Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Arcana Imperii ~ Apri gli occhi

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view post Posted on 10/6/2015, 08:21
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Villaggio di Badhen, Alcrisia
Taverna "Muso di porco"; notte

   La pioggia battente rimbalzava sulle assi marce, tralasciando che crepitii e sinistri lamenti del legno trapassassero il tetto. Invero, nell'unica taverna di quel remoto villaggio dell'Alcrisia, a far eco nel locale c'era poco altro che il rumore della pioggia. I tavoli rattoppati con resti di travi rotte erano ammassati a caso lungo tutto il salone; incrostati di alcool e cibo, sporchi di fango e polvere, ma vuoti, in un abbandono logoro e solo.
   Ai margini della stanza c'era il bancone dell'Oste; sopra di esso era poggiato il gomito peloso e grasso di un grosso uomo dai capelli neri umidicci. Teneva un pesante cappello di panno grigiastro che gli si accomodava sul capo, scendendogli lungo un lato del viso. Il volto era incorniciato da un grugno rozzo e un grosso naso paffuto, sotto il quale dimorava una larga bocca con pochi denti e una barba incolta di settimane.
   Mentre nel suo locale si smuoveva una festa di pulci e moscerini, l'oste si profondeva in una intensa attività di ristoro del proprio essere, ronfando alla grossa di un sonno pesante, carico di frustrazione e noia.
   D'un tratto, al rumore delle assi malconce e della pioggia battente si alternò un secco cigolio. Diverso dagli altri, più intenso e profondo. Invero, la porta d'ingresso si spalancò rumorosamente, lasciando entrare parte della tormenta nel vuoto locale, oltre che due avventori di dubbia natura.
   Tenevano lunghi cappucci calati sul volto, impiastricciati di pioggia e fango. Le vesti calavano fino ai piedi, ricoprendoli interamente e lasciando intravedere nient'altro che le loro mani guantate. Uno di essi entrò senza dire una parola, si diresse verso il fondo della sala e si sedette nell'unica panca ancora integra, accostata al muro più remoto.
   L'altro, invece, si mosse verso l'oste. « Ehi » chiamò, con voce affannata, « ehi tu --- muso di porco »
   L'oste tra un grugnito e l'altro, teneva il grosso muso poggiato sulla mano destra; il braccio destro, a sua volta, era poggiato sul bancone, e le pesanti chiappe dell'uomo se ne stavano comodamente su di uno sgabello dal precario equilibrio. L'uomo incappucciato dopo i primi due richiami sbuffò sonoramente. « Ma tu vedi se... » balbettò, nervoso.
   « Ehi tu sacco di merda » sbottò poi, iroso, « TI VUOI SVEGLIARE...?! »
   All'ennesimo urlo, l'oste si ridestò improvvisamente. Il volto grasso scivolò lungo il braccio peloso, sbilanciando tutto il corpo che, a sua volta, sbilanciò il cigolante sgabello. Il risultato fu che l'oste cadde giù dal proprio seggio, sprofondando sul pavimento del locale con un sonoro tonfo.
   L'uomo incappucciato scoppiò in una fragorosa risata, tenendosi il petto con entrambe le mani. « Mi chiedo se il nome del locale sia ispirato al tuo brutto muso » aggiunse poi, tendendo lo sguardo oltre il bancone, verso il pavimento « o alla forma delle tue grosse chiappe...! »
   Dopo qualche secondo l'oste si rimise in piedi, aggiustandosi la canotta di stoffa bianca macchiata in più punti e il cappello grigiastro poggiato sui capelli stopposi.
   « C-chi diavolo siete...? » Chiese, visibilmente imbarazzato.
   « Qualcosa che non vedi da tanto tempo » rispose l'uomo, con un ghigno divertito, « clienti, hai presente? »
   Poco dopo, l'uomo incappucciato rovistò sotto il mantello, tirando fuori un sacchetto tintinnante. « Tieni » disse, quasi scocciato, « questo è per te. »
   L'oste non se lo fece ripetere due volte e afferrò il sacchetto con entrambe le mani callose. Quando lo aprì, i suoi occhi scintillarono di un bagliore dorato. Rimase rapito dalla visione e, seguitando a fissare il bottino, chiese: « C-cosa volete comprare...? »
   L'uomo incappucciato sbuffò di risposta. « Ah, fosse per me assolutamente niente. » Poi si voltò, squadrando nervosamente l'altra figura, seduta sulla panca nel fondo del locale. Questa, percependo lo sguardo, si limitò a fare un cenno di assenso. « Eppure compreremo tutto il locale » aggiunse, tornando a rivolgersi all'oste, « quantomeno per qualche ora. »

   L'oste rimase perplesso, guardandosi in giro come se qualcuno stesse provando a fregarlo.
   « A-ascoltate » ribatté, nervoso, « io non voglio dubitare di lorsignori. » Cercò di squadrare meglio il suo interlocutore, trapassando l'ombra oltre il cappuccio, « però voi venite qui, nel cuore della notte e con un sacco pieno d'oro » aggiunse, stentando, « ecco io... che cosa dovete farci col mio locale? »
   L'uomo col cappuccio sbuffò sonoramente ancora una volta. Infine, si sfilò la cappa interamente, abbandonandola fradicia sul pavimento. Poi si sfregò le dita pallide e affusolate sul ciuffo di capelli castani, scuotendoli energicamente. Infine, tornò a fissare l'uomo, con aria scocciata. « Dobbiamo incontrare qualcuno » disse Teslat, nervoso, « qualcuno di importante, a quanto pare. »
   « E il fatto che ti stiamo addirittura pagando il fastidio, dovrebbe suggerirti che non è il caso di fare altre domande » sbottò, spocchioso, « comprendi? »
   Detto questo, Teslat si allontanò senza aggiungere altro, andando a sedersi di fronte all'altra figura incappucciata.
   « Ecco, come volevi » aggiunse stizzito, « un locale merdoso, in un territorio merdoso, con un tempo merdoso. » Sbuffò poi, ancora, « spero che sia come desideravi. »
   L'altra figura non disse nulla, rimarcando la conversazione soltanto con un sorriso soddisfatto.



Scena privata. Non postare.
 
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view post Posted on 11/6/2015, 22:34
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Sedeva nella poltrona, ascoltando il rombo distante di un tuono, annusando l'odore ferroso del temporale che stava correndo verso di lei. Storse le labbra. Sarebbe piovuto per tutta la notte, prima e dopo il suo viaggio. Avrebbe cancellato le sue tracce, lavato via le lacrime del suo popolo, raffreddato il sole della primavera. I fiori sarebbero annegati, la loro vanità sarebbe stata rovesciata dalla cruda violenza della realtà.
Batteva le dita contro la poltrona con un movimento ritmico, iroso. Aveva iniziato riproducendo il ritmo di una musica che lui amava suonare, ma ormai tutto era solamente aspettativa.
Dei passi risuonarono fuori dalla porta, passi gravati da un peso. Il suo servo entrò senza annunciarsi, ben sapendo che non ve ne sarebbe stato bisogno. Scaricò a terra il proprio fardello e lei vi si chinò accanto, in ginocchio. Inclinò il capo di lato, lasciandovi scorrere le mani.


Sei stato tu?


Levò il capo verso di lui, sebbene non potesse vederlo. Era un gesto istintivo, che le faceva credere di poter comprendere meglio quello che lui avrebbe detto, di potergli leggere dentro. Mentre era solamente buio come in tutte le altre direzioni.
Sentì un fruscio, probabilmente lui che scuoteva il capo prima di rendersi conto del proprio errore. Continuò a rivolgersi verso di lui, fingendo di non essersi accorta di nulla. Non aveva tempo per adirarsi.


No”.


I suoi polpastrelli indugiarono sulle guance che erano state svuotate dalla sofferenza, sulle labbra gelide. Insinuò le dita lungo il collo sottile, sugli occhi. Immaginò che fossero belli, come tutti gli occhi degli innocenti. Annuì, mentre si chinava a soffiare il proprio fiato tra le sue labbra.
Le palpebre, contro il suo palmo, ebbero un fremito. Tutto il corpo ebbe uno spasmo di muscoli contratti, come prima del risveglio. Una piccola mano si strinse attorno alla sua.
Sentì il suo servo strisciare i piedi, arretrando leggermente. Poteva quasi palpare il suo stupore, come se non riuscisse mai ad abituarsi a quello spettacolo.


E, Kaa...quell'altra faccenda?
Lui odorava di selvatico, di notte passata all'aperto, nei prati. L'erba vergine gli aveva lasciato il proprio sapore addosso, come se dalle narici fosse possibile mangiarla.
Spero sia sufficiente”.


Lui era un cacciatore, ma la sua missione non era stata facile. Lo comprendeva dal suo tono affaticato. Lentamente, aiutò la sua nuova bambola ad alzarsi in piedi, finché non furono faccia a faccia. Gli poggiò una mano sulla fronte e fissò il proprio volto sussultare. Affondata nell'ampia gonna color borgogna pareva una vera signora e non una volgare ingannatrice che presto avrebbe messo a repentaglio la sorte dei Pari.
O forse li avrebbe salvati dalla disfatta.
Ruotò il capo della bambola umana verso il proprio uomo, fissando ciò che teneva tra le mani. Un tuono infranse il silenzio del suo sorriso da predatrice.

La pioggia cadeva sul suo mantello, rotolandole addosso. Il suo suono era un ticchettio ritmico, carico dell'ansia di sogni sospesi. Non riusciva a penetrare sotto la stoffa, dove il suo corpo troppo delicato attendeva. Le bagnava solamente la mano poggiata in quella del bambino. Le afferrava la pelle, quasi stesse cercando di scioglierla. Il bambino non era coperto e il temporale gli aveva bagnato i capelli biondi, il volto pallido dagli occhi infossati.
Camminavano lungo la strada da qualche minuto, perché lei non aveva voluto lasciare prova della propria provenienza. Il terreno era divenuto una sterrata melmosa di pietre e fango, dove camminare era difficoltoso. Ma la prudenza, con quelli come loro, non poteva dirsi mai troppa. Si era chiesta più volte cosa potesse mai averla indotta a chiedere udienza proprio a loro. Avrebbe potuto restarsene nell'ombra del Consiglio e attendere che venisse il suo momento. Avrebbe potuto credere nel loro sogno e aiutarli ad edificare, pietra su pietra, il potere di Aedh Lancaster.
Ma non sarebbe stato da lei. Non era destinata ad essere fedele neppure una volta in vita propria.
La locanda era una luce sfuocata dentro l'oscurità, un occhio ammaccato aperto su quel mondo deserto. Per lei era solamente una direzione da seguire.
Nessuno si sarebbe mai sognato di fermarsi in un posto del genere, trascurato sin dall'esterno, odoroso di muffa e di stantio. Si chiese se per caso non si fosse sbagliata, se il luogo di ritrovo non fosse un altro. Avrebbero perfino potuto ingannarla, e aver mandato solamente dei sicari ad attenderla. Dopo tutto lei per loro era poco più che niente.
Ma era su questo che contava. Sulla loro curiosità, sulla propria identità evanescente, mai in primo piano. Né un'amica né una nemica.
Strusciò i piedi sull'ingresso, nonostante una tale finezza fosse superflua. Bussò alla porta con delicatezza, riuscendo appena ad udire il rumore sopra il rombo dei tuoni. Eppure, immediatamente, le fu aperto e lei avanzò sulla foglia. Il bambino le dava la mano, come se fosse fiducioso. Come se fosse vivo. Mentre in realtà erano una sola cosa: un essere morto, ridotto a un burattino, e una dama sospesa tra la vita e il vuoto.
Spostò delicatamente il cappuccio all'indietro, rivelando il viso pallido, teso, le labbra strette e le guance scolorite. I capelli, legati in una crocchia, erano rigati da piccole gocce d'acqua. Se non fosse stato per la pelle innaturalmente liscia, sarebbe potuta parere una vecchia centenaria. Invece si ergeva davanti a loro fiera, gli occhi vuoti e immobili fissi avanti a sé. I suoi occhi sarebbero stati altri, non appena loro si fossero distratti.
La sua bambola sbattè le palpebre, ma non era ancora il momento di scacciare il buio, che la carezzava angoscioso. Sapeva che erano dei maghi e lei doveva mostrarsi debole, almeno fino a quando fossero stati vigili. Non voleva che loro sapessero.
Vedere non era necessario, non in quel momento. Quell'incontro stava avvenendo ai confini del reale, vero solo sulle labbra di coloro che l'avessero vissuto. La loro identità e il loro numero sarebbe stato cancellato dai libri di storia. Non sapeva se vi fosse solo lui, oppure anche degli altri. Contro le guance sentiva solo la piacevole sensazione dell'asciutto e il fastidioso odore umido dei luoghi mal curati.
Non parlò, non aveva bisogno di presentarsi. Così come non ne avrebbero avuto loro, ammesso che quella stanza non fosse completamente vuota. Ignorò la fastidiosa sensazione di essere destabilizzata, immersa in un universo a senso unico. Non appena avesse potuto avrebbe aperto gli occhi della bambola, era solo questione di pazienza.
Si chinò di poco in avanti, una mano al petto, senza alcuna ostentazione di rispetto. Non provava per il Priore alcuna affezione, così come lui probabilmente era guidato solo dal dubbio. Forse non erano neppure certo che l'avrebbe lasciata tornare indietro.
È questo che ti piace, non è vero?
Abbozzò un mezzo sorriso, tendendo l'orecchio per sentire qualcosa, anche solo uno scricchiolio, che lo tradisse. Un indizio, che facesse entrare il mondo spettatore all'interno del suo teatro, da cui non avrebbe potuto uscire fino alla fine dello spettacolo.


 
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view post Posted on 13/6/2015, 13:01
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   Il sinistro ticchettio della pioggia accompagnava un silente torpore.
   Teslat se ne stava disteso sullo scranno di legno, poggiando la schiena contro il muro cigolante. Dondolava ritmicamente, tenendo le mani conserte e un muso lungo, annoiato. Sbuffava e brontolava, protestando intimamente per quell'attesa senza senso. Eppure, non si permise nemmeno un momento di chiedergli qualcosa; invero, sapeva bene il significato di quegli incontri. E sapeva altrettanto bene che il suo ruolo, in quel momento, avrebbe potuto tradursi in molteplici significati. Non tutti positivi, in realtà.
   Anche per questo non disse nulla. Si limitò a sbuffare più volte, quasi a volergli fare arrivare quel messaggio di frustrazione, senza pronunciarlo davvero.
   D'altro canto, sapeva benissimo che lui capiva. Conosceva la sua insofferenza e l'avrebbe fatta scontare nei modi più brutali, se si fosse permesso di fargliela pesare. Dal suo punto di vista, quella presenza era un onore e un vanto, di cui avrebbe dovuto chiedere grazie. E non certo lamentarsi.

   Quando la porta si levò, fu quasi un bagliore di luce. Una deviazione dal logoro ripetersi di quel sinistro spartito, che fu accolto come un piacevole diversivo. Teslat per primo quasi non cadde dalla sedia, udendo l'ingresso della taverna spalancarsi in direzione di nuovi, temerari avventori. Per un attimo, infatti, aveva creduto che fosse tutto uno scherzo. Che la loro attesa li sarebbe stata infinita, o sarebbe finito in un tragico epitaffio ai suoi soli danni. Uno scherzo del destino, troppo noioso finanche per meritare il suo cordoglio.
   Invece, un avventore varcò la soglia. Anzi due, racchiusi in grappoli di stoffa umida. Bagnati da capo a piedi come avessero trapassato le più fredde cascate del nord.
   Accanto a lui, Teslat percepì un fremito. Un leggero sbuffo di compiacenza, nascosto dalla pioggia e dalla maschera, ma evidente. Chiaro quantomeno a lui, che da quella direzione aveva imparato non aspettarsi nient'altro che ordini o sentenze. Invero, arrivò un segno di stupore. Come se - alla fine - nemmeno lui si aspettasse quell'arrivo.

   Dall'ingresso fecero capolino due figure; una donna e un bambino. Rimasero immobili, guardandosi intorno con aria a metà tra il perplesso e lo spaurito. In un certo senso, la donna sembrava cercare un punto vuoto nello sfondo scuro, come se indugiasse su di un orizzonte che non le era del tutto chiaro. Teslat ci mise qualche istante di troppo per scrutare sotto i suoi capelli bagnati, rimarcando gli occhi vacui che di quello sfondo non avrebbero potuto percepire che l'opprimente sapore stantio.
   L'uomo si voltò verso l'altro al suo fianco, quasi stupito. Possibile che quell'incontro era con una donna e un bambino?
   « Falli accomodare » sentenziò freddo il Priore, diretto al suo secondo.
   Teslat allargò gli occhi stupito. « Io...? » Chiese, con tono schifato. « Mi hai portato qui per farti da valletto...? »
   Il Priore non si scompose, rimanendo fisso sui suoi ospiti. « No » ribatté, sicuro, « ti abbiamo portato qui per insegnarti le buone maniere »
   « ...e, a quanto pare, abbiamo fatto bene. »

   A quel punto Teslat decise semplicemente di non discutere più. Allungò due sedie e le fece strisciare sul pavimento, richiamando l'attenzione dei due ospiti.
   « Prego » disse, con tono di scherno « lor signori gradiscono qualcosa da bene, anche...? »
   « Taci » lo ammonì Caino, immediatamente.
   Di risposta Teslat affondò nuovamente sul suo scranno cigolante, ricominciando a dondolarsi. Poi, un velo di silenzio calò sulla sala, coprendo antipatie e simpatie con un unico grumo di pensieri e turbamenti. Caino scrutò a lungo i suoi due ospiti, prima di parlare.
   « È un piacere vedervi così in forma, oracolo » mentì, indugiando sul suo aspetto smunto e affaticato. « Ci rammarica solo sapere che non possiate dire altrimenti. »
   Solo in quel momento Teslat realizzò. Una donna cieca che viaggia in compagnia di un bambino, traendo dal suo sguardo forza e consapevolezza. Una realtà oltre la cecità, che aveva scrutato nel passato e nel futuro già altre volte. Teslat capì chi quella donna fosse e mandò giù un grumo di stupore, rilanciando al Priore occhiate preoccupate. Quest, dal canto suo, si limitò a ignorarle.
   « Siamo compiaciuti della lungimiranza con cui avete assecondato questo incontro» ribatté Caino, senza muoversi dal suo scranno « già una volta ci siete stata di grande aiuto »
   « ed è un piacere constatare che avete ancora a cuore il futuro del Regno » disse ancora, pacato, « nonostante gli interessi e il tempo si siano frapposti tra noi. »
   Caino sorrise, soddisfatto. Il suo gioco era iniziato.

 
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view post Posted on 17/6/2015, 22:22
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Nella stanza non c'era solo Caino, l'uomo che aveva desiderato incontrare.
E quello poteva essere un inconveniente non calcolato. Sentì l'incertezza scivolarle addosso come una carezza melmosa. Prima era sicura nel buio, nel proprio inganno, ma ora il desiderio di sapere era come un prurito.
Il bambino sbattè le palpebre e la luce malata della taverna rotolò dentro di lei senza portarle alcun sollievo. Trattenne per un attimo il fiato, mentre cercava con lo sguardo di un altro l'uomo che si era preso gioco di lei. Lo conosceva di vista e di fama, sapeva quale fosse il suo nome e ricordava di aver assistito alla sua falsa morte. Probabilmente credeva di essere un alfiere in quella partita appena cominciata. Eppure era solo una pedina indegna, di cui non vi era alcuna necessità di curarsi. Non quando il re era davanti a lei, pronto a farla rotolare a terra senza un fiato.
Si diresse verso le sedie che l'altro aveva mosso, fingendo di non vederle. Non sapeva se le avrebbero creduto, ma non era più davvero importante. Ne tastò lo schienale, lasciandovi scorrere le dita con simulata incertezza, quindi vi si sedette lentamente. Il bambino rimase in piedi al suo fianco, continuando a guardare verso di loro, prima l'uno e poi l'altro, cercando di intuire cosa si nascondesse dietro il loro sguardo, oltre la maschera.


Non vorrei abusare della generosità del vostro Ordine”.


Rivolse a Teslat un sorriso che poco aveva di amichevole. Non le piacevano il loro potere, la forza che riuscivano a comunicare anche con una sola parola. Non le piacevano i loro processi sommari e il modo in cui riuscivano a vestirli di giustizia. Nonostante fosse seduta davanti a loro, doveva forzarsi per sentirsi una loro pari. Le venne quasi da sorridere a quel gioco di parole. Dovette ripensare al motivo per cui si trovava lì.
Non sei da meno di loro.
Eppure non sei nessuno.

La sua bambola ruotò la testa verso Caino, come al solito nascosto dietro le proprie menzogne. Era immobile, come in attesa. Entrambi erano predatori cauti, che non amavano scoprirsi. Eppure quella volta sarebbe spettato a lei il primo passo. Era necessario che si esponesse. Le pareva di sporgere un piede nel vuoto, di saltare da un precipizio. Eppure nessuno avrebbe potuto farlo al posto suo. La sua fame pareva essere germogliata sotto il temporale, diventando ancora più intensa di prima.


A volte non serve vedere, per apprezzare chi si ha davanti”.
Lasciò scivolare le mani sul tavolo, carezzando il legno grezzo e macchiato dell'unto di troppi avventori. Le sue dita carezzarono la superficie ruvida, cercarono un appoggio.
E talvolta anche sedendo a diversi tavoli si può consumare il medesimo pasto”.


Inclinò il capo, la voce che si era fatta così sommessa da poter essere udita solo nel perfetto silenzio. Solo pochi giorni prima era tra i Pari, nel Consiglio gremito di nobili boriosi e dame imbellettate. Li guardava con disgusto, sentendosi a tal punto nauseata da preferire nuovamente l'oblio dei sensi, l'oscurità che era la sua maledizione. E ora era davanti a lui, all'incirca nella stessa posizione, a rinnegare quanto aveva proclamato a parole. Solo pochi giorni prima sorrideva, nel tepore della tarda primavera, stringeva mani e assaporava la sensazione di una vittoria imminente. Invitava a proprie spese compagni che disprezzava a fermarsi ad Ardeal. E ora, in quella notte che pareva d'autunno, era faccia a faccia con lo stesso nemico che aveva giurato di trascinare nella polvere.
L'acqua le gocciolava lungo il collo, cercando in ogni modo di strapparle un brivido, e i suoi piedi affondavano nelle scarpe fradice. Il disagio pareva volerla abbracciare con tutte le proprie forze. Chiunque altro al suo posto avrebbe tremato, temuto la propria avventatezza. Ma non lei.


Come potete ben immaginare, nessuno sa che sono qui”.


Né nel Consiglio. Né ad Ardeal. Né nel Dortan. Si era allontanata al calare della sera, quando i vampiri erano a caccia e i nobili iniziavano ad ubriacarsi, celata soltanto da un mantello, accompagnata dai propri servi. Le labbra serrate come le palpebre. Quello sarebbe stato il loro segreto, fino a quando tutto quanto non fosse finito. E dopo, fino a quando fosse stato necessario. Se aveva imparato qualcosa era che storie come quelle non potevano davvero finire.
Silenzo. Era in quel silenzio che avrebbe soffocato il suo piano, lasciandogli uno spiraglio di fiato finché fosse stato necessario.
Quello stesso silenzio avrebbe potuto essere la sua condanna o il suo più grande vantaggio. Per questo era necessario bluffare, prima di scoprire completamente le carte. Strizzò con falsa indifferenza una manica del mantello.


Come immagino che nessuno sappia perché la mia presenza qui vi sia particolarmente utile”.
Il bambino rivolse un'occhiata di sbieco al compagno di Caino, poco distante.
Lui lo sa?


Chinò leggermente il capo, un sorriso sarcastico sulle labbra. Non voleva che il Priore partisse con tutto il vantaggio, aveva imparato ad essere prudente. Voleva che lui ripensasse alla sua proposta, che la riconsiderasse nella propria mente. E poi voleva pronunciarla nuovamente, come se fosse stata nuova. Premette le mani sul legno con forza ancora maggiore.
Umidità. Per essere certa che non si trattasse di un sogno.
Decisione. Per fermare il lieve tremore della punta delle dita. Il suo volto era pallido, le guance lievemente arrossate. Ma lei doveva, voleva, apparire più forte. Più sicura. Corrugò la fronte.
Fino in fondo.


 
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view post Posted on 21/6/2015, 17:39
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   Sul momento Caino non disse nulla. Modulò i pensieri, in un rimbrotto di perturbazioni penetranti che gli sfioravano il cervello come idee poco studiate, pensieri troppo pesanti. Sensazioni ed emozioni che prendevano le mosse da quella distanza assaporata di brivido e avrebbero dovuto sfociare in un pedagogico richiamo alla sua bontà. Ella avrebbe dovuto probabilmente piegarsi a lui e implorarne il perdono o l'insegnamento; la punizione o la pietà. D'altronde, lei aveva un tempo parlato da schiava, serva. Aveva chiesto la sua attenzione e richiesto il suo sentimento, quasi a perorare un'occasione che gli si palesava come inutile, scarsa. Null'altro che una briciola di attenzione in un grosso canestro di becchi pigolanti.
   Ma Ainwen era cresciuta. Non era più sola e nuda; ora rappresentava un'ideale e l'interesse dietro di esso. Demandava rispetto al di là dell'attenzione e la sua sete di verità finiva dove terminava la sua pazienza. Era di traverso, quasi scostata. Vicina ma lontana da quegli occhi tremuli che lui aveva imparato a conoscere. A ben ragione, era preoccupata di tutto e - in particolar modo - dello sconosciuto Teslat. Era una donna di politica, ormai, non la bambola al giogo dell'oscuro signore del Priorato. Non era più la sua bambola e la cosa infastidiva visibilmente Caino.
   Nel contempo, anche il Priore era cambiato. Non perturbava più le coscienze dall'alto del suo balcone; non sentenziava come un dispotico re dall'alto del suo scranno, elevando l'ombra oltre il sole di mezzogiorno. Era una delle tante voci, scaduta e caduta nel gorgo putrefatto delle coscienze del nuovo Regno. Solo una virtù tra le tante che si scontravano, non più privilegiata. Non più legittimata a scegliersi i suoi interlocutori, ma bisognosa d'attenzione al pari di qualunque delle forze che meditava per il regno un futuro che prendeva le mosse dai propri interessi.
   Caino aveva bisogno di Ainwen. E questo la rendeva più forte, sicura. Più arrogante; più donna.
   « Lui sa quello che noi gli riveliamo » disse poi, dopo diversi minuti di silenzio. « E confidiamo nel fatto che comprenda molto presto l'accaduto. » Nel mentre, il Priore volgeva lo sguardo a Teslat, che gli rispondeva esterrefatto. Anche i suoi pensieri correvano veloci e si depositavano sugli occhi finti del bambino, per finire su quelli vacui della donna.
   Poi sussultò, finito di ordinare le parole. Quando tutti i tasselli giunsero alla sua mente allenata, anche l'ambiguo Teslat non riuscì a trattenere un lamento strozzato.
   « V-voi... » biascicò, premendosi il palmo della mano sulle labbra rosate « v-voi siete... Ainwen? »
   Capiva, Teslat. E percepiva il viscidume del suo signore, che non riusciva a stare al tavolo del suo nemico senza allungargli un sorriso ambiguo. Ipocrita e finto, come i giochi cui era abituato o i sermoni che aveva propinato per anni. Eppure, pregno in un dialogo a due che si ramificava in centinaia di interessi diversi. E tradiva altrettanti cuori, lontani da quella taverna sperduta.
   « Come dite, nessuno sa che voi siete qui » aggiunse subito Caino, sovrastando i lamenti di Teslat. « E il nostro attendente è qui per assicurare che nessuno lo sappia mai. »
   « State pur certa, milady » concluse, sorridendo « che teniamo alla vostra sicurezza non meno di quanto teniamo alla nostra. »

   Mentre discorrevano, l'oste li fissava timidamente. Fingeva di strofinare un panno lercio e modulava i suoi fiati con estrema lentezza, per riuscire a strappare qualunque parola soffusa nel bisbiglio fitto dei suoi ospiti di quella sera.
   Poi, qualche malaugurata sensazione lo convinse che non era troppo. Che la sua vecchia moglie non si nutre di pettegolezzi sussurrati e che la sua vecchia baracca avrebbe meritato un ordine di pinte di birra come non ne vedeva da mesi. Dunque si passò il panno lercio tra le mani più volte, quasi prendendovi coraggio. Poi se lo posò sulla spalla, alla stregua di un vecchio condottiero che si trascina l'arma oltre il campo di battaglia. Superò il bancone e si avvicinò con circospezione al tavolo dei quattro.
   « L-lor signori ordinano qualcosa...? »
   « Teslat » disse immediatamente Caino, senza nemmeno guardarlo.
   Teslat se ne stava lontano, quasi. Col volto tra le mani, fissando il vuoto e dando forma ai propri pensieri. Recepì il messaggio, ma lo liquidò con un impercettibile scossone del viso.
   « Teslat » ripeté Caino, questa volta girandosi a fissarlo.
   « No--- » abbaiò l'uomo, di risposta. « Hai scelto tu questo posto » rispose, con voce tremula « non dare a quest'uomo colpe che non gli appartengono! »
   Caino non fece una piega. Rimase a fissarlo intensamente qualche altro istante, salvo poi ribattere con tono ancora più incisivo. « Teslat, è un ordine. »
   Anche questa volta Teslat non disse nulla. Poggiò entrambe le suole degli stivali sporchi di fango alla gamba più vicina del tavolo. Poi fece pressione sulle ginocchia, allungandosi il seggio a distanza sufficiente da consentirne il passaggio. Lo stridere del legno gracchiò vigorosamente nel silenzio della taverna, con un tremore sinistro sufficiente a spaventare anche il ticchettio della pioggia. L'oste fece un passo indietro, impugnando lo straccio di stoffa come fosse un'arma sacra. Eppure, non ci volle molto; Teslat gli passò accanto, fissando il vuoto con aria irosa e bestemmiando, internamente, qualunque dio che volesse ascoltarlo. Non lo degnò nemmeno della sua pietà: si limitò a poggiargli una mano sul volto spaventato e a trascinarlo verso il pavimento sporco.
   L'oste cadde prono, svenuto. Con un rigolo di bava che si trascinò oltre il labbro e il volto grassoccio che si piegò verso sinistra. Teslat, invece, seguitò a fissare il vuoto, modificando il tono in uno sguardo sconsolato. Arreso, bisognoso di perdono. Lo stomaco lo fulminò con un dolore lancinante; si massaggiò il ventre e nascose a fatica un rivolo di sangue che spuntava dalla bocca.
   « Come vede » commentò Caino, gelido, « nessuno ci disturba milady. »
   « Invero » proseguì il Priore, con tono più soddisfatto, « capisco le vostre perplessità. » Allungò le mani sul tavolo, incrociandole con fare pensieroso. « Eppure, già una volta ci avete affidato la vostra fiducia » asserì, sicuro, « quando i vostri occhi si aprirono sul volto di un uomo che ora ambisce al seggio più alto del Regno. »
   Re Julien, che Ainwen aveva visto. E Caino trovato. E il Regno accettato.
   « Ora, immaginate » seguitò, fissandola negli occhi, « immaginate cosa accadrà quando si risiederà su quel trono, scortato dal vostro Consiglio dei Pari. »
   « Immaginate cosa succederà quando non ci saranno Caino o Zeno ad arginare la brama di potere di Aedh Lancaster » asserì, sornione. « Su chi credete la riverserà? »
   Attese qualche istante, lasciandola nei suoi pensieri. Nei suoi turbamenti, cosciente che le si sarebbero riversati addosso come lamenti innocenti e turbamenti dell'animo. L'avrebbero vergata più di mille flagelli, scuotendola molto più di qualsivoglia sermone o promessa.
   « Questa volta siamo noi a chiedervi una premonizione » disse ancora Caino, tendendo le mani verso le sue. « Immaginate quante vite potrete salvare. »
   « Aprite gli occhi, milady » ribatté, sicuro « e ripagheremo la vostra fiducia con la promessa con un nuovo lungo periodo di pace. »
   Poi la guardò, quasi commosso. « Fidatevi di me » concluse « io sono Caino.. »



Non ho riletto perché ho scritto di corsa; spero vada bene comunque. A te.
 
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view post Posted on 23/6/2015, 20:39
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Il regno, il suo sogno da tanto tempo, da quando per la prima volta lo aveva percorso. Il regno che per tutti aveva un significato diverso, ma che per lei era stato soprattutto strada. Vie strette tra le montagne, spazzate dal vento che mozzava il respiro. Strade lastricate dove gli zoccoli dei cavalli scalpitavano assordando i passanti e il vociare dei mercanti sembrava quasi un canto di voci eterogenee. Sentieri di terra battuta fiancheggiati da muri di grano, pregni dell'odore pungente dell'erba tagliata e percorsi dalla corsa frusciante della brezza. Il regno era un'unica, immensa strada verso un unico obiettivo: il trono. Su cui sedeva un ragazzino dalle spalle troppo strette per porvi più di un paio di mani. Chiunque fosse stato in grado di guidarlo avrebbe stretto tra le mani la ricchezza e il potere di tutti gli uomini. Ne avrebbe mosso i fili come un burattinaio esperto, dispensando i propri favori.
Era stata lei a scegliere chi potesse essere quella persona. A indicare il ragazzino a colui che aveva ritenuto giusto. Si era aspettata qualcosa in cambio, credendo fosse semplicemente un uomo senza scrupoli, uno come ce n'erano stati tanti.
E invece lui era Caino.
Con sogni più grandi dei suoi, con l'ambizione di un dio e le capacità di un sovrano. Un uomo che si era gettato così avanti da non avere più terreno sotto i piedi, che certo di vincere stava fronteggiando una sconfitta. E lei, che cavalcava sul carro del vincitore, sapeva che la via dei Pari non conduceva dritta verso il regno, ma virava nella più buia delle caverne senza uscita. Sarebbero divenuti poco più che ombre, mentre un nuovo re avrebbe succhiato tutto il potere di quei territori. Senza avanzarne neppure un poco, senza ricompensare come uno stratega coloro che l'avevano aiutato.
Aveva bisogno di tempo, per portare a termine il proprio piano. Di protezione, per arrivare fino in fondo. Di qualcuno che chiudesse gli occhi, senza essere così avido da lasciarla in ginocchio. E quel qualcuno non era Aedh Lancaster.


Non è necessaria una veggente. Noi tutti sappiamo, Priore Caino...
lanciò a Teslat un'occhiata di sbieco con i suoi occhi da bambino. Carezzò la sua ingenuità con quello sguardo senza espressione, riservando per sé un sorriso sarcastico
...cosa accadrà quando Aedh Lancaster salirà sul trono che il Consiglio avrà lavato per lui con la propria lingua. Schioccherà le dita, e le teste dei suoi nemici cadranno a terra come frutti maturi l'estate”.
Inspirò, raccogliendo una mano nell'altra. Corrugò la fronte, senza perdere il sorriso.
Immagino sia una consapevolezza dolorosa. E forse dovrei esserne lieta. Forse lo sarei”.


Inclinò il capo di lato, senza vedere. Un'espressione che sarebbe potuta essere vezzosa se non fosse appartenuta a una creatura tanto algida. Ascoltò il silenzio attorno a sé, quasi potesse suggerirle le parole.


Se non fossi certa che non passerebbe molto tempo prima che le nostre teste, quelle di tutti noi, rotolino accanto alle vostre. Julien si troverebbe davanti una corte di scheletri. Un nuovo re non ha bisogno di vecchi alleati. Non se ne può comprare a piacimento”.


Il suo volto tornò serio, totalmente inespressivo. Aveva riflettuto a lungo su quella vittoria che si annunciava sempre più imminente, travolgente come i marosi d'autunno. Avrebbe lavato tutto con sé: la storia passata, i tradimenti, la religione. Avrebbe spazzato come tempesta i giardini sordidi del Dortan, illudendo tutti che le cose sarebbero cambiate. I cittadini, armati di forconi fino al giorno prima, che avrebbero inneggiato con la coccarda dei draghi all'occhiello. E i loro, i Pari, convinti di essere davvero tutti uguali, che avrebbero cessato di pugnalarsi alle spalle per stringersi le mani. Sarebbero morti così, tra un fiato e l'altro, prima di accorgersi.


Quindi, mi domando: in una così disdicevole evenienza, di chi potrei fidarmi, se non di voi?
Un sorriso amaro le lacerò il viso.
E voi di chi potreste fidarvi se non di me? Dopo tutto non c'è miglior alleato per lo sconfitto che un traditore”.
Lasciò scivolare una mano lungo il tavolo, fino al petto e poi in grembo. La sua carta vincente era nascosta nelle sue sottane, ma l'avrebbe giocata a tempo debito.
Immagino che entrambi, quali messaggeri della verità oltre il tempo, conveniamo che una dama si potrebbe occupare molto meglio di un ragazzino. Forse potrei suggerirvi il nome di Lady Ryellia. Come potrei sussurrare all'orecchio di lei che sarebbe consigliabile prendere il posto del suo nobile avo prima che lui abbia il tempo di spedirla così sotto terra da non aver più speranza di volare tra i suoi draghi”.


Le sue dita strinsero l'involto reso umido dalla pioggia. Chinò un poco il capo in avanti, sottolineando le proprie parole. Il bambino fissò il Priore. Era una partita che si giocava su un filo sottile, troppo facile da spezzare. E loro, entrambi, erano in equilibrio sopra la propria tomba. Entrambi avevano troppo da perdere per non rischiare. Si chiese se lui si sarebbe fidato tanto facilmente. Al punto da lasciarle dettare il proprio prezzo senza nulla obiettare.
Sarebbe stato un prezzo salato, pensò. Ma nulla di ciò che pensava trasparì sul suo volto.


 
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view post Posted on 25/6/2015, 07:29
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   La perizia di sguardi bramò qualcosa ogni attimo di più. Si incontravano e si parlavano, dicendo molto di più di quanto non uscisse dalle loro semplici parole. Erano anime che cercavano un incontro; una partita che si giocava con le intenzioni persuase dal dubbio e dal pericolo, come un coltello mantenuto in equilibrio sulla punta delle dita. Prima o poi sarebbe caduto dal lato sbagliato.
   « Ryellia, dite? » Caino chiese e finse di non capire. Finse di dubitare e pensare a qualcuno che non fosse Aedh. Un Lancaster anziano per uno più giovane; uno scambio impari che avrebbe giovato a tutti, probabilmente. Meno che ad Aedh. Meno che all'unico capace di riavvicinare i poli opposti di quei mondi, sul punto focale e apatico del suo diabolico domani. La sua intemperanza; il dubbio che scivola dalle mani dei suoi assassini. O di chi avrebbe mosso le mani del futuro regno.
   Tutto valeva riflettere soltanto sul rischio da correre. Era un gioco di rischi, alla fine. Quello di Ainwen, nel dar credito al Priore degli Arconti. O di Caino, nel dar credito a una delle tante anime che gli aveva voltato le spalle. Il dubbio era soltanto se correre quei rischi.
   « La brama dell'Anziano Drago non si fermerà al trono » sentenziò Caino, ancora una volta « vorremmo sperare che la giovane Lancaster sia di più scaltra e accomodante. »
   Dubitò, tenendo le dita ferme sul tavolo. Pensando e riflettendo; o fingendo di farlo. Invero, Teslat riusciva a vedere oltre quei suoi occhi dorati e quel suo signore. Quegli occhi impenetrabili, infatti, lasciavano intravedere un briciolo di fragilità. Un tremore impercettibile, pari a quello che Dulwig mostrava nei momenti di tensione.
   Uguale e diverso, diametralmente opposto. Caino fingeva imperturbabilità; fingeva di sforzarsi e dubitare. In realtà aveva già deciso. Sorrideva e gioiva di quello che poteva udire; aveva già deciso, benché si sforzasse di non darlo a vedere.
   « Confido in voi, milady » disse poi, annuendo piano. « Che la giovane Lancaster possa essere una guida migliore di Aedh. »
   Invero, quelle parole presupponevano qualcosa. Presupponevano la resa; la pragmatica constatazione che i Pari avrebbero scavalcato ogni altra opinione nel Regno e che soluzione non v'era se non quella di sostituirne la guida. Quasi una resa, nell'ottica contorta dello sguardo del Priore, che accettava uno status quo assai diverso da quello che lo avrebbe visto trionfare. Sembrava quasi che, invece di accettare la sconfitta, si divertisse a dipingersela a suo modo. Si cucisse l'abito dello sconfitto che gioca l'ultima carta; dell'impietosa e riprovevole furbizia di un cadavere ancora caldo che si lascia andare a un ultimo scatto di nervi.
   « Dunque, quando verrà il momento, sapremo darvi istruzioni » disse ancora, assecondandola. « E sono sicuro che saprete eseguirle a dovere » aggiunse, serio « per il bene di tutti noi. »
   Sorrise, questa volta con evidenza. Non era così, probabilmente. Teslat aveva imparato a conoscerlo troppo bene. Quell'accordo subdolo presupponeva qualcosa che tutti ignoravano in quella stanza. Tutti tranne Caino. Qualcosa che avrebbero scoperto solo dopo, a tempo debito. E che ora passava solo marginalmente per ciò che era.
   « Avete fatto una scelta saggia » aggiunse solo, continuando a fissarla.



Post semplice, a te.
 
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view post Posted on 27/6/2015, 13:58
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Sorrise.
La tempesta premeva contro i muri della locanda, quasi cercasse di entrare ad interromperli. Ormai non c’era più molto da dire, tutto era stato deciso.


Lady Ryellia è una giovane donna che sa essere saggia”.


Nuovamente guardò fisso Caino con due paia di occhi. Ammirava quella donna capace di combattere come un uomo, forte al punto da domare i draghi. Ammirava la guerriera che la serviva, Lady Azzurra, così pura di cuore da rendere un peccato trascinarla nel fango.


Se debitamente consigliata”.


Ma non si fidava affatto di loro. Lasciate sole avrebbero finito per rovinarsi con le proprie mani, diventando burattini della morale e di ideali che si erano ormai perduti nei secoli. A loro non servivano sciocche dichiarazioni di intenti. A loro serviva un potere, con la base più ampia possibile.


Credo che troverà molto opportuno mantenere gli Arconti, così che l’animo del popolo non venga corrotto dai vizi mondani”.


Non che le importasse molto della religione, ma anche Caino faceva parte di quella base. Lui avrebbe potuto reggere con entrambe le mani la loro salita al trono, adagiare Julien tra le loro braccia. E loro si sarebbero inchinate davanti a lui, in qualche sublime funzione piena di incenso gettato nel cielo vuoto. Sapeva che lui avrebbe capito, che avrebbe letto nelle sue labbra sornione quello che stava pensando.


Ma non vi chiedo di fidarvi ciecamente. Dopo tutto il nostro è un contratto”.


Levò la mano che aveva tenuto immersa sotto la stoffa. Tra le dita l’involto umido pareva incredibilmente leggero. Pensò al suo servo, che lo aveva attentamente confezionato. Lo fece scivolare attraverso il tavolo con un tonfo sordo. Caino ancora non poteva saperlo, ma all’interno c’era la prova di quanto lei potesse arrivare lontano. Un dito, un anulare per la precisione, con un piccolo cerchio d’oro attorno. Sull’oro un sigillo, uno di quelli che a Caino non sarebbe piaciuto vedere sulle missive del Consiglio. E che ora avrebbe potuto utilizzare per decorare le proprie stanze.
E glielo aveva portato lei, che era solo una ragazzina cieca. Dove il suo sguardo non poteva sfiorare era giunto il suo potere. Sotterraneo, come una malattia contagiosa, si era insinuato tra la testa e le spalle di un uomo che si credeva troppo potente. Il tutto in nome di un fine troppo corrotto per poter essere pronunciato.
Si alzò in piedi, spingendo indietro la sedia. Il loro era un contratto, lei lo aveva onorato, versando una caparra. Ma lui non poteva sperare di cavarsela in quel modo, limitandosi a darle degli ordini. Il volto chinato in poco in avanti, si concesse un mezzo sorriso.


Naturalmente anche la mia fiducia
Fiducia, ovviamente, non fedeltà. Lei, Ainwen, non sarebbe mai potuta essere fedele ad alcuno. E loro non avevano altra scelta che accontentarsi.
ha un prezzo”.


Mise una mano sulla testa del bambino, rivolgendone dolcemente lo sguardo verso Teslat. Non le importava di carpire segni da Caino: aveva compreso quanto il suo compagno potesse essere molto più rivelatore. Ne studiò la tensione, tagliata dal profilo del proprio corpo.


Sarebbe volgare restare a contrattare come pescivendoli. Ma un giorno i Pari potrebbero disprezzare i miei servigi. Insinuare che io non faccia i loro interessi. Allora, forse, potreste considerarmi vostra ospite per qualche tempo”.


Inclinò il capo, sorridendo, come se si trattasse di un semplice invito ad una festa. Non c’era bisogno di sottolineare che spettava a lui, ora, prendersi cura di quello che sarebbe stato di lei. Quando e se l’avessero scoperta nessuno si sarebbe potuto schierare a suo favore. Sarebbero rimasti soli, sepolti sotto il proprio castello di carta.
Lei sapeva essere previdente. Non si sarebbe mossa senza una via di fuga.
Passò i palmi sulla gonna, lisciando pieghe invisibili della stoffa. Calò di nuovo il cappuccio sul volto. Che Caino guardasse pure il dito mozzato, sfilasse l’anello e guardare la luce smorta delle lanterne riflettersi sull’oro. Che Testlat dubitasse pure di lei, o tremasse al pensiero di ciò che sarebbe stato.
Non aveva tempo per rimanere a chiacchierare. In ogni momento il sole, sorgendo, avrebbe potuto tradirla.
Volse loro la schiena, affondando di nuovo nell’oscurità. Il bambino la conduceva, incerta, verso la porta. Non vedevano più, ma trovò quella sensazione rilassante. Trovava quella stamberga troppo opprimente. Desiderò poter tornare nel proprio letto, addormentarsi ancora umida di pioggia, dimenticare tutto quanto. Era ancora presto, dopo tutto.


Attenderò la vostra chiamata”.


La mano già poggiata sul legno della porta. Sospirò lievemente.
Il gioco era iniziato. Da quel momento in poi non avrebbe più potuto compiere passi falsi.



 
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