Sedeva nella poltrona, ascoltando il rombo distante di un tuono, annusando l'odore ferroso del temporale che stava correndo verso di lei. Storse le labbra. Sarebbe piovuto per tutta la notte, prima e dopo il suo viaggio. Avrebbe cancellato le sue tracce, lavato via le lacrime del suo popolo, raffreddato il sole della primavera. I fiori sarebbero annegati, la loro vanità sarebbe stata rovesciata dalla cruda violenza della realtà.
Batteva le dita contro la poltrona con un movimento ritmico, iroso. Aveva iniziato riproducendo il ritmo di una musica che lui amava suonare, ma ormai tutto era solamente aspettativa.
Dei passi risuonarono fuori dalla porta, passi gravati da un peso. Il suo servo entrò senza annunciarsi, ben sapendo che non ve ne sarebbe stato bisogno. Scaricò a terra il proprio fardello e lei vi si chinò accanto, in ginocchio. Inclinò il capo di lato, lasciandovi scorrere le mani.
“Sei stato tu?”
Levò il capo verso di lui, sebbene non potesse vederlo. Era un gesto istintivo, che le faceva credere di poter comprendere meglio quello che lui avrebbe detto, di potergli leggere dentro. Mentre era solamente buio come in tutte le altre direzioni.
Sentì un fruscio, probabilmente lui che scuoteva il capo prima di rendersi conto del proprio errore. Continuò a rivolgersi verso di lui, fingendo di non essersi accorta di nulla. Non aveva tempo per adirarsi.
“No”.
I suoi polpastrelli indugiarono sulle guance che erano state svuotate dalla sofferenza, sulle labbra gelide. Insinuò le dita lungo il collo sottile, sugli occhi. Immaginò che fossero belli, come tutti gli occhi degli innocenti. Annuì, mentre si chinava a soffiare il proprio fiato tra le sue labbra.
Le palpebre, contro il suo palmo, ebbero un fremito. Tutto il corpo ebbe uno spasmo di muscoli contratti, come prima del risveglio. Una piccola mano si strinse attorno alla sua.
Sentì il suo servo strisciare i piedi, arretrando leggermente. Poteva quasi palpare il suo stupore, come se non riuscisse mai ad abituarsi a quello spettacolo.
“E, Kaa...quell'altra faccenda?”
Lui odorava di selvatico, di notte passata all'aperto, nei prati. L'erba vergine gli aveva lasciato il proprio sapore addosso, come se dalle narici fosse possibile mangiarla.
“Spero sia sufficiente”.
Lui era un cacciatore, ma la sua missione non era stata facile. Lo comprendeva dal suo tono affaticato. Lentamente, aiutò la sua nuova bambola ad alzarsi in piedi, finché non furono faccia a faccia. Gli poggiò una mano sulla fronte e fissò il proprio volto sussultare. Affondata nell'ampia gonna color borgogna pareva una vera signora e non una volgare ingannatrice che presto avrebbe messo a repentaglio la sorte dei Pari.
O forse li avrebbe salvati dalla disfatta.
Ruotò il capo della bambola umana verso il proprio uomo, fissando ciò che teneva tra le mani. Un tuono infranse il silenzio del suo sorriso da predatrice.
La pioggia cadeva sul suo mantello, rotolandole addosso. Il suo suono era un ticchettio ritmico, carico dell'ansia di sogni sospesi. Non riusciva a penetrare sotto la stoffa, dove il suo corpo troppo delicato attendeva. Le bagnava solamente la mano poggiata in quella del bambino. Le afferrava la pelle, quasi stesse cercando di scioglierla. Il bambino non era coperto e il temporale gli aveva bagnato i capelli biondi, il volto pallido dagli occhi infossati.
Camminavano lungo la strada da qualche minuto, perché lei non aveva voluto lasciare prova della propria provenienza. Il terreno era divenuto una sterrata melmosa di pietre e fango, dove camminare era difficoltoso. Ma la prudenza, con quelli come loro, non poteva dirsi mai troppa. Si era chiesta più volte cosa potesse mai averla indotta a chiedere udienza proprio a loro. Avrebbe potuto restarsene nell'ombra del Consiglio e attendere che venisse il suo momento. Avrebbe potuto credere nel loro sogno e aiutarli ad edificare, pietra su pietra, il potere di Aedh Lancaster.
Ma non sarebbe stato da lei. Non era destinata ad essere fedele neppure una volta in vita propria.
La locanda era una luce sfuocata dentro l'oscurità, un occhio ammaccato aperto su quel mondo deserto. Per lei era solamente una direzione da seguire.
Nessuno si sarebbe mai sognato di fermarsi in un posto del genere, trascurato sin dall'esterno, odoroso di muffa e di stantio. Si chiese se per caso non si fosse sbagliata, se il luogo di ritrovo non fosse un altro. Avrebbero perfino potuto ingannarla, e aver mandato solamente dei sicari ad attenderla. Dopo tutto lei per loro era poco più che niente.
Ma era su questo che contava. Sulla loro curiosità, sulla propria identità evanescente, mai in primo piano. Né un'amica né una nemica.
Strusciò i piedi sull'ingresso, nonostante una tale finezza fosse superflua. Bussò alla porta con delicatezza, riuscendo appena ad udire il rumore sopra il rombo dei tuoni. Eppure, immediatamente, le fu aperto e lei avanzò sulla foglia. Il bambino le dava la mano, come se fosse fiducioso. Come se fosse vivo. Mentre in realtà erano una sola cosa: un essere morto, ridotto a un burattino, e una dama sospesa tra la vita e il vuoto.
Spostò delicatamente il cappuccio all'indietro, rivelando il viso pallido, teso, le labbra strette e le guance scolorite. I capelli, legati in una crocchia, erano rigati da piccole gocce d'acqua. Se non fosse stato per la pelle innaturalmente liscia, sarebbe potuta parere una vecchia centenaria. Invece si ergeva davanti a loro fiera, gli occhi vuoti e immobili fissi avanti a sé. I suoi occhi sarebbero stati altri, non appena loro si fossero distratti.
La sua bambola sbattè le palpebre, ma non era ancora il momento di scacciare il buio, che la carezzava angoscioso. Sapeva che erano dei maghi e lei doveva mostrarsi debole, almeno fino a quando fossero stati vigili. Non voleva che loro sapessero.
Vedere non era necessario, non in quel momento. Quell'incontro stava avvenendo ai confini del reale, vero solo sulle labbra di coloro che l'avessero vissuto. La loro identità e il loro numero sarebbe stato cancellato dai libri di storia. Non sapeva se vi fosse solo lui, oppure anche degli altri. Contro le guance sentiva solo la piacevole sensazione dell'asciutto e il fastidioso odore umido dei luoghi mal curati.
Non parlò, non aveva bisogno di presentarsi. Così come non ne avrebbero avuto loro, ammesso che quella stanza non fosse completamente vuota. Ignorò la fastidiosa sensazione di essere destabilizzata, immersa in un universo a senso unico. Non appena avesse potuto avrebbe aperto gli occhi della bambola, era solo questione di pazienza.
Si chinò di poco in avanti, una mano al petto, senza alcuna ostentazione di rispetto. Non provava per il Priore alcuna affezione, così come lui probabilmente era guidato solo dal dubbio. Forse non erano neppure certo che l'avrebbe lasciata tornare indietro.
È questo che ti piace, non è vero?
Abbozzò un mezzo sorriso, tendendo l'orecchio per sentire qualcosa, anche solo uno scricchiolio, che lo tradisse. Un indizio, che facesse entrare il mondo spettatore all'interno del suo teatro, da cui non avrebbe potuto uscire fino alla fine dello spettacolo.