Lasciare Lithien era stato in un certo senso spiacevole. Ral non aveva smesso di voltarsi fin quando era riuscito ad adocchiare da lontano le bianche torri della conoscenza. I suoi passi erano lenti, appesantiti dall'animo perché restio ad abbandonare quel luogo tanto affine che per primo aveva incontrato nel suo viaggio ed in cui, già, voleva fermarsi. Scosse la testa, sforzandosi di aumentare il ritmo delle falcate. L'aria fresca del Nord gli inondava i polmoni, alleggerendolo, ed una frizzante brezza gli accendeva le gote, vibrando sulla ricrescita della barba dura che adombrava la mascella del mago. Effettivamente, pensava un miglio dopo l'altro, non aveva senso fermarsi, non aveva senso restare perché ciò avrebbe voluto dire non dare valore alla sua personalissima spedizione in favore della ricerca. L'Edhel con le sue foreste selvagge ed i suoi problemi poteva e doveva aspettare. Doveva essere punto di partenza e forse anche di arrivo. Ma un intermezzo, in qualche modo, bisognava pure che avesse un inizio. E allora giù. Disse ad alta voce, ascoltato solo dagli scoiattoli sugli alberi e da qualche uccellino che cinguettò allegro in risposta. Dritti verso Sud.
Non si era mai spinto così lontano da casa. Aveva macinato leghe sotto i suoi stivali di pelle, consunti ed ormai quasi al limite. Per muoversi si era sempre affidato alle stelle, che di notte sorgevano ad indicargli il cammino da seguire il giorno dopo, e a quell'istinto che si ritrova chi non ha una meta ben precisa e per cui in realtà ogni luogo vale l'altro. Incontrò una carovana di mercanti, con cui divise parte del viaggio in silenzio. Erano diretti a Qashra, nel Sultanato. Ne aveva sempre e solo sentito parlare, immaginando quella parte del mondo come una favola. Troppo lontana per essere vera ed ora, eppure, così vicina da essere diventata la sua meta. Cosa avrebbe fatto una volta arrivato solo Ogron avrebbe potuto saperlo. Nonostante questo, però, sbandato e senza un tetto sulla testa, Ral si ritrovava con un sorriso sghembo stampato sulla faccia a testimone di quanto l'idea di mettere piede per la prima volta nei territori dell'Akeran lo emozionasse. In compagnia dei mercanti di spezie quasi non si rese conto delle miglia percorse. Nonostante non avesse legato con nessuno il suo aiuto in alcune situazioni spinose, guasti particolarmente complicati alle carovane, si rivelò indispensabile e questo gli bastò ad essere accettato di buon grado seppur non si degnasse di proferir parola. Del resto a nessuno importava di lui fino a che non si fosse messo a combinar danni e, a dirla tutta, non aveva proprio l'aria di un piantagrane. Il viaggio fu tranquillo, punteggiato solamente da qualche alterco tra gli uomini. Arrivò a scorgere le basse case della città sbuffando, stanco. Il caldo era insopportabile e Ral si separò dal resto del gruppo con qualche cenno di saluto, ma nessuna lacrima. Il sudore gli imperlava la fronte, tanto era affaticato. Qashra ardeva sfolgorante nei raggi bassi di un sole ormai al tramonto. Tutto era arancione e caldo, soffocante e afoso. Le facciate delle case opprimevano così come la folla che urlava, sgomitava, persino col calare della notte non smetteva di vendere e comprare in un rauco dialetto incomprensibile per il mago che comunque, sballottolato a destra e a manca dal fluire irriguardoso della calca, sorrideva a tutto quello che aveva di fronte mentre osservava un nano dare vita ad un lampione con un bastone. L'Akeran, il Sultanato, Qashra. Tutto era bellissimo.
Il castello era la costruzione più imponente della città. Soverchiava le basse casupole coi suoi mattoni rossi, gettando in perenne ombra i vicoli che si dipanavano tutto lì intorno come fili di una ragnatela. Ral vi entrò cauto. Seppur scortato, ed in compagnia d'altri, non si sentiva del tutto al sicuro mentre veniva accompagnato all'appuntamento al buio di cui quel tizio gli aveva parlato. Sì, nient'altro che qualche fugace chiacchera con un nano qualunque dall'aspetto comune, che qualche accenno alle sue ricerche, che qualche ora dopo lo stesso si presentava con una missiva contenente un invito.
Günter Turgay avrebbe piacere di incontrarla per discutere una faccenda della massima importanza.
Recitava in una grafia squadrata. Raccomandando con il corriere, poi, di mantenere il massimo riserbo data la delicatezza della questione. Aveva semplicemente accettato e adesso eccolo lì. Strascicava i passetti incerti mentre restava sbalordito svolta dopo svolta, stanza dopo stanza. Ogni metro quadrato del palazzo era una profusione di ori e arazzi, di affreschi e dipinti intervallati a statue in marmo bianco di eroi antichi e dimenticati. L'odore di pulito contrastava nettamente con quello di sudore che aleggiava all'esterno dove la plebe sgomitava per emergere. Qui tutto quello che si sentiva era il rumore dei passi di dieci figuri che andavano, immaginava, come lui verso qualcosa di misterioso. Quando arrivarono Ral non poté che sollevare il naso all'insù, verso la cupola mosaicata d'oro e d'argento in cui figure mitiche parevano impegnate nella forgia di quella che, ad occhio e croce, all'inventore sembrava il concetto di vita stessa imbrigliato in una rappresentazione astratta. Trattenne il fiato, il mago, di fronte a cotanta magnificenza. Se i suoi compagni fossero colpiti tanto quanto lui, però, di certo non lo davano a vedere. Per questo si affrettò a richiudere la bocca spalancata dallo stupore. Nella stanza, un nano pareva attenderli ma non avere fretta. Aspettò che ognuno si mettesse a proprio agio, metabolizzando la vastità e la ricchezza dell'ambiente con cui era entrato in contatto. Ral, come al solito agitato, corse con le dita alle rassicuranti tasche interne della tunica. Da lì a ritrovarsi ad armeggiare con le canoniche viti e bulloni fu un attimo che, però, nella sua incredibile monotonia, ridiede all'inventore quel respiro e serenità che da quando s'era addentrato nel palazzo era venuta meno. Si estraniò così, dunque, dal resto del gruppo. In attesa che Mastro Turgay, o almeno pensava che fosse lui quello lì di spalle intento ad armeggiare alcune carte, si decidesse a svelare il motivo della visita nel suggestivo palazzo di Qashra.
Una cosa certa è che Ral, in tutta la sua vita, non era mai stato un tipo loquace. Il rapporto con le persone, a dire la verità, non gli interessava per nulla. Il misto di emozioni che sconvolge costantemente l'animo e la ragione umana, lo hanno convinto dell'imprevedibilità delle azioni che esso comporta. Proprio per questo alla compagnia delle persone ha sempre preferito i golem. O i suoi figli, come gli piace chiamarli tra sé e sé. Per questo non ha mai avuto un amico in vita sua e per questo, quando è in mezzo ad una compagnia, non sa come comportarsi e si sente totalmente inadeguato. Sarà possibile immaginare la sua sorpresa, dunque, quando una ragazzina che – incredibile a dirsi – faceva parte dei dieci convocati da Turgay, si rivolse a lui con una riverenza. Bonjur, monsieur! Fece facendolo sobbalzare. Ral la fissò inebetito, sbattendo le palpebre in risposta, confuso. Ma lei non si fermò e giù via a profusione con domande sul bastone da mago che si portava appresso e da cui ciondolava la Lanterna che il bibliotecario di Lithien gli aveva donato una volta riemerso dal Baathos. Ingegneria nanica? Pff. Figurarsi. Ingegneria di Ral, fatta in casa, di quella buona, avrebbe voluto rispondere. L'ho costruito io a dire il vero... Quasi gemette a voce bassa, invece. Totalmente contrito nella sua timidezza e nella diffidenza in generale verso il sesso opposto che lo attanagliava fin alle viscere. Nella sua testa, chissà perché, le risposte che dava erano sempre migliori. Ma allora deve essere un ingegnere davvero bravo!! Potrei sapere che cosa fa? ha una lama retrattile sulla punta? O magari spara uno di quei rumorosissimi proiettili? Niente. Le poche parole del mago non bastarono a farla desistere! Andava dritta come uno stiletto e non si fermava alla prima difficoltà. Ostinazione che all'inventore poteva andare anche a genio, certo, ma non quando l'oggetto della questione era nella fattispecie proprio lui. N-niente di così particolare... Si ritrovò a farfugliare chiedendosi immediatamente se non avesse dovuto pensarci sin da subito a modifiche varie ed eventuali di quello stampo, che presero subito forma vorticandogli in testa. Per uscire dall'impaccio si presentò. Il suo tono era smorzato dal combattimento che gli si stava scatenando all'interno. Il suo unico desiderio era rifuggire qualsiasi tipo di conversazione, ma capiva bene che mettersi a correre in una stanza chiusa piena di gente per scappare da una ragazzina sarebbe sembrato oltresì folle. Annuì al nome di lei: Odette. Non l'avrebbe dimenticata presto, tanto per non contare il fatto che subito dopo le presentazioni quella ragazza, che Ral cominciava a pensare avesse un ché di diabolico, si diresse decisa verso Turgay, presentando sé e le proprie referenze. L'inventore non ne conosceva alcuna, né tanto meno ne aveva, di referenze, ma boccheggiò quando lei si prese il disturbo di introdurlo con il mirabolante titolo onorifico di...zietto. Il tecnomago strabuzzò gli occhi, ma Turgay ribatté tranquillo con delle semplici obiezioni. Ral, tuttavia, aveva udito la parola magica che fece accendere la sua lampadina dell'interesse. Esperimento? I miei golem potranno proteggerci. Fece sbrigativo, di getto. Sarei curioso di partecipare alla fase di sperimentazione. Come uomo di scienza non posso assolutamente perdere un'occasione tale. I suoi occhi cominciarono a brillare di un bagliore da cui solo una personalità affine come quella del nano poteva cogliere la provenienza: quella della sete di conoscenza. L'inventore acconsentì alla richiesta di una piccola dimostrazione. Le sue dita, agili, volarono nell'impiegare pezzi utilizzati più e più volte per creare, assieme a del plasma magico azzurrino, il corvo che di lì a pochi istanti svolazzava sugli astanti. Il suo gracchiare metallico fu tutto ciò di cui Mastro Turgay ebbe bisogno per convincersi. Forse, come un bambino, era semplicemente desideroso di giocare con dei nuovi balocchi, ma a Ral non importava. Lui voleva semplicemente partecipare all'esperimento. Si congedarono con un saluto, l'appuntamento era all'alba del giorno dopo ed aveva bisogno di riposo. Non sapeva in quanti sarebbero partiti, ma una cosa era certa. Lei lo aveva messo in luce e quindi aveva diritto ad un unirsi alla spedizione. Sì, sarebbe venuta anche la pestifera Odete.
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