasciò la stanza e il conte alla solitudine.
La porta si aprì nuovamente, questa volta entrò nella stanza il vecchio vampiro, con in braccio un cadavere che appoggiò delicatamente sul pavimento al centro della stanza. Gabriel si alzò di scatto lasciando la coperta sulla poltrona e si avvicinò al corpo.


« E questo cos'è? »


Il corpo era completamente devastato. Ricoperto ovunque di tagli e morsi. Il viso in parte sfigurato, i vestiti completamente rovinati. Il vecchio abbassò lo sguardo evitando il contatto con gli occhi del conte e parlò a voce bassa.


« E' uno dei servi della contessa. L'abbiamo trovato che cercava di nutrirsi e... beh l'abbiamo fermato. »


Il silenzio calò nella stanza mentre Gabriel osservava il vecchio cercando di capire cosa fosse successo. Lo sguardo tornò sul cadavere e sulle ferite.


« L'avete fermato? Che cazzo vuol dire l'avete fermato? L'avete torturato per farvi dare delle informazioni, non è così? Ora sapete dove si trova la contessa, Vero? »


Il vecchio spalancò gli occhi al sentire quel linguaggio inusuale per il conte e si strinse ancora di più nelle spalle.


« No non abbiamo fatto in tempo a chiedergli nulla, è morto troppo in fretta! Io ho cercato di fermarli, io ho tentato! Ma erano affamati e non mi hanno voluto dare ascolto... »


Il messaggero malcapitato ebbe l'impressione che la stanza si oscurasse e che il fuoco del camino si affievolisse perdendo tutta la sua brillantezza. Raramente aveva visto il conte veramente arrabbiato come quella volta.


« Erano... affamati? Lascia qui il cadavere e vattene prima che mi venga voglia di ricordarmi che sapore ha il tuo sangue. »


Il vecchio non se lo fece ripetere due volte e lasciò la stanza con un inchino frettoloso e scoordinato. Gabriel rimase di nuovo solo in compagnia dello scoppiettio del fuoco. Tirò un calcio sul costato del cadavere prima di risedersi sulla poltrona con lo sguardo rivolto verso le fiamme. Così lo trovò Ho Igoo quando entrò nella stanza per riferire quel che aveva saputo. Parlò ad una statua immobile per tutto il tempo. Parlò dei movimenti della contessa alla locanda prima del rapimento, parlò della carrozza abbandonata e della possibile presenza di altri vampiri al suo servizio oltre ai due che portava con sé. Rivelò di aver assistito allo scempio dei suoi vampiri compiuto sulla preda catturata e lo avverti del probabile aumento di attenzione da parte dei restanti servi della contessa. Lasciò la stanza dopo aver guardato per un'ultima volta il cadavere al centro della stanza. Gabriel tornò a muoversi solamente quando fu di nuovo solo. Dalla finestra entravano le prime luci dell'alba e il paesaggio tornava a vivere dei suoi colori. Lo sguardo del conte si perse tra le montagne, gli occhi leggermente lucidi e un'espressione decisa sul viso.




 
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view post Posted on 20/2/2015, 21:24
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Day 1
_______________


La Contessa indossava un abito buio come la piccola stanza. I capelli biondi erano raccolti dietro la testa in una crocchia stretta. Ma nonostante tutto la sua bellezza era ancora tale da togliere il fiato. Se ne stava in piedi e gli sguardi dei suoi servi non potevano fare a meno di posarsi su di lei. Sorrideva, guardando impietosa verso il basso. Nella mano teneva un corto coltello dall'impugnatura d'argento. Lo aveva trovato sulla sgualdrinella quando erano arrivate. La sua sfrontatezza l'aveva lasciata a bocca aperta: osava tenere addosso un'arma nel palazzo dell'unica creatura che non avrebbe osato alzare nemmeno un dito su di lei. Credeva di avere la forza per colpirlo. Era solo una sciocchina, ma ovviamente non avrebbe mai avuto il tempo sufficiente per imparare dai proprio errori. La guardò, distesa completamente nuda a terra, le braccia avvolte attorno alle ginocchia e i capelli sciolti a coprirla. Tremava, con quella patetica smorfia da bestia ferita sul volto. Le sue guance erano solcate da lacrime e sporcizia. L'aveva vista piangere alla finestra, aveva udito i suoi singhiozzi e le sue urla per tutto il giorno, fino a che la voce non le era diventata rauca. Ora taceva, la testa premuta contro gli avambracci, gli occhi che comunque non avrebbero potuto vedere. Le sputò addosso e la sentì sussurrare.
Non era mai stata come lei, nemmeno quando era ancora umana. Era stata più forte, più volitiva. Non si sarebbe mai fatta incatenare a quel modo senza ribellarsi. Naturalmente era stata stordita, ma una come la contessa avrebbe tentato di ribellarsi. Lei invece rimaneva silenziosa, raggomitolata su se stessa a piagnucolare.
Pensò a Gabriel. Gabriel vicino a quella ragazzina, che forse la immaginava con quella stessa nudità tra le proprie lenzuola. Gabriel che le carezzava il viso o che guardava nei suo occhi vuoti. Che stringeva tra le braccia il suo corpo sottile. La rabbia le montò dentro come un'onda rovente.
La afferrò per i capelli, sollevandola a forza. Come un sacco vuoto, la lasciò fare, ribellandosi solo debolmente. Non mangiava da quasi un giorno, e le sue guance erano arrossate. Il freddo, pensò, forse la febbre. Sorrise, pensando a quanto dovesse soffrire nel suo debole corpo da umana.


Non avresti dovuto prenderti qualcosa che non era tuo”.


Aveva le labbra screpolate e tagliate dai morsi, i polsi segnati dalle catene che aveva strattonato. Eppure trovò la forza di rivolgerle un sorriso sarcastico, quasi più irritante di tutto il resto.


Dillo quando ti avrò cavato gli occhi”.


La sua voce era così debole che fece fatica ad udirla. La scrollò violentemente, un rivolo di saliva scivolò tra le labbra di lei. Avrebbe voluto ucciderla subito ma era troppo presto. Se l'avesse lasciata ai suoi servi, non sarebbe bastata nemmeno per nutrirne uno. Alzò il coltello, facendoglielo scivolare lungo il petto. Una sottile virgola rossa si disegnò sull'addome. I vampiri attorno a lei ebbero un fremito. Ma non era ancora il loro momento. Con il dito raccolse quelle poche gocce di sangue e se le portò alle labbra. Così avrebbe saputo descrivergli il sapore della sua puttanella quando fossero stati insieme.
La gettò a terra, continuando a sorridere.



L u s t
_______________

Continuo a pensarti. A ricordarti.
Le tue mani sul mio corpo erano la poesia della nostra unione.
La mia bellezza celebrava la tua forza.
Noi, le più perfette e le più antiche delle creature.
Continuo a rimproverarmi di non essere tornata prima.
Abbiamo giocato a lungo, abbiamo lottato avvinghiandoci come i rami dell'edera.
Saremo intrecciati per l'eternità.
Io ti ho creato e tu sei il risultato migliore che abbia mai avuto.
Stringimi ancora, stringimi fino a che il sole non cederà il posto alla luna.
Insieme disprezzeremo i mortali e i loro affanni.
Insieme lasceremo che il tempo cancelli il dolore e ci nutriremo di sangue e lussuria.
Qualche piccolo sacrificio è necessario.
Noi siamo i predatori naturali di una terra colma di creature inferiori.
Tu e io, gli unici alla pari.
Saremo la morte, in un mondo agonizzante.
Saremo invidia, in un mondo che arranca verso una meta irraggiungibile.
Vieni, amore mio.
Ti sto aspettando.


Continuo a pensarti. A chiamarti.
I tuoi occhi su di me sono il monito di quanto non potrà mai essere.
Le mie bugie erano il contrappunto delle tue certezze.
Noi due, che non siamo niente e forse non potremo mai diventarlo.
Continuo a rimproverarmi di non averti fermato.
Avrei potuto prenderti la mano e confessarti tutte le mie debolezze.
Avrei potuto stringermi a te e asciugare sul tuo petto le mie lacrime.
Io non ti ho cercato e tu forse non arriverai in tempo per sentire le mie ultime parole, le mie scuse, i miei desideri spezzati.
Cercami ancora, cercami fino a che il sole non brucerà la notte.
Io lotterò per essere ancora qui quando arriverai.
Non importa quanto possano disprezzarmi, quanto possa soffrire.
Lascerò che il tempo mi racconti della tua mancanza e raccoglierò ogni forza che mi resti.
Non importa quanto sangue dovrò perdere.
Lo userò per tracciare il tuo nome sul mio cuore.
Non voglio morire inutile, così come ho vissuto, perché il sacrificio non genera eroi.
Io, che sono diversa in un mondo che mi ritiene inferiore.
Io, che non sarò mai alla tua altezza.
Sono la vita, in un mondo che non si accorge di essere morto.
Sono grido, in un mondo che siede sordo sul proprio trono.
Vieni, tu che sai esistere.
Ti sto aspettando.

_______________

S o r r o w




CITAZIONE
Qm Point

E' trascorso il giorno uno, con le conseguenze che ti ho riportato in confronto e in questo post (per la verità abbastanza semplice). Ora puoi proseguire in confronto dando le direttive per la prossima giornata, così come abbiamo fatto poco fa ^^.
In bocca al lupo.

 
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Stella Alpina
view post Posted on 18/3/2015, 19:06







Quattro Regni, Contea di Ardeal, tempo attuale


I passi cadenzati rimbombarono cupi lungo il corridoio percorso a passo misurato. Quell'ala era rimasta abbandonata dall'arrivo di Gabriel al castello. Troppi ricordi, troppe sofferenze riportate a galla. Eppure quel passo quella notte avanzava deciso, o forse rassegnato. La polvere veniva scalzata via, la luce si riappropriava di quel luogo risvegliando le torce da tempo inutilizzate. Il buio vibrava agli angoli rovinati lottando per difendere quel territorio che tanto aveva stretto nel suo abbraccio. Gabriel osservava i muri sbiaditi a cui erano appesi quadri che nemmeno ricordava, se li immaginava prendere vita pronti a raccontare storie di epoche passate, racconti che solo i loro occhi avevano potuto memorizzare. Mentre avanzava ripercorreva mentalmente gli ultimi avvenimenti che avevano riempito le sue giornate. Non era andata come si aspettava, aveva bisogno di più tempo, aveva bisogno di qualche buona notizia, aveva bisogno di Ainwen. I due giorni precedenti erano stati bui, una lotta contro un nemico astuto che sembrava capace di sparire nel nulla nonostante il conte avesse la certezza che non fosse troppo lontano. Sentiva il fiato sul collo, percepiva il fastidio della presenza della contessa. Stava giocando con lui ad un gioco che divertiva solo lei. Le ispezioni di Kaa sul cadavere non avevano portato a nulla. Non aveva le conoscenze di un medico aveva affermato e dunque l'aveva mandato a caccia con i suoi vampiri sperando potesse rendersi utile almeno in ciò che aveva detto di saper fare: trovare le tracce. Niente buone notizie, solo un racconto da parte di uno dei suoi sulla sua trasformazione in una bestia feroce risputata dall'inferno. Si fidava dei suoi uomini, ma quel racconto aveva un che di inverosimile. Si era ripromesso di indagare al riguardo a tempo debito. Jacala aveva avuto l'ordine di trasformare il suo aspetto per renderlo quanto più simile possibile al servo morto della contessa e girare per la città in modo da attirare l'attenzione. Qualcuno si era avvicinato ma mai abbastanza da dare dei risultati sfruttabili a suo favore. Mancava qualcosa lei aveva sostenuto, forse proprio l'aura da vampiro. Avrebbe dovuto cambiare tattica e forse qualcosa in mente l'aveva da suggerirle. Ci avrebbe pensato più in là. Ho Igoo era tornato con una miniera di informazioni, per quanto nessuna così decisiva. Aveva parlato con la locandiera che gli aveva riferito di aver trovato gran parte della biancheria ed alcuni vestiti della contessa nella stanza che le aveva affittato. Dovevano essere all'incirca la metà dell'ingombro del baule eppure quando avevano lasciato la camera, i servi trasportavano il baule come se fosse ancora pieno. Era così che Ainwen era stata trasportata, all'interno di un miserabile baule al pari di un vestito o di un dannatissimo oggetto. L'avevano trasportata in una "tenuta". Cosi aveva sentito dire la locandiera. Un passo avanti nella ricerca senza dubbio, ma Ardeal era piena di tenute attorno ai suoi confini. Akela era stato incaricato di trovare quella tenuta ed era tornato con un elenco di tenute per lo più abbandonate che Gabriel già conosceva. Non era riuscito ad identificare quella giusta e questo aveva indispettito ancor di più il conte che già era ai ferri corti con quell'uomo. Quanto a Gabriel, lui aveva perlustrato tutte le ali del castello più frequentate senza trovare nulla e ora si era deciso a visitare quelle che avrebbe preferito non rivedere più. Quelle condivise tempo addietro con la contessa.
La sua mano si fermò al tocco della maniglia fredda e indietreggiò leggermente quando quella sensazione salì il braccio fino ad infilarglisi nel cervello. Un brivido infinito che durava da circa duecento anni e che ancora non cessava di esistere. La maniglia si piegò sotto il peso della mano e la serratura scattò, violentando il silenzio che fino a quel momento aveva regnato nella stanza. La porta cigolò un poco nell'aprirsi ma infine lasciò libero il passo. Quella che era stata la camera da letto della contessa gli si palesò davanti agli occhi, intatta, esattamente come era stata lasciata. Persino la polvere sembrava aver ignorato quel posto.
Osservandosi intorno Gabriel notò che le persiane erano spalancate, il buio fuori bussava alle finestre. Senza pensarci troppo si ritrovò seduto sul letto a baldacchino, le coperte bianche ricamate e le dita che ne seguivano i tratti.









Quattro Regni, Contea di Ardeal, duecento anni prima


Gli occhi sorridenti della contessa osservavano divertiti quel ragazzo rannicchiato all'angolo del letto, in parte impacciato e in parte nervoso. La sola presenza della donna bastava a metterlo in agitazione, il luogo in cui si trovavano completava il quadro. La contessa al contrario si muoveva disinvolta, sfoggiando il suo corpo e la sua eleganza. Senza preoccuparsi troppo slacciò i cordini che trattenevano l'abito e quello cadde a terra quasi lentamente, a dispetto della pesantezza che sembrava avere. La donna rimase in intimo di fronte agli occhi stupiti del ragazzo che non sapeva più come comportarsi davanti a quell'inaspettata sfacciataggine. Isabella era così, senza inibizioni, ben conscia del suo potere e senza scrupoli nell'abusarne. Conosceva gli impedimenti del ragazzo, era a conoscenza del suo amore per la contadinella e poco le importava.


« Forse non ti piaccio? »


Domanda più che retorica, sapeva bene l'effetto che provocava, persino su di lui il cui cuore era donato ad un'altra.


« No, no... non è questo... »


Gabriel prese a muovere il corpo da seduto per scrollarsi di dosso il fastidio che lo stava assalendo, senza però avere risultati. Si sentiva sporco, voleva andarsene da lì, ma una forza impercettibile lo costringeva a rimanere. Era come se fosse diviso in due. Una parte di lui sarebbe fuggita lontano per mai più tornare, l'altra invece lottava per rimanere, voleva ammirare quella bellezza unica, voleva possederla.


« Cosa aspetti allora? Sono qui per te! Non si fa attendere una donna a questo modo, non è educazione. »


Il ragazzo alzò lo sguardo incrociando gli occhi sorridenti della donna, la pelle liscia sembrava non avere età, le labbra carnose urlavano piacere. La mano di lei si poggiò sul suo petto mentre la contessa gli si sedeva affianco. Ora il suo viso era a pochi centimetri da quello di lui e il suo respiro gli rimbalzava sul collo. Poteva sentirne l'odore chiaramente, un profumo dolciastro quasi fino alla nausea, ma piacevole. In quell'istante l'immagine del volto di Lara gli comparve tra i pensieri e come punto da una spina si alzò di botto dal letto, sfuggendo alla presa della donna. Si allontanò di qualche passo dandole le spalle e sperò che lei non insistesse oltre.


« No, io... io non posso! »


Isabella sospirò debolmente, quasi credibilmente. In realtà quella situazione la divertiva, la gatta stava giocando con il topo prima della cena. Si alzò anche lei seguendolo e nel tragitto si sfilò la veste intima liberando il seno. Lo abbracciò da dietro premendo contro la sua schiena, il respiro dritto nelle orecchie del ragazzo, le parole diventate fragili sussurri.


« So cosa ti trattiene, tu hai l'impressione di tradirla, ti senti in colpa. Non vederla a questo modo. Tu lo stai facendo per lei! Questa contea è piena di brutte persone e di situazioni pericolose, sai che potrebbe accaderle qualunque cosa. Così invece ti stai assicurando che non le accada nulla perché sai che io la proteggerò. E' per questo che lo devi fare. »


Le braccia di lei fecero leggermente forza girandolo a suo favore. Gli occhi di Gabriel scesero sul suo corpo e le ultime riserve caddero a quella vista. La donna percepì quel cambio e subito ne approfittò. Si sporse in avanti e le labbra si dischiusero lasciando che i denti si aprissero appena, il giusto affinché il labbro inferiore del ragazzo potesse entrare nella fessura. Il morso delicato fu l'inizio di quel bacio che fece crollare il mondo di certezze e incertezze del ragazzo. Fu l'inizio del tragitto che conduceva al letto dove una notte intensa li aspettava.








Quattro Regni, Contea di Ardeal, tempo attuale

La luce iniziò a filtrare attraverso le finestre illuminando la sala e il letto su cui era sdraiato il conte. Gabriel fissava il soffitto immerso nei ricordi, le mani strette sulle lenzuola ricamate. Quando un raggio lo raggiunse i suoi occhi si chiusero istintivamente, quando li riaprì era finito il momento dei ricordi. Si alzò di scatto dal letto e nel farlo si trascinò appresso la coperta e le lenzuola disfacendolo irrimediabilmente. I cuscini caddero a terra lì dove vennero lasciati. Il conte abbandonò la stanza sbattendosi la porta alle spalle. Le persiane rimasero aperte per mostrare quello scempio al sole di una nuova nervosa giornata.
Gabriel raggiunse la stanza in cui attendeva le notizie delle ricerche giusto in tempo per incrociare Kaa che scortava un ragazzo. Il prigioniero non poteva che essere un servo della contessa, la sua bellezza parlava per lui. Un dettaglio però attirò l'attenzione del conte più che la sua bellezza. Al giovane mancava una mano. Il conte guardò il cercatore di tracce che gli sorrise di rimando. Ne avevano catturato uno vivo, finalmente. Kaa gli lanciò un pacchetto che il giovane sosteneva dover recapitare direttamente a Gabriel. Non era più grande di un pugno e sembrava particolarmente leggero. Il vampiro non perse altro tempo e lo aprì rivelando una fiala contenente del sangue. Il suo corpo si irrigidì all'istante e il fagotto venne richiuso quasi istantaneamente. Kaa spalancò gli occhi per quella vista ma Gabriel non se ne curò. Era un messaggio chiaro, la contessa portava avanti il gioco.


« Dobbiamo sbrigarci... »








 
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view post Posted on 19/3/2015, 10:31
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Day 3
_______________


And rise with me forever
Across the silent sand




C'erano molti modi per infliggere una tortura, e lei lo sapeva bene. Ricordava ancora la propria giovinezza, ricordava ogni sofferenza che le fosse stata inferta, ricordava il suono innaturale del proprio pianto. E ricordava di aver pensato che lei, all'occorrenza, avrebbe saputo fare di meglio. La tavola imbandita si allungava davanti a lei, ricolma dei cibi più raffinati. Alcuni dei suoi servi erano elegantemente seduti, i calici già pieni. Dal lato opposto del tavolo, la sedia era ancora vuota.
C'erano molti modi per provocare dolore, molto più efficaci della reclusione e della tortura fisica. Di solito bastavano i primi, e le sue vittime si spezzavano, implorando la morte. Ma quella ragazzina pallida continuava a fissarla con odio. Nonostante il digiuno le avesse svuotato le guance e nonostante continuasse a tremare per il freddo e la febbre, continuava a rivolgerle lo stesso sorriso sprezzante. Accecata, insultata, non dimenticava di sputare a terra ogni volta che abbandonavano la sua cella.
Per questo aveva pensato che servisse qualcosa di più forte. Strinse le labbra, dipinte di rosso. Indossava uno dei suoi abiti più eleganti, aveva vestito i propri gioielli più preziosi. Alcuni li aveva fatti forgiare quando ancora Gabriel sfiorava la sua pelle nuda, spogliandoglieli lentamente. Avrebbe voluto che lui la vedesse in quel momento, ammiccante, con il volto incorniciato dai boccoli color del grano. Avrebbe voluto che lui potesse vedere l'ampio spacco della gonna, le gambe perfette, la curva dolce degli occhi. Ogni volta che sbatteva le palpebre, i giovani vampiri socchiudevano le labbra, affamati di qualcosa che non si poteva trovare su quel tavolo.


Portate la nostra ospite”.


Non ebbe bisogno di alzare la voce. Sapeva che stavano aspettando fuori, i suoi carcerieri e la loro invitata. Sperò che sarebbe stato divertente così come lo aveva pensato. Era un peccato che lui non potesse vederle. Era un peccato che non avesse potuto sentire le grida della sua sgualdrinella quando finalmente l'avevano trascinata alla luce del giorno e l'avevano scaraventata nell'acqua calda della vasca.
La porta si socchiuse con uno scivolio sommesso. I due vampiri, entrambi elegantemente vestiti, trattenevano la giovane donna per i polsi. Lei, forse troppo debole per cercare di liberarsi, stava immobile in mezzo a loro con il capo chino. La Contessa rimase a lungo in silenzio, godendosi la scena. Godendosi quel corpo troppo magro, quasi il corpo di un ragazzo, vestito di uno dei suoi abiti. Le era piaciuto, pensò, mettere il suo mantello, stringerselo addosso come se fosse proprio. Le era piaciuto mostrarsi a Gabriel fingendosi lei, riuscendo ad esserne solo la brutta copia. Che si guardasse ora, con quel vestito che le stava troppo largo, le cascava dalle spalle e si adagiava sulla vita come un sacco di iuta svuotato. Che si guardasse, mentre la gonna troppo corta la sfiorava sopra le caviglie e il pizzo riusciva appena a solleticarle il dorso del piede. Sembrava solamente una serva sfuggita per sbaglio alla cucina, distante mille anni luce dalla dama che aveva creduto di poter diventare. Forse si era divertita, ammiccando a Gabriel da dietro i velluti che lei gli aveva lasciato. Che facesse lo stesso, adesso, alla sua tavola. Che lo facesse con i suoi servi, sfoderando tutta quella bellezza di cui credeva di essere colma.


Prego, signora, si accomodi”.


Cortese, ma sprezzante, canzonatoria. L'avevano truccata come se fosse stata lei, ma su quel viso dai tratti severi, colori e tinte della contessa avevano un effetto quasi grottesco. Annuì compiaciuta. Quei capelli candidi, simili a spaghetti, avevano tollerato appena il pettine. Né ricci né lisci, cadevano come serpenti molli sulle spalle e sulla nuca. Provò il desiderio di riderle in faccia, ma sarebbe stato troppo facile, troppo poco umiliante. Le indicò la sedia con la mano, pur sapendo che lei non poteva vedere nulla. Aveva le guance arrossate, ma era certa che non si trattasse della malattia.
La trascinarono a forza, ma l'opposizione di lei era troppo debole per rovinare quella scena perfetta. Seduta sulla sedia, impressa nel cuoio e trattenuta dalle mani dei due guardiani, pareva quasi scomparire. Le mani poggiate sul tavolo, tastava la stoffa cercando forse una risposta alle sue paure.


Un brindisi, signori miei. Un brindisi alla nostra ospite!


Levò l'avambraccio che emergeva dalla manica orlata di pizzo. La luce delle candele scintillò sul bicchiere di cristallo, riflettendo sulla pelle perfetta della Contessa macchie di luce. Ainwen rimase immobile, le mani tremanti, il bicchiere pieno come una colonna immobile di fronte a lei. Non poteva vederlo, nemmeno utilizzando il proprio potere. Mosse le dita in avanti, cercando forse di non darla vinta ai propri nemici. Ma riuscì appena a sfiorare il cristallo, senza potervisi aggrappare. Non gliene lasciò il tempo, non le diede occasione di conservare la propria dignità.


E ora mangiamo. Godiamoci questo pasto”.


Sorrise. Ancora una volta la guardò muoversi rapida alla ricerca delle posate, impugnarle con le dita incerte. E restare immobile, la mano a mezz'aria, forse chiedendosi cosa fare. Era buffa, pensò, ridicola sul fondo del proprio fallimento. Le tremavano le labbra, e probabilmente doveva avere fame. Il profumo di tutte quelle pietanze, così vicine eppure così lontane, doveva farla schiumare di vergogna e di rabbia. Eppure restava in silenzio, il volto paonazzo ma le labbra serrate nella solita smorfia di disprezzo.


Non mangi, Lady Ainwen? Per caso il cibo non è di tuo gradimento?


Rise sommessamente, imitata dai propri servi. La giovane donna di fronte a lei tremò sulla sedia, le labbra ancora più strette, ridotte a una linea livida. Alzò la mano che impugnava la forchetta, se la portò davanti al volto. Sui suoi occhi vuoti si dipinse un'espressione incerta. Forse, pensò la Contessa, ci avrebbe provato di nuovo. Forse li avrebbe compiaciuti ancora.
Invece, inaspettatamente, ruotò su se stessa e piantò la forchetta nel braccio di uno dei propri carcerieri. I denti penetrarono nella carne e il giovane vampiro emise un grido acuto. La Contessa balzò in piedi. Perché aveva osato tanto? Credeva forse di poter fuggire da quella sala? Credeva di potersene andare quando vi erano almeno sei vampiri pronti a trattenerla? No, non si trattava di quello. Ora era tornata immobile al proprio posto, come se nulla fosse accaduto, un sorriso sarcastico sul volto. Portava la forchetta alle labbra, sfiorandola appena sulla lingua.


La carne pare un poco al sangue, Signora”.


La sua voce era ancora roca, ma trasudava soddisfazione. Sulla sala scese il gelo. La contessa scivolò lungo il tavolo, mantenendo il controllo a fatica. Mise una mano in tasca, estraendovi una piccola fiala vuota. Serviva per le evenienze, per quelle occasioni straordinarie che ormai non le capitavano da tempo. Ainwen non si girò nemmeno verso di lei. Le mani poggiate sul tavolo, pareva attendere. Le si fermò accanto, portò le labbra al suo orecchio.


Sarà quello che dirà anche Gabriel?


La vide rabbrividire quando pronunciò il nome di lui. Fu certa che quella stupida si era innamorata del suo compagno. Quasi volesse farle uno sgarbo ulteriore, quasi provasse piacere a provocarla. La afferrò per i capelli, tirandole la testa all'indietro. Poteva quasi sentire i battiti frenetici del suo cuore, simili a quelli di un uccellino d'inverno. Desiderò poterla bere in quel momento, ma era ancora troppo presto. Doveva soffrire, ancora e ancora.
Fece un cenno ad uno dei suoi, che sollevò il proprio coltello, avvicinandosi. Delicatamente, come facevano durante i banchetti che lei amava organizzare, passò la lama sotto il mento della prigioniera. Il sangue scivolò fuori come se mani esperte lo stessero dipingendo sulla pelle. Ainwen sussultava, ma era troppo debole per la Contessa. Sorrise.
Chissà se a Gabriel, il suo Gabriel, sarebbe piaciuto. Chissà se avrebbe sorriso della sua idea. O se forse era cambiato al punto da potersi adirare. In quel caso lei lo avrebbe ricondotto sulla buona strada. Leccò con la lingua l'ultima goccia di sangue, sentendo l'Oracolo rabbrividire. Aveva un cattivo sapore, si disse, proprio come aveva immaginato.


Giaceva tra le lenzuola di seta, la testa poggiata contro il petto di uno dei suoi servi, il calice colmo di vino in una mano. Il suo corpo, ora scoperto ora celato, si dipingeva di ombre delicate e morbide al sussultare delle candele. Fuori era notte, protetta dalle fronde degli alberi. Dentro era calma, mentre il vampiro insonne la guardava senza parlare, forse ricordando il breve tempo passato insieme. I suoi capelli avevano perso l'acconciatura, e i gioielli erano l'unica cosa che ancora indossasse. Ma non era divertita, nemmeno un poco. Il vino ruotò nel calice, lasciando la propria impronta umida sulla superficie di cristallo. Ricordava il sangue, il desiderio. Ricordava il modo in cui lui aveva bevuto dalla fonte dell'immortalità per la prima volta. Allora poteva tenere il suo volto tra le mani, sentire la sua adorazione. Ora era lontano da lei, e lo desiderava più vicino. Presto, pensò. Molto presto. Socchiuse gli occhi, cercando di sostituire il volto di lui a quello del proprio amante. Sulle sue labbra si dipinse un sorriso.


And the stars will be your eyes
And the wind will be my hands


Giaceva nella cella buia, coperta da un vestito troppo grande, intriso del profumo dolciastro e nauseante della sua carceriera. Si torceva, costretta a terra dalle catene troppo pesanti e dalla propria debolezza. Il suo corpo, ora scoperto ora celato, era totalmente immerso nell'ombra. Solo la luna, filtrando da un finestrino sghembo, ricadeva sul pavimento. Ma lei si era ritratta, nascondendosi a quella luce lattea che non poteva vedere e che la faceva sentire ancora più nuda, ancora più prigioniera. I capelli scarmigliati le si erano appiccicati al viso, frammisti al sangue seccato che le aveva bagnato il petto. Quando piegava la testa, il dolore le strappava un sussulto e riusciva a stento a trattenere un gemito. Quel dolore sottile, quasi filiforme, le ricordava inspiegabilmente lui. Come ogni altra cosa in quel luogo. Il modo in cui suonava il violino, l'archetto che scivolava delicato sulle corde. Quel suono sottile, simile a un grido di dolore. Allora avrebbe potuto poggiare il proprio corpo tra le sue mani, ma aveva temuto di esserne rifiutata. Ora era lontano da lei, e temeva potesse trovarla, vederla e fuggire. Per sempre. Senza tornare più. Chiuse gli occhi, cercando di ricordare il volto di lui e strapparlo alle tenebre. Lungo le guance scivolarono silenziose le lacrime.




CITAZIONE
Qm Point

Sono trascorsi il giorno 2 e il giorno 3. Puoi pure proseguire in confronto ^w^

 
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Stella Alpina
view post Posted on 19/4/2015, 11:49











Quattro Regni, Contea di Ardeal, tempo attuale


La porta si chiuse alle sue spalle con un rumore secco. I passi nella stanza rimbombarono tra le quattro pareti della segreta in cui era tenuto il prigioniero. Kaa lo aveva anticipato, era lì già da qualche minuto ed aveva cominciato il divertimento senza di lui. Non che gli dispiacesse, se quel vampiro aveva la stessa resistenza di quello precedente sarebbero rimasti lì a lungo. Neanche quello gli dispiaceva. Se c'era una cosa che il suo stato di vampiro gli aveva concesso, era proprio un gusto per il macabro, tenuto nascosto, sotto le pareti del controllo. Erano rari i momenti in cui aveva la possibilità di lasciarlo uscire, ma quando accadeva si preoccupava di sfogarlo al meglio.
Le grida del disgraziato gli lambivano le orecchie creando una sorta di colonna sonora piacevole, ma non erano abbastanza. L'altro aveva gridato ben di più.
Sul viso della vittima si leggeva qualcosa di diverso dal precedente però. Una sorta di sfida. I suoi occhi lo invitavano a metterlo alla prova. Cercavano di provocarlo, di dimostrargli che per quanto potesse impegnarsi avrebbe perso. Non avrebbe strappato nemmeno un'informazione da quella bocca.
Gabriel sorrise, annuendo ad un'affermazione non pronunciata. Un discorso avvenuto senza l'uso della voce ma solo tramite gli occhi. Lo facevano tutti, i vampiri soprattutto. Tentavano di mostrarsi forti sotto i ferri della tortura. E tutti inesorabilmente cadevano, versavano lacrime e piscio e altri fluidi da tutti i pori. L'odore in quelle celle, alla fine della danza, era estasiante.
Il conte si tolse delicatamente la redingote e la lascio cadere su una sedia vicino la porta. Vi poggiò anche il gilet e rimase in camicia. Con una mano arrotolò la prima manica fino al gomito, poi fece lo stesso con l'altra. Intanto Kaa continuava nei suoi tentativi di rompere la resistenza del prigioniero, ma la verità è che ci voleva un vampiro per sfidare un altro vampiro.
Il conte appoggiò delicatamente una mano sulla spalla dell'uomo e l'altro capì all'istante, lasciandogli spazio. Del sangue già calava dal corpo nudo del vampiro, ma era evidentemente poco. E ad ogni modo la tortura era un'arte, andava praticata con ispirazione e a volte occoreva uno schema, una tecnica. Come con la pittura.
Gabriel osservò le estremità del prigioniero. Erano ancora tutte intere. Che meraviglia. La mano del conte si serrò intorno al polso della vittima e lo tirò leggermente verso di sé ignorando la cinghia che lo teneva bloccato alla sedia. Ormai conosceva bene le reazioni del corpo alle sollecitazioni. Kaa intuì l'intenzione dell'altro e si apprestò a porgergli una tenaglia, ma Gabriel scosse lievemente la testa. Non occorreva. Le unghie del conte si allungarono e si appuntirono all'improvviso. Una di quelle si impuntò sopra l'unghia del prigioniero, un'altra sotto. Lentamente, come si fa con un pelo, seguendone il verso, Gabriel cominciò a tirare. Quella venne via in un attimo strappando qualche urlo in più al proprietario. Il corpo umano, che bellezza. Una ad una, tutte e venti le unghie del malcapitato vennero sfilate via, staccate dall'attaccatura come fili d'erba dalla terra.
Il conte osservò il volto del suo nuovo divertimento. Vi lesse la sofferenza, la paura, la disperazione, e quella scintilla di sfida ancora presente che doveva estirpare. Gli artigli dell vampiro si infilarono violentemente nel punti in cui prima c'erano le unghie del malcapitato andando a scontrarsi con le piccole ossa ed intaccandole abbastanza da incastrarvisi. A quel punto, quando il dolore dell'altro comincava ad attenuarsi, tirò improvvisamente all'indietro tendendogli le dita all'estremo, fino a sentire l'aspettato crack. Una dopo l'altra le dita si staccarono alle giunture e in breve il vampiro si trovò, al posto delle mani, palmi che terminavano nel nulla.
Accompagnato dalle grida del ragazzino, Gabriel si mise a raccogliere le dita dal pavimento. Le osservò attentamente, come un collezionista venuto in possesso di nuovi pezzi per la sua collezione. Negli occhi la scintilla del piacere e del divertimento. La sinistra si appoggiò quasi svogliatamente sulla guancia del prigioniero e con il pollice andò a stringere l'altra aprendo di forza la bocca del menomato. Gli alzò la testa verso l'alto portandola a fissare la luce soffusa. Quasi fosse il passo successivo più ovvio, infilò inesorabilmente, dritta in gola, una delle dieci dita staccate. Gli occhi del prigioniero si spalancarono all'estremo nel sentire la pressione in gola, e cercando di respirare iniziò a deglutire. Gabriel lo aiutò con un artiglio spingendo giù il dito abbastanza da farlo prender aria, poi vi infilò il secondo e il terzo e il quarto, fino a mettere in fila tutte e dieci le dita in un trenino di sangue e sofferenza. Le pareti della gola raschiavano e si ferivano contro gli artigli del conte che continuavano a spingere sempre più giù. Il torturato gorgogliava, spruzzando fuori ogni tanto, quando trovavano spazio, succhi gastrici impazziti.
Il prigioniero perse i sensi. Una persona normale sarebbe morta da un pezzo, ma era proprio quello il bello nel torturare un vampiro, non poteva morire senza toccare il punto giusto. Ciò rendeva il divertimento insospettabilmente lungo e fantasioso.
Scocciato dal veder svenire il suo nuovo gioco, Gabriel si spostò ad un tavolo dove raccolse un bastoncino. Portò il rametto sotto il naso del prigioniero e lo spezzò facendogli sentire il forte odore. L'altro rinvenne tornando a lottare per un po' d'aria. Il conte intese le sue difficoltà, così decise di aiutarlo. Afferrò velocemente un coltello affilato dal tavolo affianco e lo infilò precisamente nello trachea del prigioniero in un'incisione degna del migliore dei medici. Tagliando poi verso l'alto squarciò parte della gola facendo scivolar fuori le dita incastrate.
Attese qualche istante, in caso l'altro volesse dire qualcosa, tirar fuori qualche informazione, ma era troppo concentrato a soffrire. Meglio così, il divertimento era soltanto iniziato.
Si spostò dietro la sedia osservando la nuca del ragazzo, poi disse a Kaa di slacciare le cinghie che reggevano le braccia del vampiro. L'uomo alzò un sopracciglio ma non discusse. Appena i ferretti vennero estratti dai buchi, Gabriel afferrò i bicipiti e tirò ferocemente all'indietro facendo leva sui bordi della sedia. Le spalle uscirono dai blocchi slogandosi malamente. Il prigionierò urlò ancora più forte, del sangue uscì a fiotti dal taglio nella gola, gli urli si trasformarono in gorgoglii sofferenti. E Gabriel tirava, senza fermarsi, ma stando attento a non arrivare al punto di strappargli via le spalle e mentre tirava pensava ad altro. Si chiedeva che cosa avrebbe potuto pensare Ainwen nel vederlo lì, a godere delle sofferenze di quel poveraccio. Se avesse provato paura verso di lui, disgusto o rabbia. Poco importava, perché Ainwen non era lì. Ainwen era stata rapita e chissà che la contessa non ci stesse giocando allo stesso modo. E tirò ancora, più forte.
La tortura andò avanti per due ore ininterrotte. Finalmente, o per sfortuna, il prigioniero cedette. La sua lingua si sciolse e vomitò fuori ogni risposta necessaria a qualunque domanda. Gabriel si asciugò il sudore, soddisfatto. Le informazioni prese dal torturato precedente, quello che Kaa aveva infine mangiato, erano state confermate. La tenuta dove era la contessa era stata identificata. Ora non restava che una sola cosa da fare. Andare a caccia.




 
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view post Posted on 21/4/2015, 21:30
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Day 5
_______________




Il profumo della Contessa riempiva tutta la stanza, perché doveva trattarsi di una stanza.
L'avevano messa seduta su qualcosa di morbido velluto, contro la schiena e le gambe e lei era nuda. Il tepore di un fuoco di braci riempiva l'ambiente o del sole, non era più abituata al sole.


Sai perché ti ho fatto condurre qui?


Quella voce, modulata, scivolava lungo il pavimento e risaliva ad avvolgere le pareti stanza piccola, legno sul soffitto e lentamente si smorzava a fine frase. La afferrava per la gola, facendole desiderare di poter piangere era nuda, eccetto le catene che le legavano i polsi. Era nuda, e coperta da sottili striature di sangue. Le girava la testa spifferi d'aria, finestre solo socchiuse. Aveva paura. Scosse il capo.


Perchè lui sta arrivando”.


La voce di lei era virata su un tono un poco più acuto sorriso, sta sorridendo, perché sta sorridendo mentre qualcosa frusciava tappeti sui pavimenti, vestito lungo di seta. Non era difficile capire di chi stesse parlando. Il sollievo la invase. E il terrore. La paura di non riuscire a resistere il tempo necessario. Eppure lui stava arrivando. Desiderò poter correre fuori, andargli incontro e stringersi a lui. Finalmente, gridare contro il suo petto. Finalmente. Ti ho aspettato.


Purtroppo non potremo accoglierlo insieme”.


Di nuovo quel fruscio passi e il profumo sempre più vicino. Uno scivolio, e le mani di lei le premevano contro il collo, obbligandola a sollevarsi così pesante, ferro contro pelle, così leggera sotto la sua stretta. Di nuovo ebbe paura. Non poteva far nulla, non poteva ribellarsi le unghie di lei nella pelle, un dolore bruciante come una scottatura non poteva chiedere aiuto. Lui stava arrivando, ma lei sarebbe morta poco prima.
La Contessa rideva sommessamente, una risata appena un poco gracchiante soddisfazione e la spingeva all'indietro. Era straordinariamente forte e la sua pelle incredibilmente morbida balsami, creme, oli profumati. Qualcosa di gelido le premeva contro la schiena nuda, nuda in attesa di lui. Nuda ma troppo tardi solo per un attimo, come se l'avessero gettata contro una superficie di ghiaccio. Poi il gelo si aprì e lentamente vi sprofondò all'interno. Spalancò la bocca un grido, almeno uno e gridò il suo nome. Ma nemmeno un suono riempì la piccola stanza.
Fu solo il silenzio. Mani contro la superficie che ora si era fatta un poco più calda condensa, respiro ma che non aveva più vie d'uscita. Oltre la superficie era più buio, più solitario, più freddo. Gridò ancora, e ancora, e ancora. Ma non riuscì ad udire la propria voce.
E allora pianse. Lacrime tiepide lungo le guance. Lacrime tiepide sul terreno. Pianse più forte.
Lui stava arrivando.
Ma troppo tardi.

L'avevano avvisata del suo arrivo, e lei aveva deciso di accoglierlo. Aveva preparato tutto quanto da tempo, e davanti allo specchio sorrideva. Ne era stata certa fin da subito, sapeva che lui l'avrebbe trovata. Che l'avrebbe cercata finché avesse avuto fiato. Era sempre stato un tipo caparbio, sin da quando si erano sfiorati per la prima volta, solamente con lo sguardo. Era sempre stato testardo e coraggioso. Aveva cercato di piegarlo a sé, inutilmente. Era ribelle, come un cavallo imbizzarrito. Per questo non l'aveva mai annoiata. E ora che sarebbe arrivato, avrebbe ancora una volta pungolato il suo orgoglio con un tizzone rovente. E, alla fine, lui si sarebbe chinato davanti a lei. Lei lo avrebbe stretto tra le dita e si sarebbe lasciata possedere da lui, premiando la sua finta sottomissione. Era il loro gioco, un bel gioco, che sarebbe durato per sempre. Tutto il resto erano soltanto ostacoli sufficienti appena a motivarlo.
Si era truccata come se fosse diretta ad una festa, e aveva indossato il proprio abito migliore, di un intenso blu cobalto. Era certa che gli sarebbe piaciuto. Si avvolgeva sulla schiena per scoprire il petto con una scollatura profonda. Si stringeva sui fianchi per sprofondare verso il basso, corto davanti e lungo dietro, come l'abito di una sposa. E forse era questo che erano diventati: due promessi delle nozze più profane, pronti a congiungersi ancora una volta. Indossava i gioielli che lui le aveva donato, i lunghi capelli sollevati poco sopra le orecchie. Una cascata d'oro che sfiorava le spalle.
Non si sarebbe nascosta da lui. Non lo temeva. Lei era la sua droga e non sarebbe mai stato capace di liberarsene. Avrebbe potuto disprezzarla, uccidere i suoi servi, spargerne il sangue nelle nuvole. Avrebbe potuto maledire il suo nome, giurarle vendetta, gridare nel vuoto delle sue stanze tutto il proprio odio. L'avrebbe potuta sfidare e combattere. Ma non sarebbe mai riuscito ad ucciderla, non per davvero. Si sarebbe illuso di punirla. Di averla indisposta. Di averla fatta arrabbiare. Era sempre stato così favolosamente ingenuo. Si passò un dito attorno alle labbra, rimuovendo le ultime tracce di rossetto. Mandò un bacio immaginario verso lo specchio e si diresse all'ingresso del palazzo. Sperava solo di non essere in ritardo.
Lui arrivò poco dopo. Era stata fortunata: le sarebbe dispiaciuto che lui abbattesse la porta. Era bello come quando se ne era andata, come se la stanchezza di quei giorni non fosse riuscita a provarlo. Era selvatico, come una piccola preda dispersa nella foresta. Così facile da attirare con l'odore della carne fresca. Così convinta di aver fiutato faticosamente la traccia.


Gabriel. Conte di Ardeal”.
Gli sorrise.
Bentornato”.


Attorno a lei i vampiri che le erano rimasti, ma non aveva paura. Sarebbero serviti solo ad eliminare quelli che lo accompagnavano. Tese una mano verso di lui. Sapeva che non le si sarebbe opposto, non lui. Lei aveva segnato la sua vita, il suo primo vero respiro. Lei lo aveva coperto con il proprio profumo, lo aveva annegato e tratto dalle acque. Non l'avrebbe tradita, non lo aveva mai fatto.


Liberati di loro”.


Li indicò con un cenno del capo. Ci sarebbe voluto un po' di tempo, ma alla fine avrebbe fatto come diceva lei.

Ho atteso giorni e giorni
solamente per vederti.
E ogni filo di brezza che ho rubato
era per rivolgere al cielo
una preghiera.
Mi sono arrampicata sulle spalle dei miei nemici, per scorgerti all'orizzonte,
ho vagato nelle notti colme di incubi, sognando la tua compagnia.

E ogni singolo passo che ho udito, ogni
singolo dolore
ogni singola notte e
ogni giorno
ti ho cercato.
Attraverso le lacrime e le albe senza luce
ti ho aspettato.
Sono stanca, tanto stanca, e così debole,
ma sarò forte, per te.
Portami via, pronuncia il
mio nome,
e la tua voce darà significato a ciò che ne ha perso.

Ho ricordato per anni e secoli,
solamente di noi.
E ogni soffio di vento che abbia mosso le mie gonne,
era meno intenso del tuo respiro.
Ho salito ogni collina, guardato ogni tramonto, pensando a noi,
e nelle lande più desolate, ho scritto il tuo nome sulla terra.

Ogni singolo passo di danza, ogni singola
gioia solitaria,
ogni singola notte e ogni singolo giorno,
ho saputo che saresti tornato.
Attraverso le risa e le notti colme di sangue,
ti ho cacciato.
Sono stufa, così stufa e sola,
torna a giocare con me.
Ti darò tutto ciò che desideri, pronuncia il mio nome,
e il mondo si inginocchierà ai nostri piedi.


CITAZIONE
Qm Point

Proseguiamo in confronto uwu

 
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Stella Alpina
view post Posted on 20/5/2015, 23:37









Quattro Regni, Contea di Ardeal, 200 anni prima


Il ragazzo correva a perdifiato giù per la stradina che conduceva alla casa della ragazza, il cuore in gola che rimbombava sia per lo sforzo fisico sia per la tensione. Mentre portava una falcata avanti all'altra non poteva fare a meno di ripensare alle parole di quell'uomo che spesso aveva visto servire la contessa. Il vecchio vampiro l'aveva preso da parte guardandosi freneticamente intorno per la paura che qualcuno li vedesse. Aveva chiuso la porta alle spalle e l'aveva fissato dritto negli occhi, con uno sguardo che non gli aveva mai visto.
La tua ragazza è in pericolo. Falla andare via da questa contea, è l'unico modo per tenerla al sicuro. Forse nemmeno questo basterà.
Quelle parole gli si erano stampate indelebilmente nella testa e ora risuonavano in continuazione. Gli aveva chiesto perché lo aveva avvertito, perché avrebbe dovuto rischiare la vita per lui in quel modo, cosa gli importasse. Il vecchio gli aveva messo una mano sulla spalla e aveva sorriso malinconicamente.
Perché anche io un tempo ero come te. Sono stato ingannato da belle parole e lussi promessi. Cose che non potevo permettermi e che all'improvviso sembravano così a portata di mano. Scappa ragazzo, vattene da questa contea maledetta, prima che il tuo sangue venga sparso sui vestiti.
Non se l'era fatto ripetere due volte. Non sapeva cosa l'avesse convinto esattamente, ma c'era qualcosa in quello sguardo che l'aveva colpito. Sapeva che il suo posto non era a corte ma con Lara, forse poveri come non erano mai stati, ma almeno felici e uniti di fronte alle difficoltà della vita. Ai semplici problemi quotidiani. Era corso fuori senza guardarsi indietro nemmeno una volta. Aveva incrociato vari sguardi indagatori ma non se n'era curato, aveva tirato dritto verso il suo obiettivo. Ora, per la strada, si chiedeva cosa ne sarebbe stato di loro. La contessa li avrebbe lasciati andare? Li avrebbe inseguiti fino a trovarli e catturarli? Aveva paura, ma non poteva mostrarlo, doveva essere forte, per lui e per Lara.
Imboccò il vicolo in cui si trovava la casa della ragazza e lo percorse in pochi secondi fino a fermarsi quasi di schianto di fronte alla porta. Mosse il pugno in avanti per bussare ma al primo colpo la porta si aprì cigolando, all'interno della casa il silenzio.


« Lara? Signor Badiani? Signora? »


La sua voce si propagò per la casa accolta dai vari mobili, guardiani silenziosi di una scena inaspettata. Il ragazzo avanzò di un passo all'interno dell'abitazione nonostante la mancanza di risposta. Forse erano a lavoro o forse a fare una passeggiata, non poteva saperlo. Si richiuse la porta alle spalle con cautela e poi continuò ad avanzare.


« C'è nessuno? E' permesso? Lara? »


Dov'erano finiti tutti? Sentiva freddo nonostante fosse primavera inoltrata. No, non sentiva freddo, si rese conto che il suo corpo stava tremando, ma per la paura.


« Lar... »


La voce gli morì in gola mentre i suoi occhi si posavano su un'immagine che mai avrebbe voluto vedere. Per terra, sdraiati in due pozze rosse rapprese, giacevano i corpi dei genitori della ragazza, scomposti e con gli occhi vitrei. Lacrime calde bagnarono il viso di Gabriel mentre la sua mente si riempiva di immagini in cui li rivedeva colmi di vita. Cosa avevano fatto? Perché li avevano uccisi?
Con le mani fisse sul petto, come a voler contenere il battito del cuore, il ragazzo perlustrò il resto della casa stando attento a non calpestare il sangue a terra. Tirò un involontario sospiro di sollievo nel constatare che la ragazza non c'era. Era stata sicuramente presa e lui sapeva già dove l'avrebbero portata.
Senza attendere oltre riprese a correre, fuori dalla casa, su per il sentiero e dritto verso il castello, pronto a fronteggiare la contessa per richiedere indietro la sua amata. Continuava a piangere mentre correva e il vento gli asciugava le lacrime amare sul volto, quasi non ci vedeva più. Raggiunse il cancello d'ingresso senza più fiato ma non si fermò. Spalancò le porte del salone principale aspettandosi di vedere esattamente ciò che si aspettava. La contessa era seduta a tavola e all'altro capo sedeva Lara, spaventata e tremante. Al suo ingresso Isabella si alzò sorridente portando la mano in sua direzione.


« Eccoti mio caro. Perché non ti siedi a pranzare con noi? Sono sicura che sarai affamato. »


La voce della donna era calma, quasi cordiale, una voce così stonata per una situazione del genere che Gabriel fece una smorfia involontaria. Quella voce era il suono che meno riusciva a sopportare e che più di tutto desiderava udire. Un controsenso che lo perseguitava da molto ormai. Il ragazzo spostò lo sguardo in quello della sua amata, i suoi occhi erano sofferenti. Preso da una scossa di coraggio Gabriel si rivolse alla contessa.


« Lasciala andare subito! Sono io quello che vuoi, lei non c'entra niente! »


Sentiva le mani fremere, le gambe tremare, la voce vibrare malamente. Era soltanto un ragazzo, uno ancora fin troppo giovane. La contessa lo guardò sorridente e scosse lievemente la testa.


« Ma mio caro, voi due siete collegati! »









Quattro Regni, Contea di Ardeal, tempo attuale


Il suo sguardo fermo si scontrò con quello divertito della donna. Quel volto era sempre lo stesso da più di duecento anni. Non una ruga in più, non un difetto, non un pregio. Era sempre lo stesso. Forse imbellettato in modo diverso, la capigliatura in una nuova acconciatura, ma il viso, quello era sempre uguale. Quel viso che era stato falsamente convinto ad amare, quel viso che aveva profondamente odiato. Quel viso che aveva cambiato la sua vita in un modo che mai avrebbe potuto immaginare e tentava di farlo di nuovo, violentemente. Lì, davanti alle porte di quell'anonima tenuta di campagna, Gabriel e il suo seguito si fronteggiavano con quello della contessa. La resa dei conti dopo giorni di ricerche e indagini. Notti passate a cacciare e a tremare, giorni passati a cercare e a soffrire. Ora tutte le strade si intrecciavano in un unico vialone con un unico bivio, quello che conduceva alla morte della contessa o di Gabriel.


« Gabriel. Conte di Ardeal. Bentornato. Liberati di loro. »


Iniziava lei il gioco, come era sempre stata abituata a fare. Tutto iniziava sempre e solamente perché lei lo desiderava, ma era come tutto finiva che puntualmente le sfuggiva di mano. Il controllo che credeva di avere sul mondo che la circondava era in realtà molto labile. Giocava un gioco pericoloso, l'aveva sempre saputo ma non l'aveva mai realizzato veramente.


« Liberala immediatamente e avrai salva la vita. »


La sua voce era cambiata da molto tempo, così come il suo comportamento. Dritto al punto. Non aveva né tempo né voglia di stare al suo gioco. Avrebbe spezzato le sue catene e avrebbe avvolto i resti intorno al suo collo. Per lui era già morta e lei ancora non lo sapeva.


« Non sapevo fossi un ospite così rude. Non rendere tutto più difficile. Liberati di loro e mi dimenticherò del tuo capriccio da paesano. »


Lo trattava ancora come se fosse il ragazzino di una volta, giocava ad un gioco ormai finito da tempo. Questo ancora non l'aveva capito. Avrebbe capito una volta sbattuta la testa.


« A quanto pare non sono stato chiaro. Vediamo se riesco ad esserlo di più. »


Un gesto chiaro ad un vampiro dietro di lui e quello gli passò un fagotto. Gabriel non lo tenne più di un paio di secondi, lo lanciò svogliatamente ai piedi della contessa provocando tensione tra il seguito della donna. Il fagotto si aprì quasi a comando mostrando a tutti la testa massacrata di uno dei due vampiri catturati e torturati. L'espressione dei servi cambiò leggermente, mostrando sul volto la rabbia che avrebbero voluto scatenare sugli ospiti. Serviva solo il comando della contessa. Contessa che non sembrò troppo scossa da quella macabra vista. D'altronde era abituata a ben peggio.


« È inutile che continui a pestare i piedi. Tu e io sappiamo bene a chi appartieni, Gabriel. E poi non devi agitarti: non c'è più nulla che puoi liberare qui. »


Quell'ultima frase lo penetrò più di quanto avesse mai fatto una lama. Cosa intendeva? L'aveva portata da qualche altra parte? L'aveva spostata sapendo del suo arrivo? Non voleva pensare al senso più logico. Non voleva pensare di averla persa per sempre. Il sorriso che la contessa sfoderò convinse il conte a chiudere lì quella conversazione. Era tempo di passare ai fatti.


« Se così è, allora non ho più motivo di tenerti in vita. Ridipingerò le pareti del castello con il tuo sangue. »


Era una promessa che non avrebbe mancato di mantenere. Quel sangue avrebbe decorato i corridoi che conducevano alla sua camera. Afferrò il mente della contessa con la sua e si assicurò che potesse credere a quelle parole. Non avrebbe lasciato nulla al fraintendimento. Le mani si allargarono leggermente mentre le unghie si allungavano trasformandosi in artigli. La bocca si spalancò mostrando le zanne appuntite. I tratti del volto si sfinarono acquisendo le caratteristiche dei vampiri. Senza attendere oltre Gabriel si gettò in avanti attaccando la contessa. Se gli altri l'avevano seguito in quello scontro non lo sapeva, in quel momento aveva occhi solo per lei, proprio come la donna desiderava.
Gli artigli fendettero per due volte di seguito l'aria, lasciandolo interdetto. La contessa disse qualcosa che lui non riuscì però a percepire, ormai la sete di sangue aveva cominciato a prendere il sopravvento. Ma il sorriso, quello si che lo vide bene. Continuò a fissarlo anche dopo che il suo fianco si piegò sotto l'artigliata di uno dei servi bastardi. Pensava che Isabella avrebbe accettato la sua sfida, ma d'altronde lei non si era mai sporcata le mani, aveva sempre delegato a qualcun altro il lavoro sporco.
I suoi vestiti cominciarono ad inzupparsi del suo sangue e la sua testa gli doleva. Sentì la presenza nella sua mente di quella dell'aggressore. Stava cercando di distrarlo. La sua mente però non era forte come credeva, percepiva le difese deboli. Senza badare alla ferita sul fianco, Gabriel si girò verso l'avversario e rispose a tono. Gli scombussolò l'equilibrio mentre scattava in avanti con gli artigli. La sua distrazione mentale evidentemente non fu abbastanza poiché il servo, nonostante il lieve tentennamento, schivò i colpi. Tornato in equilibrio ripartì di nuovo all'attacco aumentando la velocità e aiutandosi con un bieco trucchetto. Delle spire nere avvolsero le caviglie del conte fermandolo sul posto e impedendogli di schivare il colpo successivo. Gli artigli del servo morsero nuovamente la sua carne, questa volta all'altezza della spalla. Gabriel digrignò i denti quando arrivò la fitta di dolore. Un dolore che per lui non fu più violento di quello provato nei giorni scorsi nel pensare alla situazione in cui aveva costretto Ainwen. In cui la contessa l'aveva costretta.
Quel vampiro lo stava intrattenendo più di quanto Gabriel avrebbe voluto. Intorno a lui lo scontro era iniziato e il suo seguito si scontrava con i servi della contessa. Isabella era ancora lì, lo osservava mentre si scontrava con quel maledetto lacchè. Non aveva altro tempo da perdere. Portò le dita alla spalla sporcandole di sangue, del suo sangue, poi le spostò alla bocca assaporando quel liquido rosso che tanto gli piaceva. Sentì il suo corpo reagire a quello stimolo e cavalcò l'onda con tutto sé stesso. Penetrò ancora più a fondo nella mente del servo e lì la violentò. Vide gli occhi del disgraziato bagnarsi di lacrime, il corpo scuotersi in lievi tremori. Approfittò di quell'istante per affondare gli artigli dritti negli occhi del vampiro. Le unghie penetrarono quella superficie morbida e affondarono fino al cervello. Il servo ebbe uno spasmo improvviso e poi collassò a terra. Forse era morto, forse no, non poteva esserne certo vista la sua natura vampirica, ma al momento era certamente fuori gioco. Completamente zuppo di sangue, suo e del servo, si voltò verso la contessa. Era tornato sulla giusta strada.



Energia consumata: 50% (10%-10%-20%-10%)
Energia rimasta: 50%
Stato fisico: subito Alto+Basso (Medio fianco destro, Medio spalla sinistra, Basso gambe).
Stato mentale: subito Medio.


Passive utilizzate:
/


Attive utilizzate:

La superbia. Con un consumo Medio e per la durata di un turno, Gabriel acquisirà 4CS aggiuntive all'intuito, migliorando così la sua capacità di prevedere le avversità evitando di essere preso alla sprovvista.
[Pergamena Superbia]

A corte non sempre basta la semplice parola ad imprimere l'importanza di un concetto, a volte occorre condirla con un potere più grande, uno in grado di levare ogni sorta di dubbio. Con un consumo Medio Gabriel sarà in grado di trasmettere nella mente del bersaglio un messaggio ben chiaro e che non lascerà spazio a dubbi sulla sua veridicità. Il malcapitato porrà la sua attenzione sul messaggio senza poter udire o badare ad altro, subendo un danno da confusione basso alla mente. E' una tecnica psionica e difendibile come tale.
[Pergamena Sussurro di morte]


La mente indifesa da questo tipo di attacchi a volte ripercuote gli effetti anche sul corpo, come nel caso della confusione. Con un consumo Medio il conte potrà attaccare la mente del bersaglio devastandola dall'interno e provocando un danno da confusione pari al consumo oltre che un senso di nausea e spossatezza, a volte persino l'attenuarsi della vista.
[Pergamena Confusione]



Gabriel è ossessionato dal non provare più le emozioni intense come quelle di una volta e cerca così di vederle negli altri esasperandole al massimo. L'accidia per esempio, con un consumo Alto è in grado di infliggere un danno pari ad alto suddiviso però in due turni, provocando inoltre un pesante senso di depressione che può sfociare in pianto o ad un evidente scoraggiamento.

[Pergamena Accidia]



Oggetti utilizzati: Corallo.



Note:
Gabriel condisce l'ultima frase alla contessa con Sussurro di morte poi la attacca potenziandosi con Superbia. La contessa schiva i colpi e uno dei suoi vampiri lo colpisce al fianco con gli artigli provocandogli un danno medio. Contemporaneamente usa confusione su di lui e gli provoca un danno medio alla mente. Gabriel lo ripaga della stessa moneta e lo attacca con Confusione attaccandolo a sua volta con gli artigli. Il servo usa una difesa psionica bassa prendendosi quindi basso, ma attenua l'effetto quindi riesce a schivare i colpi. Contrattacca usando una tecnica di immobilizzazione alle gambe infliggendo un basso e affonda di nuovo gli artigli questa volta nella spalla sinistra infliggendo un medio. Gabriel usa Accidia e approfitta dell'ulteriore spaesamento del servo per finirlo infilandogli gli artigli negli occhi potenziandosi con i CS ulteriori del corallo (usato scenicamente mentre assaggia il suo stesso sangue).









 
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view post Posted on 26/5/2015, 22:06
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La battaglia era scoppiata d'improvviso, nel tempo di un battito di ciglia. Quello che sembrava un anonimo guerriero si era trasformato in una bestia dalle fattezze serpentine, ingoiandosi uno dei suoi vampiri al primo boccone. Il gigante dalla chioma rossa, teneva alla larga i suoi figli menando una spada troppo grossa. Tutti, senza esclusione di colpi, si battevano con ferocia per avanzare verso la casa. Presto avrebbero vinto, surclassando i suoi. Ne era certa senza ombra di dubbio.
Per questo si concesse, non vista, un lieve sorriso.
Riusciva quasi a leggere sui loro volti la disperazione, la determinazione. Stavano spendendo tutte le proprie forze, ogni passo strappava un brandello della loro speranza. Come fantocci spinti da banali ingranaggi, anche loro si muovevano a forza, senza poter tornare indietro. Volevano superare quelle porte, perché credevano che al di là vi fosse il loro obiettivo. A nulla sarebbe valso tentare di dissuaderli. Conosceva fin troppo bene la forza delle masse, quel loro disgustoso motivarsi a vicenda, sentirsi parte della stessa battaglia. Lei non era mai stata una della massa, nemmeno quando ancora era umana. Era sempre stata distante, in disparte, qualche passo sopra gli altri.
Era per questo che, in quel momento, lei sola poteva osservarli dall'esterno. Lei sola poteva sapere.
Lasciò che il suo sguardo vagasse tra i corpi che si gettavano l'uno contro l'altro. L'eleganza dei vampiri sembrava avvolgere gli assalitori in una danza. Fragili, come le ballerine di porcellana di un carillon, venivano spezzati. Ascoltò le loro grida finché non le riempirono le orecchie. Erano flebili e strazianti, come se temessero di interrompere la solennità del silenzio.
E poi guardò lui, Gabriel, il suo Gabriel. Come una pantera si muoveva attorno al proprio bersaglio, senza mai mostrarsi debole. Lo aveva addestrato bene, si disse. Riconosceva quei movimenti, che lei stessa una volta gli aveva mostrato. Ricordò quando lo guidava, le mani nelle sue, in piedi alle sue spalle, sussurrandogli all'orecchio come fare. Allora erano talmente vicini che si poteva permettere di poggiargli le labbra contro la gola, percorrendola con la lingua. Poteva immaginare come sarebbe stato berlo fino all'ultima goccia, e si concedeva di lasciarlo in vita solo perché in quel modo le avrebbe dato maggior piacere.
Era una macchina perfetta, la sua, concepita per la guerra e per l'amore. Così bello, così eterno. Sarebbe stato un peccato doverlo rovinare proprio ora che lei era tornata e che lui era tanto vicino. Lasciò che finisse il suo avversario, come era ovvio che sarebbe accaduto, e gli rivolse un lento applauso.


Molto bravo, Gabriel Voltura”.


Avanzò lentamente verso di lui, incurante dello scontro che ancora proseguiva. Sapeva di apparire ancora più imponente, ancora più angelica in mezzo al sangue e alla violenza. Una figura stridente con la bruttura che l'attorniava.


Ti sei sfogato abbastanza? Possiamo gentilmente mettere fine a questa farsa?


Era certa che lui si sarebbe piegato, abbandonandosi tra le sue braccia. Forse avrebbe pianto, e chiesto perdono, forse avrebbe dovuto rimproverarlo. Ma alla fine gli avrebbe concesso il proprio perdono in cambio di un solo bacio. Gli tese una mano. Non lo credeva tanto sciocco da ribellarsi a lei, la dama che gli aveva ridato la vita. E se anche lo avesse fatto, sarebbe solo l'ennesima sfida che il suo servo infedele le avesse lanciato. Una provocazione, capace solo di rendere più stuzzicante l'attesa, più piacevole il risultato finale.
Socchiuse gli occhi. Se fosse stato necessario gli avrebbe mostrato chi fosse più forte. Lo avrebbe ferito, spezzato, costretto in ginocchio. Lo avrebbe trascinato per i capelli nel fango, lasciandogli assaporare il sangue dei suoi compagni. E, alla fine, lui avrebbe rinnegato quella ragazzina che per un secondo lo aveva attratto. Alla fine avrebbe capito che la stravaganza non lo avrebbe appagato per sempre. E si sarebbe lasciato consolare, carezzare, curare.
Mosse le labbra, pronunciando parole inudibili per chiunque se non per lui, che di certo l'avrebbe guardata in volto. La sua bocca scarlatta era come il sipario della sua sfida, quella che era già sicura di vincere.


Vieni. Da. Me”.



Noi. Siamo il canto corale di piccole anime che corrono verso la meta.
Stiamo combattendo, come macchie di colore gettate per sbaglio su una tela. Pallidi, come gli occhi di un serpente circondato dai suoi predatori. Foschi, come le ombre che tutto osservano ma che mai si mostrano. Caldi, come una fiamma scarlatta che cerca famelica qualcosa da far avvampare.
Noi. Siamo falene attratte da una luce troppo distante. Voliamo, cercando invano di superare il vetro che ci separa.
Noi. Siamo la forza disperata di chi non ha nulla da perdere, di chi ha già dimenticato il proprio obiettivo e sa solo come combattere. Non abbiamo più alternative e non ci è concesso ritorno, come burattini lasciati a dondolare sulla scena. Gli spettatori se ne sono andati, annoiati, ma noi continuiamo a ripetere i nostri gesti, in cerca di nuova umanità.
Tra di noi si muovono i grandi, ma sarebbe inutile cercarli.
Calpestano il nostro sangue come se non lo vedessero e bevono i propri desideri, ubriacandosene. Sono l'assolo che per ultimo conclude l'opera, la cui eco si spegne, esitando, desiderosa di restare ancora un poco.
Le loro ombre si stagliano sul cielo come parole su una pagina bianca. Sono i loro nomi che, se sopravviveranno, saranno ricordati. Sono come cacciatori in cerca di una preda sfuggente come il vento. Ne cercano l'odore, la figura, ma essa gli sfugge. Non ha più nemmeno un nome, è più labile di un sogno. Eppure la inseguono a costo delle vite degli altri.
Egoisti.
A costo della propria anima che hanno già venduto una volta, come una scarpa vecchia di cui non sapessero cosa fare.
E lei. Il nostro obiettivo. La luce per cui stiamo lottando.
Lei.
La lampada fredda che ogni falena ambisce di raggiungere, pur sapendo che finirà per esserne bruciata.
Lei.
La chimera che inseguono e difendono, che attaccano e violentano. Poco più che un nome che rimbalza sulle loro bocche.
Lei. Che state cercando. Non è qui.



CITAZIONE
Qm Point

Si continua in confronto *_*/

 
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Stella Alpina
view post Posted on 26/6/2015, 12:46









Quattro Regni, Contea di Ardeal, tempo attuale


Gabriel si guardò intorno riprendendo una posizione comoda. I corpi distesi dei vampiri della contessa decoravano l'ingresso della tenuta tra sangue e carne. I loro occhi spenti fissavano il vuoto come avrebbero sempre dovuto fare da quando la loro trasformazione aveva avuto inizio. Quella maledizione, quella malattia, non avrebbe mai dovuto prendere piede in quel mondo già disastrato.
In piedi, sovrastante tutti, la contessa attendeva il momento giusto per riprendere il discorso interrotto. Non era dispiaciuta per quel massacro, al contrario ne sembrava quasi compiaciuta. La sua voce delicata spezzò quel silenzio carico di morte quasi come un banditore in una chiesa, in mezzo ai fedeli in preghiera. Gabriel storse un labbro nell'udire le parole ripetitive e scontate della contessa. Non era cambiata, era rimasta davvero la stessa in tutti quegli anni al contrario del conte che invece aveva rivoluzionato completamente il suo essere. In quel mondo spietato chi non si adattava, chi non si evolveva, periva o veniva lasciato indietro.
Il conte mosse la testa in direzione della casa e attese che gli altri si lanciassero alla ricerca di Ainwen passando al fianco della contessa che non si oppose minimamente. Con lui rimasero i suoi vampiri e Akela, che stranamente sembrava più interessato alla dama che alla sua padrona. Avvicinandosi abbastanza da non dover alzare la voce, Gabriel si rivolse alla contessa.


« Non riesci mai a cogliere il momento in cui finisce il tempo dei giochi. Non riesci nemmeno ad uscire dalla tua perversa fantasiosa realtà che ti sei ricreata. Sei fuori dal mondo. Sei tristemente smorta. »


Non si curò nemmeno di osservarla bene, di notare quello spasmo nelle labbra di lei che mostrava il nervosismo salire a galla. Non gli interessava davvero più. A breve avrebbe riavuto tra le braccia Ainwen e questo bastava. Forse non l'avrebbe nemmeno uccisa, forse l'avrebbe solo chiusa nelle segrete controllata a vista per il resto della sua vita. Non aveva più importanza che fine avrebbe fatto. Era già morta dentro.


« Ti piacciono i colori, Gabriel? Allora è una fortuna che quella pallidina l'abbia eliminata »


Un fulmine lo colpì in pieno petto. Quell'affermazione lo scosse più di quanto avrebbe voluto. E se davvero non fosse finita? O se, peggio ancora, fosse davvero finita? Il cuore gli prese a battere a ritmo sostenuto mentre spiacevoli pensieri si facevano strada tra le sue certezza. Lo sguardo di Isabella non mostrava il compiacimento che le sarebbe spettato, eppure il conte non riusciva a sentirsi tranquillo.


« Voglio sperare per te che non sia realmente così. Sarebbe un peccato rovinare un corpo come questo che in fondo mi è sempre piaciuto. Come faresti poi a continuare con il tuo stile di vita rovinata irrimediabilmente? »


Parole, erano semplicemente un insieme di parole gettate lì a mascherare la sua morsa allo stomaco. Eppure colpirono ancora più forte la donna. L'equilibrio precario della situazione si spezzò e tutto degenerò in un attimo. Gabriel si gettò in avanti e con lui Akela e i suoi vampiri.









Quattro Regni, Contea di Ardeal, 200 anni prima

« Portatela via. »


A quel comando due servitori afferrarono le braccia della ragazza e la scortarono contro la sua volontà fuori dalla sala, lasciando i due a fronteggiarsi, da soli. Il ragazzo osservò disperato la sua amata lasciare la sala senza poter fare nulla al riguardo. Sapeva bene che la contessa lo aveva in pugno. Non poteva far altro che accontentarla nei suoi capricci e sperare nella sua benevolenza. D'altronde cosa poteva mai un ragazzino in confronto ad un vampiro centenario?


« Cosa vuoi da me? »

Gli occhi del ragazzo si abbassarono al pavimento mentre una lacrima solcava in solitudine la guancia accaldata, fino a staccarsi dal mento e schiantarsi silenziosa a terra. Gli occhi della contessa invece erano fissi su di lui, lo scrutavano con attenzione accompagnati da un sorriso malizioso. Sapeva di aver già conquistato la sua volontà. C'era voluto poco ma in fondo l'aveva domato già da tempo. Era il suo corpo e la sua energia che ora bramava. Quell'entusiasmo di vita che lui aveva e che lei aveva perso da tempo.


« Voglio te. Qui. Ora. Poi potrai riavere tra le braccia la tua cara Lara. »





Il ragazzo strinse i pugni con forza lungo i fianchi mentre la bocca si apriva ad aspirare aria di botto. Ancora, si trattava ancora di quello, un gioco che non si sarebbe concluso mai. Scosse lievemente la testa ed infine mollò la tensione nelle spalle. Aveva deciso. Scattò all'improvviso in avanti gettandosi sulla contessa con un'agilità che non avrebbe dovuto avere dopo la corsa fino a palazzo. Una mano si strinse dietro la schiena di lei, l'altra afferrò con forza i capelli alla base del cranio e tirò indietro. Gli artigli le passarono attraverso come fosse un fantasma. La testa tirata indietro espose il collo di lei alla sua vista e lui ci si buttò a capofitto. La morse lievemente, con una foga dettata da una finta passione, come piaceva a lei. Il suo corpo continuava a ignorare la rabbia di lui. I due corpi si strinsero uno all'altro quando anche lei si lasciò andare. Sbatterono contro il bordo della tavolata, piatti e bicchieri si rovesciarono a terra. Le labbra si toccarono e si staccarono subito, quasi per timidezza, per poi riunirsi nuovamente con più vigore. I denti di lei affondarono nel vuoto, così come i suoi artigli diretti al petto. Il corpo del conte ondeggiava evanescente come quello della contessa. Lui sentiva il suo odore dolciastro invadergli le narici fin quasi a nausearlo. Si chiese se anche lei fosse piena del suo odore e se le piacesse. La mano ormai esperta percorse la schiena della contessa slacciando passo passo il corsetto. In breve la parte superiore dell'abito si afflosciò in basso mostrando i seni perfetti. Gli artigli saettarono nuovamente in avanti a dilaniare quel seno maledetto e quel ventre rivoltante affondando ancora nel vuoto. Sentì il tocco del seno sul suo petto. La distrazione le costò non poco. Akela si era fatto avanti colpendola alle spalle. Si spinsero sulla tavolata mandando all'aria il resto delle stoviglie e prendendone il posto distesi e incuranti di tutto il resto. L'urlo di dolore di Akela risuonò nell'ingresso. Gabriel tirò via del tutto il vestito di Isabella lasciandola nuda sotto di lui. Si prese un attimo per osservarla, mentre soffriva godeva. La carezzò e lasciò che la mano di lei lo sfiorasse, trapassasse, rispondendo con un finto sorriso. Cominciava a sentirla gemere eppure ancora non l'aveva presa. Quanto aveva odiato quel verso. Non attese oltre, non voleva prolungare quella sofferenza. Si slacciò i pantaloni e si denudò, poi di forza le entrò dentro mentre la schiena di lei si inarcava all'indietro. Erano uniti, una cosa sola, abbracciati nella più vera delle finzioni. Si mosse come piaceva a lei, seguì il ritmo che lei le dettava. I suoi vampiri l'avevano colta di sorpresa. Lui continuava sperando di non doverlo fare a lungo. Guardò i suoi occhi persi nel vuoto, intenti a godersi gli spasmi di piacere. Immaginò gli occhi di Lara assistere a quella scena. Un senso di terrore lo percorse dalla nuca giù fin tutta la schiena. Sentì freddo, più del solito. Aumentò il ritmo del movimento per non pensare, il gemito di lei crebbe riempendogli le orecchie. Gli artigli finalmente trovarono la carne tra le scapole. Lei gemette. Lei venne colta dall'adrenalina e dalla foga della passione, voleva graffiarlo, fargli male. Lo abbracciò stretto e si tirò su fino ad arrivare al collo. Lo morse senza però ferirlo, ma abbastanza da farlo urlare. Lo morse così forte da farlo sanguinare copiosamente. Urlò di dolore e rabbia. Inaspettatamente lui venne, le mani scattarono in avanti afferrandole il ventre.









Quattro Regni, Contea di Ardeal, tempo attuale


Gabriel osservò i suoi artigli sporcati dal sangue gocciolante del ventre della contessa che in quel momento era riversa a terra. Era successo tutto troppo in fretta perché lui potesse davvero realizzare come si fossero svolti gli eventi. Gli sembrò di aver rivissuto un evento passato, gli sembrò di aver provato emozioni già scritte per lui. Intorno Akela e i vampiri erano ridotti male ma erano ancora lì. Gli artigli si ritrassero lasciando che le mani tornassero alla normalità. Abbandonò le braccia lungo i fianchi sentendo addosso tutta la stanchezza accumulata. A malapena si reggeva in piedi ed emotivamente era a pezzi. Se non fosse stato per la vita in gioco di Ainwen avrebbe volentieri abbandonato quel luogo dimenticato dal Sovrano per chiudersi nella sua camera a contemplare il soffitto della stanza. Invece era lì, in piedi e barcollante, ad osservare interdetto il corpo accasciato di Isabella. Dov'erano finiti gli altri? Dov'era Ainwen?


Energia consumata: 45% (20%-10%-10%-5%)
Energia rimasta: 5%
Stato fisico: subito Alto+medio+Basso (Medio fianco destro, Medio spalla sinistra, Basso gambe, Medio alla gola).
Stato mentale: subito Medio.


Passive utilizzate:
/


Attive utilizzate:

Conscio di questo potere, il conte ha passato anni a tentare di proteggere la sua mente dagli attacchi esterni arrivando a trovare la giusta protezione da tutte le avversità. Con un consumo Variabile Alto il conte riuscirà a schermare la sua mente dagli attacchi esterni qualsiasi sia la forza dell'offensiva. La potenza della difesa sarà pari al consumo speso.
[Abilità personale 2/10 - difensiva variabile psionica]

Gabriel è un non-morto in tutto e per tutto e in quanto tale è in grado di modificare il suo corpo senza subirne gravi conseguenze. Con un consumo Medio il suo corpo diventerà improvvisamente etereo, impalpabile, quasi fosse un'immagine sbiadita del passato. L'effetto perdurerà per due turni e finché rimarrà in quello stato il conte sarà immune agli attacchi fisici, di qualunque tipo essi siano.

[Pergamene Corpo d'ombra]


La mente è una camera vuota in attesa di ricreare la giusta immagine. Stimolata nel modo giusto può essere ingannata o devastata. Con un consumo Variabile Medio Gabriel potrà proiettare nella mente del bersaglio un sogno di fattezze e durata a sua scelta. Il sogno nella mente della vittima potrà durare da qualche minuto ad addirittura vari anni ma nel tempo reale sarà passato appena un istante. Al termine del sogno la vittima avrà la certezza che ciò che ha vissuto sia realmente accaduto. La tecnica dura un solo turno ed infligge un danno mentale pari al consumo speso.
[Abilità personale 1/10 - Offensiva variabile mentale]



Il ruolo del conte non è facile da gestire. Si entra in contatto con molte persone, ognuna delle quali ambisce a propri interessi possibilmente a spese di altri. Gabriel è ormai esperto di questa rete intricata di giochi di potere e tiene stretto il suo titolo difendendolo dai continui attacchi. Ha qualche asso nella manica lui, con un consumo Basso è in grado di creare una malia di autorità nella mente di un bersaglio a scelta, infliggendogli un danno pari al consumo e ponendolo favorevolmente nei suoi confronti per un turno se non difeso.

[Attiva I del talento Ammaliatore]



Oggetti utilizzati: Corallo.



Note:
Piuttosto che il combattimento ho preferito mettere in evidenza la differenza di reazione di Gabriel nella stessa scelta che ha dovuto affrontare sia nel presente che nel passato.




 
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view post Posted on 6/7/2015, 18:18
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Lentamente si accasciò a terra, come una foglia d’autunno, ormai ingiallita e scossa dalle intemperie. I suoi capelli sfiorarono il terreno insanguinato, il suo corpo tornò a coprirsi degli antichi vestiti, le sue labbra alla consueta morbidezza. Stava distesa a terra, boccheggiante, umiliata, sconfitta. Ma tutto sommato non le dispiaceva. Lui incombeva sopra di lei, che aveva le labbra sporche di sangue, la lingua impastata e il ventre lacerato. La guardava con odio, il che significava con sentimento. Avrebbe perfino potuto avere i brividi. I capelli le ricadevano arruffati sul volto, eppure non aveva perso la consueta bellezza. Era ancora lì, quasi un insulto ai suoi tentativi di distruggerla. Le sarebbe bastato nutrirsi per tornare quella di sempre. Un gorgoglio strozzato le rimbombò nello stomaco, un misto di dolore e divertimento.
Lui, la sua creatura, si era fatto potente. Al punto da ribellarsi a lei.
Forse per il momento non sarebbe tornato. Ma non appena avesse scoperto cosa era successo alla sua bella, di certo avrebbe cambiato idea. Era a questo che pensava, con gli occhi socchiusi nel tentativo di alleviare i crampi che la facevano di tanto in tanto sussultare. Non provava così tanto dolore dai primi anni della sua trasformazione, quando ancora era costretta a combattere per guadagnare il proprio posto.
Gli altri vampiri sopravvissuti e i compagni di Gabriel boccheggiavano ai propri posti. Ho Igoo fece qualche passo verso il lord, mentre Kaa riguadagnava strisciando il proprio aspetto umano. Attorno a loro la pianura era divenuta un campo di battaglia, cosparso di corpi smembrati e di chiazze rossastre. La spia reggeva ancora tra le mani un piccolo coltello d’argento. Il suo volto era affaticato e segni di artigli gli solcavano entrambe le guance.


La nostra signora…


C’era una domanda nascosta nelle sue parole, nello sguardo che rivolgeva alla residenza. Implicitamente, vi era nascosta anche la risposta. Gli fece un cenno con il braccio, come ad invitarlo a seguirlo. Nei suoi occhi d’oro si leggeva una preoccupazione impellente. La domanda era la stessa per tutti.
Dove si trovava.
E la risposta era serrata tra le labbra della creatura che ancora giaceva a terra.

Giaceva distesa nel buio, le braccia attorno alle ginocchia. Il suo respiro le si condensava addosso nell’ambiente troppo gelido. Ovunque era dolore, ovunque erano solo lividi. Ovunque regnava il silenzio. Spalancava gli occhi, senza poter vedere nulla, senza percepire neppure un’anima. Tese una mano in avanti, come aveva già fatto molte altre volte.
Ma questa volta, con suo grande stupore, delle dita si chiusero intorno alle sue. Erano fredde, come la notte stessa, eppure sentì l’avvicinarsi di un corpo, il fruscio della stoffa contro la guancia.


Signora…


Riconobbe quella voce che le sussurrava all’orecchio, nonostante la fame e il sonno stessero per vincerla. Aprì le labbra per rispondere, ma era così debole che riuscì appena ad articolare le parole. tutto il suo corpo era torpido ed indolenzito, e provava un desiderio impellente di addormentarsi.


Cosa ci…


La mano le scivolò lungo il viso, carezzò le cicatrici che costellavano il suo occhio sinistro. Era una carezza premurosa, come non ne riceveva da tempo. Si strinse a quel corpo immortale, tentando di avvinghiarsi all’unica certezza a sua disposizione. Lacrime salate le fecero bruciare gli occhi. Se era arrivata fin lì, allora forse l’avrebbero trovata. Allora forse sarebbero giunti anche gli altri.


Mi sono unita a voi, sostituendo la vostra bambola”.
Le poggiò le labbra sulla fronte. Tremò contro di lei, forse per la febbre, forse per la tensione. Ancora una volta desiderò di potersi abbandonare.
Non temete, ora vi riporteremo indietro”.


Notò l’esitazione nella voce di lei. Sarebbe stato impossibile non farlo. Era certa che fossero prigioniere in qualche luogo da cui non avrebbero potuto uscire. Eppure le braccia della sua serva erano comode, forti. Le poggiò la testa sulla spalla, provando un indicibile sollievo.


Non temere…Jacala…
Prese fiato.
Lui…Gabriel…arriverà”.


Voleva crederlo. Le palpebre le si fecero sempre più pesanti. Solo per un attimo, si disse, le avrebbe chiuse solo per un attimo. Ripensò a lui, pronunciò il suo nome tra sé. Prima di aver terminato era già scivolato nel sonno.
Nel buio della stanza vuota, la serva poggiò il corpo di Ainwen a terra. con i palmi delle mani si appoggiò alla parete che le imprigionava entrambe. Un ringhio sordo le sorse dal petto. Lei sapeva, naturalmente. Così come conosceva le loro possibilità di salvarsi. I suoi occhi lilla scintillarono nel buio, preda del terrore.




CITAZIONE
Qm Point

Continuiamo in confronto uwu

 
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