tre anni prima
«Max, aspetta qui.»
Lena Lauren aprì lo sportello e scese dalla carrozza con un saltello. Gettò brevemente lo sguardo indietro, per rassicurare Maximillian. Gli occhi argentei dell'anziano servitore le comunicavano con uno sguardo più pensieri di quanto avrebbero potuto farlo cento parole, ormai. «Tornerò immediatamente. Non c'è da preoccuparsi.».
In tutta risposta, Max le lanciò il suo mantello nero. Lena se lo poggiò sulle spalle e fece un sorriso quasi impercettibile al servitore, che parve rassegnarsi. "Almeno cerca di non ammalarti", sembrava dirle. Lena lasciò alle spalle la carrozza ed il suo conducente e si avviò sul tortuoso sentiero che si stagliava tra due aguzze vette dell'Ystfalda, unico percorso per raggiungere la cosiddetta Torre dei Dimenticati.
Nell'aria regnava un silenzio glaciale. Nemmeno una spira di brezza osava intrudersi tra quegli speroni di roccia e ghiaccio letali, e a Lena parve che quel luogo rispecchiasse perfettamente la sua natura di nono girone infernale. Così i traditori di cause mai esistite venivano puniti dall'inflessibile giudizio dell'Altaloggia: alcuni degli uomini rinchiusi tra quelle montagne lo erano non per aver tradito la causa degli aspiranti usurpatori, ma per crimini ormai persi nel tempo, risalenti a decenni prima, in un mondo ormai lontano dove un territorio umano unito sotto lo stesso stendardo era solo un sogno idealistico nella mente di un Re che non perde mai ancora non nato.
Dopo qualche minuto di cammino su un percorso particolarmente ripido, Lena riuscì a scorgere la Torre. Rimase qualche secondo ad osservarla per riprendere fiato, colpita dalla sua semplice efficacia e inquietante neutralità: la prigione, più che una torre, era una stalagmite di roccia che si innalzava solitaria per poche decine di metri nel mezzo di un crepaccio. C'era una sola entrata, collegata con un lato del burrone da un ponte spaventosamente fragile di corda e legno, ed era più che altro un'apertura nella pietra. Se Lena si fosse trovata dalla parte opposta del crepaccio, probabilmente non avrebbe neppure colto la vera natura di quell'immenso sperone roccioso.
L'investigatrice non mancò di notare l'impatto emotivo della Torre, immedesimandosi in un prigioniero per la prima volta condotto in quel luogo maledetto per non uscirne mai più: la Torre non svettava verso i cieli, ma costringeva i suoi sgraditi ospiti a discendere sempre di più verso le viscere della terra, togliendo loro aria, luce e speranza ad ogni passo.
L'esistenza della Torre stessa era nota a nessuno, se non ai più alti funzionari dell'aristocrazia Insonne. Non era negli incubi di chi veniva catturato, non era nelle storie del terrore raccontate tra amici. Non esisteva. E l'efficacia di questo sistema dava prova della sua magnificenza quando il prigioniero veniva condotto al suo interno, poiché la vista di un luogo così inospitale, innaturale e impenetrabile era peggio di qualsiasi condanna a morte: fuggire era impossibile, e chiedere aiuto da una torre dimenticata era follia ancora più grande...
Lena attraversò con cautela il fragile ponticello che la separava dall'incubo di roccia. Non aveva incontrato neppure una guardia fino a quel momento. L'investigatrice aveva accuratamente osservato i movimenti delle forze della Guardia Insonne dei giorni precedenti, notando solo un carro che ogni settimana si faceva strada su quel sentiero e poi tornava immediatamente indietro. La sua funzione, probabilmente, era rifornire di viveri la Torre. Indubbiamente doveva esserci almeno un certo numero di personale, ma Lena non aveva notato nessuno salire o scendere dal monte eccetto il carro di viveri. Da questo si potevano dedurre due cose: i carcerieri vivevano nella Torre e quindi a loro volta erano dimenticati; i carcerieri erano un ordine scelto.
Questi dettagli si erano rivelati fondamentali per motivare Lena a proseguire con l'operazione.
Una volta attraversata la soglia della Torre dei Dimenticati, l'investigatrice si ritrovò in un antro oscuro, circolare, solo flebilmente illuminato da un rugginoso lampadario con molte braccia ma poche candele. Le pareti avevano perso la natura selvaggia della roccia viva e si erano trasformate in un ordinato muro intonacato, probabilmente bianco. Al centro della sala c'era un grande pozzo, di dimensioni paragonabili a quelle di una fontana delle più grandi piazze di Basiledra. Era un buco oscuro, un occhio nero. Solo una minuta impalcatura di ferro vi si gettava all'interno. Fu in quel momento che l'investigatrice udì un inconfondibile suono, un cigolio metallico che preannunciava il sorgere di qualcuno dal pozzo nero. Lena deglutì nervosamente: quello era il momento in cui avrebbe scoperto se il piano che aveva architettato sarebbe riuscito oppure se si sarebbe trasformato in una rovinosa fuga da uno dei luoghi più impenetrabili del continente.
Ma quali erano le intenzioni di Lena?
C'era un semplice motivo, ovviamente mai dichiarato ufficialmente, per il quale i prigionieri dimenticati non erano invece giustiziati: sapevano qualcosa. Tuttavia -e questo Lena lo sapeva bene- la verità è un bene prezioso quanto fragile, malleabile. Anche se gli ospiti della Torre avevano già rivelato tutto ciò di cui erano a conoscenza, qualcuno avrebbe potuto comunque alterare le loro dichiarazioni, i documenti potevano essere distrutti. I prigionieri della Torre dei Dimenticati avevano smesso di essere considerati umani, erano diventati archivi della verità, serbatoi di ricordi la cui sanità fisica e mentale era preservata da terrificanti incantamenti gettati sulla Torre e dintorni. Per questo motivo, sebbene la Torre si trovasse a considerevole altitudine, nemmeno un filo di brezza la sfiorava: anche il vento era immobile in quel luogo, congelato nel tempo. Questo era uno dei lati più nascosti e terrificanti della Guardia Insonne.
Lena aveva ricevuto un indizio che l'aveva portata in quel luogo. Il prossimo indizio sarebbe stato un uomo,
il numero ottantasette.
E lei lo avrebbe tirato fuori di lì.
Finalmente, Lena vide quello che doveva essere un carceriere emergere dalle tenebre più profonde.
Era un uomo altissimo, che sfiorava i due metri, completamente avvolto in un mantello nero che cadeva su quella che doveva essere una figura magra e scheletrica. Il volto del carceriere era imperscrutabile per via di una maschera argentea che lo copriva interamente, raffigurante un sole splendente, con raggi ondulati che si diramavano in tutte le direzioni. Al posto di avere occhi, naso e bocca, quello che doveva necessariamente essere un mostro aveva per viso solo un largo piatto di metallo lucente.
Lena non aveva mai nemmeno sospettato che i carcerieri potessero non essere umani, tanto meno demoni. Niente avrebbe potuto indicarglielo. Si sentì presa dal panico per un singolo istante quando l'inquietante carceriere iniziò a muoversi nella sua direzione, silenzioso come un fantasma. Quello stesso terrore dovevano provarlo i carcerati in ogni istante, pervasi dalla paura che quella cosa mostruosa stesse strisciando nella loro direzione con quel fare sinistro e impercettibile. Se Lena non avesse avuto l'occhio adatto per capire la vera natura di quell'essere, probabilmente avrebbe pensato che si trattava di un malformato, o comunque di qualcuno che aveva preferito vivere recluso in quel luogo dimenticato. Ma così non era: un demone si stava avvicinando rapidamente a Lena Lauren, e l'investigatrice dovette fare ricorso a ogni oncia del suo autocontrollo per non estrarre Misericordia e iniziare a sparare all'impazzata.
Il carceriere si fermò ad un metro esatto da Lena. Quella distanza poteva facilmente essere colmata da un passo, o da un affondo. Poi parlò. Inaspettatamente, la sua voce aveva un che di umano, era piena, vibrante e traboccava di tutte quelle emozioni che la maschera impediva al demone di mostrare.«Benvenuta.» Disse, solennemente. Poi, con un pizzico di curiosità nel tono, aggiunse: «Sono passati vent'anni da quando abbiamo avuto un visitatore.»
Lena era paralizzata da un senso glaciale di incertezza. Le sembrava che il battito del suo cuore rimbombasse per ogni millimetro di quel salone. Ma il carceriere non le diede tempo di aggiungere qualcosa, perché immediatamente dopo il suo commento iniziale disse: «Prima di iniziare, permettetemi un mero convenevole: siete qui per rialzare il sipario della tragedia su questo luogo di pace?»
Lena rispose immediatamente, di riflesso. Senza pensare, ricoprì le sue parole con un glamour di verità assoluta, in modo che il mostro fosse convinto della risposta fornitagli. «Non ho intenzioni ostili.» Dichiarò, senza riuscire a nascondere la sua incertezza. Ma al carceriere quella risposta sembrò bastare.
«Bene, bene!» Fece il demone in modo profondamente anti-caratteristico, gettando per un momento il viso all'insù come per fare un sospiro di sollievo. «Non perdiamoci in convenevoli ora, mi volete dire il vostro nome? E cosa cercate nel Santuario?»
Era il momento della verità.
Lena non si fidava dell'inquietante carceriere, i suoi modi erano estremamente bizzarri. Il fatto che fosse un demone vero, poi, rendeva il tutto più surreale, spingendo Lena a mettere in dubbio tutto ciò che aveva pensato di conoscere sulla Torre dei Dimenticati. Forse quel luogo non era davvero legato alla Guardia Insonne? Che relazione aveva il carceriere con l'Altaloggia? Era solo, o si era imbattuta in un covo di demoni? Qual'era il suo obbiettivo?
Lena aveva mille domande ma ancora nessuna risposta. Decise quindi di proseguire con il piano originale.
«Il mio nome è Madeleine Monmouth.»
«Sono qui per conto di mio padre, Lord Octa Monmouth, signore dell'Altaloggia insieme ai suoi compagni dell'alto circolo della Guardia Insonne, e vengo per prelevare un prigioniero.»
Il carceriere, udite le parole della giovane investigatrice, si protese in avanti in modo innaturale, piegando il suo enorme busto verso il ventre di lei per poi far scattare il collo e volgere la maschera del sole argenteo in direzione del viso ora pallido di Lena, a cui parve di udire il respiro del demone attraverso il piatto lucido che gli faceva da volto. Fu solo in quell'istante che Lena si rese conto che quella non era una maschera.
Lena ripose la mano sinistra in una piega del mantello di Max e lo strinse saldamente sperando di trarne forza. Non staccò gli occhi dal suo riflesso nel metallo demoniaco neppure per un istante.
«Non c'è bisogno di usare trucchetti di magia mentale con me, lady Monmouth.»
Il mondo di Lena sembrò crollare. Era pronta a estrarre la sua arma, ma...
«Ovviamente, vi credo.»
Subito dopo, il carceriere prese le distanze da Lena, che ricominciò a respirare. L'investigatrice si sentì quasi mancare. Fu il carceriere a riprendere la parola, e con essa il suo fare spensierato che si scontrava totalmente con la sua inquietante immagine e il luogo in cui viveva. Lena era completamente stranita e alienata, ma cercò di calmarsi pensando che tutti i pezzi del puzzle sarebbero presto andati dove dovevano.
«Ditemi dunque! Chi siete venuto a raccogliere? Novantacinque? Centouno?» Lena cercò di riprendere il controllo della situazione con un tono più deciso e autoritario, esattamente come una lady Monmouth dovrebbe: «Il numero ottantasette.»
Fu il silenzio improvviso e l'immobilità del carceriere-demone che gettò nuovamente Lena nello sconforto. Pareva però che quell'ondulare frenetico tra tranquillità e tensione volgesse finalmente al termine. Il demone questa volta parlò con una voce diversa, metallica, una che aveva cento, mille volte più senso di quella precedente e che sembrava sfuggire da denti aguzzi che certamente quel mostro nascondeva da qualche parte. «Sono venti anni che aspetto questo momento. Sono sorpreso che non sia stato il precedente visitatore a tornare reclamando quel particolare numero, ma evidentemente vi ha assegnato il compito lui stesso -non vedo alternative. Lord Octa non c'entra nei vostri schemi, mi sbagliiiiiio?» Concluse poi con un sibilo sinistro. Bingo. Lena, che aveva iniziato a dubitare della buona riuscita dei suoi incanti mentali, ora ne aveva prova certa. Dunque il carceriere demone aveva creduto che lei fosse davvero Madeleine Monmouth, ma al contempo era riuscito ad intuire che il compito di prelevare il numero ottantasette proveniva da qualcun altro. Cos'era successo esattamente in quella prigione, venti anni prima? Lena non aveva percepito ostilità nella voce del carceriere questa volta, solo genuina curiosità. Per la prima volta sentì di poter dialogare con quella creatura.
«Sì, è così. Mi scuso per aver mentito.» Ammise semplicemente. Il carceriere scosse il volto metallico come per scacciare le scuse dell'investigatrice. «Io obbedisco alla volontà di chi domina ovvero del più forte, lady Monmouth. Il precedente visitatore, dopo aver riportato il numero ottantasette da me in cambio della vita della mia cara sorella, aveva giurato che qualcuno sarebbe venuto a reclamare il numero, un giorno. Così è stato. La volontà del più forte mi comanda di consegnarvi quello che cercate e così farò.»
Lena non riusciva ancora a capire tutto l'intreccio. Tuttavia, alcuni pezzi del puzzle iniziavano a inserirsi nel posto corretto.
C'era stato un uomo, pochi mesi prima, che l'aveva battuta completamente. La sua vittoria era stata così totale e assoluta che Lena si era sentita schiacciata e senza speranza. Quell'uomo era un investigatore. Anzi, era L'Investigatore. Il più grande, il più famigerato, il più crudele e spietato di tutti quanti: il Kaiser, Pietro. L'uomo che certamente sarebbe diventato il più difficile rivale d'affari e non che Lena potesse mai aver avuto la sfortuna di incontrare.
Dopo averla sfidata e battuta, il Kaiser le aveva semplicemente dato un indizio:
"Se vuoi avere la ben ché minima possibilità di battermi sul campo, Lauren, allora devi prima risolvere un certo caso... e visto che sono un uomo che apprezza le sfide, ti dirò cosa fare per migliorarti. Cerca il numero ottantasette, rinchiuso nella torre più sinistra dell'Ystfalda, e ritrova quei ricordi che il mondo stesso ha deciso di dimenticare. Solo allora ti riconoscerò come una vera sfidante. Sono sicuro che ti potrà servire il suo aiuto, visto che sei così debole..."
Armata di questo indizio e ferita nell'orgoglio, Lena aveva deciso di mettersi in gioco e battere il Kaiser al suo stesso gioco. Dopo circa due mesi di ricerche su documenti quasi illeggibili, mappe imprecise e testimonianze contraddittorie, Lena e Maximillian avevano finalmente trovato la Torre dei Dimenticati.
Dunque il precedente visitatore era il Kaiser stesso, che aveva prelevato il numero ottantasette, presumibilmente risolto il suo mistero, e poi lo aveva riportato nella Torre. Tuttavia qualcosa doveva essere andato storto, poiché Pietro aveva ucciso la sorella del demone-carceriere, che quando aveva parlato del "sipario della tragedia" si riferiva a questi fatti.
Lena sentì di aver di nuovo la situazione sotto controllo ed era sicura che presto avrebbe risolto sia il mistero della Torre dei Dimenticati che quello del numero ottantasette.
«Ssseguitemi...»
Il carceriere e l'investigatrice iniziarono la loro discesa nel baratro dell'oblio.