Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Rise of the Whisper ~ Ciò che Diventiamo, Capitolo Finale

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view post Posted on 22/1/2015, 18:57
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Basiledra

Le guardie presero con violenza l’uomo circondato dai Cani Bradi. La paura nei suoi occhi era tangibile come la sua confusione. Cosa aveva fatto per meritarsi quel trattamento? Implorava pietà, ma in cuor suo sapeva che non sarebbe mai arrivata. Poco più avanti una figura incappucciata osservava la scena serrando i pugni nervoso: detestava rimanere impassibile di fronte a simili ingiustizie, ma quel giorno non poteva permettersi il lusso di intervenire.
Non era il solo a fingere di non vedere. Quel giorno la piazza era gremita di uomini che, più o meno consapevolmente, sapevano che quel vagabondo circondato dalle Guardie Insonne sarebbe stato cibo per cani prima del tramonto, ma non potevano farci nulla. Da quando mesi prima Mathias Lorch aveva conquistato il Cuore di Marmo, il concetto di giustizia era stato piegato in maniera macabra secondo i suoi capricci: spacciava le esecuzioni per mano di quelle bestie come una morte nobile, e chiunque avesse provato a contestare i metodo degli invasori non avrebbe avuto un trattamento migliore.

L’uomo incappucciato era dispiaciuto. Sapeva di essere complice di quel soppruso ingiusto a causa della tintura di erbe con cui aveva cosparso il suo mantello e le vesti dei suoi uomini. L’odore pungente delle piante utilizzate stava letteralmente facendo impazzire l’olfatto dei Cani Bradi, che non sarebbero riusciti ad individuarli fra la folla in quella giornata così importante. Una mossa senza dubbio astuta, ma che pagava il prezzo dell’aggressività non sfogata di quelle bestie su poveri innocenti. La Guardia Insonne in attesa di quel giorno aveva affamato i cani per aumentarne la pericolosità, e non potendo identificare gli uomini infiltrati in città si sfogavano casualmente sulla folla.
Un simile rischio non era certo, ma l’uomo lo aveva tenuto nascosto ai suoi compagni per evitare discussioni inutili. Era un atto necessario e doloroso, ma una manciata di sacrifici valevano quello per cui avrebbero lottato da lì a breve: la libertà.
Lui era Mark Smith, il capo della Resistenza.

Quel giorno le strade di Basiledra erano un fiume in piena di persone, giunte da luoghi vicini e lontani per assistere all’evento annunciato dal Tiranno. Persino un enorme contingente di soldati Lancaster, normalmente stanziati fuori dalla capitale, aveva risposto all’appello di Mathias per aumentare la sicurezza all’interno delle mura.
Fra tutti infatti, fra le centinaia di persone presenti per la cittadina, si nascondevano loro: i membri della Resistenza
Alcuni si muovevano da soli, altri in gruppo conversando come se nulla fosse, senza paura di attirare l'attenzione in mezzo a quella calca di uomini. Tutti erano lì per lo stesso motivo.
S erano infiltrati a Basiledra nei giorni precedenti, rischiando al vita pur di salvare la donna che, in mezzo all'oscurità rappresentata dal Tiranno, si ergeva come l'ultimo lume di speranza: Fanie Elberim.
Lei insieme a Mark Smith avevano fondato la Resistenza, il gruppo di uomini ostili al Regno del Terrore che combatteva per i poveri e gli innocenti. Era stata catturata e imprigionata da poche settimane, e durante l'incursione i suoi salvatori avevano scoperto la triste verità: Mathias Lorch l'avrebbe uccisa in un esecuzione pubblica.

Una notizia che aveva scosso le coscienze di tutti, decisi come mai prima di allora di giocare tutte le carte a loro disposizione.
Quel giorno avrebbero dovuto fermare l'esecuzione, combattere le Guardie Insonne, e ridare la libertà ai Quattro Regni uccidendo una volta per tutte Mathias Lorch.
Sembrava impossibile. In fondo la disparità di forze era abissale, e se una parte era composta da uomini pronti a tutto pur di avere successo, dall’altra vi era un vero e proprio esercito comandato da un Tiranno senza pietà. Il ricordo della testa penzolante di Medoro era ancora limpido nei cuori di molti.
Eppure Mark Smith li aveva rassicurati: avevano un piano ben preciso, ma per la prima volta non tutti ne erano a conoscenza. Il rischio di una spia o di un traditore era troppo alto, e se fossero stati scoperti prima del tempo avrebbero perso ogni possibilità di vittoria ancor prima di cominciare a lottare. Ma ogni uomo nella Resistenza sapeva che Smith non era un Sussurro, e che avrebbe messo la vita e la dignità degli uomini prima di ogni altra cosa. Si erano fidati, e lui li aveva ringraziati per non aver insistito per avere dettagli..

Divisi cadiamo, uniti resistiamo. Per sempre.
Una frase semplice, scolpita nel cuore di ogni uomo della Resistenza.
Ricordando quelle parole avrebbero combattuto un’ultima volta.
Ricordando quelle parole avrebbero ottenuto la Libertà.






Campagne di Basiledra

Il fumo si alzava velocemente dai resti distrutti dell'accampamento. Ogni cosa era stata gettata in quel grande rogo per non lasciare tracce alcune: dalla mobilia ai vessilli, dalle pergamene ai cadaveri. La segretezza era il cardine irrinunciabile del loro vantaggio: se solo Mathias avesse saputo, se una sola voce fosse giunta a Basiledra, tutto sarebbe stato compromesso.
Persino i fumi di quel grande rogo potevano essere un problema, e gli incantatori Cavendish utilizzavano le loro arti per condensare quella nube nera prima che raggiungesse altezze troppo elevate per essere osservata da lontano.

« Questo è l'ultimo. »

Il soldato gettò la carcassa del Cane Brado nel mucchio. Alcuni degli uomini attorno iniziavano ad essere disgustati dall'odore di carne emanato dal fuoco: era gradevole, ma veniva da corpi di uomini e bestie.
Kuro osservava soddisfatto l'opera compiuta, con uno schiocco di dita attirò l'attenzione di tutti prima di pronunciare alcune parole.

Quello del Sanguinario era solo uno dei piccoli gruppi di uomini in cui aveva diviso il suo esercito, e tutto stava andando come previsto.
I Silenziosi Sussurri, l'ultima manciata sopravvissuta allo sterminio da parte della Guardia insonne, avevano viaggiato per i Quattro Regni allo scopo di riottenere il favore delle Grandi famiglie. Erano riusciti a ottenere uomini da parte dei Cavendish, oltre a qualche sporadico gruppo mercenario convinto grazie alle giuste promesse e a qualche sotterfugio tipico della loro organizzazione. Erano riusciti a rivoltare gli Holstein contro gli invasori pur non ottenendo un appoggio militare, avevano ritrovato Re Julien giustificando la sua presenza alle truppe svelando lo scambio di persone compiuto durante l'attacco a Basiledra.
E in ultimo, ma non meno importante, avevano fallito con i Vaash. Si erano fatti un nemico potente, ma avevano abbastanza tempo per pensare ad un problema per volta.
Dieci giorni prima si erano ritrovati nelle terre dei Cavendish, dove Ludmilla Ravchenko spiegò a ogni singolo soldato il piano che avrebbero dovuto seguire: normalmente nessuno gli avrebbe concesso il lusso di temporeggiare, ma per loro fortuna un gruppo di uomini che si faceva chiamare La Resistenza aveva attirato l'attenzione di Mathias Lorch molto più che una manciata di Sussurri allo sbando.
Per questo si erano divisi, disperdendosi ai confini del Regno in piccoli gruppi sufficientemente numerosi da sbaragliare ogni avamposto o dogana della Guardia Insonne. Non avrebbero lasciato vivere un solo uomo o animale in grado di avvisare l'usurpatore a Basiledra del pericolo imminente, che alla fine si sarebbe trovato circondato senza nessun gruppo armato in grado di prestargli soccorso.

« Uomini del Regno, anche questa volta abbiamo vinto! »

Un urlo di gioia. Kuro era al comando di circa trenta uomini, che una volta terminato di bruciare ogni cosa si radunarono attorno a lui.

« Questo è il nostro quarto e ultimo obiettivo. Per qualche ora potete riposare, ma ricordatevi che la vittoria è ancora lontana. »

Uno sguardo al sole che si muoveva verso il mezzogiorno. Due rapidi calcoli temporali prima di continuare.

« Possiamo riposare alcuni minuti, ma dobbiamo sbrigarci a marciare. Basiledra dista appena qualche ora, e la coordinazione con gli altri gruppi deve essere assoluta. »

Aveva distribuito le ultime pagine rimaste in tutte le Voci dei Sussurri fra i vari gruppi. Era l'unico modo per sincronizzare così tanta gente contemporaneamente, perchè se fossero arrivati di fronte al nemico poco alla volta sarebbero stati sconfitti senza alcun problema.
Anche grazie a quel brillante sistema di comunciazione però coordinare tutti non era stato semplice, anche a causa della poco ordinata collocazione degli avamposti nemici attorno alla capitale: aveva quasi terminato le pagine a disposizione, e presto non avrebbero più potuto scambiarsi ordini istantanei.

« Ad oggi siamo ombre invisibili. E presto giungeremo alle mura della città come un'orda inarrestabile. Ma per l'amor del Sovrano non sottovalutate i Lorch che vivono nel Cuore di Marmo. Questa è una battaglia che non possiamo perdere, e pur di rimettere Julien sul suo scranno dobbiamo essere disposti a sacrificare ogni cosa, persino la nostra stessa vita o quella dei nostri cari. Ricordatevi che per quanto valorosi, il Regno è sempre più importante di tutti noi. »

Annuirono con un cenno del capo. Alcuni meno convinti di altri: mettere un ideale sopra ogni cosa era un ragionamento tipico dei Silenziosi Sussurri, e non tutti approvavano quella linea di pensiero.
Quello su cui tutti convergevano però era altro: una volta giunti a Basiledra avrebbero dovuto combattere, soffrire, compiere dei sacrifici. Perchè da molto tempo avevano superato il confine morale delle scelte, e le opzioni rimaste erano soltanto due.
Vincere, o essere schiacciati.








CITAZIONE
Utenti e staff, signori e signore, benvenuti al capitolo finale di Rise of the Whisper.
Ci saranno tanti eventi, tanta "carne al fuoco", perchè ogni retroscena sarà finalmente svelato e turno dopo turno ci avvieremo insieme alla degna conclusione di questa campagna -a memoria mia la più longeva di Asgradel-

Detto questo, "Ciò che Diventiamo" è una particolare quest aperta proprio come "Il Destino dei Re": sarete quindi liberissimi di postare più volte in un turno, saltarne alcuni e introdurvi in corso d'opera. Alla fine verrete ricompensati dipendentemente da quantità e qualità della partecipazione, ma come ormai sarete abituati nelle giocate da me gestite vi voglio assolutamente come parte attiva e non come meri spettatori di eventi da me narrati.

Si inizia quindi!
Resistenza: chi ha deciso di iniziare come membro della Resistenza, o più in generale da dentro le mura di Basiledra, si trova in una situazione piuttosto movimentata: siete lì sotto copertura per fermare l'esecuzione di Fanie Elberim, e mettere una volta per tutte fine al Regno del Terrore di Mathias Lorch. Siete liberi di dialogare fra voi o di muovervi in solitaria per le strade della città. Sapete che Mark Smith, il vostro capo -in realtà più un primo fra pari- ha un piano ben preciso, ma non ne siete al corrente per motivi di sicurezza. Nei vostri post potete inoltre descrivere in breve tutto quello che avete compiuto nel Regno del Terrore come membri della Resistenza. Per qualunque domande c'è il topic in confronto apposito! ^^

Esercito: chi ha deciso di far parte dell'esercito si trova nella situazione ben narrata nel post: fate parte di uno dei gruppetti in cui Ludmilla ha deciso di dividervi al fine di distruggere tutti gli avamposti della Guardia Insonne. Potete scegliere se trovarvi in gruppi separati o nello stesso, nel caso scegliete in confronto e regolatevi di conseguenza. Fondamentalmente avete solo vinto senza lasciar trapelare neppure un messaggio sul vostro operato, e vi trovate a poche ore di marcia da Basiledra dove finalmente combatterete l'ultima battaglia. Siete inoltre a conoscenza che Re Julien è vivo, e il ragazzo ucciso da Mathias era solo Belphegor, un fantoccio mutaforma utilizzato come esca dai Sussurri.

Malzhar Rahl: Finalista, questo è il tuo turno! Sei a capo di uno dei gruppi del tuo esercito, descrivi quindi liberamente il modo in cui agite per conquistare gli avamposti avversari. Un problema però giunge proprio al termine dell'ultima battaglia: approfittando della confusione qualche uomo della Guardia Insonne riesce a prendere degli ostaggi -con voi si muovono anche corvi, o ragazzi giovanissimi che a malapena sanno impugnare una lama-. Questi uomini vi minacciano di uccidere quegli innocenti in caso di azioni avventate, e semplicemente iniziano ad allontanarsi verso Basiledra tenendovi d'occhio.
Sei il comandante del tuo gruppo, e su di te ricade la prima, importante scelta: uccidi i superstiti condannando a morte gli ostaggi, o li lasci vivere rischiando che avvisino Mathias Lorch della vostra presenza? Forse è un bivio con solo due scelte, forse vi è una terza via, forse è necessario un sacrificio di altro tipo... A te quindi: descrivi tutto come meglio preferisci!

Per qualunque domanda vi ricordo ancora il topic in confronto. Il mio prossimo post da Qm arriverà intorno al 29 gennaio!
 
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view post Posted on 26/1/2015, 16:13
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Maestro
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Campagne di Basiledra
Poco distante dal raduno dei Silenziosi Sussurri


Il profumo acre di carne cotta riempiva l'aria, scuotendo finanche i fili d'erba che si levavano dal suolo.
Il marcescente dissolversi di quell'ambiguo puzzo si divincolava come una mano di velluto bardata di nero, una grigia putrescenza che ricopriva vergogne ed orrori della guerra con un'unica spolverata di rancore e mistero. Nelle virulente campagne nei meandri di Basiledra si levavano capi chini e occhi ammantati. Sguardi scuri, ricoperti di un velo che li avrebbe protetti da quell'orrore e, ancor prima, dal male in cui avrebbero dovuto immergersi per poi riemergere da vincitori.
O non riemergere affatto.

Da dov'erano potevano udirli camminare, radunarsi ed inneggiare qualcosa di positivo e gradevole. Qualunque motto che li avrebbe inebriati e riportati all'apice della loro gloria, quando quell'avventura pericolosa era iniziata al grido di rilancio e rinnovo. Quando ancora non si erano dannati l'anima, il corpo e lo spirito per un Regno che avevano perduto troppo in fretta o troppo presto. Erano Sussurri, ma volevano chiamarsi eroi di una terra che non li conosceva e forse non li avrebbe conosciuti mai, né chiamati, né amati come loro avrebbero desiderato. E meritato. Erano sconosciuti per tutti e anche per se stessi, nonostante quell'ideale puro di concordia e pace che avrebbero giurato di difendere anche dinanzi alla morte. Quell'ideale d'onore che li aveva resi figli di un'ideologia, nonché soldati di una volontà più forte di ogni corruzione.
Erano fiduciosi e volti all'importante destino che andava compiendosi di li a poco. Destino di fiducia o morte.

Uno dei due scivolò rapidamente sullo sguardo dell'uomo chino. Aveva gli occhi azzurri, sporchi di guerra e le ciglia aggrottate, nervose. Teneva sul volto un panno verdone scuro, con cui ricopriva le ciocche di capelli rossicci e la barba incolta di settimane. Il fisico asciutto, forgiato nel fuoco di tante battaglie e altrettante notti insonni, si districava in una corazza di cuoio scuro, borchiata con ferri e lacci di cuoio sulle braccia e sulle gambe, nonché con una stretta bandoliera di coltelli che gli cingeva le spalle e si incrociava lungo la schiena fino al bacino.
Il ferro dei coltelli tintinnò con violenza quando il corpo si accovacciò su se stesso, lambendo il suolo. Infine, un rumore sordo si profuse nell'aria ed uno di quei coltelli scivolò lontano dagli altri; lontano dalla bandoliera di cuoio ed alla corazza ricoperta di lacci, nonché dal suo torace smilzo dal quale una mano pallida l'aveva estratto. Era macchiato di sangue rossiccio, imbevuto di quella virulenta pietà che si era addensata nel sangue di lui e di tutti gli altri Sussurri, per l'unico scopo di sopravvivere fino a quel giorno. Soltanto per morire per mano di un perfetto sconosciuto.
Il corpo del ragazzo ricadde al suolo e il rumore fu attutito dall'erba alta, verniciata di schizzi di rosso di poco annacquati con ciò che era rimasto della pioggia battente della sera prima.
La mano pallida si portò il pugnale alla bocca dove una lingua di un rosso tenue, quasi arancio, lo leccò da parte a parte.
Fino a farlo tornare lucido come tutti gli altri.

« Molto acre, poco gradevole » sentenziò una voce, assaporando il sangue dell'uomo « carente di zuccheri; carente di affetto. »
Il boia aveva un fisico ancor più asciutto dell'altro. All'apparenza troppo magro, denutrito, con braccia sottili, quasi scheletriche, nonché un torace esile ed una vita stretta, vestita di pantaloni di pelle marrone ed un gilet color crema, con bottoni in ferro lucido e ricami dorati. Sotto, una camicia bianca dai risolti vaporosi e vistosi. Si era macchiata appena con uno schizzo, che lambiva la manica sinistra all'altezza della spalla e scivolava appena verso il basso, creando uno sbavo rossiccio appena accennato, ma evidente sulla purezza del tessuto.
« Andiamo » disse l'uomo, fissando il cadavere del Sussurro disteso sull'erba « davvero pensavi che mi sarei alleato a voi? »
Poi lo raggiunse, ponendosi a cavalcioni sopra il corpo morto e iniziando a slacciarli la bandoliera e la corazza. « Mi chiedo come tu sia sopravvissuto fino ad oggi, onestamente. »
Poco distante, un rumore di passi attirò la sua attenzione. L'erba bagnata scricchiolava sotto il tacco rigido dello stivale di cuoio, provocando un sottile rumore sinistro e preoccupante.
Un terzo uomo si avvicinava alla strana coppia, avvolto in un pesante mantello scuro col collo ricoperto di pelliccia; teneva le braccia ed il corpo stretto entro il manto, dal quale svettava soltanto il collo alto di una camicia decorata con ricami e pietre preziose. Sopra di esse il volto magro e pallido di un nobile, dai lunghi capelli castani che scivolavano fino sotto le spalle e gelidi occhi blu ghiaccio che fissavano, straniti, nella loro direzione. Avvicinandosi, una mano emerse dal pesante mantello e portò un fazzoletto bianco di stoffa in direzione della bocca dell'uomo, quasi a voler coprire il disgusto di quell'odore marcescente.
« Cos'è questa puzza? » disse il nuovo arrivato, rivolto al secondo. L'altro lo fissò con sufficienza. « Bruciano i cani bradi, credo » rispose appena.
« E' disgustoso » commentò il primo, seguitando a fissare in direzione dei Sussurri. Aveva un'aria altezzosa, ma tradiva una certa preoccupazione nello scrutare l'orizzonte.
Una preoccupazione quasi paterna, come di un genitore che apprende con mestizia la maleducazione dei propri figli, pensando al momento migliore per rimproverarli.
« Ah, dimenticavo di chiederti una cosa » disse il secondo, ancora affaccendato nello spogliare il cadavere « che cosa cazzo ci fai qui? »
« Controlliamo che tu non faccia stupidaggini » commentò il primo, tornando a fissare la scena con disgusto « ...ma sembra già troppo tardi. »
Fissò il cadavere, sospirando mestamente. Poi lanciò un'occhiata all'altro, mentre questi toglieva i pantaloni al soldato morto.
« Teslat... ti sembra il momento? »
L'altro si fermò, fissandolo con aria interrogativa. Aveva il coltello tra i denti, i pantaloni in mano ed era prono sul cadavere praticamente quasi nudo dell'uomo.
« Teslat ti sembra il momento... » lo scimmiottò Teslat, gracchiando le stesse parole con aria stizzita « non è quello che sembra, idiota! »
Poi prese a fissarlo intensamente, tenendo i pantaloni ancora con la mano destra « voglio dire, sarebbe strano; guardalo... mi somiglia troppo! »
L'uomo col mantello fissò i due a più riprese. Effettivamente, il cadavere aveva capelli rossi sparsi intorno al capo, esattamente come l'uomo a cavalcioni sopra di esso.
Se non fosse per il colore degli occhi e la barba incolta, avrebbero potuto essere fratelli. Eppure, nessuno nella calca della battaglia avrebbe mai notato la differenza.
« Quindi il tuo piano... » asserì, dissimulando a fatica la preoccupazione per quanto stava accadendo.
« Il mio piano è essere Anton Twaine, scaltro ladruncolo assoldato dai Sussurri per salvare la madre patria...! » disse Teslat, pronunciando la frase con tono fintamente epico.
« Come sai il nome? » chiese il primo, fissandolo con aria interrogativa. « Gli ho letto nella mente, percependo le sue perturbazioni attraverso lo sfarfallio dello spazio e del tempo » rispose di getto.
Eppure, la risposta non sembrò convincerlo troppo. L'uomo col mantello sospirò affranto e prese a fissarlo nervosamente, incrociando le braccia dinanzi al petto.
« Oh che palle Dulwig, fattela una risata ogni tanto... » rispose Teslat, tirando fuori un libretto sgualcito « ho trovato un diario, contento? »
« C'è di tutto qua; quante volte ha pisciato, quante volte ha fatto il bucato, preoccupazioni, ipotesi e.... una lettera alla mamma, perfino. »
Parlò, sfogliando le pagine bagnate dalla pioggia con incalzante emozione e mostrandole all'altro di tanto in tanto. « Che dici, la vado a trovare la mammina...? »
E scoppiò in una fragorosa risata.

« Piantala » tuonò Dulwig, richiamandolo all'ordine.
Teslat tornò serio quasi subito e prese a fissarlo con aria a metà tra l'imbronciato e l'annoiato. « Il Maestro ci ha dato un compito e non consentiremo che tu lo metta a rischio. »
« Quindi sii serio, maledizione » sbottò, guardandosi in giro « questa è una guerra; abbi rispetto per i morti quantomeno! »
« I morti non sembrano farsi tanti problemi, onestamente » ribatté l'altro, ritrovando un poco della simpatia perduta.
Dulwig lo fissò nuovamente, con tono adirato. Sembrava in procinto di mollargli un ceffone da un momento all'altro.
« Oh Dulwig, dammi tregua » riprese Teslat, portandosi le mani al petto « il Maestro ha fiducia nei miei mezzi, ti prego di averne anche tu. »
« Eh sia; ora vai, prima che ti scoprano » ribatté il primo, indicandogli il raduno dei Sussurri in lontanza.
« Si, stai sereno; tu, piuttosto, tornatene tra le tue Cornacchie » disse ancora, trattenendo una risatina isterica.
« Corvi » rispose Dulwig, indossando una maschera bianca « si chiamano Corvi. »

Poco dopo, Teslat raggiunse i Sussurri radunati dinanzi al loro leader.
Nessuno avrebbe potuto notare la differenza, così com'era vestito. Aveva pantaloni scuri, una corazza di cuoio nero borchiata in ferro e con lacci stretti attorno alle gambe ed alle braccia. Aveva, sopratutto, una bandoliera di coltelli allacciata al torso e ciocche di capelli rossicci che gli scivolavano da sotto le fasce di tessuto con cui aveva coperto il volto. Era una perfetta rappresentazione di colui che aveva ucciso e a tutti quelli che gli chiedevano chi fosse, lui rispondeva secco: « Anton Twaine, Sussurro e fedele servitore del grande Kuro. »
« Pronto alla battaglia »

 
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view post Posted on 26/1/2015, 22:27
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Cavalier Fata
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Rise of the Whisper - Ciò che Diventeremo.
« La sua ora più bella. »

La folla rendeva difficile il passaggio anche a uomini dal fisico prorompente come Seregon. Il motivo era molto semplice: le strade si erano riempite sin quasi a scoppiare e raggiungere il luogo dell'esecuzione era divenuta una impresa titanica. Con non poca fatica riuscii a liberarmi uno spazio, mentre cercavo di non perdere di vista i miei due compagni, rimuginando su quanto mi aveva detto Ryellia. Mark Smith non si fidava praticamente di nessuno, il che non mi stupiva più di tanto visto il gioco di spie che si era venuto a creare tra collaborazionisti, volontari o meno, e semplici fedelissimi alla causa insonne. Quello che mi indispettiva, notevolmente, era il fatto che tutta la resistenza e moltissimi innocenti avrebbero dovuto gettarsi a testa bassa nella mischia, senza avere la certezza di quanto sarebbe accaduto. La mancanza di una strategia definita irritava ogni centimetro del mio essere, da capo a piedi. L'unica cosa positiva risiedeva nel fatto che sarei stata con Ryellia ad affrontare quella naufragante impresa e, se fossi perita, probabilmente lo avrei fatto per una giusta causa. Per quanto riguardava Fanie Elberim, invece, il discorso era ben diverso.
Non si trattava di banale razzismo o xenofobia immotivata, il fatto che fosse un'elfa influiva solo in minima parte in ciò che avevo prefigurato per quella situazione, eppure non potevo fare a meno di notare come fedeli sostenitori del Sovrano si fossero legati ad una entità esterna allo stesso. Un'eretica, sotto certi aspetti, eppure una patriota come difficilmente avrei potuto esserlo io, seppur umana. Rappresentava un poco l'esempio da seguire e, allo stesso tempo, la vergogna più grande che il regno poteva fregiarsi di avere... se persino una straniera, una figlia degli alberi, aveva potuto assurgere al ruolo di difensore dell'umanità, cosa stavano facendo gli uomini? Combattevano tra di se, mangiandosi via pezzi di anima senza rendersi conto di quello che avrebbero perso alla fine della guerra. Mi scoprii ad ammirare una donna del genere, qualcuno dotato di abbastanza coraggio da provare a spezzare il circolo vizioso in cui eravamo incatenati.

Da sotto un pesante abito logoro, che nascondeva la corazza ed il viso sin troppo riconoscibile, mi voltai verso i miei compagni. Mancava poco all'arrivo nella piazza e l'ammassamento di persone superava di gran lunga le mie aspettative: nessuna guardia cittadina sarebbe riuscita a capire qualcosa in quel marasma. Era la nostra occasione di agire.

« Eccoci qui. » dissi a bassa voce. « Dobbiamo dividerci e metterci in posizioni strategiche. »
Fissai Seregon e Viktor per qualche istante, indecisa su cosa dire loro. Non conoscevo bene la città, ma sapevo che la scelta migliore era non trascinarli sui tetti con me, ci serviva qualcuno pronto ad intervenire a terra.
« Io andrò sui tetti, vedete quel palazzo? » indicai una struttura residenziale piuttosto spartana sul limitare della strada che stavamo percorrendo.
« Io mi apposterò lassù con un mio contatto della resistenza. Proveremo a tenere sotto controllo la situazione. La cosa migliore per voi è trovare un luogo riparato da cui spiare la folla: Mathias non si farà vedere molto facilmente ed al minimo allarme fuggirà privandoci della nostra occasione. »
Mi voltai di nuovo verso il viavai di gente, ritrovandomi spintonata a destra e manca. Era davvero una situazione preoccupante, un attacco diretto avrebbe provocato decine di vittime civili, dovevamo essere cauti e attenti nell'agire. Discrezione era il termine giusto. Eppure sapevo, in cuore mio, che molta di quella gente avrebbe rischiato l'osso del collo senza alcuna colpa.
« Io so che questa non è casa tua. » mi rivolsi al gigante, in prima persona. « Forse non è nemmeno la tua guerra. Ma so che odi i demoni, le aberrazioni, i non morti. Hanno tutti in comune la sete di morte, di distruzione, la voglia di annientare il mondo che conosciamo. Mathias, per queste persone, non è né più né meno un demone ed in futuro, se combatterai con noi, non dimenticherò il tuo aiuto. »
Gli sorrisi. Un uomo del suo calibro, per quanto irruento e selvaggio, poteva essere esattamente ciò di cui avevamo bisogno per tenere testa al Lorch mentre liberavamo Fanie. Non si trattava di una esca, tutt'altro, per come la vedevo io era l'unico che, fisicamente, potesse anche solo avvicinarsi a tenere testa alle abilità combattive del Tiranno. Ed il dolo delle mie ferite era ancora fresco, a ricordarmi di quanto avevo rischiato affrontando solo un misero cane brado.
« Devo andare. Un ultimo consiglio... non morite inutilmente. So che il desiderio di lottare per quello in cui si crede è forte, il vostro cuore arde come il mio per la battaglia, ma lanciarsi in uno scontro senza possibilità di vittoria non è eroismo, è follia. »
Mi congedai con un inchino, dopo avergli lasciato il tempo per congedarsi.



Mi addolorava non aver rivelato loro chi fosse il mio "contatto" ma temevo di dover dare spiegazioni troppo esaustive se avessi nominato una Lancaster come amica della resistenza. Il seme del dubbio ha una fioritura molto rapida e non avevamo bisogno, nel modo più assoluto, di dubitare di noi stessi. Ryellia era dalla nostra parte, lo era sempre stata, il fatto che dividesse il sangue con chi proteggeva Mathias non significava che ne condividesse anche il pensiero. L'avrei protetta, a modo mio, da quelle stupide accuse.
C'era, poi, la questione di Ainwen. Non avevo dimenticato ciò che ci eravamo dette, di sfuggita, per un breve istante, e non avevo fatto altro che pensare alle sue parole ed al significato più profondo che potessero avere. Non ero certamente io la donna destinata ad estirpare l'anima del signore insonne da questa terra, c'era una lista infinita di uomini e donne furibondi, eppure non potevo fare a meno di chiedermi, se fosse toccato a me vibrar l'ultimo colpo, cosa avrei fatto. Ucciderlo direttamente, come voleva la dama cieca? Eliminare l'idra, sconfiggere il tiranno, adempiere al mio destino... grandi paroloni, grandi teorie, eppure io non ero accecata dal desiderio di vendetta come molti altri, nella resistenza e tra la popolazione. Sì, Lorch mi aveva umiliata e non aveva nemmeno preso in considerazione l'idea di porre fine alla mia vita in maniera onorevole, ma dall'altro lato grazie a lui avevo capito in che mondo sarei stata costretta a vivere il resto dei miei giorni.
I mormorii tra gli abitanti in fermento si sprecavano: dalla disperazione, alla rabbia, al desiderio di rivalsa finanche a chi, oramai disperato, si diceva afflitto e spezzato nei suoi ideali al compagno, all'amico, all'amata. Basiledra viva giorni bui, terribili, e la responsabilità di ciò che sarebbe accaduto nel futuro pendeva sulel nostre spalle. Non potevamo rifuggire ad un simile onere, non più, liberare il regno o morire tentando, null'altro.
Eppure io, da sotto il mio ruvido mantello color cenere, non mi sentivo affatto eroica.

Ed in tutto questo che ruolo aveva la fede? Non c'erano cavalieri in armatura scintillante, né alfieri con orgogliosi stendardi a sancire la fine di Mathias, ma solo un gruppo di affatto cavallereschi rivoltosi capitanati da uno stregone altezzoso. Mi sentivo fuori posto, come se una parte di me gridasse di andare altrove, di lasciare che Basiledra soffocasse nel suo stesso male. Mathias non era altro che l'ennesimo figlio bastardo procreato dall'uomo, non era un grande male, il tempo lo avrebbe spazzato via così come avrebbe spazzato via tutti, eppure restavo. Se non altro noi, poveri sciocchi, eravamo lì per rimediare agli errori di qualcuno, per far sì che l'equilibrio e la giustizia tornassero a trionfare nelle verdi colline e nelle rigogliose valli. Era difficile crederci, persino per me che avevo una infinita fede nel divino, ma forse il lieto fine poteva esserci, forse il futuro poteva essere diverso.
Le cose dovevano cambiare quel giorno, e sarebbero cambiate comunque, tutto stava nel riuscire a far si che la prossima alba su Basiledra avrebbe visto il vessillo di una città libera dall'oppressione.

[ ... ]

Dopo qualche faticoso minuto di vicoli, strade affollate e spintoni, arrivai da Ryellia. Mi aspettava all'ingresso della palazzina che avevamo scelto per arrivare sui tetti e non sembrava troppo preoccupata dal mio lieve ritardo. Si complimentò con me per aver egregiamente evitato di fare il suo nome, non che avesse paura di dichiararsi nemica di Mathias, ma un minimo di sicurezza laddove non era espressamente necessaria la trasparenza avrebbe solo che giovato. In compenso, non senza un briciolo di amarezza, espressi i miei dubbi sulla segretezza dei piani di Mark Smith. Le vittime civili, in una azione così scoordinata, sarebbero state imbarazzanti per qualsiasi uomo d'onore, ma forse c'era qualcosa che sfuggiva ad entrambe e che il mago, invece, aveva ben chiaro.
Anche la mia compagna era preoccupata ma, a differenza mia, sapeva reggere meglio lo stress di quei momenti, come vi fosse naturalmente abituata, una donna nata in mezzo alla battaglia, in una famiglia dove la guerra non era solo un increscioso spargimento di sangue ma una necessità. C'era qualcosa da ammirare in lei, dopo tutto, ma avrei avuto tempo e modo di approfondire quell'amicizia appena germogliata una volta che tutto fosse tornato alla normalità.
Aprii lentamente la porta dell'abitazione, controllando che non ci fosse nessuno ad accoglierci, lasciando che entrasse prima la dama Lancaster. In seguito, rapidamente, entrai anche io scrutando bene che non ci fossero sguardi indiscreti rivolti al nostro indirizzo: una volta al sicuro buttai giù il cappuccio, liberando i capelli biondi ed arruffati per tutta la testa. Cercai di sistemarli al meglio con le mani, in una specie di rituale involontario per essere sempre presentabile, ma l'operazione fallì miseramente e, senza darci troppo peso, presi a salire ai pieni sopraelevati.

Il nostro obiettivo era quello di posizionarci in un sottotetto con finestra, tenendo d'occhio la situazione e, eventualmente, avvistando subito qualsiasi cambiamento nella zona sottostante. Non ero entusiasta di rimanere lassù immobile, silenziosa, come una ladra in procinto di intrufolarsi in qualche appartamento, ma mi ero lasciata convincere che fosse la situazione migliore. Volevamo evitare di finire imbottigliate nel marasma sottostante e, soprattutto, dovevamo avere linea di visuale su Mathias per poterci accertare di colpire il bersaglio giusto.
Continuai a muovermi, lentamente, e mentre il rumore del legno scandiva ogni singolo passo a causa del peso imposto dalla mia corazza, guardai di sfuggita i lineamenti della donna che mi accompagnava. Avrebbe potuto benissimo essere mia sorella maggiore, per certi versi, ed in un moto di infantilità provai il forte desiderio di confessarle quella stupidaggine, ma lo repressi. Avevo già un fratello ed il suo operato mi era quasi costato la vita e l'esilio. Guardai verso il basso, con gli occhi colmi di una sorprendente tristezza, incapace di sostenere da sola e per tanto tempo, un peso del genere sulla mia coscienza. Avrei avuto bisogno di sfogarmi, di riprendere in mano le redini della mia vita, e solo con una Basiledra libera questo sarebbe potuto avvenire.

« Conoscevate Fanie? »
Domandai, a bassa voce.
« Sì, la conosco. Ero con lei quando è stata presa in ostaggio da Lorch... »
« An malheur Ryellia. Non ho avuto tale fortuna invero, ma vale il rischio di tutte le nostre vite? »
Domandai quella cosa ingenuamente, senza pensare al fatto che avrebbe potuto turbare l'animo di chi, a Fanie, doveva la vita o molto, molto di più. Tuttavia credevo legittimo preoccuparsi del fatto che la sopravvivenza di una eroina pregiudicasse quella di decine di innocenti. Fortunatamente dama Lancaster colse le mie parole in maniera fraterna, senza malizia. Sospirò.
« Se siamo qua oggi, a combattere, a resistere, è solo grazie a lei, alla sua forza e alla sua estrema caparbietà. La cosa più buffa... E' che se facessi a lei questa domanda, ti risponderebbe di sicuro che no, non ne vale la pena. »
« L'umiltà è un'attitudine encomiabile. » mi portai una mano sul petto, quasi come a voler mostrare rispetto per tale atteggiamento. Quella donna, sebbene non l'avessi mai conosciuta di persona, si stava formando nella mia mente pezzo dopo pezzo, come un rompicapo risolto mano a mano che ogni persona mi donava la sua visione di Fanie. Un mosaico intrigante, ricco, doloroso. « Ciò che mi spaventa non è Lorch, egli è umano e fallibile come tutti noi, ma quello che verrà dopo. »
Mi fermai vicino ad una finestra, piccola e dal vetro consunto, sbirciando la massa popolare che gorgogliava all'esterno. Cosa sarebbe successo a tutta quella gente, se avessimo fallito? « Se ci riusciamo abbiamo tagliato la testa al serpente... ma siamo pronti a gestire ciò che accadrà? »
Ryellia parve soppesare le mie parole, come se la domanda richiedesse una risposta precisa, delicata.
« Dovremo esserlo. Qualsiasi cosa sarà meglio di questo, faremo in modo che lo sia. Non sarà facile, ma dopo aver provato la tirannia di Lorch ci sarà senz'altro qualche reazione positiva... Possiamo solo aggrapparci alle nostre speranze. »
Speranze. Sorrisi proseguendo a salire le scale, oramai quasi giunte al termine. Al nostro fianco scorrevano le porte silenziose e gli appartamenti svuotati dei loro inquilini, scesi curiosamente in piazza per prendere parte a quell'evento unico.
« Le cose cambieranno, sì... » cercai di dissimulare i miei timori, le mie preoccupazioni, ma senza troppo successo.
« Sapete... una donna ha detto che, al momento opportuno, non avrei dovuto esitare. Si riferiva ad uccidere Mathias, ovviamente, ma temo ci sia la fila per quel genere d'onore. » quasi mi lasciai sfuggire una risatina, come se quanto avevo detto fosse una mera fesseria. O un desiderio impossibile.

Davanti a noi apparve la fine del corridoio e la trabeazione del tetto. Poco distante una fila di finestre permettevano alla luce di entrare e all'aria di circolare liberamente. Il tutto era pieno di cianfrusaglie, mobili dismessi, oggetti a cui gli inquilini erano troppo legati per potersene semplicemente sbarazzare, ma nulla di valore. « Ecco la finestra » prima di sbirciare all'esterno ed iniziare a sorvegliare la piazza, però, mi voltai verso Ryellia restando un attimo in silenzio.

« Ryellia, qualsiasi sia la nostra fine oggi, sappiate che è stato un piacere fare la vostra conoscenza e, seppur brevemente, godere della vostra compagnia. »
Portai una mano sul ventre lasciandomi andare ad un profondo e rispettoso inchino. Se dovevo realmente morire quel giorno, tanto valeva farlo per una giusta causa e rimanendo fedele ai miei princìpi, sino all'ultimo istante.
L'eleganza della Lancaster non venne meno e, dopo un inchino a sua volta, mi rassicurò con parole gentili.
« Non temere, amica mia, non permetterò che questa sia la fine, per entrambe. E per quanto riguarda Lorch... Mi accontenterei di vederlo morire, senza che sia necessario che sia la mia mano a porre termine alla sua vita. »
Allungò una mano, toccandomi una spalla. Un gesto semplice, all'apparenza banale, ma che nessuno aveva avuto l'accortezza di farmi da molto, troppo tempo. Quel singolo contatto fisico mi fece tornare la voglia di combattere, di vivere, perchè per quanto sciocco fosse, avevo trovato qualcuno che vedeva in me un'amica, un qualcuno di cui fidarsi. E nell'ora più buia, assieme, avremo lottato per qualcosa in cui valeva la pena credere.
« Mercì, madame. » la ringraziai, voltandomi ora alla finestra.
« Sarà uno splendido gran finale. »

Sovrano, Dio onnipotente che guidi la spada degli uomini,
ci accingiamo ad affrontare un nemico superiore in forze ed in crudeltà,
combattiamo il seme della cattiveria, ci battiamo per quello che è giusto.
Dacci, Sovrano, il coraggio per combattere oggi, domani e mille volte ancora,
financo l'ultimo invasore non lascerà il sacro suolo della tua città.
Lascia che i vessilli del tuo regno garriscano al vento,
gonfiati di rinnovato coraggio ed immancabile fede.
Fa che le nostre lame siano affilate! Fa che le nostre corazze siano invincibili!
Fa che i nostri cuori non conoscano la paura!
Lascia che Basiledra si levi, ora e per sempre, nella sua ora più bella!



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B. 5% - M 10% - A. 20% - C. 40% - M. 80%

Capacità Speciali: 2 Resilienza 1 Tenacia (3)
Stato fisico: Illesa.
Stato mentale: Illesa.
Riserve Energetiche: 100%
Stato Emotivo: Preccupata.

Equipaggiamento:
• Spada Bastarda (Arma bianca, spada bastarda)
• Braccio Corazzato. (Arma bianca, conta come maglio)
• Corazza Mista. (Protezione mista, metallo-stoffa, medio-pesante)

Passive:
• Figlia dell'umanità. (Passiva Raziale Audacia, non sviene sotto al 10% delle energie)
• Baluardo della fede. (Passiva Talento Guardiana I, capacità di lanciare difese istantanee)
• Europa, il grande sguardo. (Passiva Talento Guardiana II, difese ad area uguali al costo)

Attive: ///

Note: Dialoghi concordati con Kita (faremo metà per uno) la prima parte è per Akuma e Humean.
E via... verso nuove avventure! In sintesi: Azzurra e Ryellia entrano in una casa semi deserta (sono tutti in piazza) e arrivano sin sotto al tetto, dove ci sono delle finestre per l'aerazione e la luce, da queste guardano l'esterno.)
 
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Humean
view post Posted on 27/1/2015, 16:34




Se Dio sopprimesse i peccatori!
Allontanatevi da me, uomini sanguinari.
Essi parlano contro di te con inganno:
contro di te insorgono con frode.
Non odio, forse, Signore, quelli che ti odiano
e non detesto i tuoi nemici?
Li detesto con odio implacabile
come se fossero miei nemici.



Una densa coltre di nubi ammantava Basiledra, in quella che doveva essere la mattina più importante della storia della città dai tempi del Crepuscolo. L'aria umida e gelata penetrava implacabilmente nella carne, fino alle ossa, e la luce tetra che filtrava attraverso i nembi donava alla Capitale l'atmosfera solenne e grave che ben si addice ad un appuntamento con il Destino.
Affrettando il passo, mi strinsi nel pesante mantello, cercando di scacciare il freddo e al contempo la tensione. Non era facile, neanche per un cuore di pietra, rimanere imperturbabile in una condizione come quella. E in effetti nella città brulicante di folla non sembrava ci fosse una sola persona che non avesse percepito, in qualche modo, che qualcosa di enormemente significativo si sarebbe verificato. Quell'evento avrebbe segnato la sorte di tutte le teste dei Quattro Regni, in un senso o nell'altro. L'intera vicenda, in quel momento, era rappresentata – o per meglio dire incarnata - da due figure contrapposte: quel giorno avrebbe necessariamente segnato la morte di una e il trionfo dell'altra, e i destini delle innumerevoli anime dell'umanità avrebbero seguito la prima o la seconda. A noi, agenti e fiancheggiatori della Resistenza, era affidato il compimento fatale.
Dalla nostra parte, padrona solo del suo orgoglio e della sua alta dignità stava, in catene, la grande avversaria della Guardia Insonne, la luce dei lealisti e degli uomini pii: l'elfa, Fanie Elberim. Secondo i programmi degli apostati, la sua testa sarebbe dovuta cadere prima del tramonto: per questo la cittadella sembrava più che mai un'immensa gendarmeria, pullulante degli armati del Tiranno. Questi ultimi non si astenevano da alcuna turpitudine pur di adempiere alla loro missione di stroncare alla radice ogni possibile perturbamento dell'esecuzione. Con costoro noi, i perturbatori, dovevamo confrontarci, per portare Fanie in salvo al prezzo delle nostre vite.
Al suo posto, l'altra grande figura di questa storia doveva lasciare questo mondo: Mathias Lorch, la bestia sanguinaria che teneva sotto il suo tallone tutto ciò che di santo e di giusto i regni degli Uomini avessero mai concepito e costruito. Invero, in quel momento egli sembrava intoccabile, baldanzosamente sicuro di sé, circondato da centinaia di spade fedeli e dalla reverenza di tutta la città. Un osservatore superficiale, a vedere l'immensa potenza di cui egli disponeva e faceva sfoggio, avrebbe detto che solo la disperazione guidava i suoi nemici contro di lui. Ma proprio l'ostentazione sfrontata del potere doveva invece far presagire che il suo ordine effimero era costruito sulla sabbia. Egli non poteva più fare a meno del terrore: qualora avesse rinfoderato la spada ogni uomo giusto gli si sarebbe ritorto subito contro, e per questo era costretto a rammentare a tutti la sua forza, finché questa lo sosteneva. Ma più Lorch ritardava la sua inevitabile caduta, più essa sarebbe stata spettacolare e grandiosa.
Questi i miei turbolenti pensieri, mentre cercavo coi miei compari di farmi strada attraverso il fiume di persone di ogni risma che cercava di risalire a Borgo Alto. Tra le mille facce contrite o annoiate o preoccupate che mi sfilavano davanti, per poi sparire nel continuo indistinto della folla, cercai quella di Seregon, il gigante, che seguivo a breve distanza. Il caso ci aveva presi per mano e condotti insieme a quell'appuntamento. Noi, così diversi, avremmo recitato insieme una piccola parte del grandioso spettacolo che sarebbe stato inscenato.
L'umidità non dava tregua alla mia ferita mal rimarginata, e io gliene ero grato. Dovevo ricordare bene con quali mostri avevamo a che fare e sgomberare la mente da qualsiasi scrupolo. Dovevo essere pronto a versare fiumi di sangue impuro, e tenere così fede al voto sacro che avevo silentemente stipulato nella Cattedrale. Incredibile pensare che fino a pochi giorni prima ero stato costretto ad assistere impotente alle empietà degli invasori e all'improvviso, grazie ad un incontro casuale con una ragazzina, ero chiamato a scrivere la storia.
Azzurra... scorgevo davanti a noi la sua figura fare strada, così minuta e tuttavia così energica. Chissà se pensieri simili le attraversavano la mente, in quel momento.
Intanto, avevamo quasi raggiunto la grande Piazza. Azzurra si voltò e ci istruì brevemente: dovevamo dividerci e sceglierci una buona posizione, da dove aspettare che si fosse alzato il sipario. Lei si sarebbe appostata altrove, con un quarto uomo. Fu piuttosto vaga, a dire il vero: il segreto che ammantava l'operazione era completo; e benché tale opacità fosse stata studiata per sicurezza, non poteva che seminare il dubbio in noi semplici, ignari strumenti. Sperai in cuor mio che qualcuno dei nostri avesse un piano valido per gestire un'azione così delicata, malgrado le imponenti misure che il Tiranno aveva predisposto. Azzurra non mi aveva rivelato quanti uomini fossero arruolati nelle file della Resistenza, né come avevano intenzione di agire; mi aveva richiesto un atto di fede, ed io glielo avevo concesso, contro ogni prudenza. Ma cos'è la prudenza pavida di un mortale rispetto alla grandezza di Colui che ero chiamato a servire? Si congedò con queste parole:

«Devo andare. Un ultimo consiglio... non morite inutilmente. So che il desiderio di lottare per quello in cui si crede è forte, il vostro cuore arde come il mio per la battaglia, ma lanciarsi in uno scontro senza possibilità di vittoria non è eroismo, è follia.»

L'intera vicenda era follia, se volevamo essere franchi: sin dall'inizio. Il Regno del Terrore sguazzava nella follia sanguinaria del Tiranno, e d'altra parte le gracili speranze dei suoi nemici sembravano sogni ad occhi aperti. Ma questo dettaglio non poteva fare la differenza, oramai. Rien ne va plus, les jeux sont faits. Il nostro destino si sarebbe compiuto.
Lanciai un'occhiata penetrante all'omone che era con me, mentre la nostra giovane guida si dileguava. Non ricordavo di essermi mai rivolto a lui direttamente, nella breve storia della nostra reciproca conoscenza, e non mi sembrava certo il caso di cominciare in quel momento. Magari, se ne fossimo usciti vivi entrambi, avrei avuto l'opportunità di ricredermi su di lui. Ma tutto ciò che oltrepassava l'orizzonte temporale di quel di' non poteva che apparirmi molto, troppo remoto. Mi voltai in silenzio e lasciai che la folla mi inghiottisse. Se Seregon lo avesse ritenuto opportuno, mi avrebbe seguito di sua iniziativa; altrimenti le nostre strade si sarebbero incrociate più avanti.

-

Presi posizione al margine estremo della piazza, in un angolo coperto. Era affollata come avevo preventivato, e il brusio di mille voci riempiva l'atmosfera. Il numero e la distribuzione dei soldati suggeriva l'idea che fosse completamente blindata. Per quanto mi riguarda, davo le spalle ad uno degli ingressi del largo spazio; da dove ero collocato potevo quindi monitorare l'eventuale afflusso di rinforzi ostili, e nel caso di bisogno perdermi nella fitta rete di vicoli che non dubitavo mi avrebbero offerto riparo. Tirai un lungo sospiro, volto a scaricare i nervi. Non rimaneva che l'attesa.



Consumo Energetico: B. 5% - M 10% - A. 20% - C. 40% - M. 80%
† Capacità Speciali: 2 Intelligenza, 1 Astuzia
† Stato fisico: Illeso.
† Stato mentale: Lucido.
† Riserve Energetiche: 100%
† Stato emotivo: Nervoso.

† Equipaggiamento:
-Pistola (5 colpi)
-Coltello da cacciatore
-Veste pesante

† Passive:
- FIDES † Passiva Personale - Difesa Psionica passiva.
- SPES † Primo e secondo livello della passiva del talento Evocatore, Passiva Razziale - Presenza demoniaca.

† Attive: ///

† Note: Dopo essere giunto sul posto con Seregon e Azzurra, Viktor se ne separa e si posiziona su un ingresso al margine della piazza, da dove può controllare il flusso di persone che entra o esce e in caso aprirsi una via di fuga.
 
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view post Posted on 27/1/2015, 22:18
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Ardeal ~ Giorni Prima


Quando Ho Igoo entrò nel giardino, la sua Signora sedeva sul bordo di una fontana. Aveva le dita della mano destra immerse nell'acqua ancora gelida e gli occhi ciechi chinati verso il basso. La bambola, seduta sul suo grembo, guardava all'orizzonte di siepi che divideva il palazzo dai campi. Era piacevole quel freddo, la faceva sentire viva, una sensazione di cui aveva bisogno dopo gli eventi recenti. Voleva sentire di esserci ancora, lì, in quel luogo. Voleva legarsi a quell'acqua ed essere parte di Ardeal.


Signora”.


La sua spia ammantata di verde si inchinò galantemente. Faceva freddo, lì fuori, un venticello lieve, gelido, non dava loro tregua da giorni. Lei era avvolta in un mantello scarlatto orlato di pelo, eppure le guance e il naso erano arrossati. Lui tremava visibilmente, eppure non propose di rientrare. Né lo fece lei. Voleva tenere le dita al gelo, voleva provare dolore e poi ritrarle nel tepore. Come era accaduto quando lui l'aveva stretta tra le braccia.


Dalla capitale sono giunti passerotti cinguettanti”.


La voce di lui ebbe un tremito, mentre si stringeva il mantello al collo. La bambola girò il capo verso di lui, gli occhi di vetro gli si fissarono addosso. Non le interessava della capitale. Ne aveva paura, come di tutto il mondo che la aspettava là fuori. Nella capitale c'era un dittatore folle, e tanto bastava. Che rimanesse al suo posto, scontrandosi con la memoria di Caino, almeno finché lei non avesse portato a termine la propria ricerca. E allora, quando fosse tornata, non sarebbe stata sola. E sarebbero stati loro a temerla. Sollevò la mano dall'acqua, stringendo il pugno anestetizzato. Non avrebbe più lasciato che la mettessero con le spalle al muro.


Fanie Elberim, l'eroina della ribellione, verrà presto giustiziata”.


Storse la bocca. Le solite stupidaggini da tiranni dispotici. Non amava le donne che si credevano cavalieri senza macchia e senza paura. Non quando si facevano catturare e condurre al patibolo. Non quando tentavano di fare gli uomini e finivano solo per morire come loro, inutili sacchi di carne penzoloni ad agitare i piedi. Se quella Fanie Elberim si fosse guardata le spalle e si fosse mossa con maggiore cautela forse sarebbe stata ancora viva. O forse sarebbe stata come lei, rintanata in una tana nascosta ad attendere il momento giusto.
Vigliacca.
Forse, ma ancora viva. Quindi perché sprecare energie per occuparsi di una che non aveva seguito il suo esempio? Perché provare empatia per una fulgida fanciulla in armatura scintillante per cui sicuramente tutti provavano simpatia? Che fossero loro a salvarla, ammesso fossero davvero interessati.


Il popolo è in tumulto, signora. Forse Mathias Lorch non dovrebbe dormire sonni tranquilli”.


Lui sorrise e lei gli fece eco. Rivolse il capo verso di lui, gli occhi ciechi levati al suo viso. Era una bella battuta, convenne, ma non era quello ad averla interessata. Inaspettatamente, una delle forze più grandi del regno si era mossa: il popolo gretto, incompetente e pecorone aveva iniziato a bollire come acqua sul fuoco da troppo tempo. Come aveva accolto i Lorch a braccia aperte ora era pronto a scacciarli. Non era certa che sarebbe funzionato, ma le probabilità erano buone. Il popolo era l'unica arma di cui ormai la Guardia Insonne non potesse disporre.
Tentò di immaginare gli esiti dell'esecuzione e della rivolta. Morto un re ne sorge un altro, naturalmente. Ma era proprio quello a metterle inquietudine. Si alzò in piedi. Aveva perso la calma e la ritrosia di poco prima. I suoi piani, così ben architettati, avrebbero potuto divenire inutili come cenere se sul trono si fosse seduta la persona sbagliata.
Stupidi. Stupidi, piccoli, impazienti popolani ignoranti. Invece di aspettarla si erano fatti fomentare da qualche altro predicatore da quattro soldi. Uno che l'aveva preceduta sul tempo. E lei non poteva certamente stare ad aspettare. Doveva andare, osservare. Se necessario doveva intervenire. Doveva essere parte degli eventi per poterli stringere tra le mani e modellare quando fosse venuto il momento. Nessun vasaio crea un'opera senza possedere la creta.


Chiama il Conte”.


Le labbra strette, iniziò a camminare rapida verso il palazzo. Ho Igoo l'affiancò con facilità, senza porre altre domande. Sapeva che lei avrebbe continuato.


E avvisa gli altri. Andiamo a Basiledra”.


~ Basiledra


La carrozza si era fermata a debita distanza dalla piazza, per non essere frenata dalla folla che vi si dirigeva come una marea. Ancora non vi era traccia della condannata, eppure la Guardia Insonne e i cittadini già si mescolavano gli uni agli altri nel gioco confusionario della morte. Alcuni venivano arrestati, altri morivano, altri cercavano i segnali della Resistenza per potervisi unire al momento giusto. Loro due erano semplicemente osservatori, due figure ammantate e prive di volto. Lei, coperta da un mantello bianco, accecante sotto il sole. Lui, celato da una seta simile a tenebra. Mano nella mano, si insinuavano dove gli altri non camminavano, senza spingere e senza forzare, simili a ciottoli portati dalla marea. La bambola, appena nascosta sotto le falde chiare, fissava il palco vuoto. Forse quel giorno una guerriera sarebbe morta. Ainwen storse la bocca: non le sarebbe dispiaciuto veder penzolare la paladina dal buon cuore, un doloroso sacrificio per un benessere superiore. Ma dopo tutto, forse quel giorno sarebbe vissuta. E avrebbe potuto assistere all’ascesa di un nuovo araldo delle folle. Non lei, naturalmente. Chinò il capo lievemente, assecondando i propri pensieri. In un certo senso entrambe avrebbero guardato la Resistenza. Ma lei, Ainwen, sarebbe stata in una posizione privilegiata. Si sarebbe potuta permettere di assaporare in ogni caso gli esiti di quella giornata.
Strinse la mano di Gabriel, al proprio fianco, sfiorandolo con la spalla. La bambola si girò per un istante a incontrare il suo sguardo.
Ne siamo sicuri?
Certo che lo erano. C’era stato un momento in cui si era indispettita per quella gretta iniziativa del popolo. Non era in quel modo, armati di pale e forconi, che avrebbero ristabilito l’ordine così come lei lo immaginava. Non era in quel modo che si era aspettata di raggiungere il potere. Già una volta avevano rovinato tutto.
Ma ora sarebbe stato diverso. Perché l’idea del Conte era stata assolutamente geniale. Socchiuse gli occhi, i propri, quelli inutili, cullandosi nell’aspettativa di quello che avrebbero fatto. Da qualche parte, attorno a loro, i capi della ribellione stavano sudando. Probabilmente contavano il trascorrere dei secondi, e ogni attimo era un respiro di vita che era loro concesso, la conferma di non essere stati ancora traditi, di avere ancora una possibilità di agire. Da qualche parte, al sicuro tra le mura, un re stava misurando la forza di un corpo che presto si sarebbe raffreddato. O che presto avrebbe assistito alla propria definitiva vittoria. Ogni secondo lo avvicinava alla conclusione di quella confusa fiaba senza eroi.
E da qualche parte una donna priva di alcun interesse, che quasi non aveva sentito nominare. Una pedina come tante altre. Stava per scatenare una ribellione accesa tanto quanto l’ultima e a così breve distanza. C’era quasi da stimarla, questa Fanie Elberim. Forse, se fosse sopravvissuta, si sarebbe complimentata.
Perché in quel luogo, e non in un altro, Ainwen l’Oracolo stava guardando lo svolgersi del futuro. Non sapeva come sarebbe andata, non più. E forse ora anche il suo compagno lo aveva intuito. Ma non era importante, perché finalmente avevano un piano. E non importava chi fosse stato seduto sul trono, quando finalmente lo avrebbero portato a termine.

 
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view post Posted on 27/1/2015, 22:21
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Cuore di Marmo

« Quanti sono? »

La ragazza osservava dalla finestra la piazza su cui si ergeva il grande patibolo in legno. Respirava lentamente percependo ogni intenzione della folla che si aggirava attorno alla zona come falene curiose verso una fiamma. Il palco di quell'esecuzione era circondato da soldati Lancaster che impedivano agli uomini troppo curiosi di avvicinarsi troppo.
Chiuse gli occhi per concentrarsi maggiormente, prima di rispondere acida al ragazzo alle sue spalle.

« Cinquanta circa, ma continuano ad aumentare, per la tua felicità. »

Lui sorrise leccandosi le labbra quasi istintivamente. L'adrenalina scorreva nel suo corpo dandogli quella sensazione di eccitazione fremente che precedeva ogni battaglia. Sarebbe stato versato tanto sangue quel giorno, e finalmente avrebbe ottenuto la vendetta tanto bramata verso quei parassiti assassini.
Accarezzando l'elsa di Angelica, Mathias Lorch rispose ad Astryd Lorch con ironia.

« Sembra quasi che tu non voglia ucciderli tutti... »
« Non ho detto questo. »

I due chiusero la tenda lasciando cadere la sala nel trono nel buio. Era giorno fuori, ma il Tiranno che regnava su Basiledra ormai da parecchi mesi non aveva intenzione di mostrarsi prima del tempo. Al suo fianco Astryd lo guardava col cuore ricolmo di dubbi: Mathias aveva conquistato per diritto il titolo di Voce del Consiglio, ereditandolo senza passare dalle votazioni dopo la morte di Sigrund. Ma era veramente quella la figura degna di rappresentare gli ideali per cui avevano combattuto?
Astryd aveva provato a parlargli qualche volta, ricevendo solo risposte evasive. Ma il tempo a loro disposizione era ormai scaduto.

« Mathias, parla chiaramente adesso... cosa vorrai fare dopo? »
« Dopo? Ogni cosa a tempo debito, sorellina... »
« Questo, è il tempo debito. »

D'un tratto, il Tiranno vide le pareti della sala liquefarsi lasciando spazio ad uno spazio bianco infinito. Insieme a lui, la donna responsabile di quel sortilegio. Deglutì preoccupato: sapeva che Astryd avrebbe potuto letteralmente fondergli la coscienza. Sapeva che se non avesse preso il potere, il Consiglio l'avrebbe sicuramente eletta nuova Voce. E per sua fortuna sapeva che la bontà d'animo di quella ragazza non le avrebbe permesso di compiere simili sciocchezze.

« Cosa diavolo mi stai facendo? »
« Nulla, per ora. Ma voglio delle risposte. Credi veramente che i nostri uomini continueranno a seguirti nei tuoi dissennati capricci? Siamo arrivati a Basiledra per portare la Libertà, e tu guarda cosa hai fatto! Ti chiamano "Tiranno", come noi chiamavamo il Re che non perde Mai! Sigrund non avrebbe mai... »
« SIGRUND È MORTO! »

Mathias rispose furioso voltandosi verso la ragazza. Tutto intorno si fece rosso: erano nella sua mente, e le sfumature dell’ambiente si muovevano insieme alle emozioni dell’uomo: in questo modo nessuna menzogna sarebbe rimasta celata, e la Lorch avrebbe finalmente capito le motivazioni che lo spingevano a macchiarsi del sangue di così tante vite.

« Lo hanno ucciso davanti ai miei occhi, mentre tu eri a giocare con preti e bambini! Lui gli aveva offerto la pace, e loro lo hanno ingannato! Lo hanno accolto come vincitore per poi ucciderlo con un colpo vile alle spalle! Osa dire che si meritano la mia pietà... OSA! »

« Credi che non lo sappia? Sono una Lorch tanto quanto te, e come te ero legata a lui. Ma tu... tu stai andando oltre, e lo sai. Altrimenti perchè avresti scelto di lasciare la Spada senza un Re sepolta con Sigrund nei sotterranei di questo castello? Sai di non rispecchiare i valori che rappresenta quell'arma, la tua coscienza si sporca solo nel sentirla nominare. »

Era vero: il rosso iniziava ad incupirsi, e gli sguardi di Astryd e Mathias andarono alla cinta di questo, dove era tenuta Angelica, la lama rubata dal cadavere di Medoro. Una lama dei Quattro Regni invece della Spada senza un Re. Rimase sulla difensiva, titubando.

« E quindi? »
« Quindi è tempo di cambiare. Hai teso una trappola perfetta grazie a Fanie, attirando tutti coloro che ti sono ostili come mosche al miele, te lo concedo. Ti aiuterò a schiacciarli, ma da domani cambierai. Smetterai di essere un despota e onorerai la memoria di Sigrund portando la Democrazia tanto bramata dalle nestre famiglie.
E se non sarai tu... lo farò io al tuo posto.
»

Con l'ultima frase, pronunciata con un tono insospettabilmente minaccioso per Astryd, tornarono nel Cuore di Marmo. Nel mondo reale non era passato neppure un secondo.
Mathias deglutì nervoso, ma sorrise comunque alla donna che considerava come una sorella facendo un cenno con la testa. Avevano un accordo.

« E sia. Avrai la tua pace, avrai la tua libertà, avrai il tuo popolo felice. Domani sarò il garante di cui questa città ha bisogno, ma oggi sono ancora il Tiranno che questa città merita. »



Pochi minuti dopo, molte figure percorrevano il salone del Cuore di Marmo. Erano diretti all’esterno, e nell’ordine avrebbero attraversato prima il grande androne, poi il cortile interno, e infine sarebbero giunti alla piazza dell’esecuzione.
In cima al gruppo due file di soldati Lancaster ad aprire la strada. Subito dietro una decida fra le più potenti Guardie Insonne: i Cousland con i Cani Bradi più feroci, i migliori ammaliatori Hefford, e i temibili maghi Monmouth.
A seguire tre figure leggermente separate dall'avanguardia di soldati: al centro di un vero e proprio branco di Cani Bradi si trovavano Astryd e Mathias Lorch, con Angelica sguainata sulla destra. Insieme a loro, legata e imbavagliata, Fanie Elberim.
Senza contare la prigioniera, i due Lorch da soli avrebbero potuto tener testa a un intero contingente di uomini. Liberare la fondatrice della Resistenza sembrava quindi un’impresa impossibile.
Trenta minuti all'esecuzione.




 
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view post Posted on 27/1/2015, 23:59
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Roma! Roma? Si, Roma.

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Rise of the Whisper - Ciò che Diventiamo
«Mezzanotte e Mezzodì»

Ho sempre apprezzato le rivolte per una miriade di ragioni, ragione che forse i molti potrebbero persino giudicare come pura pazzia. Eppure una rivolta, un colpo di stato, una sommossa o persino un ammutinamento sono permeati di sentimenti tanto oscuri quanto nobili e giusti. Ammiro la naturalezza con cui ciò avviene, la perdita della libertà data per scontata è capace di mostrare i codardi per quello che sono e di trasformare le persone più umili in leoni che, pur privi di zanne, sono pronti a dare battaglia e perire per riavere quella libertà data così tanto per scontata. La morte giunge con naturalezza per molti in questi piccoli attimi di ribellione e rivalsa, ma per i sopravvissuti ve il premio più grande che si possa ricevere, la possibilità di essersi guadagnati la propria libertà e di poterne godere appieno. Una fortuna unica, che spesso molti non riescono a ricevere nell'arco di un'intera vita. I sentimenti del mio signore d'altro canto non sono tanto affini ai miei, il suo obbiettivo qui non è la libertà ma la morte. Siamo giunti nel cuore della notte, celati dalla tenebre e dal feroce ululato del vento. Le porte della città erano controllate da decine di soldati schierati come pedoni su una scacchiera, cani bradi con i nasi rivolti verso il vento nella speranza di carpire un odore insolito, diverso, quel tanto che basta per mettere in allerta le guardie. Il mio signore conosce bene quelle creature e con il vento a favore il nostro odore non li avrebbe mai raggiunti. Il che è un peccato, mi sono sempre piaciuti i cani bradi, da piccoli sono così carini ed affettuosi. Peccato che gli uomini del nord li facciano diventare cattivi e aggressivi, cani da guerra a cui piace giocare solo con il sangue delle loro vittime. Il mio signor si tiene lontano dalle entrate e si dirige fin sotto le mura, l'oscurità ci è amica e ci nasconde dagli sguardi delle vedette mentre il mio signore fa uso di un vecchio passaggio dimenticato sotto la torre Nord per entrare nella città indisturbato. Vecchie gallerie che non erano state percorse da molti e molti anni, una vecchia miniera forse adibita a via di fuga per la gente durante gli assedi. Incredibile cosa la gente possa dimenticare nel corso degli anni, se la resistenza avesse saputo forse non avrebbe dovuto ricorrere a tutti questi stratagemmi per entrare in città in pieno giorno, in mezzo a tutta quella chiassosa e puzzolente folla di contadini e guardie infreddolite. Però il mio signore ha taciuto questa informazione, egli semplicemente piega una vecchia lanterna adibita a leva e il passaggio si chiude con la stessa rapidità con cui si è aperto, una torcia presa in precedenza ad indicare il cammino nell'oscurità del tunnel.



Forse... «dico con una certa insicurezza, incapace di comprendere le piene intenzioni del mio signore» ...avremmo dovuto avvertirli di questo passaggio?

Il mio signore continua a procedere nei meandri di quelle antiche gallerie senza esitare, come se ricordasse esattamente ogni passaggio ed ogni via di quei luoghi, come se vi fosse già stato molto e molto tempo fa. Ve il silenzio per un po, forse non mi aveva sentita o forse non aveva semplicemente intenzione di rispondere alla mia domanda. Magari il ritorno a Basildera gli ottenebrava la mente con miriadi di ricordi più o meno vividi, dovevo solo pazientare finché la sua mente non avesse ritrovato lucidità.

« Non mi fido di loro, Odette. » dice egli con freddezza e semplice sincerità « Ciò che oggi è un alleato domani sarà un nemico. Può sembrare triste ma col tempo la gente cambia, il più delle volte non in meglio. »



Mi zittisco, il mio signore ha visto la guerra tanto nella vita quanto nella morte e probabilmente comprende certi concetti meglio di me. Non devo dimenticare il mio ruolo in tutto questo, io sono solo la sua memoria. Già una volta le memorie del passato lo hanno abbandonato, lasciandolo allo sbando e senza una meta prestabilita da seguire. Conosco quella sensazione, il sopravvivere senza uno scopo a parte la sopravvivenza stessa, giorni che passano nel giro di un'istante come pagine identiche di un monotono libro privo di finale. Per questo io lo seguo ovunque egli vada, scrivo ciò che egli vede e fa, appunto minuziosamente ogni luogo ed ogni pensiero del mio signore così che egli non dimentichi più. Solo questo mi è stato chiesto, nient'altro. Per lui le memorie sono il bene più prezioso di tutti, qualcosa che oro e gioielli non possono comprare ne rappresentare in alcun modo. Figlio del passato che cammina verso un futuro incerto e oscuro, eppure lui procede in questi tristi e umidi cunicoli dimenticati persino dagli stessi abitanti di Basildera. Dopo dieci minuti i cunicoli fangosi e puzzolenti lasciano posto ad un odore più antico e alla dura pietra scolpita di cui è fatta la città interna. Il mio signore spegne la torcia con un gesto che ne ghiaccia gli stracci imbevuti d'olio incendiario e poi abbassa il reggi-torcia, aprendo un passaggio che da alla periferia devastata di Basildera. Il passaggio si chiude dietro di noi e cui ha inizio uno dei miei giochi preferiti, nascondino. Il mio signore è molto bravo in questo gioco, specialmente ora che quelle strane erbe sui nostri mantelli fanno arrabbiare i cani bradi. Le nuvole in cielo cominciano a diradarsi per dare spazio alla luce della luna, mi piace la luna ma non mi piace che questa ci illumini mentre giochiamo a nascondino. Il mio signore lo sa bene quanto me che non si può giocare con tutta questa luce e non vuole incontrare nessuna di quelle pattuglie senza cani che non si fanno distrarre dal loro feroce abbaiare. Egli decide di non raggiungere il Cuore di Marmo, di entrare in una delle case abbandonate che danno sulla piazza dell'esecuzione e di nascondersi al suo interno. Saliamo le scale facendo attenzione a non far scricchiolare troppo la struttura in legno, guardinghi del fatto che forse i suoi inquilini o forse una guardia sbandata potessero nascondersi al suo interno. Deserta, solo mobilio e ragnatele ad accoglierci al suo interno insieme ad un silenzio interrotto solo dallo scricchiolare del legno sotto la pesante corazza indossata dal mio signore che mal riusciva a celare tale suono per quanto vi fosse attento. Giunti al secondo piano il mio signore nota una scaletta che sembra dare al sottotetto della struttura, per un attimo fissa il suo sguardo su di essa valutando se procedere ancora più in alto oppure no. Dismette l'idea con un leggero scossone della tesa mentre procede nel lungo corridoio, sulle pareti quadri sorprendentemente intatti che sembrano ritrarre diverse generazioni di una famiglia che probabilmente aveva vissuto li per svariati anni. Il mio signore entra nella stanza in fondo al corridoio ed attende il mio ingresso prima di chiudere la porta alle nostre spalle, sedendosi sul pavimento e semplicemente attendendo il giungere del giorno. La luna è altra nel cielo, la mezzanotte è ormai giunta e noi aspettiamo con ansia il mezzodì, quando il sole sarà alto e gli animi degli uomini e le donne di Basildera si solleveranno per reclamare la loro libertà. Si, sarà uno spettacolo bellissimo.



[ ... ]



La notte ha proceduto lenta è solenne accompagnata da suoni di ogni genere. Dapprima il silenzio assoluto spezzato solo dal passaggio di qualche pattuglia e dall'occasionale ringhiare dei Cani Bradi, forse consci del nervosismo dei loro padroni in vista del grande giorno. Poi Odette prese a scribacchiare sul suo piccolo diario ciò che è avvenuto sino ad ora, la partenza dal bastione, il viaggio nelle lande innevate verso sud, attraversando acquitrini e foreste sino a giungere qui, a Basildera. Un suono quantomeno piacevole che mi porta quasi a rilassarmi, a lasciar divagare i miei pensieri verso quanto sta accadendo. Due nomi, due teste ed un solo fronte. Fanei Ebreim, tipica paladina della giustizia pronta a dare la vita per i suoi ideali e per gli innocenti, quel classico epiteto di eroe incorruttibile e senza paura tipico delle fiabe che mia madre era solita leggermi quando ero ancora un bambino. Epiteto o no sono in molti ad adorare questa Paladina e la notizia della sua esecuzione ha attirato sostenitori ed amici della stessa da ogni parte del regno. Puzzo di trappola ad un miglio di distanza, se Lorch avesse voluto veramente disfarsi di Ebreim l'avrebbe fatta giustiziare nelle segrete del castello, lontano da sguardi indiscreti per poi far appendere il suo corpo esanime sulle mura del Cuore di Marmo come monito verso i suoi nemici. Fanie in tutto ciò è solo un'esca, lei lo sa meglio di chiunque altro. Ed adesso si ritrova faccia a faccia con i risultati della sua bontà, amici ed alleati disposti a dare la propria vita per la sua. Ma non è per lei che sono qui, lei è l'esca che trasformerà la città in un cruento campo di battaglia, l'origine del caos che mi permetterà di agire. Mathias Lorch, un tempo generale sotto il comando dell'ormai defunto leader della guardia insonne, adesso solo sovrano della stessa che ha dimostrato di non poter sostenere il peso del potere. Che sia stata la paura o la rabbia a guidarlo ha trasformato la conquistata Basildera nel suo piccolo parco giochi, dilettandosi nel tormentare e massacrare la popolazione per quella che potrei solo immaginare come vendetta. Il tradimento di un solo uomo può forse giustificare la sofferenza di un intero popolo? Certo che no, eppure questa è solo la storia familiare di colui che nel tentativo di combattere un mostro diviene egli stesso il mostro. Un Tiranno che non si considera secondo a nessuno, un tiranno proprio come lui. Proprio come Chevalier. Ed è per questo, Mathias Lorch, che nel Chaos ordito dalla tua stessa mente io pianterò un paletto ghiacciato nel tuo cuore e porro fine alla tua distorta e corrotta esistenza. O morirò nuovamente nel tentativo di porre fine alla tua esistenza.



[ ... ]



Ho continuato a scrivere per tutta la notte, devo scrivere tutto quanto, al mio signore non gli piace che metta da parte dettagli di alcun genere. Sono la sua memoria, una buona memoria, quindi devo ricordare tutto senza tralasciare niente. Mentre scrivevo egli non ha fatto altro che ragionare, riflettere e pianificare senza sosta. Lo capisco, ha quello sguardo, le sopracciglia leggermente aggrottate e gli occhi rivolti verso il basso. Mi sono girata una volta ogni ora e lo sguardo non cambiava, non si è mai mosso nemmeno una volta. Con l'albeggiare del sole i suoni della città sono cambiati, all'albeggiare era appena un mormorio e pochi passi con i colpi di martello che scandivano il tempo impiegato per montare il patibolo. Poi sempre più voci, i cani bradi che abbaiano furiosi e grida di ogni genere. Gioa, paura, vergogna, rabbia che si mescolano tra le urla della folla in parte indignata e in parte terrificata da quello che stava per accadere. Ed era tra quella folla che si nascondevano quieti gli alleati involontari del mio signore, tutti giunti da ogni dove per cadere volutamente in quella trappola, non curanti di ciò se questo significava poter salvare la loro beneamata. Sono stata fortunata, la casa è abbandonata da un po, abbastanza da aver permesso ad alcuni ratti di insediarvisi. Sono riuscita ad afferrarne uno che si era avvicinato curioso al mio diario e l'ho prosciugato del suo sangue in un batter d'occhio. Aveva un sapore davvero gustoso, le guardie devono aver buttato del cibo veramente squisito per permettere ad un piccolo ratto di avere un sapore così ricco. Quando ormai il sole è alto nel cielo la folla diviene immensa, una massa di piccole pecorelle pronte a divenire leoni al momento opportuno se le grida di indignazione udite erano vere e non frutto della sola rabbia repressa in questi mesi di tirannia. Il mio signore si era nascosto qui per osservare, come un lupo nascosto in attesa di balzare sulla sua preda, un luogo sicuro. Questo almeno fino a quando il legno delle scale non ha scricchiolato di nuovo. Lo scricchiolio stranamente era identico al nostro, uno pesante e uno leggero. Una figura in armatura ed una figura senza di essa. Poi voci che provenivano da sopra, impossibili da comprendere ma con il tono gentile e rassicurante di una donna. Anzi, due donne. Volgo lo sguardo verso il mio signore che fissava il soffitto con fare sospettoso ma al contempo curioso. Poi mosse il suo sguardo verso di me facendomi gesto di procedere per investigare, e così faccio. Procedo in punta di piedi sino a raggiungere le scale che danno alla soffitta, la polvere su di essa mossa da impronte di mani e piedi che si sovrastavano le une alle altre, qualcuno era davvero entrato li dentro. Procedo sulla scaletta sino alla soffitta e facendo capolino le vedo, due donne sedute vicino alla sola finestra che volgono il loro sguardo sulla piazza proprio come fa il mio signore. Che siano anche loro qui per liberare Fannie? Non sembrano cattive anche se la donna più giovane indossa un'armatura simile al paladino da cui il mio signore mi ha salvata. Hmmmm... devo saperne di più, non posso rischiare di lasciare due sconosciute sedute proprio sopra di noi senza sapere le loro intenzioni. Finisco di salire sino in cima alla scaletta e faccio pochi passi verso di loro, abbastanza per farmi notare per poi procedere in un leggero inchino, bisogna essere sempre educati con gli sconosciuti. Specialmente se questi possono essere potenziali alleati!



« Bonjur. » alzo lo sguardo verso lo strano duo nella speranza che nessuna provi a farmi del male, esibendomi al meglio della mia innocenza.« Per caso siete qui anche voi per la festa del Signor Lorch? »






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Riassunto

CS {1 Costituzione; 1 Volontà}

Fisico {Sano} ~ Mente {Sano} ~ Energie {100%}




Passive & Equipaggiamenti:
» Passiva Personale di Resistenza al Dolore Fisico
» Passiva Razziale di Resistenza al Dolore Mentale
» Passiva Talento Guardiano Livello I - Difesa Rapida ed Immediata
» Armatura Naturale
» Armatura di Piastre
» Spada Bastarda


Attive:








Come preannunciato il mio PG si trova al momento nascosto come un ratto in una delle strutture situate intorno alla piazza per il patibolo. A fargli compagnia il pet (per regolamento) Odette che è descritto minuziosamente nella scheda del mio PG. Visto che sono un fissato delle coincidenza e Century/Kita hanno avuto la ben medesima idea del mio PG ho optato per far si che vi fosse un'approssimazione di incontro tra le due parti. Incontro che per ora è limitato al pet, appunto.




Edited by Lucious - 28/1/2015, 15:41
 
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Jecht
view post Posted on 28/1/2015, 00:39




Colle Bianco


Quell'odore di pietra bagnata arrivava fin lassù. Poteva riconoscerlo fin dalle pendici del Colle Bianco. Non era come il solito odore di pietra bagnata, di legna bruciata e sudore della fronte; quello di Basiledra era differente, particolare, in qualche modo sapeva di casa.
Rekres era lì, seduto sulla soffice erba umida del colle. Da quella posizione il panorama era splendido, quasi si riusciva a vedere la città per intero. Il suo sguardo si soffermò sul borgo alto con una velata tristezza, era lì che avrebbero costruito il patibolo per Fanie ed era sempre lì che lui aveva dato inizio al Regno del Terrore. la sua mano scivolò sui filamenti d'erba, sfiorandoli appena col palmo rivolto verso il suolo. Trovò piacevole la solitudine di quel momento, rimanere lì in silenzio a fissare quello che una volta era un regno come un altro, qualcosa che per lui non aveva alcun valore. Adesso tutto era cambiato, troppi legami si erano consolidati, troppo sangue era stato versato per cause diverse ma che vedevano come scenario la umida pietra che componeva quelle bianche mura.
Rekres non aveva dimenticato, come avrebbe potuto? Quel colpo alle spalle aveva gettato l'intero popolazione nel panico. Non solo la Guardia Insonne, tutti avevano pianto la morte di Sigrund Lorch, chi per un motivo chi per un altro. Chissà in quanti - invece - ricordavano il volto del Berserker con odio. Ma del resto lui l'aveva sempre saputo, fin dal momento in cui aveva stretto l'impugnatura sull'elsa del suo spadone per infliggere quel meschino colpo alle spalle. Sapeva che nessuno l'avrebbe mai chiamato Eroe. Per così tanto tempo aveva rincorso quel titolo, ansioso di ergersi sul podio, acclamato dalla folla, seguitato dagli ammiratori, provocato dalle donne più belle. Aveva rinunciato a tutti questo fin da quel momento eppure mai, mai avrebbe pensato che le sue azioni avrebbero scatenato quell'inferno. Non erano solo morte le sue speranze di diventare eroe, lentamente il suo stesso cuore era marcito al punto da rasentare il suicidio. Ciò che aveva fatto l'aveva tormentato ogni singola notte, dalle celle di Basiledra, alla torre di Oth e - infine - lo tormentava lì, sul Colle Bianco.
L'uomo afferrò il suo spadone con la mancina, osservandone il piatto della lama risplendere al sole. Quella spada era colma di crepe e ruggine, consumata come lo spirito del suo padrone. La guardò con affetto mentre rifletteva imperscrutabile, sfoggiando un triste sorriso di consapevolezza.
« Si, lo so. Non posso più permettermi di fare l'egocentrico. »
Lui con Sudit ci aveva sempre parlato e di tanto in tanto la sua arma gli aveva anche risposto. Era l'unica a capirlo, era con lui fin da quando aveva memoria. Sapeva di averla forgiata lui stesso ma non ricordava quando. Era come se fosse una specie di figlio per lui.
Sudit sapeva cosa il Berserker stesse pensando. Adesso non era più tempo di pensare a se stessi. Qualcuno aveva bisogno del suo supporto, qualcuno che aveva rischiato la sua vita per farlo rinsavire, qualcuno che non aveva dubitato di lui neanche per un istante, schierandosi dalla sua parte quando tutto il mondo era contro di lui. Sarebbe sceso da quel colle e avrebbe partecipato alla rivolta al fianco di Mark Smith per Fanie e per rimettere le cose a posto. Era un suo dovere. Lui era l'artefice del caos scatenato da Mathias Lorch e lui l'avrebbe fermato.
Del resto aveva già ucciso un Lorch, il suo curriculum non era male.

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Basiledra


Completamente avvolto da una cappa scura, Rekres vagava tra le strade del Borgo Alto. Sebbene tutti fossero coperti dai loro manti per non farsi riconoscere dalla Guardia Insonne, il Berserker si stava nascondendo perfino dai suoi stessi alleati. Nonostante fosse un membro della resistenza, l'unico a conoscere la sua identità all'interno di quella cerchia era Mark Smith. Spostò lo sguardo a destra e manca, osservando sia i nemici che gli amici. Tra quelle fila vi erano giovani guerrieri che avevano già combattuto al suo fianco nella lotta per difendere il Re Julian dall'assedio al Cuore di Marmo. Fu lieto di vedere che in fondo molti di loro si erano salvati a quel massacro, fuggendo poi dalla prigionia di Mathias. Dovevano essere in gamba. Avrebbe voluto congratularsi con loro per il lavoro svolto, scusarsi anche per ciò che aveva causato ma non poteva, semplicemente non poteva. Non aveva il coraggio di farsi vedere in volto neanche dai suoi compagni, chi lo avrebbe mai perdonato per ciò che aveva causato?
Era stato Kirin a convincerlo ad unirsi alla resistenza, lui insieme a Fanie. Si era fidato di loro così come aveva fatto Smith accogliendolo tra le sue file. Il vecchio era uno stratega, aveva già avuto modo di saggiare le sue capacità strategiche in battaglia. Aveva anche un piano, quel vecchio, ma quel giorno Rekres sapeva di non poter perdere tempo.

“Divisi cadiamo, uniti resistiamo. Per sempre.”
Il motto della Resistenza. Sicuramente parole di un uomo che ci sapeva fare con la lingua, un po come Sigrund. Al Berserker quelle parole gli tornarono in mente insieme ad un sapore amaro in bocca. No, la resistenza non sarebbe caduta e lui non sarebbe rimasto a loro unito. Erano già morti in troppi per causa sua, Rekres doveva scontare la sua pena da solo. Si sarebbe sacrificato, avrebbe pagato con la vita i suoi errori, l'avrebbe fatto anche in nome dei suoi compagni. Lui da solo doveva rischiare per Fanie e - dopo averla salvata, dopo aver ucciso Mathias - tutto sarebbe finalmente finito.

Lo spadone era ben nascosto dietro il mantello, un'arma troppo facile da riconoscere che doveva rimanere ben celata. Sulla cintola - invece, proprio sotto la schiena, vi era la sua inseparabile fiaschetta di whisky. La afferrò ansioso di berne un goccio, quel senso di amaro proprio non riusciva a toglierselo dal palato. Ne bevve un lungo sorso, assaporando mentre scendeva lungo la gola, riscaldandolo. Sollevò infine la bottiglia verso il patibolo e brindò all'onore di Fanie.
Infine si mosse, ben conscio di quale fosse la sua meta. Non sapeva bene quali fossero le intenzioni di Mark ma avrebbe dovuto fare a meno di lui. Si guardò attorno con circospezione, non doveva assolutamente dare nell'occhio. Non era mai stato bravo nel muoversi di soppiatto ma quel giorno doveva dare il meglio di sé, stando ben attento a non farsi notare né dai nemici né dagli alleati. La sua meta erano i sotterranei, probabilmente era lì che tenevano la donna. Nel suo cervelletto da animale - incapace di concepire piani assai elaborati - il Berserker sapeva che non aveva alcun senso attendere di vedere Fanie portata fin su sopra il patibolo. Doveva intervenire finché fosse ancora tenuta prigioniera. Era un piano rischioso, per questo doveva muoversi da solo. Sicuramente l'entrata dei sotterranei era ben sorvegliata, doveva dare il meglio di sé, controllando prima la situazione e agendo di conseguenza.
Ehi! Chi lo sa? Magari era il suo giorno fortunato, magari l'oroscopo di quel giorno lo dava vincente. Chi poteva dire che Rekres non avesse delle doti da infiltrato nascoste? Magari sarebbe entrato, avrebbe liberato Fanie e insieme sarebbero scappati trotterellando per i boschi!
Si, voleva decisamente vederla a quel modo.



DividerYuYevon_zps49953505
Capacità Straordinarie
FOR 3 ~ VEL 3 ~ DET 1


Danni
Nessuno.


Energie
100%


Passive
Avanguardia I, II, III
Auspex
Resistenza Psionica
Immunità al dolore fisico
Può resistere a due Mortali
+2 Cs ad ogni danno auto inflitto


Slot Tecnica
//


Ricapitolando:
Rekres si separa dal gruppo della Resistenza silenziosamente, avvicinandosi all'entrata per i sotterranei del Borgo Alto. Il suo scopo e quello di osservare la situazione (servendosi anche dell'Auspex), vedere quante guardie vi sono all'entrata, allo scopo di addentrarvisici. Chiedo - se possibile - che nel prossimo QM point mi venga descritta la situazione così che io possa agire di conseguenza.

Note:
//



Edited by Jecht - 28/1/2015, 00:55
 
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view post Posted on 28/1/2015, 08:30
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Capitolo finale: Ciò che diventiamo

Atto I

(Vahram [pensato, lingua aramana].)


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Bassifondi di Basiledra ~ la sera prima dell’esecuzione

Distinto amico,
ti scrivo per avvisarti che al momento mi trovo in città. Questa lettera non conterrà alcuna firma, né alcun nome: non sarebbe saggio, a giudicare dalla situazione. In ogni caso suppongo tu abbia già intuito la mia identità.
So che magari la mia presenza qui potrebbe sembrarti inaspettata, ma dopo lunghe considerazioni ho infine deciso che non resterò inerte a guardare. Oggi, in questo giorno predestinato, qualcuno morirà, e sono fermamente determinata a non mancare nel momento fatidico.
Rispetto i tuoi scopi, per cui non ho intenzione di coinvolgerti nei miei disegni – a meno che non sia tu stesso a offrirti di tua iniziativa –, né tantomeno cercherò di ostacolarti. Nonostante i nostri obiettivi divergano, spero con tutto il cuore che le nostre strade s’incrocino ancora quando incomberà l’ora più buia e le scelte più subdole insidieranno il nostro cammino.

Oggi si fa la storia, amico mio.
Ti auguro ogni fortuna.


PS: Non darti pensiero per la mia incolumità; non sono giunta a Basiledra da sola.


Lo sguardo di Vahram scivolò ancora su quelle poche righe. Una. Due. Tre volte. Erano scritte in una grafia delicata e composta. La grafia di una donna. Il sicario aveva già capito chi era il mittente ancor prima di svolgere il piccolo rotolo di pergamena stretto da un anonimo spago di canapa; il galoppino che gli aveva recapitato il messaggio infatti, sebbene fosse ben camuffato, gli era parso stranamente familiare. Si trattava di Ho Igoo, senza dubbio. E solo una persona avrebbe inviato quell’uomo a contattarlo.
Dama Ainwen.

L’aramano strinse il bocchino della pipa tra le labbra e inespressivo soffiò un misurato sbuffo di fumo, riguardando un’ultima volta il foglietto. Poi tese il braccio verso la candela mezza sciolta che bruciava al centro del tavolo a cui sedeva, espose la lettera alla fiamma e appena il fuoco appiccò spostò il foglio al posacenere e glielo pigiò dentro. Lo abbandonò a consumarsi nel disadorno contenitore metallico e tornò a occuparsi dell’attività che aveva interrotto.
Appoggiate di fronte a lui sul tavolo vi erano acervi di piccoli contenitori in legno, argilla e metallo di varie dimensioni e alambicchi colmi di strane polveri di diversi colori, tutti accuratamente allineati secondo un determinato criterio. Vahram con meticolosità e pazienza ne riempiva una ad una con il contenuto conforme alle esigenze: polveri piriche, allucinogene, tossiche, altre dalle misteriose proprietà magiche. Approntava il suo arsenale per il giorno che da un’eternità aveva aspettato; ognuno di quei contenitori avrebbe trovato la sua posizione sulla punta delle sue frecce, al posto dei proiettili della sua pistola, dentro vani segreti delle sue armi, oppure semplicemente nelle sue tasche.
Anche se il suo volto non mutò espressione, invero la notizia della presenza di Ainwen lo allietò. La sua mente però spaziava altrove, assorta, adombrata, tanto che l’interrogativo su chi fosse la persona che accompagnava l’Oracolo non lo toccò nemmeno. Aveva vissuto nel tormento per anni, rivivendo ogni notte nel sonno quell’orribile giorno a Ur'Lachesh, quando contro la sua volontà strinse le sue mani attorno al collo di Fanie Elberim fino a quasi ucciderla. Non si era mai perdonato quel gesto, nonostante non fosse stato lui, ma i demoni dell’Abisso a forzare le sue azioni. Ramingo aveva vagato alla ricerca di riscatto per le sue colpe, alla ricerca del perdono della sua grande compagna di avventure e complice di ambiziosi progetti. Però di quei tempi d’oro tutto ormai sembrava perduto; era rimasto solo un uomo solo nel suo dolore, esule dalle sue terre, odiato dalla gente che aveva giurato di proteggere.
Per lui rimaneva solo Fanie. Non appena venne a sapere che era ancora viva, non si sarebbe dato pace finché la paladina del Dortan non gli avesse rivolto ancora una volta il suo sorriso di ninfa e avesse pronunciato le parole che avrebbero restituito un senso all’insulsa vita di Vahram.

Al, io ti perdono.


Il giorno successivo in molti avrebbero combattuto per il futuro di Basiledra. Guardie Insonni determinate a difendere il potere dei Lorch, aristocratici pronti a strappare pezzo dopo pezzo il diritto al trono che un tempo apparteneva al Re che non perde mai, dissidenti anelanti di spezzare la tirannia che minacciava la propria famiglia, il proprio lavoro e la propria dignità, idealisti mossi dal vento giovane e rinvigorente del desiderio di libertà.

Vahram però sarebbe stato disposto a combattere più spietatamente e ciecamente di loro,
e unicamente per un sorriso e quelle poche precise parole di indulgenza.


Pur di ottenere ciò che desiderava ardentemente si sarebbe imbarcato in una guerra che non gli apparteneva, avrebbe ucciso nemici contro cui non aveva mai provato rancori, rischiato la morte non per oro o per fama, ma unicamente per riscattare l’anonima dignità del suo spirito.

Finché c’era speranza, per lui c’era vita. La speranza però sarebbe morta la mattina successiva, e se non fosse stato capace di evitarlo o di riuscire nel suo intento prima che fosse troppo tardi, probabilmente avrebbe desiderato la morte anche lui.
Nemmeno Al Patchouli però in quel giorno sarebbe stato solo. Aveva sparso le voci delle sue imprese ad Alagar, nella Roesfalda, contro le Guardie Insonni attraverso le lingue e le orecchie giuste e grazie a questo era riuscito ad entrare in contatto con la Resistenza. Gli avevano sussurrato dei nomi, informazioni frammentarie su piani segreti, quanto bastava per renderlo partecipe delle gabole che avrebbero salvato Fanie Elberim dal patibolo e ribaltato Mathias Lorch. Nonostante avesse trovato alleati a cui appoggiarsi, avrebbe agito da solo... almeno inizialmente.
Probabilmente sapeva che molti non avrebbero condiviso il suo modo di agire.


Piazza centrale, Basiledra ~ la mattina dell’esecuzione

La folla pressava, si accalcava come formiche per assistere a quell’evento che – a detta di tutti – avrebbe segnato definitivamente la fine di un era con la morte di Fanie Elberim.
Al Patchouli avanzava, celato tra l’ammasso di persone. Per attenersi all’importanza di quell’evento si era vestito pure con la sua lunga palandrana turchese: se si fosse presentato incappucciato e ammantato di nero, di certo avrebbe destato numerosi sospetti; non era il caso di rischiare. Solo il mantello di cenere gli copriva delicatamente la parte inferiore del volto, nascondendo alla vista almeno i tratti più distintivi della sua faccia. Sotto la lunga palandrana però celava abilmente un arsenale che avrebbe fatto invidia al più spietato degli assassini.
Si sarebbe temporaneamente mimetizzato in mezzo a quell’immenso gregge umano, in attesa del momento decisivo in cui intervenire.


Eccomi pure io. Come si evince dal testo, inizio mimetizzato in mezzo alla folla.
Al momento non mi trovo a casa, e mi è difficile inserire lo specchietto dalla mia posizione, per cui – se mi è permesso – lo inserirò nel prossimo post, o comunque sicuramente appena avverrà un po' di azione.
 
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view post Posted on 28/1/2015, 18:03

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RoW: Ciò che Diventiamo~ Verlos: Sacrifici inevitabili.

Il Lord non si era più ripreso dal quel giorno. Aveva riportato ferite fin troppo gravi per la sua età avanzata e persino il suo spirito ne aveva risentito. Erano passati meno di tre giorni dal fattaccio e già gli avvoltoi del suo seguito gli roteavano sopra in attesa che tirasse le cuoia. Era dimagrito, pallido spesso intrappolato in uno stato di veglia allucinata. Le pelle del vecchio era diventata diafana, i capillari erano ben visibili sotto l’epidermide sottile come le venature che possono scrutarsi sotto la buccia degli acini d’uva. Le guance scavate erano state completamente rasate da un barbiere cupo e funereo come un becchino lasciandogli un aspetto ancora più fragile. L’alito era un effluvio reso acidulo dalle droghe usate per calmare i suoi accessi di nervi, gli occhi vacui e acquosi non vedevano altro che le immagini terrificanti di una morte più prossima che mai. Sapevo che non sarebbe durato a lungo …
Essendo io il suo attendente potevo abbandonare il suo capezzale solo in rari momenti della giornata e li sfruttavo tutti per controllare il prosieguo dei lavori. C’erano almeno una trentina di uomini a lavoro nelle vecchie fognature di Spina Rossa, tutti scelti accuratamente.
Hoster Brown, il capomastro, era stato una delle prime vittime della follia sanguinaria di Mathias Lorch.
L’Usurpatore aveva ucciso moglie e figli del capo-muratore e gli aveva portato via la mano sinistra per sovra mercato. La motivazione era abbastanza semplice: Hoster si era rifiutato di prestare servizio nell’erezione delle numerose dogane con cui il Cane del Nord aveva praticamente isolato Basiledra.
Tanto era bastato per scatenare la rabbia del pazzo conquistatore della Capitale. Le donne erano state portate nei serragli per essere divorate dai cani, quanto ad Hoster la mano sinistra gli era stata mozzata da un unico morso di uno dei cani bradi preferiti di Mathias. Come lui tutti gli altri lavoratori avevano un passato burrascoso con la Guardia Insonne, la loro lealtà o meglio il loro odio per gli invasori era fuori di dubbio. Era stata una precauzione fondamentale, nessuno doveva sapere cosa stava accadendo al vecchio impianto fognario. Per tutti doveva sembrare una semplice opera di restaurazione, niente più.
In ogni caso si era giunti alla fine, i tunnel erano stati ripuliti e rafforzati con rozze ma efficaci impalcature di legno. Nella mia ultima visita al cantiere Hoster si era avvicinato a me con la faccia arrossata dallo sforzo e la voce arrochita dagli ordini sbraitati nella migliore tradizione dei muratori di Basiledra.
«Abbiamo finito il grosso del lavoro. » – mi annunciò - «La sotto puzza ancora come una latrina, manca l’illuminazione e alcuni tratti sono ancora da mettere in sicurezza ma i condotti sono utilizzabili. »
«Meglio così. Non credo che al vecchio sia rimasto molto tempo e il nuovo castellano di Spina Rossa potrebbe non desiderare un nuovo impianto fognario. »
L’incontro era concluso, non c’era molto altro da dire se non di affrettarsi ancora di più e stare all’erta.
Al mio ritorno al castello le cose non si erano messe affatto bene. Spina Rossa era affollata come non mai e ferveva di attività. Servitori ed attendenti sembravano galline impazzite, si muovevano con frenesia trasportando bauli, spostando arredamenti e pulendo ogni singolo angolo della fortezza.
«Tu devi essere il Corvo. » – una voce petulante mi costrinse ad abbandonare le mie riflessioni. A parlare un uomo vestito con i colori dei Hefford a guardarlo non si sarebbe mai detto un uomo del Nord. E infatti gli Hefford non lo erano, non propriamente almeno. Non erano originari dell’Altaloggia, non la amavano e non la sentivano casa loro. Eppure erano stati il granito e il ghiaccio del Nord ad offrirgli asilo nell’esilio a cui il Re che non perde mai li aveva costretti, la loro lealtà alla Guardia era una questione ben più viscerale di un semplice ideale.
Lord Edward Hefford era giovane, troppo giovane per ricordare i torti subiti ma era stato forgiato al fuoco dell’odio e temprato nei rigori del Nord. Era un comandante della Guardia Insonne in tutto e per tutto, un soldato non un Lord e il suo abbigliamento non faceva altro che sottolinearlo. La casacca e la cotta maglia erano una costante del suo abbigliamento, i pantaloni di cuoio rinforzato completavano il tutto. Nessun gioiello, nessun lusso superfluo. Il mantello era pulito e di buona fattura ma non era intessuto in sete o broccati preziosi. La spada era solo un arma: 110 centimetri di ottimo acciaio e nient’altro.
Il viso poteva essere definito a suo modo avvenente con quella mascella come scolpita nel marmo, il naso dritto e una chiostra di denti candidi che lampeggiavano come lucciole nel nero della rada barbetta curata.
Le labbra erano un po’ troppo sottili ma si allargavano spesso un sorriso che aveva tutto il calore cameratesco di un uomo abituato a condividere la sua vita con centinaia di altri individui. Iniziava a stempiare e portava i capelli rigorosamente rasati. Una lunga pallida cicatrice gli segnava la guancia destra e lui la portava come un medaglia al valore. Era un uomo pericoloso, un uomo che poteva riscuotere rispetto, amore e terrore in uguale misura. Uno dei nemici che avrei preferito fossero rimasti in Altaloggia.
Lo guardai dritto negli occhi.
«Io sono l’attendente di Lord Gustav Monmouth. » – risposi asciutto senza che dalla mia voce trapelasse alcuna emozione.
Il comandante mi osservò per un po’ con i suoi occhi di un marrone venati di verde, simili a corteccia puntellata di muschio. Dopo qualche attimo aprì la bocca mostrando i denti bianchi in un sorriso che pareva il ringhio di un lupo.
«Un ottima risposta, io odio quei preti da strapazzo. »
Ringraziai per la sua benevolente approvazione con un inchino sussequioso.
«E voi dovreste essere il nuovo castellano di Spina Rossa. »
«Già... » – rispose pensiero grattandosi la barba - «Brutta faccenda non è così? Per te intendo. Il tuo Lord, l’unico idiota nei Quattro Regni a volere affianco un traditore come te, non è nemmeno spirato e già qualcun altro mette il culo sullo scanno dei Lord di Spina Rossa. »
Volevo capire dove andare a parare, anche se era già abbastanza chiaro.
«Ho affrontato lutti peggiori. » – risposi atono. Il soldato valutò la mia corporatura, passò poi ad analizzare le contusioni e graffi che mi ero portato dietro dal duello e poi chiese:
«Com’è andata? »
«Ribelli. Sono ovunque e sono aggressivi. Ci hanno attaccato durante una cavalcata, io ho fatto del mio meglio per difendere il Lord ma non è servito a molto. Ci hanno derubato e sono spariti di nuovo nella foresta.»
Lord Edward Hefford grugnì dandomi una pacca sulla spalla.
«Non è colpa tua. I preti dovrebbero passare il tempo a spargere i loro incensi e mormorare le loro preghiere, non certo a fare la scorta a vecchi guerrieri appesantiti dagli anni. »
Pensai per un attimo che le cose si sarebbero messe per il meglio. Dovetti ricredermi.
«Non preoccuparti io sono di un’altra pasta. Non ti voglio appresso, puoi andare … Assisti il tuo Lord, fai in modo che le sue ossa ritornino a casa e poi tornatene da dove sei venuto. »
Guardò ancora i miei ematomi e poi proseguì.
«Mi dispiace ma hai troppi nemici per i miei gusti. Mezza Resistenza ti vuole morto e l’altra metà godrebbe nel vederti legato ad un palo mentre i cani ti pisciano addosso. Non credere che io sia uno stupido, non sono stati ribelli ad aggredirvi, sono stati i tuoi ex amici a farvi la festa.»
Non c’era altro da aggiungere, la discussione era finita e io poteva considerarmi congedato. Blaterai un come tu comandi e mi preparai ad un ‘altra oziosa veglia al vecchio moribondo.
«Ah e congeda i tuoi uomini. Non abbiamo bisogno di fogne nuove. Siamo in guerra non alla vigilia di un gran ballo. Rivolgiti a Lancel Green è il furiere del mio contingente, ti darà cento monete d’argento per pagarli. Non una di più … Tu prenditi pure quello che ti serve dal corpo del vecchio non gli serviranno oro e gioielli dove sta andando. »

La mezzanotte era passata da un pezzo quando Lord Hefford venne a far visita al suo predecessore.
I servitori che un tempo avrebbero fatto a pugni pur di servire il vecchio lord ora erano scomparsi, i medici avevano decretato la loro inabilità a curare la morte e si erano congedati. Non rimanevo che io a fare da guardia al Monmouth.
Il vecchio delirava. Parlava di demoni alti dodici metri, coperti da fiamme e dalle grandi corna nere. Blaterava a proposito di stregoni in grado di far tremare la terra e piovere saette. Immagini distorte dal terrore del mio duello con Montu. Ma questo Edward Hefford non poteva immaginarselo. «E’ un uomo d’onore. Un prode – mi dicono- nei suoi tempi verdi. » – mormorò sconvolto dal triste spettacolo offerto - «Ma prodezza e virtù non ti proteggono dalla vecchiaia e dalla malattia. »
Il vecchio sussultò nel suo letto. Iniziò a tossire e contorcersi in cerca di aria. Mi avvicinai al rozzo tavolo di legno, versai il contenuto di una boccetta in una coppa e la feci bere al malato. Si calmò subito e prese a russare profondamente. «Sii generoso: risparmiagli le tue pozioni e una morte disonorevole. Piantagli una lama dietro l’orecchio. Dagli una morte di acciaio e sangue come ogni buon guerriero si merita. »
Lo guardai agghiacciato senza poter nascondere il mio disgusto per un simile cinismo.
«Il signore mio Lord morirà quando il Sovrano lo vorrà. » – risposi cercando nelle parole dei corvi un modo elegante per dirmi contrariato dalla sua proposta.
«Ascoltami prete. » – disse posando rumorosamente una misericordia sul tavolo di legno - «Forse nelle tue lussuose corti si usa far morire la gente tra canti lugubri e salamelecchi inutili. Forse i tuoi Lord sono così attaccati alla vita da preferire una morte lenta, disgustosa e disonorevole. Ma lui è un Lord di Altaloggia. Fai come ti ho detto o vattene e domattina provvederò io a fare ciò che è giusto. Buona notte. »
Non ci fu bisogno di scappare e lasciare che fosse il nuovo castellano di Spina Rossa a porre fine alle sofferenze del vecchio malato, spirò nel sonno. Il mattino dopo mi ritrovai a distribuire le cento monete d’argento agli uomini che avevano lavorato ai cunicoli, avvertendoli di mantenere il riserbo. Per ora la Resistenza avrebbe fatto a meno delle ricchezze di Spina Rossa, ma in futuro chissà … forse il loro lavoro non sarebbe stato vano.
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«Spina Rossa è un bersaglio facile. » – affermai - « Se si sa da dove colpire. » – spiegai la pianta della piccola fortezza e del tunnel che dal fiume portavano al suo interno. Puntai il dito nella zona dove le vecchie fogne andavano a sfociare nel fiumiciattolo.
«I progetti erano diversi: questi dovevano servire a far entrare la Resistenza nella Tesoreria Occulta del maniero ma ora possiamo sfruttarli per colpire con precisione. »
Segui con l’indice le ramificazione della rete di canali - «Le fogne erano collegate a tre zone del castello: i bagni, le latrine e i sotterranei. I primi si trovano al piano superiore dell’edificio, nella zona riservata al castellano e ai suoi ospiti di alto rango. Le latrine si trovano a piano terra, proprio accanto ai quartieri adibiti a caserme. I sotterranei non sono di nostro interesse, da li puoi solo accedere alla tesoreria ma la porta che la separa dagli ambienti circostanti è larga 60 cm e ben sorvegliata. »
Guardai il primo gruppo di uomini, erano i più esperti quasi tutti veterani dell’esercito regolare di Basiledra che avevano preferito disertare piuttosto che servire l’usurpatore. «Voi verrete con me. Entreremo dai tunnel e sbucheremo nei quartieri della nobiltà. Conosco bene quella zona in quanto ho servito come attendente del precedente castellano. I bagni sono stati abbandonati, nessuno li sorveglia e le stanze adiacenti sono state studiate per isolare i rumori. Evidentemente il costruttore di Spina Rossa voleva assicurare la massima discrezione possibile. »
Il secondo gruppo di uomini era formato per la maggior parte da corvi e combattenti alle prime armi.

«A voi toccano le latrine. Sono meno frequentate del previsto, senza un sistema fognario funzionante sono scomode e poco igieniche. I soldati dormono in un'unica sala prima adibita ai pranzi ufficiali è abbastanza distante da non essere un problema. A voi toccherà aprire le porte e far entrare la restante parte degli uomini che invece attenderanno nella foresta.»
Il gruppo era composto da poche persone, tutti dalla corporatura esile, praticamente inadatti a qualsivoglia tipo di impresa bellica. Confonderli con dei servitori non sarebbe stato impossibile.
«Tu padre Furio li guiderai. Usa la tua magia se le cose si dovessero mettere male. Ricordati: le porte sono il vostro obiettivo. Semmai doveste trovarvi in pericolo il vostro compito sarà creare disordine. Avete tutti tre fiale di Fumo Pesto a testa, una sola creerà una nube attraverso cui è praticamente impossibile vedere. Ringraziate il Pipistrello e ricordatevi che anche voi non vedrete niente, quindi usate ciò che vi è stato fornito con coscienza.»
Mi rivolsi infine al gruppo della foresta. «Voi attenderete nella selva di Spina Rossa. Vi verrà dato un segnale e dovrete attaccare. Non fate prigionieri, non lasciate quartiere e siate rapidi per l’amor di dio. Li dentro saremo da soli e senza di voi siamo praticamente carne da macello.»
Posai gli occhi su Shaoran e Lhotar. « A voi la libera scelta della posizione da cui combattere. Onestamente non me la sento di impartirvi degli ordini anche se preferirei che almeno uno di voi rimanesse con me.» – posai lo sguardo su tutti gli altri- «Dubbi, domande? Ottimo allora possiamo anche incamminarci ci aspettano due giorni di viaggio e il tempo stringe. »
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Lord Edward Cousland era un soldato che sapeva prendersi cura delle sue armi. Ogni notte, prima di coricarsi lucidava e affilava la spada, controllava la cotta di maglia, rimuoveva ditate e incrostazioni di sporco dalla corazza. Era il suo momento, quello. Pulire e lucidare le armi lo aiutava a pulire e lucidare il suo spirito. Molti uomini si rivolgevano agli Dei prima di abbandonarsi al sonno, altri all’abbraccio delle amanti o delle mogli, lui preferiva la compagnia dell’acciaio, della cote e di un panno unto di grasso. Quella specifica notte era rimasto ad osservare la fiamma tremolare morire mentre spandeva la sua luce sulla corazza smaltata con i colori della sua casata. Rifletteva e pensava a quanto noiosa si fosse rivelata la sua permanenza a Spina Rossa. Si immaginava – prima di partire – una vera fortezza circondata da pericoli e nemici. Quello che aveva trovato era la casa di un vecchio che ancora puzzava dell’odore acre promanato dagli innumerevoli trofei di caccia che affollavano le stanze vuote, polverose e arredate con pessimo gusto.
Era sceso, di tanto in tano, a dare un’occhiata al Tesoro. Niente di davvero interessante: oro fino alla nausea, vecchie pergamene polverose e gioielli che nemmeno una puttana si sarebbe mai sognata di indossare. Una vera delusione insomma.
Sperò, desiderò con tutto se stesso che Mathias Lorch lo convocasse a Basiledra. Non amava l’autoproclamatasi Voce del Consiglio a dirla tutta il Lorch gli sembrava poco più che un cane arrabbiato lasciato scorrazzare nei territori nemici ma almeno nella capitale ci sarebbe stato di meglio da fare.
Stava per prendere sonno quando sentì qualcosa che non si aspettava. Era uno scalpiccio leggero, professionale, di chi è abituato a muoversi furtivamente. No, non era un servo. La maggior parte della servitù della fortezza abitava lì da anni, non si preoccupava di essere servizievole e gentile con coloro che considerava invasori. Aveva dovuto punire i cuochi perché sputavano nei loro piatti e aveva fatto rinchiudere un paio di cameriere nelle latrine perché avevano avuto la bella pensata di svuotare i vasi da notte nelle urne usate in passato per ospitare fiori. No, un servo non si sarebbe preoccupato di camminare silenziosamente per non disturbare il suo sonno …
Si alzò e prese dal comodino la daga corta che era abituato a portare nell’incavo della manica come arma di riserva. Lanciò un’occhiata languida al trespolo su cui era sistemata la sua armatura ma poi il buonsenso gli suggerì che sarebbe morto prima di riuscire ad allacciare la prima delle cinghie.
La porta si aprì cigolando …
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Mai dimenticare il tuo passato, mai rinnegarlo perché è grazie ad esso che sei ciò che sei. A me piace ciò che sono diventato anche se spesso lo dimentico. Quella notte uno dei figuranti del mio passato mi stava dinnanzi. La camicia da notte larga e ridicolmente bianca gli copriva i mutandoni, la faccia era distorta in un’espressione stupefatta. Non sembrava più così autorevole e carismatico …
«Una volta mi consigliasti di dare al Lord che servivo una morte onorevole… Una morte di acciaio e fuoco. »
Sembrava aver visto un fantasma. Aprì la bocca ma nessun suono uscì. Vidi i poderosi muscoli dell’avambraccio destro contrarsi un attimo prima che la daga corta venisse scagliata. Strinsi il pugno e fiamme ruggenti iniziarono a lambire e mordere quel largo, patetico, risibile tunicone.
«Ecco cosa ti concedo: una morte di fuoco. »
Sibilai scagliandomi contro mentre tentava inutilmente di rotolarsi sulla nuda pietra del pavimento nel tentativo di estinguere il fuoco che lo stava dannando. Gli strappai la daga dalla mano ferendomi, mischiando il suo sangue con il mio.
«…e acciaio! »
La lama scorse sull’epidermide delicata della gola, recise la carotide. Lord Hefford sussurrò qualcosa, un imprecazione probabilmente.
«Non me ne vorrai se non pregherò sul tuo cadavere in fondo a te non piacciono i preti … »
Fuori dalla camera, fuori dall’abisso in cui la violenza e la vendetta avevano precipitato la mia coscienza altro sangue veniva versato, sangue di traditori, sangue della Guardia Insonne.

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Una luce baluginò dal piano superiore. Gli uomini in attesa fremettero nel vedere il segnale luminoso. «Aspettate. Rimanete ai vostri posti. Non è quello il segnale. » – ringhiò Heishi Azuma, il capitano Cavendish a cui Malzhar Rahl aveva assegnato il comando delle truppe in attesa nella Foresta di Spina Rossa. Nessuno osò disobbedirgli. L’orientale aveva una carriera lunga quanto i peccati di una sgualdrina, un aspetto terrificante ottenuto a seguito di almeno quattrocento scontri armati. La pelle un tempo delicata e candida ora era scura e rugosa come cuoio vecchio, disseminata da vecchie cicatrici. L’occhio sinistro era stato cavato via e sostituito con un orripilante sfera di vetro al cui intero era stato inserito uno strano insetto dall’aria decisamente esotica. La cintura era un tripudio di lame dalla forma differente e i muscoli del torace - lasciati in vista dalla casacca aperta – non sembravano normali in un uomo dall’età tanto avanzata. Annusò l’aria e ridacchiò. «Lo sciamano sta arrostendo qualcuno. Bene, bene, bene. Non vale niente contro i Golem immortali ma se si tratta di far fuori quelli della sua specie non sfigura di certo. Il Lord è crepato. »
Si il dannato soldato inviato da Dalys sarebbe riuscito a far rabbrividire persino un mercenario Vaash.
Era strano quell’uomo. In molti lo additavano come una sorta di guerriero sacro, un uomo fatto di acciaio e magia. Aveva un olfatto degno di un segugio, una vista impensabilmente sviluppata per un orbo e non sembrava soffrire la fame, la sete e il dolore come gli altri uomini. Malelingue narravano che durante una battaglia Heishi Azuma fosse sul punto di morire; il suo avversario lo aveva abbattuto, la lama della sua spada alla gola e l’invito ad arrendersi sulle labbra. Il soldato della Rosa d’Oriente non aveva nessuna intenzione di vendere l’onore in cambio della vita ma nemmeno se ne sarebbe andato senza trascinare con se il suo onorevole nemico. Con la mano libera, dunque, colpì la traballante struttura d’assedio sotto cui avevano duellato e la fece crollare su se stesso e il suo avversario. Il cavaliere nemico morì, trafitto dal legno spezzato e appuntito ma lui ne uscì solo con un occhi invece che due. Da quel giorno lo chiamarono Scorpione di Legno e Heishi volle che proprio uno scorpione venisse incastonato nella sfera di vetro che andò a sostituire l’occhio perduto. Si diceva anche che la Rosa d’Oriente fosse stata così compiaciuta dalla testarda prodezza del vecchio combattente da ordinare ai suoi alchimisti di operare su di lui e trasformarlo in qualcosa di nuovo e straordinario. Per trenta notti il corpo dello Scorpione di Legno fu sottoposto alle cure degli incantatori d’Oriente e quando finalmente uscì dai sotterranei era diventato un uomo completamente differente. I suoi cinque sensi ne erano usciti potenziati, il suo sangue era più denso e stranamente maleodorante, la pelle era diventata di un marrone scuro, screpolata, squamosa, orribile.
Dalys disponeva di simili, raccapriccianti orrori nelle fila del suo esercito e non aveva esitato a sguinzagliarli contro i suoi nemici come aveva già fatto in passato. La corte d’oriente sembrava, giorno dopo giorno, sempre più un serraglio di creature misteriose.
Il segnale alla fine giunse. Il piano inferiore si riempì di una luminescenza inquietante, rossa, atroce.
Fuoco. Senza dubbio. Ampie volute di fumo fuoriuscivano dalle feritoie e dagli spifferi di porte e finestre segno che qualcuno doveva aver ricorso ad una delle diavolerie del Pipistrello per salvarsi la pelle.
Il vecchio soldato Cavendish strizzo l’occhio buono e vide la torcia sventolare dal punto in cui si supponeva ci fossero le porte della fortezza. Spostò lo sguardo sul guerriero che gli stava affianco:
«A te l’onore di dare l’ordine Sussurro e di guidarci. Cerca di non farci ammazzare. »

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Il viaggio nelle viscere di Spina Rossa non era stato agevole ne piacevole. Quei budelli di pietra erano stati costruiti per far defluire acque e liquami non persone; la pietra era scivolosa, pericolosamente inclinata per favorire lo scorrimento dei liquidi e l’aria era irrespirabile per il puzzo di umidità e marcescenza.
Non erano più di una sessantina gli uomini impegnati in quella ascesa. Cinquanta erano i veterani di Basiledra capeggiati da Malzhar il Profeta e gli altri dieci erano invece gli uomini inesperti a cui era stato assegnato il compito di aprire le porte perché il grosso dell’esercito potesse invadere la fortezza.
Lo Sciamano aveva riflettuto a lungo su chi scegliere: uomini esperti avrebbero potuto annientare la resistenza di eventuali soldati a guardia delle porte ma sarebbero morti quasi sicuramente. Aveva dunque optato per un piccolo gruppo formato per la maggior parte da corvi e giovani alle prime armi. Due erano le ragioni della sua scelta: in primo luogo il loro aspetto, nessuno vedendoli avrebbe mai dato l’allarme; erano vestiti come comuni servitori, esili nella corporatura e visibilmente spaventati. Aveva poi riflettuto sulla possibilità che quei dieci fossero scoperti e di conseguenza uccisi o peggio. Un conto era sacrificare spade valenti, uomini che avrebbero potuto fare la differenza in uno scontro armato e un altro era invece perdere gente che in guerra avrebbe comunque avuto poche possibilità di sopravvivere. Era stata una decisione tutto sommato facile da prendere.
Padre Furio biascicava imprecazioni durante il percorso, sembrava quasi che la distanza dalla corte e dai concistori di corvi avesse reso il suo vocabolario decisamente più adatto ad uno scaricatore di porto che a un prete. Malzhar Rahl gli si fece vicino, gli posò una mano sulla spalla ossuta e gli sussurrò: «Una volta li dentro la vita di tutti noi dipende da come tu e gli altri del tuo gruppo agirete. Sei sempre stato uno degli uomini più pratici e astuti tra i nostri confratelli, non deludere il Sovrano proprio oggi!»
«Che il Baathos se lo porti il Sovrano! » – bestemmiò mentre scivolava dopo aver messo il piede in fallo in una delle scanalature muschiose che doveva favorire l’ascesa -«…E che si porti anche te! Questa è una dannata pazzia! Una follia! Io e una manciata di idioti che non hanno nemmeno la barba! Tu mi vuoi morto! Tu ci vuoi morti tutti! »
Malzhar pazientemente lo trasse a se afferrandolo per la collottola.
color=#003A57]«Nessuno ti ha chiesto di venire, ti sei arruolato volontariamente. » [/color]
Esordì anche se aveva usato il termine “volontariamente” con troppa generosità. Padre Furio non era stato propriamente felice di dover combattere al fianco degli uomini di Kuro ma non aveva scelta. Era stato prelevato da una delle celle mobili in cui gli uomini di Mathias Lorch trasportavano i prigionieri di un certo rango e gli era stata offerta la libertà in cambio della sua collaborazione. Furio era infatti uno di quei corvi addestrati a seguire gli uomini in battaglia. Il suo compito era usare la magia sacra posseduta dai servitori del Sovrano per lenire le pene dei propri commilitoni e confondere il nemico con i propri trucchetti da incantatore. Sapeva controllare il fuoco, far camminare i morti per qualche ora, far rimarginare ferite minori e una moltitudine di altre cose. Di certo non sarebbe stato lasciato in mano ai Lorch e meno che mai libero di andarsene dove voleva a raccontare delle mosse del Sanguinario. Dopo la fuga di Caino non erano in molti a vedere di buon occhio i neri preti di Acque Perdute.
«Ora però sei qui e da te dipende la vita dei miei uomini. Spaventali di nuovo, fai qualche stronzata e giuro che il tuo cadavere domani mattina scorrerà verso il fiume, gonfio e pieno della merda che calpestiamo qui sotto. Sono stato chiaro? »
Il corvo digrignò i denti e annuì. Aveva conosciuto Malzhar Rahl in passato ma solo fugacemente. A lui era parso niente più che un damerino ossequioso, disposto a leccare gli stivali sporchi di Caino pur di dire che gli era stato di una qualche utilità. L’uomo dagli occhi di fumo e ombre che gli stava dinnanzi però sembrava tutt’altro … Qualcosa, qualcosa di innaturale danzava nella sua voce. Era come se gli fosse stato asportato un pezzo, come se qualcuno gli avesse rubato la capacità di esprimere emozioni. Non lo aveva visto sorridere, piangere, gioire o provare sentimenti dal giorno in cui era stato assegnato al suo gruppo e persino quelli che sembravano conoscerlo lo guardavano come se fosse una persona estranea.
Un giorno lo aveva sorpreso a parlottare da solo … Forse era semplicemente pazzo.
Proseguirono il cammino fino a quando non giunsero ad una biforcazione: il tunnel si divideva in tre budelli con pendenze differenti. Il corvo calcolò la distanza percorsa e stabilì che dovevano trovarsi proprio sotto il castello. Il cunicolo centrale sembrava scendere verso il basso, era il meglio illuminato e pulito. Quello di destra saliva ripidamente, era quasi impossibile arrampicarsi l’unica nota positiva erano dei pioli di legno marcio che avrebbero dovuto facilitare quella che si presentava come una vera e propria scalata.
Infine il tunnel di sinistra era quasi in piano, puzzava più di tutti e un rigagnolo di acqua torbida e fetente lo percorreva. Padre Furio capì che quello era il percorso che conduceva alle latrine, le uniche strutture del castello ancora utilizzate e collegate alle fogne. Il cunicolo centrale doveva invece condurre alla tesoreria, anche se era quello in condizioni migliori nessuno lo avrebbe percorso: non portava a niente di buono.
Lo Sciamano e i suoi cinquanta armati, invece, sarebbero andati a sbattere i denti contro le pietre scivolose del tunnel di destra, quello portava in alto, al piano rialzato del castello, nel quartiere dei nobili, precisamente nei vecchi bagni. Il gruppo si separò senza troppi convenevoli, arrivati a quel punto del percorso ogni rumore superfluo poteva risultare mortale.
Padre Furio sospirò sfregò le mani l’una contro l’altra per scacciare il freddo umido di quel posto maledetto e guardò gli uomini lasciati sotto la sua responsabilità. Uno di loro era un confratello, un corvo dal passato insignificante, talmente sconosciuto e inutile da non essere nemmeno stato catalogato nei suoi ricordi con un nome. «Sai agitare una fiaccola? Almeno quello sai farlo? » gli chiese con tono di scherno. L’uomo si fece minuscolo e annuì mentre un vivo rossore gli incendiava le guance. Furio scosse la testa e lo squadrò. Era grasso e flaccido nonostante alla sua età si doveva essere prestanti e muscolosi. I suoi occhietti porcini sembravano costantemente pronti a versare lacrime, le labbra sottili permanentemente rivolte verso il basso in un’espressione che non sapeva se definire inebetita o sommessa. Improvvisamente una luce si accese nella sua memoria e ricordò.
«Tu sei Padre Tacchino! » – affermò - «Oh per tutti gli stramaledetti Draghi della Prima Era! Non tu, non il figlio idiota di quel grasso maiale del Marchese Helor di Rocciaverde! Eri inutile come corvo e sei inutile come soldato! Vedi di non crepare e di agitare quella torcia a dovere. Bada Ser Tacchino che se i nostri amici li nella foresta non arrivano a salvarci i quarti posteriori sarai il primo a finire sulla tavola dei cani di Lorch. Ai suoi mastini piacciono i grassi, grossi volatili senza cervello hai capito?»
Furio aveva un talento per farsi amare dai suoi, era scontroso e arrogante con chiunque, sempre. Indicò due ragazzi dall’aria macilenta ma dall’espressione furba.
«Vuoi due con il Tacchino. Badate a che faccia il suo lavoro. A voi il compito di aprire le porte. Tu Ron Blackstone, sei il figlio di un fabbro no? Dovresti sapere come si scassina una serratura! »
Il giovane apprendista annuì.
«Bene ora chiudiamo tutti la bocca e proseguiamo. »

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Sciamarono come vespe inferocite. I loro pungiglioni erano le spade, ma a differenza degli insetti non emisero nessun rumore. I bagni di Spina Rossa erano posizionati esattamente al centro del lungo corridoio in cui erano disposte le camere dei nobili. Non erano più di trenta le stanze quindi non era necessario che tutti si impegnassero nell’arduo compito di sorprendere e uccidere nel sonno i soldati di alto rango della Guardia Insonne. Malzhar Rahl aveva scelto il suo obiettivo fin dal principio, Lord Edward Hefford il castellano di Spina Rossa nonché l’uomo al comando di quell’avamposto. Sembrava avere qualche conto in sospeso con il signorotto ma non aveva voluto raccontare a nessuno cosa avesse nutrito il suo rancore.
Robert Flamel era stato un sergente della Guardia Cittadina prima dell’arrivo di Lorch ed era abituato ad eseguire ordini che prevedevano irruzioni nelle case di criminali politici. Il modus operandi era semplice: si sfondava la porta, si tagliava la gola ad eventuali guardie prezzolate e si catturava il prigioniero colpendolo prima in testa per stordirlo. Il Sussurro aveva delegato a lui il compito di ripulire le stanze destinate al riposo dei dignitari della Guardia Insonne e lui aveva eseguito il suo lavoro con professionalità.
Aveva scelto dieci soldati e mandato gli altri al piano inferiore a dare man forte a quei quattro sbarbatelli che avevano il compito di aprire le porte.
Si erano divisi il lavoro: tre stanze a testa. Gli ordini erano stati chiari: aprite la porta senza troppo trambusto, colpite e passate alla stanza successiva. Non c’erano stati troppi problemi all’inizio, ma poi Lord Heffor aveva iniziato a strillare come un maiale e un odore intollerabile di fumo e carne arrostita si era diffuso in tutto il corridoio mettendo in allerta quelli con il sonno più leggero. Avevano dovuto cambiare strategia e aspettare che fossero i nemici ad aprire le porte delle loro stanze. I suoi uomini li aspettavano accucciati dietro la porta e non appena li vedano sbucare li colpivano con un fendente di spada, un affondo e qualche volta anche con un sonoro colpo di mazza ferrata. Ad un certo punto però il corridoio si trasformò in un vero e proprio campo di battaglia. Uomini con i colori della Guardia Insonne presero a salire vociando e sferragliando su per le scale allertati dal trambusto inevitabile.
Tanto meglio, pensò il sergente Flamel, noi li distraiamo mentre di sotto aprono le porte. Ben presto i soldati della Guardia Insonne dovettero constatare l’inefficacia della loro strategia di difesa.
Le scale non permettevano a più di due, tre uomini di salire. Giunti in cima, dunque, si ritrovavano numericamente inferiori perché gli invasori avevano un intero corridoio in cui disporsi. Per di più le scale in pietra iniziavano a diventare scivolose per il sangue versato. Ad un tratto un uomo senza armatura uscì dalla camera del loro capitano, alzò le braccia e investì i difensori con un ondata di energia che li fece ruzzolare rovinosamente giù per la scalinata. I soldati nemici gli furono addosso, urlando più che mai e li massacrarono.
«Qui abbiamo finito, scendiamo giù e creiamo scompiglio. Disperdetevi, non combattete compatti, dobbiamo distrarli da Padre Furio e permettergli di aprire le porte. »

Il corvo sentì rumori provenire dall’alto, urla e il suono dell’acciaio che impatta contro altro acciaio e ossa.
Stavano combattendo di sicuro e non era proprio il caso di uscire dalle latrine per trovarsi una colonna di uomini pronti a farli a pezzi. Le caserme dei soldati semplici erano distanti dal largo ambiente in cui si trovavano ma era meglio non rischiare. Eppure, eppure se avessero atteso troppo qualcuno avrebbe potuto pensare di cercare lì dentro e allora sarebbe stata, si, la fine.
Posò gli occhi su Padre Tacchino e facendosi aiutare dai gesti di braccia e mani gli ordinò di uscire e aprire le porte. Il Tacchino lo guardò con aria terrorizzata, scosse la testa e indicò i rumori che provenivano da fuori.
Padre Furio fu costretto a passarsi un dito sulla carotide per fargli capire cosa gli sarebbe successo se non avesse obbedito ai suoi ordini. Il poverino emise un lungo gemito e tremando come una foglia fece come gli era stato ordinato.
Padre Tacchino non era un codardo solo non aveva avuto una vita facile. Suo padre era un nobile ma lui era l’ultimo di sette figli. Le scelte erano due: arruolarsi nell’esercito o entrare in uno dei centinaia di ordini religiosi che affollavano Theras. Gli piacevano i corvi erano austeri, maestosi, saggi e potenti e così aveva investito la sua parte di eredità nell’acquisto di una tunica nera e destinato quello che rimaneva come offerta al dio di Caino e del Re. La vita all’interno dei preti neri, però, non era stata migliore di quella che avrebbe passato come soldato. I servi del Sovrano erano poco ben disposti nei confronti di un soggetto privo di qualunque pregio quale lui era. Gli avevano assegnato compiti umilianti, un nomignolo crudele e l’avevano lasciato ai margini. Padre Tacchino c’era abituato e ingoiò fin quando poté. Un giorno qualcuno, non si ricordava nemmeno più chi, osò insultarlo dinnanzi a tutti. Lui tentò di aggredirlo e ci guadagnò solo altra umiliazione e botte a non finire. Da quel giorno Padre Tacchino decise che preferiva essere ignorato che picchiato e non fece più testo.
Quella notte, però, la fortuna l’aveva premiato per la sua pazienza. Aveva un compito importante, prezioso per cui sarebbe stato premiato. Quando si trovò fuori dalle latrine tremava ma era felice di poter essere utile. Improvvisamente una masnada di uomini urlanti, armati di tutto punto gli passò accanto e tutti i propositi di gloria si sciolsero insieme alle sue viscere. Si ritrovò urlante, piangente, con i pantaloni bagnati e l’orgoglio sotto i piedi. Nessuno lo notò, sembrava esattamente ciò che era stato scelto per essere: un servitore spaventato. Quell’attimo di lucida autoconsapevolezza lo rassicurò, gli infuse vigore nelle gambette grassocce scosse dai tremiti e gli permise addirittura di ignorare il calore umido dei calzoni bagnati da vergogna e non solo. Strisciò, insieme agli altri due che nel frattempo gli ridacchiavano dietro apparentemente incoscienti del pericolo che stavano correndo. Altri uomini gli passarono accanto ma sempre più di rado. Qualcuno ordinò loro di tornarsene a pelare patate e pulire pentole se non volevano morire.
Giunsero alle porte e li per poco Padre Tacchino non ebbe un infarto. C’erano due guardie, ben due sentinelle all’ingresso. Erano confusi, spaventati ma avevano spade e armature e loro invece erano disarmati. Fu il figlio del fabbro ad agire, scagliò una fialette di Fumo Pesto e l’aria si riempì di un vapore nero, soffocante. Li il corvo grassoccio ebbe un’illuminazione: la torcia! Poteva accenderla! Poteva aiutare l’apprendista fabbro! Così fece e notò che il fumo parve diradarsi un poco.
L’altro ragazzo era steso a terra, la faccia in giù, il pavimento coperto di sangue. Dalla schiena gli spuntava una lancia. Il Tacchino si avvicinò a lui con cautela e vide qualcosa di strano. Il giovane impugnava una lama malmessa, spuntata e rosa dalla ruggine. Sotto il suo cadavere c’era quello di una delle sentinelle, il compagno d’armi non l’aveva visto e nel trafiggere il ragazzo aveva ucciso anche il suo commilitone.
Una mano gli afferrò la spalla. Non osò voltarsi, pregò il Sovrano e iniziò a piangere sommessamente.
Fu scosso, una, due, tre volte.
«Muoviti grasso idiota! Che aspetti! »
Era il figlio del fabbro! Non solo aveva aperto le porte ma anche fracassato il cranio dell’altra sentinella con il suo martello. Padre Tacchino non si sentì più felice in vita sua, corse fuori, respirò l’aria fresca della sera e agitò la fiaccola. Erano salvi!

Padre Furio sentì la porta spalancarsi e sospirò per il sollievo. Il sollievo durò poco però perché quelli che erano entrati non erano dei loro. Erano una decina ma armati e persino la sua magia sarebbe stata niente in confronto. Pensò di usare il Fumo Pesto ma poi arrivò alla conclusione che arrendersi avrebbe prodotto risultati migliori; l’aveva già fatto una volta, durante l’assedio di Basiledra, ed era sopravvissuto.
Alzò le braccia e dichiarò il suo intento di arrendersi. Quelli lo guardarono stupefatti … Non si aspettavano proprio di riuscire a catturare degli ostaggi.

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«State tutti bene? » – era ovvio di no, ma lo chiesi lo stesso. Di un centinaio che eravamo solo ottanta si erano riuniti nel giardino esterno dopo la cattura di Spina Rossa. Alcuni erano morti, altri feriti e altri ancora dispersi. In fondo venti uomini persi non erano poi molti …
Si avvicinò ad uno degli uomini incaricati di giungere dalla Foresta.
«Dov’è Furio? » – chiesi - «Il corvo » –precisai - «Evidentemente lui e i suoi sono riusciti ad aprire le porte ma non li vedo. Che fine hanno fatto? »
Il soldato fece spallucce e tornò a bere la birra che avevano trafugato dai magazzini. Avevo dato ordine di ammucchiare i cadaveri in giardino e dare fuoco. Le mura della fortezza avrebbero nascosto le fiamme della pira. Mentre quelli con lo stomaco più resistente si occupavano di quel triste compito gli altri si rifocillavano con le provviste trovate qui e lì per il castello. Notai Shaoran riscaldarsi accanto uno dei falò, mi avvicinai a lui. «Bel lavoro. » – gli dissi asciutto - «Noi due ce la caviamo discretamente quando lavoriamo in coppia! » – una manata sulla spalla avrebbe compensato la deficienza emotiva nel mio tono di voce. «Tu hai per caso visto Padre Rufio e gli altri che ho mandato ad aprire le porte? »
Il Sussurro non seppe darmi informazioni sulla sorte toccata a quei poveri sventurati. Sospirai e diedi ordine di cercarli ad uno dei soldati impegnati a bivaccare. Feci cenno a Shaoran di seguirmi, volevo tornare al piano superiore. Lì c’era una piccola torre destinata ad ospitare i falchi usati per la caccia alla lepre. Forniva una buona visuale del territorio circostante. Kuro mi aveva assicurato che c’erano molti piccoli contingenti di Sussurri nei dintorni e Spina Rossa era praticamente circondata da avamposti della Guardia Insonne.
Salimmo su per le scale coperte ancora di sangue rappreso, ci dirigemmo in fondo al corridoio fino ad una stretta scala a chiocciola. Ci arrampicammo su, sempre più in alto fino a giungere ad una piccola porta in legno. La torre era sporca, piena di polvere ed escrementi di animale. Una finestra dava accesso al tetto della fortezza, decidemmo di passeggiare e dominare il panorama da ogni lato.
Mentre discutevamo sull’opportunità di proseguire in marcia o fermarci per la notte e riacquistare le forze, qualcosa attrasse la nostra attenzione. Urla, schiamazzi e un gruppetto di uomini per metà armati e per metà no stavano uscendo dal portone principale. Qualcuno giunse in cima alla torre con il fiato mozzo annunciando problemi.
«Cosa vuol dire che hanno preso degli ostaggi ?! » – urlai mentre il mio viso assumeva una sfumatura rossastra. «Non mi importa cosa vogliono, non mi interessa se possono ucciderli, non se ne andranno in giro ad avvisare Lorch di quello che stiamo facendo! »
Shaoran guardò in basso e richiamò la mia attenzione. Rapitori ed ostaggi erano fermi, un gruppo di soldati armati di archi li teneva sotto tiro minacciandoli di morte se avessero mosso un solo muscolo. Non erano troppo in alto da non poter ascoltare quello che dicevano. Il capo dei superstiti continuava a minacciare di uccidere gli ostaggi se non li avessimo lasciati andare, affermava che una pioggia di frecce avrebbe colpito amici e nemici. Aveva ragione, ci avevano fregato.
«Dai ordine di ucciderli. » – affermai - « Non possiamo rischiare, la vita di quegli uomini non vale la posta in palio. Mi dispiace ma se sono stati tanto idioti da farsi prendere io non … »
Senti lo sguardo accusatore del messo e quello del mio amico sussurro perforarmi. Mi presi un attimo di pausa.
« Non è necessario che i nostri muoiano. »
«Ce la fai a difenderli? Gli ostaggi intendo, se io dovessi scagliare su di loro una delle mie magie tu riusciresti a proteggere i nostri? »
« Posso, però mi devo avvicinare. » Si sarebbe calato dal tetto, dunque, li avrebbe seguiti e al momento giusto avrebbe eretto le sue difese mentre io abbrustolivo gli altri. E so anche come. Fidati, dai ordine di lasciarli andare. »
Così feci. Shaoran seppe stupirmi ancora una volta: materializzò non so come un fascio luminescente. Si tuffò al suo interno e sparì dalla mia vista. Attesi il momento giusto, teso, spaventato dall'ennesimo colpo di coda della fortuna.
Se fossero riusciti a scappare, se la nostra strategia non avesse avuto successo tutti gli sforzi per liberare Spina Rossa sarebbero andati a farsi benedire. Erano a meno di dieci passi dall’ingresso della foresta quando il cielo si riempì di nubi temporalesche. Un fulmine, poi un altro, poi un terzo. Quando i rapitori si resero conto di essere sotto attacco era già troppo tardi. Uno dopo l’altro la furia dei cieli li abbatté al suolo. Quelli che non morirono sul colpo furono finiti da Shaoran e gli altri soldati del contingente assegnatomi da Kuro. Sospirai scendendo le scale, era andata bene anche quella volta …

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CS: 3 | Intelligenza 2 Volontà1
Critico 40 | Alto 20 | Medio 10 | Basso 5

Stato Fisico: //
Stato Psicologico://
Energia: 100% - 10 - 10 - 10= 70%

Passive in Uso:
° Nessuno svenimento al 10% di energie,
° Riconoscimento delle illusioni
° 2CS in Intelligenza quando l'avversario usa tecniche magiche,
° Capacità di percepire i segreti, comprendere quali tra questi siano più importanti di altri.
°Capacità di comprendere se una persona mente o dice la verità.
°La Prigione di Cera vale come arma che provoca danni da ustione magici e tornerà sempre nelle mani del suo padrone.
° Tecniche offensive ad area hanno cagionano un danno pari al consumo.
° Capacità di percepire la natura delle intenzioni altrui
° La voce di Malzhar è sempre udibile al di sopra di ogni voce o rumore.




Attive:



«Alto come il Cielo si innalza il mio Spirito. Come il Fulmine schianterò il mio nemico. Come il Vento sussurrò il mio sapere al mio discendente. »


Niente è più terrificante dell'ira dei Cieli, l'inferno stesso non conosce furia più grande del montare della tempesta. Così canta un'antica ballata.
Da sempre gli uomini e le altre creature guardano al cielo e alla sua maestosa quiete con reverenza e rispetto. La volta celeste ci guida nel buio guidando il nostro cammino con le sue stelle, ci aiuta a scandire i giorni, le stagioni, i cicli di vita e morte con l'eterno rincorrersi di Luna e Sole. Ma non esiste cuore che non provi un fremito di timore reverenziale quando le nubi si gonfiano, i venti soffiano e il fulmine squarcia il silenzio e da inizio al Regno della Tempesta.
A noi Uomini-Spirito è dato un grande dono: il Cielo si offre a noi permettendoci di dominarlo. Così possiamo trasformare una tersa mattina d'estate in un rigido inverno, una notte serena in una furia di saette e pioggia. Siamo benedetti con il potere di invertire - anche se non permanentemente- il corso delle stagioni, come arma ci è offerto il fulmine, il ghiaccio, l'alluvione, il calore del Sole, il soffio inarrestabile del vento. Per questa ragione come il Cielo siamo venerati e temuti dalla nostra gente, per questo nessuno osa levare contro di noi la mano, perchè tutti conoscono la Furia dei Cieli e non esiste cuore che dinnanzi ad essa non tremi.
[Consumo medio, Dominio dei Cieli. + Tifone Consumo Critico]

«La mia fede è forte, smuove le montagne e come scudo si erge contro l'aggressore »

Uno Sciamano è un sacerdote, un'autorità morale prima ancora che politica.
La sua fede nella Tradizione deve essere salda oltre ogni dubbio, tanto grande e forte da bastargli come arma e scudo insieme. La concretizzazione di ciò è un sortilegio che gli Sciamani da sempre si tramandano e che permette di condensare in energia telecinetica il potere che li anima e li guida.
Ma la volontà di uno Sciamano deve essere ancora più forte, capace di spazzare via ogni nemico. Le leggende narrano che alcuni mistici abbiano un così perfetto controllo della propria volontà da riuscire ad incanalarla nelle viscere della terra fino a dominare le potenze telluriche e piegarle al proprio servizio. Tali esseri hanno ormai travalicato i limiti dell'umano, potendo comandare i terremoti lo Sciamano è ormai in grado di seminare distruzione senza fine ai suoi nemici.
[Conumo Medio, pergamena Raffica Telecinetica + Terremoto consumo alto]

«Come bufera mi abbatterò su coloro che infrangono la Tradizione, come fuoco emenderò le loro colpe.»

Il rispetto della Tradizione è molto sentito presso le popolazioni guidate da uno Sciamano. Spesso i nostri guidano comunità nomadi o seminomadi in cui lo spirito di gruppo è una risorsa preziosa come l'acqua o il cibo. Persino il Popolo degli Spiriti, che era entrato a far parte delle genti civilizzate con le sue costruzioni in pietra e i suoi centri abitati degni delle città dei vari potentati di Theras, non ha dimenticato quando fosse importante il rispetto delle regole. Per questo chi viola la Tradizione va punito in maniera esemplare ed estremamente scenografica.
Le due massime pene previste dalla nostra cultura erano l'esilio e il rogo, secondo una sorta di contrappasso.
Chi viola le Tradizione si distacca idealmente dalla sua comunità ed è per questo scacciato anche materialmente per il tempo necessario ad emendare la sua colpa. Io stesso, andando contro il mio maestro ne sono stato colpito.
Il rituale vuole che lo Sciamano invochi i venti e ordini loro di sferzare il reo fino a che non è uscito dal confine sacro della comunità.
Il rogo è invece la soluzione estrema, la pena che viene adottata nei confronti di chi è talmente contaminato che il solo allontanamento non sarebbe sufficiente a purificare l'intero gruppo sociale dalle sue colpe. Per questo il suo corpo viene dato alle fiamme, l'elemento che purifica per eccellenza, in modo da eliminare la minaccia di contaminazione per tutta la comunità.
La Tradizione narra per in alcuni, gravissimi peccati ad essere utilizzato non è il comune fuoco magico ma il tremendo ed inestinguibile Fuoco del Castigo. A nutrire queste fiamme, che non conoscono limitazioni nemmeno dalle comune leggi fisiche, si dice sia la stessa collera degli Dei, personaggi questi mai invocati nella cultura sciamanica se non in remotissimi casi e solo come extrema ratio. Quel fuoco terribile non solo brucia in qualsiasi condizione ambientale o fisica ma ha anche la capacità di perdurare e continuare per un tempo superiore a quello comune.
[ Vento Violento (alto) + Accolito degli elementi (medio) + Inferno senza fine (critico); ]

CITAZIONE





CITAZIONE
Note - Riassunto: Ho preferito spezzettare molto il post e descrivere ciò che avviene da prospettive differenti. La prima parte è da considerarsi la naturale conclusione degli eventi svoltisi nell'duello tra Malzhar e Montu. [Al duello.] Malzhar non è riuscito a salvare la vita del Lord di cui si fingeva servitore. Il nuovo castellano di Spina Rossa non solo lo invita ad andarsene ma prima di farlo vorrebbe che uccidesse il Monmouth morente e congedasse gli uomini addetti alla ristrutturazione delle Vecchie Fogne. Qualche tempo dopo la marcia per la liberazione di Basiledra offre un inaspettato nuovo modo di usare i tunnel in origine destinati a depredare Spina Rossa. Lo sciamano aiutato da validi collaboratori e prodi guerrieri muove dunque alla conquista della piccola, rustica fortezza. Divide il suo contingente in tre gruppi: due di loro andranno nelle Vecchie Fogne e useranno i cunicoli ristrutturati per infiltrarsi nella fortezza, uccidere gli ufficiali dell'avamposto e aprire le porte al terzo gruppo in attesa nella foresta. La presa della fortezza è un successo: ufficiali e sottoufficiali vengono sorpresi nel sonno da un gruppo di veterani di Basiledra guidati dallo stesso Rahl, il piccolo gruppetto di uomini inviati ad aprire le porte riesce nel suo scopo permettendo al grosso dei soldati di ripulire definitivamente Spina Rossa dai nemici.
Ma ... mentre Malzhar e Shaoran ( che nel frattempo ha guidato il gruppo della foresta) sono impegnati a decidere le prossime mosse un gruppo di superstiti cattura Padre Furio e gli uomini sotto la sua guida. Il corvo aveva preferito rintanarsi nelle latrine e non combattere ma ciò non l'aveva protetto da un avverso risvolto degli eventi.
Malzhar è pronto a sacrificare gli ostaggi ma Shaoran propone una soluzione differente: si calerà dal tetto e seguirà i superstiti a quel punto Malzhar scatenerà contro i fuggitivi una slavina di fulmini mentre il Sussurro proteggerà gli ostaggi.
La strategia riesce, non rimane che eliminare i pochi soldati nemici sopravvissuti alla furia distruttiva evocata dallo Sciamano.






 
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Lindow
view post Posted on 28/1/2015, 21:34




if I had a world of my own
everything would be nonsense
nothing would be what it is
because everything would be what it isn't


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«A un futuro radioso!»
Asserì serafico, innalzando il calice e brindando con i suoi camerati. In quel frangente, Samath sapeva di averli in pugno, di aver conquistato i loro cuori ancorati a illusioni che recavano il nome di onore e lealtà. E così, almeno per loro, il Puro sarebbe stato l'uomo più retto dei Quattro Regni: un compagno per cui morire, un soldato da compiangere nella morte, un amico a cui confidare ogni genere di segreto. Non che ordire inganni fosse motivo di vanto per il giovane, ma la situazione attuale imponeva persino il sacrificio degli uomini più virtuosi. Se tutte queste morti sarebbero valse quella di Mathias Lorch, allora avrebbe offerto le anime di decine e decine di innocenti per adempire alla sua missione. Il tiranno del Nord, il sovrano che aveva ottenuto tale carica uccidendo il re bambino, presto avrebbe ricevuto lo stesso castigo che aveva inflitto al suo popolo. Contribuendo all'annientamento di questa figura che dissacrava Basiledra, Samath si sarebbe avvicinato di un altro passo verso l'edificazione di un mondo che avrebbe dimenticato le vessazioni dei Lorch e il resto dei mali. Bevve lentamente, gustando quel vino che non stancava mai il suo palato, una prelibatezza del settentrione, non c'erano dubbi. «Senti Sàm, credi che ce la faremo?» proferì Adam guardandolo dritto negli occhi. I suoi erano smeraldini e incerti, quelli di Samath erano pozze nere che esprimevano una speranza fin troppo ostentata, altri avrebbero argomentato che si trattava di semplice arroganza. «Credo che sia una follia, che molti moriranno, che i nostri sforzi potrebbero essere vani. Sì, io credo anche nel più totale dei fallimenti, nella disfatta del nostro sogno collettivo. Ma ditemi, voi sareste disposti a cedere di fronte a un verme che si adorna di blasfemie indossando la corona di un monarca trucidato? Voi lascereste il regno nelle sue mani insanguinate?» replicò ponendo un nuovo interrogativo, facendo leva sulla loro ragion d'essere come uomini del Nord e della resistenza. Nessuno poteva ritrattare di fronte a quelle parole, poiché sarebbe stato l'equivalente di rinnegare la stessa motivazione che li aveva spinti a combattere finora. «Giusto! Lunga vita alla resistenza! Morte ai cani invasori!» intervenne Taien, inneggiando alla rivoluzione, suscitando il sorriso di Samath che non lasciava trasparire malizia. «S-sì» replicò annuendo Velvet, fratello di Adam e giovane mago. Troppo giovane per partecipare a una guerra, troppo innocente per macchiarsi di peccati che non poteva comprendere, eppure aveva scelto di lottare, encomiabile. Samath si alzò lentamente, appoggiando la mancina sulla spalla del ragazzino. «Sei forte, Waver» sussurrò cercando di consolarlo: aveva solo quattordici anni.
Un agnello mandato al macello: niente di più, niente di meno.

Quanto poteva essere buio il domani?
Così nero da oscurare le stelle e il sole
e tramutare anche i sogni in incubi.
«Oracolo, se ti avessi chiesto una predizione,
mi avresti mostrato questo inferno?
»
Soltanto una preghiera muta.


Basiledra, la fulgida capitale dei Quattro Regni, nient'altro che uno spettro di ciò che era in passato. Non trovava parole per descrivere il caos che regnava in quelle strade un tempo ridenti: era davvero questo il mondo che desiderava Mathias Lorch? Erano passate tre stagioni, ma il tempo non aveva guarito le ferite che la morte di Sigrund aveva aperto nella psiche contorta del tiranno. I corpi dilaniati dalle belve della Guardia Insonne testimoniavano la furia di un uomo preda dei propri istinti più bassi, primo fra tutti quello vendicativo. Questa era Basiledra ora: il triste riflesso del rancore dei Lorch. Quale poteva essere il giudizio, per uomini e donne che avevano scelto di intraprendere la strada del massacro? Genocidio: l'annientamento delle loro intere discendenze, in modo da eliminare la loro presenza nel mondo; morire, per loro, era l'unico modo per redimersi. E, forse, la loro caduta sarebbe divenuta un monito per ogni despota futuro.
Ci volle diverso tempo per raggiungere la piazza principale, dove si sarebbe dovuta svolgere l'esecuzione di Fanie Elberim, il capitano della resistenza da salvare, la donna che era fonte di ispirazione per tutti i rivoluzionari: un simbolo, un possibile martire. Samath accennò un ghigno, ovunque potevano nascondersi altri membri della loro organizzazione atta a portare a termine un autentico colpo di stato. Che ci provasse pure, Lorch, a individuare ogni singolo individuo, che tentasse di uccidere delle ombre che si mimetizzavano in quella folla, e non solo. Adam e Waver erano di fronte a lui, Taien al suo fianco. Nessuno parlava, tutti aspettavano. Un segnale, un cenno, e l'inferno si sarebbe scatenato contro di loro.
Samath Eden era pronto.

Samath Eden
the chosen one

JWV8Gz0


B: 5% - M: 10% - A: 20% - C: 40%
1 CS: Volontà - 2 CS: Mira


Equipaggiamento
Spada: riposta.
Stalattiti oscure: conservate in un altro piano dimensionale.
Passive
CITAZIONE
Il male è sfuggente e i corrotti sono altrettanti abili nell'arte della fuga e dell'inganno. Pochi affrontano il nemico a viso aperto, molti sono inclini a tattiche poco ortodosse come farsi scudo di un ostaggio. Samath a seguito di numerosi addestramenti può definirsi il flagello di questi vermi che indossano le spoglie di creature umane. Allenandosi come arciere, il Puro è in possesso di una mira fuori dal comune; i suoi attacchi pertanto saranno inferti con una precisione decisamente superiore alla media. Le capacità del Puro tuttavia vanno oltre una mira quasi perfetta; infatti Samath si rivelerà in grado di scagliare più attacchi con le proprie armi da tiro, arrivando anche a colpire più nemici simultaneamente.
(Abilità passiva del tiratore di primo livello. Samath è in grado di prendere la mira su un avversario finché ne vede la figura
Abilità passiva del tiratore di secondo livello. Samath può lanciare scariche di colpi tramite qualsiasi arma da tiro/lancio/fuoco e colpire più nemici contemporaneamente senza vedere ridotta la propria precisione.)

CITAZIONE
La determinazione è per lo spirito l'equivalente delle ossa per il corpo; senza di essa un uomo sarebbe preda di se stesso, incapace di perseguire uno scopo, schiavo inconsapevole della propria debolezza. Samath non poteva non essere risoluto, sicuro di sé e deciso a rischiare persino la sua stessa vita in nome dei propri ideali. Non importa quanto furiosa sia la battaglia, il Puro lotterà spingendo il proprio corpo fino allo stremo pur di far prevalere sull'oscurità. Sarà sempre e solo la forza di volontà a renderlo capace di compiere quello che potrebbe sembrare impossibile. Grazie alle sue abilità arcane, Samath sarà in grado di muovere a piacimento gli oggetti intorno a lui senza nemmeno toccarli. Basterà uno sguardo per far muovere -come se fosse animata- una spada contro un uomo del tutto spaesato; un sorriso per porgere l'ultimo saluto a un uomo sgozzato dalla propria daga nel sonno. Ma la risoluzione del Puro non è solo una spada, ma anche uno scudo. Non si farà soggiogare dalle nessuna illusione né il suo cuore cederà di fronte alle malie di un mago corrotto. Ogni qualvolta che qualcuno proverà a insinuarsi nella sua mente, Samath sarà in grado di reagire prontamente, concentrandosi solo su ciò che per lui è vero, dissipando le falsità altrui.
(Passiva razziale "Ostinazione". Samath non sverrà una volta raggiunto il 10% delle energie.
Abilità personale; passiva. Samath è in grado di muovere la materia con l'ausilio del pensiero.

Abilità personale; attiva. Difensiva di natura psionica. Consumo: variabile; potenza: variabile.)

Note
Samath si reca a Basiledra insieme a tre membri della Resistenza che ha conosciuto durante l'ultimo mese precedente il giorno dell'esecuzione. La frase "Samath Eden era pronto" è un semplice tributo al bando della quest. :sisi:
 
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Stella Alpina
view post Posted on 28/1/2015, 22:26







Quattro Regni, Contea di Ardeal, tempo attuale


L'aria nella stanza cominciava a sapere di chiuso ma il conte si rifiutava di aprire la finestra per impedire al freddo entrare. Seduto alla scrivania, intento a firmare noiosi documenti burocratici relativi alla produzione di grano della contea, il conte lasciava vagare la mente altrove, verso recenti ricordi in parte spiacevoli e in parte no. Era passata poco più di una settimana da quando Ainwen era stata liberata dal giogo della contessa, troppo poco per permettersi di pensare ad altro. Il bussare alla porta distolse in parte la sua attenzione dai ricordi, la vista di Ainwen sulla soglia ce la ributtò a capofitto. La ragazza si muoveva ancora a fatica per i soprusi subiti durante la prigionia e il vederla così faceva provare disagio e fastidio al vampiro. Il loro rapporto dopo quegli eventi era cambiato, si era stretto e l'affetto del conte nei riguardi dell'oracolo era aumentato a dismisura, molto più di quel che riusciva realmente a confessarsi. Ainwen fece il suo ingresso nella stanza con in braccio la bambola ormai ritrovata. Un vestito rosso elegante, forse per compiacere i gusti dell'uomo, copriva gran parte del suo corpo e delle ferite subite non ancora del tutto rimarginate. Il conte la guardò per un attimo, poi tornò a fissare le pergamene sulla scrivania.

« Gabriel... »


L'uomo non si mosse di un millimetro, continuando il lavoro sui documenti ma prestando la totale attenzione alle parole della ragazza.

« Le mie spie mi hanno riferito che a Basiledra si sta preparando nuovamente la ribellione. »


La ragazza prese fiato ma fece una pausa, probabilmente aspettandosi una risposta. Gabriel annuì debolmente aspettando la frase successiva che sapeva bene non gli sarebbe piaciuta affatto.

« Devo esserci. Devo vedere cosa accadrà. Devo conoscere le mie pedine se voglio fare la mia mossa. »


Il conte sospirò riconfermando la sensazione che aveva dentro già all'ingresso della ragazza nella stanza. Lentamente poggiò la penna al lato della pergamena e si alzò dando le spalle all'oracolo. I suoi occhi si persero nel paesaggio montano che circondava il castello.

« Non ti sei ancora ripresa e già vuoi muoverti? Un viaggio verso Basiledra per di più... per finire in mezzo ad una ribellione. »


Ainwen impallidì a quell'affermazione e boccheggiò per un istante prima di riprendere il controllo.

« Non potrò fuggire in eterno. L'esito di questa ribellione potrebbe mandare in fumo i miei piani. Non posso...non possiamo permetterlo. »


Al conte non sfuggì l'uso del plurale alla fine della frase. I loro interessi erano conversi in un unico punto dopo la liberazione. Ainwen aveva finalmente accettato di restare con lui. L'oracolo di Ardeal.

« La tua presenza lì, in questo stato, non cambierà le cose. Andrà come deve andare. »


La ragazza subì la risposta ma non mollò la presa. Strinse i pugni risoluta e la bambola piantò gli occhi sulla schiena del conte.

« Io devo esserci, Gabriel. Ti prego, vieni con me. La tua presenza sarebbe importante...per me. »


Il conte si piegò leggermente in avanti appoggiando una mano al vetro della finestra. Il paesaggio gli sembrò chiudersi all'improvviso su di lui. Non gli piaceva quella situazione, non gli piaceva affatto.

« Mi stai chiedendo molto. Lasciare la contea... non credo di potermelo permettere. »


« Mi stai chiedendo di scegliere tra te e tutto quello per cui ho lottato fino ad ora? Ti prego, non farlo. »


Gli occhi di Ainwen si inumidirono e a quelle parole Gabriel si voltò di scatto rispondendo d'impeto, alzando la voce.

« Non ti sto chiedendo di scegliere tra me e il tuo obiettivo, ti sto chiedendo di riconsiderare le tue priorità. Non sei ancora in grado di muoverti, senza neanche contare dove ti ritroverai. »


A quello sfogo emotivo Ainwen si riprese, ritrovando un briciolo di speranza.

« Ce la faremo se sarai con me. Il popolo è malleabile come la creta, dobbiamo poterlo avvicinare e preparare al momento della vittoria. »


« Sei davvero convinta di poter fare la differenza? »


Il conte tentò le ultime deboli resistenze ma sapeva bene non poterle dire di no. Ainwen fece due passi avanti colmando la distanza tra i due.

« Forse non subito. Ma questo è solo il primo passo. Sii al mio fianco, ti prego. »


Gabriel la fissò negli occhi, quelli vuoti. Non l'avrebbe lasciata da sola, non dopo averle fatto passare tutta quella sofferenza, anche se indirettamente.

« Spero davvero di non dovermene pentire... so di non poterti far cambiare idea quindi verrò con te, ma ad una condizione. »


L'oracolo sorrise sentendo finalmente di aver raggiunto ciò che voleva, lui sarebbe stato al suo fianco.

« Quale? »


« Non ti allontanerai da me per nessuna ragione cosicché io possa proteggerti. »


La ragazza annuì felice.

« Non lo avrei fatto comunque. »


Ainwen sorrise e Gabriel si lasciò trasportare da quella felicità in parte ritrovata. La bambola osservava dal basso i due visi non troppo distanti. La mano di Gabriel sfiorò la guancia della ragazza in una carezza piena d'affetto e gli occhi della bambola si chiusero.





Quattro Regni, Basiledra, tempo attuale


Il viaggio era stato più lungo del previsto ma questo non era dispiaciuto a Gabriel che aveva avuto la possibilità di godere finalmente della piena compagnia di Ainwen. Dopo la prigionia avevano avuto diverse occasioni per vedersi ma mai così tanto tempo come quello offerto da quel viaggio da soli in carrozza. L'argomento della rivoluzione era stato il centro dei loro discorsi e molte teorie erano state esposte ma una risposta certa non erano riusciti a trovarla. Avrebbero assistito agli eventi di persona e avrebbero dovuto improvvisare in base alla necessità perché il loro piano non era attuabile a prescindere dalla situazione. Non era la prima volta che Gabriel entrava a Basiledra, dopo essere stato trasformato visse persino lì per un breve periodo. Una città così grande mascherava bene le vittime dei suoi pasti. Quella volta però, per il viaggio aveva dovuto ricorrere a delle scorte. Varie fiaschette ricolme di sangue da cui dissetarsi nei momenti di necessità. Per quanto il sangue non sarebbe certo mancato in una ribellione, sarebbe stato alquanto disdicevole piegarsi a berlo direttamente dai corpi. L'entrata nella città non era stata complicata, nonostante nell'aria già permeasse la sensazione di imminente caos i controlli non erano più stretti del solito. Forse per via dell'esecuzione dell'elfa chiamata Fanie, la paladina della resistenza. Ainwen gliene aveva parlato nei dettagli durante il viaggio, per quanto voci su di lei gli fossero giunte da più bocche già tempo addietro. I due camminavano ora mano nella mano poco lontani dalla folla per evitare contatti e problemi di movimento. Il patibolo in vista preannunciava l'esecuzione a cui mezza Basiledra avrebbe assistito. Gabriel continuava a guardarsi intorno osservando dettagli e cercando di cogliere indizi su chi potesse appartenere alla resistenza. Non che gli interessasse effettivamente, ma il controllo sugli eventi era qualcosa che aveva imparato ad apprezzare nelle situazioni difficili. Qua e là si intravedevano divise della Guardia Insonne, occhi che non si dovevano posare su di loro. Gabriel strinse la mano della sua compagna, da lì a breve il caos si sarebbe scatenato e loro dovevano essere pronti.




Edited by Stella Alpina - 29/1/2015, 00:45
 
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view post Posted on 28/1/2015, 23:08


Praise the Sun


········

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Seregon
Non era mai stato un grande fan delle folle, e non lo era di certo diventato in quel momento.

"E' diventato un mercato delle pulci o cosa questo posto?"

Disse scostando la folla come fosse erba troppo alta.
Se pur si trovasse d'accordo a sufficienza da lasciar correre il fatto di star collaborando con un mezzo demone non poteva ancora dire che il suo cuore "ardesse" quanto il loro.

*Avrò davvero fatto bene a lasciarmi trascinare da questa ragazzina?*

La sua testa ancora dubbiosa veniva costantemente messa a tacere dai restanti sensi, in un certo verso gli ricordava Edea, di sicuro lei era ben più inesperta ed agiva più per un'innocenza ancora illesa ma... .

*Con quale coraggio posso dirle di no quando nei suoi occhi brilla una tale speranza?*

Ogni volta che pensava quelle parole era solito portarsi una mano al capo, e quella volta non fu d'eccezione.

*Ah... mi sto rammollendo un po' troppo negli ultimi anni.*

Sorrise fra se e se, più che pensarlo davvero quella era ormai divenuta una frase che si ripeteva prima di iniziar a far qualcosa del cui non era del tutto convinto.
Perfino prima di separarsi Azzurra lasciò scivolare da dentro di sé i suoi ideali e convinzioni tanto semplici quanto puri.

« Io so che questa non è casa tua. »

« Forse non è nemmeno la tua guerra. Ma so che odi i demoni, le aberrazioni, i non morti. Hanno tutti in comune la sete di morte, di distruzione, la voglia di annientare il mondo che conosciamo. Mathias, per queste persone, non è né più né meno un demone ed in futuro, se combatterai con noi, non dimenticherò il tuo aiuto. »

Negli ultimi istanti sembrò agitata, non tanto dall'espressione quanto dal suo odore, ma forse si stava solo sbagliando, del resto in mezzo a quella folla era facile confondersi.
Con le mani in tasca rispose al congedo esagerato della ragazza in un semplice cenno del capo e quelle che sperava fossero le prime ma non ultime parole che le rivolgeva con preoccupazione.

"La stessa cosa vale per te, vedi di tornare tutta d'un pezzo ragazzina."

Si trovava d'accordo con quasi tutto quello che gli era stato detto, eccetto per la parte in cui accennava a: "posizioni strategiche", significava mantenere un profilo basso e per lui l'unico modo di farlo era quello di camminare carponi.
Lanciò un'occhiata al mezzo demone che stava già sgusciando tra la folla, magari fossero bastati anche a lui un paio di stracci scuri con mantello e cappuccio, doveva escogitare qualcos'altro, ma cosa?

*Qual'è è il posto che la gente guarda meno?*

Quando gli animi sono agitati ed è più la paura o l'eccitazione a guidare una massa sono due le cose che ignorano: ciò che si trova sopra le loro teste e quello che calpestano con i piedi.

*Scusatemi se vi chiedo un tale favore, ma non per me che lo chiedo bensì per il bene di tutti.*

Nel vicolo più stretto e buio i topi ignorati e bistrattati furono le sue spie silenziose che tutto sanno ma che nessuno vede.

*Come immaginavo... non mi conviene restare a terra, la folla vicino alla piazza è troppo finta e finirebbe con il rallentarmi.*

E sul campanile abbandonato gli uccelli furono le sue sentinelle sempre presenti a cui niente sfugge.

*E dall'alto impiegherei troppo tempo a scender giù senza farmi male... .*

A conti fatti non restava che una sola alternativa nonché la più rischiosa.
Dapprima si appoggiò al muro, e non appena la sua mano fece presa per arrampicarsi tutto il suo corpo mutò colore, cinereo come la pietra delle case strisciava silenziosamente sulle pareti più alte, non sembrava che qualcuno l'avesse notato ma meglio essere prudenti e continuare a muoversi lentamente.
Arrivato dove la gente pensava di poter assistere ad uno spettacolo con cui saziar la vista si rannicchiò nell'angolo buio che si viene a formare sotto i balconi, mutando colore ancora una volta la sua pelle scuriva sempre più, fino a divenire quella di un'ombra.

Seregon

kugipunch

[CS: 2 Forza.]


Narrato Parlato Pensato



Ferite Accumulate:
Nessuna.

Status Psicologico:
Turbato.

Energia Residua:
100%

Armi:

-Pelle coriacea: Resistente e al tempo stesso leggerissima, la sua epidermide risulta essere di consistenza pari se non superiore al cuoio rinforzato.
In termini di combattimento, la difesa del giocatore sarà pari a quella di una persona che indossa una comune armatura.

-Nocche ferree: Se un normale pugno dato da qualcuno come lui fa male già di per se, che effetti potrebbe mai avere se la normale "morbida" consistenza organica venisse a mancare perché sostituita da una più metallica? Beh, si spera di non scoprirlo mai a proprie spese.
A livello pratico i colpi sferrati equivalgono agli stessi che si darebbero con un tirapugni metallico.

-Breath bazooka: Se necessario, al pari di un'arma da fuoco di grosso calibro, Seregon sarà in grado di espellere dalla propria bocca un singolo colpo d'aria pressurizzata di ragguardevole potenza.
All'interno di un combattimento è possibile usarlo una sola volta.


Abilità Passive:

L'incubo dentro di me
Ho provato così tante volte a fuggire da questo inferno tuttavia ne sono ancora rinchiuso dentro,
continuo a lottare ma, non posso andare avanti in questo modo... .
Ma alla fine che importa se nessuno può vedere il mio lato più oscuro?
La rabbia mi torce la mente rendendo la mia anima facile da rubare.
Nessuno potrà cambiare mai questa bestia che sono diventato.
La rabbia mi torce la mente rendendo la mia anima facile da rubare.
Vorrei davvero credere che questo non sia il vero me... ma non succederà
mai che svegliandomi di colpo scopra che era tutto un sogno,
c'è già un numero tatuato sulla mia testa.
Benvenuti nell'incubo nella mia testa
Muori (muori)
Muori ancora (muori)
Giù (giù)
Senti il fuoco (fuoco)
Senti l'odio (odio)
Sto resistendo così strenuamente ora e il mio ventre grida così forte mentre lui mi guarda annegare.
Osservo me stesso sanguinare mentre mi spinge e mi strattona, vuole sangue e ucciderà per esso.
Tutto questo mi sta uccidendo dentro.
Continuo a lottare ma, non posso andare avanti in questo modo... .
Quest'abilità è una normale difesa psionica di livello passivo.

Cadi e Risorgi
Anche quando i colpi subiti si sono cumulati gli uni agli altri, persino con ossa spezzate e muscoli contusi, il corpo ancora in piedi per la battaglia.
In grado di camminare nonostante una gamba spezzata, di impugnare le armi quando le braccia appaiono inservibili, di muoversi con discreta disinvoltura col corpo leso e ammaccato.
Di non cadere a terra se non col cuore trafitto o la testa tagliata.
Quello visto prima come un dono si scopre poi come l'ennesima spada di Damocle pendente sul suo collo.
In termini di combattimento, il personaggio sarà in grado di proseguire nella battaglia anche dopo aver subito ingenti danni, perfino la mutilazione di un arto non sarebbe sufficiente a impedirgli di sferrare un altro attacco.
Quindi le ferite per quanto gravi, non gli impediranno di proseguire la battaglia al pieno delle proprie forze.

Omnifagia
Il personaggio potrà ingoiare e divorare qualunque cosa, nutrendosi di essa e non subendone comunque alcun danno. Ciò consentirà al personaggio di mangiare anche cibo marcio o avariato, senza venirne danneggiato o influenzato in qualunque modo. Allo stesso modo, il metabolismo particolare gli consentirà di non subire alcun danno da qualunque veleno non tecnica.

Avanguardia
La forza per definizione non necessita di spiegazione alcuna, ed è per questo stesso motivo che inspiegabile è il loro potere. In grado di sollevare i pesi più grandi col minimo sforzo, questa particolare categoria di guerrieri vanta una forza straordinaria, tanto dal poter impugnare armi altresì inutilizzabili per forma e dimensioni come alabarde o bastarde a due mani, finanche mazze ferrate o magli dal peso insostenibile come fossero leggerissimi stocchi.

La Forza Di Sopravvivere
Sul campo di battaglia, tutti sono forti. Non vi è nessuno che è più debole di un altro. Tutti hanno lo stesso allenamento, lo stesso equipaggiamento, lo stesso comandante, e allora cos'è che permette ad alcuni di restare in vita e ad altri di morire? La risposta è molto semplice: è tutto basato sulla propria forza. Ma non la forza fisica, ma la forza della propria volontà. La prima guerra non è vinta sul campo di battaglia, ma nella mente di ogni guerriero. Ognuno di loro deve imporre la propria volontà a calmare la propria mente. Coloro che cadono in battaglia hanno affrontato opponenti con una volontà più forte della loro. Non c'è nulla di cui sorprendersi, davvero. Se ogni persona avesse la stessa forza di volontà, allora vedrebbero anche che non vi è alcun motivo per combattere. Ma non è questo il punto. La volontà della gente è proprio come la gente stessa, diversa tra loro. L'unico motivo per cui io sono stato capace di sopravvivere in queste battaglie è perché ho avuto la volontà più forte. Tutti sono caduti prima di me e nessuno è stato capace di fermare la mia avanzata. La mia volontà mi ha concesso la forza di restare in vita, ma per quanto ancora? Solo finché la mia volontà sarà la più forte, ma in questa guerra tutto è possibile... .
In termini pratici il portatore di tale passiva avrà un'immunità al dolore psionico, ma non dai danni.

Percezione ferina
Il suo senso più sviluppato è senza dubbio l'olfatto, tanto da usarlo spesso perfino per raccogliere informazioni. Per esempio è stato capace di determinare di determinare che la femmina di un esemplare che stava cacciando era incinta dal debole odore di liquido amniotico. E' perfino capace di percepire i feromoni con il suo olfatto. In caso di totale oscurità riesce ad usare questo suo senso per combattere, anche se per ovvi motivi non è molto efficace. Questa sua capacità unità alla vasta conoscenza di flora, fauna e non solo rivela essere ben più di un semplice senso sviluppato oltre i normali limiti umani ed animali, ma una vera e propria arma.

Sussurro animale
Seregon riesce a comprendere appieno ogni forma di vita animale al punto da riuscire a stabilire con loro un forte legame empatico e comprendere cosa vogliono dirgli, questa tuttavia non è una forma di controllo della mente ed eventuali bestie pericolose non si tratterranno dall'attaccarlo se ne avranno voglia.
Tale forma di simbiosi non fisica nel caso sia molto forte tenderà a farlo agire più come un'animale che come un essere umano.

La Zanna della bestia
Il potere dell’artefatto è tanto grande da assoggettare chiunque si trovi nelle sue immediate vicinanze, intimando in loro un senso di impotenza nei suoi confronti. Ebbene si, gli avversari vedranno il possessore della Zanna come un nemico inarrivabile, si sentiranno inevitabilmente più deboli e saranno quindi spinti a riconoscere la sua superiorità.

Passo Verticale
Se vai con lo zoppo finirai per zoppicare, se vai con il vecchio il tuo passo si farà lento, ma sei vai con gli uccelli non vuol dire che riuscirai a volare! O sì?
Che Seregon non sia normale si era capito da tempo e di certo per quanto possa osservare i piccioni di passaggio non imparerà mai a volare da loro, tuttavia è comunque riuscito a sviluppare qualcosa di notevole da chi come lui i piedi da terra non può sperare di sollevarli se non per il lasso di tempo di un salto.
Poggiando mani o piedi su una qualsiasi superficie riuscirà a farvi presa, non importa quanto possa essere ripida o liscia, riuscirà sempre e comunque ad avere un adesione tale da permettergli di scalarla e perfino rimanervi attaccato a testa in giù, cosa che tuttavia potrebbe non funzionare nel caso queste siano rese scivolose da tecniche altrui.


Abilità Attive:

Cromocinesi (x2)
L'utilizzatore può controllare e alterare il colore, pigmentazione, luminosità, sfumature, saturazione, intensità, tonalità e via dicendo della propria pelle, indipendentemente dalla loro innaturalità.
Il cambiamento di colore è dovuto da alcuni strati di cellule specializzate che si trovano sotto la sua pelle a loro volta disposte su diversi strati a seconda se contengono sostanze quali guanina, melanina e molte altre artefici di questa sua singolare abilità fisica.
Nonostante quanto si possa pensare non può rendersi invisibile o anche solo trasparente essendo solo un cambiamento di colore superficiale, risultando quindi un'abilità più estetica che utile in battaglia. [Natura Fisica.]

Consumo di energia: Nullo.


Note:

 
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Ark
view post Posted on 29/1/2015, 04:07




~ Assalto a Spina Rossa



     Provavo sempre una certa nostalgia ogni volta che mi trovavo all’interno di una foresta. L’oscurità, l’aria umida, l’odore di terriccio, il costante suono di insetti che frinivano, uccelli che cantavano ed il frusciare delle foglie mosse al vento… Tutto sapeva di casa. A contribuire nella situazione di déjà-vu c’erano anche il gruppo di soldati che attendevano silenziosamente intorno a me, qualcuno che osservava i dintorni appoggiato ad un tronco, chi si sistemava l’equipaggiamento, chi parlottava a bassa voce con il proprio vicino.
     Molti erano uomini veterani ed abituati a combattere, con le cicatrici di molte battaglie che testimoniavano la loro esperienza. Per lo più erano Cavendish, equipaggiati con armature di ottimo acciaio e con le loro lame leggermente ricurve tanto simili a quella che possedevo io. Uomini fedeli a Dalys che avevano marciato al suo fianco e dei Sussurri senza fare alcuna domanda, pronti a combattere per la loro regina. Un atteggiamento ammirevole, ed immensamente utile: il loro supporto alla nostra causa sarebbe stato a dir poco determinante per il successo.
     Oltre a loro si erano uniti anche qualche esponente del gruppo religioso che fino all’arrivo di Mathias aveva avuto grande potere a Basiledra: i Corvi. Non erano molti e probabilmente non erano neppure addestrati a combattere, ma non eravamo nelle condizioni di rifiutare alcun tipo di aiuto, perfino dai giovani ragazzini che a malapena sapevano da che parte impugnare una spada. Mentre i veterani sembravano essere calmi e pronti a combattere in qualsiasi momento, loro sembravano più agitati della battaglia che stava per arrivare. Alcuni si guardavano intorno incerti e nervosi, controllando ripetutamente che il proprio equipaggiamento fosse a posto, e vidi altri fare dei respiri profondi per cercare di controllarsi. Erano a disagio nell’oscurità e saltavano ad ogni rametto spezzato, come se fossimo noi quelli che stavano per essere assaltati.
     Avevamo ottenuto il nostro esercito, alla fine, anche se non grande quanto speravamo. Anche contando chi si era unito a noi sotto la bandiera di Re Julien, non sapevo se avevamo abbastanza uomini per poter effettivamente strappare il trono a Mathias, ma era il nostro ultimo tentativo. I Vaash ci avevano praticamente dichiarato ostilità aperta, mentre gli Holstein avevano preferito rimanere neutrali, e gli unici che avevano avuto davvero successo eravamo stati io, Malzhar e Kuro, anche se per poco non ci rimettevo la pelle.
     Quando chiudevo gli occhi si riaffacciava sempre l’immagine di quel ragazzo – Sandor, difficilmente avrei dimenticato quel nome – che gridava di un dolore straziante mentre Dalys lo carbonizzava con il semplice contatto delle sue mani. Immobilizzato dallo stupore non ero nemmeno riuscito a distogliere lo sguardo da quello spettacolo tremendo, avevo visto la sua pelle farsi rossa, poi nera, e infine creparsi e spaccarsi scricchiolando. Quando finalmente smise di gridare e cadde a terra, coperto dalle fiamme, mi ci era voluta tutta la mia forza di volontà per non dare di stomaco proprio durante la dichiarazione di guerra di Dalys contro la Guardia Insonne.
     Avevamo raggiunto l’obiettivo, ma non potevo rimanere impassibile di fronte a quell’episodio. Le mie mani erano lorde di sangue dal primo momento in cui ero riuscito a brandire un bastone, tanti anni fa, ma lì si trattava di persone che mi avrebbero tranquillamente ucciso a sangue freddo se ne avessero avuto la possibilità. Sandor invece non c’entrata assolutamente nulla ed era su quel patibolo perché ce l’avevo portato io, perché avevo bisogno di uno specchio per le allodole in modo da creare l’inganno che aveva portato tutti quegli uomini davanti a Spina Rossa quel giorno. Certo, tutto ciò che abbiamo fatto io e Malzhar era per il bene del Regno… Ma questo non riusciva a impedirmi di sentirmi sporco dentro.
     La cosa più dolorosa, forse, era la consapevolezza che non importa quanto questo mi facesse sentire male, ma se mi fosse ricapitata l’occasione non avrei esitato a rifarlo. Avrei fatto ciò che dovevo, e che io sia folgorato per questo!

     Una luce brillò dal piano superiore del castello che si trovava vicino a noi, distogliendomi dai miei pensieri. Spina Rossa, un avamposto della Guardia Insonne che Malzhar aveva avuto modo di conoscere molto bene in passato. Dalla mia posizione potevo solo intravedere la sagoma di alte mura di pietra dietro le fronde, ma il mio compagno ci aveva spiegato abbastanza bene come si suddivideva all’interno, e non era particolarmente grande. Nella nostra avanzata verso Basiledra dalla capitale d’Oriente Kuro ci aveva divisi in gruppi per assaltare uno alla volta tutti i vari avamposti che Mathias Lorch aveva preparato, e nella nostra lista di obiettivi l’ultimo era proprio quello che stavamo per attaccare.
     Assieme al grosso del nostro gruppo avevo il compito di attendere l’apertura dei cancelli principali, mentre Malzhar, un centinaio di veterani ed il grosso delle reclute strisciavano nelle fogne per aggirare quelle spesse mura di pietra. Dovevamo attendere il segnale, e quella luce significava che erano dentro e stavano già combattendo.
     « Aspettate. Rimanete ai vostri posti. »
     Il ringhio di Heishi Azuma, uno dei capitani Cavendish che si erano uniti a loro, riportò all’ordine quegli uomini in attesa che avevano cominciato ad agitarsi alla vista della luce. Un personaggio notevole, senza un occhio che aveva sostituito con un’inquietante sfera di vetro con il simbolo di uno scorpione a fare da pupilla, che emanava un’aura micidiale anche mentre se ne stava immobile senza fissare nulla in particolare, come se stesse ascoltando qualcosa che soltanto lui poteva udire. Inspirò profondamente un paio di volte, annusando l’aria, e ciò che sentì lo fece ridacchiare.
     « Lo sciamano sta arrostendo qualcuno. Bene, bene, bene. Non vale niente contro i Golem immortali ma se si tratta di far fuori quelli della sua specie non sfigura di certo. Il Lord è crepato. »
     Come facesse ad esserne così certo era fuori dalla mia comprensione, ma non avevo dubbi sulla verità delle sue parole. Qualunque fosse la sua storia, ero contento di averlo con me e non contro di me. Strinsi più forte l’elsa della mia spada, trovando conforto in quel familiare contatto. Come sempre prima di una battaglia sentivo la tensione salire, il cuore pompare più forte il sangue nelle mie vene, ed un ghigno di eccitazione imitò quello stampato sul volto di Heishi. Prima avremmo conquistato quel castello, prima ci saremmo potuti dirigere a Basiledra.
     Portai la spada in verticale davanti al volto, chiusi gli occhi ed appoggiando la fronte sulla lama la sentii fredda rispetto al calore della mia pelle, in un gesto che facevo prima di ogni battaglia.
     « Lama, non mi tradire oggi. » sussurrai.

     Quando riaprii gli occhi il piano inferiore del castello era ormai tinto di rosso, con lingue di fuoco che uscivano dalle feritoie che artigliavano l’aria e scacciavano il buio della sera. Volute di fumo nero di unirono alle fiamme, troppo scure perché potessero essere normali: di sicuro qualcuno aveva utilizzato una delle diavolerie del Pipistrello. Aguzzai la vista in trepida attesa, conscio che mancava poco e che il nostro intervento doveva essere rapido e tempestivo se volevamo evitare che i nostri compagni là dentro finissero arrosto o infilzati.
     Se avessi avuto meno autocontrollo avrei cominciato a saltellare dall’impazienza. Quanto diavolo ci voleva per aprire delle porte? Sarebbero morti tutti se non si fossero sbrigati! Tirai un sospiro di sollievo quando finalmente vidi una torcia agitarsi dove saremmo dovuti entrare.
     « A te l’onore di dare l’ordine Sussurro e di guidarci. » disse il vecchio soldato Cavendish « Cerca di non farci ammazzare. »
     Ricambiai lo sguardo del suo unico occhio ed annuii con decisione. Alzai Hien e puntai con la lama l’entrata del castello, gridando a pieni polmoni.
     « CARICA!! »
     Di tutte le cose che ti fanno sentire vivo, correre alla battaglia con decine di uomini che ti seguono è di sicuro una delle più indimenticabili. Sentendo di poter scalare una montagna a mani nude scattai tra le radici sporgenti ed i rami bassi, fino a ritrovarci nella strada che conduceva al castello. Dietro di me sentivo le urla di guerra degli altri uomini, qualche « Per il Sovrano! » e parecchi « Per Dalys e l’Oriente! » mentre facevamo irruzione nel giardino principale del castello, trovando i nostri soldati in inferiorità numerica che combattevano contro la Guardia Insonne.

     Non importa quanto elaborato sia il tuo piano d’azione, una volta che la battaglia è cominciata devi essere pronto a gettare via tutto e gestire la situazione mano a mano che si presentano i problemi. Questo se non sei proprio nel mezzo dei combattimenti, altrimenti il mondo sembra restringersi a due cose: tu ed il tuo avversario, nient’altro ha importanza. Non appena varcai la soglia di Spina Rossa dovetti concentrarmi sui soldati che erano più che intenzionati a farmi la pelle, ed assieme agli altri Cavendish formammo un cuneo per penetrare le linee nemiche che uscivano dal castello per impedirci di entrare.
     Le grida di dolore risuonavano ovunque così come il suono di acciaio contro acciaio, ma sembravano ovattati come se provenissero da molto distante. Nel silenzio della mia concentrazione badavo soltanto a schivare e parare, per poi colpire nel momento in cui il mio avversario mi lasciava un’apertura per sferrare un colpo letale. Cercavo di limitare al massimo i movimenti, scivolando tra un avversario e l’altro e sfruttando l’impeto nemico a mio vantaggio. Un uomo scattava verso di me ed io mi muovevo lateralmente puntando la lama verso di lui, facendo in modo che s’infilzasse da solo mentre io ruotavo su me stesso, pronto ad affrontarne un altro, e un altro ancora.
     Perso in quel caos, ricorrevo più al mio istinto che ai miei occhi. Mi muovevo quasi automaticamente per il campo di battaglia, schivando più che parare e colpendo solo quando sapevo che sarei andato a segno. Poche parole si ripetevano nella mia mente, quasi come una cantilena. Taglia. Non c’è nulla di più importante. Non lasciare tregua all’avversario. Taglia.
     Seguendo il flusso della battaglia attraversai il cortile per entrare all’interno della fortezza, dove i numeri non erano più importanti e non ci furono altro che piccole schermaglie contro uno o più avversari contemporaneamente. Mi mossi per il castello inseguendo nemici, correndo per salvare miei compagni in difficoltà oppure scappando io stesso quando avevo troppi avversari dietro ed avevo bisogno di ritirarmi in un luogo a me più favorevole, senza fare assolutamente caso a dove mi trovassi di preciso. Quando l’ultimo avversario cadeva non mi concedevo che qualche attimo per riprendere fiato e rigettarmi nella mischia, ricominciando tutto da capo.

     Non avrei saputo dire se fossero passate ore o minuti da quando avevamo caricato il castello nel momento in cui un uomo cadde a terra davanti a me, sputando sangue mentre cercava inutilmente di coprire con le mani lo squarcio che gli avevo appena aperto sullo stomaco, e guardandomi intorno mi accorsi che erano finiti gli avversari da uccidere.
     Perso nella frenesia della battaglia ero arrivato fino ai piani più alti, in una stanza che a giudicare dai letti era un dormitorio. I letti erano zuppi di sangue, che colava dai materassi formando pozze che rendevano scivoloso il pavimento. Qualsiasi tipo di mobilio era stato gettato a terra nella confusione, i mobili spaccati in mille pezzi da colpi di spada o di ascia andati a vuoto, e sparsi ovunque c’erano i cadaveri dei soldati che avevo combattuto fino a qualche attimo prima. Ero l’unica persona che ancora respirava, anche se dire che avevo il fiatone sarebbe stato un eufemismo. Luce, che stanchezza! La mano destra pendeva sul fianco, con a malapena abbastanza forza nelle dita per tenere in mano la spada, figuriamoci sollevarla. Le gambe erano pesanti come macigni, e mille piccoli tagli bruciavano dove non ero riuscito ad evitare del tutto uno dei tanti attacchi che avevo dovuto affrontare quella sera.
     Rimasi fermo in piedi, cercando di riabituarmi alle sensazioni del mio corpo che avevo allontanato dalla mente durante il combattimento. Le ferite pulsavano, ma ogni fitta serviva a ricordarmi che ero ancora vivo, e che non era ancora finita.
     « Che cosa… »
     Una voce improvvisa mi fece scattare di nuovo in all’erta, ma mi rilassai subito non appena vidi che erano dei soldati Cavendish. Quello che aveva parlato sembrava all’incirca della mia età, più alto di me e ciocche di capelli castani sudati che si erano appiccicati alla fronte, ed un viso che probabilmente aveva fatto sospirare più di una ragazza. Quel volto adesso era sbiancato dalla sorpresa e dal timore mentre mi fissava.
     « Cos’hai da… guardare? » chiesi stanco ed un po’ irritato dall’insistenza del suo sguardo, e lui mi indicò con un cenno uno specchio appeso al muro. Beh, parte di esso, perché era andato in frantumi durante il combattimento ed adesso non c’era che un pezzo poco più basso di me e largo a malapena da potermi riflettere intero. Mi ci volle qualche attimo per riconoscermi: ero coperto di sangue dalla testa ai piedi, il mio viso sembrava quello di un demone uscito dall’inferno per inghiottire tutta l’umanità, i capelli alzati verso l’alto dove mi ero passato la mano poco prima per asciugarmi il sudore. Ero l’unico in piedi circondato da cadaveri, uomini morti per mano mia. Quanti saranno stati? Dieci? Venti? Non aveva importanza.
     Improvvisamente la stanchezza ebbe il sopravvento e le mie gambe cedettero, tuttavia il ragazzo ebbe i riflessi abbastanza pronti per impedirmi di cadere faccia in avanti. Non credevo che sarei riuscito a rialzarmi, se l’avessi fatto davvero.
     « Mi aiuteresti a… darmi una pulita? » chiesi stancamente, ed il giovane annuì passando un mio braccio sopra la spalla per aiutarmi ad alzarmi, mentre io prendevo nota tra me e me di dormire per almeno tre giorni di fila, una volta che tutto questo sarebbe finalmente finito.

     E’ incredibile come una secchiata d’acqua – rigorosamente fredda, ahimè – ed un po’ di cibo caldo in pancia possano rimetterti in forze quando ti senti peggio di uno straccio strizzato. Ero ancora dolorante ovunque e pieno di bende per coprire le varie ferite, per quanto molti non fossero stati altro che graffi superficiali, ma quantomeno adesso potevo muovermi senza temere che le mie gambe scioperassero lasciandomi faccia a terra fino al mattino.
     I miei abiti erano strappati in più punti e talmente zuppi di sangue mio ed altrui che non ebbi altra scelta che buttarli, ma nelle scorte del castello ero riuscito a trovare dei robusti stivali di cuoio, dei pantaloni neri ed una giubba dello stesso colore, decorata con delle semplici strisce d’argento.
     Ero davanti ad uno dei fuochi che erano stati preparati dagli uomini superstiti, alla fine di quella che era stata una vittoria su tutti i fronti. A quanto avevo capito praticamente tutti gli uomini della Guardia Insonne erano stati uccisi, o erano vicini ad esserlo, e diversi uomini avevano avuto il triste compito di spegnere gli incendi sparsi per il castello e prendere i cadaveri per dare loro fuoco nel giardino, facendo in modo che le fiamme fossero coperte dalle mura. Fortunatamente io avevo schivato quel compito ingrato, che tra l’altro non ero sicuro di avere abbastanza energie per trasportare pesi morti in armatura per tutto il castello.
     Guardai in alto verso il cielo stellato, pensando a cosa ci aspettava il mattino dopo. Basiledra era l’ultima tappa, dove ci saremmo giocati per l’ultima volta il destino del regno. Quel pensiero rischiava di farmi passare il sonno, e non me lo potevo davvero permettere.
     Prima ancora di sentire il suono dei passi mi voltai verso Malzhar, e sorrisi verso di lui contento che fosse uscito da quelle fogne incolume.
     « Bel lavoro. » mi disse asciutto « Noi due ce la caviamo discretamente quando lavoriamo in coppia! »
     La manata sulla spalla che mi tirò sembrava voler compensare il tono inespressivo, anche se avrei volentieri fatto a meno della scarica di dolore che mi traversò il braccio fino a diffondersi per collo e schiena. Devo ritenermi abbastanza fiero di come riuscii a fare soltanto una smorfia e nulla più mentre sorridevo annuendo, temendo che qualsiasi parola avessi tentato di dire non avrei emesso che un gemito.
     « Tu hai per caso visto Padre Rufio e gli altri che ho mandato ad aprire le porte? »
     « Non ne ho davvero idea. » risposi, riprendendomi giusto in tempo.
     Malzhar sospirò e diede ordine ad uno dei soldati che bivaccava con me di andare a cercarli, e l’uomo pur non particolarmente contento si alzò immediatamente per correre verso gli altri fuochi sparsi per il castello.
     Mi fece cenno di seguirlo, e alzandomi un po’ a fatica mi feci condurre verso una piccola torre destinata ai falchi, dove avremmo potuto godere di una visuale migliore dei dintorni. Salimmo in silenzio sulle scale ricoperte di sangue che rendevano gli scalini insidiosi, ma almeno non c’erano cadaveri ad ostruirci la strada. I cardini della vecchia porta di legno protestarono scricchiolando mentre entravamo nella sala circolare piena di gabbie vuote, e passando per una finestra uscimmo all’esterno, sul tetto della fortezza.
     Cominciammo a discutere se era il caso di proseguire o riacquistare le forze fermandoci per la notte, ed io ero per quest’ultima alternativa. Avevamo appena concluso una battaglia, e tutti – me compreso – avremmo probabilmente giovato parecchio da qualche ora di sonno. La coordinazione di tutti i gruppi era essenziale, Kuro l’aveva ribadito nei suoi ordini scritti nella Voce, ma l’attacco principale era previsto per il giorno successivo dopo mezzogiorno, e c’era abbastanza tempo per tirare il fiato.
     All’improvviso delle urla dalla porta principale attirarono la nostra attenzione, e poco dopo un messaggero arrivò di corsa dalla finestra della torre da cui venivamo noi. Fu subito chiaro che c’erano guai in arrivo.
     « Cosa vuol dire che hanno preso degli ostaggi?! » urlò Malzhar mentre il suo viso assumeva una sfumatura rossastra « Non mi importa cosa vogliono, non mi interessa se possono ucciderli, non se ne andranno in giro ad avvisare Lorch di quello che stiamo facendo! »
     Mentre il mio compagno parlava io cercavo di osservare meglio la situazione: era un gruppo di una decina di soldati della Guardia Insonne, ciascuno dei quali che bloccava le braccia di uno dei nostri, probabilmente il gruppo delle reclute se erano riusciti a sopraffarli anche nella situazione in cui si trovavano. Altri nostri uomini avevano già gli archi e con le corde tese puntavano verso gli Insonni, tuttavia questi sapevano che se avessero davvero scagliato i colpi avrebbero ucciso anche gli ostaggi, alcuni poco più che bambini.
     « Dai ordine di ucciderli. » disse Malzhar, duro e implacabile « Non possiamo rischiare, la vita di quegli uomini non vale la posta in palio. Mi dispiace ma se sono stati tanto idioti da farsi prendere io non… »
     Non so quale sguardo gli rivolsi, tuttavia c’era qualcosa che lo fece fermare. Sapevo bene che non potevamo assolutamente permettere che ci fosse una fuga d’informazioni verso Basiledra, la segretezza era tutto. Ma abbandonare di nuovo a sangue freddo le persone che avevano combattuto per la nostra causa? No… non se potevo evitarlo.
     « Non è necessario che i nostri muoiano. » dissi.
     Malzhar mi guardò sorpreso, ma non fece domande su cosa avessi in mente. Sapeva che se parlavo così era perché avevo un motivo valido. « Ce la fai a difenderli? Gli ostaggi intendo, se io dovessi scagliare su di loro una delle mie magie tu riusciresti a proteggere i nostri? »
     « Posso, però mi devo avvicinare. » Un ghigno mi apparve sul volto « E so anche come. Fidati, dai ordine di lasciarli andare. »
     E così Malzhar fece. I nostri uomini abbassarono gli archi e la Guardia Insonne cominciò a camminare lentamente verso l’esterno della fortezza, sempre tenendo d’occhio gli arcieri. Chiusi gli occhi per concentrarmi, attingendo a quel vortice di energia che anni prima avevo scoperto in me.
     Una sottile linea di luce verticale mi apparve davanti, che sembrò ruotare fino ad allargarsi in un varco quadrato poco più alto di me, rivelando un paesaggio alberato dove non avrebbe dovuto esserci altro che un salto di diversi metri verso il basso. Era come una finestra che dava nella foresta, e qualcuno con un buon occhio avrebbe potuto notare un varco simile poco dietro ai soldati della Guardia Insonne che ancora guardavano dalla nostra parte.
     Mossi un passo in avanti ed entrai nel passaggio, che si chiuse l’istante dopo assieme al suo gemello al limitare della foresta, e mi ritrovai esattamente dietro ai miei bersagli. Dovevo essere rapido: anch’io adesso mi ritrovavo nel raggio d’azione dei fulmini, e se non facevo in tempo sia io che gli ostaggi sarebbero finiti abbrustoliti, ma avevo fiducia nelle mie capacità.
     Improvvisamente il cielo si coprì di nubi temporalesche, oscurando la luce della luna e delle stelle. Ci fu un lampo di luce accecante ed una serie di fulmini cominciarono a caderci addosso, ed io fui pronto a proteggere me stesso e gli ostaggi circondando ciascuno di loro con una lucente barriera azzurra, che li protesse come una seconda pelle mentre la Guardia Insonne gridava e cadeva a terra in preda alle convulsioni. Nell’arco di pochi secondi ora gli uomini erano a terra, morti o morenti, e gli ostaggi erano in piedi incolumi che si guardavano intorno sorpresi di essere ancora in vita dopo essere stati bersagliati da dei fulmini magici.
     Erano tutti ragazzini, e tremavano come foglie per la certezza che sarebbero stati sacrificati anche loro per la nostra causa.
     « Siete al sicuro, adesso » dissi quando si accorsero della mia presenza dietro di loro « Tornate alla fortezza e riposatevi. »
     Se lavarmi e mangiare mi aveva rinfrancato, vedere i loro sorrisi di gratitudine e sentire i loro ringraziamenti fu come un balsamo per il mio corpo stanco, e sorrisi di rimando. Era bello, per una volta, poter aiutare qualcuno invece di lasciarlo morire per un bene superiore.
     Li osservai allontanarsi, mentre poco a poco il mio sorriso avvizziva ed il mio volto diventava una maschera impassibile. Molti della Guardia Insonne erano morti, ma potevo ancora percepire la vita in alcuni di loro. In un lampo di luce Hien fu di nuovo nelle mie mani, pronta ad adempiere al suo dovere, così come lo ero anch’io. Quando m’incamminai di nuovo verso la fortezza dietro di me non c’erano che cadaveri.

ReportStato Fisico ~ 0/16.
Stato Mentale ~ 0/16.
Mana ~ 90 %.
CS ~ 4. [2, Costituzione ~ 1, Determinazione ~ 1, Velocità]
Consumi ~ [0 Bassi, 5% ~ 1 Medi, 10% ~ 0 Alti, 20% ~ 0 Critici, 40%]
Armi
» Hien ~ Da evocare.

Armature
» Cotta di maglia ~ A protezione del busto.
» Armguards ~ Su ciascun avambraccio.

Oggetti
» Biglia Stordente ~ 1.
» Biglia Accecante ~ 1.
» Biglia Oscura ~ 1.
» Biglia Deflagrante ~ 1.

Abilità passive
» Duro A Morire ~ Capacità di difendersi in modo istantaneo ed inconscio, le sue difese ad area hanno potenza pari al consumo, non sviene se rimane a 10% di energie.
» Stratega ~ In qualsiasi tipologia di terreno Shaoran è in grado di elaborare la strategia migliore, durante un combattimento vince gli scontri a parità di CS.
» Sentinella ~ Auspex passivo basato sull'aura delle persone.

Tecniche Usate
» Barriera ~ Concentrando la sua energia magica innanzi a sé è in grado di evocare uno scudo, una patina azzurrognola sottile ma molto resistente, capace di tenere testa ad attacchi sia fisici che magici, purché non troppo potenti. La forma dello scudo è variabile, può essere usata per proteggere solo il caster o anche tutti i propri alleati contemporaneamente. L'efficacia della difesa è pari al consumo speso per attivarla.
Consumo ~ Medio.
Natura ~ Magica.


» Varco ~ Piegando lo spazio Shaoran è in grado di creare un varco a mezz'aria, che si formerà all'inizio come una sottile linea verticale di luce, alta un paio di metri, che si aprirà come se fosse una finestra che porta ad una dimensione parallela. Se qualcuno la guardasse lateralmente non vedrebbe nulla, se non avvicinandosi bene. Oltre il varco v'è un'immagine esatta del mondo circostante, tuttavia chi vi sta all'interno non può in alcun modo interagire con esso pur vedendolo normalmente. Creando un secondo varco Shaoran è in grado di riapparire immediatamente in un altro punto del mondo, e volendo può mantenere il varco per portare con sé anche due o tre persone alla volta.
Se usato in combattimento ha valenza di difesa assoluta, e potrà spostarsi solo nel campo di battaglia.
Consumo ~ Nullo, Medio.
Natura ~ Magica.


Note





 
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view post Posted on 29/1/2015, 07:35
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Suzushikei
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Dalle nebbie del passato...

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Rise of the Whisper

Ciò che Diventiamo
Atto I


-Ricordi quella cosa che dovevo dirti riguardo il tuo essere un demone?!-
E Montu si trasformò davanti ai miei occhi.
Ero sorpreso, ma non lo diedi a vedere.
Il mio unico gesto fu di inarcare un sopracciglio.
«Non mi aspettavo una tale rivelazione, ma ti ringrazio per esserti confidato con me. Non è facile portare questa eredità fuori dai confini di Baathos.» Ero sincero.
-Lo sappiamo bene, ma continuiamo la nostra missione ora.- Fu la sua risposta.
Per la nostra genia non era facile riscattarsi dai propri peccati, eppure quel giorno avevamo compiuto un passo avanti verso un futuro diverso da quello segnato dalla corruzione.
Forse c'era speranza, forse in questo nuovo inizio per cui stavamo lottando, nessuno avrebbe più dovuto nascondere le proprie origini.



«Parlato (Umano)» «Parlato (Incubus)» Pensato Narrato

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Ero stato irremovibile nel voler far parte della scorta del giovane sovrano.
Da quando Ludmilla aveva rivelato che Julien era ancora in vita, mi sentivo addosso una certa apprensione.
Non ero tranquillo, non volevo allontanarmi da quel ragazzino che avevamo strappato alla sua vita pacifica. Certo, un'esistenza persa nell'illusione, nella menzogna, ma lontana dagli intrighi politici.
Non riuscivo a scordare di come avessimo invaso la sua vita, spezzando quella gabbia dorata, cancellando nella luce del faro una esistenza in cui sarebbe potuto essere se stesso. Già un controsenso in termini, ma la sua eredità di sangue l'aveva portato a trasformarsi in un burattino, un bambino la cui personalità, ancora in crescita, poteva essere facilmente manipolata.
Ed io, per quanto fosse presuntuoso anche il solo pensarlo, avevo giurato che non sarebbe mai più accaduto.
L'avevamo strappato alla sua riacquistata innocenza, restituendogli quell'arroganza degna del ragazzino viziato qual era, esponendolo al pericolo, per creare una nuova Speranza.
Era giusto?
No, non lo era, ma purtroppo era la nostra sola possibilità di cambiare gli equilibri in gioco.
Lo accettavo?
No, fino all'ultimo avevo lottato contro la mia coscienza, mettendo a repentaglio sia il mio giuramento nei confronti di Ludmilla, sia la mia neonata amicizia con Montu.
Se solo ci fosse stata un'altra soluzione avrei lasciato Julien al sicuro, protetto da una famiglia che, per quanto illusoria, gli avrebbe donato quel calore che come Re non avrebbe mai potuto avere.
Non in questa vita, non in questo mondo, non in questa realtà...
Mi sentivo responsabile, desideravo per lui una seconda occasione, lontano dalle influenze dannose, libero di essere un sovrano degno di questo nome, un re giusto.
Volevo proteggerlo finché ne avessi avuto la possibilità...
Mi rifiutavo di pensare ad un finale tragico.
Non volevo perderlo, non volevo che venisse corrotto.
Era utopia?
Era un capriccio?
Era la mia innata testardaggine?
Qualunque fosse la causa, avrei lottato per mantenere fede alla mia promessa.

Probabilmente Ludmilla capitolò per sfinimento accettandomi nella sua scorta, ma non dubitavo che l'avrei scontata se fossimo sopravvissuti.
Mi aspettavo una punizione per la mia cocciutaggine che rasentava l'insubordinazione, ma anche così non avrei rinnegato la mia decisione, la mia promessa.
Montu, nel bene e nel male, era rimasto al mio fianco.

Prima della partenza avevo chiesto a Ludmilla di poterle parlare in privato, lontano da occhi ed orecchie indiscrete.
Dopo quello che era successo con Nicolaj non potevamo fidarci di nessuno, per quanto la cosa non mi andasse molto a genio.
Sperando di essere stati sufficientemente attenti, le esposi il mio piano.
Al momento opportuno intendevo sostituirmi a Julien. Avevo ancora il ciondolo trovato alla fattoria, non sapevo quanto potesse avere valore, quando fosse un legame per il giovane sovrano, ma avrei lo stesso corso il rischio.
Era un azzardo, ma per quanto riponessi la mia fiducia in Ludmilla, nei miei compagni, non potevo permettermi di non pensare allo scenario peggiore.
L'unico punto debole era la limitata padronanza del mio essere un demone mutaforme.
Non avevo la possibilità di mantenere le sembianze del ragazzo troppo a lungo, ma potevo concedere del tempo prezioso per permettere a Julien di reclamare la sua eredità, minimizzando i rischi per la sua incolumità.
Stava a Ludmilla decidere se accettare o meno la mia proposta.
Io avrei atteso la sua decisione.

La notizia dell'esecuzione di Fanie mi aveva lasciato l'amaro in bocca. Mi sentivo così impotente a restare ad osservare l'evolversi del suo fato, senza avere la possibilità di contrastarlo.
Lei era la mia più cara amica, la persona che mi aveva aperto gli occhi su una visione del mondo che non conoscevo. Mi aveva insegnato l'importanza della collaborazione, del sacrificio, del mettere anima e cuore in ciò in cui credevo. A poco a poco le nostre strade si erano legate, complici le battaglie che avevamo affrontato uniti, sfidando ad ogni passo la morte. Era la persona cui sapevo di poter affidare la mia vita, l'amica che avevo giurato di non tradire mai, la mano che avrei potuto afferrare in ogni situazione e...

...E invece la stavo abbandonando a se stessa...


Io che non accettavo di dover scegliere tra due opzioni imposte dal fato, mi stavo comportando seguendo la filosofia dei Sussurri.
Io che credevo di essere una voce fuori dal coro, avevo scelto di rinunciare al bene del singolo per proteggere il regno.
Avevo scelto di onorare la mia promessa nei confronti di Julien, rinunciando ad essere accanto a Fanie.
La moneta che mi aveva donato, bruciava tra le dita.
Le scritte incise, che erano diventate il suo lascito alla Resistenza, si erano trasformate in un'ammissione di colpevolezza.
Il mio peccato...
La mia presunzione nel credere di essere in grado di trovare sempre una strada alternativa.
Faceva male...
Il mio cuore sanguinava...
Mi ripetevo fino allo sfinimento che dovevo fidarmi di chi era rimasto a Basiledra.
Non avrebbero lasciato nulla di intentato pur di salvarla, anche rischiarendo di cadere in trappola.
Sarebbe stato da ingenui pensare che Mathias non avesse preso delle precauzioni in merito, che quel rendere pubblica la notizia non fosse un invito rivolto proprio a chi aveva fatto delle parole di Fanie il suo credo.
Era difficile restare lucidi, focalizzati sulla missione.
Non volevo perdere anche lei, non volevo rivivere quel senso di impotenza nel perdere qualcuno cui volevo bene anche rinunciando alla mia stessa vita.
Assurdo! Era così assurdo! Soffrire per aver scoperto la propria umanità.
L'amore, l'amicizia, qual era la loro forza?
In quei momenti mi sembravano solo una debolezza, che stava logorando la mia mente.
Non li comprendevo, faticavo a non farmi travolgere, facevano riaffiorare un dolore che non si era ancora sopito.
Zaide e Fanie, i loro volti si alternavano nei miei ricordi, fino a sovrapporsi.
Avevo perso l'amore, sarei riuscito a sopportare la perdita dell'amicizia?
Era l'egoismo che mi stava incatenando in quel ciclo vizioso, che stava congelando la mia lucidità, il mio sangue freddo?
In quei tempi oscuri la morte era una compagna che non potevamo rinnegare. Morire per un ideale, non era un destino accettabile alla fine?
Diventare un vessillo per un futuro di speranza...
Era quello il suo fato?
E anche se fosse riuscita a sopravvivere avrebbe accettato quel dono in cambio del sangue di quanti... quanti sarebbero morti nel tentativo di liberarla?
Sapevo che lei non l'avrebbe voluto, che non voleva più piangere in silenzio per tutti coloro che aveva perso senza poter fare nulla per salvarli.
Il suo credo aveva comportato molti sacrifici.
Quel giorno a Basiledra aveva perso così tanto...
Se chiudevo gli occhi potevo vedere il suo sguardo, quando la Speranza si era trasformata in Orrore.
Il Regno del Terrore, il Regno di Mathias Lorch...
Potevo solo provare ammirazione per lei, che si era risollevata, nonostante tutto, per dare una nuova Speranza a tutti noi.
Non potevo vedere nel futuro, non potevo essere sicuro del lieto fine, purtroppo al momento potevo solo sperare che, qualunque fosse l'epilogo di quella storia, lei avrebbe trovato la pace.

Lasciai scivolare la moneta nella tasca dei pantaloni.
Chiusi il mio cuore ai ricordi, non mi potevo più permettere di indugiare.
Avevo scelto di essere a fianco di un ragazzino troppo giovane per conoscere il fardello di essere un re giusto, il cui destino sarebbe stato deciso dall'esito della tempesta che stavamo per scatenare.



La mappa parlava chiaro; per quanto il percorso scelto seguisse un itinerario atto a tenere al sicuro Julien, vi erano dei focolai non ancora estinti. Non erano un obiettivo primario, non necessitavano di mobilitare una delle squadre che si stava occupando di stroncare resistenze più insidiose, ma restavano comunque un rischio da non sottovalutare. Un tempo luogo di ristoro per i viandanti, con l'avvento di Mathias era stato convertito in posto di blocco. Pur essendo una via secondaria rispetto a quelle più battute per raggiungere Basiledra, qualcuno sembrava non voler correre rischi, creando un piccolo avamposto. Dalle informazioni in nostro possesso, si trattava di un complesso di poca importanza, vicino ai margini della foresta. L'insidia, in realtà, proveniva proprio dal bosco limitrofo, dove c'era il rischio di incrociare una pattuglia nemica.

Ci offrimmo volontari in sei: io, Montu e quattro con buone capacità di mimetizzazione in ambienti boschivi.
Per quanto avrei preferito vegliare sul ragazzo, disponevo di un'abilità che poteva risultare molto utile per giocare a nascondino con le pattuglie all'interno della foresta.
Ero in grado di percepire le presenze e le emanazioni magiche, un vantaggio in termini strategici. E in caso di necessità, con un piccolo dispendio energetico, potevo estendere questa mia potenzialità a distanze considerevoli.

Non ci fu un discorso di commiato, ognuno conosceva le proprie responsabilità, ulteriori parole sarebbero state superflue.
Per il momento noi saremmo stati l'avanguardia; Ludmilla si sarebbe occupata del resto.

Il piano d'azione era semplice, una volta divisi in due gruppi avremmo adottato un avanzamento a spirale verso il posto di blocco.
Fu n incidente di percorso? Semplice fortuna?
La prima pattuglia che percepii ci trovò ancora uniti. Erano un gruppo formato da cinque unità, non avvertivo emanazioni magiche. Un'informazione positiva per quanto andasse presa con cautela; non potevo garantire che tra di loro non si nascondessero maghi o manipolatori mentali.
Piombammo addosso sfruttando l'ambiente. Forti della nostra superiorità numerica ci accingemmo ad ingaggiarli.
Rapidamente impugnai l'elsa della schiavona facendo turbinare l'azzurro della lama in direzione del mio avversario. Non mi ritenevo uno spadaccino nel vero senso del nome, ma in passato avevo preso lezioni da Fanie, che aveva cercato di inculcarmi l'importanza di saper padroneggiare un'arma da mischia anche se ero un incantatore.

«Il giorno che non potrai fare affidamento sui tuoi poteri, come ti difenderai?»
Mi aveva sfidato ad un duello di addestramento durante il periodo in cui militavo nella Resistenza, ma un imprevisto aveva interrotto la sfida sul nascere.
Non avevamo più avuto occasione di riprendere il discorso, ma non avevo dimenticato le sue parole.
Parai un affondo portato contro il mio fianco sinistro, lasciando che le due lame scivolassero l'una sull'altra. Non avevamo molto spazio di manovra in un ambiente ricco di vegetazione. Era una danza mortale compiuta su brevi distanze. Un gioco di destrezza tra le spade che si incrociavano, ruotando e cercando un'apertura verso il proprio obiettivo. Il mio avversario, un giovane sui venti anni, con il blasone della Guardia Insonne, esile di corporatura, con una chioma rossa che usciva ribelle dall'elmo, vibrò una serie di attacchi che mi costrinsero ad indietreggiare. Non notai la radice dell'albero alle mie spalle e mi ritrovai pericolosamente sbilanciato all'indietro. Con un colpo di reni riuscì a non perdere l'equilibrio. Non fino a quando la lama affondò nell'addome del soldato, che mi rovinò addosso. Mi ritrovai a terra con il corpo del giovane sopra di me. Lo spinsi di lato, rendendomi conto che non opponeva resistenza. Quando mi misi a sedere mi resi conto del pugnale conficcato nella sua schiena.
Tutto a posto ragazzo? mi domandò Alrich, tenendomi la mano per aiutarmi a rialzarmi.
Annuii, accettando l'aiuto. L'unica nota dolente era il mio onore. Chiusi gli occhi del giovane dalla chioma cremisi, cercando di non pensare all'espressione sorpresa impressa sul volto.
Vidi Alrich ripulire il pugnale e infilarlo nel fodero che portava legato alla coscia sinistra. Era un veterano, sulla quarantina, ambidestro, esperto esploratore, abile nel muoversi in ambienti naturali e cittadini.
Non potendo bruciare i cadaveri, li seppellimmo cercando di mascherare le tracce con la sterpaglia del sottobosco. I predatori si sarebbero occupati di terminare il lavoro. L'idea mi nauseava, ma gli ordini era stati categorici. Non potevamo permetterci di venire scoperti. La segretezza era la nostra arma più importante.
Ci separammo, attenendoci al piano concordato in precedenza. Ci saremmo incontrati in prossimità del posto di blocco.
Nel nostro avvicinamento incrociammo altre tre pattuglie.
La prima fu eliminata in breve tempo con un attacco coordinato: Miran, una ragazza abile nell'uso dell'arco centrò il cuore della guardia più lontana, mentre Alrich scivolava silenziosamente alle spalle del soldato avversario recidendo la gola. Io ero rimasto in attesa, focalizzato nel percepire eventuali presenze. Analoga sorte toccò alla seconda pattuglia che crollò esanime senza possibilità di scampare all'agguato.
L'ultima fu quella che creò qualche problema. Non per la potenza combattiva quando per il numero. Era composta da quattro uomini, divisi in due unità, che si tenevano ad una certa distanza tra di loro. I primi non si curavano di far rumore, mentre la retroguardia ero riuscita a percepirla solo grazie alla mia abilità. Feci cenno ai miei compagni di fermarsi e indicai ad Alrich la posizione approssimativa dove si trovavano i tizi più furtivi. Sarebbe stato uno scontro di abilità. A Miran sarebbe spettato il compito di freddare sul colpo uno dei due soldati dell'avanguardia. Io mi sarei dovuto occupare dell'altro e poi avrei dovuto dirigere i miei colleghi in caso di fuga di uno dei nostri bersagli. La freccia fu scoccata con una freddezza ammirevole da parte della ragazza. Nello stesso tempi diressi una salva di proiettili arcani verso il corpo dell'altro bersaglio. Senza perdere tempo scattai nella sua direzione ingaggiandolo in combattimento. Era ferito, ma ancora abile a combattere. Mentre duellavamo, sentii un frusciare di foglie alle mie spalle e poi il sibilo di una freccia, che ci sorpassò per colpire uno dei tizi furtivi, usciti allo scoperto. Approfittai di quell'attimo di distrazione per cercare un'apertura e colpire con un affondo il fianco destro. Barcollando tentò una risposta maldestra che riuscii a parare. Il mio colpo successivo non gli lasciò scampo. Lo vidi crollare in ginocchio con il respiro affannoso. La mia lama sopra di lui, ma esitai.
Una freccia finì il lavoro, strappando l'ultimo alito di vita dal corpo del soldato.
Non puoi permetterti di esitare, Kirin. E' una lotta per la sopravvivenza. Noi o loro. Tienilo bene a mente! Il volto di Alrich era serio.
Sapevo che aveva ragione, ma non era facile uccidere a sangue freddo.
Abbassando lo sguardo, notai il suo braccio sanguinare. Non è nulla, ragazzo. Mi hanno colpito di striscio. Minimizzò, strappando un lembo della camicia per fare una fasciatura di emergenza.

Raggiungemmo il punto d'incontro senza ulteriori contrattempi.
Nascosti nel sottobosco, mi concentrai per cercare di capire quante persone fossero presenti in zona. Dalla nostra posizione potevamo vedere dei carri ribaltati a formare una protezione e due soldati che sporgevano. Dei nitriti indicavano la presenza di cavalcature. Oltre la barricata di fortuna si scorgevano dei ruderi di legno. Forse i resti di un edificio.

«Percepisco la presenza di un gruppo di persone davanti a noi... Vediamo... oltre i carri ribaltati ce ne sono due non visibili dalla nostra posizione, quindi in totale sono in quattro. Poi altri quattro radunati più avanti... forse in quelle rovine che si intravedono... e infine... altre due persone più avanti. Non rilevo emanazioni magiche. Vi posso fare uno schema sul terreno.» Spiegai, prendendo un bastoncino di legno da un rametto spezzato e disegnando la posizione rispetto a noi delle persone che avevo percepito.
Fu Montu a prendere la parola.
- Dobbiamo dividerci, non possiamo permetterci che qualcuno fugga, conosciamo gli ordini. Due dei nostri superano i carri passando tra gli alberi, io e Kirin pensiamo ai soldati nella nostra direzione, voi due occupatevi di quelli negli edifici. Obiezioni? -
«Nessuna. Mi raccomando cercate di essere il più silenziosi possibili. Non posiamo sbagliare.» aggiunsi rivolto ai quattro scout. Guardando Montu «Cercherò di utilizzare un incantesimo ad area e poi correrò verso il tizio sulla sinistra. Da come è vestito potrebbe essere quello in comando. Non ne sono sicuro, ma meglio che restare qui ad indugiare.» Considerai.
Lasciammo il tempo agli altri di posizionarsi, poi rilasciai la mia energia magica modellandola a formare una fenice che si scagliò contro gli uomini alle barricate. L'emanazione magica si scisse in più strali per colpire i bersagli designati. Senza lasciare tempo di capire cosa stesse accadendo, scattai rapido verso quello che avevo individuato come il loro capo.
Prima che potessi raggiungerlo, la guardia più vicino a lui si frappose tra noi nel tentativo di difenderlo dal mio attacco. Incrociò la sua lama con la mia, mentre il capitano si muoveva nel tentativo di fiancheggiarmi.
Erano entrambi feriti, ma solo il soldato sembrava aver accusato pesantemente l'attacco magico.
Non era facile schivare e parare i fendenti che mi arrivavano da ambo i lati. Fui costretto ad estrarre anche la flinlock, maledicendomi di non aver optato per una seconda arma da mischia.
Tenendo d'occhio il comandante, manovrando per evitare di essere colpito da uno dei suoi attacchi, mi concentrai sull'altro. Il buon senso suggeriva di finire l'avversario più debole. Un paio di stoccate e riuscii a farlo crollare a suolo. Non era morto, ma senza cure tempestive non sarebbe sopravvissuto a lungo. In quel momento mi accorsi di un movimento sospetto.
«Montu, ne sta scappando uno!» Gridai. Non potevo occuparmene di persona. Approfittando del mio momentaneo attimo di distrazione, il capitano vibrò un violento fendente sulla guardia della schiavona, costringendomi a lasciare la presa. La lama cadde sul terreno. Non mi lasciò il tempo di riorganizzarmi, incalzando per evitare di farmi utilizzare la flintlock. Era esperto, questo era indubbio. Più di una volta rischiai di finire nella traiettoria della sua lama. Peccato che non avesse considerato il mio asso nella manica. Concentrato sulla mia persona, non si rese conto della lama che stavo muovendo con la telecinesi, raso terreno. Approfittando di uno sbilanciamento momentaneo diressi la schiavona alle sue spalle. Riuscii a spostarsi, ma non ad evitare completamente il colpo. La lama affondò nel fianco sinistro. Non era una ferita mortale, ma mi diede il tempo di sparare una salva di dardi arcani che lo colpirono al petto. Cadde in ginocchio. Non sembrava sconfitto, al contrario fece leva con la spada per rialzarsi in piedi.
Nessuna pietà! Diressi la pistola verso la sua testa e feci fuoco.

Lo scontro era terminato e mentre il resto della nostra squadra si occupava di far sparire ogni traccia, frugando tra gli effetti personali dei soldati alla ricerca di informazioni, io mi avvicinai a Montu.
«Io vorrei riunirmi a Ludmilla. C'è qualcosa che dovrei fare...» Avevo un'aria pensierosa. Mi sentivo irrequieto.
- Tornare indietro... Perché? -
«So che dovrei fidarmi di lei, però... non mi sento tranquillo. Ho in mente un piano ma non posso dirti di più, non qui. Mi spiace.» Non potevo correre il rischio. Non potevo metterlo a corrente della mia idea, per quanto desiderassi il suo sostegno nel proteggere Julien.
- E che siano gli ultimi segreti amico mio! - Mi sorrise - Perlustrerò il posto di blocco insieme a due uomini, poi mi dirigerò verso Basiledra. - mi tese la mano - Ti aspetto dentro la città, la libereremo! -
Annuii stringendogli la mano. «Te lo prometto Montu!»

...Niente più segreti nel nostro futuro...




D7g4Hgy
Kirin Rashelo

CS
[Riflessi 3, Intuito 1], «Kirin l'umano»
[Intuito 2, Intelligenza 2], «Zeross l'incubus»


Energia: 90% = [100 - 10, Fenice di Fuoco utilizzata ad area]%
Danni Fisici: -
Danni Mentali: -
Stato Emotivo: Riflessivo

Equipaggiamento

Flintlock: 5/6 [estratta]
Schiavona [estratta]
Pietra Lunare della Percezione Amuleto dell'auspex

Passive
Arcanista
Non importa come si definisca tale capacità, auspex, sesto senso, intuito, quello che conta è il poter “vedere” gli effetti arcani comprendendone la loro natura intrinseca. [Passiva, Liv.III]

Telecinesi
Taanach: quel giorno segnò la fine di quasi tutte le mie abilità "Esper".
L'unica capacità, che è sopravvissuta, consiste nel riuscire a muovere il mio equipaggiamento con la sola forza del pensiero, senza alcun dispendio energetico, ma a distanze limitate rispetto alla mia posizione.


Tattiche di combattimento

Attive
Fenice di Fuoco
Accolito degli elementi
L'incantesimo inscritto in questa pergamena permetterà al mago, una volta che l'abbia imparato, di manipolare l'energia elementale del fuoco per dar vita ad una Fenice fiammeggiante che si scaglierà contro l'avversario.
Se utilizzata ad area, la tecnica causerà danno basso ad ogni nemico colpito.
Note: Tecnica di Natura Magica, elemento Fuoco.
Danni: Medio.
Consumo di energia: Medio.


Note
Come da accordi privati con Montu
Ho inserito solo quello che ho utilizzato in questo post, per evitare di fare uno schema wallpost


 
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