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Non veni pacem mittere - Sed gladium, Contest Marzo 2015 - Potere

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Humean
view post Posted on 7/3/2015, 11:19




Basiledra – o ciò che ne rimane.




Nell'austera camera che da qualche mese a questa parte è il mio rifugio dal mondo, regna un piacevole tepore che sarebbe un peccato ignorare. È curioso come una stanza calda sembri un po' meno misera della stessa stanza al gelo del mattino. Ora è quasi notte fonda, e la gente onesta (ma ve n'è rimasta, in questa città?) ha lasciato le strade da un po': quanto a me, sono seduto di fronte al camino, e osservo i tizzoni di un focolare che si sta estinguendo, poco a poco.
Forse un giorno riuscirò a dimenticare il freddo penetrante delle strade, delle mura, delle case... il freddo della città di ghiaccio. Ma ora, il ricordo di quella giornata di gelo, di sangue e di gloria è ancora troppo fresco, troppo vivido, perché io possa semplicemente soffermarvici la mente un minuto, e proseguire oltre. È ancora nitida la memoria della battaglia di Basiledra.

Le mie mani immobili, conserte sul grembo, alla luce del fuoco morente assumono una tonalità bronzea, e sembrano quasi le mani morte di un vecchio idolo pagano, dimenticato e seppellito da tempo immemore. Ma non lo sono, affatto. Sento scorrere fluido e caldo il sangue, la linfa della vita; posso muoverle, serrarle in un pugno o distenderle. Sono in grado, attraverso le mie mani, compiere decine di incanti che l'esperienza e lo studio mi hanno insegnato: posso uccidere, ingannare, distruggere. Posso quasi percepire il potere della magia scorrere nelle mie vene: sicuro, infallibile, eterno.

“Eppure... tutto ciò è un'illusione.”

La nostra superbia ci spinge ad inseguire il potere, a cercare il controllo sui nostri simili attraverso ogni mezzo: la violenza, il raggiro, o l'imponente architettura dell'autorità costituita. Ma più in alto ci spingiamo, più disastrosa sarà la nostra caduta. Mathias Lorch lo ha sperimentato, amaramente. Io stesso l'ho sperimentato, in quegli istanti terribili in cui la magia sparì da Basiledra e mi ritrovai all'improvviso solo e indifeso, nella furia della carneficina.

“Cosa sono mai, se la mia lingua si blocca e la mia mente si svuota? Cosa mi rimane, quando mi viene strappata la possibilità di rendere lode al Sovrano attraverso il mio unico talento?”

Il potere è un dolce vino inebriante, ti spinge a cercarne ancora, e ancora: ti attira contro le invidie e le ostilità, ti espone alle vendette e all'odio. E un giorno, immancabilmente, ti tradisce.
Il vigore dei muscoli e la prontezza della mente vengono meno con l'avanzare degli anni, e all'improvviso i nemici sono troppi o troppo forti. Circondato, solo, folle, il superbo raccoglie infine ciò che ha seminato. Proprio questo accadde al Re che non perde mai, questo è accaduto al Tiranno. Questo è il destino ineluttabile di chi cede alle lusinghe della forza. Lusinghe a cui io, in primo luogo, sono sensibile. Ne ho dato prova, negli anni che hanno preceduto il mio risveglio nella Cattedrale, quando ancora la mia mente era occupata solo dal pensiero di come impormi sul mondo.
Ancora mi è stato dimostrato in quella mattina fatale, quando la paura dell'inermità ha fatto vacillare la mia Fede.

Forse allora è la debolezza l'unica via verso la salvezza? Forse davvero bisogna rendersi inoffensivi, sottomessi, miti per non cedere alle tentazioni della gloria terrena? Qualcuno ardisce professare queste tesi, anche in seno al gregge del Sovrano.
Eppure, come è mai possibile far trionfare la Verità, senza avvalersi della potenza? Se gli uomini prima di me non avessero usato la spada, la parola, la legge, il Culto sarebbe già dimenticato, schiacciato dalle turbolenze della storia. Non si può chinare il capo e fingere di non vedere le infinite minacce che noi tutti corriamo, non si può rifiutare una guida designata. Pur senza lasciare che la nostra anima si corrompa, abbiamo il dovere di fronte a Dio stesso di combattere il fuoco con il fuoco. Come per ogni entità di questo mondo, il potere in sé non porta nessun male: il male è nei cuori ottenebrati, che scambiano il mezzo per il fine, perdendosi nel peccato.

Un grosso ceppo incandescente si spezza in un turbine di scintille, riscuotendomi per un momento: come a scandire un punto di svolta nel flusso sottile del pensiero.
La mia riflessione mi porta quindi a questo punto. La ricerca del potere è certamente una via pericolosa, che giunge alla peggiore delle idolatrie, la venerazione di se stessi. Ma proprio perché è una via oscura, insidiosa, una via di pochi, è a maggior ragione necessario che qualcuno la percorra, per proteggere l'inconsapevole innocenza dei molti. Il Sovrano chiama a raccolta questi eletti, perché riportino una volta e per tutte i regni degli uomini all'ordine e alla pace.

“Siamo quindi giunti alla domanda fondamentale: sono io pronto ad assumere su di me questo fardello?”

Sussulto, mentre questo pensiero mi attraversa la mente, chiaro e fugace come un baleno notturno.
E subito una nuova consapevolezza fiorisce nel cuore. Tutti i passi compiuti nella mia vita mi hanno condotto qui, ora.

Non mi è concesso sottrarmi.
Non voglio sottrarmi.

Allontana da me questo calice.


Sia fatta la tua volontà.


Eccoci qui, in questo contest cerco di affrontare il tema del potere dal punto di vista del mio PG. Come al solito Viktor è dilaniato in un profondo dualismo: la sua mente disprezza il potere, come uno dei peggiori vizi della razza umana, ma il suo cuore lo desidera profondamente. Tutta questa riflessione in fondo non è che un tentativo inconscio da parte sua di conciliare queste due tendenze contrastanti. L'esito di questo sforzo è sottile, e determinerà il suo allineamento nel main event venturo Arcana Imperii: perché i popoli possano conservare la propria purezza, è richiesto ad un ristretto numero di ministri di farsi carico di questa croce. Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento.
 
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