La crociata del traditore ~ Muta.
« Che valore ha il vero nome di Dio,
quando Dio non ha orecchio per sentire? »
Il tempo scorreva lentamente, durante il viaggio verso Ladeca. L'aria fredda e pungente della Roesfalda lasciava lentamente posto a quella più accogliente e umida delle valli, mentre ci avvicinavamo alle foreste che circondavano la città. Gran parte dei miei pensieri erano rivolti altrove, tuttavia, dato che non potevo fare a meno di rimuginare ogni giorno su quale sarebbe stato il futuro di quel nostro regno. La crisi che ci stava martellando non avrebbe trovato una fine pacifica, non con tutte e tre le forze in campo pienamente combattive, e non sarebbero serviti infiniti sermoni o accurate parole per smuovere la gente: il mondo era cambiato, la storia era cambiata, ed il Dortan non avrebbe più girato secondo i dettami secolari che lo avevano portato al tracollo. Avevo le mani legate, per la maggior parte delle mie idee, per quanto dama Ryellia fosse influente il suo potere iniziava e finiva dove Aedh Lancaster decideva, non esattamente un modo armonioso e propositivo di vedere quella situazione... eppure non potevamo farci niente. Quello era un gioco politico da quattro soldi, una partita di scacchi che sarebbe finita con nessun vincitore assoluto, perché gli uomini non avrebbero potuto autodeterminarsi così utopicamente come auspicava Zeno: sembrava quasi che il prelato avesse passato gli ultimi trent'anni come eremita sui monti, e non a prendersi cura dei fedeli alla grande cattedrale, tanto era impalpabile il suo progetto. Ma forse, quello che aveva lui e che mancava a me, era la fede. E non quel genere di fede in cui basta recitare dieci preghiere al giorno, in cui basta donare qualche moneta alla chiesa locale, ma una fede genuina, intensa, nelle sue stesse convinzioni. Nel profondo del mio cuore, all'insaputa di ogni altro nobile, vassallo, scudiero e servitore, io ammiravo profondamente Zeno.
Il nostro viaggio si concluse qualche ora dopo,nei pressi dell'ingresso cittadino. Ad aspettarci, assieme ad un nutrito gruppo di popolani, anche altri due grandi esponenti della nobiltà: Gabriel e Ainwen. Prima ancora di guardarmi attorno e respirare l'aria di quel luogo, mi prodigai in un profondo inchino per salutarli.
« Miei signori, è un piacere vedervi qui. Spero che il viaggio sia stato confortevole. »
Era una frase di circostanza, nulla di più, quanto bastava per restare eleganti. Subito dopo il mio sguardo fu attirato da Ladeca: un villaggio grazioso, dove regnavano pace e armonia, sembrava quasi estraniarsi dal mondo belligerante e rabbioso che lo circondava, rendendosi un'oasi di serenità in mezzo al caos. Facile era capire per quale motivo i Leici avevano scelto proprio quel luogo per l'adunanza. Volevano dare un'immagine di sé assolutamente trasparente, cristallina, fornendoci la possibilità di presenziare a quel comizio con il solo scopo di scuotere gli animi, di agitare le nostre convinzioni e far vacillare le nostre alleanze. Forse ero io stupidamente machiavellica, presa con tutto il cuore nel voler ripristinare il lustro e l'onore delle casate d'altri tempi, eppure tutto quello sfoggio di bontà gratuita non mi convinceva, quasi fosse troppo facile entrare, ascoltare e poi tornare ognuno a casa propria senza colpo ferire. Guardai Ryellia per un istante, regalandole un profondo e affettuoso sorriso, per poi proseguire sulla strada, facendo da avanguardia per il gruppo nobiliare.
Dubitavo che qualcuno attentasse alla loro vita in quel mentre, avrebbe vanificato gli sforzi propagandistici di Zeno, però non mi era dato prevedere la follia umana ed il rancore sin dove si sarebbero spinti, anche in una delle poche occasioni di dialogo pacifico come quella. Portai la mano sull'elsa della spada, poggiandovela delicatamente sopra, guardandomi curiosamente attorno: gente di ogni dove si accalcava verso la piazza, decisa in tutto e per tutto a presenziare al grande discorso, e trovare una strada percorribile diventava mano a mano più complesso e lento, seppur l'assenza di sguardi minacciosi o frasi ingiuriose mi facesse ben sperare.
Come attendente di Ryellia, per quell'occasione, sopra la corazza indossavo un tabardo grigio con un grosso dragone al centro del petto: le insegne Lancaster. Nonostante tutte le maldicenze, i voltagabbana ed i tradimenti, non potevo trattenere quel piccolo ed innocente moto d'orgoglio che mi saliva dritto dal cuore, quasi l'indossare quel semplice pezzo di stoffa potesse elevarmi ben al di sopra della mia condizione di semplice scorta armata. E già nella mia testa vagavo, per quelle strade, sognando un futuro in cui tutto fosse andato per il verso giusto,
il nostro verso, rendendomi orgogliosa del mio passato. Ma la realtà era ben più tangibile e brutale, senza spazio per la commozione e il sentimentalismo, qualcosa che richiedeva tutta la mia attenzione e la mia razionalità. Dover difendere Ryellia in un luogo gremito di persone a quel modo poteva rivelarsi un'impresa ben più ardua che riportare al potere i Pari.
Sfilai dalla cintura un piccolo cerchietto di stoffa attorcigliata, a bande grige e rosse, e lo calcai sulla testa quasi fosse una ghirlanda di fiori. Anche quel piccolo oggetto, che richiamava i colori del Casato, faceva parte dell'abbigliamento formale necessario alle occasioni pubbliche. Tra l'altro, me ne resi conto solo in quel momento, era la prima volta che assistevo ad un incontro di nobili di mia spontanea volontà! Per molti sarebbe stato poco più di un pensiero sciocco o indifferente, ma per una persona come me, che aveva passato vent'anni chiusa tra quattro mura, quel singolo singhiozzo di scelta, di libertà, valeva tutto il dolore e le ingiustizie subite.
In breve, poco più di due minuti, eravamo in posizione per assistere all'ingresso di padre Zeno sulla pubblica piazza.
Il tutto era stato magistralmente allestito per far sembrare quel luogo il più simile possibile ad un luogo idilliaco ed immacolato, persino il Sovrano stesso sembrava aver benedetto il cielo donandogli un sole vivido e caldo che bagnava dolcemente i tetti di Ladeca. Quello, dopo tanti giorni passati alle pendici delle creste rocciose, era uno spettacolo che non potei esimermi dall'adorare. E proprio lì, davanti a tutti noi, con le sue vesti tinte dalla luce del sole, Padre Zeno avanzò verso i suoi fedeli con passo sicuro, senza esitazione, ostentando così tanta fermezza da far breccia persino nel mio spirito. Alzai gli occhi verso Ryellia, mentre le parole del pastore iniziavano ad echeggiare nella piazza, cercando in lei un qualche tipo di conferma, di risposta a domande che non riuscivo a comprendere. Ogni mia convinzione, ogni mia certezza, persino ogni mio desiderio impallidiva e sbiadiva dinnanzi a quel grande mistero che era la mia fede. In me vivevano due parti, una estremamente razionale, cinica e machiavellica, e l'altra inguaribilmente romantica, altruista, devota. Da quando la mia strada aveva incrociato quella della Dama Rossa le cose erano lentamente cambiate, io ero cambiata, perché non potevo più restare a sognare nel mio mondo idilliaco fatto di storie perfette, di immagini inviolabili. Dovevo scontrarmi con la dura realtà delle cose, con la morte, con la guerra e persino con le parole ruvide del Corvo, che altro non erano se non un disperato appello all'unità di un popolo ancora frammentato, diviso, innegabilmente fragile.
« È bravo. » commentai a bassa voce. « È dannatamente bravo. »
« E su una cosa ha ragione: non possiamo tornare indietro... se vogliamo batterlo dobbiamo andare nella sua stessa direzione e tagliargli la strada al momento opportuno. » socchiusi gli occhi, portandomi l'indice mancino a carezzare le labbra. « C'è molto lavoro da fare. »
Zeno aveva paura. Mi ero convinta che Zeno avesse maledettamente paura di ciò che avrebbe riservato loro il futuro. Si appellava all'unità, bramava un potere collettivo che nessuno di loro singolarmente, né tutti assieme, sarebbe mai stato in grado di gestire. Come se il regno potesse essere fondato solamente su begli ideali, principi morali solidi e qualche onesto popolano desideroso di mettersi al lavoro! Come avrebbe pensato, quel vecchio, di sistemare tutti i conti rimasti in sospeso con i nobili? Come avrebbe potuto vincere una guerra religiosa contro il Priore? In quel meraviglioso discorso aveva tralasciato di indicare quale era il suo piano per sistemare le cose, invitando noi a farlo per conto suo, puntando il dito sugli altri, dando al popolo un nemico comune. Aveva fatto esattamente ciò che avrei fatto io al suo posto, ma allo stesso tempo aveva semplicemente passato il testimone ai suoi nemici, scusando la sua inadeguatezza con la nostra eventuale mancanza di collaborazione. Solamente due tipi di persone avrebbero potuto orchestrare un simile espediente: quelli particolarmente stupidi o quelli particolarmente geniali. E, visto che era in circolazione da quasi il triplo dei miei anni, era giusto dare per scontato che Zeno ricadesse nella seconda categoria.
E poi c'era la questione di Zoikar. Chi era davvero Zoikar? Che differenza faceva sapere il nome di Dio e con quale diritto quell'uomo lo pronunciava impunemente a tutta la piazza? Il Sovrano aveva risposto ad ogni mia preghiera, ogni mio appello, aveva guidato la mia mano sin a quel momento senza che io conoscessi il suo nome e non sarebbe cambiato nulla adesso. Ma il dubbio, quel piccolo germe molesto, mi stava sussurrando all'orecchio che forse Zeno non mentiva solo per approfittarsi della folla, solo per dare più peso alle sue parole. Sin quando Zoikar, il Sovrano, Dio o qualunque fosse il suo nome avesse ascoltato le mie preghiere, io avrei continuato a venerarlo per meritarne la benedizione. A prescindere da qualsiasi appellativo mortale.
« Sostanzialmente ha passato a vossignori la responsabilità delle sue azioni. »
Dissi, con tono sprezzante ed ironico al tempo stesso. Aveva colpito nel segno, nessuno di noi era in grado di presentare una controffensiva tale da smontare le sue tesi, per adesso, visto che gran parte del potere nobiliare risiedeva ancora nei possedimenti armati, nelle bande mercenarie e nel dominio del territorio. Lanciare una guerra su larga scala contro dei civili avrebbe semplicemente portato il regno all'autodistruzione, alla rivolta contro qualsiasi genere di autorità, e non potevamo permetterci di lanciare un fiammifero acceso in quella polveriera. Dovevamo incassare il colpo ed essere cauti, agire d'astuzia e combattere i nostri nemici in un terreno decisamente più vantaggioso per noi che per loro. Dovevamo far qualcosa di inaspettato, qualcosa che distruggesse, una volta per tutte, l'idea che i Pari fossero in qualche modo legati al
Regno del Terrore.
Guardai Ryellia, notando come anche lei fosse turbata da quel discorso. La mia signora, purtroppo, non aveva ancora accettato di buon grado il fatto che in diplomazia si dovessero accettare tutte le sfaccettature del prossimo e, anzi, pareva proseguire nella ferrea educazione sociale Lancaster, che prevedeva pietà zero e poche interazioni umane. Allarmata da una possibile brutta reazione mi avvicinai a lei sussurrandole poche parole.
« Mia signora, ricordate cosa abbiamo detto riguardo la religione? » attesi un istante. « E del popolo, mia signora? »
Mi guardò in cagnesco, ma non c'era molto altro che potessi dire se dovevo occuparmi di farne un'eroina popolare. Certo se l'avessero vista sbraitare di guerra e morte a destra e manca ogni mia possibilità sarebbe svanita nel nulla. Dovevamo salvare le apparenze, almeno sino a quando le cose non fossero migliorate per noi.
Sospirai, nascondendo la mia insicurezza, agli occhi della donna, dietro un lieve sorriso.
La mia speranza era di cambiare quella situazione, di trovare un compromesso che andasse oltre le banali richieste di Zeno, di fare da ponte tra due mondi troppo diversi per essere mai entrati davvero in contatto. Il valore delle idee da solo non bastava più, Mathias Lorch aveva annichilito ogni speranza dal cuore della gente che adesso, giustamente, voleva solo essere libera dal giogo di un nuovo tiranno. Servivano le terre de nobili, le loro armate, il loro estro. Servivano le braccia dei contadini, dei fabbri, dei carpentieri. Servivano le parole di uomini come i Corvi Leici, che tenessero alta la speranza anche nei momenti bui. Ma più di ogni altra cosa, più di ogni roseo futuro, ci serviva una guida in grado di unirci tutti assieme sotto un solo regno, e questo non poteva essere ottenuto senza un potere centrale. Pensarla diversamente era
banalmente inefficace.All'improvviso Ryellia vide qualcuno tra la gente, di cui io non mi ero resa conto assorta nel contemplare la figura bianca sulla piazza.
Era Erein, la sua presenza non mi sorprese affatto data l'importanza dell'evento, e per non mancare di rispetto accorsi a presentarlo a tutti.
« Mounsieurs e madames, ho l'onore di presentarvi il signore di Deyrnas, profondo conoscitore della teologia e delle arti maggiori, già figlio del casato degli Alti Re della stirpe di Deyrnas, Lord Erein Dewin. »
Alla fine mi inchinai lasciando che l'elegante stregone si prodigasse in un perfetto baciamano.
Nonostante la sua recente comparsa nel panorama politico, Erein mi aveva colpita per la positività dei suoi intenti e la lucidità dei suoi scopi, ben più ponderati e realizzabili di quelli sentiti pronunciare in certe serate.
Una delle accompagnatrici dello stregone prese parola, bacchettandoci quasi sul fatto che almeno Zeno non aveva provato ad ucciderci e, di conseguenza, quella situazione era già molto più a nostro favore di quella apparsa poco tempo addietro nella tiranneggiata capitale. Come non darle torto. Mi strinsi nelle spalle, accettando quella piccola intromissione come uno stimolo a vedere più positivamente la cosa, e a non lasciare andare nessuna possibilità.
Alla fine l'uomo riprese parola, cercando di capire come avessimo preso il bel discorso al popolo.
« [ ... ] voi cosa ne pensate? »
Mi voltai a guardare un istante la folla, che supponevo essersi messa a parlare, al pari nostro, discutendo le proprie conclusioni, i propri pensieri, su quelle lungimiranti e pacifiche idee di comunione.
« Sta giocando molto bene le sue carte. Dare un nemico comune al popolo lo renderà fiero e unito, per un poco almeno. Anche se ... »
Non terminai la frase. Era come se mancasse qualcosa in quell'intervento, una figura emblematica, il volto che avrebbe portato gli esseri umani ad unificarsi. Che senso aveva mettersi una maschera, celare il proprio volto, quando lo scopo delle parole che aveva pronunciato altro non erano che umiltà, uguaglianza, trasparenza? Sotto quella maschera senza espressione poteva esserci il viso di chiunque, anche un mostro o di un traditore. Se quell'uomo avesse davvero avuto la forza d'animo che chiedeva ai suoi seguaci non sarebbe giunto da loro a volto coperto, come una specie di profeta anonimo, ma avrebbe parlato loro da uomo a uomo, proprio come quella gente aveva bisogno che facesse. Ma questo, forse, era già chiedere troppo ad un uomo di sola chiesa.
Il discorso tra Ryellia ed Erein verté su questioni più materiali, come la collaborazione del Casato, e sospirando tentai d'essere di aiuto.
« Per quanto dolga ammetterlo, Zeno sta lavorando sin troppo bene. Ma le sue parole non sono inattaccabili, se capite cosa voglio dire... » tamburellai con le dita, nervosamente, sull'elsa della spada « ...invero penso che abbia appena ammesso la sua debolezza. Pensateci. Sta chiedendo unione, perché non ne ha all'interno del popolo. Se vogliamo vincere dobbiamo spingere con tutte le nostre forze in quella direzione. »
« Ci serve il popolo, miei signori, e forse ho una idea su come ottenerlo... »
Un'affermazione audace, specie in mezzo a tanti uomini che vedevano nel popolino di provincia un mero strumento meccanico per il lavoro e per la guerra. Dovevo iniziare a sensibilizzare tutti quelli che mi era possibile sull'importanza di avere l'appoggio politico delle grandi masse: Basiledra era stato un campo di prova piuttosto ampio sul potere offensivo di una massa rivoluzionaria e nessuno di noi, né Pari né Leici, voleva vedere nuovamente un massacro del genere. Per ottenere un simile risultato, però, il lavoro doveva partire indiscutibilmente dal Concilio, e non dal popolo, visto che eravamo noi a doverci dimostrare per primi aperti al dialogo. Zeno ci aveva messi nella condizione di infliggere una schiacciante sconfitta a tutti quanti o di essere sconfitti a nostra volta. Era tutto un gioco di equilibri a quel punto.
Lo stregone e la mia signora non mancarono di lusingare la mia tesi, chiedendomi cosa, effettivamente, avrebbero potuto fare. Non li feci attendere ulteriormente, arrossendo sulle gote per i complimenti ricevuti.
« Le vostre parole di lusinga sono immeritate, miei signori » mi voltai, dandogli inavvertitamente le spalle pur di guardare ancora una volta Zeno. « Semplicemente... lo usiamo. Lui vuole la pace, la cooperazione? Bene, facciamo ciò che ci ha chiesto... nulla di più semplice. Basterà convincere il Concilio a stilare una lista di diritti civili da presentargli. Nulla di eccessivo, voglio solo mostrare che non siamo come pensano. » feci una piccola pausa, pensando bene alle parole da usare. « La politica si basa sulle alleanze, a questa gente non farebbe più paura nemmeno un esercito di diecimila uomini... » infine mi voltai nuovamente verso i miei interlocutori. « ...ma dei nobili con una offerta di pace? Questo sì che li spiazzerebbe, dividendoli in modo irreparabile e spianandoci la strada. »
Machiavellico? Forse. Efficace? Forse. Eppure era pur sempre la migliore offerta che potevo fare, la migliore mediazione possibile che i Pari mi avrebbero mai concesso di portare ai loro nemici. Non potevamo più procedere su strade parallele che ad ogni incrocio finivano per sbattere inevitabilmente assieme, generando caos, disordine, sofferenza. Dovevamo creare una strada più larga, dove potessimo stare tutti assieme perseguendo il medesimo scopo. Che poi a raggiungerlo alcuni ci mettessero due giorni ed altri tre anni era del tutto indifferente, se il premio finale rendeva felici tutti. C'era da lavorare, molto, ed il mio lavoro come voce di Ryellia Lancaster non era che appena iniziato.