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Nullius in Verba. - Un cuore Insaziabile., Contest Gennaio: Conquista

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view post Posted on 21/1/2015, 00:51
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Cavalier Fata
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Nullius in Verba. - Un cuore Insaziabile.
Quando tutto cambia,
niente cambia.
Devi solo chiudere gli occhi.

La finestra emanava un flebile spiffero d'aria gelida, mentre con il mio respiro lento e leggero ne appannavo il sottile vetro. All'esterno la città brillava sempre più fievole alle luci delle case, spente una dopo l'altra per lasciare i propri abitanti da soli, nella tenebra, con i loro incubi ed i loro demoni. mancavano poche ore al momento dell'esecuzione: nella casa sicura della resistenza si erano intensificati i movimenti, i rumori, le chiacchiere, ma nessuno era entrato dalla mia porta per chiedermi niente. Era una scelta che dovevo prendere da sola, ne andava della mia vita e del mio futuro, eppure non sapevo ancora decidermi del tutto a seguire quella banda di pazzi verso il disastro. Una vita, per importante che fosse, poteva davvero valere quella di migliaia di innocenti morti? Con la manica della veste di lana mondai il vetro, tornando a sbirciare fuori, silenziosamente.
Cosa non funzionava nel genere umano? Che cosa era andato storto nel seme della sua creazione, per dar vita ad un abominio assetato di sangue e potere a quella maniera? C'erano variabili infinite ed incalcolabili che si diramavano dalle origini della nostra specie, incerte, perdute nelle ere del tempo e della ragione. A noi era toccato semplicemente raccogliere i frutti di coloro passati a seminare prima di noi, e così avrebbero fatto i nostri figli per le nostre azioni. Era così che gli esseri umani vivevano la propria esistenza, giorno per giorno, senza un briciolo di lungimiranza che oltrepassasse la settimana.
Abbassai lo sguardo, stringendomi le spalle con le mani per sopportare meglio il freddo impervio che nemmeno il camino sembrava voler smorzare. Qualcuno bussò delicatamente alla porta, entrando subito dopo senza aspettare che dessi il permesso. Non ci badai neppure.

« Ti ho portato qualcosa da mangiare. »

Patrick, il Corvo fuggiasco con cui avevo raggiunto Basiledra, si era lasciato decisamente andare negli ultimi giorni. Il suo bel viso giovane e curato era velato di una peluria incolta ed ispida, i capelli arruffati e sparsi sulla testa, la veste popolare indossata al posto di quella nera ecclesiastica. Era diventato in tutto e per tutto un uomo come tanti, non più un Corvo o un sacerdote del Sovrano, ma semplicemente un cittadino timorato per la propria vita che si sforzava di fare qualcosa di abitudinario, di banale, per distrarre se stesso e riuscire a dormire almeno un'ora la notte, in preda agli incubi.

« Non ho fame... »
« ...devi mangiare! Domani ti serviranno tutte le energie possibili per sopravvivere. »

Lo invitai ad avvicinarsi con un gesto della mano e lui, preso alla sprovvista, tentennò un istante per poi muoversi vicino alla finestra.
Si limitò a fissare all'esterno, senza guardarmi negli occhi, consapevole che la mia sola vista gli ricordava un dolore troppo grande per poterlo affrontare facilmente. Un'anima pura come la sua, innocente, era stata sporcata per sempre dalla furia di Mathias e del Corvo compassionevole e speranzoso non era rimasta praticamente traccia, se non una divisa nera lorda del mio sangue chiusa in un armadio.

« Li vedi? Le guardie fanno la ronda ogni dieci minuti sulle strade... »
« ...ti sei mai chiesto cosa spinge gli uomini a volere sempre di più? »

Parve colpito dalla mia domanda, ma dissimulò abilmente la sorpresa aggrottando le sopracciglia e prendendosi un lungo minuto per riflettere. Non mi andava di mettere fretta a nessuno, e la sola compagnia di un altro essere umano era per me di conforto più di tutte le cure ed il cibo del mondo.
Lo fissai, da capo a piedi, sistemandomi involontariamente i capelli e la veste per un riflesso condizionato, per l'abitudine ossessiva di essere sempre presentabile al meglio, anche laddove il "meglio" era una squallida topaia con le finestre divelte.

« Sei cresciuta in una famiglia rispettabile e possidente, non ti è mai mancato nulla. »
Iniziò, titubante, per poi prendere mano a mano più fiducia in se stesso.
« Molti, anche tra gli insonni, non avevano niente prima di unirsi a Mathias o erano semplici contadini timorati del Sovrano. E del re. »
Annuii a quelle parole, non era certo un mistero.
« L'uomo è un mostro, Azzurra, cammina su questa terra vanificando i nostri sforzi per ricordare al Sovrano la nostra esistenza, si atteggia a divino, quando ciò che fa è distruggere anche il più semplice dei progressi. » il tono della sua voce si alterò, il vetro accanto al suo corpo divenne opaco tanto fiato e ardore emanavano le sue convinzioni ed il suo corpo. « Alcuni di noi sostengono che gli uomini siano nati per dominare in queste terre, sai? Dicono che dovremmo essere solamente noi a vivere nel dortan, che ogni altra razza inquina la superficie di questo regno. Tutto, ovviamente, prima che Mathias Lorch vedesse suo cugino, fratello o quello che diavolo era, morire davanti ai suoi occhi. »
Sospirò. Dal suo sguardo compresi che stava raccontando una storia per sentito dire, non c'era durante la presa della città, ma il suo cuore era scosso abbastanza da farmi tacere tali considerazioni ininfluenti. Rimasi a guardarlo, colma di vivo interesse, e questo parve compiacerlo.
« Da quel giorno ho rinunciato all'idea che il nemico sia fuori dall'uomo, penso che il più grosso nemico dell'umanità sia l'umanità stessa. »

Il mio cuore voleva urlare "bugiardo!" ma le mie labbra rimasero chiuse a quelle parole. Non sapevo cosa rispondere, non sapevo cosa pensare. Rimasi lì, come un pezzo d'arredamento ignorato, a guardarlo uscire lentamente dalla porta della stanza con l'espressione intristita dal peso del dolore e dell'impotenza. Non salutò neppure, non mi guardò nemmeno per augurarmi di tornare sana e salva. Credevo di aver trovato un amico, ma anche lui temeva più per se stesso che per chi gli stava attorno.
Gli uomini sono persone orribili, combattono ogni giorno per accaparrarsi ciò che non gli spetta, per conquistare la cima e sedere sul trono che non trema, le cui fondamenta sono innestate nell'anima dell'umanità stessa. Era davvero possibile che le parole di Ainwen si riferissero a quello? Che il suo desiderio di "tagliare la testa all'idra" non fosse altro che un rimpiazzare un male necessario con un altro male necessario?
La nostra vita non era altro che un continuo arrampicarsi per una montagna ripida e scoscesa, sino ad una certa altezza, per poi franare a valle ferendoci mani e ginocchia nelle pietre affilate. E non importava quanto in alto potessimo arrivare e con quanta fatica raggiungessimo i nostri obiettivi, non importava che fossimo re, duchi o semplici stallieri, quel gioco di conquiste e perdite non avrebbe risparmiato nessuno. Né me, né Ryellia, né Ainwen... né Mathias.
Era come se all'uomo non potesse semplicemente bastare quello che aveva, come se dovesse continuare a crescere, espandersi, inglobare ogni forma di vita sul suo cammino, masticarla e risputarla nell'universo modificata, alterata, modellata su canoni imperfetti e frutto di una creazione accidentale di una divinità distratta.

L'uomo ha conquistato il mondo, è uscito dalle grotte richiamato dalla luce del suo creatore, ha dominato il mare, la montagna, la terra e l'aria. Ha raggiunto il picco più alto ed allo stesso tempo quello più basso della conoscenza e dell'evoluzione, eppure rimane attaccato a frammenti di niente effimeri e transitori, convinto che l'essere seduto su una sedia adornata di marmo con una corona poggiata sul cranio lo renda diverso, migliore. Ma così non è.
Ho visto la religione venir spazzata via dalla città, gli uomini temere anche solo di alzare gli occhi al cielo, e sono certa che questo porterà ad un susseguirsi di altre lotte, di altre conquiste, in un crescendo che non finirà mai. Siamo come animali, presi dall'irrefrenabile istinto di combattere e prendere ciò che non ci appartiene, privati di una guida ed oramai disillusi su chi vegli su di noi dall'alto dei cieli.
E nel mezzo di tutto questo incubo ci sono io, ignorante su tutto quello che i miei occhi vedono al di là di quella miserabile finestra, alla ricerca di una risposta che non esiste, incapace persino di chiedermi dove mi porterà la mia vita.
Portai una mano sulle guance, cancellando una lacrima che impudente era scivolata dai miei occhi.
Mi sentivo sola. Terribilmente sola.

Avrei dovuto ripartire da zero, ricostruire un qualcosa che era stato raso al suolo, non solo nella mia vita ma anche in quella di coloro che mi circondavano.
Fissai in alto, verso la luna, allungando timidamente una mano sino a fermarla sul vetro, immaginando di toccare quel disco luminoso e distante. Avrei voluto parlare con qualcuno, togliere la maschera e mostrarmi per quello che ero veramente, e alleviare così la paura che provavo in un mondo alieno e imprevedibile. Temevo di non riuscire, temevo di non essere tra quelle poche persone capaci di gestire la propria esistenza e modellarla secondo il loro essere. Sarei diventata un burattino come Patrick? Avrei lasciato che fossero gli altri a dirmi cosa fare, come farlo e quando? Oppure sarei stata io ad assoggettare chi mi stava attorno, a dominarlo e obbligarlo con l'astuzia o con l'inganno a seguire i miei dettami? Forse, in fondo al cuore, non volevo che accadesse nulla di quanto avevo immaginato.

« Ora... ho capito. »
Sussurrai, parlando alla luna ed immaginandomi di avere davanti la mia migliore amica, una persona che avevo solo sognato.
« Non cambierà... niente. »
« Qualsiasi cosa faccia... non cambierà niente. Non deve cambiare... »
Tirai su col naso, costringendomi a trattenere le lacrime, a trasformare la frustrazione e la paura in rabbia per il giorno seguente.
Il mondo avrebbe visto un re, poi un altro re, ed un terzo re ancora. Ma tutto ciò che era in mio potere fare era permettere a questo ciclo di andare avanti, cambiando prospettiva, cercando di vedere le cose da un altro punto di vista. In quello Ainwen avrebbe dovuto essere bravissima, l'incontro con lei mi era rimasto nel cuore e le sue parole tormentavano ancora la mia mente. Al sorgere del sole tutto sarebbe cambiato, nel bene o nel male: avrei adempiuto al mio dovere o sarei morta provandoci.
Forse, almeno per quell'unica volta, qualcuno sarebbe stato fiero di me...
...mi sarebbe bastata una persona qualsiasi.
Anche il Sovrano.



Rieccomi qua. In questo contest ho affrontato il tema della conquista ma nella sua accezione più negativa. Ho sfruttato la bellissima giocata fatta con Ainwen e quella con Ryellia per far comprendere ad Azzurra alcune importanti nozioni sul comportamento umano e sull'avvicendamento delle "conquiste" futili e l'allontanarsi dalle cose davvero importanti, che poi porta ad un ciclo vizioso di conquista-rinuncia distruttivo per l'umanità. Il tutto è ambientato la notte prima del giorno dell'esecuzione, e vuole essere una riflessione sia sul dolore che prova Azzurra, sia sulla sua paura di non sapersi "conquistare" qualcosa in questo mondo tanto orribile e solitario. Spero che sia una buona lettura.
 
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