Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Arcana Imperii ~ atto di fede

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view post Posted on 15/5/2015, 19:47
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Ladeca
chiesa di città; la sera prima


   Sfilando rapidamente lungo i corridoi superiori, la donna fiancheggiava le piccole celle degli accoliti; erano adorne di piccoli immagini sacre, semplici tavoli di mogano chiaro e numerosi fogli di pergamena, accatastati alla bene e meglio un po' ovunque. Non badò troppo alla polvere che sollevava, quanto - piuttosto - alla luce abbagliante del tramonto che scompariva dalle finestre, appena sotto i palazzi della città.
   « È tardi » disse Sapphire, mordendosi nervosamente il labbro. « E sono giorni che è chiuso li dentro ».
   L'attendende al suo fianco alzò il passo per la terza volta, sforzandosi di non sembrare affaticato. Aveva in mano ancora la scodella ricolma di zuppa di farro, che gli ballava tra le mani debordando di tanto in tanto oltre l'orlo del recipiente. Sospirò più volte e un paio di esse fu quasi tentato di implorare all'altra di rallentare. Eppure, la preoccupazione di Sapphire si leggeva sulle righe della sua fronte, inarcate quasi a disegnare i fremiti del suo animo. La sua apprensione era tanta che nulla l'avrebbe distratta dal compito, Benché meno i piagnistei di un attendente qualunque.
   « Vostra grazia » balbettò il ragazzo, alla fine « sono sicuro che sua eccellenza avrà i suoi buoni motivi per--- »
   « Avrà i suoi buoni motivi, certo » lo interruppe lei, senza pensarci troppo. « Ma questo non significa che non debba più mangiare. »
   Dopo alcuni istanti giunsero alla fine del corridoio. Le fioche lampade a olio emanavano un bagliore tenue, ormai insufficiente per illuminare a dovere quelle stanze inghiottite dalla notte. Le pareti di pietra chiara sembravano meno candide in quell'angusta penombra e la mobilia grezza aveva un aspetto ancor più dimesso. Il giovane, da par suo, appoggiò la scodella su di un tavolino di fianco e si piegò sulle ginocchia, riprendendo fiato. Aveva indosso la tunica bianca degli accoliti, tagliata all'altezza delle ginocchia per non ostacolare troppo il passo. Sotto teneva una spessa maglia di stoffa grigia, sporca e slabbrata in più punti. I capelli a caschetto neri e gli occhi fini incorniciavano un volto più orientale, poco consono nella zona.
   Sapphire lo squadrò, rendendosi conto solo in quel momento del suo aspetto. « Rimani qui » disse poi, pacata, « vorrei accertarmi da sola delle sue condizioni. »
   « Come desidera vostra grazia » aggiunse lui, tirando un sospiro di sollievo.
   « Sapphire » rispose lei, sorridendo. « Chiamami solo Sapphire. »

TOC TOC


   Sapphire bussò più volte, alternando a un tenue ticchettio delle nocche, un più energico movimento della mano. Poi, non udendo alcuna risposta, si limitò a spalancare l'anta della porta.
   « Mi perdoni eccellenza » esordì, piano « ma vi abbiamo portato la cena... » La donna parlò, scrutando la stanza. Il piccolo studio era immerso nella penombra della sera, ormai. Non v'era un solo libro o un solo mobile fuori posto; il letto di legno intagliato era integro, con le coperte ancora piegate con cura sulla sua sommità. Poco distante, i fogli erano ordinati in una pila unica al centro della scrivania, mentre il pennino era immobile nel calamaio, appoggiato sul bordo. Il rumore del vento, di tanto in tanto, smuoveva le tende. Le ante della finestra, infatti, erano state appena appoggiate e il vento le aveva spalancate subito dopo, lasciando entrare nella stanza il fragoroso suono del vento di Grecale che spirava da nord est.
   Sapphire scrutò da un lato all'altro della stanza, con aria sempre più preoccupata. Era tutto in ordine, tranne una cosa: Zeno. Zeno non era dove avrebbe dovuto essere.
   A quel punto richiuse la porta rapidamente, sbattendola con violenza. L'urto fu tanto forte che la scodella si rivoltò dal suo posto, riversando la zuppa sul pavimento.
   « Dai l'allarme » disse Sapphire all'attendente, senza nemmeno guardarlo in volto. « M-mia signora » disse lui, ancora confuso, « c-che succede?! »
   « Zeno... » rispose lei, scorrendo rapidamente lungo tutto il corridoio, « ...è scomparso. »


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Basiledra
borgo Alto; mattino


   Si inerpicò sul rialzo con estrema agilità, scorrendo come un gatto tra le macerie abbandonate sulla via. Pian piano, riusciva a riconoscere i tortuosi vicoli del Borgo, nonostante il tempo e gli sciacalli avessero depredato quei luoghi della maggior parte delle proprie bellezze. E della loro dignità, sopratutto.
   Sentì il cuore trascendergli fino alla gola. In qualche modo e per qualche ragione, ripercorrere quella strada gli provocava ancora un sano godimento; un turbamento dell'animo soave e leggiadro, come quello di un bambino che si avvicina al parco. Per anni aveva trovato angusti e spettrali quei sobborghi, così riversi nella propria amena e cadenzata brama di avidità. Silenziosi e omertosi alle angherie che vi si erano consumate, in qualche modo aveva sempre ritenuto quelle mura colpevoli delle oscenità di cui erano state testimoni.
   Ora, però, le compativa e - in fondo - era quasi felice di ritrovarle. Come un condannato che sconta la propria pena e, in un certo senso, impara da essa. Rovinose, spoglie e sporche; eppure, ancora li, presenti e pronte a vedersi ricostruite ancora una volta. Una volta di più. In un rinnovato elogio di se stesse che le avrebbe portate, per la seconda volta, a essere migliori di prima. A imparare dagli errori del passato.
   Almeno questa volta.

   « Eccoci » disse una voce, superando l'ennesimo avvallamento.
   Subito dopo, il suo passo si levò più rapido e seguì la voce del suo accompagnatore con un fremito di bramosia. Oltre la collina, infatti, c'era la silenziosa vastità dei propri sogni del passato. Il piazzale d'ingresso era sommerso di marmo bianco, spezzettato. Un intero colonnato era caduto durante il terremoto, ricoprendo il lastricato del piazzale con macerie e polvere. Alle estremità, le dimore dei nobili avevano un'aria del tutto dimessa: porte sfondate, finestre divelte. Erano state oggetto della più sfrenata razzia degli sciacalli, e ora si riversavano sulla piazza con aria sconfitta, dimessa. Appoggiandosi le une sulle altre, quasi a condividere le proprie disgrazie, oltre che le poche architravi ancora abbastanza robuste da sorreggerle.
   « È un po' come per i signoritti che un tempo vi dimoravano » disse l'altro, amaramente « soltanto le più forti resistono ancora. »
   L'uomo scrutava quello spettacolo deprimente con un pizzico di soddisfazione. Aveva capelli scuri lunghi, adagiati sul capo confusamente e con un laccio nero a tenerli insieme. Era magro e agile; anche per questo l'aveva scelto. Conosceva bene le rovine e sapeva come orientarsi al loro interno. Sicuramente più di lui, aveva imparato a sopravvivere a quella confusa sofferenza. E troneggiava come uno scaltro reuccio di quartiere, tenendo le mani conserte sul torso vestito di una corazza di cuoio robusto sgraffignata chissà dove.
   Quando si accorse di essere osservato, strabuzzò gli occhi e gli sorrise apertamente, con pochi denti scuri a omaggiarne la soddisfazione.
   « Vi ringrazio molto, mio buon amico » disse lui, pacato, « ma da qui proseguo solo. »
   L'uomo modificò il proprio volto in un'espressione più crucciata e triste. « M-ma qui è pericoloso, messere » aggiunse, balbettando qualcosa, « uno come voi potrebbe avere problemi a--- ».
   Zeno allungò le mani al proprio cappuccio, portandoselo dietro la nuca. La maschera bianca ed espressiva parve brillare alla luce del sole, di risposta alla soddisfazione di poter mirare l'antica capitale. La pesante tunica l'aveva accompagnato in segreto per tutto il viaggio, scortandolo durante la notte lungo ciò che rimaneva dell'antica Strada del Re. Ora, però, non serviva più nascondersi. Era a casa.
   « Non è necessario, davvero » disse, allungandogli un sacchetto di cuoio. « Questo è per il tuo disturbo. »
   Lo smilzo aprì il sacchetto avidamente, tirandovi fuori alcune monete d'oro. Gli occhi brillarono alla vista e, con soddisfazione, prese a morderle una a una, quasi incredulo. « Ohhh, non c'è problema - non c'è problema davvero » disse, senza staccare lo sguardo dalle monete. « Potete chiamarmi Philip » balbettò, estasiato, « anche se, a questo prezzo... potete chiamarmi come diavolo volete, signore! »
   Subito dopo accennò un rapido inchino, scomparendo dietro il piccolo colle.

   Zeno rimase immobile per diversi minuti. Cercò di immaginarsi il vociare della funzione del mattino, o le bancarelle dei mercanti della città vecchia che venivano a vendere gli ortaggi durante i giorni di festa. Si immaginava il rumore delle genti che scorrevano in quella piazza, dirigendosi ai vari angoli della grande città.
   Ci sarebbero stati ancora, pensava tra se e se, tra domanda e certezza. Se non altro vivevano in lui, rifletté ancora, e in tutti coloro che avevano potuto udirli.
   Subito dopo, riprese il cammino. Passò oltre la piazza, superando i porticati della via delle parate e scorrendo oltre ciò che rimaneva del Forte dei Gendarmi, fino a raggiungere l'altra piazza.
   Attorno poteva ancora udire i rumori dei clangori; le schiere di soldati che facevano la ronda ogni giorno e - misti ad essi - il rumore della battaglia di cui quella pietra era stata protagonista.
   Poteva vedere ancora il sangue incrostato lungo le pareti di roccia, nonché immaginarsi le urla degli uomini intrappolati sotto le grandi palazzine crollate. Chissà quanti avevano gridato per giorni, invocando il nome dei propri cari, dei propri figli o dei propri antenati. O del proprio dio; Zoikar, il Sovrano o qualunque altra divinità fosse loro cara.
   E poteva sentire le loro lacrime, riversate sui corpi feriti una volta realizzato che nessuno di loro li avrebbe ascoltati. Mai.
   Solo dopo ebbe il coraggio di vederla. Le mura di marmo scuro ancora si reggevano in piedi; le colonne di facciata erano crepate in diversi punti, ma tenevano salda la volta senza troppi disagi. La facciata antistante sembrava aver retto piuttosto bene al terremoto, nonostante qualche guglia avesse ceduto per le scosse. Il rosone principale era crepato e un'intera fetta era ricaduta verso l'interno. Infine, il tetto era crollato in diversi punti, dacché un'intero piano del balcone antistante si era sfaldato, sfondandone il tetto.
   Eppure, per il resto, quell'arcigna e inquietante costruzione scura ancora svettava con arroganza e autorità. Anzi, con tutto il resto della città distrutto e piegato su se stesso, il suo stato di salute contrastava con ancor più oscura ironia.
   Invero, mentre il mondo intorno moriva, la Cattedrale era ancora in piedi.

   Esitò, prima di entrarvi. L'aveva vista tante troppe volte ingoiare persone e le proprie speranze. L'aveva vista svettare anche nelle sue visioni e abbattersi con tentacolare deformità sulle speranze di intere generazioni di credenti. L'aveva vista anche prender forma e sostanza, in una scura armatura che aveva chiamato Zoikar e che con le sue fattezze aveva troppe similitudini. Aveva imparato prima a rispettarla, poi a temerla. Ora, credeva quasi di odiarla.

   Quando aprì l'anta del portone, questa non fece alcun rumore. Si scostò quasi d'istinto, come se il vento volesse accompagnarlo. Scrutò la navata centrale con perizia, mirando le parti del tetto che si erano riversate sugli spalti, danneggiando alcuni affreschi e altrettante statue.
   Infine, mirò alla sua destra, ove un tempo si accompagnavano i fedeli verso le confessioni della sera. Non c'erano più i lustri dei tappeti porpora, né le panche di mogano pregiato per le confessioni dei nobili. C'era soltanto la pietra spoglia e le colonne interne ad accompagnare un ipotetico cammino del fedele verso la vetrata adorna sullo sfondo. E in quel momento, fissando nella luce che proveniva dall'esterno, scrutò i contorni chiari di una figura.
   Il suo ospite; o chiunque aveva sperato di trovarvi.


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   Vi si avvicinò lentamente, lasciando che i passi tenui sul marmo annunciassero la sua presenza. Invero, sperava di esser compreso e capito; sperava di poter parlare al cuore così come aveva parlato alle persone. Sperava di poter recitare un atto di fede verso la sua terra che non assumesse i toni liturgici di un mero atto del proprio ministero sacro. Una preghiera laica, intonata da due amanti della verità.
   « Speravo di trovarvi qui » disse Zeno, calmo « a dar forma ai vostri confusi pensieri. »
   Poi attese un istante, sperando di esser compreso. « Rispondete solo alla mia domanda » aggiunse, subito dopo. « Chi siete voi? »
   « Chi siete... veramente? » Chiese, sorridendo.



Scena riservata, pregasi non postare. Lascio a te i dettagli sull'incontro: organizzato o casuale? Spero l'ambientazione ti possa ispirare. A te.
 
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view post Posted on 16/5/2015, 05:17
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Cavalier Fata
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Arcana Imperii ~ Atto di fede.
« È come lasciarsi andare all'indietro
aspettando e sperando che qualcuno fermi la tua caduta.
È un atto di fede. »

« Perché? »
La voce di Jeanne, bassa e incerta, incalzò quella mia decisione risuonando nella mia stanza a Terra Grigia.
« Patrick mi ha assicurato che ci sarebbe stato anche lui. »
La ragazza si accarezzò una guancia, palesemente dubbiosa sul lasciarmi andare in quel modo, da sola, in un luogo perduto come Basiledra. Eppure, sebbene le sue riserve provenissero dal cuore, dall'affetto che nutriva per me, non avrebbero intaccato la mia scelta. Era troppo tardi.
« Dovrei venire con te. » aggiunse, senza nemmeno degnarsi di utilizzare il linguaggio adeguato. « Tutto questo è... è troppo pericoloso! Hanno già cercato di ucciderti a Ladeca, vuoi che stavolta ci riescano? » parlava col cuore, profondamente spaventata all'idea di non vedermi più, di perdere un'altra persona cara.
« È pericoloso... » mi interruppe, quasi alzando la voce. « Proprio per questo voglio venire! »
Sospirai, lasciando andare la penna con cui stavo scrivendo dentro al calamaio. Mi adagiai sullo schienale della sedia, poggiando le mani sulla piccola scrivania e meditando su quelle parole. Poteva essere l'inizio di tutto o la fine di ogni cosa.
« ... » la guardai, negli occhi, scoprendola incredibilmente simile a me, seppur così tanto diversa. « Io... »
« È tempo che i figli di Basiledra tornino a casa, Azzurra, dove tutto... »
« ...è finito... »
Le sorrisi, dolcemente, facendo un lungo respiro.
E infine annuii.
« ...e dove tutto comincerà di nuovo. »

[ ... ]

« Abbiamo combattuto per venire al mondo, abbiamo combattuto per un tozzo di pane, siamo rimasti invisibili agli occhi della gente che si beava di vivere la propria esistenza lasciandosi scorrere addosso ogni cosa. Abbiamo visto sorgere i Re e morire i Tiranni, siamo le ombre che popolano le strade, indesiderati, soli, la cui unica casa ora giace in rovina. Senza un passato, senza una famiglia, siamo i figli di Basiledra.
E oggi torniamo a casa a porgere l'ultimo saluto a nostra Madre.
»


Eravamo ventitré sagome ammantate di rosso scarlatto. Ventitré mantelli che camminavano silenziosamente per le strade in rovina, sgusciando sulle macerie e incespicavano su detriti che nessuno avrebbe mai rimosso. Sulle corazze ognuno di noi portava fieramente i colori dei Lancaster, ma nel cuore aveva un altro padrone. Anche Patrick era lì con noi, avvolto nella sua corazza brunita e ammutolito davanti alla distruzione che si stendeva a perdita d'occhio.
Mi arrampicai sulla cima di quella che, al tempo, avrebbe dovuto essere una piccola caserma al limitare del borgo nobiliare, drizzandomi sulla schiena per osservare l'immenso crepaccio che sprofondava verso l'abisso sottostante. Della città dai grandi edifici, dalle grandi tradizioni, non restavano altro che macerie silenziose reclamate ogni giorno di più dalla natura. Abbassai lentamente il camaglio, liberando i capelli al vento leggero, in un silenzio quasi assordante che stonava dolorosamente con i ricordi vivaci e sereni del passato. Né voci, né passi, disturbavano la tomba di centinaia di anime innocenti.
Mi voltai un istante, scrutando con occhi lucidi i volti di coloro che si erano uniti in quel viaggio: ragazzi, giovani adulti, dai sedici ai vent'anni, che in religioso silenzio soffrivano la perdita di quella che, nel bene o nel male, era stata la loro unica casa.

Mi inginocchiai, notando qualcosa tra le pietre crollate al suolo. Con le mani rimossi quello che potevo, rivelando i resti di due soldati che ancora indossavano, seppur sbiaditi e ridotti in brandelli, i colori della Guardia Insonne. Si tenevano per mano, la morte e l'incuria non avevano potuto impedire che il loro legame perdurasse ben oltre la vita terrena. E d'improvviso, come un'immagine incisa a fuoco nella mia mente, rividi gli ultimi momenti della battaglia con Mathias Lorch.

Jeanne corre con il drappo rosso, i soldati fuggono davanti all'insurrezione, un ufficiale scappa
nella piccola caserma, abbandonando i Monmouth al loro destino, oramai privi di poteri.
Il popolo assedia la caserma, il drago di Ryellia abbatte la porta, lo scontro è feroce:
i soldati vengono massacrati, cadono uno dopo l'altro colpiti con la rabbia di chi ha fame di libertà.
La polvere si dirada, la caserma è libera...
...guardo per terra e vedo i corpi martoriati di due ragazzi, sono simili,
forse sono fratelli, si tengono per mano guardandosi negli occhi.

Scuotendo la testa distolsi lo sguardo, riportandomi in piedi. Jeanne parve accorgersi del mio turbamento e si avvicinò timidamente. La fermai con un gesto della mano. Eravamo lì per ricominciare, per affrontare i nostri dubbi, le nostre paure. Eravamo lì tutti assieme perché non c'era altro modo per dimenticare se non quello di andare avanti, di scegliere il futuro che avevamo sempre voluto costruire assieme. Alzai lo sguardo verso la cattedrale che ancora resisteva, stoica, nonostante tutto.

« Non è bellissima? » chiesi, a bassa voce, mentre i raggi del sole nascente ne illuminavano i maestosi contorni. « ... »

Mi sorpresi commossa, inaspettatamente, da quella visione. Patrick si fece più vicino, appoggiandomi una mano sulla spalla e guardando anche lui verso quella meraviglia. Per quanto mi sforzassi di essere forte, di dimenticare, ogni volta che abbassavo un attimo la guardia mi tornavano in mente le urla della gente intrappolata dal ghiaccio che sprofondava negli abissi davanti ai miei occhi. Era così inutile essere tanto forti, avere tutto il potere del mondo o conquistare interi continenti quando non si aveva potere di proteggere chi, per le nostre azioni, ha sacrificato tutto.

« Non è stata colpa di nessuno di noi... » cercò di dire, il ragazzo, con parole stentate e vacillanti. « ...Azzurra... »

Cercai di reprimere le lacrime prima che qualcuno le vedesse, ma anche molti degli altri avevano iniziato ad abbassare lo sguardo, a respirare profondamente, a pregare in silenzio.

« Noi... » tirai su col naso. « ... un giorno... » per la prima volta, dopo gli eventi di Ladeca, non riuscivo a trovare le parole per parlare.
Mi passai le mani sul viso, mondando gli occhi da un velo di lacrime.


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« Un giorno ricostruiremo Basiledra. Magari non saremo noi a farlo, magari non saranno i nostri figli, ma la ricostruiremo. »
Poi mi voltai verso lo squarcio raccogliendomi un istante in preghiera. Tutte quelle anime perdute, intrappolate nel ricordo straziante dei loro ultimi momenti, non avevano ricevuto l'addio di nessuno. Tutti sembravano già essersi scordati di Basiledra, tutti volevano già andare avanti e dimenticare.
« A coloro che sono morti, a coloro che sono stati dimenticati. » sfoderai la spada, alzandola al cielo e così fecero tutti gli altri. « Possa Zoikar accogliere le vostre anime, e possiate voi riposare per l'eternità nell'Oblio. »
« Non sarete mai dimenticati dai figli di Basiledra. »
Mai.

[ ... ]

Avevo chiesto a tutti di restare lontani, di non avvicinarsi alla cattedrale e lasciare che mi assumessi la responsabilità delle mie azioni da sola. Non ero mai stata dentro la casa del Sovrano, e a ogni passo il suono cadenzato e ritmico dei miei stivali rimbombava dentro le vuote navate, lasciando solamente al vento e alla polvere il compito di accompagnarmi. Non più cerimonie o sontuosi sermoni, solo ricordi sbiaditi e silenziose pietre.
E mentre guardavo una vetrata oramai ridotta in frantumi, il rumore di passi leggeri mi obbligò a voltare la testa. Zeno era dunque giunto.
Avevo più volte temuto che non si presentasse, che quella voce lasciatagli arrivare si fosse persa semplicemente tra le altre, che non si fosse ricordato né del mio nome né del mio volto. E invece era davanti a me, che camminava con tranquillità lasciandosi bagnare dalla luce dell'ingresso, quasi la sua presenza rischiarasse un poco il tormento di quel luogo dimenticato. Rimasi immobile, stretta nel mio mantello, osservandone ogni movimento e ascoltandone ogni parola.

« Un tempo vi avrei risposto che sono una donna di fede, umile serva di Zoikar. » tenevo il tono di voce molto basso, quasi remissivo. « Ma oggi vi dico che sono solo una donna come tante, con i suoi sogni, le sue speranze e i suoi dolori. Forse non so chi sono ma... » lasciai trascorrere un istante. « ...voglio fare la cosa giusta. »
Mi abbandonai in una piccola riverenza per salutare il Corvo.
« Potete aiutarmi a capire ciò che provo, Padre Zeno? »
Domandai con l'innocenza di una fanciulla che chiede aiuto alla madre affettuosa.
Anche alla penombra della navata non era difficile scorgere nei miei occhi azzurri il rossore del pianto, né le note incerte e tremanti in ogni parola. Ciò che sarebbe stato quel giorno, a prescindere dalla mia scelta, altro non era che un atto di fede.



Ho deciso di ruolare la prosecuzione naturale di tutte le mie giocate sino ad ora in Arcana Imperii. Gli orfani, Patrick, Jeanne... il flashback del post fatto citando "ciò che diventiamo" con i due soldati... qui si decide qualcosa di molto importante per Azzurra e per il suo futuro, cose iniziate mesi fa con la finale di RoW. Sono molto emozionato e felice di poterlo giocare così serenamente. Spero che sia una piacevole lettura.
 
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view post Posted on 18/5/2015, 12:27
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   Gli occhi blu svettavano come smeraldi, rifrangendo la luce della vetrata come un candelabro di emozioni.
   Erano arrossati, gonfi; stretti a metà tra livore e delusione, in un certo senso comprensibile a fronte del peso che palesava così animosamente. Una donna che si diceva fragile, racchiusa in un'armatura salda e robusta, quasi come una conchiglia che si nasconde nel suo guscio. Era fragile e - al tempo stesso - dolce, affabile e animosa in quel bisogno di cure così urlato al mondo, ma strozzato in un silenzio che non aveva riservato ad altri che a se stessa.
   Cos'era un cavaliere senza cavallo? Un guerriero privo delle proprie certezze, che ricercava il proprio cammino nel più improbabile dei sentieri, sotto i più improbabili portici e in compagnia del più improbabile dei ciceroni. Rilasciando domande a chiunque avesse potuto dargli una risposta, un tono gentile o una parola soave; al di là delle speranze e dei bisogni, il lascito di giustizia che sfilava nel mondo si dissuadeva dagli stendardi e dai trofei. Filtrava tra i mattoni dei castelli e tra le rovine delle città, come il sangue che sgorga dalle ferite. Lacrime di mondo, di cui i più fedeli cantori della sovranità del popolo si sentivano responsabili. Urlavano e si dimenavano sotto il peso delle incertezze, soffrendo del bruciore delle proprie ferite ogni qual volta un diritto veniva calpestato, una verità nascosta e una vita innocente spezzata. Chiunque fosse l'autore del crimine, re o mezzadro.
   Questa era la fede dei più virtuosi. Una parola sofferta che si scinde tra gli occhi arrossati, gocciolando in terra tra mille dubbi. Chi si fa domande e crede nelle risposte, non si sazia di pastrani ricamati, spade luccicanti o facili clientelismi. Chi si sazia di giustizia, soffre la fame ogni giorno di guerra, chiunque siano i vincitori o i vinti.
   Zeno sorrise dolcemente sotto la maschera bianca. Fece un passo, accomodandosi di fianco a lei e fissando le frastagliate venature della vetrata con distratta piacevolezza. S'immaginò figure sacre, o semplici immagini coi contorni dipinti delle spaccature del vetro. In quel modo, gli parvero più divertenti e meno arroganti su quel simulacro dipinto che era e rimaneva un'icona sacra deturpata della sua ricchezza.
   « Mi duole vedervi così, Lady Azzurra » rispose Zeno, traendo un fazzoletto in stoffa bianca dall'interno della sua tunica. « Vi prego » aggiunse, porgendolo alla donna « asciugatevi le lacrime; un viso così prezioso non dovrebbe mai essere triste. »
   Poi stette in silenzio, aspettando al suo fianco che le domande assumessero una forma, e le risposte altrettanto. Aspettando che i tempi del dolore schiarissero a entrambi la mente, di modo da dare un senso a quelle emozioni così potenti.
   « Invero, non ho la presunzione di capire chi siete » ribatté Zeno, con la stessa pacatezza, « non più di quanto non possiate fare voi, s'intende. »
   « Posso solo indicarvi la via; aiutare a capire come imboccare i sentieri della vostra coscienza » aggiunse ancora, ponendole una mano sulla spalla « ma sta a voi percorrerla. »
   Poi fece un passo indietro, voltando lo sguardo verso il corridoio laterale. Il marmo lastricato risplendeva di luci e ombre, disegnandosi a raggiera in un percorso alternato dai chiarioscuri delle finestre. Alla luce delle vetrate, infatti, si alternavano le ombre delle colonne, frastagliate e contorte nelle venature delle fratture nella pietra. In un certo senso, si ponevano come una schiera di armigeri o fedeli, posti a picchetto sui fianchi del passatoio. Una schiera di pavidi giudicanti cui sottoporre il proprio dubbio.
   « Camminate con me, vi va? » Chiese lui, sorridendole da sotto la maschera.

   Il colonnato ripiegava su di loro con imperturbabile severità. Eppure, Zeno lasciò che la loro ombra investisse il suo volto, prima di quello della sua ospite, sorridendo con più forza affinché quell'ombra non ne rabbuiasse eccessivamente lo sguardo. Nel mentre, era rassicurante vedere gli occhi di lei che cambiavano colore pian piano, passando dall'arrossato al pallido con lenta gradualità. Era divertente, in un certo modo, vedere quell'umana femminilità traboccare da un simbolo duro come quello dell'arma; era splendido vedere emergere la donna al di là del soldato, svettare imperiosa oltre l'etichetta per imporsi con tutta la propria devastante personalità. Fatta di dubbi e consapevolezze, ma viva proprio per questo.
   « Vedete, voi siete sconvolta dai dubbi che vi attanagliano » proseguì ancora, poco dopo, « eppure io ritengo che quelli stessi dubbi vi omaggino per ciò che siete. »
   « Siete stata educata a dei valori forti, militari » ribadì ancora, « ma non esitate a metterli - e mettervi - in discussione, a fronte di ciò che sentite nel vostro cuore. »
   Poi si volse, arrestando il cammino. Dai fianchi del passatoio svettavano gli Araldi della Penitenza, cavalieri in armatura completa interamente scolpiti nel marmo, che reggevano la volta del porticato in nome del potere di Zoikar. « Sapete, mia signora, cosa ci rende diversi da queste statue? » Chiese, sorridendo.
   « L'emozione » asserì, serafico. « Se seguissimo il messaggio di Zoikar senza mai interrogarci di esso, allora non saremmo diversi da queste statue. » Passò la mano bianca sulla superficie nera, disegnando un'ampio arco sullo strato di polvere e pulviscoli che ormai le ricopriva. « Se così fosse, saremmo immobili nella nostra ignorante consapevolezza, reggendo un palo o un'arcata, senza mai batter ciglio. »
    Si guardò intorno, fissando le ampie volte. « Saremmo come questa Cattedrale, immobile e sempiterna » ribatté, chiaro, « ma inutile per il messaggio di Zoikar. »
   « Zoikar non è etichetta, ma sostanza » disse ancora, modificando l'espressione del volto in un tono più serio « e non vuole statuine a disegnargli i contorni del suo tempio... »
   « ...ma uomini e donne a difesa del suo popolo. »

   Lasciò qualche altro minuto alla sua ospite; fece in modo che le parole facessero il loro percorso nella sua mente. Le sentì avvolgersi nell'aria fredda dalla cattedrale, mossa tra pulviscoli e silenzi profondi. Qualche passo in più e si scorgeva la navata centrale, che proseguiva lunga tra le arcate tortuose, fino all'abside centrale.
   « Io non posso aiutarvi a capire chi siete, Azzurra » proseguì ancora Zeno, « ma posso aiutarvi a capire chi non siete. »
   « Non siete una serva di Zoikar » ribatté, sicuro, « perché Zoikar non ha servi, né schiavi. » Sorrise ancora, serafico, come se il suo messaggio fosse di quanto più rassicurante ci fosse al mondo. « Zoikar non vuole statuine che seguano il suo credo, ma persone in grado di render giustizia al suo regno. »
   « E non è importante quale vessillo svetti sul vostro capo, Lady Azzurra » aggiunse ancora, guardandola negli occhi « ma quale sarà la vostra scelta quando dovrete decidere se anteporre o meno le ragioni del popolo a quelle del vostro signore. »
   Un altro minuto di silenzio investì i due, placidamente. Poi, Zeno parlò ancora: « Per questo, non chiedetevi se siete o meno al servizio di Zoikar... »
   « Ma quanto siete disposta a sacrificare per il popolo. »

   Dopo qualche momento, alcuni passi interruppero il dialogo tra i due. Un rumore acuto di stivali che scorrono sul pulviscolo attirò la loro attenzione; proveniva dall'ingresso della Cattedrale e, fissando in quella direzione, entrambi poterono mirare qualcosa di insolito. Erano cinque uomini, tutti di giovane età. Erano vestiti di stracci e pelli, con pezzi di metallo legato con lacci di cuoio; per lo più indossavano frammenti di vecchie armature, stivali rubati chissà dove e pezzi del passato di Basiledra.
   « Che cosa...? » Zeno li fissò, interdetto.
   « Ehi Phil, avevi ragione...! » Sbottò il più alto, scrutando verso il fondo della navata. « E io che pensavo fosse una delle tue solite cazzate! »
   Poco distante, Zeno riconobbe tra i tanti il suo accompagnatore di poco prima. Aveva uno sguardo dimesso, colpevole e si nascondeva con vergogna nell'ombra degli altri quattro. Alle parole del primo, tutti gli altri si lasciarono andare a una grassa e sonora risata. Meno che Phil, il quale abbozzò un piccolo sorriso, ancora misto di vergogna.
   « Questa è la casa di Zoikar » esordì Zeno, freddo, « cosa può fare il Sovrano per voi? »
   « Oooh il Sovrano ha già fatto abbastanza, come vedi » ribatté l'uomo, indicando le macerie attorno a se, « ma ho qualche idea su cosa possiate fare voi per noi. »
   « Come darci qualche spicciolo, per esempio » minacciò, mostrando un coltello dalla punta ricurva, stretto nella mano sinistra.
   Philip gli passò accanto, con aria dimessa. Scrutava poco più in la delle proprie scarpe e, con tono altrettanto dimesso, parlò al primo. « A-avevi detto che non avresti fatto nulla di--- »
   « Certo certo » lo interruppe quello, placidamente, « dico tante cose, io. » Poi sorrise, fissando entrambi da capo a piedi. « E poi non capita tutti i giorni di avere a che fare con dei pezzi grossi. »


preghieralaica3



   Nel mentre Zeno si strinse poco ad Azzurra, mantenendo un tono calmo. « Ti prego di non giudicarli troppo affrettatamente » le disse, calmo, « è gente che ha vissuto la guerra e gli stenti, senza avere colpa alcuna. » I suoi occhi si fecero seri e tristi. « La fame muove le loro mani, non l'arroganza. »



Scusa il piccolo ritardo.
La prima parte è puro dialogo; sentiti libero di interpretarlo come vuoi e coi tempi che vuoi. Puoi collocare la scena successiva (quando entrano i tizi) in qualunque momento del dialogo, senza troppo curarti del timing. Poi, reagisci come vuoi.
 
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view post Posted on 19/5/2015, 16:28
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Arcana Imperii ~ Atto di fede.
« È come lasciarsi andare all'indietro
aspettando e sperando che qualcuno fermi la tua caduta.
È un atto di fede. »

Lentamente afferrai il fazzoletto portandomelo agli occhi. Mentre ascoltavo Zeno tamponavo delicatamente le guance e le palpebre, pulendole dalla sofferenza che mi aveva stretta in una morsa silenziosa e che, solo alla presenza del Corvo, iniziava a diradarsi. Non potevo che trovarmi d'accordo con le sue idee: ora che doveva parlare solamente con me sembrava un uomo diverso da quello visto a Ladeca, più umano, come se sotto la maschera ci fosse un volto comune, il viso del popolo. Le parole gentili, l'assenza di arroganza, quell'intrinseca gentilezza in ogni gesto e ogni azione, ne caratterizzavano l'anima in ogni sua sfaccettatura. Accondiscendente, quindi, mi alzai per camminare al suo fianco lungo le navate polverose e dimenticate.
Rimasi in silenzio, osservando quei meravigliosi dettagli sopiti dal tempo e rimasti celati agli occhi dei molti pellegrini. L'abbandono, la noncuranza, avevano portato alla luce una cattedrale nuova, diversa, mettendo in risalto quelle piccole particolarità che nessuno, prima di allora, si sarebbe mai soffermato a notare. Lo sguardo di una statua, il chiarore del marmo, la firma di uno scalpellino sulla base della pietra, tutte piccolezze perdute, abbandonate.

Sospirai, profondamente, lasciando che Zeno parlasse del mio trasparente dolore senza provare a giustificarmi, non sarebbe servito assolutamente a niente. Le sue parole ricalcavano in maniera perfetta e scultorea quella che era la realtà dei fatti, nessuno avrebbe mai potuto metterla in dubbio. Poggiai le mani su una delle colonne, osservandola per tutta la sua altezza, e immaginandomi cosa avrei fatto al suo posto. Immobile, per giorni, mesi, anni... capace solamente di guardare lo scorrere delle genti e degli eventi, sì robusta ma al tempo stesso inamovibile e incapace di compiere qualsiasi gesto che non fosse quello a cui ero stata destinata. C'era un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui mi sentivo nient'altro che una statua di marmo protesa in una sola direzione e incapace di trascendere il mio scopo. Ma dopo quello che avevo visto, gli uomini che avevo incontrato e le idee che avevo appreso tutto risultava diverso. Forse il mio scopo non era quello di sostenere un mondo destinato a crollare, ma quello di aiutare a costruire ciò che sarebbe venuto dopo la distruzione; non essere una colonna obbligata a crollare, ma il pavimento sotto le macerie, la base di un nuovo futuro. Mi voltai, osservando la maschera inespressiva di Zeno per regalargli un sorriso muto e sincero.
Il messaggio di Zoikar. Abbassai lo sguardo, ripensando all'imponenza di quel Dio triclope che s'imponeva sopra le nostre figure senza proferire parola alcuna. Ci aveva lasciato il compito di tramandare quella storia, di essere i testimoni della sua misericordia e, al tempo stesso, della rovina del nostro mondo.
Basiledra non era più. Ma la sua gente viveva ancora, perduta, spaurita, bisognosa di un mondo dove crescere e prosperare. Un mondo che non fosse più come la solida roccia, ma come le braccia di una madre affettuosa: forse meno robuste ma ben più accoglienti.

« Avevo un sogno. » dissi, a bassa voce. « Prima di tutto questo, quando ancora non conoscevo di persona il mondo, avevo un sogno. »
Alzai un braccio come a descrivere un arco crescente. « Elevare l'uomo al divino. Insegnare ai poveri il valore della ricchezza, ai ricchi l'umiltà, all'ignorante la conoscenza e al saggio la semplicità. » tirai appena su col naso, ancora un poco tappato a causa del pianto. « Poi... ho incontrato Mathias Lorch, il resto è storia testimoniata da ogni rovina in città. »

Sogni adolescenziali, sogni infantili oserei, distrutti come cristalleria colpita con furia dal martello degli eventi. « Credo in un solo Dio, un solo Re, un solo Regno. » sorrisi, tra me e me, alzando gli occhi alla navata sopra le nostre teste. « Un Re onesto, un re buono in grado di portare prosperità e speranza. Un Regno forte, capace di difendere i suoi confini e di aiutare coloro che non possono farlo da soli. Un Dio misericordioso, che osservi dall'alto dei cieli l'operato dei suoi figli e si prenda cura delle loro anime immortali. » abbassai, infine, lo sguardo. « Ma questi sono solo i vaneggiamenti della poesia epica, non una realtà concreta, ne sono consapevole. »
« E ne soffro immensamente. »

Mi strofinai le mani, come in cerca di un gesto d'affetto verso me stessa. « Ma io credo... credo che il mondo abbia bisogno di uomini e donne disposti a sognare. Non sono una politicante, né più una nobile, ho perso ogni cosa nella vita e mi è rimasto solo l'affetto delle persone a me care. L'idea di costruire qualcosa per loro, e con, loro è fonte di ispirazione e di profonda fede. » a quel pensiero gli occhi mi si illuminarono quasi a giorno, tante speranze e tanto cuore riponevo in quel progetto. « Stiamo costruendo una piccola città ai confini di Terra Grigia. Col benestare di Ryellia Lancaster alcuni profughi si sono già riuniti per iniziare una nuova vita, per ricostruire la civiltà. » un velo d'ombra mi calò sugli occhi, mentre un flebile vento filtrato dalle vetrate faceva ondeggiare i miei capelli. « Ma Aedh e la sua sfilza di seguaci non lo permetteranno mai. Preferirei vivere un giorno di onesta povertà, che cento anni di prepotente ricchezza. »
Con un gesto della mano riportai dietro l'orecchio i capelli scompigliati dal vento. « A Ladeca ho visto qualcosa, Padre... io... ho visto... »

Mi bloccai, sentendo il frusciare cadenzato di svariate paia di stivali sul marmo polveroso. Anche Zeno si accorse della loro presenza, mettendosi immediatamente sul chi vive. Portai la mano sull'elsa della spada, chiudendola sull'impugnatura pronta a ingaggiare battaglia. Cinque figure, vestite con quelli che sembravano rimasugli di armature e accozzaglie obbrobriose di vestiti cuciti alla buona, stavano arrogantemente davanti a noi, scrutandoci da capo a piedi come un cacciatore che esamina la propria preda. Serrai le dita sulla spada, sentendo le nocche premere contro il guanto di metallo.
Volevano soldi, volevano l'unica cosa che sembrava, a loro, poterli salvare dalla fine inesorabile di quei giorni. Con un passo mi portai a protezione di Zeno, tenendo le mani ferme e pronte a qualsiasi cosa. Erano tutti ragazzi, giovani uomini perlopiù, che probabilmente mascheravano con l'arroganza il senso di smarrimento e con la ferocia la mancanza di sicurezza. Se mi avessero sorpresa solo pochi giorni addietro non avrei esitato a estrarre la spada e dare battaglia, ma in quel mentre qualcosa mi tratteneva, e non erano solamente le parole di Zeno. Lentamente lasciai andare l'arma, consapevole che tutti e cinque messi assieme avrebbero, forse, potuto formare un soldato mediamente addestrato. Feci un passo verso di loro, piantando bene gli stivali nel sottile strato di polvere.

« Dai dei soldi a un uomo ed egli si sfamerà per un giorno. Insegnagli a vivere e non avrà mai più fame. »
Li guardai dritto negli occhi, uno alla volta, lentamente. In quei volti avrei potuto benissimo esserci io, se le cose fossero andate diversamente.
« Qui un tempo la gente veniva a chiedere aiuto, a cercare il consiglio del Sovrano, ma oggi ci sono solamente io. Fuori da questa città devastata c'è ancora una possibilità per voi. » poi portai la mano sulla cintura, slacciando un piccolo borsellino con qualche moneta d'oro. « Se vi interessa avere un futuro... » lanciai le monete ai piedi del gruppo, che cadendo tintinnarono rumorosamente. « ...prendete quei soldi e compratevi un passaggio a Terra Grigia. »
« Oppure continuate a non essere migliori di chi ha causato tutto questo. » dissi, indicando con le mani la volta della cattedrale. « A voi la scelta. »

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« Io sono Azzurra, e non mi interessa chi siete stati, ma chi volete diventare. »
Poi riportai la mano sulla spada.
« Scegliete. »

Spostai di nuovo lo sguardo verso il Corvo, come cercando un cenno di approvazione, di compiacimento. Anche un'anima salvata in mezzo a mille era importante, anche un semplice ragazzo tra diecimila adulti. Basiledra aveva già visto abbastanza morti per il resto dell'eternità.


Azzurra, spinta anche dalle parole di Zeno, rivela uno dei suoi sogni più intimi. Dopodichè reagisce, anzichè attaccando gli aggressori, con l'offerta di una possibilità di vita nuova, vedendoli anche molto giovani, fermo restando che è pronta a dar battaglia. Azzurra usa anche la sua passiva di fiducia mentre parla, nella speranza di evitare spargimenti di sangue.
La Pucelle de Basiledra: E' una voce roboante, un ruggito di orgoglio, un vessillo sgargiante nel mezzo della distruzione. Quanto successe a Basiledra fu monito per tutti di quanto, a vincere le guerre, non sia solamente la spada, ma anche chi la spada la tiene in pugno. Tenere alti gli animi, non arrendersi nemmeno quando tutto sembra oramai perduto, financo che la terra stessa si apra sotto i nostri piedi, noi combatteremo, noi non ci arrenderemo, prendendoci cura gli uni degli altri, spalla a spalla, perché è così che sono gli uomini, è così che devono essere: eroici.
[Passiva Talento Guardiana I - Fiducia. Capacità di infondere fiducia negli animi, anche nel cuore della battaglia] (Utilizzi:6-1=5)
 
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view post Posted on 23/5/2015, 20:00
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   Il richiamo delle monete rimbombò sulle pareti di pietra levigata. Allo stesso tempo, sprazzi di fioca luce trapassavano le vetrate opache, riverberavano sul metallo lucido e lanciando bagliori dorati verso gli occhi dei presenti. I briganti parvero rapiti dal richiamo dell'oro e gli occhi prima, le orecchie poi, stettero immobili ad ammirare la scintillante opulenza di un sacchetto di cuoio che balenava nel buio della cattedrale, come un dolce menestrello entro le mura arcigne di una infame prigione. Una melodica fantasia, che rinfrancava cuori di pietra e stomaci ormai vuoti, molto più di quanto avessero fatto le preghiere o potessero fare, ora, le parole. Il primo strabuzzò gli occhi, quasi incredulo. Il volto si illuminò di rinnovata speranza e con la mano destra profusa in avanti, mimò un improbabile e repentino abbraccio a quel frutto proibito fatto di sonante malizia.
   Zeno stette in silenzio, ascoltando le parole di Azzurra. Gli occhi arrossati si dispiegarono, imitando il tono fermo di chi non trattiene il proprio giudizio. Il volto deciso di un guerriero benevolo, ma che verga la propria mano per carezza o per punizione a seconda di ciò che realmente il popolo abbisogna. È così che riteneva valide le sue parole, ovvero le soppesava con dovizia di virtù e caparbietà.
   Udendole, il Corvo parve quasi sollevato, felice. Contento di come una donna così ardita potesse soppesare la vita umana, anche in un contesto che alla vita umana avrebbe dato un valore molto ristretto. Anche per questo le annuì con decisione, sorridendole appena sotto la maschera. Le diede il suo benestare, ove mai ve ne fosse realmente bisogno.

   Di risposta, il brigante disegnò un sorriso sornione. I suoi occhi spalancati e fissi sulle monete parlavano di un piacevole godimento; nonostante ciò, il coltello era ancora ben saldo nella mano sinistra e scintillava all'unisono con le monete, rispondendo di altrettanta decisione in un immaginifico dialogo tra speranza e tradimento.
   « Siete cortese Milady » biascicò sotto bocca, sogghignando di un sorriso molto poco probo. Poi fece un primo passo verso il sacchetto, accurato e accorto, quasi avesse premura di testare fisicamente che quella via facile verso l'oro non fosse null'altro che una ingannevole illusione. Poi un secondo passo, felpato e ancor più carico di premura, temendo quasi che il breve cammino tra se e il sacchetto si dovesse spaccare di una profonda voragine.
   Infine, fece seguire un altro passo, poi un altro ancora e, giunto in prossimità del sacchetto, si piegò a raccoglierlo, pur mantenendo la punta del coltello ben tesa dinanzi a se.
   « Oh, che piacevole peso » disse, tastando la consistenza della piccola borsa. « Sapete, siamo molto grati per le vostre parole » aggiunse poco dopo, ancora divertito, « ma da queste parti di preghiere se ne son viste tante... »
   « ...e di risultati molto pochi. »
   Agitò il braccio, facendo saltellare il sacchetto nella mano un paio di volte. « Quindi ci perdonerete se per ora ci limitiamo ad accontentarci di queste... »
   Poi strinse le dita ancora una volta, sentendo le monete tintinnare tra loro al di sotto del cuoio. Le sentì sfregare, in un rantolo di opulenza che parve solleticargli l'appetito molto più di quanto non avesse fatto la loro semplice visione. Lanciò un'occhiata agli altri sgherri dietro di lui e modificò il sorriso sornione, in un uno più malevolo e accentuato.
   « Anzi, pensandoci meglio » proseguì con scherno, tendendo le labbra ancor più verso l'alto « ...e se non ci accontentassimo, invece? »
   Philip, il ragazzo che aveva condotto Zeno sul posto, fu preso dall'ennesimo moto di rimorso. « Andiamo Caleb » disse, quasi piagnucolando « ora basta; avevi promesso che--- »
   « Piantala, mi hai scocciato » lo liquidò il brigante, mollandogli un malrovescio all'altezza del naso. Lo accompagnò con un'occhiata arcigna e disgustata, salvo poi tornare a concentrarsi sui due ospiti ancora fermi nel centro della navata. « D'altronde voi capite bene » sentenziò ancora, sogghignando « che non posso credere che questo sia tutto l'oro che lor signori dalle mutande ricamate si portano dietro. »
   Poi lo sguardo si fissò su Azzurra; un'occhiata piena di lussuria e vizio. « E poi son sicuro che una donna come voi » asserì ancora, lascivo, « possa condividere molto di più con noi povere anime disperate. »
   A quel punto perfino uno come Zeno parve aver udito abbastanza. Avanzò di un passo con decisione, aprendo le braccia con fermezza, quasi a coprire la donna al suo fianco. « Ora state esagerando » asserì il Corvo, sicuro, « e state abusando della generosità mia e di Lady Azzurra. » Lo sguardo passò con violenza dal sacchetto nelle mani del brigante, al coltello stretto nell'altro pugno, fino all'espressione divertita. « Se non volete accogliere la sua offerta, prendete il danaro che vi è stato donato e lasciateci rientrare ai nostri doveri. »
   Il brigante cambiò tono in un lampo. Parve pronto, come se i suoi occhi non aspettassero altro che poche parole per reagire di conseguenza. Infatti, il ghigno di scherno svanì, trasformandosi in un'espressione di sfida, carica di odio e di minaccia. Allo stesso modo, gli occhi si strinsero, fissando con insistenza il volto mascherato di Zeno.
   « Forse non hai capito santone » abbaiò rabbioso il brigante, « siamo cinque contro due, quindi ritenetevi fortunati se... »


preghieralaica4


   « Mi permetto di dissentire. »
   Una nuova voce rimbombò nel salone principale della Cattedrale. Il tono melodioso e deciso di un decano che riporta l'ordine al proprio popolo rinfrancò e scosse cuori allo stessso tempo. Dai margini illuminati del portone spalancato, infatti, fece capolino un'intera squadra di soldati della Resistenza armati di maglie di ferro e spade; al loro vertice, v'era il volto mascherato e ammantato di candore di una sacerdotessa votata a Zoikar. Un Corvo assai noto, ormai, a molti dei presenti.
   « Sapphire » la chiamò Zeno, con aria divertita. « Come mai ci hai messo tanto? »
   « Eccellenza » sospirò la donna, con aria quasi disarmata, « capisco i vostri impegni, ma sarebbe il caso che presto o tardi impariate ad avvisarci di certi impegni. »
   Zeno sorrise ancora, quasi indeciso se risponderle o meno. « La parola di Zoikar non può attendere, né ha bisogno di una scorta per spostarsi, mia cara... » asserì, sicuro e tranquillo. « E, a parte questo... » aggiunse, divertito, « ...credi che non sia in grado di difendermi da solo? » Sorrise.

   Nel mentre, i briganti si scambiavano occhiate impaurite. Ancora con le armi in pugno, fissavano la scena scrutandosi da ogni lato e meditando piani o contromosse efficaci. Di risposta, il primo ufficiale della Resistenza fece un passo avanti e comandò loro la resa: « Siete in minoranza e non avreste possibilità » sentenziò, freddo, « deponete le armi, finché siete in tempo. »
   I più non se lo fecero ripetere due volte. Nell'aria rimbombarono i clangori delle lame che rimbalzano sulla dura pietra, sconfinando oltre i piedi dei briganti la loro voglia di perder la vita contro soldati addestrati a difender la pelle da pericoli molto più abili di loro. Seguendo l'esempio dei suoi compagni, anche il brigante al centro depose il coltello, lasciandolo scivolare sul terreno a un paio di metri da se. In quel frangente, la sua espressione cambiò ancora e per ben due volte. Prima offesa e disillusa, poi arresa e quasi supplichevole.
   « La prego, mio signore » disse rivolto a Zeno, incrociando le dita in simbolo di preghiera « siamo solo mossi dalla povertà. »
   Zeno passò qualche istante di troppo a scrutarlo, mentre dal cortile esterno Sapphire e gli armigeri attendevano soltanto un suo comando. « Mi spiace, amico mio » parlò poi il Corvo, con tono dimesso, « ma non dovete confondere la mia pietà con la mia ingenuità. » Abbassò lo sguardo, meditando il da farsi. « Non ti offrirò nuovamente il mio perdono » aggiunse, secco, « non dopo aver visto fino a che punto l'avidità può corrompervi. »
   Subito dopo, si voltò nuovamente verso Azzurra. Nonostante tutto, non si era dimenticato delle sue parole, del suo sguardo e dei suoi sogni. Nonostante tutto, riteneva che quel giorno fosse pieno di lezioni. Per entrambi.
   « Non porre freno alle tue ambizioni, Azzurra » le disse, con tono sereno, « e non lasciare che il popolo patisca le angherie di chi dovrebbe proteggerlo. » La fissò con decisione, ponendole nuovamente una mano sulla spalla.
    « Noi siamo la parola di Zoikar; noi siamo lo scudo della gente contro l'ipocrisia del potere. »
   « Il tuo progetto di costruire case per i poveri è ammirabile e degno della tua generosità » aggiunse ancora, fermo, « e io non mi sottrarrò dal dovere di aiutarti. »
Subito dopo, si voltò ancora verso i briganti e verso gli armigeri di Sapphire. « Allo stesso modo, però, assolverò il bisogno di giustizia di questa terra » proseguì, fissando i briganti con aria severa « e non permetterò a queste persone di sfogare la propria frustrazione su avventori innocenti. »
   Li fissò uno per uno, deciso. « Renderò la vostra opera utile al futuro di questo Regno. » Poi, fissò Sapphire, superando gli sguardi allarmati dei briganti. « Preparate una guarnigione e fate in modo che sia pronta a viaggiare verso nord, quanto prima » comandò, deciso, « inoltre, prendete in consegna questi uomini. »

   I soldati si mossero immediatamente, recependo l'ordine con un gesto del capo. Requisirono le armi dei briganti e presero a scortarli fuori dalla Cattedrale, seguiti dal tono severo di Sapphire.
   Zeno si voltò nuovamente verso Azzurra, subito dopo. « Come penitenza per le loro azioni, presteranno le proprie braccia per la costruzione delle vostre case » aggiunse, sicuro, « fate in modo che ricevano vitto e alloggio in cambio di ciò. » Subito dopo, le si avvicinò, parlandole con ancor più chiarezza. « E se temete che Aedh Lancaster possa ostacolare il vostro mirabile progetto, fate svettare il suo vessillo sulle nuove case e convincete la gente che il loro benefattore è proprio l'anziano Drago. »
   « Gli uomini come Aedh rispettano la propria fama molto più dei propri soldi » ribatté, infine, « non si preoccuperà di soggiogare un popolo che è convinto già gli appartenga. »
   Successivamente, levò il proprio passo fino a condurlo nei pressi del portone centrale. Voltandosi, fece in modo di dedicarle poche e concise parole: « E non preoccupatevi per me, Azzurra; conosco il vostro cuore ora e so dove è orientata la vostra fedeltà. »
   « Ogni volta che allevierete la sofferenza di un innocente, io saprò che l'avrete fatto in nome di Zoikar » concluse, uscendo « e di nessun'altro. »



Scusa il ritardo. Spero che il post ti piaccia. Per me possiamo chiudere qui la scena; se vuoi fare un altro post o proseguire fai pure. Oppure contattami, come preferisci. :sisi:
 
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view post Posted on 24/5/2015, 17:28
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Arcana Imperii ~ Atto di fede.
« È come lasciarsi andare all'indietro
aspettando e sperando che qualcuno fermi la tua caduta.
È un atto di fede. »

Avrei potuto ucciderli, se avessi voluto. Ci avrei provato, perlomeno, perché uomini di quella levatura non meritavano una seconda possibilità. In nessun caso. Eppure avevo taciuto la mia ira, messo da parte l'orgoglio e lasciato che fosse Zeno a decretare la loro sorte. L'arrivo di Sapphire e della Resistenza era stato tempestivo, tale da evitare inutili spargimenti di sangue e questo, a dirla tutta, mi rincuorava immensamente. Anche le parole del Corvo furono gentili e magnanime nei miei confronti, mi davano la fiducia di andare avanti, perlomeno di provarci, senza temere le conseguenze dei miei sogni. In cuor mio sapevo che il Dortan non era pronto a cambiare, che Basiledra era solamente l'inizio di qualcosa di più grande e apocalittico... con la sola differenza che Mathias ed i demoni erano un nemico tangibile, mentre il gioco dei tre poteri si riduceva ad una schermaglia invisibile e inudibile, eccezione fatta per i caduti. Rimasi in silenzio per tutto il tempo, osservando severamente i prigionieri impauriti e disperati, vedendo in loro la più abietta delle attitudini umani: la menzogna. Avrebbero confessato e promesso qualsiasi cosa pur di avere salva la vita, innegabilmente, eppure non meritavano di morire. Avrebbero dovuto servire gli altri fino a quando il loro debito non fosse stato ripagato, anche se questo avesse richiesto l'eternità. Era incredibile come, pur professando un diverso futuro, anche Zeno fosse capace di grande risolutezza e indiscussa autorità laddove c'era bisogno... e mentre i soldati scortavano via i prigionieri un piccolo sorriso, stentato, affiorò alle mie labbra.

« Padre! » lo rincorsi poco fuori dalla cattedrale. « Questo è solo l'inizio, lo sapete vero? »
Lo guardai negli occhi, oltre l'inespressiva maschera. « I Pari non si arrenderanno mai e gli Arconti preferirebbero bruciare il mondo che cederlo al popolo a cui appartiene. » abbassai lo sguardo per un solo istante, poi tornai o sostenere quello di Zeno.
« Quando arriverà quel momento io sarò lì per voi. »
Sorrisi, genuinamente. C'erano troppe parole che avrei potuto e voluto dire, troppe spiegazioni che non sarei stata in grado di esprimere. Decisi di dire l'unica cosa che sentivo dentro di me, l'unica che mi premeva comunicargli. La più importante.
« Grazie. Grazie per tutto quanto. »

[ ... ]


Quando tutti furono andati via e più nessuno restava a disturbare le pietre silenziose della cattedrale, tornai all'interno a passo lento. Volevo godermi ancora un poco quello scorcio di meraviglia, respirare qualche altro minuto la grandezza perduta di quel luogo, immaginandomela nei giorni di festa, illudendomi di essere ancora in tempi migliori. Avevo capito, oramai, che unire di nuovo il Dortan in un solo popolo, senza schieramenti e divisioni intestine, era l'unica cosa che avrebbe potuto compiacere Zoikar e, ovviamente, l'unica cosa che avrebbe potuto impedire ai nemici del regno di spazzarci via definitivamente. Creare qualcosa, in quel mondo in rovina, esigeva un sacrificio... e io ero pronta a offrirmi. Ryellia avrebbe guidato egregiamente verso il futuro le persone che si fidavano di lei, sarebbe rimasta per sempre come simbolo di unione tra il popolo e la nobiltà, dando vita a qualcosa di nuovo e duraturo. Mentre io, un cavaliere senza nemmeno l'onore di essere stata conclamata tale, avrei potuto espormi quanto era necessario perché il nostro sogno si avverasse, a prescindere dalle conseguenze. Non avevo paura di fare la cosa giusta, non più almeno.
Alzai lo sguardo verso la navata, ammirando le statue polverose come a chiedere la loro benedizione per quella crociata.

Click


Il suono metallico e stridente di un meccanismo attirò la mia attenzione, distogliendomi dalle mie riflessioni. Voltai la testa verso le balconate superiori, malridotte, vedendo la canna lucida di un archibugio riflettere debolmente la luce che filtrava dalle crepe nel tetto. Dietro al fucile, immobile nel suo mantello scarlatto, c'era Jeanne.

« Jeanne? Che stai facendo? » la guardai, incredula.
« Credevo tu fossi una persona onorevole. » sentenziò, fredda. « Ero rimasta qui per proteggerti, e invece ho scoperto che vuoi dare il via a una specie di crociata... e sai chi ci rimetterà in tutto questo? NOI. » strinse le mani sul fucile, prendendo meglio la mira. « A casa abbiamo decine di bambini, non possiamo permetterci di combattere una guerra per conto di quello stupido vecchio con quella maschera del cazzo! » alzai lentamente le mani, incredula. « Calmati, per l'amor del cielo! Hai frainteso... » era furibonda, il tono della voce pareva quasi vibrare tanto era incattivito e acre. « Non ti sono bastati tutti i morti che abbiamo visto? Non ti è bastata la miseria che abbiamo dovuto passare?! Devi trascinarci in questa guerra dove le nostre vite non saranno che numeri, carne da macello? Perché lo fai, Azzurra... noi ci fidavamo di te, non puoi tradirci anche tu. Ci hai promesso una casa, un futuro... »
Feci un passo in avanti, sfidando la sorte nella certezza che non avrebbe aperto il fuoco. « Lo sto facendo per voi... siete la cosa più importante per me, ma non posso proteggervi facendovi vivere sotto un nuovo tiranno! Sto cercando di darvi il meglio, di farvi avere una istruzione, di insegnarvi a difendervi... » alzai anche il tono di voce, quasi urlando, mentre le mie parole risuonavano come eco nella cattedrale. « ...credi che mi piaccia dovervi mandare in battaglia, farvi affrontare qualche rischio? Se fossi sicura che tutto questo finirebbe con la mia morte non esiterei un secondo a tagliarmi la gola qui, senza pensarci due volte, ma so che non risolverebbe niente! »
La giovane rimase in silenzio, tenendomi sotto mira e valutando attentamente quelle parole. Potevo comprendere la sua reazione, potevo immaginare ciò che significasse per lei vedermi in quelle miserabili condizioni, indecisa e pronta a dare battaglia contro i mulini a vento. Al suo posto, probabilmente, avrei fatto la stessa cosa impaurita dalle conseguenze, mi sarei sentita usata, incapace di comprendere il piano generale delle cose e desiderosa solo di tutelare la vita dei miei compagni. Jeanne era la sorella maggiore degli Artigli, non avrebbe esitato un secondo a piantarmi un proiettile in testa se avesse visto in me una minaccia.
« Sei un cavaliere, un cavaliere dei Pari Azzurra. Questo è tradimento, ed è punibile con la morte. » accarezzò il grilletto con l'indice. « Cosa hai da dire a tua discolpa? »
Forse, dopo tutto, il prezzo per quel sogno avrei dovuto pagarlo persino in anticipo. Sospirai, abbassando lentamente le mani lungo i fianchi.
« Vuoi sapere perché sono qui? Perché io non seguo i pari, non seguo i Corvi Leici e non seguirò mai quella massa di fanatici che sono gli Arconti. Il compito di un cavaliere è quello di rappresentare il suo signore, di essere il riflesso che il mondo vedrà di lui, sempre impeccabile. Ryellia è come una sorella per me, io non sono la sua guardia del corpo, non le ho giurato fedeltà perché i giuramenti possono essere rotti, ma l'amore che provo per lei va ben oltre le semplici parole. Io sono un cavaliere al servizio dell'umanità e come tale è mio compito proteggerla, difenderla e fare ogni cosa in mio potere per evitare le ingiustizie, le angherie, i soprusi. » ogni parola era detta con voce sempre più alta, come uno sfogo libero a tutto il mio dolore, la sofferenza d dovermi tenere dentro quel sentimento che, altrove, sarebbe stato visto come indelicato, stupido o addirittura perseguibile. « Proteggere i deboli, perseguire virtù come il rispetto, l'uguaglianza, la libertà e la tutela della vita... questo ho sempre cercato di realizzare. Non mi difenderò con te appellandomi a Zoikar o a qualche strana ideologia, questa sono solamente io che scelgo di combattere per ciò che ritengo giusto. » aprii le braccia verso di lei. « Se credi che queste mie idee non valgano niente allora uccidimi. Preferisco morire sperando in un futuro migliore, che vivere in mezzo a tanta sofferenza senza fare niente. »


Jeanne tentennò. Poi, abbassando la mira e appoggiando l'arma sulla balaustra, fischiò. Lentamente, dalle ombre, spuntarono tutti gli Artigli avvicinandosi a me in silenzio. Nascosti dall'oscurità e dalla penombra avevano assistito a ogni cosa.

« Vi avevo detto che non era come gli altri... » disse la ragazza ai compagni, con un sorriso sincero e affettuoso sul volto. « ...hai avuto paura vero? »

scoppiò in una risatina piuttosto infantile, mostrandomi il fucile e tirando il grilletto, ma invece del rumore secco e assordante della polvere nera uscì solamente un misero "click" a vuoto.
Tutti e venti i ragazzi, incluso Patrick che si avvicinò con gli occhi lucidi, si prodigarono in un piccolo inchino nei miei confronti. Sulle prime mi spiazzarono, ero confusa e non riuscivo a capacitarmi di quanto stava accadendo, ma non appena riuscii a fare mente locale sulle parole di Jeanne mi fu tutto più chiaro: mi avevano messa alla prova. Volevano essere sicuri che io combattessi per quello che volevano anche loro, non si sarebbero mai più piegati a un potere che non seguisse i loro stessi ideali.
Patrick mi abbracciò affettuosamente, davanti a tutti, e poi anche gli altri si prodigarono in gesti d'affetto più o meno espansivi; una stretta di mano, una pacca sulla spalla, un abbraccio vero e proprio. Nasceva a Basiledra un nuovo legame e una nuova speranza.
Il cuore iniziò a battere più lentamente, mentre la paura e l'adrenalina lasciavano il posto a una sensazione positiva e fraterna. Quelli erano i figli di Basiledra, non potevo pretendere che mi seguissero senza fidarsi di me, senza considerarmi una di loro. Quel giorno avevamo stretto un legame indissolubile, un vincolo che ci avrebbe portato alla vittoria o alla morte, uniti. E Jeanne, che scoprivo allora essere anche una bravissima attrice, era l'anello più forte di quella nostra catena: abbastanza matura da riflettere come una donna e abbastanza piccola per amare come una ragazza.

« Voi siete la mia seconda famiglia. » dissi, quando anche Jeanne si fu unita agli altri. « Ci prenderemo cura gli uni degli altri, ora e per sempre, e difenderemo Terra Grigia dai nemici, sia esterni che interni! » guardai il sole, in alto, da un grosso buco nella navata centrale. « Possono colpirci e affievolire la nostra luce, la nostra speranza, ma noi risorgeremo ogni giorno, come il sole! »

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« Gloria a Basiledra! Gloria al Futuro! Gloria a Theras! »
E quelli risposero, tutti in coro.
« GLORIA! »

Il nostro sogno, la nostra vita, la nostra storia.
Il nostro Atto di Fede.



Ringrazio immensamente Janz per la giocata, per gli spunti narrativi e per lo sviluppo che ha ricevuto Azzurra. C'è del magico nell'aver scelto la cattedrale, così come sono rimasto emotivamente colpito dalle parole di Zeno e dalla grande speranza per il futuro di Azzurra. Ho scelto di coronare questo momento facendole anche superare l'ultima prova, la più importante, che riguardava i suoi compagni. Da ora Azzurra ha uno scopo definito, un sogno da inseguire, e non posso che ringraziare per questo. Spero che il post sia stato piacevole e spero di giocare di nuovo con te quanto prima!
 
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5 replies since 15/5/2015, 19:47   196 views
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