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La crociata del traditore ~ Il trono che non trema, Arcana Imperii

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view post Posted on 10/3/2015, 16:54
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Zeno
allo specchio

— muta —

5DKh8IK

« Per l'ennesima volta, Zeno si costruì un muro dietro cui piangere la propria rabbia.
Era per nascondersi in piena vista che indossava la maschera. »

Zeno
mattina, chiesa di Ladeca


   La vestizione era sempre stato un momento di intimo raccoglimento per Zeno; un attimo di fragile meditazione che si concedeva prima di cominciare la giornata. Raramente aveva permesso ad altri di interferirvi. Anche quel giorno, quando i cittadini di Ladeca si offrirono di aiutarlo, lui rifiutò con garbo; permise solamente a Sapphire di assistergli come ricompensa per aver contribuito a perorare la causa dei Corvi Leici sin dalla loro formazione. La ragazza era giovane, bella e immacolata; vestiva di bianco e il suo viso era come quello di una bimba, incorniciato da una cascata di boccoli ramati. Un angelo che gli era stato mandato dal Sovrano per aiutare i bisognosi. Si era sentito inevitabilmente attratto da lei sin dal loro primo incontro e in breve l'aveva resa la sua più grande confidente.
   « Io sono nessuno. » affermò con tono cogitabondo, mentre indossava la maschera. « Il Sovrano ha voluto che fossi creta fra le sue mani; la sua voce su Theras. Quando indosso questa maschera, tutta la mia collera, le mie idee e i miei ricordi cessano di esistere. » continuò, mentre allungava le braccia nelle maniche della veste e se la lasciava assettare sulle spalle dalla ragazza. « Pensi che ciò sia triste, Sapphire? »
   « ...in verità, un poco. » confessò lei, mordendosi meccanicamente le labbra per la concentrazione con cui si stava dedicando alla vestizione. « In fondo, voi avete contribuito all'integrità del regno sin da prima che Aedh Lancaster e Caino facessero la loro apparizione sul palcoscenico dei Quattro Regni. » affermò con sincero rispetto, avvalendosi della trasparenza che il Corvo le aveva concesso di adottare con lui. « Sono certa che se vi esponeste maggiormente, eccellenza, gli uomini non potrebbero fare a meno di seguirvi. Vi basterebbe raccontare di come avete ricostruito il regno a seguito del Crepuscolo, o di come siete intervenuto segretamente a favore del popolo durante il regno del terrore di Mathias Lorch. » si allontanò da lui, lasciandogli il tempo di rimirare il proprio aspetto nello specchio. « ...fatico a comprendere perché non vogliate evidenziare le vostre azioni alla comunità. »
   Zeno sorrise, vagamente lusingato dalle parole di Shappire. La sua espressione si scontrò tuttavia con la muta severità della maschera che aveva in viso e non ebbe la forza di svelarsi all'attendente, che ne rimase all'oscuro. Non poteva certo sapere, lei, che gli abiti del Corvo servivano a nascondere tanti trofei quanti incubi: l'anonimia era una casa assai comoda in cui abitare.
   « Io sono nessuno » ripeté con tono severo. « e tu chi sei, Sapphire? »
   « Io, eccellenza...? » esclamò lei, portandosi una mano al petto con stupore e muovendo qualche passo indietro. « Io non... non saprei dire. » si trovò a rispondere davanti al silenzio inquisitorio di Zeno. « ...solamente un'umile serva di chiunque abbisogni dei miei servigi. »
   Zeno iniziò ad allacciarsi i bottoni della veste, meditabondo.
   « Non credi allora che siamo in due? » le disse con maturità, scandendo lentamente le parole. « Oppure pensi che il nostro merito sia così differente? »
   Sapphire non rispose; si limitò ad abbassare lo sguardo con riverenza e un largo sorriso di adulazione sbocciò sul suo viso.
   « Non sarebbe un fastidio, essere qualcuno? » continuò il Corvo per scherzo, in tono fintamente serioso. « Che volgarità! Come una rana che dice il suo nome tutta l'estate a un pantano che sta ad ammirarla! » Sapphire rise innocentemente, alzando la mano alle labbra per nascondere quella libertà, che tuttavia compiacque Zeno. « Le genti dei Quattro Regni non hanno bisogno di qualcuno; non finché non svilupperanno una coscienziosità tale da permettere loro di farsi del bene. » riprese, in tono più serio e pacato. « Altrimenti non faranno altro che eleggere nuovi tiranni. »
   « È su questo che verterà il suo discorso, eccellenza? »
   « Anche. » concluse solenne. « Il Sovrano mi ha mostrato come i cittadini possano salvarsi da soli. »
   « ...purché si tengano alla larga dai qualcuno loro nemici. »

Serpe
mattina, Ladeca


   Ladeca era una cittadina fortunata, che aveva eccezionalmente goduto dell'improvvisa caduta di Basiledra. Si trovava a metà strada tra la capitale e la Roesfalda, situata fra due rigogliose macchie di verde che la tenevano amorevolmente in grembo come un bimbo in fasce. Prima della battaglia contro la Guardia Insonne non contava più che qualche centinaio di abitanti a cui erano andati, in seguito, a sommarsi buona parte dei profughi provenienti dalla capitale. La fulminea crescita demografica aveva spinto a trasferirsi nel paese non soltanto un grande numero di bottegai, artigiani e contadini, ma anche gli stessi Corvi Leici, che decisero di farne il loro quartiere generale.
   Zeno si era saputo dimostrare perfettamente in grado di amministrare un flusso così grande di persone, impiegando i più abili nell'assistenza dei meno fortunati e trasformando velocemente Ladeca in un crocevia di aiuto, sostegno e soccorso. Gente di tutti i tipi vi si era raccolta e per Serpe ciò si traduceva in più grandi possibilità di nascondersi.
   Quel giorno si era dovuto recare a Ladeca per parlare con un mercante in possesso di un bene che non poteva permettere finisse nelle mani sbagliate. Normalmente si sarebbe limitato a rubarlo, ma il peso storico di quel manufatto era tale da indurlo ad accantonare lo stile di vita da questuante che aveva recentemente adottato e presentarsi invece come un potenziale acquirente.
   Per le strade di Ladeca, la gente era troppo impegnata a figurarsi il discorso che Zeno avrebbe fatto alla popolazione nel pomeriggio per accorgersi di lui. « Hai sentito? » sentì dire a due fattori che muovevano un carro. « Dicono che persino il Dicasterio e il consiglio dei Pari abbiano mandato una delegazione per assistervi. »
   « E perché ti sorprendi? » rispose l'altro, prendendolo in giro. « Sua eccellenza non vuole certo un nuovo conflitto! È normale che cerchi il dialogo. » mentre parlava, agitava le mani con fare concitato per sottolineare le sue affermazioni. « Sono tutti gli altri a essere diventati matti! »
   Serpe grugnì aspramente. Col tempo aveva iniziato a odiare profondamente la politica, di cui lui era stato una delle principali vittime. Checché se ne dicesse, le battaglie delle idee non facevano altro che mietere decine e decine di uomini, falciati dall'arroganza di chi mancava dell'umiltà di abbassare la testa. Aedh, Caino e Zeno erano identici gli uni agli altri nel non voler cedere il passo, a discapito degli innocenti che vi sarebbero trovati nel mezzo.
   Male accompagnato da questi spiacevoli pensieri, Serpe raggiunse la locanda dove avrebbe dovuto incontrarsi col mercante, che si trovava già in loco. Era un uomo basso e unto, con un'incipiente calvizia e due folti baffi brizzolati. Come lo vide entrare, schizzò in piedi dalla sua sedia e gli strinse vigorosamente la mano. Serpe dal canto suo si assicurò di avere il cappuccio ben celato sul viso e rispose con un'espressione di incerta reticenza, ben nascosta dalla folta barba scura.
   « Karşılama! Karşılama! » disse con fortissimo accento meridionale. « Iniziavo a chiedermi se il mio misterioso compratore esistesse davvero! »
   « Ho incontrato delle difficoltà. Niente di grave. » rispose Serpe secco, che non aveva intenzione di approfondire la sua condizione con il mercante. I suoi occhi vennero inevitabilmente attirati dal gilet colorato che indossava l'altro, dagli sbuffi di pizzo, dai gioielli alle dita e dai pantaloni al ginocchio; uno stile che gridava "Akeran" a chiunque vi posasse sopra lo sguardo e che lo irritò inconsapevolmente. « Vogliamo iniziare? »
   « Ancak bazı! Ma certo! » rispose l'altro sedendosi e ammiccando al cliente. « Dritto al punto, come piace a me! » Serpe lo imitò e il mercante avvicinò una sacca che aveva tenuto appoggiato alla sedia. Da lì estrasse un libro vecchio, polveroso e consunto che picchiò al centro del tavolo, sollevando un nugolo di polvere. Il tomo sembrava fosse stato lasciato a marcire per decine di anni e la copertina era accartocciata dall'umidità e rosicchiata dai topi; ciò nonostante, su di essa riusciva a leggersi a grandi lettere il titolo: "Sugli incubi e sulle abiezioni." « È questo? »
   Serpe cercò di trattenere l'emozione, ma non vi riuscì. Fu costretto a cambiare posizione sulla sedia, come se vi si trovasse a disagio, e il mercante non mancò di notarlo: gli sorrise in maniera disgustosa; quando lo faceva, la sua faccia si appiattiva come se qualcuno l'avesse colpita con un pugno. « Come l'avete trovato? » chiese l'acquirente, genuinamente incuriosito.
   « Ah; Sormayın! » rispose lui, allontanando le mani dal libro e permettendo all'altro di sfogliarlo. « Un mercante non rivela mai i suoi segreti! »
   Serpe dubitava che il venditore fosse a conoscenza del valore reale del tomo, ma si guardò bene dallo spiegarglielo. Se l'avesse saputo, di certo non l'avrebbe venduto a uno straccione come lui: l'avrebbe conservato al sicuro e trattato come un tesoro, nell'attesa che qualche nobile collezionista gli offrisse in cambio ricchezze spropositate. « È un volume molto raro. » gli disse, dissimulando la sorpresa. « ...voi abitanti dell'Akeran tenete fede alla vostra fama, lasciate che ve lo dica. »
   Il mercante si arricciò un baffo con aria compiaciuta, mentre l'altro levò da sotto il mantello una piccola sacca di cuoio, che gettò sul tavolo. Il suono delle monete all'interno tintinnò allegramente e l'Akeraniano la afferrò con avidità, aprendola e iniziando a contarle.
   « Trecento pezzi d'oro. Cinquanta in più di quanto pattuito. » gli disse Serpe, prendendo il libro e alzandosi dalla sedia. « Godeteveli in virtù del vostro ottimo lavoro. »
   Il venditore si infilò le monete in una tasca del gilet, visibilmente rallegrato dall'affare appena compiuto. « Voi siete assai generoso, galantuomo! » esclamò con tono vibrante, alzandosi a sua volta e profondendosi in un elaborato e ridicolo inchino. « Ad un prossimo incontro! »
   I due si salutarono cordialmente e Serpe lasciò immediatamente la locanda, nascondendosi fra i vicoli di Ladeca e celando il tesoro che aveva appena ottenuto sotto il proprio mantello. Non appena ne ebbe la possibilità, lo estrasse e vi passò sopra il palmo della mano con tremante agitazione, ammirandolo.

   Fra le sue mani stringeva il libro più importante della biblioteca del Re che non perde mai. La fonte primigenia dei suoi poteri.

Zeno
primo pomeriggio, piazza della chiesa di Ladeca


   La folla si era raccolta nella piccola piazza della chiesa, a pochi metri dalle scalinate che salivano verso il porticato. Zeno stava immobile come una statua di marmo al centro dell'apertura, con alle spalle le navate e il sole che risplendeva sulle sue vesti come il riflesso delle fiamme fa sull'acqua. Davanti a lui si erano assembrate più di cento persone, in trepidante attesa del suo discorso, ma la cosa non lo turbò minimamente: aveva passato la sua intera vita a predicare alle masse e ciò che stava per fare non sarebbe stato tanto differente. Sapeva che tra gli ascoltatori vi erano alcuni membri del Dicasterio e dei Pari, dunque avrebbe dovuto porre particolare accortezza alle sue parole; persino più di quanto non facesse già normalmente.
   « Popolo dei Quattro Regni. » iniziò con voce stentorea, allargando le braccia in maniera solenne. « La guerra contro la Guardia Insonne è finalmente terminata! Dopo quasi un anno di incertezze, possiamo coricarci la sera senza temere per la nostra vita. Basiledra è andata distrutta, ma io non intendo interpretare tale segno come un messaggio di sventura: la crepa che divide il cuore del regno servirà a rammentarci il pericolo che abbiamo corso e ad ammonirci perché non si provochi di nuovo una catastrofe simile. Una nuova alba di pace, festa e ardore risplende sui celebri resti della nostra storia, di cui noi siamo il prodotto ripulito e raffinato dalle sciagure. Sprecheremo questa occasione? »
   « So che tra voi vi sono uomini che hanno aderito a cause differenti dalla mia, ma voglio tranquillizzarvi: non vi sono nemico, né considero voi miei avversari. I Corvi Leici intendono solamente assistere il popolo, con ogni mezzo necessario, e non serve combattere tra di noi per garantire questo risultato. I miei fratelli e la resistenza non intendono costituire alcuna forma di potere sovrano, bensì mirano a fornire alla popolazione la coscienza necessaria per autodeterminarsi, elevarsi e proteggersi, come spetterebbe a ogni comunità composta da uomini liberi. »
   « Il mio è un invito alla collaborazione. Possiamo essere migliori di tutti i re che ci hanno preceduto, se solo decideremo di unire i nostri sforzi nella ricostruzione di un unico regno. Se c'è una cosa che la nostra storia ci ha dimostrato, è che la ricerca spasmodica del potere personale non fa altro che condurre all'autodistruzione - sta a voi dimostrarvi sufficientemente arguti da comprenderlo, senza lasciarvi accecare da un pericoloso senso di immodestia. Rainier Chevalier, Sennar Sighvat, Caino e Mathias Lorch hanno portato a una progressiva disgregazione dell'impero, inseguendo ciascuno le proprie mire; e proprio come un cane idrofobo essi hanno proceduto in maniera cieca, senza curarsi di chi stava loro intorno, caracollando e latrando sgraziatamente dietro alla loro preda, incapaci di raggiungerla. Farete il loro stesso errore? Vi crederete migliori di loro e vi innalzerete al ruolo di giudici, sovrani e governatori, senza che sia stata la gente a deciderlo? Non dovreste invece concentrare i vostri sforzi, in questo periodo di difficoltoso recupero, sull'assistenza e il soccorso di chi è rimasto vittima degli eventi, in maniera disinteressata ed equa? »
   Si fermò per qualche secondo, sperando che le sue questioni sedimentassero negli animi di chi lo stava ascoltando. Aveva parlato con tono maturo e serio, privo dell'intenzione di animare il popolo o agitarlo. Il suo obiettivo non era quello di formare un gruppo di fanatici, quanto più quello di aiutare i più confusi a maturare una coscienza.
   Da qualche parte nella piazza, Serpe grugnì disgustato al suono di "disinteressato ed equo", ricordando come i Corvi Leici l'avevano trattato quando aveva richiesto il loro aiuto.
   « Se sono qui a dirvi questo, oggi, non è soltanto per mia volontà. » continuò Zeno con pacatezza e serietà, rallentando il ritmo del discorso. « È stato il Sovrano a dirmi di farlo. »
   « Egli esiste e abita frequentemente i miei sogni e quelli di altri fedeli da diversi mesi a questa parte. Loro stessi potranno confermarvi ciò che vi sto dicendo. » confessò, lasciandosi sfuggire un fremito d'emozione. « Ci ha rivelato il suo nome: Zoikar, e ci ha confidato di essere angosciato riguardo al destino del suo popolo. Esso crede fermamente che una nuova guerra ci condurrà all'annientamento e ci ha invitato a salvaguardare la sicurezza della sua gente. Un compito che non possiamo portare a termine da divisi; non serve un messaggio divino per comprenderlo! »
   « È giunto il tempo di unirsi! Dimenticate gli stendardi, i nomi, i titoli, e mettete il vostro potere personale a disposizione del regno stesso; abbassate le corone e gli scettri, prima che il popolo insorga contro di voi per l'ennesima volta! Liberatevi del velo d'ignoranza con cui l'ambizione ha celato i vostri occhi e rivolgete lo sguardo verso l'orizzonte, dove ci attende un nuovo regno di uguaglianza e libertà: un mondo dove nessuno debba più preoccuparsi di combattere i propri vicini! Una casa dove nessuno verrà lasciato affamato e indifeso! Non riuscirete a procedere verso il futuro ripercorrendo la strada di chi ha fallito in passato! »
   « Il Sovrano ci ha mostrato i nostri nemici » terminò, solenne. « e nessuno di loro appartiene al suo popolo. Ricordate: divisi cadiamo, uniti restiamo; per sempre. »

   « Aye... » sussurrò Serpe, accarezzando il tomo che aveva appena acquistato. « ...e di questo, come di tanto altro, dovrà rendermene conto. »



CITAZIONE
Benvenuti a "Muta", la prima quest di Arcana Imperii e la prima quest della campagna della Crociata del Traditore! Come avete capito, si tratta di una quest aperta e - almeno nei primi post - seguirà le regole anche di una scena aperta in tutto e per tutto. Zeno e Serpe non hanno bisogno di presentazioni, specialmente se avete letto le giocate di introduzione alla quest.

In questo primo post di presentazione non voglio che facciate altro che interagire tra di voi: i vostri personaggi - per un motivo o per l'altro, vi lascio totale carta bianca in merito - si ritrovano nella piazza di Ladeca ad ascoltare il discorso di Zeno, rivolto a tutti: popolo, Corvi Leici, membri dei Pari e del Dicasterio. Potete far reagire i vostri personaggi nel modo che preferite, purché non siate autoconclusivi con niente e nessuno (per i nuovi utenti: un'autoconclusione è un'azione imposta ad un altro personaggio, decidendo per lui le sue azioni). Vi impedisco anche di interagire con Serpe che, benché presente nella piazza, cercherà di nascondersi ed evitare qualsiasi contatto umano.
Mi piacerebbe che in questa prima fase interagiste fra di voi come in una normale scena aperta, magari specificando come il vostro personaggio è venuto a trovarsi a Ladeca e perché sostiene la sua fazione.

Avete cinque giorni di tempo per rispondere, poi procederò con la quest. Per qualsiasi domanda, usate pure il topic in confronto.


Edited by Ray~ - 11/3/2015, 15:33
 
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Nawarashi
view post Posted on 10/3/2015, 19:55





Locanda "L'Allegro Scribano" - Qualche giorno prima



Ero sicuro che quella sera l'oste mi aveva annacquato la birra. Evidentemente non doveva andargli a genio che uno dei suoi clienti abituali fosse un tizio incappucciato al bancone a cui nessuno faceva troppe domande. Probabilmente gli avevo spaventato qualche giovane cliente, intimorito a tal punto di evitare di sedersi nei posti vicino allo straniero "cupo".
Allungata o meno, avevo decisamente voglia di bermi un boccale, anche se sotto le occhiatacce del locandiere. Del resto era il mio unico momento di tranquillità.
Dalla porta, entrarono un gruppo di mercanti della zona per festeggiare il compleanno di un loro collega. L'oste li fece sedere unendo 3 tavoli insieme, pulendoli e offrendo loro il primo giro. Sembrava che si conoscessero, magari uno di quei gentiluomini forniva i viveri alla locanda. I nuovi arrivati parlarono del più e del meno: discussero di trasporti interrotti da assalti di banditi e delle rovine con tanto di tendopoli sparse per la strada, alle quali avevo già fatto visita. Tra maledizioni per i conflitti in corso e lamentele varie, uno scambio di battute peculiare destò il mio interesse.

< Hai sentito? Sembra che Zeno il Messia terrà un discorso nella sua capitale, Ladeca. Lui ci porterà alla pace, ne sono sicuro. >

< Stronzate. Tu vuoi andare a sentire le farneticazioni religiose invece di fare qualcosa di concreto per il tuo paese? Che ti dice la testa Ludvig!?" >

< Tu non capisci Abraham, è solo lui che può risolvere tutto questo, farci finalmente uscire dalla carestia che affligge le nostre terre. Io andrò lì, andrò a sentire le sue parole e tu ti pentirai di non avermi seguito a testimoniare un evento storico. >

< Tu vai a sentire Zeko, Zelo o come diavolo si chiama, io rimarrò nella mia bottega a vendere e a portare un pezzo di pane alla mia moglie, non posso darle da mangiare predicozzi e sermoni. >



< "Bene bene, sembra che dovrò partire" >




Pensai con una sincera contentezza. Finalmente c'era l'occasione di incontrare questo fantomatico Leader del culto dei buoni e dei giusti, difensore dei poveri e aiutante della Resistenza, di cui tutti i miserabili cantano le lodi. Dopo tutte quelle cose che ho udito su questi Corvi Leici e sulla loro benevolenza, era giunto il momento di sincerarmi dei loro intenti direttamente da chi li comandava. Se la loro missione fosse stata giusta e se veramente miravano a portare il popolo in cima alla catena sociale, avrebbero avuto il mio appoggio, o quanto meno la mia lama. Del resto, l'organizzazione dei Valravne è sempre stata fedele servitrice della gente comune, pertanto, se questi Corvi Leici lo rappresentavano, era solamente mio dovere aiutarli nella loro causa. Lasciai le solite monete sul bancone e uscii dalla locanda.
Dovevo prepararmi per arrivare in quella città sacra, una messa mi attendeva.




Ladeca



Il sole splendeva sulla ridente cittadina in cui mi trovavo, risanandomi le membra dopo una notte in uno scomodissimo ostello della zona. Ladeca era una di quelle città in cui non ci si aspettava di trovare così tante persone. Piuttosto piccola per la mole di presenti quel giorno, era un luogo abbastanza ordinario e semplice come un qualsiasi centro abitato delle terre di Dortan. Oltre alle numerose attività commerciali ed artigianali sparse per il centro cittadino, Ladeca era sopratutto conosciuta come il centro nevralgico dei Corvi Leici, infatti era proprio qui che si trovava il loro capo o in qualsiasi modo si faceva chiamare. Arrivai il giorno prima, in modo da poter girare bene la città per osservarne le fattezze e per avere indicazioni riguardo il posto in cui si sarebbe tenuto l'evento. Notai diversi profughi intenti a trovare alloggio, qualche mercante che partiva e qualcun altro che arrivava, tuttavia non vidi nulla di anomalo o qualsivoglia pericolo percettibile tranne per qualche ladruncolo da quattro soldi che avrebbe approfittato della calca per rubare qualche spiccio. Non riscontrai alcuna minaccia: nessun esercito ostile, nessun manipolo di persone evidenti, nessun fomentatore d'odio nelle locande, era tutto tranquillo ai miei occhi e per quello che avevo visto. Se avessi avuto ragione, quel sermone sarebbe stato solamente una pacifica orazione comune.

Ovviamente, tra gli abitanti giravano diverse voci riguardo il discorso di quel giorno: alcuni sostenevano che sarebbero venuti degli esponenti delle fazioni avverse, altri speculavano teorie fantastiche, come quella che in realtà era tutta una messa in scena e che Zeno, sempre coperto da una maschera, fosse in realtà un orribile demone pronto a schiavizzare la popolazione di Ladeca. Molti negozianti invece erano positivi sulla questione, visto che ricevevano più entrate. "Fino a quando non distruggono la città, a me va bene" dichiararono molti. In questi piccoli centri tutti chiacchieravano tranquillamente di qualsiasi evento che sconvolgesse la loro quotidianità.
Tutte queste voci erano soltanto mere chiacchiere da strada, non c'era nessun dato certo riguardo gli eventi di quel giorno. Del resto non ero venuto per sentire i cittadini lamentarsi; ero lì per sentire le parole di questo fantomatico Messia, sperando di non rimanerne deluso. Il mio timore più grande era quello di vedere il retto Zeno rivelarsi per un altro sovrano avido di potere che avrebbe camminato sui cadaveri della povera gente illusa pur di salire al trono, abbandonando i cittadini alla miseria, uno alla volta.
Oppure poteva scendere a patti con i Pari, venendo corrotto dal desiderio e dalla cupidigia. Non mi avrebbe sorpreso, ammesso che questo leader fosse stato Umano.
Mi tirai su il cappuccio per mascherare il sole che picchiava sulla mia testa, uscii dal vicolo isolato in cui mi trovavo e mi diressi verso la piazza. A giudicare dalle persone che si affrettavano per le strade, probabilmente sarebbe iniziato di lì a breve. Dovevo sbrigarmi, era necessario sentire ogni singola parola.

Arrivai in una piazza affollata davanti ad una chiesa, la quale aveva il porticato aperto. Si poteva vedere il sole che filtrava nella cappella, illuminando le navate ed una figura alta e chiara al centro dell'entrata. Aveva una maschera bianca al posto della faccia, il che lo rendeva quasi irreale. Infatti da lontano sembrava addirittura una statua, tuttavia quella scultura non era altro che un essere umano: il famoso Zeno.
La sua figura, altezzosa e suggestiva, era lì, immobile, al centro del porticato con tutti gli occhi puntati su di lui. Tra la folla vidi persone di diverso stampo sociale, tutte insieme a vedere un uomo mascherato parlare dall'uscio di una chiesa.
C'era un vociare che serpeggiava tra le persone presenti, rimbalzando tra le mura delle case vicine. Cercai di farmi spazio tra quel mare di persone, per avvicinarmi all'oggetto della mia attenzione. Avanzai un po' scansando qualcuno con gentilezza, ma mi dovetti fermare quando iniziò il discorso. La piazza era ammutolita e l'unica voce che si sentiva era quella di Zeno, il quale aveva allargato le braccia. Ebbi un deja-vù a guardarlo, tuttavia rimasi fermo sul posto e tesi le orecchie. Un senso di ansia misto a curiosità si fece largo nella mia mente. Anche io, come tutte le persone presenti, pendevo dalle labbra mascherate di quella bianca figura.

« Popolo dei Quattro Regni. La guerra contro la Guardia Insonne è finalmente terminata! Dopo quasi un anno di incertezze, possiamo coricarci la sera senza temere per la nostra vita. Basiledra è andata distrutta, ma io non intendo interpretare tale segno come un messaggio di sventura: la crepa che divide il cuore del regno servirà a rammentarci il pericolo che abbiamo corso e ad ammonirci perché non si provochi di nuovo una catastrofe simile. Una nuova alba di pace, festa e ardore risplende sui celebri resti della nostra storia, di cui noi siamo il prodotto ripulito e raffinato dalle sciagure. Sprecheremo questa occasione?
So che tra voi vi sono uomini che hanno aderito a cause differenti dalla mia, ma voglio tranquillizzarvi: non vi sono nemico, né considero voi miei avversari. I Corvi Leici intendono solamente assistere il popolo, con ogni mezzo necessario, e non serve combattere tra di noi per garantire questo risultato. »



Certo, non dovevamo rispondere a chi ci aveva tolto tutto, a chi aveva reso un inferno in terra la nostra vita, dovevamo invece esserne compagni e magari dargli anche delle pacche d'affetto. Stronzate. Dove era la giustizia in questo? Dovevamo semplicemente essere tutti amici e stringerci la mano dimenticando il passato? A quelle parole mi venne da pensare ai miei trascorsi, la curiosità tramutò in rabbia. Non volevo credere che avesse davvero intenzione di perseguire questa linea, il popolo doveva combattere contro i propri oppressori! Gli oppressi dovevano ribellarsi, dovevano essere vendicati! Era questo su cui avevo dedicato la mia vita, non avrei mai convissuto come se nulla fosse con tutta quella gente che in passato non si fece remore a sfruttare altri esseri umani. Andavano giustiziati. Mentre pensavo ciò, prestavo attenzione alle successive parole di quell'oratore, sperando che si riscattasse e che in realtà avessi frainteso.

« I miei fratelli e la resistenza non intendono costituire alcuna forma di potere sovrano, bensì mirano a fornire alla popolazione la coscienza necessaria per autodeterminarsi, elevarsi e proteggersi, come spetterebbe a ogni comunità composta da uomini liberi.
Il mio è un invito alla collaborazione. Possiamo essere migliori di tutti i re che ci hanno preceduto, se solo decideremo di unire i nostri sforzi nella ricostruzione di un unico regno. Se c'è una cosa che la nostra storia ci ha dimostrato, è che la ricerca spasmodica del potere personale non fa altro che condurre all'autodistruzione - sta a voi dimostrarvi sufficientemente arguti da comprenderlo, senza lasciarvi accecare da un pericoloso senso di immodestia. Rainier Chevalier, Sennar Sighvat, Caino e Mathias Lorch hanno portato a una progressiva disgregazione dell'impero, inseguendo ciascuno le proprie mire; e proprio come un cane idrofobo essi hanno proceduto in maniera cieca, senza curarsi di chi stava loro intorno, caracollando e latrando sgraziatamente dietro alla loro preda, incapaci di raggiungerla. Farete il loro stesso errore? Vi crederete migliori di loro e vi innalzerete al ruolo di giudici, sovrani e governatori, senza che sia stata la gente a deciderlo? Non dovreste invece concentrare i vostri sforzi, in questo periodo di difficoltoso recupero, sull'assistenza e il soccorso di chi è rimasto vittima degli eventi, in maniera disinteressata ed equa? »



Seppur parlasse di collaborazione, finiva per condannare le persone assetate di potere. A questo punto risultava ovvio la sua richiesta ai Pari: lasciate i vostri poteri, non vivete di essi. Ma pensava davvero che tutti rinunciassero così facilmente a ciò che li rendeva tali e al di sopra dell'uomo comune. Nessuno avrebbe lasciato andare i suoi privilegi semplicemente chiedendoglielo per favore, era proprio per questo che i conflitti non erano finiti, perchè nessuno di loro era disposto a perdere potere, ne la possibilità di guadagnarlo.
Su una cosa aveva ragione però, il popolo andava aiutato. Però doveva rendersi conto che per far ciò, oltre alla ricostruzione, dovevano eliminare i suoi nemici, altrimenti nessun gruppo di cittadini sarebbe salito al potere dal nulla, sopratutto senza i mezzi necessari per farlo.
Quel senso di rabbia impulsiva che aveva preso il sopravvento su di me andò a scemare, anche grazie al tono severo ma rassicurante di quel capo religioso. La sua dote nei discorsi alle folle, come ci si aspetterebbe da un capo di un culto, era perfetta. Ci fu una pausa, come per lasciare assimilare a tutti le parole appena dette, parole forti per alcuni dei presenti. Tra la folla c'era qualcuno che commentava, altri scuotevano la testa, mentre molti erano in adorazione. Sembrava come se fossero usciti da una gabbia di domande e dubbi, illuminati dal chiarore di Zeno.

Poi, però, disse delle parole che fecero cadere un enorme interrogativo nella mia mente.

« Se sono qui a dirvi questo, oggi, non è soltanto per mia volontà. È stato il Sovrano a dirmi di farlo. »
Egli esiste e abita frequentemente i miei sogni e quelli di altri fedeli da diversi mesi a questa parte. Loro stessi potranno confermarvi ciò che vi sto dicendo. Ci ha rivelato il suo nome: Zoikar, e ci ha confidato di essere angosciato riguardo al destino del suo popolo. Esso crede fermamente che una nuova guerra ci condurrà all'annientamento e ci ha invitato a salvaguardare la sicurezza della sua gente. Un compito che non possiamo portare a termine da divisi; non serve un messaggio divino per comprenderlo! »



< Perfetto, sono dei fanatici in preda alle allucinazioni. >



Commentai, lasciandomi sfuggire a bassa voce, sorpreso, quella frase. Stentavo a credere alle mie orecchie. A quanto pare questo fantomatico nuovo Sovrano non era altro che una voce nella sua testa. La delusione crescente si faceva largo tra i miei pensieri, i quali ripetevano le ultime parole di Zeno come per spiegarsi in modo ragionevole una tale assurdità. Però, riflettendoci, mi chiesi che male facesse quelle voce nella concretezza delle cose. Questo Zoistar o Zoifar, l'amico immaginario di quel prete in parole povere, gli diceva di aiutare le persone. Fino a quando non gli suggeriva di metterli tutti al rogo, chi ero io per interessarmi dello stato mentale di tale uomo? A me, del resto, interessava solo che fosse dalla parte delle persone comuni, poi poteva pure avere i folletti nelle braghe. Molti dei presenti, a quelle parole, rimasero sorpresi, quasi quanto me, mentre i più fedeli si commossero a tali affermazioni, sussultando dalla gioia.

« È giunto il tempo di unirsi! Dimenticate gli stendardi, i nomi, i titoli, e mettete il vostro potere personale a disposizione del regno stesso; abbassate le corone e gli scettri, prima che il popolo insorga contro di voi per l'ennesima volta! Liberatevi del velo d'ignoranza con cui l'ambizione ha celato i vostri occhi e rivolgete lo sguardo verso l'orizzonte, dove ci attende un nuovo regno di uguaglianza e libertà: un mondo dove nessuno debba più preoccuparsi di combattere i propri vicini! Una casa dove nessuno verrà lasciato affamato e indifeso! Non riuscirete a procedere verso il futuro ripercorrendo la strada di chi ha fallito in passato!
Il Sovrano ci ha mostrato i nostri nemici e nessuno di loro appartiene al suo popolo. Ricordate: divisi cadiamo, uniti restiamo; per sempre.»



E con quelle parole, terminò la sua orazione. Seppur pieno di stramberie e parole poco chiare, il messaggio era congeniale a quello che volevo sentirmi dire. Giù gli scettri, via i poteri. Anche io credevo che fosse l'unica panacea per curare la malattia di questo mondo. L'unica cosa che mancava erano i mezzi, però. Il cucchiaino per imboccare la medicina. Ero sicuro che anche Zeno sapeva bene che chiunque deteneva il potere lo avrebbe tenuto per sé e non lo avrebbe usato per fare del bene se non a sé stesso. Come avrebbe tolto tale pericolo dalle nostre strade? Dove erano i fatti? Certo era un bel discorso, nessuno poteva negarlo, ma rimaneva tale fino a quando non avessi avuto la dimostrazione che il suo ordine, e quindi la resistenza, avrebbe lottato con le unghie e con i denti contro chi voleva tenersi il piatto ricco di privilegi. Avevo la sensazione che con questa predica, i Corvi Leici si fossero inimicati ancora di più i loro oppositori, date le richieste esposte.

Mi allontanai dal cuore della folla, uscendo per appoggiarmi ad un muro di una casa limitrofa. Avevo bisogno di riflettere su quanto aveva detto, inoltre avrei aspettato che la calca diminuisse per raccogliere informazioni. Se fosse stato possibile, avrei visitato anche la chiesa in un momento successivo.





Note: Eccomi qui, post introduttivo di Allein che assiste al discorso e ne trae dei brevi pensieri a caldo. Nel caso sono sempre disponibile per MP o altri canali per accordi di qualsiasi genere! Buona giocata :)


Edited by Nawarashi - 11/3/2015, 19:31
 
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dra31
view post Posted on 11/3/2015, 18:33




La crociata del traditore ~ Muta - I
Ladeca, I Quattro Regni.

Ladeca. Superando l'ultima curva della strada che costeggia la boscaglia, la cittadina che si affaccia sull'orizzonte viene accolta con un sospiro di sollievo dal viaggiatore, contento di sapere che la prossima notte non verrà trascorsa all'addiaccio. Da quando si era lasciato Kenewald alle spalle alcuni giorni addietro, c'erano state occasioni dove il suo cammino non raggiungesse una cittadina o un villaggio, obbligando di tanto in tanto ad assaporare l'ebrezza della notte all'addiaccio.
Rinfrancato nel morale, il viandante accelera il pesante passo della sua robusta persona, voglioso di raggiungere quel profilo di legno, paglia e pietra e i suoi invitanti filari di fumo che si levano dai camini; si stava avvicinando il meriggio e il suo stomaco si sta lamentando.
È da poco giunto alle porte della cittadina ed è in attesa di poterle attraversare, accodato dietro ad alcuni carri di mercanzie e primizie, quando il forestiero si sente apostrofare in un dialetto familiare.

Mimar Satu!
Si volta per osservare chi lo chiama e il suo volto si apre in un sorriso accogliente, davanti si presentavano due volti conosciuti.
Cugino!

All'incontro segue un robusto abbraccio tra i due uomini e uno più gentile tra il viaggiatore e la giovane che accompagnava l'uomo. Serhat Satu, il costruttore, ha appena riconosciuto e ritrovato dopo molto tempo il cugino Eren Satu, mercante ambulante figlio di suo zio Hüseyin, fratello di suo padre Ruslan. L'ultima volta che si erano incontrati è stato poco dopo il ritorno di Serhat alla casa paterna.
Effettuati dunque i saluti di rito, il piccolo gruppo entra nella cittadina di Ladeca, seguendo il carretto di un contadino che s'infilava sicuro tra le vie polverose dell'agglomerato urbano. Quando il mezzo si ferma nelle vicinanze di un deposito, uno dei due uomini si avvicina al conducente e gli chiede informazioni sul dove poter alloggiare in città e sugli ultimi avvenimenti del posto. Quello che è ottiene è l'indicazione per una vicina locanda e l'accenno a qualcosa di particolare nella piazza della chiesa. Valutato quanto saputo, l'uomo ringrazia e ritorna verso i compagni.
Sulla strada per la locanda, l'uomo accompagnato dalla donna si rivolge al parente, anticipando il discorso da una pacca sulle spalle di lui.

Congratulazioni per il tuo matrimonio, cugino. Quindi anche Serhat lo scapolo è capitolato.
Grazie, Eren. Se ne sei a conoscenza, vuol dire che sei passato per Basakli.
Ovvio, era sulla strada e sembrava scortese non fare visita al nonno. Dopo mesi passati nelle terre del sud, sentivo nostalgia di casa.
Sei stato a sud? Si sono calmate le acque, dunque. È difficile che tu ti muova in territori non tranquilli.
E immagino, conoscendovi, che ti abbia detto anche dell'accordo.

Sì, non è un paradiso ma al sud sono tranquilli.
Parli dei tre anni? Certamente. Figurati che lo propose anche a me, quando venne il momento.
E tu, furbacchione, ti sei presentato l'anno successivo con lei, aggirando bellamente le volontà del nonno.
Un giorno, Şehrazad, mi spiegherai cosa ci trovi in questa volpe.

Cugino, non sono come dici.
Non saprei, forse perché è una volpe?
Şehrazad!?

Ahahah, ha imparato a conoscerti.

Mentre i tre chiacchierano tra loro, la strada che stanno percorrendo li porta nella piccola piazza della chiesa. Quando osservano l'assembramento di curiosi che occupa lo spazio antistante il sagrato del luogo di culto, comprendono di trovarsi al cospetto di quanto accennato prima dal contadino.

Corvi...
Eren accenna alle figure che si ergono, non nascondendo un certo fastidio nella voce.
Corvi.
Serhat, anche lui non felice della presenza dei religiosi mascherati, osserva quanto succede davanti a lui.

Popolo dei Quattro Regni.
La guerra contro la Guardia Insonne è finalmente terminata!


Come era il nome detto dal carrettiere?
Zeno.
Ecco perché la sua voce non mi era nuova. Ho avuto modo di ascoltarlo tempo addietro a Basiledra.
E da quando sei un credente, cugino? Per giunta del Sovrano.
Non lo sono, in effetti.
Ed è sempre stato così... sognatore?
Probabile, non lo so. Forse i fumi dell'incenso gli hanno dato alla testa.
Lo penso anche io. Rimaniamo ad ascoltare?
Lo spettacolo non costa nulla e le parole contano poco se non sono seguite dai fatti.

Già...


I tre si muovono lungo il limitare della piazza e raggiungono l'ingresso della via successiva, fermandosi in quel punto per continuare ad ascoltare il sermone del Corvo e tranquilli di aver guadagnato fin da subito una buona posizione per allontanarsi appena lo spettacolo fosse terminato.

png

Basso × 5% | Medio × 10% | Alto × 20% | Critico × 40%
Energia × 100% | Fisico × 100% | Mente × 100%


- condizioni. Ottimali. {Fisico [0B+0M+0A+0C+0I] + Psionico [0B+0M+0A+0C+0I]}
- forma. Normale {100% = [0B+0M+0A+0C+0I]} + 0 CS {Forza Fisica 0 [0+0] + Intelligenza 0 [0]}

+ ragionare. Ragionare, pensare, comprendere: il mestiere del costruttore è un lavoro intellettuale, prima che manuale. Alla base di una fondazione ci sono calcoli e analisi che ne determineranno la consistenza e la forma, tra le fughe ordinate delle pietre di un muro si mescolano conoscenze e esperienza così come le eleganti geometrie di una cupola poggiano su molteplici insegnamenti e formule.
Un incessante cigolio di ingranaggi ben oliati è il suono che accompagna da molto tempo l’attività di Serhat, un meccanismo collaudato e tenuto in ottime condizioni da un’esperienza e una formazione continua che si protrae da vent’anni a questa parte, cioè dal primo giorno che prese in mano un badile e fece la sua prima trincea di fondazione dietro le direttive del capomastro di turno, suo padre.
Ad oggi, dopo una vita trascorsa a comprendere segreti e regole di un mestiere complesso seguendo maestri e insegnanti di ogni specie, Serhat ha raggiunto un traguardo che anni addietro riteneva una prerogativa paterna, quella capacità che gli permette ora di compiere ragionamenti e formulare soluzioni in tempi infimi e capaci di confutare le tesi di colleghi ed estranei al mestiere.
{Difesa psionica passiva. [Stratega I] [Psionica] [Passiva, 6 usi]} + {Comprensione della classe e del talento avversario. [Stratega I] [Psionica] [Passiva, 6 usi]} + {Passiva di solo discernimento di illusioni. [Stratega II] [Psionica] [Passiva, 6 usi]} + {Immunità dal dolore psionico e negazione degli effetti delle tecniche psioniche, i danni si mantengono. [Stratega II] [Psionica] [Passiva, 6 usi]} + {Capacità di vincere scontri fisici a parità di CS. [Abilità Personale 1/25] [Fisica] [Passiva, 6 usi]}
{Difesa psionica variabile personale. [Abilità Personale 2-3-4/25] [Psionica] [Variabile da Basso a Alto]}

+ lavorare. L’altra faccia della medaglia, lavorare. L’attività fisica che questo mestiere richiede è pari a quella di ogni altro lavoro essenzialmente manuale; caricare, scaricare e stoccare i materiali da costruzione, modellarne la forma a colpi di scalpello e accetta, trasportarli dove richiesto sul cantiere: il lavoro del manovale è alla base del mestiere del costruttore, così come un scudiero è il primo passo per diventare un cavaliere. Manovali si diventa da giovani e ci si rimane per tutta la vita, anche se il proprio ruolo in un cantiere è diverso. Un ruolo dove il fisico diventa l’arma in più per non cedere alla fatica, dove anni di pietre, terra e legname portati a spalla contribuiscono a formare una migliore capacità di gestire le proprie forze, al punto di riuscire a rispondere con celerità alle diverse esigenze del lavoro.
{Perizia: quando utilizza una tecnica di Power Up, guadagna 1 CS aggiuntivo alla stessa caratteristica. [Umano] [Passiva, 6 usi]} + {Esperienza: permette di difendersi senza essere antisportivi da un grande numero di attacchi o da attacchi inaspettati, influisce solamente sulle azioni non tecnica. [Amuleto razziale] [Umano] [Passiva, 6 usi]}
+ l'agrimensura: criteri e tecniche. Misurare, stimare e posizionare. L'agrimensura è quella parte del suo mestiere che Serhat non è solito usare se non sotto precisa richiesta. Come sappiamo già, l'agrimensura ha per oggetto la misurazione di campi o terreni e la loro stima; oltre a questo è compito dell'agrimensore individuare e porre i confini terrieri e altri punti di particolare interesse locale. Per definire questi punti di rilievo esistono molteplici metodi di misurazione planimetrica; uno di questi è la triangolazione, il quale sfrutta le regole geometriche dei triangoli e le loro proprietà. È lo stesso principio usato nella nautica per individuare la posizione delle navi sulle carte e aggiornare la rotta.
A un agrimensore abile bastano pochi elementi noti ed è capace di individuare la posizione di ciò che non è direttamente raggiungibile. E grazie a questi pochi elementi, definiti dei punti di riferimenti esistenti o artificiali ed eseguiti dei rapidi calcoli mentali, il costruttore è capace di orientarsi senza molti sforzi e di localizzare oggetti e persone intorno a lui, tenendo continuamente aggiornata la loro posizione rispetto a lui.
{Auspex a bersaglio singolo [Amuleto dell'auspex] [Fisica] [Passiva, 6 usi]}
+ l'esperienza del Costruttore. Tre semplici compassi, che con l'ausilio di altri strumenti riescono a riprodurre ogni cosa su carta. Non esistono limiti alla creatività umana, eppure l'arte della costruzione ha raggiunto standard tanto elevati da riproporre ciclicamente gli stessi modelli. Ogni architetto che si rispetti può tracciare le basi per una costruzione, a partire dalla planimetria dell'edificio da erigere. E sebbene i costruttori non studino tanto quanto loro le basi della fisica che stanno dietro agli edifici, i più esperti riconoscono a memoria la matrice al quale un luogo è ispirato. Mediante i compassi e un semplice foglio di carta, il Costruttore esperto potrà tracciare la planimetria di un edificio solamente attraverso pochi dettagli, come una misura del perimetro esterno o la conta delle porte di un lungo corridoio. Perché per quanto sfarzoso ed elegante possa essere all'aspetto, i mattoni saranno sempre gli stessi.
{il costruttore potrà tracciare la planimetria di un edificio osservandone anche solo una piccola parte [Passiva, 6 usi]}

- ... ...
{...}

+ la strumentazione: attrezzi personali. Armi iniziali [Mazzetta, Accetta, Piombo] per un peso variabile di kg 4~6 | Equipaggiamento GdR non offensivo [Borse degli attrezzi]
+ la strumentazione: strumenti di rilievo e misurazione. Armi acquistate [Corda a tredici nodi]
+ la strumentazione: attrezzi di cantiere. Armi acquistate [Malepeggio, Martellina, Badile, Sacchetti di gesso x 5]
+ la strumentazione: strumenti di disegno e misura. Oggetti GDR [Compassi x 3] incantati [vedi "Disegno e Scrittura"]
+ la strumentazione: pacchetto di medicazione. Bendaggi con soluzione cicatrizzante [Erba medicinale x 2 (cura bassa, istantaneo)] e Tonici [Corallo x 1 (+4 CS Intelligenza) + Erba ricostituente x 1 (+5% energia)] + pezzi di ricambio {Ripara un equip danneggiato [Abilità personale 12/25] [Fisica] [Medio]} e coltello.
+ cianfrusaglie. Oggetto personale [Quaderni di appunti]
+ doni. Cristallo del Talento + Anello del tuttofare (Dialetto dell'Akeran, Lingua del Nord) x 2

- note. Serhat giunge a Ladeca, dove casualmente incontra il cugino Eren, mercante, e la sua compagna Şehrazad. Insieme ai due, Serhat entra in città e giunge nella piazza nello stesso momento in cui Zeno inizia il suo discorso. Dopo un primo commento, il gruppetto rimane ad ascoltare Zeno rimanendo in disparte, pronti a lasciare la piazza al termine del discorso.

Errare è umano. Dare la colpa a un altro ancora di più.
Serhat Satu

 
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Palantír
view post Posted on 12/3/2015, 00:03




Tanaach, pochi mesi prima

La ruvidità delle lenzuola di lana grezza sotto i polpastrelli fu la prima cosa che percepì svegliandosi dal suo sonno inquieto.
Lentamente lasciò scorrere le dita sul tessuto consumato e socchiuse per primo l’occhio sinistro. Non distinse il gioco di luci che rabbrividivano in onde davanti a lui finché non aprì anche l’altro: solo allora capì che erano raggi di luna piena che filtravano in strisce sottili dalle persiane della finestra e si modellavano alla curva della mano, seguendola sinuose man mano che si muoveva.
Funes rimase ancora imbambolato a lasciare che i pensieri si riordinassero. Era stato ospitato in casa di qualcuno… ecco, ora ricordava: il fruttivendolo per cui stava lavorando da un paio di settimane voleva festeggiare un affare andato bene, e aveva deciso di farlo soddisfacendo i suoi appetiti di vedovo dalla morale discutibile. Provò a guardarsi intorno e scorse le due ragazze addormentate. Solo ora che erano ferme e tranquille poteva realizzare che in fin dei conti non erano granché; certo era che comunque ci sapessero fare. Flora e Syra, avevano detto di chiamarsi: Funes non dubitava fossero “nomi d’arte”, ma per una notte di lavoro pagato - sì, il vecchio porco aveva allungato anche a lui qualche moneta per quel piccolo extra - andava più che bene.
Cercando di non far rumore provò ad alzarsi: scostò piano il lenzuolo, sporse i piedi oltre il giaciglio arato dai raggi di luna e scattò in piedi con la rapidità cui l’avevano abituato anni da ladruncolo fuggiasco.
Fu allora che il mal di testa esplose.
Soffocando un gemito e un’imprecazione tra i denti, il ragazzo camminò a tentoni nella camera in cerca dei suoi vestiti. Ogni ricordo, ogni dettaglio della sera precedente gli pulsava nel cervello con una vividezza dolorosa; l’intonazione e la durata di ogni singolo gemito delle ragazze, il numero esatto delle gocce di sudore che imperlavano la fronte del mercante mentre lo guardava montarne una con la foga di chi vuole concludere più che godere. L’angolo delle sue labbra mentre si avvicinava con un sorriso osceno, la sfumatura gialla dei suoi denti marci che nella notte sembravano blu e neri. Doveva dimenticare.
Incespicò in un mucchio di stracci, li riconobbe come i suoi vestiti. Infilò calzoni e maglia senza badare che fossero nel verso giusto, aveva altre priorità. Affondò le mani nelle tasche, vi rovistò febbrilmente. Vuote. Fece per mettersi carponi a cercare sul pavimento, combattendo le fitte che si irradiavano dalla base del collo agli occhi. Si bloccò quando sentì il gelido acciaio sul pomo d’Adamo, gelido quasi quanto il tono della domanda sussurrata.

« Cercavi questo? »

Sollevò lo sguardo. Vide prima il sacchetto nero. La sua medicina. L’istinto fu quello di allungare una mano e prenderlo, ma la consapevolezza della lama alla gola gli suggerì diversamente.
Il fare voluttuoso di Syra era sparito per lasciar spazio a una fredda determinazione. Nuda, i capelli scomposti, stava di fronte al ragazzo senza tradire la minima vergogna per quanto fosse successo la sera prima.

« Il Serpente vede benissimo anche di notte, ladro. Non provare a gridare o a muoverti o giuro che quello ti faranno i miei amici sarà niente in confronto a quello che ti farò io. »

Il ragazzo poteva sentire la punta della lama tracciare lentamente un ghirigoro sulla pelle, quasi sul punto di inciderla ma non ancora abbastanza forte da spillare sangue.

« Hai messo nei casini me e gente anche più in alto di me con i tuoi furtarelli di oblio qui e là. Sei in debito con noi di… vediamo… tremilacinquecento pezzi d’oro, più o meno. Puoi scegliere se pagarli con la vita o… Oh, dimenticavo, stavolta mi hanno detto che la scelta te l’eri giocata già quell’altra volta con l’incidente al bazaar. »

Stava giocando al gatto col topo, era evidente. Funes si guardò attorno, il solo girare gli occhi gli provocò un’ennesima fitta. Flora russava piano: una ciocca disordinata le cadeva sul viso e finiva fra le labbra socchiuse, muovendosi impercettibilmente al ritmo del suo respiro. Il lenzuolo sgualcito sotto di lei finiva abbondantemente fuori dal letto, quasi ai piedi di lui. Tornò a fissare la falsa prostituta negli occhi, mosse un piede poco indietro fin sul lembo di stoffa, diede un leggero strattone.
Flora si girò e disse qualche parola nel sonno, Syra la fissò per un attimo.
Fu sufficiente.
Afferrò il sacchetto e saltò giù dalla finestra con tutta la rapidità che il mal di testa gli concedeva. Cadde sulla tenda della bottega del fruttivendolo pochi metri più sotto, sapeva che il porco si dimenticava sempre di chiuderla la sera e per fortuna ebbe conferma dell’abitudine. Da lì la caduta fu attutita: rimediò solo una botta sul fianco quando toccò il suolo ed ebbe solo il tempo di pensare che si sarebbe trasformata in un grosso livido mentre sfrecciava per i vicoli della Città Vecchia in cerca di riparo.

L’alba lo colse sotto un portico a riprendere fiato. Stava accogliendo con gratitudine la sensazione di leggerezza e vuoto mentale della droga chiamata “oblio”, la fortuna dei contrabbandieri dell’Akeran, quando il bagliore dei raggi del sole sulle ceramiche smaltate d’azzurro dei palazzi e dei minareti colse i suoi occhi.
Tanaach stava riassumendo la sua facciata rispettabile, il sussiego di crocevia dei commerci del meridione, scrollandosi la scomoda verità di metropoli corrotta; l’oro e la ricchezza che la vestivano come drappo regale servivano a nascondere un cuore marcio che imputridiva ogni forma di sincerità e onestà con cui entrasse in contatto. Aveva corrotto i triarchi, e non sarebbe passato molto tempo che avrebbe corrotto anche lo Tsar, Funes ne era certo. E i contrabbandieri avrebbero continuato a inseguirlo per la sua medicina, l’unica cosa che riuscisse a calmare le sue emicranie. Qualcosa che semplicemente lui non poteva permettersi di comprare.
Aveva sempre avuto paura del pensiero di andare via: dopo la fuga da Qashra, Tanaach era stata la sua casa nonostante tutto, e di cosa potesse aspettarlo oltre il deserto non aveva la minima idea; la vita, del resto, gli aveva dimostrato come le nozioni imparate sui libri possano differire anche radicalmente dalla realtà. Aveva letto di Dortan, le rovine di un regno che pareva dovesse durare per sempre ormai devastate dalle lotte per il potere. Secondo quanto aveva imparato anche dalla storia della Riunificazione, la guerra civile era il contesto sociale in cui si perdevano le tracce del maggior numero di persone. Ma sarebbe stato davvero così?
Ad ogni modo, far perdere le sue tracce era l’unica possibilità che Funes aveva per prolungare la sua inutile vita, lui che era troppo codardo perfino per affrontare la morte da uomo.
Fu in quel momento che decise di partire e si diresse senza indugi da Yusuf il cammelliere: quella vecchia canaglia gli doveva ancora un favore.
____________________________________________

Ladeca, presente

L’ennesima borgata puzzolente di latrina lo accolse con un viavai insolito di gente; dal confine del deserto fino ad allora Funes aveva visitato solo grumi di capanne abbastanza pretenziosi da darsi un nome ma che visibilmente mostravano le cicatrici della guerra e in cui le persone avevano timore anche solo di affacciarsi alle finestre, ma quell’ultimo paesotto sembrava teatro di un’intensa vita sociale.
Quasi gli avrebbe ricordato il caos dei bazaar se non fosse che tutto era così spento. Nessun campanello, nessuna mattonella colorata a rallegrare le facciate di case di mattoni grigi e legno scuro; le uniche tinture per tessuti in uso sembravano essere tutte le molteplici sfumature degli escrementi fra il beige chiaro delle casacche di lino grezzo e il mogano del cuoio bruciacchiato dei grembiuli protettivi dei fabbri. Anche i suoni erano diversi: il forte chiacchiericcio che nei bazar spingeva la gente ad alzare la voce per parlarsi anche da vicino qui era piuttosto un silenzio imbarazzato rotto dallo scalpiccio attutito dei passi sulla terra battuta e da sussurri timorosi. Passò accanto a una madre che trascinava un bambino in lacrime, e la sentì sussurrare “Lo vedi l’uomo del Sud? Se continui a fare i capricci viene da te e ti rapisce!”. Non si voltò, continuò a camminare a capo leggermente chino per non dare nell’occhio: malgrado la tunica smorta che aveva rimediato mendicando in un altro villaggio, la sua pelle e i suoi capelli ancora ne tradivano le origini. Non era abbastanza, il Serpente avrebbe potuto seguire le voci e inseguirlo fin là. Aveva bisogno di protezione.
Una fitta gli tamburellò sulla fronte con dita d’acciaio, ma lui cercò di sopportare il dolore: l’Oblio non era diffuso in quei regni, e sicuramente i contrabbandieri avevano dato disposizioni ai loro sgherri di tracciare qualsiasi operazione di compravendita di cristalli per ritrovare la loro preziosa preda.
Decise di seguire il flusso della folla perché confondersi passando inosservato gli sarebbe stato molto più facile se fosse stato uno dei tanti e non da solo. Camminò per inerzia, la pressione sulle tempie che si acuiva ad ogni passo, il grigio delle case e delle nuvole sopra di lui che si riflettevano l’uno nell’altro.
Si fermò infine in uno spiazzo più largo, di fronte a una facciata di edificio di marmo bianco. Così uniforme, così strana per uno abituato all’opulenza di geometrie policrome del Sud. Tutti sembravano guardare in direzione dell’uomo che era comparso sotto il portico: una maschera, vesti chiare, portamento da gran nobile. Funes ricordò di aver letto in un tomo di storia recente che la maschera era appannaggio di un ordine religioso molto influente a Dortan, ma non capì il senso della veste chiara quando gli esponenti di tale culto venivano chiamati Corvi dai più. E nondimeno ascoltò, non volesse il cielo che il prelato stesse cercando nuovi adepti su cui porre la maschera dell’ordine e dell’anonimato.

« So che tra voi vi sono uomini che hanno aderito a cause differenti dalla mia, ma voglio tranquillizzarvi: non vi sono nemico, né considero voi miei avversari. I Corvi Leici intendono solamente assistere il popolo, con ogni mezzo necessario, e non serve combattere tra di noi per garantire questo risultato.

Rainier Chevalier, Sennar Sighvat, Caino e Mathias Lorch hanno portato a una progressiva disgregazione dell'impero, inseguendo ciascuno le proprie mire; e proprio come un cane idrofobo essi hanno proceduto in maniera cieca, senza curarsi di chi stava loro intorno, caracollando e latrando sgraziatamente dietro alla loro preda, incapaci di raggiungerla.
»

Un campanello squillò nella mente del ragazzo, un petulante rigurgito della personalità del vecchio Funes degli studi universitari, in cui tutto era visto come se dovesse essere imbrigliato nei canoni di acribia e imparzialità di una relazione scientifica. Una vocina che dal profondo dell’inconscio sentenziava che non era propriamente così. Millenni di storia dimostravano che ad alcuni sovrani nominati dal prelato non si poteva fare una colpa di non aver sempre agito nell’interesse del loro popolo: quando al bene di molti nel presente si antepone il bene di ancora più nel futuro il re è ancora considerabile un buon re, un governatore che tende a consolidare il potere per la supremazia e, alla fine, alla pace e alla prosperità. Anche se la strada per la pace è macchiata di sangue.
Ma il Funes di ora, il ragazzo che era dovuto crescere in fretta cercando di scampare ai tagliagole di Tanaach, non era d’accordo con quella visione accademia e senza cuore. Il Funes di ora pensava che ci sono colpe che non possono essere giustificate da un “bene più grande” nel futuro, perché l’aveva vissuto sulla propria pelle. A che era giovato rimanere chiuso a Qashra a studiare mentre i suoi genitori cadevano in disgrazia e non potevano neanche vedere il volto del figlio quando più gli sarebbe servito?
No, concluse, non è il potere il fine ultimo dell’esistenza.

« Dimenticate gli stendardi, i nomi, i titoli, e mettete il vostro potere personale a disposizione del regno stesso; abbassate le corone e gli scettri, prima che il popolo insorga contro di voi per l'ennesima volta! Liberatevi del velo d'ignoranza con cui l'ambizione ha celato i vostri occhi e rivolgete lo sguardo verso l'orizzonte, dove ci attende un nuovo regno di uguaglianza e libertà: un mondo dove nessuno debba più preoccuparsi di combattere i propri vicini! Una casa dove nessuno verrà lasciato affamato e indifeso! Non riuscirete a procedere verso il futuro ripercorrendo la strada di chi ha fallito in passato! »

Quasi sembrava che l’uomo mascherato gli avesse letto nel pensiero. Già, non era il potere, corona o scettro a fare il regno, ma la solidarietà fra i suoi cittadini: la capacità di gioire delle ricchezze comuni e sostenersi l’un l’altro in tempi difficili. E uno Stato in cui fosse questo il principio guida sarebbe certamente stato più pacifico e longevo di altre soluzioni.
Quando la folla radunata intorno a lui cominciò ad applaudire manifestando la propria approvazione a gran voce Funes fu sul punto di fare altrettanto. Ma la fitta fu particolarmente violenta, e d’istinto l’unica cosa che riuscì a fare fu portare la mano alla tasca, estrarne un minuto cristallo nero e lanciarselo sulla lingua.
Sperò soltanto nessuno l’avesse visto.



Eccomi al primo post! *emozionato* L’antefatto è lunghetto (mi scuso per la prolissità) ma trovo che dia informazioni abbastanza dettagliate sul perché Funes decida di spostarsi a Dortan. Contro l’assassina Funes utilizza due abilità che ha regolarmente in scheda: un’illusione fisica livello Basso e una schivata a livello Basso. Tuttavia sono usi dell’abilità che circostanziano meglio la scena piuttosto che vere e proprie azionie, quindi troverei giusto non scalarli dai consumi (anche se reputerei quantomeno strano che Funes non abbia recuperato le forze nei mesi che intercorrono fra la sua fuga da Tanaach e il discorso di Zeno). Se in questo sbaglio prego di farmelo notare.
Ancora, il riferimento al “Serpente” non riguarda il png Serpe ma un ramo della fazione nemica “Gli occhi del serpente” che riterrei plausibile sia invischiata in traffici poco leciti dato che, se ho ben capito, punta al dominio economico.
Spero piaccia, buona lettura!


Edited by Palantír - 12/3/2015, 09:26
 
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Ladeca - La scorsa notte

I fatti significano ben più delle parole. Un concetto riconosciuto e accettato dalla maggior parte delle persone, la richiesta di una tacita dimostrazione delle proprie intenzioni. Giungo nella piccola cittadina di Ladeca con il crepuscolo alle spalle e la notte pronte a ghermire ancora una volta il Thedas. In effetti definire questo luogo come una cittadina potrebbe sarebbe errato, di fatto il villaggio si è tramutato in quello che rappresenta un centro città ove le moltitudini di tende fanno da borgo o periferia della stessa. Sono in molti ad essere giunti qui, chi per curiosità chi per speranza. Speranza in questo Zeno che ripudia lo strapotere dei pari e la dottrina deforme di Caino, che vota la sua vita e quella dei suoi molteplici seguaci al semplice atto di aiutare il prossimo. Sarebbe un errore definirlo un messia? Se queste fossero veramente le sue sole intenzioni probabilmente no. Se non altro sono stata testimone della generosità dei suoi accoliti, forse spinti a compassione dal mio aspetto. Un Corvo come molti altri, vestito di una semplice tunica stretta alla vita con una corda logora. Mi ha offerto da mangiare, da bere e persino un posto per dormire. Ovviamente ho accettato, non voglio destare sospetti e comunque non mi dispiace affatto ricevere tali attenzioni. La situazione nella tendopoli è sorprendentemente pacifica. Lungo la strada per raggiungere la cittadina mi sarei aspettata un briciolo di malasanità, problemi con ladruncoli e tagliagole di bassa lega e persino qualche schiavista disposto ad usare tale caos a suo vantaggio. Invece nulla, a malapena qualche ladruncolo che osava avvicinarsi alle scorte di cibo custodite dai Corvi. Per questo decido di prendermi il lusso di un sonno sereno, una volta tanto. Questo certo non prima di essermi procacciata uno spuntino. Me lo ha insegnato la mamma, mai andare a dormire a stomaco vuoto. Sono certa che i ladri si faranno un briciolo più temerari la notte, uno di meno non farà dispiacere a nessuno.



Ladeca - Adesso

A pochi minuti dall'alba la cittadina ha cambiato completamente faccia. Come una bestia sopita e pacifica adesso essa si è destata, esplodendo in una caotica convulsione di colori e suoni. Mercanti e Artigiani dispongono rapidamente le loro bancarelle, cercando ogni espediente possibile per attirare l'attenzione dei molti pellegrini e curiosi che quel giorno si trovavano li per ascoltare il sermone di Zeno. Ognuno aveva qualcosa da guadagnarci, fossero seguaci o danari non faceva differenza. In una tale confusione non mi è difficile muovermi senza farmi notare, una piccola fanciulla sperduta nella caotica Ladeca dei Corvi Leici. La gente confluisce nella piazza dinanzi alla Chiesa della cittadina come formiche in marcia al cospetto della loro regina, tante piccole formiche obbedienti che trovano la forza nel loro grande numero. A me la calca non piace affatto. Mi troverò un posticino altolocato, magari su un tetto delle casette circostanti per avere una migliore visione del tutto. Inoltre se il vociferare corrisponde al vero sia I pari che i Corvi di Caino saranno qui per assistere. Dubito che vogliano muovere guerra così apertamente ma in fondo non si può mai sapere con gente del genere. Un sottotetto con una finestra lasciata, forse involontariamente, aperta. Mi arrampico passando dal tetto e mi infilo all'interno, nella penombra di quel piccolo e basso stanzino fatto di legno e pietra. Privo di ragnatele e pieno di sacchi di grano essiccato, probabilmente la dimora di un agricoltore che adesso stava vendendo il frutto del suo raccolto in una delle molte bancarelle. Con un tale numero di granaglie forse la fortuna vorrà che ci sia qualche topo all'interno, di quelli paffuti e ben nutriti tipici dei campi coltivati e dei granai. Spendo una manciata di minuti a cercare un bocconcino prima dell'esibizione. La fortuna sembra arridermi, due spuntini. Con un topino bloccato sotto il mio stivale e l'altro ancora squittente nelle mie mani mi appresto a guardare fuori dalla finestra, notando una figura mascherata uscire dal portico della chiesa locale. Braccia aperte quasi a voler abbracciare il popolo intero, proprio come quel Cavaliere da Comizio che ho visto pochi giorni fa.

Il suo discorso è... tipico, sensato, prevedibile e ben accetto. Zeno è stato in grado di cogliere il problema di fondo dietro a tutte queste tragedie che hanno colpito i Regni come un susseguirsi di piaghe virulente. Semplicemente, l'ignoranza del popolo. Un popolo che troppo facilmente si lascia abbindolare da promesse e immagini di gloria che semplicemente fanno per svanire con la stessa celerità con cui sono stati promessi. Eppure per quanto pacifico e disinteressato nulla può negare che l'obbiettivo seguito da questo Messia gli causerà un'infinità di problemi. Un popolo cosciente è un popolo forte, un popolo difficile da modellare e comandare. In sostanza un popolo indipendente che ripudierebbe con naturalezza tanto la nobiltà quanto la dottrina ferrea e opprimente di Caino. In nome della pace egli darà al popolo gli strumenti per dare guerra ai loro oppressori più naturali. Una mossa pericolosa, azzardata e coraggiosa. Con il concludersi del sermone la piazza comincia a svuotarsi ed anche io decido di allontanarmi dalla casupola con la conclusione del mio secondo spuntino. Mi muovo verso la zona più esterna del villaggio per riprendere una boccata d'aria da tutto quel caos e quella confusione, vicino ad una casetta lontana dalla calca. Non presto attenzione quando mi siedo su una cassa poggiata vicino alla stessa e solo allora lo noto. Poggiato con le spalle sul muro della struttura, il capo chino verso il terreno e il volto coperto dall'ombra del suo cappuccio. Turbato, pensieroso e concentrato a tal dal farmi pensare che forse non mi ha nemmeno notato. Solo dopo qualche istante mi rendo conto di aver già visto quella figura incappucciata. Era al villaggio, pochi giorni or sono, lo stesso del drago e del nano. Non vorrei che pensasse di me come di una spiona sgarbata, quindi decido di fare la prima mossa.



Hmmmm... monsieur? «dico guardandolo con uno sguardo misto di preoccupazione e curiosità, il cappuccio ancora presente sul mio capo» Vi sentite bene? Non sembrate avere una bella cera.



Inizio standard con ascolto del discorso del Papa Zeno e riflessioni a caldo sullo stesso. Finito il suddetto Odette decide di allontanarsi dalla calca per riflettere in tranquillità e guarda caso (ma anche no) incrocia la medesima figura incappucciata che aveva scrutato al comizio di Azzurra. Ergo il Lupetto.
 
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view post Posted on 12/3/2015, 04:01
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Cavalier Fata
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La crociata del traditore ~ Muta.
« Che valore ha il vero nome di Dio,
quando Dio non ha orecchio per sentire? »

Il tempo scorreva lentamente, durante il viaggio verso Ladeca. L'aria fredda e pungente della Roesfalda lasciava lentamente posto a quella più accogliente e umida delle valli, mentre ci avvicinavamo alle foreste che circondavano la città. Gran parte dei miei pensieri erano rivolti altrove, tuttavia, dato che non potevo fare a meno di rimuginare ogni giorno su quale sarebbe stato il futuro di quel nostro regno. La crisi che ci stava martellando non avrebbe trovato una fine pacifica, non con tutte e tre le forze in campo pienamente combattive, e non sarebbero serviti infiniti sermoni o accurate parole per smuovere la gente: il mondo era cambiato, la storia era cambiata, ed il Dortan non avrebbe più girato secondo i dettami secolari che lo avevano portato al tracollo. Avevo le mani legate, per la maggior parte delle mie idee, per quanto dama Ryellia fosse influente il suo potere iniziava e finiva dove Aedh Lancaster decideva, non esattamente un modo armonioso e propositivo di vedere quella situazione... eppure non potevamo farci niente. Quello era un gioco politico da quattro soldi, una partita di scacchi che sarebbe finita con nessun vincitore assoluto, perché gli uomini non avrebbero potuto autodeterminarsi così utopicamente come auspicava Zeno: sembrava quasi che il prelato avesse passato gli ultimi trent'anni come eremita sui monti, e non a prendersi cura dei fedeli alla grande cattedrale, tanto era impalpabile il suo progetto. Ma forse, quello che aveva lui e che mancava a me, era la fede. E non quel genere di fede in cui basta recitare dieci preghiere al giorno, in cui basta donare qualche moneta alla chiesa locale, ma una fede genuina, intensa, nelle sue stesse convinzioni. Nel profondo del mio cuore, all'insaputa di ogni altro nobile, vassallo, scudiero e servitore, io ammiravo profondamente Zeno.

Il nostro viaggio si concluse qualche ora dopo,nei pressi dell'ingresso cittadino. Ad aspettarci, assieme ad un nutrito gruppo di popolani, anche altri due grandi esponenti della nobiltà: Gabriel e Ainwen. Prima ancora di guardarmi attorno e respirare l'aria di quel luogo, mi prodigai in un profondo inchino per salutarli.

« Miei signori, è un piacere vedervi qui. Spero che il viaggio sia stato confortevole. »

Era una frase di circostanza, nulla di più, quanto bastava per restare eleganti. Subito dopo il mio sguardo fu attirato da Ladeca: un villaggio grazioso, dove regnavano pace e armonia, sembrava quasi estraniarsi dal mondo belligerante e rabbioso che lo circondava, rendendosi un'oasi di serenità in mezzo al caos. Facile era capire per quale motivo i Leici avevano scelto proprio quel luogo per l'adunanza. Volevano dare un'immagine di sé assolutamente trasparente, cristallina, fornendoci la possibilità di presenziare a quel comizio con il solo scopo di scuotere gli animi, di agitare le nostre convinzioni e far vacillare le nostre alleanze. Forse ero io stupidamente machiavellica, presa con tutto il cuore nel voler ripristinare il lustro e l'onore delle casate d'altri tempi, eppure tutto quello sfoggio di bontà gratuita non mi convinceva, quasi fosse troppo facile entrare, ascoltare e poi tornare ognuno a casa propria senza colpo ferire. Guardai Ryellia per un istante, regalandole un profondo e affettuoso sorriso, per poi proseguire sulla strada, facendo da avanguardia per il gruppo nobiliare.
Dubitavo che qualcuno attentasse alla loro vita in quel mentre, avrebbe vanificato gli sforzi propagandistici di Zeno, però non mi era dato prevedere la follia umana ed il rancore sin dove si sarebbero spinti, anche in una delle poche occasioni di dialogo pacifico come quella. Portai la mano sull'elsa della spada, poggiandovela delicatamente sopra, guardandomi curiosamente attorno: gente di ogni dove si accalcava verso la piazza, decisa in tutto e per tutto a presenziare al grande discorso, e trovare una strada percorribile diventava mano a mano più complesso e lento, seppur l'assenza di sguardi minacciosi o frasi ingiuriose mi facesse ben sperare.

Come attendente di Ryellia, per quell'occasione, sopra la corazza indossavo un tabardo grigio con un grosso dragone al centro del petto: le insegne Lancaster. Nonostante tutte le maldicenze, i voltagabbana ed i tradimenti, non potevo trattenere quel piccolo ed innocente moto d'orgoglio che mi saliva dritto dal cuore, quasi l'indossare quel semplice pezzo di stoffa potesse elevarmi ben al di sopra della mia condizione di semplice scorta armata. E già nella mia testa vagavo, per quelle strade, sognando un futuro in cui tutto fosse andato per il verso giusto, il nostro verso, rendendomi orgogliosa del mio passato. Ma la realtà era ben più tangibile e brutale, senza spazio per la commozione e il sentimentalismo, qualcosa che richiedeva tutta la mia attenzione e la mia razionalità. Dover difendere Ryellia in un luogo gremito di persone a quel modo poteva rivelarsi un'impresa ben più ardua che riportare al potere i Pari.
Sfilai dalla cintura un piccolo cerchietto di stoffa attorcigliata, a bande grige e rosse, e lo calcai sulla testa quasi fosse una ghirlanda di fiori. Anche quel piccolo oggetto, che richiamava i colori del Casato, faceva parte dell'abbigliamento formale necessario alle occasioni pubbliche. Tra l'altro, me ne resi conto solo in quel momento, era la prima volta che assistevo ad un incontro di nobili di mia spontanea volontà! Per molti sarebbe stato poco più di un pensiero sciocco o indifferente, ma per una persona come me, che aveva passato vent'anni chiusa tra quattro mura, quel singolo singhiozzo di scelta, di libertà, valeva tutto il dolore e le ingiustizie subite.
In breve, poco più di due minuti, eravamo in posizione per assistere all'ingresso di padre Zeno sulla pubblica piazza.

Il tutto era stato magistralmente allestito per far sembrare quel luogo il più simile possibile ad un luogo idilliaco ed immacolato, persino il Sovrano stesso sembrava aver benedetto il cielo donandogli un sole vivido e caldo che bagnava dolcemente i tetti di Ladeca. Quello, dopo tanti giorni passati alle pendici delle creste rocciose, era uno spettacolo che non potei esimermi dall'adorare. E proprio lì, davanti a tutti noi, con le sue vesti tinte dalla luce del sole, Padre Zeno avanzò verso i suoi fedeli con passo sicuro, senza esitazione, ostentando così tanta fermezza da far breccia persino nel mio spirito. Alzai gli occhi verso Ryellia, mentre le parole del pastore iniziavano ad echeggiare nella piazza, cercando in lei un qualche tipo di conferma, di risposta a domande che non riuscivo a comprendere. Ogni mia convinzione, ogni mia certezza, persino ogni mio desiderio impallidiva e sbiadiva dinnanzi a quel grande mistero che era la mia fede. In me vivevano due parti, una estremamente razionale, cinica e machiavellica, e l'altra inguaribilmente romantica, altruista, devota. Da quando la mia strada aveva incrociato quella della Dama Rossa le cose erano lentamente cambiate, io ero cambiata, perché non potevo più restare a sognare nel mio mondo idilliaco fatto di storie perfette, di immagini inviolabili. Dovevo scontrarmi con la dura realtà delle cose, con la morte, con la guerra e persino con le parole ruvide del Corvo, che altro non erano se non un disperato appello all'unità di un popolo ancora frammentato, diviso, innegabilmente fragile.

« È bravo. » commentai a bassa voce. « È dannatamente bravo. »
« E su una cosa ha ragione: non possiamo tornare indietro... se vogliamo batterlo dobbiamo andare nella sua stessa direzione e tagliargli la strada al momento opportuno. » socchiusi gli occhi, portandomi l'indice mancino a carezzare le labbra. « C'è molto lavoro da fare. »

Zeno aveva paura. Mi ero convinta che Zeno avesse maledettamente paura di ciò che avrebbe riservato loro il futuro. Si appellava all'unità, bramava un potere collettivo che nessuno di loro singolarmente, né tutti assieme, sarebbe mai stato in grado di gestire. Come se il regno potesse essere fondato solamente su begli ideali, principi morali solidi e qualche onesto popolano desideroso di mettersi al lavoro! Come avrebbe pensato, quel vecchio, di sistemare tutti i conti rimasti in sospeso con i nobili? Come avrebbe potuto vincere una guerra religiosa contro il Priore? In quel meraviglioso discorso aveva tralasciato di indicare quale era il suo piano per sistemare le cose, invitando noi a farlo per conto suo, puntando il dito sugli altri, dando al popolo un nemico comune. Aveva fatto esattamente ciò che avrei fatto io al suo posto, ma allo stesso tempo aveva semplicemente passato il testimone ai suoi nemici, scusando la sua inadeguatezza con la nostra eventuale mancanza di collaborazione. Solamente due tipi di persone avrebbero potuto orchestrare un simile espediente: quelli particolarmente stupidi o quelli particolarmente geniali. E, visto che era in circolazione da quasi il triplo dei miei anni, era giusto dare per scontato che Zeno ricadesse nella seconda categoria.
E poi c'era la questione di Zoikar. Chi era davvero Zoikar? Che differenza faceva sapere il nome di Dio e con quale diritto quell'uomo lo pronunciava impunemente a tutta la piazza? Il Sovrano aveva risposto ad ogni mia preghiera, ogni mio appello, aveva guidato la mia mano sin a quel momento senza che io conoscessi il suo nome e non sarebbe cambiato nulla adesso. Ma il dubbio, quel piccolo germe molesto, mi stava sussurrando all'orecchio che forse Zeno non mentiva solo per approfittarsi della folla, solo per dare più peso alle sue parole. Sin quando Zoikar, il Sovrano, Dio o qualunque fosse il suo nome avesse ascoltato le mie preghiere, io avrei continuato a venerarlo per meritarne la benedizione. A prescindere da qualsiasi appellativo mortale.

« Sostanzialmente ha passato a vossignori la responsabilità delle sue azioni. »

Dissi, con tono sprezzante ed ironico al tempo stesso. Aveva colpito nel segno, nessuno di noi era in grado di presentare una controffensiva tale da smontare le sue tesi, per adesso, visto che gran parte del potere nobiliare risiedeva ancora nei possedimenti armati, nelle bande mercenarie e nel dominio del territorio. Lanciare una guerra su larga scala contro dei civili avrebbe semplicemente portato il regno all'autodistruzione, alla rivolta contro qualsiasi genere di autorità, e non potevamo permetterci di lanciare un fiammifero acceso in quella polveriera. Dovevamo incassare il colpo ed essere cauti, agire d'astuzia e combattere i nostri nemici in un terreno decisamente più vantaggioso per noi che per loro. Dovevamo far qualcosa di inaspettato, qualcosa che distruggesse, una volta per tutte, l'idea che i Pari fossero in qualche modo legati al Regno del Terrore.
Guardai Ryellia, notando come anche lei fosse turbata da quel discorso. La mia signora, purtroppo, non aveva ancora accettato di buon grado il fatto che in diplomazia si dovessero accettare tutte le sfaccettature del prossimo e, anzi, pareva proseguire nella ferrea educazione sociale Lancaster, che prevedeva pietà zero e poche interazioni umane. Allarmata da una possibile brutta reazione mi avvicinai a lei sussurrandole poche parole.

« Mia signora, ricordate cosa abbiamo detto riguardo la religione? » attesi un istante. « E del popolo, mia signora? »

Mi guardò in cagnesco, ma non c'era molto altro che potessi dire se dovevo occuparmi di farne un'eroina popolare. Certo se l'avessero vista sbraitare di guerra e morte a destra e manca ogni mia possibilità sarebbe svanita nel nulla. Dovevamo salvare le apparenze, almeno sino a quando le cose non fossero migliorate per noi.
Sospirai, nascondendo la mia insicurezza, agli occhi della donna, dietro un lieve sorriso.
La mia speranza era di cambiare quella situazione, di trovare un compromesso che andasse oltre le banali richieste di Zeno, di fare da ponte tra due mondi troppo diversi per essere mai entrati davvero in contatto. Il valore delle idee da solo non bastava più, Mathias Lorch aveva annichilito ogni speranza dal cuore della gente che adesso, giustamente, voleva solo essere libera dal giogo di un nuovo tiranno. Servivano le terre de nobili, le loro armate, il loro estro. Servivano le braccia dei contadini, dei fabbri, dei carpentieri. Servivano le parole di uomini come i Corvi Leici, che tenessero alta la speranza anche nei momenti bui. Ma più di ogni altra cosa, più di ogni roseo futuro, ci serviva una guida in grado di unirci tutti assieme sotto un solo regno, e questo non poteva essere ottenuto senza un potere centrale. Pensarla diversamente era banalmente inefficace.

All'improvviso Ryellia vide qualcuno tra la gente, di cui io non mi ero resa conto assorta nel contemplare la figura bianca sulla piazza.
Era Erein, la sua presenza non mi sorprese affatto data l'importanza dell'evento, e per non mancare di rispetto accorsi a presentarlo a tutti.

« Mounsieurs e madames, ho l'onore di presentarvi il signore di Deyrnas, profondo conoscitore della teologia e delle arti maggiori, già figlio del casato degli Alti Re della stirpe di Deyrnas, Lord Erein Dewin. »

Alla fine mi inchinai lasciando che l'elegante stregone si prodigasse in un perfetto baciamano.
Nonostante la sua recente comparsa nel panorama politico, Erein mi aveva colpita per la positività dei suoi intenti e la lucidità dei suoi scopi, ben più ponderati e realizzabili di quelli sentiti pronunciare in certe serate.
Una delle accompagnatrici dello stregone prese parola, bacchettandoci quasi sul fatto che almeno Zeno non aveva provato ad ucciderci e, di conseguenza, quella situazione era già molto più a nostro favore di quella apparsa poco tempo addietro nella tiranneggiata capitale. Come non darle torto. Mi strinsi nelle spalle, accettando quella piccola intromissione come uno stimolo a vedere più positivamente la cosa, e a non lasciare andare nessuna possibilità.
Alla fine l'uomo riprese parola, cercando di capire come avessimo preso il bel discorso al popolo.

« [ ... ] voi cosa ne pensate? »
Mi voltai a guardare un istante la folla, che supponevo essersi messa a parlare, al pari nostro, discutendo le proprie conclusioni, i propri pensieri, su quelle lungimiranti e pacifiche idee di comunione.
« Sta giocando molto bene le sue carte. Dare un nemico comune al popolo lo renderà fiero e unito, per un poco almeno. Anche se ... »

Non terminai la frase. Era come se mancasse qualcosa in quell'intervento, una figura emblematica, il volto che avrebbe portato gli esseri umani ad unificarsi. Che senso aveva mettersi una maschera, celare il proprio volto, quando lo scopo delle parole che aveva pronunciato altro non erano che umiltà, uguaglianza, trasparenza? Sotto quella maschera senza espressione poteva esserci il viso di chiunque, anche un mostro o di un traditore. Se quell'uomo avesse davvero avuto la forza d'animo che chiedeva ai suoi seguaci non sarebbe giunto da loro a volto coperto, come una specie di profeta anonimo, ma avrebbe parlato loro da uomo a uomo, proprio come quella gente aveva bisogno che facesse. Ma questo, forse, era già chiedere troppo ad un uomo di sola chiesa.
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Il discorso tra Ryellia ed Erein verté su questioni più materiali, come la collaborazione del Casato, e sospirando tentai d'essere di aiuto.

« Per quanto dolga ammetterlo, Zeno sta lavorando sin troppo bene. Ma le sue parole non sono inattaccabili, se capite cosa voglio dire... » tamburellai con le dita, nervosamente, sull'elsa della spada « ...invero penso che abbia appena ammesso la sua debolezza. Pensateci. Sta chiedendo unione, perché non ne ha all'interno del popolo. Se vogliamo vincere dobbiamo spingere con tutte le nostre forze in quella direzione. »
« Ci serve il popolo, miei signori, e forse ho una idea su come ottenerlo... »

Un'affermazione audace, specie in mezzo a tanti uomini che vedevano nel popolino di provincia un mero strumento meccanico per il lavoro e per la guerra. Dovevo iniziare a sensibilizzare tutti quelli che mi era possibile sull'importanza di avere l'appoggio politico delle grandi masse: Basiledra era stato un campo di prova piuttosto ampio sul potere offensivo di una massa rivoluzionaria e nessuno di noi, né Pari né Leici, voleva vedere nuovamente un massacro del genere. Per ottenere un simile risultato, però, il lavoro doveva partire indiscutibilmente dal Concilio, e non dal popolo, visto che eravamo noi a doverci dimostrare per primi aperti al dialogo. Zeno ci aveva messi nella condizione di infliggere una schiacciante sconfitta a tutti quanti o di essere sconfitti a nostra volta. Era tutto un gioco di equilibri a quel punto.
Lo stregone e la mia signora non mancarono di lusingare la mia tesi, chiedendomi cosa, effettivamente, avrebbero potuto fare. Non li feci attendere ulteriormente, arrossendo sulle gote per i complimenti ricevuti.

« Le vostre parole di lusinga sono immeritate, miei signori » mi voltai, dandogli inavvertitamente le spalle pur di guardare ancora una volta Zeno. « Semplicemente... lo usiamo. Lui vuole la pace, la cooperazione? Bene, facciamo ciò che ci ha chiesto... nulla di più semplice. Basterà convincere il Concilio a stilare una lista di diritti civili da presentargli. Nulla di eccessivo, voglio solo mostrare che non siamo come pensano. » feci una piccola pausa, pensando bene alle parole da usare. « La politica si basa sulle alleanze, a questa gente non farebbe più paura nemmeno un esercito di diecimila uomini... » infine mi voltai nuovamente verso i miei interlocutori. « ...ma dei nobili con una offerta di pace? Questo sì che li spiazzerebbe, dividendoli in modo irreparabile e spianandoci la strada. »

Machiavellico? Forse. Efficace? Forse. Eppure era pur sempre la migliore offerta che potevo fare, la migliore mediazione possibile che i Pari mi avrebbero mai concesso di portare ai loro nemici. Non potevamo più procedere su strade parallele che ad ogni incrocio finivano per sbattere inevitabilmente assieme, generando caos, disordine, sofferenza. Dovevamo creare una strada più larga, dove potessimo stare tutti assieme perseguendo il medesimo scopo. Che poi a raggiungerlo alcuni ci mettessero due giorni ed altri tre anni era del tutto indifferente, se il premio finale rendeva felici tutti. C'era da lavorare, molto, ed il mio lavoro come voce di Ryellia Lancaster non era che appena iniziato.


dividerazzurrafinale_zps51a4e64f
B. 5% - M 10% - A. 20% - C. 40%

Capacità Speciali: ///
Stato fisico: 125%
Stato mentale: 75%
Riserve Energetiche: 100%
Stato Emotivo: Neutrale

Equipaggiamento:
• Spada Bastarda (Arma bianca, spada bastarda) [Fianco]
• Spada Lunga (Arma bianca, spada lunga) [Fianco]
• Braccio Corazzato. (Arma bianca, conta come maglio) [Sx]
• Pugnale (Arma bianca, coltello) [Legato sullo schiniero Dx]
• Corazza Mista. (Protezione mista, metallo-stoffa, medio-pesante)

Passive in uso: ///

Attive usate: ///

Note: Eccolo qui. Azzurra arriva assieme a Ryellia, si incontra con Gabriel e Ainwen e prosegue verso la piazza. Qui assiste al comizio di Zeno facendo non poche considerazioni e mettendo in discussione se stessa, oltre che il Corvo Leico. Infine Erein si avvicina a loro dopo il comizio e intavola un dialogo di cui ho volutamente omesso alcune parti per evitare un brutto copia incolla. Per il resto direi che Zeno ha affascinato Azzurra, sia nel lato buono che in quello più "dubbioso". Mi è piaciuto scrivere questo post, buona quest a tutti!
Ps: dialoghi concordati coi diretti interessati!
 
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Shavronne
view post Posted on 12/3/2015, 11:20









Castello di Lurania, alcune settimane prima.


La sala del trono era una zona ampia, formata da un lungo passaggio su cui era posto un elegante tappeto rosso. Ai lati, ad accompagnare la camminata di Hebiko, vi erano una serie di colonne bianche che si estendevano fino all'alto soffitto su cui erano stati dipinti alcuni affreschi rappresentanti scene di guerra epiche. Tra un pilastro e l'altro vi erano posti dei piccoli braceri contenuti in supporti dorati, le fiamme rosse e scoppiettanti illuminavano e riscaldavano l'ambiente. La ragazza non aveva ancora conosciuto il signore di Lurania ma poteva certamente dedurre che l'uomo fosse molto ricco.
Quando finalmente il corridoio terminò, Hebiko si ritrovò in uno spiazzo semicircolare. Ai lati alcune guardie armate di lance la stavano osservando ma lei non le degnò di uno sguardo. Tutta la sua attenzione era rivolta verso il trono di fronte a lei; un uomo calvo e in carne vi era seduto in modo scomposto e goffo.
«Sono Cornelius Brent, nobile nonchè signore di Lurania e dei territori limitrofi. Che cosa desidera una così splendida fanciulla da me?»
La principessa notò con grande piacere che il gobbo, inginocchiato alle sue spalle, era stato completamente ignorato. Lei aveva attirato tutto l'interesse del nobile.
«Sono la principessa Hebiko e provengo da un regno lontano caduto in disgrazia...»
Si interruppe per lasciare spazio ad un finto singhiozzo di tristezza e una piccola lacrima scese sulla sua guancia, poi riprese:
«...ho sentito che a governare la ridente città di Lurania vi è un grande e nobile uomo...»
Proseguì il discorso per una grande quantità di tempo, alternando lodi su quel grasso uomo seduto sul trono a particolari del suo lungo e triste viaggio. La cosa che però le risultò più difficile fu il trattenere una risata quando, a metà del discorso, vedendo la faccia dell'uomo capì che avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, anche di essere un perfido demone venuto per usurpargli il trono. Lui non avrebbe capito una sola parola: era rimasto estasiato da quella donna e dal suo corpo. La stava ammirando con la bocca aperta e ogni tanto annuiva con la testa in momenti casuali del discorso. Era troppo facile con un beota simile.

Ormai viveva nel castello da alcuni giorni e come al solito, durante i pasti, la ragazza si era seduta alla destra di Cornelius. La prima volta Hebiko era rimasta stupita e schifata da quanto quell'uomo potesse mangiare senza alcun ritegno e senza un minimo di compostezza. Lei d'altra parte si era sforzata e si era trattenuta: avrebbe voluto esprimergli tutto il suo disgusto.
Hebiko stava bevendo dal vino da un calice d'argento quando il nobile, ancora con la bocca piena, aveva iniziato a parlare.
«Non ne posso più di questi incontri con gli altri nobili.. che nemmeno mi ascoltano... io stò bene qua, che si arrangino!»
Ci mancò poco che sputasse il vino ovunque, non voleva essere lei ad iniziare a parlare di quell'argomento e perciò aveva atteso pazientemente, ed ora l'occasione d'oro era arrivata.
«Un vero sovrano dovrebbe essere sempre presente per il suo popolo... nel mio regno mi occupavo dei rapporti con gli altri nobili, potrei farlo io e lasciare a te i compiti realmente importanti.»
L'uomo prese l'idea della ragazza con grande felicità tant'è che volle brindare a quella geniale trovata.
Fu così che il povero Cornelius tra le coscie di pollo di quel pranzo perse la dignità e il potere.

Ladeca, quel pomeriggio.


La vita sedentaria di Lurania aveva annoiato Hebiko in pochissimo tempo, così quando venne a sapere del discorso di un importante tizio dei Corvi Leici non seppe resistere e si diresse verso la città di Ladeca.
Quel pomeriggio il sole aveva costretto la principessa ad aprire Kasabuki, il suo elegante ombrello rosso. Per le strade la gente era tutta in fermento: c'era chi discuteva animatamente di politica, chi provava a fare soldi, in qualsiasi modo, e chi si lamentava di tutto questo. Quando finalmente la ragazza e il gobbo raggiunsero la piccola piazza in cui si sarebbe svolto il comizio la trovarono enormemente affollata.
«Signora, cosa siamo venuti a fare qua?»
Il gobbo odiava qualsiasi contatto umano che non fosse stato quello della sua signora, ed ora davanti a quella ressa si sentiva molto a disagio.
«Ancora non lo so... attendi mio stupido servo...»
Detto questo chiuse rapidamente il suo parasole e si infilò tra la folla. Cercava un'opportunità, un'occasione e se quella fosse arrivata si sarebbe fatta trovare pronta.
Intanto mentre la giovane agilmente scansava le persone, si infilava nello stretto e osservava, l'uomo con la maschera bianca aveva iniziato a parlare. Hebiko iniziò ad ascoltare il suo discorso: era bravo con le parole ma le usava in modo completamente diverso da lei, lui toccava altri sentimenti e soprattutto dava forza alle persone.
... Se c'è una cosa che la nostra storia ci ha dimostrato, è che la ricerca spasmodica del potere personale non fa altro che condurre all'autodistruzione...
Quella frase fece compiere al volto di Hebiko una smorfia di disgusto. Ebbe l'impressione che quell'uomo ci credesse per davvero, e non l'avesse detto solo per portare i deboli dalla sua parte.
Ascoltò il resto del discorso fissando quella figura davanti alla chiesa, i due non sarebbero mai andati d'accordo.
Quando l'uomo mascherato finì di parlare la ragazza non era soddisfatta, avrebbe girato per la piazza ancora un pò.
«Gobbo tienimi il parasole, in mezzo a tutta sta gente mi da solo fastidio... Gobbo?»
Il suo servo era sparito, non gli aveva rivolto un minimo di attenzione ed ora doveva essersi perso in quel mare di folla.
«Dove diavolo sei? ناتوان!»
In uno scatto d'ira aveva imprecato nella antica lingua della sua razza, se gli Hachurui l'avessero sentita non l'avrebbero presa bene, ma a lei questo non importava.

La sua signora era corsa dento quella calca di gente, lui aveva provato a chiamarla ma la sua voce era stata completamente coperta da quella dell'uomo mascherato. Allora si era buttato nella folla ma il suo passo sgraziato e le sue deformità non gli avevano permesso di reggere il passo. Più volte gli era sembrato di vedere dei lembi del suo vestito rosa pallido scomparire da questa o da quella persona ma la maggior parte di queste erano solo immaginazioni. Senza la sua principessa si sentiva perso. Che cosa avrebbe fatto? Dove sarebbe andato?


B. 5% - M. 10% - A. 20% - C. 40%
Energia [150] - Fisico [75] - Mente [75]



۩ Stato fisico: 75% illesa
۩ Stato mentale: 75% illesa
۩ Riserva energetica: 150% illesa
۩ Stato emotivo: neutrale

۩ Abilità passive://

۩ Abilità attive://


۩ Equipaggiamento:
Kasabuki: Arma da mischia: katana.
Aghi d'oro: Arma da lancio: aghi appuntiti.
Pugnale: Arma da mischia: pugnale.
Denti del serpente: Arma naturale da mischia: denti.

۩ Note: Nella prima parte spiego come Hebiko sia entrata nella fazione dei Pari, nella seconda che succede durante il comizio.
P.S: ناتوان = incapace :P


 
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view post Posted on 12/3/2015, 14:24
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Ladeca


L'uomo ubriaco si muoveva fra la folla barcollando, usando le spalle degli estranei come stampelle per sorreggersi durante il cammino. Sentivo mormorii fastidiosi, frasi di disgusto da parte degli uomini, e urla imbarazzate di alcune donne toccate con troppa confidenza per un estraneo. Quando si piegò sulle ginocchia per vomitare persino l'anima, riuscì nella miracolosa impresa di far spazio in quella piazza affollata. Buon per lui, peggio per me: già mi trovavo gomito a gomito con perfetti sconosciuti giusto per soddisfare la capricciosa curiosità del ragazzo che voleva sentire il discorso dalle prime file, in più quell'improvviso spostamento dei paesani mi spinse al muro, separandomi da lui.

« Sherlock! »

Via. Sgattaiolando fra la folla grazia alla bassa statura, me lo vidi sfuggire da sotto il naso. Provai ad allungare una mano per riprenderlo, ma era già troppo lontano. Quel maledetto ragazzino era capriccioso, e ogni volta che poteva provava ad ingannarmi per fuggire via. Quando avrebbe capito che agivo solo per il suo bene?
Però era strano: non era andato verso il luogo in cui Zeno avrebbe tenuto il discorso, ma dall'altra parte, verso l'uomo ubriaco.
Avrei perso il posto in prima fila, ma pazienza: se c'era qualcuno che non potevo lasciare indifeso, era lui. Di certo si sarebbe cacciato nei guai, e negli ultimi tempi entrambi eravamo prede fin troppo succulente per uomini senza scrupoli.

Per il Sovrano, la folla sembrava assatanata! Ogni volta che chiedevo scusa per farmi spazio -e stavo tornando indietro, sia chiaro, non certo andando avanti- mi guardavano torvi come se li avessi insultati personalmente. Erano famelici, e non sopportavano la minima distrazione per il discorso di Zeno, giunto nella piazza da pochi secondi. In effetti se non fosse stato per gli uomini della Resistenza che avevano raggiunto il povero ubriaco per sorreggerlo e aiutarlo, probabilmente il resto del popolo lo avrebbe calpestato pur di avvicinarsi qualche passo in più infischiandosene beatamente del vomito.
Come previsto, Sherlock era lì che parlava animatamente con un soldato. Che gli passava per la testa a quel ragazzino!

« Capitano, deve ascoltarmi! »

L'altro era comprensibilmente spazientito. Fra tutti gli uomini che erano in quella piazza, Pari e Arconti compresi, che non aspettavano altro per pugnalarsi a vicenda, i deliri di un giovane erano decisamente l'ultimo dei suoi problemi.
Arrivai a prenderlo per una spalla, tirandolo via dal capitano a cui rivolsi un sorriso imbarazzato. Poi lo guardai serio negli occhi.

« Che ti salta in mente? Non azzardarti mai più ad allontanarti così! »
« Ma questo signore ha bisogno di aiuto! »
Alzai gli occhi al cielo, come poteva essere così ingenuo?
« Tutti in questi giorni hanno bisogno di aiuto. »
« Si, ma lui di più! Non possiamo certo lasciarlo da solo con degli uomini che lo minacciano di morte e che lo stanno ricattando! »
Rimasi un attimo fermo a guardarlo. Conoscevo fin troppo bene Sherlock per sapere che non si era inventato una scusa di sana pianta, ma come poteva aver capito certe cose solo guardando un ubriaco con la barba zuppa del proprio vomito? Odiavo quando mi guardava perplesso, come se fosse una cosa così ovvia! Con il dito, puntò le scarpe del barbone.

« Guarda. La pelle degli stivali sembra più vissuta in certi punti piuttosto che in altri. Erano di quelli belli con delle placche decorative di metallo prezioso, che sono state staccate con cura mostrando quindi il cuoio meglio conservato. Solo uomini facoltosi possono permettersi un simile capo di vestiario.
Inoltre le dita della mano sono strane: sono più scure alle estremità, e probabilmente indossava anelli che non hanno fatto abbronzare la pelle. Questo ci dice che era ricco.
Le unghia sono spezzate: vuol dire che le aveva lunghe e quindi non faceva un lavoro manuale, ma di recente non ha potuto curarle e la vita di strada le ha rovinate in fretta.
Pensa quel che vuoi David, ma non credo che un uomo caduto in disgrazia da poco, con un occhio nero e alcuni ematomi alla gamba, abituato a lavorare d'intelletto, preferisca perdere tutto e gettarsi fra le braccia del vino senza provare a recuperare le sue ricchezze: qualcosa glie lo impedisce! E il sottile segno rosso lasciato da una lama poggiata sulla guancia ci dice solo una cosa: questo signore è stato minacciato di morte, probabilmente ricattato, e disperato non ha nessuna possibilità di risolvere da solo i suoi problemi!
Signor Capitano la prego: non lo getti in cella come un volgare ubriaco, perchè di sicuro c'è qualcuno di ben più pericoloso da affidare alla Giustizia!
»

Era incredibile, e accadeva continuamente. gli stivali, i segni degli anelli, la traccia della lama sul volto. tanto palesi quanto nascoste, quel ragazzo aveva la capacità di unire i puntini che gli altri non vedevano. Rimasi in silenzio guardando il capitano della Resistenza ancora a bocca aperta, mentre parlava lentamente con i suoi uomini. Probabilmente si sentiva stupido, ma mai quanto me che sopportavo l'ingenua saccenza di quel ragazzo ormai da anni.
D'un tratto, Zeno iniziò il suo discorso, e la piazza intera si ammutolì.

Di certo era un abile oratore. Sapevo che lui più degli altri aveva vissuto le vicende del Regno in prima persona. Lui c'era prima di Caino, lui c'era prima di Re Sennar, eppure non avevo mai avuto il piacere di ascoltarlo. Kuro mi aveva ordinato di tenere il ragazzo lontano dai centri di potere e da ogni luogo interessante, e solo in quei giorni dopo più di dieci anni ci stavamo avventurando in città più interessanti. I Sussurri avevano lasciato un gran casino, e senza alcun dubbio Zeno stava cercando di rimettere insieme i cocci rimasti di una società civile. Raccontava di collaborazione, del nome del Sovrano, dei pericoli che avrebbero travolto il Regno se non ci fossimo preparati a dovere. Ogni singola parola era messa al posto giusto, formando un discorso quasi del tutto inattaccabile.

« E'... magnifico. »

Calai lo sguardo verso Sherlock, che osservava con gli occhi quasi lucido quell'uomo che da solo stava intrattenendo una folla intera. Mi tirò una manica, alzandosi sulle punte dei piedi per sussurrarmi qualcosa all'orecchio per non disturbare l'ascolto del discorso agli altri.

« Come può non avere ragione? E' lui la persona giusta, vero? »

Parlava del futuro. Di chi avrebbe dovuto amministrare le sorti del Regno, per colmare il vuoto che suo padre aveva lasciato più o meno volontariamente. Risposi serio, continuando ad osservare il prete. Mi sarei fidato di lui solo dopo avergli parlato personalmente, ma quello che serviva a Sherlock era solo una conferma: una mente brillante, un corpo gracile, una volontà fin troppo emotiva. Stava quasi per commuoversi, non avrei potuto deluderlo.

« Si, è lui. »







 
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Nawarashi
view post Posted on 12/3/2015, 17:31






Ero assorto nella mia riflessione che seguiva il discorso di Zeno. Oltre alle parole dette, quel che mi incuriosiva era il motivo di tali proclamazioni. Sicuramente non si trattava di un discorso ordinario e lui sapeva benissimo che quelle erano parole forti. Non temeva per la sua vita?
Ovviamente ci sarebbero stati dei forti dissensi, magari qualche feudatario avrebbe perfino ordito congiura contro di lui. Le conclusioni che traevo erano molteplici: probabilmente quel Zeno non era così fragile, già l'aspetto lo faceva distanziare da un normale uomo di fede. Inoltre se teneva un'orazione nella sua "capitale" sicuramente era fiducioso delle sue difese o era cosciente delle forze politiche a tal punto da potersi permettere di fare quella mossa ben sapendo che nessuno avrebbe potuto muovere un dito contro di lui. Poteva essere anche tutto l'opposto, ovvero che avesse l'obiettivo di farsi attaccare per chissà quale ragione, in modo da cambiare l'equilibrio geopolitico della nazione.
Le mie erano tutte congetture, ovviamente, ma una cosa che accomunava tutte queste analisi c'era: i cittadini di Ladeca, come di altre città, ci sarebbero andati di mezzo. Un leggero senso di disgusto si agitò nella mia gola, quasi da farmi venire voglia di sputare come un vecchio ubriaco della peggiore casata di Dortan. Per mia fortuna possedevo ancora un'educazione, dunque il mio volto si limitò ad una piccola smorfia di disapprovazione.Purtroppo però, potevo solo rimanere a rimuginare senza solide basi teoriche. In una situazione delicata come quella, non potevo predire nulla. L'unica cosa che potevo fare era restare a guardare gli avvenimenti successivi. Il mio sguardo si diresse verso la piazza, riuscii ad intravedere una sorta di persona gobba e deforme muoversi tra la folla. Cercai di aguzzare la vista per capire di cosa si trattasse ma venni interrotto da una suono dolce quanto cortese.

«...monsieur?»



Sentii una voce proferire quelle parole vicino a me. Così, per istinto, girai la testa per vedere se si riferissero a me o meno. Vidi una piccola figura, una bambina probabilmente, seduta su una cassa limitrofa. Era avvolta da un mantello rosso con tanto di cappuccio calato sul capo, gli occhi d'oro guardavano verso di me con un' espressione preoccupata ed indagatrice.

«Vi sentite bene? Non sembrate avere una bella cera.»



Guardandola meglio, mi sembrava che fosse la stessa bambina che aveva accarezzato, senza nessunissimo problema, il drago blu in quel dì del discorso alle tendopoli. Se fosse stata lei, cosa ci faceva a Ladeca? Era per caso una fedele al culto di Zeno? O forse la sua famiglia lo era, e quindi erano venuti per assistere all'evento come bravi seguaci. Oppure abitava qui e stava solamente girando per la città. Di certo non era un potenziale nemico che mi stava tallonando, piuttosto sarebbe stato tutto un frutto della casualità. Non ho mai avuto problemi con i bambini, per i pochi che ho incontrato, la loro innocenza è uno dei doni più grandi per l'animo umano, almeno per come la vedevo io.
Passarono alcuni secondi prima che mi staccassi dal muro mettendomi in piedi per rispondere alla mia piccola interlocutrice dalle buone maniere.

< La ringrazio madmoiselle. Non ho nulla, solo un leggero mal di testa data la confusione della piazza. >



Dissi portandomi una mano alla nuca mentre accennavo un sorriso di cortesia.

< Hai i stessi vestiti di una bambina che ho visto qualche giorno fa, sai? >



Mi piegai leggermente verso la giovane, sempre con gentilezza, cercando di non dare l'impressione dell'uomo losco. Ero curioso di sapere se fosse lei la persona che avevo visto oppure mi stavo semplicemente sbagliando. Dentro di me speravo che non si fosse persa i genitori, altrimenti avrei dovuto riportarla da loro o da qualche autorità.







 
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view post Posted on 12/3/2015, 19:00
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La Crociata del Traditore ~ Muta


Il Maestro Dom mi aveva fatto convocare di fretta, quel giorno. Non ero riuscito nemmeno a salutare Oghmar prima che potesse partire per le sue ricerche, perché i discepoli del maestro mi avevano chiamato e scortato direttamente da lui, senza preavviso alcuno. Era già successo altre volte, questo è vero, ma mai con così poco tatto; cosa doveva dirmi di così importante, da non lasciarmi nemmeno preparare? Con ancora indosso una leggera veste di lino ed i piedi scalzi, bussai alla porta del maestro.
« Maestro? » la porta si aprì di colpo; il Maestro Dom era chino sulla scrivania, intento a studiare un lembo di carne di grifone. « Sì, Virgil, entra, entra pure. »
Tolse gli occhiali e si strofinò gli occhi. Era visibilmente stanco, forse non aveva dormito quella notte. « Ho buone notizie. Potrai uscire dalla Torre, ho bisogno che tu faccia qualcosa per me. »
« Vuole che compri per lei le erbe nella zona bassa di Lithien? » sorrise di gusto, quasi a prendermi in giro. Evidentemente i suoi piani erano ben altri. « No, Virgil, questa volta vorrei tu andassi a Ladeca, una piccola cittadina nella parte settentrionale del Dortan. » Balzai sul posto. Non mi ero mai spinto così lontano, se non scortato dai maestri di diplomazia o dal Maestro Dom in persona. Ricordavo di aver oltrepassato la catena dell'Erydlyss solo tre volte in vita mia e tutte e tre risalivano a quando ero un giovanissimo elfo che stava appena scoprendo la bellezza della conoscenza.
« I miei informatori mi hanno riferito che vi è un mercante, in quella città, che ha qualcosa che mi interessa; è un vecchio uomo pronto a tutto pur di guadagnare una buona somma d'oro. Sul tavolo lì vicino troverai un sacchetto: sfrutta il suo contenuto per convincerlo a venderti il libro. Non dovrebbe essere troppo difficile, in ogni caso. » indicò un sacchetto marrone appena socchiuso da un filo rosso. Mi avvicinai al tavolo e lo presi, mettendolo nella tasca. « L - lei è sicuro, Maestro Dom? Vuole davvero mandarmi da solo fin lì? »
Deglutii con fatica. L'idea di spostarmi così tanto mi emozionava e spaventava allo stesso tempo. Anni e anni di solitudine nella Torre non mi avevano di certo reso più forte. Al contrario, mi consideravo un elfo abbastanza codardo; un elfo che, probabilmente, non si sarebbe mai spinto fuori dalle mura di Lithien.
« Non fare la femminuccia, Virgil. Sei un elfo maturo, ormai, che domande sono? Dovresti prendere esempio da Oghmar. » come avevo sempre pensato. Oghmar riusciva lì dove io non sarei mai riuscito; non aveva paura di niente, ed è anche per questo che mi sono innamorato di lui. La durezza delle parole del maestro mi fece gelare il sangue. « Uhm.. s - sì, sì, va bene. »
« Ottimo. Partirai domani all'alba. L'oggetto che mi interessa è un libro. Un trattato, nello specifico, risalente alla precedente era. Esso contiene moltissime informazioni circa l'impero del Re che non Perde mai, sarebbe un'aggiunta molto preziosa alla nostra - mia collezione.
È un trattato molto importante, mi raccomando.
» le parole del maestro si erano caricate di una strana brama; come gli altri membri del Concilio, anche lui era estremamente geloso della sua biblioteca. « Il titolo del trattato? »
« Sugli incubi e sulle abiezioni. »

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Per essere una piccola cittadina, Ladeca era davvero rumorosa. Le vie del borgo principale pullulavano di mercanti le cui voci promettevano i migliori prodotti mai esistiti. Urlavano a squarciagola della qualità della propria merce e di come questa o quella pozione poteva garantire la vita eterna o una bellezza indicibile. Mi chiesi se al Dortan potessero essere tutti così creduloni e superstiziosi. L'odore di terra riempiva le strade e non di rado venivo urtato da bambini che giocavano ad inseguirsi o da imponenti mercenari la cui stazza superava tre volte la mia - forse anche di più. Più volte l'incontro con questi energumeni mi aveva fatto perdere l'equilibrio, cadendo sul terriccio bagnato e sporcando gli abiti in cuoio che Maestro Dom aveva fatto preparare per il viaggio. Mi sentivo estremamente a disagio, sotto gli occhi di tutti; non riuscivo davvero a comprendere per quale ragione continuassero a fissare la mia cintura impreziosita da schegge di rubini o i miei stivali ornati di piume di grifone. Quello che sapevo del Dortan risaliva fondamentalmente alla Seconda Era, ai tempi del Re che non Perde mai; conoscevo la divisione del suo impero a memoria ed ero a conoscenza di molte altre informazioni. Informazioni che, evidentemente, erano ben mutate dall'ultima volta che avevo messo piede in quella regione. La gente sembrava messa molto peggio di quei tempi; numerosissime erano le persone senza una casa o senza un'occupazione, costrette a vivere all'aria aperta. Numerosi bambini - e potevo notarlo dal loro volto, segnato dalla solitudine - sembravano aver perso la loro famiglia e quelli che non l'avevano persa svolgevano pesanti lavori non adatti al loro corpo esile. Mi rattristava molto vedere tanta sofferenza; perché i Quattro Regni non si operavano per un modello politico più simile a quello di Lithien, in grado di garantire un tenore di vita accettabile per ogni cittadino?
Osservai con cura la maniglia della portone in legno della locanda indicata dal maestro e lasciai che qualcuno la aprisse per mio conto - vista la sporcizia che ricopriva la stessa. Varcata la soglia, l'odore acre di piscio e alcool mi fece quasi desistere nell'intento. Mi guardai attorno, scorgendo i baffi scuri macchiati di birra del piccolo uomo ad un tavolo poco oltre l'ingresso. Lo raggiunsi, con fare titubante, cercando di farmi spazio tra la folla di umani alticci e puzzolenti.
« Salve, è lei- » l'uomo sbatté con forza il proprio boccale sul tavolo. Non sembrava infastidito, al contrario, quasi non vedesse l'ora di fare affari. « Çok Yaşa, giovane elfo. Cosa posso fare per voi? »
« Sto cercando un trattato in vostro possesso. Il suo titolo è.. » presi qualche secondo, prima di riuscire a ricordarlo. « Sugli incubi e sulle abiezioni.
Mi hanno detto che disponete del manoscritto originale.
»
L'uomo mi guardò con aria stupita ed incredula. « meraklı, l'ho venduto giusto qualche minuto fa. Perché interessa a tutti, questo trattato? »
Dannazione. Come sarei potuto tornare alla Torre senza il trattato? « Potrebbe dirmi chi lo ha comprato? È molto importante per me.. »
« Oh, giovane cin, non posso certo raccontare i miei- » il tintinnio delle monete sul tavolo fece drizzare le orecchie del mercante. Raccolse in fretta l'oro. « Non so chi fosse, un uomo incappucciato dalla barba folta e scura. Non mi ha detto il suo nome. gizemli, un uomo molto misterioso. È uscito qualche minuto fa, magari riuscite a rintracciarlo, se fate in fretta. »
« La ringrazio! » mi esibii in un veloce inchino, gettandomi all'inseguimento sotto lo sguardo felice - non solo per l'alcool che circolava nel suo corpo - del mercante, che quel giorno aveva fatto davvero ottimi affari. Almeno così credeva.

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Le mie ricerche erano state piuttosto infruttuose. Non solo non ero riuscito a trovare l'uomo di cui stava parlando il mercante - sempre che non avesse mentito - ma avevo anche sprecato i soldi del maestro. Al mio ritorno mi sarebbe aspettata una lunga ramanzina, ne ero certo. Disponendo di ancora qualche ora prima di incamminarmi per Lithien, cercai di esplorare e ottenere quante più informazioni possibili del luogo; scoprii che specialità di Ladeca era la lavorazione del legno, con il quale i più abili artigiani riuscivano a creare splendide decorazioni e manufatti che vendevano poi ai mercanti dell'Akeran. Riuscii a reperire anche alcune informazioni circa i luoghi più importanti: visitai velocemente uno di questi, la roccaforte della stirpe dei Gorkendosh, una struttura ormai in rovina che ospitava solo la storia di quella che era stata la famiglia regnante della città per molto tempo, nella seconda era. Conclusa la mia escursione, decisi di inoltrarmi nel secondo punto di interesse della città: la Chiesa e la sua piazza. Raggiunto lo spazio circolare, notai con molto stupore l'affluenza che si era creata attorno al palco antecedente la chiesa. Un uomo con una maschera bianca parlava e attirava l'attenzione dei presenti con i propri discorsi sulla libertà e sulla possibilità di redimersi dagli errori del passato, realizzando un futuro migliore. Maestro Dom mi aveva aggiornato circa i recenti sviluppi del Dortan, ma solo informazioni sommarie; mi era stato detto che una guerra intestina aveva distrutto la capitale del Regno, Basiledra, e che da questa guerra erano nati numerose federazioni spinte dall'obiettivo di accaparrarsi quanti più territori possibile. Al termine del discorso, la folla iniziò un circolo di frasi dette a bassa voce, sussurri, inneggi alla libertà e progetti di cospirazione. Ciò che colpì la mia attenzione, però, fu un giovanissimo esemplare di Drago Zanna che seguiva fedelmente la sua padrona, una donna dal nobile portamento e dai modi borghesi. Avevo studiato quelle creature per un'intera settimana e vederne una così da vicino mi faceva sentire davvero un bambino piccolo di fronte al suo piatto preferito; ero così emozionato da dimenticare momentaneamente la non riuscita del mio incarico. Mi avvicinai carico di curiosità al Drago Zanna.
« Posso toccarlo? » chiesi, con voce sommessa alla giovane donna. Era insolito trovare una creatura del genere sottomessa a un padrone umano. « Sì, fai pure. »
Rispose la donna, quasi divertita. Avvicinai lentamente la mano alle scaglie della creatura, fermandomi poco prima di toccarla. Aspettai che questa annusasse il palmo della mia mano, poi continuai fino alle scaglie della testa, carezzandole con decisione e dolcezza allo stesso tempo. Il Drago Zanna rizzò il collo, socchiudendo gli occhi per il piacere delle carezze. Guardai la sua padrona, che sembrava estremamente toccata dal discorso dell'uomo con la maschera sul viso. « Posso chiederle cosa sta succedendo, qui? Non credevo potesse riunirsi una tale folla, in una cittadina del genere. »
La donna sorrise nuovamente. Quanto potevo essere stato ingenuo, a fare una domanda del genere? Cercai di ritirare le mie parole, ma la stessa mi rispose prontamente e senza fare troppi giri di parole. « Si discutono le sorti del Regno, a quanto sembra. »


Nulla da segnalare; non credo vi sia necessità dello specchietto riassuntivo, in questo post.
Interagisco con il personaggio di Kita, tutto qui.


Edited by Y u - 12/3/2015, 19:01
 
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Cardine
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La crociata del traditore ~ Muta


I suoi movimenti erano lenti, ampi e continui come il lento avanzare di un fiume, o come il quieto respiro di una bestia assopita.
   Ripeteva le stesse manovre ormai da un paio d'ore, ma si riteneva ancora molto lontano dalla perfezione che intendeva raggiungere. La sua meditazione consisteva in cinque semplici passi in avanti, leggeri e tanto lenti da farlo sembrare quasi immobile agli occhi di chi non si fosse messo a guardarlo con più attenzione. Via. Cielo. Terra. Comando. Regola, si ripeteva ad ogni falcata, mentre leggeva stralci dal tomo che teneva ben saldo nella mancina. Arrivato al di sotto delle fronde menava un unico fendente, deciso e rapido, verso il grosso abete davanti a sé. L'albero era ormai sul punto di cedere all'ostinato e perpetuo assalto: il tronco era percorso da due solchi, profondi e perpendicolari tra loro. Dopo ogni colpo lo stratega si ricomponeva in fretta, compiva cinque passi indietro e ricominciava daccapo la tranquilla meditazione, moderando il respiro e controllando con più consapevolezza i movimenti del suo corpo - anche quelli più impercettibili.
   «Ce ne andiamo!» gli disse Taliesin, spuntando all'improvviso dalla boscaglia. Il bardo sbadigliò sguaiatamente, gli occhi che ancora combattevano per restare chiusi, e se ne tornò senza fretta sui suoi passi, verso la radura dove si erano accampati per la notte. Solo allora Josiah si accorse che le stelle sopra di sé avevano ormai da tempo lasciato il posto ad un'alba rosea e delicata.
   Poco male, si disse, asciugando con un panno il sudore dalle tempie.
   Prima di andarsene menò un ultimo colpo, secco ed impietoso, e l'abete scricchiolò sinistramente nel suo piegarsi a destra. Si schiantò con un boato proprio sul lungo solco che lo stratega aveva inciso nel terreno, ancor prima di cominciare allenarsi.
   Ancora insoddisfatto, Josiah chiuse il libro e se ne andò.

«Per quale motivo proprio Ladeca?» chiese di punto in bianco a Juan, mentre il bardo già sgomitava tra la folla per assistere al discorso da una posizione più vicina alla scalinata. Dal tono dello stratega traspariva appena il sottile malcontento per quella decisione, che non si era fatto problemi a definire ingenua e inutile, pur offendendo il bardo.
   «Taliesin ha detto che dovevamo prendere provviste» gli rispose lentamente il beduino, facendo molta attenzione alla corretta dizione più che alle parole. Stava cercando di eliminare quell'accento che il cantastorie trovava così fastidioso. Imparava in fretta. «E ha detto che era stufo di non avere un letto sotto il culo» soggiunse quindi a voce più bassa, ghignando. Josiah parve ancor più contrariato da quel comportamento. Poco prima aveva seguito Taliesin al mercato, osservando i suoi ridicoli capricci: dopo aver perso tempo a cercare delle nocciole che gli piacessero, aveva insistito a lungo con un panettiere perché glie le tostasse immediatamente nel forno del pane. Quel suo comportamento strafottente non gli piaceva affatto, e persino l'accondiscendenza di Juan iniziava ad infastidirlo. Il Beduino si limitava infatti ad assecondare il suo compagno in quasi ogni situazione, guardandogli le spalle e portando le sue cose come il più umile dei facchini. Josiah non riusciva a comprendere del tutto se quei gesti fossero frutto di un abietto servilismo o di una sincera gratitudine.
   «Non mi pare il caso di immischiarsi in questi affari, ora che dobbiamo muoverci a sud. Cosa vogliono questi Corvi?» domandò, facendo mente locale su questioni più serie. Aveva passato molti anni a Lithien, disinteressandosi quasi completamente degli affari religiosi dei Quattro Regni ma facendo invece estrema attenzione alle controversie politiche e militari in corso, nonostante non fosse affatto semplice procurarsi tali informazioni in un posto così remoto prima che esse entrassero a far parte nella storia passata. Per questo motivo i Corvi gli facevano pensare immediatamente al celeberrimo Caino, e non si trattava del migliore dei rappresentanti per l'ordine religioso. Ma non intendeva far di tutta l'erba un fascio, perciò aveva chiesto a Juan cosa ne sapesse lui.
   «Ah, non lo so. Qui a nord è tutto troppo complicato, arkadaş» lo liquidò, con una grassa risata.

Zeno terminò il suo discorso e Taliesin fu uno dei primi ad unirsi all'esultanza generale. Juan lo imitò nonostante si fosse perso qualche pezzo del discorso, i cui termini erano stati fin troppo altisonanti per le sue capacità. Il musico aveva apprezzato le parole appassionate ed il tono calmo dell'oratore, seppur a suo avviso avesse ciarlato solo un mare di idiozie ed ovvietà da religioso. Josiah invece si era via via incupito, meditando a lungo sul significato delle parole del corvo che però iniziava ad ammirare, se non altro, per i suoi modi zelanti ed equilibrati.
   Strinse il preziosissimo libro a sé, richiamandone alla mente i passi più salienti che parlavano di come la guerra non andasse né evitata né cercata. Leggendo il trattato era nata in lui una consapevolezza - forse infondata? - che il conflitto militare fosse in qualche modo ineluttabile. Aveva cominciato a credere che il germe della guerra fosse ben radicato nella natura stessa degli uomini, tanto nel loro passato, quanto nel loro futuro.
   Come puoi pensare di fuggire dalla guerra con le sole parole, Corvo? Dovresti conoscere bene la storia di queste terre, si chiese a denti stretti. Aveva letto molto, comprendendo ancor di più. Sapeva di cos'erano capaci i sovrani - persino quelli più illuminati; conosceva anche le atrocità che la ricerca del potere aveva causato nelle ere antiche.
   Senza che nemmeno se ne fosse accorto, le sue mani avevano spalancato il tomo davanti a sé, e ora i suoi occhi si destreggiavano tra le frasi scritte a mano, in cerca di una risposta chiara a quell'improvviso dilemma.
   «La guerra...» mormorò. «La guerra è davvero inevitabile?»

JOSIAH
Fisico: 75%
Mente: 75%
Energia: 145% - Fortificazione minore (5%)
CS: 2 in maestria.

TECNICHE ATTIVE
FORTIFICAZIONE MINORE: natura fisica, consumo di energie, 2 CS in maestria;
Il guerriero userà le sue abilità per potenziare il proprio fisico in vista dello scontro, ottenendo 2 CS da aggiungere alla sua riserva. Consumo: basso.

RIASSUNTO
Arkadaş = amico. Ho deciso di mettere qualche CS nel serbatoio sin da subito - il pretesto narrativo credo sia evidente, ovvero Josiah che si allena con la spada la mattina prima di giungere a Ladeca A questo post ne seguirà un altro, presumibilmente domani o dopodomani, relativo all'interazione concordata con Palantir e, volendo, anche ad altre occasioni di role. Per ora auguro una buona giocata a tutti quanti!
 
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view post Posted on 12/3/2015, 22:55
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Like a paper airplane


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Cosa sei, Ainwen? Cosa si nasconde nella tua anima? Quando è l'ultima volta che hai creduto in qualcosa?
Il suo cuore sobbalzava al ritmo del suo respiro irregolare. Negli occhi ciocche scarlatte che quasi le coprivano la vista. Sospinte da un vento impetuoso, o forse solamente dal ritmo della corsa. Di tanto in tanto tendeva le dita in avanti, come se potessero trasportarla altrove, come se vi fosse un appiglio capace di sottrarla da quel mondo buio. La luna era tramontata alle sue spalle e non sarebbe più sorta. Lo sapeva. L'unica luce era il vago lucore che emanava dal suo stesso corpo, pallido come la neve. E correva, fuggendo senza guardarsi indietro. Dietro di lei c'era l'orrore, qualcosa che non doveva vedere, che riusciva a sentire. Era una carezza lungo la schiena, un respiro umido sull'orecchio. Inutile negarlo, inutile cercare di allontanarsi. Era sempre lì, troppo vicino.
Dove sono finite le tue speranze, Ainwen? Cosa ti è rimasto?
Rabbia. Impotenza. Le mani che si protendevano ancora, ma erano divenute più deboli. Il cuore che rallentava il proprio rotolare, imprigionato tra le labbra che non potevano più gridare. I capelli sul volto erano candidi, e l'orrore era più vicino. Le stringeva le caviglie, le graffiava le guance. La voleva con sé. La stringeva. Aveva mani piccole e avide, labbra sottili e gelide, era senza volto. Volse per un attimo lo sguardo, ma non poteva vedere, perché era cieca. Eppure riusciva a sentire. Un pianto sommesso, sospirante. E un rumore ritmico, cadenzato. Il rumore della fine. Quelle piccole mani la trascinavano nel loro mondo dove ogni luce era tramontata. La sua luminosità si spegneva.
Gridò forte, e il cuore le rotolò dalle labbra, fuggendo lontano nel buio. L'orrore rise.
Il tuo cuore non ti appartiene, Ainwen. Il tuo cuore è paura.
Il Crepuscolo aveva ucciso il mondo e lo aveva ricreato. Il Mercante l'aveva distrutta ma si era dimenticato di riportarla indietro. Il Mercante non era un dio. Lei non era più una creatura, ma una crisalide vuota senza più anima. Dentro di lei solo angoscia e paura. Inadeguatezza. Spalancò gli occhi.
Le sue guance erano rigate di lacrime, le mani poggiate in grembo umide di sudore. Le palpebre di porcellana della bambola si alzarono e si abbassarono, mettendo a fuoco la donna seduta di fronte a lei. La sua pelle era diafana e i capelli biondi, ma i suoi occhi viola non mentivano. Le sorrise, come se non avesse notato nulla. Fuori i cavalli stavano rallentando, il ritmico sobbalzare dei loro zoccoli che si zittiva al passo con il suo cuore. Gli ultimi strali del sogno le gonfiavano lo stomaco, facendole provare il desiderio di gridare forte, fino a liberarsi da ogni emozione, fino a rimanere completamente sgombra.
Una mano si poggiò sulla sua guancia. La bambola sollevò la testa e incontrò lo sguardo turbato di Gabriel. Cercò di sorridergli, riuscendo solo a contorcere le labbra. Si chiese cosa avrebbe pensato lui, sentendola tremante e debole contro di sé, ancora altalenante tra l'incubo e la realtà. Una luce malata filtrava attraverso le tendine chiuse della carrozza. Ora ricordava il loro viaggio troppo faticoso, troppo lungo. Ricordava di aver stretto le mani di lui nelle notti ricolme del frinire delle cicale.
Qualcosa picchiettò contro il legno. Sobbalzò.
Cosa temi, Ainwen? Cosa potrebbe essere più terribile di ciò che sei ora?


Miei signori, siamo arrivati”.


All'udire la voce di Ho Igoo, il suo corpo contratto si distese lentamente contro quello del Conte di Ardeal. Un sottile fiato le scivolò dalle labbra. Erano arrivati. Non c'era più spazio per la paura. Era giunto il momento di incontrare il loro primo nemico, e non lo avrebbe fatto concedendogli un vantaggio. Si afferrò il polso sinistro con la mano destra, fermandone il tremito. Chiuse gli occhi ciechi, inspirò lentamente. Sentì la mano del suo lord che si poggiava sulla sua spalla. Non avrebbe combattuto da sola, mai più.
Non ce la farai.
Senza aspettare che l'angoscia si ripresentasse, spinse la porta della carrozza.

Era una giornata di sole, una di quelle che parevano preannunciare vittoria e giorni migliori. Era una giornata carica di promesse, che aveva riempito Ladeca come nei giorni di mercato. Una folla eterogenea si dirigeva verso la piazza, spintonandosi o chiacchierando animatamente. Alcuni facevano apprezzamenti ad alta voce, applaudendo ancora prima di udire le parole di Zeno. Altri si mantenevano in disparte, dichiarando a tutti quanti di appartenere ad una fazione diversa. Sciocchi e inconsapevoli, non potevano immaginare che sarebbero stati i primi ad essere presi di mira.
Lo pensò, mentre la porta della carrozza faceva da cornice alla sua discesa. I suoi piedi sottili, calzati in pantofole di velluto color sangue, sfiorarono il terreno con delicatezza, quasi stessero saggiando la temperatura di una pozza d'acqua. Ebbero appena un attimo di incertezza, prima che tutto il corpo dell'Oracolo emergesse nel sole. Non portava mantello. Ogni particolare era stato studiato attentamente perché tutti potessero percepire con fastidio il suo rango. Perché potessero guardarla, forse schernirla, ma di certo tenersi alla larga nel timore di indisporre una rappresentante del Consiglio dei Pari. La veste, della più preziosa seta scarlatta, le si avvolgeva stretta sul petto e sui fianchi sottili, facendola sembrare ancora più alta e più androgina. Ma, sulla schiena, si apriva abbracciando la sua pelle candida e priva di qualsiasi cicatrice. Attorno alla vita e lungo la gonna, ricami d'oro che risalivano fino al centro del petto, e si arrestavano in un disegno floreale attorno a quella che pareva una pietra preziosa, incastonata direttamente nello sterno. Certo non sapevano, non avrebbero mai potuto immaginare, cosa fosse davvero.
Stese delicatamente la mano al proprio fianco. Non aveva bisogno di guardare per sapere. In pochi secondi quella di Gabriel avvolse la sua, come era stato per tutti i giorni precedenti. Sorrise tra sé, lasciando che la bambola si riempisse lo sguardo di quella scena frenetica. Loro due, come osservatori esclusi e distanti, avvolti da quella marea di viaggiatori senza nome. Loro, e loro soltanto, gettati a forza in quella massa a cui non avrebbero mai potuto appartenere, nella quale si erano intrusi, mascherati come ladri.


« Miei signori, è un piacere vedervi qui. Spero che il viaggio sia stato confortevole. »


Trattenne a stento un sobbalzo e sgranò gli occhi vuoti.
Ryellia Lancaster, la più potente tra le dame del Consiglio, aveva deciso di accompagnarsi con una guardia del corpo delle più originali. Un lieve calore le invase il petto. Provò il desiderio di stringere la mano di Azzurra, chiedendole se avrebbe combattuto con loro. Le piaceva quella ragazza, le piaceva ciò che rappresentava. Quello che lei non avrebbe mai potuto essere, con un'umiltà che non le sarebbe stata necessaria. Le sorrise, cercando di apparire amichevole. Loro erano un unico potere, ora, un'unica anima. Sarebbe stato inutile parlarle di ciò che le rendeva troppo diverse. Sarebbe stato inutile predire il mondo in cui, alla fine, una di loro tre sarebbe stata irrimediabilmente distrutta. Non era davvero un Oracolo. Non al punto da rovinare la breve serenità di quella mattina.


Sicuramente più confortevole di ciò che dovremo ascoltare, suppongo”.


Le sue labbra si stirarono in una smorfia sarcastica, ma subito se ne pentì. Era come se in presenza di Azzurra il suo stesso cinismo le risultasse fuori luogo e stridente. Arrossì lievemente, trattenendo per un attimo il fiato.
Non le piaceva essere lì, avrebbe dato qualsiasi cosa per stracciare l'invito di quell'uomo senza volto, per scacciare la sensazione terribile che il suo solo nome le comunicava. Strinse la mano di Gabriel, rabbuiandosi lievemente.
Una brezza leggera, piacevole, scivolò tra i suoi capelli, pettinati in una crocchia avvolta da due morbide trecce candide. Era carica del profumo del pane appena cotto e della carne grigliata. Ma non riuscì a trarne alcun piacere. Le parve, invece, di avere improvvisamente più freddo. Sperò che quei convenevoli si concludessero presto.

La piazza sembrava una festa di paese, le gradinate il palcoscenico di uno spettacolo mediocre. Qualunque tiranno prima di Zeno avrebbe potuto salirvi e farsi bagnare dal sole, proclamandosi figlio degli dei o liberatore di Basiledra. Chiunque prima di lui avrebbe potuto spalancare le braccia e esortare il popolo a ribellarsi, riunirsi, esultare.
Ma nessuno sarebbe potuto essere come lui.
Lo ascoltò, e ad ogni frase le sue labbra si socchiusero in una smorfia che esprimeva stupore e disgusto. Semplicemente impeccabile, perfetto, apparentemente naturale. Aveva scelto di non infiammare i cuori del popolo, non apertamente. Aveva scelto di non additare i propri nemici. Li aveva schiacciati sotto la potenza delle proprie parole, li aveva travolti e annegati con la stessa furbizia di un generale in battaglia. E tutti, pareva, erano scivolati volentieri nella sua trappola. Si erano lasciati sedurre dal pifferaio fino ad immergersi nell'acqua torbida dei suoi ragionamenti. Lentamente sentì di ripiombare nell'angoscia della notte.
Il sole splendeva sopra le loro teste, Gabriel e Jacala erano in piedi al suo fianco. La bambola, quasi accecata, tentava di scorgere qualcosa oltre la folla. I corpi si muovevano appena, assorbiti dai proclami del priore mascherato. Ma ad Ainwen pareva di essere stata improvvisamente strappata alla realtà e collocata in uno spazio immensamente distante da tutti quanti. Le pareva di non poter sfiorare i confini del proprio corpo. La sua mano, poggiata in quella di Gabriel, era solo un peso morto e gelido come il marmo. Le sue gambe erano piantate a terra come le radici sterili di un albero d'inverno. Ma la sua mente voleva fuggire, scappare lontano. Perché lei capiva quelle parole, e il loro significato le stringeva la gola impedendole quasi di respirare.
Sentì il peso allo stomaco farsi più forte, gli odori della città nausearla. Annaspò senza essere vista, nel tentativo di riguadagnare l'autocontrollo. Ma l'incubo stava risorgendo troppo in fretta: l'orrore, alle sue spalle, le carezzava impietoso la schiena nuda. Le sussurrava parole oscure di guerra, minacce non pronunciate di false alleanze. Di nemici massacrati, di un abietto capace di spegnere il sole per il tempo di un sogno. Lui li invitava a collaborare, ma all'orecchio di lei il mostro parlava di inganno e annientamento. Lui suggeriva di aiutarsi l'uno con l'altro, e lei ricordava il disprezzo che lungo la strada avevano riservato a una ragazza cieca.
Lui parlava di tiranni, e lei rammentava il volto di un Re che non aveva mai davvero incontrato, l'espressione di un tiranno che aveva invece visto sconfiggere. E quella maschera, priva di espressione, che portava il nome di un uomo. Sarebbe stato il prossimo, pensò, e sarebbe stato terribile. Le parve che due mani immense le comprimessero le tempie, stritolandole. Dentro il cranio, una piccola Ainwen gridava aiuto con una voce stridente, premeva con le mani dietro gli occhi provocandole fitte intense.
Cosa succede?


« Il Sovrano ci ha mostrato i nostri nemici e nessuno di loro appartiene al suo popolo. Ricordate: divisi cadiamo, uniti restiamo; per sempre. »


Barcollò all'indietro e Jacala la resse appena in tempo perché non si accasciasse a terra. Il gelo era dentro di lei, mentre al di fuori la sua pelle era ricoperta di un velo sottile di sudore.
Chi sei, Zeno?
L'orrore del suo incubo era lì, vicino a lei, che alitava oscuri presagi. Il malessere continuava ad aumentare ad ogni parola di quel discorso. Non riusciva a credere di aver sentito davvero quelle parole. Non poteva credere che lui avesse veramente parlato con un dio e che questi avesse sprecato tempo a rispondergli. Non poteva credere che lui avesse visto nel futuro e che quell'assurdità fosse la sua ricetta per sopravvivere. Era tutto assurdo, tutto un inganno. Eppure nessuno pareva riuscire a capirlo.
Invidia.
Sì. Invidia, bruciante. Perché lui poteva proclamarsi un oracolo e probabilmente poteva esserlo veramente. Lo sarebbe stato finché gli avessero creduto. Perché nessuno di loro lo disprezzava, scacciandolo ridendo come avevano fatto con lei. Eppure entrambi erano solo millantatori e bugiardi. Ripensò allo sguardo limpido di Azzurra, al modo in cui l'aveva salutata. Come se di lei le importasse qualcosa.
Ora le mani invisibili si erano spostate sullo stomaco, la loro pressione era aumentata. Socchiuse le labbra, parlando senza emettere suono. Bugiardo. Inspirò. Doveva dirlo, più e più volte, lasciare che quell'emozione acida, soffocante, le scivolasse dalle labbra. Le parole di Zeno scemavano lentamente, ma la sua rabbia pareva essersi raggrumata nella gola e non voler uscire.


Dobbiamo tenerci alla larga da quel fanatico. Noi e il Consiglio”.


Si accorse che la sua voce tremava, ma cercò comunque lo sguardo di Gabriel. Lui ancora non sapeva di loro, e questo era il loro unico vantaggio, l'unico motivo per cui avrebbero potuto nascondersi tra le pedine e sfuggire all'attacco dell'alfiere. Ma se il Consiglio l'avesse sfiorato, sarebbe stato trascinato nel vortice della sua folle giustizia, nel suo fanatismo insindacabile. Sarebbe stato umiliato dai suoi seguaci senza coscienza e forse altri li avrebbero seguiti, sedotti dalla prospettiva della pace. Inspirò, concedendosi un sorriso amaro. La rabbia le scivolò fino alla punta delle dita, l'invidia le disegnò una ruga profonda sulla fronte.


Almeno finché non potremo eliminarlo”.


Perché prima o poi lo avrebbero fatto. Loro, o lei di persona. Avrebbe affondato la propria lama dentro il suo petto, se necessario, e gli avrebbe strappato la maschera. E allora tutti avrebbero visto chi fosse davvero. Uno come tutti, un folle. Avrebbe aperto loro gli occhi, prima o poi. Era una promessa.




Edited by Majo_Anna - 12/3/2015, 23:46
 
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view post Posted on 13/3/2015, 14:17

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«Hai intenzione di andarci non è così?»
Gli occhi cerulei di mio nonno si erano posati su di me non appena aveva finito di leggere la lettera che mi informava della prima mossa pubblica di Sua Eccellenza Zeno. Un incontro con il popolo, la prima comparsa ufficiale di uno dei tre poteri che si disputavano, di fatto, il dominio del Dortan.
«Come mai ho il sospetto che a te la cosa non vada a genio?»
Il drago piegò la lettera con cura, me la mise davanti. Incrociò le braccia e senza riuscire a contenere oltre il suo disappunto sbottò - «No. La cosa non mi piace per niente. Ultimamente le tue scelte non hanno portato che guai! »
Non aveva proprio preso bene la mia scelta di affiliarmi ai Pari. Aureus non vedeva di buon’occhio Lord, nobili e compagnia bella. Non lo biasimavo, dopotutto la sua esperienza di vita giustificava i suoi preconcetti. Aureus era stato un eroe a suo tempo, aveva scelto la via dei cavalieri e aveva servito molti Lord e Re. La ricompensa che aveva ricevuto, però, era stata ritrovarsi mezzo morto, privato delle ali e tutto perché i nobili che aveva aiutato avevano deciso che era diventato una minaccia alla loro influenza.
Meno di tutti gli piacevano i Lancaster. Non apprezzava il rapporto che sussisteva tra draghi e membri di quel casato. Riteneva degradante che la sua razza fosse ridotta al ruolo di “animale da compagnia”.
«Prima ti allei con quella manica di cospiratori con più ambizione che onore, poi decidi di fare affari con un lurido contrabbandiere da quattro soldi e gli dai perfino un cavalierato e infine decidi andare pericolosamente vicino a gente che non sembra apprezzare particolarmente i tuoi nuovi amici …» – il viso assunse una sfumatura rossastra sotto la barba candida - «Se vuoi farti ammazzare prima del tempo perché non presentarti direttamente da Caino?»
«Sei paranoico vecchio … » – rispose con il suo impareggiabile tatto Ursula.
A lei l’idea di viaggiare fino a Ladeca e scoprire cosa avessero in mente Resistenza e Corvi Bianchi piaceva.
«Lo saresti anche tu piccolo, sciocco pesciolino fuor d’acqua!» – bofonchiò - «Probabilmente tra le donne-pesce non si usa, ma qui attrarre gli avversari con una scusa per poi farli ammazzare da sicari prezzolati non è una strategia rara …»
Paranoico lo era ma a ragion veduta. Non si contavano le volte in cui un incontro di pace si era trasformato in una mattanza. Zeno, però, non sembrava il tipo di individuo pronto a sporcarsi le mani, non in maniera così plateale almeno.
«Andremo all’incontro.» – sentenziai chiudendo il discorso - «Voglio sentire cosa i Corvi Leici hanno da dire, senza contare che non farei una bella figura con gli altri Pari se disertassi.»
«Faccio preparare le cavalcature.»


«Mpf...Un mucchio di belle parole. La solita solfa …» – riesco sempre a capire quando il disprezzo nei confronti del mondo di Urusla è genuino o solo una posa. In quell’occasione si trattava della seconda ipotesi. Aveva ascoltato parlare Zeno con interesse, non aveva fatto un singolo commento negativo o una delle sue solite battutacce. «Ma la canzone che il prete suona sembra piacere alla folla … » – lanciò un occhiata al gruppetto di nobili giunti in rappresentanza del Consiglio da cui ci eravamo tenuti a debita distanza. Non ero stato invitato a partecipare e di certo non sarei andato ad elemosinare la loro attenzione. - «…di certo sembra più amato dei tuoi amici. Hai visto le loro facce? Non sembrano aver digerito la colazione. Dici che è stato il Priore a disturbargli la digestione? »
«Di certo non apprezzano il suo successo …» – commentai senza espormi troppo. C’erano troppi occhi e orecchie li intorno e non potevo sapere se qualcuno aveva deciso di mettermi una spia alle costole. - «Loro hanno il potere, castelli, influenza, denaro ma Zeno …Zeno ha l’amore del popolo a quanto pare.»
La sirena grugnì il suo disappunto - «Che grande conquista!» –fece in tono ironico - « Li hai visti? Li hai guardati bene? Straccioni, veterani con il cervello guastato da troppe battaglie, profughi, ragazzini, donnicciole e preti. La maggior parte di loro non serve in caso di battaglia e quelli che sono in grado di tenere una spada in mano si sono dimostrati mutevoli come il vento. Quanti Capi Carismatici ha avuto questo “popolo” di cui parli? Quanto è durata la lealtà del popolo nei loro confronti?»
Torto non aveva, non in tutto almeno. Ma Zeno aveva dato prova di essere un personaggio affascinante, capace, scaltro. Lui e il vessillo che sventolava erano esattamente ciò che il popolo desiderava da anni: una guida che si interessasse ai loro problemi, che li facesse sentire forti, uniti e rispettati. Il Sovrano così come lui l’aveva presentato non era il dio machiavellico, ingannatore e spietato di cui Caino aveva fondato il culto. Il messaggio non era “inchinatevi dinnanzi a me” ma “ seguitemi e prendetevi da soli la vostra libertà”.
«Lui almeno ha l’amore di qualcuno. Noi l’amore di chi abbiamo? » – commentai.
Qualcosa attrasse la mia attenzione, qualcuno: lei, la Dama Rossa, forse l’unica persona tra i Pari sui potessi fare affidamento si era accorta della mia presenza. Ursula notò il sorriso spontaneo che affiorò sulle mie labbra. «Direi che l’amore a cui tu ambisci è quello della femmina Lancaster ….Come la chiamano? La Regina Rossa non è così? Il Re Stregone e la Regina Rossa, proprio una bella coppia.»
«Chiudi la bocca …» – sibilai mentre ci avvicinavamo al gruppo.
Lady Azzura, l’efficientissimo e devoto nuovo acquisto di Casa Lancaster mi presentò agli astanti. Ryellia si fece avanti mentre la voce della sua scudiera enumerava i titoli che aveva confezionato apposta per me. Nascondere la reciproca simpatia era inutile. Presi delicatamente la mano che mi porgeva in segno di saluto e mi azzardai in un baciamano. Quando Azzurra ebbe concluso la presentazioni feci lo stesso con lei.
Salutai gli altri con un rispetto ma distante cenno del capo. « Mia diletta Lady Lancaster…Lady Azzurra ... Miei Lord e Lady.»
«Messer Erein, quale lieta sorpresa incontrarvi in questo piccolo paese. Immagino siate stati catturati dall'intrattenimento offerto quest'oggi – il calore con cui Ryella e Azzura avevano parlato non sembrava aver contagiato gli altri nobili. Posai uno sguardo su uno dei personaggi più curiosi li presenti: Lady Ainwen di Ardeal, l'Oracolo – stando a quanto avevo letto nel cuore di Malzhar il Sussurro – una donna che mi sapeva di infido e pericoloso.
Ursula sfruttò quell’istante di silenzio per intromettersi come al solito guadagnandosi un occhiata sbalordita da parte della Madre dei Draghi - «Almeno questo non hai intenzione di ammazzarvi … »
«Non tutti hanno la fortuna di avere servitori bene educati …» – mi scusai - « …Sebbene in modi decisamente più rudi la mia leale servitrice ha espresso la mia idea...Sono felice che voglia collaborare, ma di inviti alla pace sono piene le storie di complotti, voi cosa ne pensate?»
Fu il cavaliere a rispondere per prima – « Sta giocando molto bene le sue carte. Dare un nemico comune al popolo lo renderà fiero e unito, per un poco almeno. Anche se ... » - ero proprio curioso di sapere cosa potesse far seguito a quel “se”. Lady Azzurra si era dimostrata una donna lungimirante come poche, un personaggio sicuramente degno di sedere tra i Pari. Mi chiedevo come mai non fosse già stata elevata al gradino successivo della scala nobiliare, meritava un titolo più di molti altri miei colleghi.
Il commento della sua Lady non tardò ad arrivare - « La fede infonde molto ottimismo, senza dubbio. Bisogna vedere se questa sarà sufficiente per supportare e mantenere la pace... » - la sua scarsa simpatia per la religione era cosa nota. Molti devoti servitori di un dio avrebbero preso quel pungente sarcasmo come un offesa ma non io, l’ipocrisia di negare una verità limpida come quella appena pronunciata non mi è mai appartenuta. Noi Sacerdoti usiamo la fede e il nostro gioco è ormai noto, nessuna meraviglia se poi i profani ci accusano di essere sepolcri imbiancati, subdoli manipolatori delle masse incolte.
« Voi credete che sia sincero? …» – domandai mettendo a nudo i miei dubbi- « Di solito non mi fido dei miei colleghi. Siamo una categoria litigiosa e poco incline alla collaborazione. Se vuoi far scoppiare una rissa metti insieme un paio di sacerdoti di fede differente e lasciali parlare …» – affermai ridacchiando, poi riprendendo il ruolo di serio e composto nobiluomo aggiunsi- « Ad ogni modo ogni mano tesa è un opportunità, almeno così la penso io. Il problema è vostro zio la penserà allo stesso modo?…»
L’avevo buttata lì con noncuranza ma quella frase conteneva più significati di tutta la precedente pletora di parole da me pronunciate. In un sol colpo affermavo di non disdegnare l’offerta di cooperazione di Zeno e chiedevo informazioni che – non appartenendo al Consiglio – non avevo possibilità di procurarmi da solo.
« Oh, messer Erein, voi siete la lampante dimostrazione di come la vostra categoria sappia essere ammaliante, seppur prediliga il vostro stile, devo ammetterlo…» – un complimento. L’ennesima dimostrazione di stima o solo un modo gentile di dirmi di farmi gli affaracci miei? - «Come avete detto 'una mano tesa è un'opportunità', e il mio caro Zio saprà certamente coglierla »
Azzurra sospirò e disse la sua tirandomi fuori dall’imbarazzo di scegliere se quella risposta fosse una maniera per coinvolgermi nelle faccende dei Pari o un modo per escludermi dagli affari privati della sua famiglia.« Per quanto dolga ammetterlo, Zeno sta lavorando sin troppo bene. Ma le sue parole non sono inattaccabili, se capite cosa voglio dire... » - sembrava nervosa, esitante. Se avevo imparato qualcosa di lei era che quell’atteggiamento preludeva ad una delle sue proposte. Quella ragazza aveva il buonsenso di agire influenzando spudoratamente le scelte altrui pur apparento dimessa, mite e quasi sottomessa. Invidiai, senza sentirmi un po’ in colpa per il torto che facevo ai miei leali seguaci, Ryellia per aver scelto tanto bene la sua compagnia. « ...invero penso che abbia appena ammesso la sua debolezza. Pensateci. Sta chiedendo unione, perché non ne ha all'interno del popolo. Se vogliamo vincere dobbiamo spingere con tutte le nostre forze in quella direzione. » - ed eccola la proposta -« Ci serve il popolo, miei signori, e forse ho una idea su come ottenerlo... »
Si bloccò come in attesa del permesso di parlare. Mi aveva incuriosito e volevo sentire quello che mi sembrava il prosieguo di quel “ anche se” lasciato a mezz’aria qualche istante prima.
Penso di parlare a nome di entrambi, noi non vediamo l'ora di sapere cosa la vostra mente geniale ha partorito quest'oggi Lady Azzurra .. –dissi non potendo trattenere un ghigno di compiacimento per la mente affilata del cavaliere.
« Semplicemente... lo usiamo. Lui vuole la pace, la cooperazione? Bene, facciamo ciò che ci ha chiesto... nulla di più semplice. Basterà convincere il Concilio a stilare una lista di diritti civili da presentargli. Nulla di eccessivo, voglio solo mostrare che non siamo come pensano. » lasciò che il silenzio ci preparasse al nocciolo della questione, cuocendoci pian piano al fuoco della curiosità. « La politica si basa sulle alleanze, a questa gente non farebbe più paura nemmeno un esercito di diecimila uomini....ma dei nobili con una offerta di pace? Questo sì che li spiazzerebbe, dividendoli in modo irreparabile e spianandoci la strada.
Un'idea niente, male. E io avevo la persona adatta per poter iniziare a creare un ponte tra le fazioni…Peccato si fosse dileguato non appena giunti a destinazione. Dove diamine si era andato a cacciare quel nano quando serviva?



 
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view post Posted on 13/3/2015, 14:23
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Time Lost Centurion (3dh Economic Crisis Edition)
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Roma! Roma? Si, Roma.

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Ladeca - Adesso

Cosa rende imperfetto l'uomo? Perché alla fine questa è l'origine di ogni conflitto. Di ogni tragedia o svolta errata nella storia dell'umanità. Il madornale difetto che consuma l'essere umano dall'alba dei tempi, che lo rende forte e debole allo stesso tempo. Forse non posso dare ancora una risposta definitiva ad un tale quesito, ma posso provare ad avvicinarmici. L'avventatezza è il difetto dell'uomo. Difetto creato dalla lunghezza così limitata della sua vita, dall'incapacità di guardare alla storia così da non ripetere gli errori già commessi. L'essere umano per natura è avventato e non soppesa le sue azioni, piuttosto fa del suo meglio per sopravvivere alle conseguenze delle stesse. Questo può essere osservato sui volti di tutti, di questi tempi. Molti scelgono un fronte senza nemmeno soppesare le possibilità degli altri, senza osservare con i propri occhi ma piuttosto lasciandosi abbindolare da voci di corridoio e sproloqui di ubriaconi nelle taverne. Se mi fermassi a chiedere a ciascuno di loro cosa sanno veramente degli altri, che risposta riceverei? Mi hanno detto che i Pari sono tutti dei parassiti, nobili bastardi che pensano al proprio tornaconto. Mi hanno detto che Caino è un pazzo che ha fatto sua la dottrina del Sovrano per i suoi sporchi fini. Mi hanno detto che Zeno è un lunatico che crede di poter parlare con il sovrano, usando il popolo solo come scusa per ascendere al potere. Mi hanno detto, sempre quella frase. La stupidità di chi si affida alle parole degli altri piuttosto che ai propri occhi. Di chi guardando qualcuno sa solo generalizzare e farlo uguale ai suoi simili, ignorando l'individualità dello stesso. L'uomo si pone domande e cerca le risposte. Lo schiavo crede ciecamente in quelli vicino a lui e li segue senza dubitare. Lupi e cani, ecco in cosa si divide l'umanità. Adesso mi chiedo... chi è costui che si trova davanti a me? Un lupo che cerca la verità lontano dal suo branco? Oppure un cane che china il capo ad ogni carezza anche dopo aver ricevuto sonore bastonate?




Oh, possibile monsieur. «allungo le braccia verso l'alto per stiracchiarle un po, guardando un attimo il cielo e ripensando a quel giorno a Basildera» Mi sono fermata in alcune Tendopoli prima di giungere qui. Ero curiosa di vedere questo messia e... se non altro sembra essere un miglior partito rispetto agli altri. Gli Arconti sono dei tali cattivoni, commettono le peggiori nefandezze giustificandole con la volontà del Sovrano. Almeno la maggior parte dei Pari ha la decenza di essere un po più chiara sui propri intenti.



Solo adesso noto che una nuvola bianca come il latte e grande come un drago ha deciso di interporsi tra di me e il sole, facendo calare la zona circostante in una piacevole penombra. Poggio le mani sui lati del cappuccio e con un semplice gesto lo faccio calare. I lunghi capelli castano scuro seguono come l'onda d'acqua di una diga aperta e ricadono dolcemente sulla mia schiena come un mantello di velluto. Non serve che io indossi sempre il cappuccio, il sole non mi brucia certo come molti potrebbero credere ma... mi da comunque un certo fastidio. Nuovamente muovo il mio sguardo verso il misterioso signore incappucciato, offrendogli un cortese sorriso a comprensione del suo mal di testa. In una tale confusione è normale sentirsi un po spaesati, eppure la manifestazione di dolore fa pensare a qualcuno che non è abituato a tali grandi folle e il caos da esse generato. Qualcuno che preferisce tenersi alla larga, osservare da lontano senza essere visto. Qualcuno abituato alla solitudine e al vagare. Penso ciò quasi con una certezza naturale, in fondo io non sono poi tanto diversa.



Lei non sembra affatto un accolito o un uomo di fede. «mi rivolgo a lui ridacchiando in maniera quasi infantile, usando le mani per far ruotare il corpo verso di lui.» Ne tanto meno un paffuto nobile o un vigilante spinto dalla fede.

Quindi... <muovo le mani per formare una sorta di coppa, poggiandoci il mento e tutta la testa all'interno prima di porre la mia domanda.> Lei chi è? Solo uno dei molti curiosi? Oh magari un nobile cattivone l'ha assoldata per disfarsi del Messia?

Un piccolo cane obbediente...< incrocio le gambe mal celando la mia eccitazione, l'attesa che separa la domanda dalla risposta è sempre terribile ma ben ricompensata.>...o un Lupo senza un branco?



Edited by Lucious - 13/3/2015, 16:54
 
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Nawarashi
view post Posted on 13/3/2015, 19:30






La bambina sperduta, con la quale stavo interloquendo, stiracchiò le braccia al cielo guardandolo, come ad ammirare la volta celeste azzurra sopra le nostre teste. Mi ricordò me stesso quando mi sdraiavo nei campi di grano da bambino per vedere che forma avessero le nuvole

«Oh, possibile monsieur.»



Replicò alla mia domanda.

«Mi sono fermata in alcune Tendopoli prima di giungere qui.»



Allora era lei la bambina che avevo visto, tuttavia dal suo aspetto e dalle sue parole non sembrava essere una rifugiata. Anzi, dalle maniere che sfoggiava sembrava fosse di sangue blu o almeno aveva la parlata di chi era cresciuto in un ambiente altolocato. La mia curiosità verso quella piccola donna si era oltremodo destata. Del resto, non era sicuramente una persona comune se riusciva ad avvicinarsi ad un drago così facilmente.

«Ero curiosa di vedere questo messia e... se non altro sembra essere un miglior partito rispetto agli altri. Gli Arconti sono dei tali cattivoni, commettono le peggiori nefandezze giustificandole con la volontà del Sovrano. Almeno la maggior parte dei Pari ha la decenza di essere un po più chiara sui propri intenti.»



Quelle parole mi lasciarono sorpreso, tanto da riportarmi in posizione eretta istintivamente. In quel momento capii che non stavo parlando con una mocciosetta da quattro soldi con qualche dono speciale, anzi era come se stessi parlando con un mio pari, se non una persona dalla vasta cultura. Quella piccola ragazza sapeva molte più cose di quanto ne sapevo io ed era venuta lì per Zeno, proprio come me. Sotto quel tono di voce innocente si nascondeva una maturità che quel piccolo corpicino non poteva contenere.
Non aveva più senso continuare a fare la parte di chi parla con un bamboccio qualsiasi, il discorso in corso aveva preso toni seri ed alquanto interessanti. Questo significava che dovevo stare con la guardia ben alzata, arrivati a quel punto qualsiasi ipotesi sull'identità della giovane straniera era valida.
Dolcemente, si abbassò il cappuccio dal capo, facendo cascare i suoi lunghi capelli castani sulla schiena. Si girò verso di me sorridendomi con cortesia, guardandomi con quei suoi occhi dorati che sembravano gemme splendenti al sole, incavate in quella tela bianca quale era la sua pelle pallida. Si girò completamente verso di me, rimanendo seduta sulla scatola su cui stava.

«Lei non sembra affatto un accolito o un uomo di fede. Ne tanto meno un paffuto nobile o un vigilante spinto dalla fede. Quindi...»



Una sensazione di disagio mi pervase, mettendomi all'erta per capire dove voleva arrivare quella bambina. La guardai negli occhi, da sotto l'ombra del mio cappuccio, mantenendo un'espressione seria, come per dimostrare di non essere intimidito dal tono interrogatorio. Rilassai il corpo, cercando di dare l'impressione di non essere minimamente affetto da tale conversazione, mentre la ragazzina metteva dolcemente la testa tra le sue mani poste a coppa. Era davvero il quadro dell'innocenza, un dipinto che nascondeva molto di più di ciò che lo sguardo dava ad intendere.

«Lei chi è? Solo uno dei molti curiosi? Oh magari un nobile cattivone l'ha assoldata per disfarsi del Messia? Un piccolo cane obbediente... o un Lupo senza un branco?»



La ragazza incrociò le gambe, come se fosse soddisfatta dalle parole appena proferite. La ragazzina, o la donna, era perspicace, dovevo ammetterlo. Distolsi lo sguardo dal suo, girando la testa leggermente verso destra chiudendo gli occhi per qualche secondo, come per raccogliere i pensieri. Sorrisi emettendo un accenno di risata sommessa.

< Devo ammettere che lei ha un'ottimo senso di osservazione, Petite Mademoiselle >



Mi girai con un'espressione cortese verso la giovane mentre mi abbassavo il cappuccio. Non lo facevo spesso, ma volevo mostrarle che la consideravo una mia pari.

< Avete indovinato dunque, non sono venuto qui come fedele di Zeno, ne come suo boia. Infatti, se dovessi rispecchiarmi in una delle due definizioni che mi avete fornito, penso che il Lupo sia la più adatta all'occasione. Se volete che io sia questo, potreste dunque affibbiarmi tale titolo se ciò vi aggrada. >



Presi una pausa, continuando a guardare la mia interlocutrice mentre assumevo un'espressione leggermente più severa.

<Del resto, in questa folla, l'identità conta ben poco, non vi pare?>



Al termine della frase, mi appoggiai di nuovo al muro sorridendo a mezza bocca, guardando verso la piazza in cui si era tenuto il discorso di Zeno. Molta gente si muoveva in quello spazio, come tante formiche nella loro tana.

< Pari, Arconti, Corvi Leici, che differenza fa la fazione se ognuno di loro può tramutarsi in un mostro assetato di potere? Una cosa giusta però Zeno l'ha detta: bisogna abbandonare i privilegi e gli scettri. Non pensate che, se al governo ci fossero tutti i cittadini umili, uniti come collettività, si vivrebbe molto meglio? Io penso che questo sia l'unico obiettivo da perseguire, il come arrivarci non ha importanza, collaborazione o meno. >



Esposi parte dei miei pensieri alla ragazza. Dato che sembrava conoscerne più di me, forse un dialogo con ella sarebbe stato proficuo per entrambi. Non dava l'impressione di essere una fanatica o una persona irragionevole, il suo aspetto mi infondeva un falso senso di sicurezza al quale dovevo fare attenzione. Mai giudicare un libro dalla copertina, Allein.










 
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