Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Arcana Imperii ~ il prezzo del potere

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view post Posted on 13/3/2015, 23:06
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Maestro
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Tamburellava nervosamente.
Sulla sfarzosa poltrona imbottita di piume d'oca, il Priore si poggiava con cura. Aveva provato a dar fondo a tutta l'ampiezza del morbido cuscino, ma senza successo; per qualche motivo la comodità di quel seggio era soltanto apparente. Sprofondava in più punti, creando una seduta instabile e precaria. Era costretto ad adattarsi ogni istante a una nuova posizione, in un equilibrio instabile che doveva bilanciare ogni istante di più.
In fondo, sembrava un po' una metafora di quella sfarzosa vita. Apparentemente bellissima, ma costantemente precaria.
Scomoda.

« Ha un sapore salato » disse Viluca, poco distante « --caldo... »
Caino la squadrò, portandosi per l'ennesima volta più vicino al bordo della poltrona. « Smettila, davvero » asserì, secco, « questo posto ci preoccupa già abbastanza. »
Viluca trattenne un leggero sorriso, piegando le labbra in un sottile bacio. Si toccò nuovamente la mano destra, dandosi l'ennesima leccata. Caldo e salato pensò, ma non lo disse più.
Poi si guardò in giro, giocherellando con un bicchiere di cristallo trovato sul tavolino poco distante. La villa era maestosa e ricca al tempo stesso; gli arazzi sulle pareti ribattezzavano il passato più antico con l'epicità di un romanzo storico, impiegando colori accesi e pennellate color oro e porpora per dispiegare la forza del messaggio insito. Per lo più erano eredità della storia della città, con rappresentazioni di vittoriose guerre, mirabolanti imprese e ritratti di potenti nobili.
Nulla che lasciasse trapelare un lignaggio fiorente o qualsivoglia blasone del padrone della villa. Soltanto occasioni, dipinte sulle mura come trionfi di altrettanti affari.
Occasioni di virtù o di opulenza. Occasioni nelle quali si ergeva sempre un vincitore; un virgulto che si levava tronfio della propria potenza, ma si reggeva precario sui debiti contratti con qualcuno. Qualcuno molto più discreto, che alla pubblica vetrina preferiva il tintinnio delle monete, cadenzato entro il buio del proprio remoto dileggio.
Una mano che si muoveva nell'ombra e beveva al calice della vittoria senza bagnarsi mai le labbra.
Viluca rimase affascinata da quell'allegoria ipocrita e prese a scorrere ogni singolo quadro, circondando la sala in un tenue balletto.

« Siediti, Viluca » sussurrò Caino, nuovamente. « Non te lo diciamo più. »
« Oh maestro » sbottò la donna, infine. « Che vi prende? »
Inarcò il busto, puntando il corsetto violaceo verso di lui; gli occhi poi si fecero fintamente tristi, mentre la bocca la trasformava in una smorfia di disappunto. Si fingeva una bambina offesa, richiamata all'ordine proprio nel mezzo del suo spensierato trastullarsi. « Questo posto è così... affascinante » aggiunse, guardandosi nuovamente in giro, « dovrebbe piacervi. »

Dovrebbe.
Caino sbuffò ancora, tamburellando con le dita sottili sul bracciolo della poltrona.
A lui non sfuggiva il doppio senso di quel posto. Non sfuggiva la linea sottile che congiungeva ciascuno di quei trionfi, di quei personaggi e di quei lussi. Non sfuggivano i fili sottili e le trame sottese a quella rete di pregiudizio e opulenza, sommessi sotto un soffuso livore offuscato e traslucido, ma visibile a chiunque avesse l'accortezza di leggere al di là del velo di falsità che vi era giustapposto.
« Invece non ci piace » asserì, laconico. « Non ci piace essere presi in giro; non ci piace aspettare. »
« E non ci piace che qualcuno si prenda gioco di noi » disse ancora, freddo, « sopratutto dopo il benvenuto che ci è stato riservato. »
E la mente scivolò rapida agli eventi di qualche ora prima; sbuffò nervoso, stringendo il pugno in un gesto di stizza.
« Ah, quello? » Rispose Viluca, portando gli occhi al cielo. « Ma cosa vi aspettavate maestro? »
« Qui siamo al Sud » ribatté, lasciva, « che ne sanno questi indigeni senza cervello della vostra arte politica? »
« Non conoscono la vostra grandezza e rispettano soltanto chi si dimostra all'altezza dei loro coltelli. »
Poi fece un passo indietro, ripendendo a fissare gli arazzi attorno a se. « Noi siamo di tutt'altro spessore; noi coviamo il seme del potere... »
« ...e rispettiamo soltanto chi si dimostra all'altezza del nostro prezzo. »

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Taanach
Qualche ora prima.


La carrozza si fermò nel centro della piazza.
Attorno a se si era trascinata occhi e sguardi indiscreti, nonché un sommesso vociare stimolo di altrettanto pettegolezzo.
D'altronde Taanach non poteva dirsi una città riservata. Le vie del commercio brulicavano di voci e persone; masse che si smuovevano in lungo e largo, accostate a schiamazzi e vociare indistinto, proprio dei bardi in cerca di monete e dei mercanti in cerca di affari. Invero, tutto poteva sembrare normale e ovvio, meno che una preziosa carrozza che si faceva largo attraverso la via altrimenti frequentata soltanto dai carretti dei mercanti.
L'uomo che li accolse fece finta di non vedere null'altro che loro. Aveva una barbetta grigia adagiata sul mento come una lingua sottile, mentre nascondeva occhi piccoli dietro ampi occhiali scuri. Una tunica rossiccia ne nascondeva il corpo e parte del viso, mentre le rughe sulle guance si contorcevano in uno stentato sorrisetto.
« Benvenuti a Taanach eccellenza » li accolse l'uomo, « spero abbiate fatto buon viaggio. »
« Oh il mio culetto lo avrebbe gradito » rispose di getto Viluca, che per prima saltò giù dal carro, sollevando gonna, vento e ulteriori sguardi indiscreti.
Dietro di lei, la seguiva Caino. Pochi passi lenti, appena accennati.
« Il viaggio è stato lungo » disse soltanto il Priore, guardandosi in giro, « il viaggio fino all'Akeran è sempre troppo lungo. »
Poi si fermò, insistendo sul fare suadente e accomodante del loro interlocutore. Lo studiò un attimo, abbastanza da trovarlo già troppo fastidioso e ruffiano.
« Voi... sareste? » Chiese Caino, seguitando a fissarlo negli occhi.
« Virius, per servirvi » ribatté l'uomo di risposta, « ...niente più che qualcuno che avrà l'onore di accompagnarvi, se me lo consentirete. »
Abbozzò un tenue inchino, senza perderli di vista; poi, indicò una via laterale, ai margini della piazza.
« Vogliate seguirmi, prego. »

La massa informe di persone asserragliate intorno al carro si dileguò come un lamento lontano.
Ben presto, infatti, alla chiassosa piazza sostituirono uno scuro vicolo, soffocato sotto i palazzi di pietra tozza e scura, nonché sorvolato dalla poderosa ombra di un grosso pinnacolo di pietra.
« La gente è affascinata dalla vostra venuta » riprese Virius, serenamente, « non capita di frequente di vedere uno come voi, da queste parti. »
Poi si arrestò, sciogliendo il sorrisetto fastidioso in una espressione di perplesso stupore. « Eppure, consentitemi un interrogativo, eccellenza. »
« Cosa mai potrà volere il potente Caino da noi? »
Caino si arrestò, quasi avesse udito una bestemmia. D'altronde, la gracile ingenuità della domanda lo preoccupava molto più del suo significato.
« Sapevate del nostro arrivo e ci indicate il passo verso l'obiettivo » rifletté, lucidamente.
« Non vi sarà già abbastanza ovvio? »

Virius sorrise piano. L'accenno di barba grigiastra vibrò, scostandosi in armonia con le labbra violacee. Attraverso di esse, Caino mirò i denti nerastri che si divertivano attraverso di esse e un brivido risalì lungo la schiena. « Va bene » asserì l'uomo, sornione, « allora riformulerò la domanda. »
« Qual è il prezzo del vostro regno, Caino? »
« Il prezzo? » Ribatté il Priore, innervosito. « Cosa vorreste dire? »
« Vorrei dire che il vostro tempo non vale molto più del mio » disse ancora, facendo pochi passi verso di lui « quindi vorrei sapere cosa vi da la presunzione di credere il contrario. »
Silenziosamente, una lama oscura scintillò sotto la sua manica sinistra, scivolando nel palmo sorretta dalle dita sottili. Virius l'accarezzò piano, tenendola ben nascosta dalla vista del suo interlocutore.
Nel mentre, si portò a pochi passi da lui. Il suo naso adunco poteva quasi toccare quello del Priore e il suo respiro rancido lo raggiungeva con ribrezzo.

« Ditemi Priore » ribatté, divertito, « eğer gücün bedelini ödemeye hazırız? »
Siete in grado di pagare il prezzo del potere?

E mosse il braccio rapidamente, divincolando la lama in direzione degli occhi del suo nemico.
Eppure, non fece in tempo a scagliare nemmeno un colpo. Sbarrò gli occhi, fermando il braccio prima di raggiungere il suo avversario.
La lama cadde in terra e Virius si piegò, fino a stendersi al suolo, morente. Viluca, alle sue spalle, si leccava la mano sporca ancora del suo sangue.
« Caldo e salato » disse, scorrendo la lingua rossa sulle dita affusolate. « Dobbiamo andare via, maestro? » Chiese poi, interdetta.
« No, dobbiamo restare » rispose Caino, visibilmente nervoso « è evidente che siamo nel posto giusto. »
Concluse e i due si incamminarono verso la sontuosa villa alla fine del vicolo.



Scena privata. Si prega di non postare.
 
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Lhissra'had Essien
cuorenero

— il prezzo del potere —

5DKh8IK

« La notte verrà a rodere e mangiare. Vedete?
Come un infedele vende di nuovo il cielo per una manata di stelle spruzzate di tradimento. »

Lhissra'had
magione Essien; Taanach


   Non ho mai avuto la presunzione di credere che una donna potesse avere la stessa forza di un uomo.
   Invero, sono convinta dell'esatto contrario: credo che per tutte noi giunga il momento di scendere a patti con la propria fragilità, prima o poi. Per alcune si tratta di una realizzazione confortevole, suggerita da un amorevole gesto di protezione, mentre per altre è l'esecuzione di un'idea grave e spaventosa, a suon di traversie e percosse. Maturiamo con la tremenda sensazione che gli altri possano ferirci in qualsiasi momento, senza che a noi venga concessa la possibilità di rispondere allo stesso modo; attecchiamo in un mondo di uomini a cui basta avere la luna storta per decidere di rivoltarsi e colpirci. Essi è come se fossero sempre sul punto di perdere il controllo; noi siamo come bambole di vetro che si riparano dietro al decoro: "forse se sarò abbastanza bella ed educata, non mi picchierà."

« Metres Essien. »

   Questa è senza ombra di dubbio la nostra arma più potente. Il decoro. Compatisco quelle donne che rinunciano a questo espediente in virtù dell'illusione di potersi battere ad armi pari con gli uomini. Esse scendono al loro livello, ripudiando il genere femminile tutto trasformandosi a loro volta in schegge impazzite, pronte a menare pugni e calci contro chiunque ritengano essere loro nemico; e per quale ragione, poi, se non quella di potersi vantare di aver avuto la meglio su uomini meno addestrati, meno alleati - e dunque presumibilmente meno pericolosi - di loro?
   Le armi di noi donne stanno in altro: sono fragili e sottili, ma se vengono infrante sono in grado di armare l'intera razza umana contro il singolo individuo che ha deciso di oltraggiarci. Non compensano la nostra fragilità, forse, ma possono scatenare reazioni ben più dure di un pugno o di un calcio.
   Una donna che sorride sempre è una donna che tiene una lama contro la gola del mondo.

« Metres Essien? »

   « Hazine, dimmi. »
   « Il priore Caino e la sua compagna sono stati fatti accomodare nel salotto; vi stanno aspettando. »
   « Aspetteranno, Hazine; sono certa che il priore comprenderà il mio desiderio di mostrarmi a lui solamente quando sarò pronta. » lo confortai mentre allungavo le mani agli orecchini. « Ma fate in modo che siano ben serviti. Portate loro tè nero, involtini di verdure e bocconcini di pavone. Prendete anche una bottiglia di nero di Qashra per accompagnarli e mettetela in tavola. »
   « Sarà servita. »

   Sarebbe stato ingiusto, però, paragonare Caino a qualsiasi altro uomo. Di certo il priore non mi sarebbe saltato al collo nel mezzo della discussione; di certo era un giocatore in grado di trattenersi, indipendentemente dal suo disagio. Incontrarlo sarebbe stato confortante: sarebbe stato come partecipare a una partita di scacchi dopo mesi e mesi di dama.


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   Lasciai che fossero gli schiavi ad aprire la pesante porta che mi separava dal salotto; le vesti e i gioielli non mi avrebbero permesso altrimenti, senza contare che sarebbe stato uno spreco delle mie preziose energie. Indossavo un abito leggero ed elaborato; un drappo di seta azzurro che mi copriva le spalle, il busto e le gambe, lasciando scoperto il ventre, il collo e le braccia, carichi d'oro. Volevo che Caino capisse la disparità nelle nostre ricchezze sin da subito; quella stessa disparità che doveva essere stata la ragione del suo viaggio.
   Procedetti a piedi nudi, rabbrividendo per il contatto col marmo freddo del palazzo e facendo poco nulla per nascondere quella fragilità. Ero nuda, con indosso solamente il frutto delle mie più grandi risorse. Sorrisi con amore al priore e alla sua compagna, che era tanto pallida da sembrare malata.
   « Vogliate perdonarmi l'attesa, signori. » mi scusai, spostandomi verso di loro e prendendo posto su un divanetto poco distante. Feci cenno ai servitori di portarci altro cibo e loro scattarono fuori dalla stanza. « Sono onorata di poter offrire la mia ospitalità a due delle più alte cariche del sacro dicasterio. Comprenderete certo che la vostra visita mi ha colta impreparata. » Falso, ma quella contrattazione si sarebbe svolta su più livelli e speculando su numerose menzogne. « Ma spero che abbiate gradito le pietanze e gli intingoli che vi ho fatto preparare nel frattempo; ho pensato che la migliore accoglienza che avrei potuto dedicarvi sarebbe stata di concedervi un assaggio dei sapori e degli odori della mia terra, di modo che potessero rilassarvi prima della nostra conversazione. Ho saputo dell'incidente a cui siete andato incontro per le strade di Taanach e vorrei aiutarvi a dimenticare, se possibile; trovo increscioso che crimini di questo tipo avvengano ancora così frequentemente, in una città come la nostra, e state certi che in futuro mi adopererò per arginarli. »
   Dedicai loro un cenno di elegante cortesia con la mano, sorridendo amabilmente e constatando sgradevolmente che il peso dei gioielli che avevo portato con me a malapena mi permetteva di alzare le braccia. Sentii la pelle, contraendosi per l'espressione di calorosa accoglienza, tirare contro il trucco pesante degli occhi e disfarlo sorriso dopo sorriso.
   Quella discussione sarebbe dovuta terminare fintanto che lei aveva il coltello dalla parte del manico. Prolungare le trattative non avrebbe condotto ad alcunché.

« In effetti, a parità di condizioni, avrei dedicato la stessa accoglienza anche a Lord Aedh e a quell'adorabile personaggio di Zeno, ma loro si sono limitati a inviarmi cortesi richieste d'aiuto via lettera. »

 
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Maestro
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Taanach
magione Essien

Ars politica; ars rhetorica

   Alla vista della padrona di casa Caino si sforzò di non lasciarsi confondere.
   Tutto in quella casa parlava di lei, delle sue virtù più lascive e della sua superiore opulenza. Niente meno, tutto ciò si incarnava nel suo corpo esile, scivolandogli indosso come tutte le bramosie non dette, trattenute tra i denti e strozzate in gola. Allo stesso modo, il Priore si sforzò di non dirle; di non notale e di farsele scivolare addosso come le più ovvie delle abitudini.
   Come se fosse normale. Come se chiunque, perfino a Dortan, accogliesse gli ospiti a piedi nudi e con indosso niente più che un piccolo strato di stoffa, impreziosito e vistoso più di tutto il resto della mobilia della casa messa insieme. Come se fosse ovvio ostentare improvvisazione e poca accortezza, in una magione tirata a lucido e in portamento vestito e ostentato, col te nero del deserto già pronto in un servizio di ceramica.
   Come se fosse vero che la criminalità a Taanach aveva trasceso il buon senso, finanche attentando la vita del fu Reggente del Casato reale di Dortan, quasi fosse il modo più intelligente per sbarcare il lunario. Come se la loro visita non fosse stata taciuta ai più e come se nessun vagabondo di Taanach potesse realmente vantare tanto fegato e potenza da uccidere Caino con una mezza lama sotto la manica.
   Nonostante tutto, ostentava finta umiltà. Come se tutto quello fosse normale.
   Caino la accolse con un mero accenno del capo, ostentando sicurezza e brandendo la sua tazza di te nero del deserto come uno spartito dietro il quale rifugiarsi.
   Diede due sorsi, mentre udiva il ripetersi di etichette e cordogli, quasi ne avesse uditi tanti. Quasi potesse sentirne uno particolare o quasi si volesse convincere che davvero la donna che aveva innanzi pensava ogni singola parola di quanto detto. O non se le fosse preparate da ore, quantomeno.

   Nel mentre, soppesava l'ironia.
   L'incresciosa incoerenza di un signore del Priorato che scende entro i comuni viottoli di Taanach per elemosinare l'altrui potere. Per trascendere entro la mortalità e mortificarsi col peggiore dei peccati. L'opulenza; quella stessa opulenza di potere di cui non avrebbe dovuto mai aver bisogno. Perché lui il potere l'aveva avuto in dono dal destino e gli era stato solo sottratto; brutalmente rapinato del più doveroso dei suoi privilegi. E questo l'aveva costretto li, a subire le angherie di una matrona impreziosita dei propri vezzi e pronta a sbattergli in faccia il proprio sufficiente arbitrio.
   Quasi non fosse un onore supportare la sua causa.
   « Guardala, maestro » disse Viluca, sussurrandogli in un orecchio « guarda la sua pelle scura; si sarà lavata? »
   E poi c'era lei. Due concetti di bellezza e di approssimazione. Una ferale velleità, gravata dalla pancia e ostentata in una volgarità trascendente. Che sprizzava lussuria da ogni poro e sbarcava ovunque con un fare ameno e dissacrante, mai ragionato ma - il più delle volte - ineducato per modi, presenza e ardimento. Assolutamente un altro mondo, un lato verso della medaglia in confronto alla signorilità regale e fittizia della matrona che li aveva accolti.
   Un contrappeso altisonante che rimarcava ulteriormente lo stato di disordine che il mondo stava vivendo.
   Il peso del tempo iniziavano a farlo le donne. E se quello non era un segno funesto, allora nient'altro avrebbe potuto esserlo.
    « ...a parità di condizioni, avrei dedicato la stessa accoglienza anche a Lord Aedh e a quell'adorabile personaggio di Zeno, ma loro si sono limitati a inviarmi cortesi richieste d'aiuto via lettera. »
   Quando la donna proferì quella frase, a Caino andò quasi di traverso il te.
   Viluca si voltò fissandolo intensamente e ai suoi vezzi da donna indispettita sostituì un fare più premuroso, a metà tra il preoccupato e l'atterrito. Prese a sorreggergli un braccio, quasi ritenesse consono aiutare il Priore come si fa con i vecchi malati. Caino, di risposta, le allontanò il braccio con un gesto del gomito. Era già abbastanza fastidioso farsi bestemmiare in quel modo; non avrebbe dato a lei nessun'altra soddisfazione.
   Si asciugò le labbra lentamente, appoggiando la tazza di ceramica sul vassoio dal quale l'aveva presa. Poi attese un istante, per raccogliere le idee. Per trattenere la frutrazione.
   « Come vedete, madame » parlò poi, con tono sicuro, « noi ci preoccupiamo dei nostri benefattori direttamente. »
   « E un viaggio attraverso il deserto dei see vale ogni istante del vostro tempo; non si può dire che quegli altri possano affermare altrettanto, evidentemente. »
   Poi si levò dal seggio, avvicinandosi a lei e portandosi in un posto che fosse più consono a quella discussione. Per parlare faccia a faccia; per reggere il tono della conversazione nei suoi occhi, unica bocca che non avrebbe potuto mentirgli.
   « D'altronde, credo altresì che ci sia un fraintendimento » aggiunse poi, secco « noi non vi parliamo di competizione, né della migliore offerta. »
   « Vi parliamo di un rapporto in esclusiva in cui voi avrete l'onore di collaborare con l'unica vera autorità di Dortan. »

   Poi si passò una mano sul viso, massaggiandosi piano la fronte.
   Gli occhi stanchi ripresero a fissare i suoi intensamente, guadagnando un tono chiaro e giallastro, tendente all'oro. Cercando di omaggiare la sua abbronzatura con altrettanto fascino bronezo, ma più subdolo e cadenzato. Rivangato in una mano suadente che le sarebbe scivolata nel petto e l'avrebbe svuotata di ogni certezza.
   « Siate onesta con voi stessa, madame » asserì nuovamente, non un tono più intimo, « non siete provata da questo puzzo democratico? »
   « Non pensate anche voi che il popolo meriti il bene che non si può permettere, ovvero quello pregno di un potere divino che solo gente come noi può conferir loro? »
   Poi attese un momento, prima di riprendere. « Credete davvero che qualunque uomo possa ergersi padrone di chissà quale popolo, senza esserne degno? »
    « Credete davvero che impostori come Aedh Lancaster o Zeno meritino la vostra attenzione? »
   O il vostro aiuto?

 
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Lhissra'had Essien
apologia della menzogna

— il prezzo del potere —

5DKh8IK

« L'ipocrisia è soltanto un vizio simile agli altri, debolezza e forza, istinto e calcolo.
Invece una menzogna così totale che alimenta ciascuno dei nostri atti deve abbracciare strettamente la vita, sposarne il ritmo. »

Lhissra'had
magione Essien; Taanach


   Come poteva il priore essere così disgustosamente trasparente? Possibile che fosse cambiato così poco dai tempi in cui le guerre dei Quattro Regni si combattevano a pugni e calci? Erano trascorsi anni, eppure gli esponenti politici di Dortan persistevano a comportarsi come dei selvaggi; barbari incapaci di comunicare. Non mancai di notare come né Caino né Viluca si erano preoccupati di porgere i loro ringraziamenti per la mia ospitalità, o di commentare il cibo che avevo servito loro in tavola; d'altronde che cosa mi sarei dovuta aspettare da una donna così volgare da toccare il suo uomo e sussurrargli nell'orecchio in pubblico? Se voleva darmi l'impressione di essere la puttana di un re barbaro scesa per la prima volta dalle montagne, ci era senza dubbio riuscita.
   La loro franchezza non poteva essere interpretata in altro modo che come un insulto a tutto ciò che gli era stato presentato. Essi sputavano sulla raffinata rete di menzogne che avevo costruito, calpestandola e sperando di poterla tagliare per parlarmi direttamente. Avrebbero dovuto ammirarla, invece, poiché a Taanach non vi era meraviglia più grande di quella: un filo intricato che legava gli uomini al denaro e il denaro a me.
   Caino insultava me e le mie bugie, asserendo che "avrei dovuto essere onesta con me stessa". Le sminuiva e le riduceva, incapace di rendersi conto della loro articolata e difficile costruzione; le classificava come semplice ipocrisia, quando esse costituivano una vera e propria armatura contro il mondo; un'arma che avrebbe potuto ucciderlo seduta stante. Non ne comprendeva la complessità, né la pericolosità. Non immaginava minimamente quali segreti e atrocità nascondessero - e quali mostri avrei potuto scatenare contro lui e la sua compagna, se solo avessi voluto svelarne l'esistenza.
   « Non siate sciocco, priore. » ripresi, scostandomi una fastidiosa ciocca di capelli dal viso e scaricando in quella risposta tutto il mio disprezzo. « Io sono solamente una donna. Il gioco politico di voi maschietti ha un fascino particolare soprattutto per voi. Avreste di certo apprezzato la possibilità di dibatterne con mio marito, ma io purtroppo temo di non potervi donare una conversazione degna di voi. » osservai Viluca, sperando che quello sguardo li aiutasse a cogliere il fatto che stessi usando la forma cortese del "voi" in riferimento al solo priore, senza comprendere quella puttana. « Vedete, dal mio punto di vista poco importa chi detiene il potere, in realtà: » volli mettere subito in chiaro. « l'adorabile Zeno necessita di denaro per le sue opere d'assistenza; gli orgogliosi Pari per mantenere alto il proprio decoro e voi, Caino, per far funzionare il vostro tribunale. Tutti e tre costituite un ottimo ponte per far circolare i miei affari a nord del deserto, anche se non è questo il punto, no? » e indossai la mia maschera più triste e compassionevole. « È terribile sapere quante risorse siano state gettate nel baratro della guerra! » sciocchi primitivi del cazzo, privi di qualsivoglia lungimiranza ed eleganza. « In effetti, confesso di aver preso a cuore il destino di Dortan e di non riuscire a rimanervi indifferente. La mia volontà è - più precisamente - quella di aiutarvi tutti quanti! »
   Caino non controllava nulla. Non a Taanach, perlomeno, e menchemeno all'interno della magione Essien. Avevo lavorato tanto per occupare la mia posizione e le sue preghiere non avrebbero fatto altro che rafforzarla; tutto il gioco consisteva semplicemente nel soddisfarlo fino a un certo punto; nel civettare; nello stare tra il sì e il no, senza mai concedergli una risposta definitiva e nella speranza che i suoi istinti selvaggi non l'avessero spinto a scagliarsi contro di me. In questo consisteva l'esercizio del potere, più di ogni altra cosa: fintanto che le persone sarebbero dipese da una mia risposta - mai concessa fino in fondo - io avrei avuto in pugno il loro destino e loro non si sarebbero preoccupate di smascherare il mio passatempo. Non avrei dovuto offrire al priore - né ai suoi avversari - alcuna concessione, perché non se ne approfittassero; io ero in testa alla trattativa e in tale posizione sarei dovuta rimanere.
   « Tuttavia è giusto che sappiate che nell'Akeran la buona educazione è ben vista. » se di "buona educazione" si poteva parlare, nel loro caso. « Anzi, qui un gesto di gentilezza vale spesso molto più dell'oro. Vi basti pensare che io stessa mi sono adoperata per raccogliere decine di vagabondi dalle strade e ho offerto loro un lavoro, in cambio soltanto di debita riconoscenza. » indicai i due servitori che facevano la guardia alla porta, perché capissero. « Molti di loro sono impiegati in questa stessa magione e occupano posizioni di prestigio... in effetti, sono molto fortunata ad essere circondata da un così grande numero di servitori leali e riconoscenti. »
   Ma forse Caino e la sua accompagnatrice non erano abbastanza intelligenti da capire le mie allusioni. Avrei dovuto parlare più direttamente, se avessi voluto essere compresa.
   « Andiamo al punto. » conclusi, sorridendo a quel pensiero di infamia. « Non ho intenzione di ignorare il viaggio che avete compiuto... ma mi dolerebbe terribilmente negare il mio aiuto anche a chi altri sta cercando di salvare Dortan! Sarà mia premura adoperarmi perché tutti otteniate parte di ciò che vi serve... »

« ...e chi si dimostrerà cortese, anche qualcosa in più. »
ammiccai a Caino, sollevata.
« Insomma... un favore per un favore. »

 
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