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Stўgis ~ Sentiero di Guerra, Parte 2
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Fephira andrà con Scuraquercia contro Khzād9 [60.00%]
Fephira farà parte della brigata che attirerà la Maschera6 [40.00%]
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Stўgis ~ Sentiero di Guerra, Parte 2, Dall'Abisso

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The Grim
view post Posted on 12/6/2015, 11:16




Il rifugio non aveva un nome e dopotutto non gli sarebbe servito a nulla averne uno, non era qualche antica fortezza riscoperta, non un bastione incantato da magie antiche, non c'era alcun potere in lui. Era una necessità, inventata non senza maestria, una ragnatela di cunicoli grandi poco più della tanta di un coniglio, stretti quanto l'interstizio fra due ciglia, che s'intersecavano sotto un grosso colle brullo, riconoscibilissimo. Qualcosa l'aveva infatti colpito, come l'ascia di un dio o di un titano gigantesco, e aveva lasciato un taglio secco sulla facciata settentrionale della collina; per questo Fephira riusciva a distinguerla fra i tanti poggi tutti uguali di quella regione. Era stata di vedetta tutta la notte, e ora con il chiarore dell'erba si doveva nuovamente immergere nell'oscurità, strisciare fra terra e roccia, raggiungere il camerone - che in realtà non era più grosso di un tugurio da contadino - e partecipare alla riunione. Nella lunga attesa, carica di promesse e trepidazioni, l'erba ondulava agitata da una lieve brezza, ed in quel muoversi l'elfa vedeva sagome di ombre, forse nemici pronti ad assediarlo, oppure alleati che giungevano in ritardo alla vigilia di una decisione importante; o spettri dei caduti che continuavano a tormentarla per il suo tradimento. Aveva fatto la cosa giusta, si era salvata la vita, continuava a ripetere quel mantra fino allo sfinimento, cantandoselo per imprimerlo nel cranio e nel cervello, eppure continuava ad esitare incerta. In quella comunità erano tutti sopravvissuti, si spalleggiavano combattendo il rimorso, inneggiando alla speranza, desiderando il futuro, e forgiandolo con parole e discorso molto belli, che però si trasformavano spesso in alzate di voce, in brocche ammaccate e sgabelli gettati a terra; non si rompevano cose soltanto perché avevano lo stretto necessario per campare e spesso manco quello. La voglia di far fronte comune c'era, la passione di gettare all'inferno quei demoni brutali, di fra crollare ogni passaggio col loro mondo, di fare mattanza di loro e non lasciarne nemmeno uno in vita, su quello concordavano tutti, era cosa far dopo che li affliggeva. Si discuteva di fondare nazioni e regni, ma quelle parole mal si appiccicavano all'Edhel, il suolo pare vomitarle fuori impermeabili, e così si ideavano armate d'intenti e ideali, vedette ad ogni foresta ed ogni angolo, poi però qualcuno diceva una parola e quel castello d'intenti crollava: diatribe tra tribù di Rahm ad Aid, rivalità fra popoli diversi, spazi troppo sconfinati per persone che vivevano agli antipodi. Una forza coesa per etnia ed ideali non avrebbe avuto i numeri e le forze di garantire la pace, e un coacervo di etnie diverse si sarebbe scannata fra loro ben prima di arrivare al fronte; anche tale presupposto pareva fallire. Si sussurrava che dei pazzi ci provassero ugualmente a mantenere vivo un progetto simili, tali Lanterne, e che avessero fatto molto per le falde più meridionali dell'Edhel; nel Talamlith ancora non si erano viste che non come ciuffi sparuti. L'elfa pensava, come tutti quelli della propria razza, che era meglio imparare a cavarsela da soli, come avevano fatto per generazioni i suoi avi, da quando avevano abbandonato una casa per abbracciare il mondo, ognuno per sé e chi si è visto, s'è visto. Solidarietà e fratellanza, ospitalità, erano belle parole per momenti così cupi, ma quando non c'era un nemico diventavano scocciature, creavano solo problemi, finivano per non portare a nulla. Meglio pochi, e conoscersi tutti, coi propri difetti e nevrosi, che una moltitudine di sconosciuti, che assumeva ogni tratto dal più pio al più degenerato, di cui non si ci poteva fidare, ed ogni passo era un'incognita; un'incognita proprio come il domani che l'attendeva. Tutti quei pensieri affollavano la sua testa, ma presto furono zittiti da un coro di mormorii, chiacchiere, risatine e lamenti vari della folla riunita nell'angusta sala delle riunioni, l'elfa s'impelagò in quel marasma di corpi e infine tirò la veste dell'anziana donna, per farsi notare, così che quella potesse strillare l'inizio della discussione. E così fu.

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Il tintinnare di una campanella, in parte fastidioso e in parte nostalgico, interruppe tutti.
La donna che lo teneva in mano, Madre come si limitavano a chiamarla i più, Nerdel come sapevano in pochi, non era anziana ma nel frutto della sua maturità. L'invasione l'aveva invecchiata e sciupata, resa la metà di quel che era stata, eppure la saggezza delle sue parole e l'agilità della sua mente aveva salvato non pochi di loro. Avrebbe tanto voluto impugnare la lancia e unirsi a chi combatteva, ma la sua forza era nelle parole di conforto che donava a tutti, nei legami che sapeva formare, nella cura che metteva in ogni cosa. Non ordinava, eppure nessuno dubitava della sua parola, così se era lei a suggerire qualcosa tutti si lasciavano convincere. Fephira lo sapeva, quel giorno la madre avrebbe esposto le cose com'erano, ma non avrebbe detto la sua; c'era troppo in ballo.


" Laòch!
I mesi si sono succeduti, aspri e lunghi. La spiga dorata ha preso il posto del germoglio verde, i frutti succosi quello dei germogli verdi. O così sarebbe stato se non ci fosse stata calamità.
Da quando gli orrori scorrazzano nelle nostre glèann non si trova più frutto né buono né cattivo, le acque sono velenose, il suolo acido, gli armenti inselvatichiti, la selvaggina rara.
"


Tutti avevano sentito quel discorso, o meglio quell'introduzione, centinaia di volte; nessuno interruppe nemmeno quella mattina.

" Il sangue versato ha nutrito una sola pianta, quella gramigna chiamata odio, difficile da sradicare per quanto si insista.
E noi cogliamo i suoi frutti a grappoli, dagli acini succosi, e ognuno di essi è la vita di uno di quei demoni.
Ci siamo fatti scaltri e destri, e il nostro raccolto si è fatto sempre più folto, anche se mai indolore.
"


Gli occhi della vecchia elfa si fecero più piccoli, le rughe sul volto più pronunciate, voragine colme di dolore ma non ancora riempite del tutto. Piangeva per ogni morto, pregava per lui nel silenzio nella notte, e pregava per gli altri alla luce del sole;
nessuno era salvo ancora, nessuno innocente, nessuno sano.


" Il pachiderma e le sue schiere sono in difficoltà,
noi siamo le zanzare che lo pungoliamo, impedendo un riposo tranquillo, capaci di stressarlo ma non di finirlo, e questo è noto a tutti. Se uscissimo allo scoperto ci farebbero a pezzi.
Al contempo è venuto il momento di dare il colpo decisivo, o l'estate sarà grama e secca, e non ci sarà nulla con cui sopravvivere l'inverno. Questo ci costerà tanta sofferenza quanta morte,
forse ci sarà fatale.
"


Si ammutolì per mezzo minuto, lasciando che le parole appestassero l'aria, e venissero inspirate e poi espirate fuori da tutti quanti.
Non era il momento della pacca sulla spalla, dell'abbraccio amorevole, del conforto, era quello della medicina amara e velenosa.


" Prima ho detto zanzara e non ho scelto quell'animale a caso.
Abbiamo stillato gocce di sangue a quell'orrido demonaccio, ma è ancora in vita. Al contempo, come il peggiore di quegli insetti, abbiamo inoculato un bacillo in lui, e sparso una malattia mortale.
Questa si chiama scontento, si chiama sfiducia, si chiama dissapore, e si chiama tradimento.
Perché quel generale, non è un imperatore ma un satrapo, un vassallo, uno sgherro dal nome importante.
E quando si ha che fare con tiranni e potenti, l'unica lingua che parlano è la loro: quella della conquista, della convenienza, degli affari propri.
Così il re teme il servo, vede nelle sue mancanze non l'imprevisto, né il valore degli avversari ma solo la malizia e il complotto.
"


Fephira non capiva quei discorsi, non conosceva né Re, né satrapi e di tutte quelle cose non aveva esperienza. Nelle tribù si davano ordini com'era ovvio, e certe cose non piacevano a qualcuno, o altri pensavano di essere migliori come capi o come cacciatori di altri, ma pensare che gli altri facessero le cose male apposta? Solo un degenerato poteva danneggiare il branco, e passare per incapace? Preoccuparsi di scemenze simili? Pareva impossibile.

" Così il Re dei demoni ha preso un altro dei suoi,
quello si è preso metà esercito, e ora i due si guardano in cagnesco, pronti ad azzannarsi l'uno alla gola dell'altro. Nemmeno l'altro è nostro alleato, ma fra loro sono nemici e tanto basta.
Non è un miracolo, ma il normale corso delle cose, che i grandi si scannino fra di loro, mentre i piccoli piangono all'ombra dei salici.
"

" E il guerriero?
Quello vecchio, nodoso come una quercia, scuro come un brutto presagio?
Lui ha che fare con tutto questo?
Dice che aspetta un nostro messaggio, e poi sfiderà il grande mostro, anche da solo se deve.
"

" Quella è la nostra occasione, perciò figli, dividetevi.
Chi accompagnerà Scuraquercia, la Lanterna, fra le fauci di Khurradādhbih ibn Farrokhzād dei Malunfhan?
Chi andrà dalla Maschera e i suoi zeloti pieno d'odio e si farà inseguire fino all'accampamento del pachiderma?
Scegliete col cuore gonfio di tenebra, e la mente offuscata dalla tetraggine, perché....
perché in pochi si tornerà a casa.
"





Edited by The Grim - 12/6/2015, 14:04
 
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