C'è tanto buio, non si vede quasi nulla. Una luce bianca palpita in lontananza. Non credo di poterla raggiungere. Anzi, ne sono certo. Quella luce è la mia salvezza. Ma è sempre più lontana, sempre più lontana. Un mostro nero mi trascina indietro. Sento le dita d'acciaio che perforano la carne, sento il sangue che cola lungo il braccio. Non fa male. Io, però, non posso raggiungere la luce e il buio mi trattiene. Sono finito. Urlo. Mi dimeno. Combatto. La luce si allontana. Scalcio e grido e piango. La luce scompare, rimangono le tenebre. Sono furioso. Mi volto per affrontare il mostro. E trovo la mia faccia, come in uno specchio, che sorride ed esulta.
Robert si svegliò trattenendo il fiato. Impiegò qualche istante per avvertire il sudore sulla pelle, il tocco delicato delle lenzuola e il calore emanato dal respiro della moglie. La testa ronzava. Era nella sua stanza da letto, al secondo piano della sua casa, nel quartiere dove viveva. Non c'erano specchi nelle vicinanze, ma il ricordo del suo volto stampato sulla patina nera dell'incubo era più reale che mai. Quell'immagine spaventosa...lo tormentava da diversi giorni. Non riusciva a capirne il motivo. La finestra della camera era aperta e i primi raggi del sole stavano diradando l'oscurità. Anche gli uccelli avevano cominciato a cantare, segno che il mattino non avrebbe tardato a presentarsi. Robert si calò dal letto e radunò i suoi indumenti. Indossò la maglia da lavoro, un paio di calzoni puliti e le scarpe brutte. Aveva ancora un po' di tempo e voleva impiegarlo in giardino, seduto sulla panchina. Lui adorava l'alba. Gli trasmetteva una serenità tiepida e avvolgente, lo faceva sentire in pace. « Già sveglio? » chiese una voce assonnata alle sue spalle. Sua moglie, ovviamente, lo aveva sentito. Era un vero disastro quando si trattava di delicatezza. « Non ho più sonno. » mentì « Vado a fare un giro prima di andare a lavoro. » « Perché non riesci più a dormire? Cosa ti turba? » Robert si paralizzò. Si aspettava quella domanda. Non così presto forse, ma non poteva sperare di passarla liscia per una settimana intera. Sua moglie condivideva il letto con lui da anni e conosceva le sue abitudini. Si era accorta degli ultimi avvenimenti e sicuramente non voleva ignorare deliberatamente quella situazione. Il problema più grande stava proprio nella risposta: Robert non aveva idea del perché, di notte, apparisse sempre quell'immagine con il suo volto. Non sapeva cosa dire e non voleva spaventarla. « Non lo so, Lilin... » sentenziò infine « ...non lo so. »
Fuggì letteralmente dalla casa, assaporando l'aria fresca del mattino. Il freddo e i brividi sulla schiena lo risvegliarono totalmente, proiettando la mente sulla giornata di lavoro. Organizzò le idee mentre si sedeva sulla panchina e fissava con sincero stupore il chiarore del sole che si elevava sui tetti di Taanach. La città aveva un aspetto diverso durante quelle ore di luce: appariva lentamente, scrollandosi di dosso il manto scuro della notte e rivelando le architetture gotiche, i primi visi dei lavoratori, le piccole piazze nascoste, la forza di una famiglia che si era costruita dal nulla. Veniva da sorridere pensando a quanta gente aveva trovato o perso la speranza nell'Akeran. Poi giunsero le campane. Robert cercò di ignorare il suono lugubre e incessante, ma i suoi occhi andarono a posarsi automaticamente sul corteo in arrivo. Senza volerlo, cominciò a contare le casse di legno che trasportavano lungo la via. Una, due, tre...cinque, sette...dieci, undici. Undici bare soltanto. Frugò nella tasca e trovò il sigaro. Lo accese con un fiammifero e ne assaporò la prima boccata. Solitamente non fumava mai prima di mezzogiorno, ma quell'evento era da festeggiare. La notte era stata magnanima, almeno per gli abitanti di Taanach.
"Solo undici persone hanno cessato di sognare." Robert, naturalmente, non poteva immaginare che quella frase lo avrebbe perseguitato per il resto della sua esistenza.
†
{Deserto Akeraniano, un luogo imprecisato} quattordici anni dopo; alba
C'è tanto buio. Non ci sono luci a rischiarare la via. Vedo il suo volto, vedo il suo sguardo spaventato, vedo il suo sudore sulla pelle. Sento il suo respiro di paura, sento il suo battito accelerato, sento la sua agonia. Mi dice: "no, ti prego". Io non ascolto. Mi dice: "ti scongiuro, ho una famiglia". Io non sento. Continuo a nutrirmi della sua essenza, dei suoi pensieri e dei suoi sogni. La mia mano è tesa per tenerlo fermo, la mia bocca continua a divorarlo. Non mi fermerò, perché ho bisogno di mangiare. Lui urla, si dimena, combatte. Ma il mio artiglio è conficcato nella sua gola, non può fuggire. Lui scalcia, grida, piange. Io continuo a mangiarlo.
Robert aprì gli occhi e fece una smorfia. Allungò un braccio sulla fronte per bloccare i fastidiosi raggi del sole che picchiavano direttamente sulla sua testa. Faceva molto caldo e la schiena bruciava. Si alzò lentamente, distribuendo il peso del corpo prima sui glutei, poi sulle ginocchia e infine sui piedi. La testa girava e pulsava, tamburellava come un orologio. Dove si trovava? Non riusciva a ricordarlo. In verità, non ricordava mai dove stava andando o cosa stava facendo. Ogni giorno era diverso da quello precedente e ogni giorno lui rappresentava un individuo diverso. Con un'anima diversa e pensieri diversi. Si trovava in mezzo al nulla. Il terreno era pianeggiante e sabbioso, pieno di spaccature dovute alla scarsa umidità. Verso Nord si stagliavano i profili aguzzi delle montagne, ad Est e a Ovest si distinguevano i tetti di qualche villaggio, a Sud il deserto continuava fino a perdersi all'orizzonte. Robert puntò in una direzione casuale alla sua sinistra con l'intento di raggiungere il centro abitato più vicino. La scelta non era dovuta ad un ragionamento o all'istinto. Semplicemente non gli andava di fissare una distesa marrone e inutile per il resto della mattinata. Osservare le case e la gente che andava e veniva gli occupava il tempo e lo distraeva dalle immagini che gli affollavano la mente. Fece un passo e inciampò. Guardò subito cos'aveva calpestato: un mucchietto di stracci color ocra, un paio di pantaloni smunti e dei sandali molto rovinati. Si piegò per raccoglierli e si rese conto di essere completamente nudo. Già, non ci pensava mai. Era sua brutta abitudine dimenticare che al risveglio doveva trovare degli indumenti per coprirsi. Fortunatamente qualcuno ci pensava al posto suo. Mentre indossava i pantaloni, una visione lo accecò.
¤ ¤ ¤
...si trovava in un santuario e stava recitando una funzione. Le sue mani raccoglievano uno strano calice d'argento pieno di un liquido color bronzo. Versava un po' di liquido per terra, sporcando un disegno composto da linee e simboli incomprensibili; il resto scivolava giù per la sua gola. Aveva un sapore amaro, ma non era sgradevole. Tanta gente lo guardava e recitava delle preghiere...
¤ ¤ ¤
La visione cessò e Robert rimase fermo. Il gusto di quella bevanda era ancora presente sulla lingua. Si leccò le labbra per non lasciar svanire il ricordo, mentre con una mano continuava a far salire i calzoni. Indossò la tunica e i sandali, poi frugò nelle tasche. Niente sigaro questa volta. « Il monaco non fumava? Mi pare alquanto strano... » dichiarò con naturalezza. Era difficile identificare la provenienza della risposta. Forse veniva dall'etere, forse sgorgava dal sottosuolo. Forse era soltanto nella sua testa. Ma la voce, così cupa e strascicata, non tardò ad arrivare. « Non era un monaco. Sembrava più un ciarlatano. » « Hai preso soltanto il monaco stanotte? » Faceva sempre fatica a porre quella domanda. Provava un poco di rimorso, residuo della sua condizione umana. Ma sapeva anche che il...lavoro dell'altro era necessario per sopravvivere. « Ti ho detto che non era un monaco. Sì, ho mangiato solo una persona...è difficile trovare soggetti isolati. » Robert aggrottò le sopracciglia. « Difficile? Cosa vuoi dire? Non ti sei mai posto questo tipo di problema. » « L'Akeran sta diventando pericoloso. C'è timore nell'aria. Paura di qualcosa di indefinito. » Era molto strano. Non avevano mai fatto una conversazione tanto lunga ed era la prima volta che sentiva D. - non sapeva come chiamare l'altro, così aveva scelto una lettera dell'alfabeto - emanare una sfumatura di personalità. Preoccupazione? No...no, era più simile alla rabbia. Il tono della voce si era impennato improvvisamente. Provò a porre un'altra domanda, una diretta. « Cosa suggerisci di fare? » Seguì una pausa. Robert sapeva che quei momenti di silenzio tra una parola e l'altra servivano a D. per trovare l'espressione giusta nella lingua comune. Apprezzava molto il fatto di non dover imparare un intero corollario di suoni provenienti dal Mondo Onirico. « Non ho scelto la vittima con il solito metodo casuale. Guarda ciò che ho mangiato e capirai. » Robert si concentrò ancora. Andò a frugare nella sua mente, sezionando le visioni che giungevano da ogni direzione. Probabilmente D. lo stava aiutando, perché trovò subito uno spezzone interessante. Gli occhi guardarono attraverso i ricordi del monaco che non era un monaco.
¤ ¤ ¤
...era ancora nel santuario, ma stava fissando la folla riunita ad ascoltarlo. Il calice era stato posato sull'altare di legno. Iniziò il sermone. Comunicò a tutti gli ascoltatori che una nuova minaccia si profilava all'orizzonte. Nelle regioni perdute, dove la terra sprofondava nel fuoco, il sigillo del Buco del Diavolo era stato rimosso. La corruzione cominciava a dilagare e un Signore Oscuro tirava le fila della guerra. Ma i nani pensavano al loro Sultanato, i porti di Dorhamat erano in subbuglio e la loro città, Taanach...
¤ ¤ ¤
« NO! » Il grido esplose da qualche parte nella testa. Era autentico, era suo. La disperazione lo colse come un tuono, distruggendo lo specchio di immagini all'istante. Robert si rannicchiò in posizione fetale, tenendosi il capo fra le mani. Cominciò a dondolarsi sui talloni e a pronunciare parole senza senso. Gli occhi fissi sul terreno, quasi a contare le crepe e i sassi. La città...la città...la città...era qualcosa di proibito...sì, lo era. Non doveva pensarci. Non poteva. Non voleva. Cosa? Chi stava parlando? « N-non vado...è sbagliato...c-chi ha detto che devo andare? » Seguì una risata violenta e crudele. La bocca di Robert era piegata all'insù ed emetteva suoni inquietanti, inumani. Sapeva che, in quel momento di delirio, la connessione con D. si amplificava a dismisura e quasi riusciva a vederlo. Era una delle rare occasioni in cui le due parti della sua anima si scioglievano per guardarsi faccia a faccia. « Non posso andare a Taanach. Non posso...non costringermi... » « Tu ci andrai, Robert. Quella città è il posto più sicuro. » Era una frase molto subdola. Taanach rappresentava il principio della loro doppia vita, il luogo in cui D. era stato generato. Troppe domande oscuravano la storia. Chi era Robert? Cos'era successo a Taanach? Perché il suo cervello rifiutava quella parola? La mente combatteva con il cuore. Nel profondo desiderava davvero scoprire il suo passato, ma aveva anche una paura spropositata di ciò che avrebbe scovato. Eppure...eppure la prospettiva di riprendere la sua identità era tanto terrificante quanto invitante. Vivere un giorno con la consapevolezza di pensare, vivere e sognare come il vero Robert. Niente trucchi, niente visioni di altra gente, niente immagini sconnesse. Solo Robert con Robert. Solo con se stesso. In pace. Ma non poteva andare a Taanach. Era una follia.
{Taanach, mura esterne} diverse ore più tardi; tramonto
Eccole. Consumate, ma solide; nere, ma brillanti. Aguzze, ma armoniose. Le mura della città della vita e della morte si profilavano sulla linea dell'orizzonte, torreggiando su altri particolari di poco conto. Era inevitabile posare lo sguardo sulla maestosa accozzaglia di case, ruderi, tende e palazzi che costituivano l'agglomerato urbano di Taanach. Non si poteva descrivere un luogo come quello spendendo poche parole: Taanach era il cuore dell'Akeran in tutti i senti, dal mischiarsi di razze e popoli profondamente diversi fra loro alla prepotente disparità fra ricco e povero. Giustizia e corruzione coesistevano in un sistema di governo che si rinnovava in continuazione, scrollandosi di dosso le leggi e le convenzioni della società moderna. Taanach si era fatta da sola, era cresciuta sui ruderi di antiche costruzioni, fregandosene del rispetto e delle basi culturali. Quando oltrepassavi le mura o accedevi ai quartieri limitrofi, entravi automaticamente a far parte della vita cittadina e rispondevi personalmente delle tue azioni. Nessuno aiutava il prossimo, figurarsi un forestiero. Robert sapeva di non essere uno sconosciuto a Taanach. In un passato lontano e difficile da vedere, lui faceva parte di quell'andirivieni di gente. Non ricordava assolutamente niente della sua condizione, ma era abbastanza sicuro di aver imboccato almeno una volta la via principale. Aveva...delle immagini offuscate per la testa. Un'abitazione...a due piani forse...e un giardino? Faceva molta fatica a scavare nella memoria del vecchio Robert, anche in quel momento, davanti a Taanach. Era come se una barriera bloccasse il flusso di visioni relative alla precedente esperienza di vita. I viandanti aumentavano man mano che si avvicinava alle mura. Sulla parte esterna si poteva notare facilmente il degrado delle tendopoli e dei campi di zingari, gente disperata che restava attaccata al lusso dei nobili al pari di un bubbone. Il rapporto tra ricchi e poveri era di uno a cinquanta. Diversi acquitrini e paludi si stavano sviluppando nei pressi del fiume che tagliava la città per il lungo. Robert si accodò alla fila di visitatori che attendevano, senza troppa pazienza, di accedere all'interno. Era probabilmente l'unica persona che non urlava o imprecava nella calca. Alcune guardie spingevano indietro la folla, costringendo Robert a spostarsi continuamente per evitare di essere calpestato. Non comprendeva la fretta degli altri...il tempo, che spingessero o meno, scorreva ugualmente. Finalmente giunse il suo turno. Davanti aveva un soldato dall'aria minacciosa che lo squadrò con perizia. Il soldato notò qualcosa che non andava e lo fermò con l'asta della lancia. Ti prego, lasciami entrare. La notte sopraggiungerà presto. Il militare chiamò un suo compagno e cominciò a discutere. I due indicavano frequentemente la spalla di Robert, annuendo contemporaneamente. Robert fissò a sua volta il punto indicato e, per la prima volta nella sua nuova vita, cacciò un'imprecazione. La sua spalla era diventata nera e lucida. Aveva perso il controllo? Lui non perdeva mai il controllo. « Signore, a causa dei recenti avvenimenti... » tuonò la guardia che lo aveva fermato « ...siamo costretti ad accompagnarla in cella per verificare che non porti presenze demoniache. Domani mattina la libereremo. » fece un passo « La prego di non tentare una fuga. Verrà assistito da uno specialista. » Robert non fece un gesto, si limitò a fissare il terreno sabbioso. Non doveva assolutamente tradirsi. Era facile nascondere le emozioni, ma non riuscì a bloccare l'ondata di domande che invase la mente. Che cosa sarebbe successo? D. poteva in qualche modo eludere la sorveglianza? Lo avrebbero controllato per tutta la notte? Lo avrebbero ucciso? Con la testa che ronzava, si lasciò guidare alla prigione di Taanach.
{Taanach, cella di isolamento} poco dopo le dieci; notte
Ormai era stato scoperto. Andava avanti e indietro per il ristretto spazio che gli avevano concesso, sbattendo in continuazione contro la gabbia magica appositamente preparata per contenerlo. Ruggì. Grattò. Fissò con astio i sigilli arcani. Ruggì di nuovo. Il Divoratore di Sogni aveva sostituito l'apatico Robert quando erano calate le tenebre. La sua mente aveva sostituito quella umana e i pensieri si erano trasformati in fame. Aveva fame, una fame pazzesca. Da tanto tempo quella strana oscurità emanata dalle terre dei demoni lo costringeva alla cautela, ma recarsi in città poteva essere una soluzione. Stupido Robert. Entrare dalla porta principale...stupida mente umana. Non poteva svanire dentro la cella. La magia non glielo permetteva. E sentire i sogni agitarsi intorno a lui...quante persone c'erano in quel posto? Cento? Mille? Aveva fame, tanta fame. Allungò nuovamente gli artigli, ma la barriera lo ricacciò indietro. « Indietro, demone! » sibilò l'umano dietro le sbarre « Presto giungerà il prete per sanarti. » Il Divoratore emise un violento risucchio dalla bocca cremisi. Era furioso e il morso della fame stava rendendo la permanenza insostenibile. In aggiunta, non aveva idea del modo che avrebbero utilizzato per "sanarlo". La guardia della cella lo istigava con la punta della lancia senza mai avvicinarsi abbastanza da permettergli di afferrarla. « Basta così. » Una voce strascicata giunse dalle tenebre. L' improvviso intervento colse il soldato di sorpresa e lo obbligò a fare un goffo movimento per tornare sull'attenti. Dal punto oscuro in cui era scaturita la frase emerse un uomo alto, magro, dalla carnagione chiara e dallo sguardo fisso. Era privo di pupille e vestiva una pesante tunica nera. Il Divoratore di Sogni rimase perfettamente immobile dopo diverse ore di agitazione. La barriera magica non gli permetteva di spaziare nella cella, ma riusciva comunque a percepire i sogni degli individui presenti nella fortezza carceraria. Il soldato sognava una schifosa vita agi e lusso, due persone al piano superiore pensavano al sesso sfrenato, un altro al terzo piano assaporava un liquore che avrebbe gustato più tardi. Quell'uomo nero...non aveva sogni. Solo incubi. Ed erano incubi che lasciavano supporre un'esistenza di tormenti e sofferenze. « Ora puoi andare. Qui ci penso io. » La guardia tentennò. « Lei...è il sacerdote? Non dovrei presenziare? » « Vattene. Il tuo lavoro è finito. » Il soldato si affrettò a raccogliere la sua roba e ad uscire dalla stanza. Quando chiuse la porta rinforzata alle sue spalle, la stanza piombò nel silenzio e nelle tenebre. Il Divoratore cominciò a studiare l'uomo nero. Aveva capito fin da subito che nascondeva qualcosa di terribile tra le pieghe del mantello, eppure non riusciva a capire cosa. La situazione si stava facendo complicata. Aveva indicato Taanach a Robert perché sospettava che la città fosse militarizzata e protetta dal Male che insorgeva dalla terra dei demoni...ma l'individuo che gli stava di fronte era corrotto e marcio fin nelle ossa. Lo sentiva, lo percepiva. I suoi incubi parlavano di guerre, conflitti, mostri sbucati dalla terra e pene dell'inferno. Di omicidi insensati. Chi era? Cosa ci faceva a Taanach? L'uomo nero allungò una mano. Il Divoratore preparò inconsciamente uno scudo per proteggersi da eventuali attacchi. Lentamente, i sigilli che lo tenevano prigioniero vennero dissolti da un'altra magia oscura. Poteva nuovamente muoversi liberamente. E non attese una parola o un gesto. Allungò gli artigli a dismisura, rafforzando l'acciaio onirico di cui erano composti. Si scagliò all'istante contro lo sconosciuto dal mantello scuro, le braccia fluide e guizzanti protese per infilzarlo al muro. Desiderava soltanto uccidere e fuggire. Ci fu un tonfo sordo, seguito da una risata crudele. Gli artigli si erano conficcati contro una parete fatta completamente di ossa. Ossa vere. Era comparsa dal nulla, spuntata dal terreno come un fungo maledetto. Ci aveva sbattuto contro poco prima di raggiungere il suo bersaglio. « Ah ah ah! La rabbia è una buona compagna. » Il Divoratore voltò il capo deforme e fissò l'uomo nero che si era spostato velocemente alle sue spalle. Non riusciva a capire: i suoi poteri non avevano alcun effetto. Quell'avversario non provava rimorso per ciò che aveva fatto e gli incubi non lo spaventavano. Cambiò immediatamente approccio. Indietreggiò di qualche metro e concentrò l'energia onirica nella bocca cremisi. Corroborante e dal piacevole retrogusto di sangue, il potere si accumulò e si trasformò in tenebra sotto l'influenza della mente del Divoratore. Aprì la bocca e lasciò defluire tutto quel potere sotto forma di raggio distruttivo. Era un metodo semplice ed efficace per destabilizzare un nemico ostinato. Ma l'uomo nero sollevò ancora una volta la mano e, ponendosi esattamente di fronte al raggio, assorbì tutto il flusso di tenebra. « Attento a ciò che attacchi, mangia-sogni. Non vuoi sapere perché ti ho liberato? » Quindi lo aveva liberato davvero. Già...perché lo aveva fatto? I suoi pensieri viaggiavano e frugavano nelle memorie che aveva divorato, ricordi di uomini e donne del deserto Akeraniano. Le visioni mostravano creature orrende avvistate nella notte, violenti omicidi alla luce del giorno e un mondo che stava sprofondando nell'oscurità. Lui, forse, condivideva forma e natura con i demoni fagocitati dalla terra, ma non lo scopo. Massacrare la gente per ottenere domini non rientrava nei suoi piani, il suo unico desiderio era nutrirsi e sopravvivere. Preservando la controparte umana che lo ospitava. Robert non doveva assolutamente entrare in contatto con i demoni. E quell'uomo dal mantello nero era avvolto dalla corruzione e ne portava il vessillo. « Il Buco del Diavolo è stato aperto. Un antico signore dell'ombra sta muovendo l'esercito demoniaco. » I sogni e i pensieri della gente rivelavano molte cose. Non tutte le cose, ovviamente. « Non farò parte di questo esercito. Se sei venuto a reclutarmi, il tuo fiato è sprecato. » Lo sconosciuto rimase qualche attimo in silenzio. I pensieri emanati da un cervello così nero erano impossibili da cogliere, persino per un Divoratore di Sogni. « Le tue informazioni sono corrette. Tuttavia ti devo contraddire: il mio compito non è diverso dal tuo. » seguì un sorriso lupesco « In ogni caso, tu andrai a Sürgün-zemat. » ... « Io non ho compiti e vado dove mi pare. » Accadde in un istante: il mantello scuro si strappò, lasciando emergere due gigantesche ali di ossa; la pelle bianchissima scomparve, dando spazio ad uno scheletro grande e privo di muscoli; il volto perlaceo venne sostituito da una pozza di buio. L'uomo nero si era trasformato in qualcosa di indefinibile e aberrante. Il nuovo mostro imbracciò una falce enorme recuperata dalla schiena e si mosse ad una velocità spaventosa. La punta della lama ricurva si conficcò con violenza al centro del petto del Divoratore, squarciando il plasma. « Non contemplo rifiuti. Il tuo legame uomo - demone può anche essere simile al mio e per questo ti ho scelto. Ma il tuo potere è inferiore...e ciò potrebbe portarti ad una fine ingloriosa. » La voce era un rombo di tuono. La falce venne conficcata più in profondità, accompagnando un ruggito di sofferenza. « Io sono Reek, il custode del Cimitero. Rappresento la Morte. » La Morte? Non aveva mai sentito qualcuno definirsi come tale. Pretendere di essere colui che decideva di porre fine alla vita era un'idea davvero sciocca. Eppure il Divoratore, in preda al dolore, era rimasto colpito da quella rivelazione: non era l'unica creatura in grado di trasformarsi. Aveva assistito alla metamorfosi da uomo a mostro proprio in quel momento. Voleva porre tante domande sul collegamento tra Reek e la Morte, nonostante la situazione alquanto spiacevole. Il legame che univa le due "parti fisiche" del suo interlocutore rappresentava un vincolo molto più forte rispetto al suo. Lui poteva sentire i pensieri di Robert, poteva parlargli, poteva aiutarlo in combattimento, ma il canale era unilaterale. Di notte, mentre era in libertà per nutrirsi, la mente di Robert si trovava in una dimensione a parte, racchiusa e sotto chiave. Aveva scelto lui quel sistema per dare totale protezione al fragile guscio umano. Come faceva Reek a condividere un tale equilibrio tra uomo e demone? « Colgo i tuoi dubbi. Ho le risposte che cerchi. Devi solo unirti al Signore del Sürgün-zemat. » No. Non poteva cedere alla richiesta di ridursi in catene. Aveva raccolto, in quei secondi di attesa, una grande quantità di energia. La liberò subito, scaraventando la stanza in una dimensione più congeniale alla sua natura. La porta, le pareti e la cella svanirono, offuscate da un regno in cui i colori e i dettagli erano distorti. Non vi era un tetto, un pavimento o una profondità. Immagini strambe e prive di significato vorticavano impazzite su ogni lato, confondendo la vista e giocando con i sensi. Il reale non esisteva più. Era il mondo degli Incubi, il suo mondo. Il Divoratore, sfruttando una forza rinnovata, agguantò la lama conficcata nel petto e la sradicò. Scaraventò poi Reek lontano, ottenendo il tempo per la sua prossima mossa. Aveva studiato un piano per riuscire a piegare le difese nemiche, ma doveva agire alla svelta. Senza compiere movimenti, generò una copia di se stesso proprio di fianco all'avversario, inducendolo a credere di essersi spostato mediante una qualche magia. Il trucco funzionò: Reek volse la sua attenzione alla copia, tentando un affondo con la falce. Ignorato, il Divoratore canalizzò le energie spirituali residue per scagliare un'onda cerebrale anomala. Il mostro che stava affrontando sembrava molto resistente alla magia, ma era forse fragile dal punto di vista fisico. Difficile da colpire, facile da spezzare. Esattamente come lui. Si chiese se anche quel dettaglio rientrasse nei tratti che li accomunavano. Entrambi erano deformi e grotteschi, entrambi sfruttavano le tenebre per attaccare, entrambi avevano ucciso in passato. Conoscere la natura dei propri demoni era un vantaggio a livello strategico e una grande distrazione Sebbene invisibile, l'onda cerebrale andò a flagellare la mente del suo avversario. L'Abominio alato, ancora intento a studiare l'esca illusoria, si piegò all'improvviso in maniera innaturale, colto da una profonda stanchezza. Finalmente poteva vedere uno squarcio in quella patina buia di ricordi e omicidi. Anche Reek, in fin dei conti, era un uomo. Non un uomo normale, certo, ma con tutte le fragili caratteristiche della razza. Il cervello non era dissimile da quello di Robert, vulnerabile e facilmente manipolabile. « Molto furbo, mangia-sogni. » sussurrò la Morte, affaticata « Ma io conosco i tuoi segreti. E i segreti, prima di essere tali, sono armi. » Il Divoratore percepì qualcosa di strano nell'etere, qualcosa di acuminato che tentava di affondare nei suoi pensieri e nella sua psiche. Richiamò le tenebre per difendersi dalla pressione. Pareva un coltello pronto a perforarlo, la lama che scavava e cercava uno spiraglio in cui insidiarsi. Rese la barriera più spessa. Non lo avrebbe battuto al suo stesso gioco. Con un rabbia disumana, il Divoratore raggiunse Reek e protese le braccia in avanti. Il regno onirico moltiplicava la sua forza e non faticò a conficcare gli artigli nella cassa toracica del suo nemico. Provò una certa goduria nel sentire un rantolo di dolore. Il tempo si fermò. Era faccia a faccia con la Morte. La scena doveva essere alquanto singolare: due pozze di buio immerse in mantelli sgualciti che si fissavano con astio e lottavano per districarsi. Uniti nell'odio e nella furia dello scontro. « Non ti permetterò di interferire con la mia esistenza. » disse, continuando a rigirare gli artigli « Le tue catene non mi servono. » Reek sorrise. Era incredibile la sua resistenza al dolore fisico. « La tua volontà è ferrea, Divoratore. » ... Il coltello invisibile si fece improvvisamente più affilato e sprofondò nella mente del Divoratore. Andò a scalfire l'involucro psichico superficiale, affondando ancora e ancora, fino ad intaccare un punto inviolato. « Ma cosa accadrebbe se Robert scoprisse che sei stato tu a massacrare la sua famiglia? »
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C'è tanto buio. Sto soffrendo. Una lama ha squarciato la mia testa e sta cavando fuori ricordi nascosti. Il viso di una donna, gli occhi vitrei che si rispecchiano nei miei; il volto di un ragazzo, spaccato a metà da un colpo violento. Questa è la mia famiglia. Sono morti. Chi li ha uccisi? Perché sono stati uccisi? Fisso le mie dita acuminate. Sono artigli neri sporchi di sangue.
Robert aprì gli occhi. Era disteso sul pavimento gelido. La prima cosa che avvertì fu un pungente dolore al petto. Guardò il torace e scoprì un profondo buco sanguinolento. Tentò di impedire la fuoriuscita di liquido con le mani, ma i muscoli erano intorpiditi e i movimenti rallentati. La testa sembrava esplodere in mille pezzi. Si trovava in una stanza umida con le pareti di mattoni grigi, la stessa stanza in cui lo avevano tenuto prigioniero durante i pochi minuti antecedenti la trasformazione. Non era morto e non stava più dentro la cella, ma non riusciva a ricostruire i fatti appena accaduti. Solitamente ricordava ogni cosa della notte, perché D. lo riempiva dei sogni e dei pensieri che aveva divorato. Attese qualche istante; nessuna visione giunse. Non c'erano finestre nella cella, quindi non poteva sapere se era mezzogiorno o l'alba. Ma quella sensazione...il sole non era ancora sorto? Si sentiva stanco e spezzato. Il suo cervello era quieto, vuoto. Niente immagini, niente suoni, niente sapori. Solo un fastidioso ronzio che continuava ad andare e venire, andare e venire. Dov'erano le guardie? « Ora sarà molto più semplice. » La voce tombale proveniva dalla sua destra. Robert voltò il capo e osservò la creatura che gli veniva incontro. Era un mostro dalle grandi ali d'ossa, la faccia nascosta da una pozza d'ombra e il corpo scheletrico ben in vista; imbracciava una gigantesca falce nera. « Sei D.? Siamo nel mondo onirico? » La creatura aberrante si fermò e scoppiò a ridere. Era una risata che faceva venire i brividi. « Tu non condividi i sensi con lui? Sei completamente slegato? Non conosci nemmeno il suo aspetto? » Robert non capiva. Era stato lasciato in balia della situazione, senza informazioni, senza un avviso o un dettaglio a cui far riferimento. Aveva tanti quesiti che pulsavano nella mente, ma non osava chiedere nulla a D. Non lo percepiva nemmeno. La sua controparte oscura sembrava spenta, priva di coscienza. Era stato quel mostro a ricacciarlo indietro? « Chi sei tu? Che cosa vuoi da me? » « Da te non voglio nulla. Mi serve il demone. » Senza aggiungere altro, la creatura aberrante si scagliò contro di lui, la falce sollevata e pronta a colpirlo. Robert andò nel panico perché non sapeva come reagire. Nelle situazioni di pericolo era sempre D. a contrastare le offensive di un avversario. Doveva prepararsi a morire. Non possedeva le forze necessarie a bloccare una lama come quella. Allungò un braccio sopra il capo nel disperato tentativo di difendersi. Improvvisamente, generata dal nulla, una barriera nera si erse a sua protezione. La riconobbe subito: era una porta del Regno degli Incubi. D. stava seguendo la scena dalla sua dimensione buia. La falce cozzò contro il muro di tenebra, producendo scintille di fuoco buio. « Allora non si è nascosto. Oppure lo ha fatto, ma non può lasciarti morire. » Un'altra risata rimbombò nella stanza. Lo scheletro del mostro, lentamente, si ricoprì di fasci muscolari, carne e nervi; le ali scomparvero dentro la schiena; il volto emerse dal cappuccio, mostrando un uomo dalla pelle bianchissima e occhi privi di pupilla. Robert non aveva mai visto una cosa del genere, eppure si riconosceva nella trasformazione. Sospettava di avere più di un tratto in comune con quell'individuo cadaverico. « Accetti la mia proposta, mangia-sogni? Il tuo segreto è ancora celato. » Di quale segreto parlava? Robert era confuso. Se D. aveva combattuto, come mai ora se ne stava zitto? E per quale motivo aveva deciso di ritrarsi per lasciargli il posto? Ma ecco, infine, giungere la voce da dentro. « Annuisci. Poi ti spiegherò. » Robert eseguì, anche se non capiva cosa stava succedendo. Era avvenuto uno scontro quella notte, uno scontro che andava oltre la sua comprensione. « Bene. » sussurrò l'uomo nero « Fra sei giorni, al tramonto, ci incontreremo nuovamente al Buco del Diavolo. » Detto questo, l'uomo nero svanì oltre la porta della stanza.
Robert, con la testa che girava, rimase immobile nell'oscurità della cella. I polsi e le braccia dolevano...come se delle pesanti catene lo trattenessero al pavimento. |