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CosmogoniaLa Notte della lepre, Apr 2015 / Edhel / prelude

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view post Posted on 7/4/2015, 22:20
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Cosmogonia; la notte della lepre

Dottrina o complesso di miti riguardante l'origine.
A differenza della cosmologia, che studia l'architettura del cosmo conosciuto e le leggi che lo regolano,
la cosmogonia si occupa dell'origine di queste leggi, della loro storia ed evoluzione.
Circa la creazione.





Era notte, stava sognando.
Era notte e stava sognando?
Stava dunque dormendo, di notte.
Impossibile.
Stava sognando.
Quindi dormiva.
Impossibile.



Non era un posto normale e non aveva di certo idea di come ci fosse finito.
C'erano alberi dal fusto cinereo e largo tutt'intorno a lui, tinti di viola per la notte, alti e svettanti con i tronchi possenti che s'annodavano su di essi e i rami disordinati e famelici che s'allargavano come vene candide sulla folta chioma rossastra dal fogliame, caotico ma elegante, con foglie tutte diverse l'una dall'altra: tonde, lanceolate, seghettate, a più punte, una sfumatura di colori dall'arancio al carminio più intenso.
Tutto attorno a lui delle composizioni cristalline sembravano abbracciare il paesaggio in una morsa glaciale, finissime e levigate, alcune svettanti e acuminate, altre più piccole ma non per questo imperfette, scintillavano nel bosco come se uno scultore dell'inverno avesse disciolto i ghiacci scolpendo quelle ricche composizioni che dalle radici stesse degli alberi risaliva i tronchi, rispecchiando la notte e l'invidia delle stelle.
Ne sfiorò una con le dita, sembrava così delicata che solo a guardarla si sarebbe incrinata, rovinandosi così eternamente.
Sopra di lui il cielo: una notte buia e scura, nera, completamente traforata di stelle come la trama d'un uncinetto, brillanti che pulsavano come stessero respirando l'aria notturna.
Non una costellazione conosciuta, non una; tutte le stelle erano in costante lento movimento come petali bianchi mossi dalla corrente d'un fiume scuro e, mentre scivolavano sul mare notturno, talvolta si staccavano dalla volta celeste e cadeva con la delicatezza d'un fiocco di neve.
Non c'erano rumori.
Non c'era niente.
Solo quella pioggia di stelle, e lui: Capernion.
Si guardava intorno, l'espressione apatica.
Tese la mano destra, su cui si adagiò un fiocco di stella.
Sembrava un cristallo di neve con i suoi raggi precisi e la sua forma geometrica, eppure brillava come un astro.
Non era né freddo né caldo e subito gli si sgretolò sul palmo come sabbia, scivolando tra le dita come polvere.
Capernion non sapeva il motivo per cui si trovava in quella landa surreale eppure sentiva il bisogno di cercare, come un bambino che gioca ai pirati con una finta mappa del tesoro credeva in quella fugace e labile terra di meraviglia.
Non conosceva quel bosco, era certo di non essere mai stato in quel luogo prima, eppure sentiva come se quel posto disabitato in un qualche strano modo gli "appartenesse".
Alzò nuovamente lo sguardo osservando la volta stellata che si sfaldava in quella lenta pioggia di brillantini ed avanzò.
Con paso deciso si fece strada tra gli alberi e i cristalli, attorno a lui esplodeva un'energia ancestrale e antica, la si vedeva scorrere nella vigorosità di ogni albero a cui nessun inverno osava recidere le foglie, negli sgargianti e rossastri colori delle chiome, nella limpidezza della resina color latte che colava dalle venature della corteccia.
Gli vibrava nel corpo una quieta nostalgia fatta di ricordi lontani che giungevano ora come miraggi irraggiungibili alla vista, tetri nel loro esito.


...

Un bambino che giocava rincorrendo un coniglietto bianco.
Orecchie a punta, capelli sbarazzini, le braccia tese in avanti cercando di prendere quel batuffolo bianco.
Sulle guance un pizzicante rossore d'eccitamento.

...



Scrollò la testa cercando di scacciare quell'immagine.
Sapeva come sarebbe andata a finire quella storia.
Si guardò intorno cercando tra gli alberi un qualche segno, voltava a destra e a sinistra senza seguire una traccia, sprofondando nel folto del bosco fino a che i rami si fecero meno avidi e le foglie meno invadenti.
Fu allora che la Luna gli diede il benvenuto baciandogli la pelle.
Sembrava che il candore dell'astro gli scivolasse sul corpo come miele bianco tant'era denso.
Un altro passo, un altro ancora.
Dietro la luna intanto un altro astro comparve, più pallido e languido del primo ma comunque affascinante nel suo pallore plumbeo.
Sembrava quasi una sfocatura della luna stessa, una sorta di immagine residua, sbiadita dal tempo, slavata nel buio della notte.
Fissò per qualche istante incuriosito quella coppia di gemelli estranea alla cosmologia theraniana conosciuta.

Dov'era?

I suoi passi non producevano alcun rumore, la stessa erba che sentiva di schiacciare non si piegava sotto il peso dei suoi piedi come se lui non fosse realmente li. Scrutò nel bosco cercando l'indefinito finché la sua attenzione fu attratta da uno strano albero cavo. Un ricordo che conosceva bene.
Curvo su se stesso, il tronco squarciato all'altezza delle radici e la corteccia che rientrava.
Là, oltre quel ceppo c'era una radura e uno stagno, lo sapeva.


...

Quel povero bambino che giocava rincorrendo un coniglietto bianco.
Ora tremava, dove era finito il coniglio? Intorno a lui solo strani versi e sussurri.
Era rannicchiato, la testa tra le gambe, nascosto in uno strano albero cavo nel folto del bosco.
Dalla fessura del tronco vedeva delle ombre, le sentiva sghignazzare.
Non andare nel bosco, gli dicevano.
Ci sono le ombre cattive, gli dicevano.
Poi uno strano lamento ed il rumore delle ossa che si spezzano.

...



Cominciò a correre in direzione dell'albero quasi volesse scacciare i ricordi eppure ad ogni falcata quello sembrava allontanarsi.
Era a pochi metri da lui come era possibile che non riusciva ad avvicinarsi?
Doveva solo arrivare allo stagno, da li prendere il sentiero che andava ad est, scendere il burrone e sarebbe tornato a casa.
O meglio a quella che era la sua casa.
Si fermò un attimo poi chiuse gli occhi e corse con tutta la forza che aveva sulle gambe.
Strinse i denti pronto a sentire il dolore del tronco sulla faccia, contò i secondi che lo separavano dallo schianto assieme al volgere dei battiti del suo cuore.

Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Nulla.

Sembrava come avesse corso sul posto.
Si voltò di scatto, strappò uno dei cristalli dalla radice d'un albero li vicino e lo lanciò con quanta forza aveva verso il tronco.
Si sarebbe aspettato un rumore quanto meno, il suono del cristallo in pezzi.
Eppure non successe nulla, ed il cristallo era sempre stretto tra le dita della sua mano, anche se lo aveva visto con i suoi stessi occhi prendere il volo.
In preda all'agitazione s'accucciò a terra, le mani sul volto, le dita che si intrecciavano tra di loro frenetiche.
Rimase in quella posizione fetale per chissà quanto tempo e sarebbe sicuramente andato fuori di senno se non fosse stato per quella cosa.
Non sapeva definire cosa fosse ma, probabilmente, era viva.
Una sagoma, piccola, a pochi passi dall'albero cavo.
S'alzò di scatto e fece per avvicinarsi, ma quella svanì, quasi fosse stato un semplice gioco di luci tirato dalle foglie cristalline sugli alberi, un semplice riverbero.
Cominciò a correre verso il tronco, di nuovo, ancora.
Non si domandò nulla: sapeva di dover correre e basta e così fece, impulsivo.
I capelli sbarazzini al vento, le orecchie a punta che ondeggiavano seguendo i suoi passi; di li a poco sarebbero comparse due rosse ciliegie sulle sue guance per la corsa, a contrasto con la pelle chiara.
Ad ogni passo ora l'albero era sempre più vicino, il buco più grande o lui più piccolo questo non lo sapeva.
Doveva entrarci di nuovo, lo sentiva e senza pensare si lanciò letteralmente dentro la cavità distruggendo quei pochi cristalli che incorniciavano la fessura.
Tutto divenne buio, ancora più buio del solito, eppure era ancora nel bosco.
Sembrava quasi che la foresta si sviluppasse dentro all'albero, anche se questa era più cupa, non c'erano stelle nel cielo, non c'erano cristalli, sembrava una malinconica fotografica in bianco e nero, una fotocopia venuta male di quanto visto precedentemente.
Si guardò intorno cercando la causa di quella strana malattia che sembrava aver congelato nel tempo quella foresta, quel ricordo.
Vide nuovamente la figura: la vide svoltare dietro un albero.
Era ovvio che quella era la giusta strada.
Lo seguì facendosi strada tra gli alberi bianchi trovandosi di fronte una strana scala in marmo che s'avvitava a chiocciola fin sopra la notte.
In cima alle scale la strana figura.
Salì senza farsi troppe domande e ancora lo vide salire di nuovo, sulla cima, e lo seguì con calma, fino a squarciare il buio del cielo.
Non riusciva a spiegare cosa stesse succedendo, fu come se le stelle fossero tornate a brillare di nuovo oltre la coltre scura.
Si trovava su una strana terrazza che dava sull'intero bosco rossastro, davanti a lui il cielo piangeva le sue stelle in una lenta nevicata, le due lune, ora allineate, sembravano un solo astro, candido in tutto il suo splendore ad eccezione di quella strana macchia che sembrava, paradossalmente, la figura di un coniglio rannicchiato.
E poi lo vide, lì, ritto nel vuoto, a pochi metri dal cornicione proprio davanti all'astro.
Era piccolo e familiare, sembrava contemplare quell'insensato paesaggio tra il malinconico e il poetico.
Era bianco, una piccola lepre bianca ritta sulle zampe posteriori, un orecchio dritto, l'altro piegato.
Si voltò di scatto e la luna si oscurò di colpo così come il suo manto.
Divenne scuro e nero come la pece, lo fissò e Capernion sentì una strana fitta gelida lungo la schiena.
Al posto degli occhi aveva una cavità ancor più nera del suo pelo sul sinistro ed un altra scintillante come una stella strappata dal cielo sul destro.



...

Un bambino che singhiozzava in ginocchio.
Il volto coperto di lacrime.
Le orecchie a punta leggermente abbassata, tristi.
I capelli zuppi di pioggia sdraiati sulla fronte, le braccia tese in avanti:
Le mani sporche di sangue nero che stringevano un coniglio bianco morto.

...



Strizzò gli occhi cercando di allontanare quel ricordo dalla sua testa.

« Chi sei? »

Chiese, nella sua voce una strana nota di curiosità interessata.
Si sentiva in sintonia con quella "cosa": gli sembrava di conoscerla, di averla cercata per anni nonostante non l'avesse seguita che per pochi minuti.
Non sapeva cosa fosse, per questo gli interessava così tanto ed anche la domanda gli sorse spontanea.
Quello inclinò leggermente il volto guardandolo.

« Io sono quella Lepre »

proferì con una voce impostata e piatta.
Capernion lo guardò stranito.

« Lo vedo, ma chi sei? »

« Ero la luna e le stelle... »

continuò la lepre nera portandosi leggermente avanti su quattro zampe.
Capernion si abbassò sulle ginocchia cercando di portarsi all'altezza della creatura.

« Ed ora cosa sei? »

chiese con tono incuriosito, indicandolo come un bambino incurante delle buone maniere.

« Sono la stella al tramonto, il vespro...triste non trovi? »

Iniziò, enigmatico, con tono pacato ed un poco malinconico.

« Condannato a seguire un astro più luminoso di me, invidioso, curioso, accecato...o semplicemente nostalgico. Il mio nome è Dùndri, mio caro Capernion »

Si inchinò come una lepre può fare, e la sua voce parve ravvivarsi: conosceva già il suo nome ma, per quanto ciò potesse sembrare strano, l'elfo non voleva sapere il motivo ed anzi continuava ad osservarlo con muta curiosità.

« Credo di averti visto nella luna poco fa... »

La Lepre saltellò a pochi passi da lui, stella e vuoto si spensero e s'accesero come se una palpebra vi fosse passata sopra per un attimo.

« Un ricordo, o una premonizione chi può dirlo... d'altronde i moti son ciclici, ero la luna, potrei esserla di nuovo. »

Non gli interessava che quell'essere conoscesse il suo nome.
Non era ciò che voleva sapere: per una volta nella vita si sentiva talmente vicino...
Il suo cuore batteva come non mai d'una strana eccitazione.
Voleva conoscere, voleva sapere.

« Cosa ti è successo? »

esitò appena nel porgere la domanda, ma in cuor suo sapeva che a quella povera creatura era successo qualcosa.

Come a quel coniglietto bianco tanti anni fa.

« Semplicemente mi hanno fatto scendere »

incorniciò quelle parole con un gesto teatrale della zampa dall'alto verso il basso.

« Eclissi la chiamano prendendosi gioco della mia caduta. Ora credono che tutto sia dovuto alla fredda Notte...ah quanta ignoranza, solo perché il mondo è buio anche le luci del cielo devono essere parte di esso? »

« Io amo le stelle... »

sussurrò appena l'elfo, imbarazzato quasi per una tale rivelazione.

« ...lo so. »

lo interruppe Dùndri sovrastandolo con la sua voce

« Qui nel mio... » si corresse «...nel nostro mondo, cantastelle, la realtà è al mio volere. »

Parve sorridere mentre la il bosco si sgretolava, come vetro lucente, lasciando lo spazio al cielo, senza il minimo rumore.
Sopra e sotto si rincorrevano intere galassie e le stesse costellazioni, ora unite da una fievole traccia luminosa, davano come l'impressione che osservassero, giudici, la scena.

« Viviamo in un frammento di quello che un tempo era il mio sogno, lo hanno spezzato, rubato, saccheggiato come un città caduta, eppure non si è combattuta nessuna guerra...ahimè. »

Capernion sorrise alla tenerezza con cui la Dùndri stava raccontando la sua caduta ed in tutto ciò sentiva di iniziare a capire, piano, chi fosse.
Un amico.
Si rivolse di nuovo alla lepre, stranito.

« Perchè sono qui? »

« Ma per noi ovviamente... »

incalzò la lepre caricando quel noi con un entusiasmo tale da renderlo particolarmente importante nella frase.

« E...cosa devo fare? »

Voltatosi completamente verso Capernion, gli rispose, con voce calma e l'ormai abituale tono enigmatico che lo caratterizzava.

« Semplice: continua la tua ricerca; studia le nostre amate stelle. Cerca dove ancora non sei stato. Scruta la notte. Consigliati con gli astri...e se puoi cercalo, il Caprone.»

Il Caprone. Solo più tardi avrebbe capito a cosa si riferisse Dùndri con quel nome.
La lepre si volto dando le spalle all'elfo, avvicinandosi così alla balaustra che dava sull'oceano di stelle.

« Tu credi in questa Luna? »

Chiese melanconico fissando il vuoto.

« si... »

Sussurrò appena fissando Dùndrì che si voltò di scatto, la stella nel suo occhio fissa su di lui.
Le parole, seppur fioche, risuonarono nella testa con la pesantezza d'un giuramento solenne.

« Allora io sono la Luna e tu sarai la mia cosmogonia»

Esordì eccitato, drizzando entrambe le orecchie.
Non ne era certo ma poteva giurare che un sorriso si fosse divincolato tra le labbra leporini della creature.

« La tua cosa? »

chiese, ma non fece in tempo ad avere una risposta o a ribattere che Dùndri tornò alla carica gonfiò d'eccitazione.

« Oh capirai, capirai...ciò che ti propongo è un patto, amico mio...» continuò «uno scambio.»

Gli balzo ai piedi, lo sguardo inquietante fisso sull'elfo.

« Tu sarai la mia gloria ed in cambio io ti donerò le stelle. »

E mentre pronunciava queste parole la luna comparve improvvisamente nel cielo, compiendo il proprio ciclo lunare in rapida successione e, mentre l'astro si completava, il pelo della lepre schiariva diventando completamente candido sotto i raggi pallidi della Luna Piena.
Si avvicinò ancora di più al suo volto strusciando il suo naso con quello dell'elfo.
Poi si allontanò di scatto.

« Ci sogneremo presto, amico.»

Scomparve come fumo nell'aria dopo quella frase pronunciata con tono quasi profetico e tutto cominciò a crollare, come risucchiato da un gorgo indisciplinato.
Sognare? Avrebbe dovuto pensarci prima: tutto ciò che aveva visto non poteva essere reale.
Tutto ciò che aveva visto era semplicemente
un Sogno.



Si svegliò di colpo.
Era notte e si era addormentato accovacciato sul corpo di Atro, sempre vigile nella notte.
Gli umani chiamavano quelli come lui nottambuli proprio perché vivevano la notte e spesso dormivano durante le ore diurne.
Sorrise.
Dùndri...quante volte aveva fatto quel sogno?
Quanto tempo era passato dalla prima notte della Lepre...
Alzò la testa specchiandosi sulla luna piena sopra di loro, poteva giurare di vedere l'ombra della lepre sulla faccia bianca del corpo celeste.
Un ricordo gli si dipinse nella mente mentre il resto sprofondava nel silenzio.
Avrebbe dormito quella notte ormai.


...



Un bambino correva nella notte fonda, avanti a lui un coniglio nero con una strana luce sull'occhio destro.
Le mani sporche di sangue color pece, il sorriso sulle labbra.
Rideva ed era felice.
La lepre era viva.
La lepre correva.
E la Luna vegliava.

...



CITAZIONE
Il contest è un sogno, avevo intenzione di scrivere un preludio sul background di Capernion e mi sembrava abbastanza calzante il tema. Spero non sia troppo intricato, specie all'inizio, in ogni caso ho BISOGNO di scrivere quindi scusate se diventa un problema correggerlo/leggerlo. :v:
Il sogno parla dell'incontro tra l'elfo e Dùndri, si svolge al presente ma si capisce che è un sogno ricorrente e che molto probabilmente ha a che vedere con un giovane Capernion neo-cantastelle. In questo modo sono riuscito ad integrare un personaggio, sta lepre, e soprattutto ho cercato di giustificare e delineare in-gdr lo scopo di Capernion, oltre a dare qualche piccola informazione sul culto lunare che segue. :zizi:


Edited by lothus - 20/4/2015, 08:41
 
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