Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Stўgis; Y Tri Brawd, Llusern, Dall'abisso

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view post Posted on 19/6/2015, 11:46
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Y | T R I | B R A W D
Memoria, Llusern dall'Abisso





La notte.
Nemmeno la focosa giornata tra le lenzuola passata con quel ragazzo poteva equiparare una tale bellezza.
Guardava quei puntini luminosi con la stessa emozione con cui un bambino viene rapito dai lumini di Natale, cercava le stelle familiari e le chiamava a mente come la maestra quando appella la classe prima della lezione.
Erano tutte la: l'Alpha Eitiniel a nord che ingemmava la Corona poco distante dalla stella del Faro Blu con cui solitamente si rintracciava il nord, la luce della timida Beta Nesta -una stella piccola e poco luminosa- e poi la stella rossa e le Cinque Colonne. Li vicino avrebbe dovuto esserci anche la Serpe, oh si eccola, grande e grossa costellazione di ventiquattro stelle che scivolava sinuosa in quel mare di lucciole candide.
Quella era prima notte che Capernion rivedeva le stelle dopo la discesa a Baathos.
Sdraiato sulla balaustra di una terrazza di Lithien, le braccia intrecciate dietro la testa, una gamba sdraiata e l'altra leggermente ripiegata, il volto rivolto al cielo terso privo di nuvole, gli occhi lucidi che guitti saltavano da una stella all'altra, ricongiungendole a mente nelle costellazioni a lui tanto familiari: il Valcròga, la Màmag Fre, i Brawd, la Paisengrà e quel lumino rosso su cui convergevano due braccia di tre stelle ciascuna, il Fairtùr.
Aveva passato la propria esistenza osservando quel cielo, appuntandosi ogni singola candela e disegnando candelabri con tratti lineari tra un puntino e l'altro.
Si diceva che dall'altra parte del continente le stelle fossero completamente diverse e quella voce bastava per accendere in lui una vibrante è insaziabile curiosità. Quante erano le stelle?
Evitò di rispondere immergendosi ancora di più nel tappeto stellato.
Scostò gli occhi azzurri ad ovest, oltre i Tre Fratelli, soffermandosi nuovamente sul rubino che splendeva nell'oscurità della notte: il Torrione e la sua fiamma d'avvertimento.
Si morse un labbro ripensando a quanto era successo nelle caverne di Baathos ed istintivamente riassaporò il retrogusto amaro di quell'esperienza.
Era così eccitato all'idea di vedere le Lanterne in azione, fremeva all'idea di quando avrebbe raccontato a tutti di quanto fossero straordinarie quel gruppo di uomini che volevano risanare il nord: la Banshee, il Cartaio, tutte quegli eroi con titoli così importanti, mormorati di persona in persona che li facevano appare così grandi, così irraggiungibili.
Sorrise stizzito voltandosi verso la borsa accasciata sugli scalini, il lanternino donatagli dallo stregone Beleren poggiato a poche spanne, acceso d'una calda e vibrante luce dorata che spingeva sulle decorazione dei vetri animando le grandi Guide del passato di pulsanti battiti luminosi.
Le Lanterne, puah!Uomini, ecco cosa, semplici e banali esseri umani e come tali deboli, esenti dai vizi e dai loro capricci, da quei futili desideri che li rendevano così normali.
Cosa erano se non le ombre d'un passato glorioso? Quanti potevano vantare di essere stati tanto vicino al corpo dell'Inquisitrice senza venirne corrotti, quanti potevano raccontare di Velta e della sua caduta?
Si passò una mano tra i capelli fissando il vuoto dominante oltre le stelle, i pensieri ancora legati a Baathos e ai suoi cunicoli; ripercorreva la scalinata e le lunghe gallerie e tanto più scendeva, tanto più la delusione nelle Lanterne cresceva.
I capricci materni della Banshee, il carattere spocchioso e superbo del Cartaio, ed ancora Anguilla e quella ragazza a cui avrebbe volentieri strappato il cuore sacrificandolo alla Cosmogonia, la Bianca Silente.
Li avevano fatti scendere in quel l'inferno, avevano strappato a morsi la carne amara dei cinghiavoli è tutto per una questione familiare.
Soffocò una risatina ripensando alla naturalezza con cui la Banshee chiamava il demonietto "cugino".
Incredibile come quella donna potesse essere tanto sfacciata.
Eppure aveva risposto alla chiamata dell'ordine Capernion.
Non sapeva spiegarne il motivo, in cuor suo sapeva di ammirare quel gruppo di individui accomunati nient'altro che da ideali e forse, più che i singoli lumi delle Lanterne, era stata la loro luce complessiva ed il loro sogno a spingerlo ad unirsi alla loro impresa.
D'altronde cosa era l'Edhel se non delle terre che da troppo tempo sanguinavano a causa di tante ferite che avevano dimenticato come guarire?
Il volto innocente della Bianca Silente gli si dipinse ancora una volta davanti crucciando il suo volto rilassato una una smorfia di disgusto.
Lei non faceva parte del Nord., non del suo Nord almeno.
Forse era proprio questo il conflitto più grande che aveva con l'ordine, Capernion non avrebbe mai accettato che una sporca ombra chiamasse l’Edhel casa.
Se non altro non l'avrebbe rivista per molto tempo sicuramente.
Una soffice brezza soffiava sulle alte torri di Lithien scompigliando i capelli di Capernion come fili d'erba al vento, agitandogli i lembi della camicia leggera come la mano vogliosa di un ragazzo che avrebbe voluto spogliarlo cercando di strappare la sua mente a quel flusso di ricordi.
Gli venne in mente l'inventore, le sue mani abituate al lavoro, il volto spigoloso e rude, quel modo di fare così impacciato, tremendamente carino.
Accanto a lui, poggiata distrattamente sugli scalini che scendevano sul terrazza, la lanterna illuminava appena di fievole luce dorata l'intero spazio, la fissò stranito, conscio dei suoi poteri ma ancor più incuriosito dalle figure epiche che si rincorrevano sui vetri smerigliati del lanternino: gloriose Guide del passato dicevano,; soffermò i propri occhi su una parete dai colori freddi che variavano dal grigio pallido all’azzurro intenso, con qualche tocco di colore arancio. Quella narrata era la storia di Aethas Brezzabianca, figura leggendario del folklore Rahm, nobile elfo di Trijune e tra i primari capostipiti del suo stesso lignaggio.
Nelle tinte pallide era raffigurato l’elfo mentre s’inoltrava nella notte, una stella argentata sopra la sua testa, seguito da una fila di pochi fratelli alle spalle.
Ahetas Brezzabianca, una guida ben oltre il mero titolo attribuitogli dalla sua gente. Era interessante notare come la stessa figura fosse così diversa in base a chi lo ricordava: per gli Arshaid non era altro che uno dei tanti codardi che abbandonarono il suo popolo in seguito alle spinte sempre più violente dell'Inquisitrice, ma per i Rahm as Aid Aethas era uno di quegli eroi del passato di cui conoscono la storia tutti i bambini, nominato davanti ai fuochi nelle notti di primavera, quando i più anziani intrattenevano i giovani e raccontavano di come le loro radici fossero diventate tanto profonde e intrecciate.
Capernion se le ricordava bene quelle storie, aveva sempre vivide in mente le immagini dei cerchi intorno ai falò, con tutti quei giovani elfi raccolti in silenzio, le orecchie a punte tese verso l'alto per non lasciarsi sfuggire nemmeno una virgola della storia raccontata dal vecchio Jorahm.
Prima di iniziare un racconto diceva sempre che era importante conoscere le origini delle storie per poterne comprendere affondo il finale, la voce calma e stanca mentre con le dita secche schiacciava dell'erba dentro la sua pipa di legno.
Uno sbuffo di fumo, un colpo di tosse e poi cominciava a narrare le vicende di Brezzabianca, raccontava dell'esodo, dei primi Rahm, ma anche dell'età aurea degli elfi, delle perdute meraviglia di Trijune, l'antica cittadella elfica costruita nel cuore del Nord.
Il giovane Capernion ascoltava quelle storie con la bocca spalancata dalla stupore, le aveva sentite talmente tante di quelle volte che nella sua testolina gli si dipingevano le immagini fantasiose di quei racconti ancor prima che il vecchio li narrasse.
Sorrise nostalgico strizzando gli occhi ripensando ai tanti giorni passati da piccolo a rincorrersi coi bastoni immaginando che fossero spade lucenti, litigando con gli altri elfi per decidere chi sarebbe stato Aethas in quelle battaglie giocate a far finta di rivivere le storie narrate da Jorahm.
La sua preferita era senza ombra di dubbio quella dell'esodo: secondo i racconti Aethas e gli altri padri dei Rahm fuggirono nella notte dopo l'ennesimo assalto dell'Inquisitrice, si erano rifugiati insieme ai fratelli nelle profondità delle foreste verdi sperando che gli antichi alberi dell'Erynbaran scoraggiassero gli incubi della Dama Bianca, avevano perso molti fratelli e sorelle e quando gli Arshaid decisero di tramutarsi in alberi per aver salva la vita Aethas guardò i tanti bambini impauriti e prese la sua decisione assieme ai fratelli.
"I nostri figli meritano di vivere come elfi, non come cespugli"
Divenne una delle prime Guide dei Rahm, accompagnandoli nella notte fuori dall'Erynabarn seguendo la luce di una stella.
Gli Arshaid consideravano Aethas e i suoi fratelli dei codardi e traditori ma tra il suo popolo quelli erano gli eroi.
Fissò il lanternino tornando alla realtà mentre si passava una mano sopra gli occhi, stropicciandosi appena le palpebre appena stanche.
Sembrava uno strano scherno del destino, quante possibilità c'erano che uno come lui ricevesse quel lanternino con raffigurate le storie di Aethas?
Si voltò di nuovo guardando la figura colorata sul vetro smerigliato del lanternino, un Rahm tra le grandi guide di Theras, un monito per un Capernion che spesso dimenticava quanto onore ci fosse nel prendere comunque decisioni spesso impopolari.
Nessuno avrebbe mai potuto sapere cosa fosse successo se Aethas si fosse tramutato in albero come gli altri.
Si rigirò tornando a fissare il cielo e le sue stelle, allungando distrattamente un braccio verso l'alto quasi cercasse di sfiorare la notte con un dito.
Il silenzio della cittadella dormiente interrotto solo dal chiosare di qualche civetta, l'aria calda d'un estate ormai alle porte e quel intenso sapore ferroso ed amaro impastato nella sua bocca, un qualcosa di così familiare e basico, in completo contrasto con l'opprimente odore di bruciato che gli seccava le narici.
Davanti a lui un alto albero bianco bruciava, lasciando cadere le foglie in un lento pianto di braci che si tramutavano in cenere prima ancora di toccare terra.
Un volto straziato e stanco sembrava come intagliato sulla corteccia ormai sempre più nera del tronco, piangeva lacrime miste a resina mentre un grosso ramo si spezzava di colpo, trascinando con se il tronco ed il sapore di cenere misto a sangue.
Spalancò gli occhi respirando con affanno, la lanterna accesa a pochi centimetri dal suo naso, sdraiato a terra come fosse caduto dal parapetto su cui si era appollaiato.
Si guardò intorno, confuso: attorno a lui ogni filo d'erba era bruciato e secco, gli alberi bianchi ridotti a scarabocchi di carbone continuavano a svettare sopra i corpi mutilati e contorti di elfi imbrattati di sangue.
L'intenso sapore di carne bruciata che pungeva le narici e ti forzava a guardare gli occhi vitrei e bianchi dei morti. Poco lontano il rumore dei ferri che cozzavano, il grido in stretto neam d'un elfo che spronava i suoi compagni alla ritirata.
Il pianto d'una bambina.
Plic.
Una goccia di sangue gli cadde dal naso, Plic, subito seguita da un altra.
Le fisso sgocciolare sul bianco marmo che pavimentava il terrazzino, macchiando quella tela bianca di accesi fiocchi scarlatti nel silenzio d' una Lithien che riposava beata, sognando le trame dei suoi libri.
Plic, un'altra.
Non aveva schifo del sangue, non del suo almeno.
Lo sfiorò appena con l'indice e rigirò appena il polpastrello come fossero le setole d'un pennello per poi tracciare una linea unendo i puntini di quelle tre gocce.
Tre stille rosse attraversate da un taglio scarlatto.
Perché gli ricordava qualcosa?
Alzò di scatto gli occhi al cielo muovendo la testa da destra a sinistra come stesse cercando qualcosa nascosto dentro ad un cassetto, prese l'Aster sciogliendo il nodo di corda che lo legava alla cintura, lo poggiò sul palmo aperto e con la mano libera cominciò a ruotarlo fissandolo di sfuggita per aiutarsi nell'orientamento celeste.
12 gradi ad est, emisfero nord:

"Y tri Brwad?"

Fissò le tre stelle congiungendole con la fantasia con una linea identica a quella tracciata a terra col suo sangue: I Tre Fratelli.
Non erano una vera e propria costellazione quanto piuttosto una composizione di stelle vicine, code di tre diverse costellazioni: la Bwistfil, il Pricop ed il Valcròga.
Si narrava che una volta quelle tre stelle fossero un'unico astro luminoso patrono della stirpe elfica di Trijune che si spezzò dal dolore in seguito alla scissione del ceppo elfico per rappresentare i tre popoli sempiterni del nord, stelle diverse che eppure si collegano con una semplice linea retta, quasi a voler ricordare a chiunque le osservi quanto esser siano simili e vicine.
Cosa avrebbe potuto mai fare uno come lui contro quello che aveva visto? Cosa era un Cantastelle in confronto a quello che Baathos avrebbe riversato sull'Erynbaran?
Avrebbero bruciato, razziato, ucciso e dello spocchioso popolo degli Arshaid, non sarebbero rimasti ne i padri ne i figli, solo ceneri disperse nel vento.

"Cosa ci fai qui?" lo interruppe una voce stanca "Co..cosa è successo?" Chiese, sicuramente attirato dal disegno insanguinato sul marmo del terrazzo. SI voltò incrociando lo sguardo dell'anziano che aveva alle sue spalle. Un uomo sulla cinquantina, barba curata e grigia, poche rughe sul volto, occhiali a mezzaluna poggiati sul naso adunco.
Scattò in piedi avvicinandosi all'uomo, afferrandolo per la lunga veste porpora damascata.

"Mi deve aiutare, ho avuto una visione, sta per succedere qualcosa di terribile nella Erynbaran! Gli Arshaid hanno bisogno d'aiuto, saranno presto attaccati dallo Shahrya!

il vecchio lo guardò perplesso mentre s'aggiustava con una mano gli occhiali sul naso

"Giovanotto...dove sei stato questi ultimi giorni? Un messaggero è giunto alla cittadella un paio di sere fa chiedendo aiuto per gli Arshaid e le foreste verdi del Nord."

Un masso gli crollò sullo stomaco: era già successo?

"Il consiglio degli anziani si è visto costretto a rifiutare ogni sorta di aiuto nei loro confronti per fortificare la saggezza racchiusa entro le mura di questa cittadella. Sono tempi difficili figliolo, non possiamo rischiare di indebolirci per fortificare le difese di qualcun'altro..."

Spalancò gli occhi, incredulo per la naturalezza con cui quel saggio giustificava le scelte belliche di Lithien. Le foreste del Nord bruciavano ed invece di prestare aiuto questi si rintanavano come topi nelle loro biblioteche sporche di polvere?
Strinse i pugni cercando di contenersi, tanto forte che le unghie gli lasciarono dei segni rossi sul palmo.

"Ma..come avete potuto rifiutare di aiutarli? Metà delle vostre storie sono parte delle loro vite! Vi preoccupati più di pagine di cartapecore che di esseri viventi? "

Il vecchio strozzò una risata, lo squadrò da capo a piedi soffermandosi sui colori accesi della sua pelle rosea, le iridi azzurro-grigie, i capelli biondo crema intenso.
Sorrise di nuovo, come divertito.

"Le tue origini si notano da lontano Rahm, da quando quelli come te si preoccupano per gli Arshaid?"

Sistemò ancora una volta gli occhiali, quel tic lo stava facendo impazzire.

"Nella mia vita ne ho viste tante ma mi avrei creduto di poter assistere a tante fesserie nella stessa discussione! Un Rahm che chiede aiuto per gli Arshaid e si preoccupa per le loro vite! E dire che i vostri padri avevano fatto la stessa nostra scelta scappando da morte certa"

chiosò con fare accademico, parlandogli con lo stesso tono noioso e piatto d'un maestro che insegna la storia.

"Quello è il passato..possibile che non sapete fare altro che ricordarci gli errori dei nostri padri? Dobbiamo scrollarci di dosso le incomprensioni se vogliamo risanare il Nord."

"Ragioni come una di quelle Lanterne…magari sei pure un moccolo di quei fanatici…e dimmi, cosa hanno fatto per la pace di queste terre selvagge? Dai retta a chi ha vissuto più a lungo di te, nel Nord si sopravvive, non si gioca al l'amicizia."

Si portò ancora più avanti, poteva sentire il respiro dell'uomo ed il suo l'alito aromatizzato di liquirizia. Lo guardò cercando di aggrapparsi ad una stilla d'umanità in quegli occhi scuri oltre il vetro degli occhiali -possibile che non provasse nessun rimpianto per gli elfi dell'Erynbaran?-

"Quel sangue e lo stesso che bagna il verde dell'Erynbaran, possibile che non voglia dire nulla per te?"

esclamò indicando il sangue, la voce tremolante di chi è sull’orlo di piangere dalla disperazione.

"La vita è mutamento... e ad ogni modo giovanotto, dovrai fartene una ragione. Se quello che hai sognato è il futuro allora nulla salverà gli Arshaid da questo incendio..."

la voce divenne più cupa, bassa quasi il saggio stesse bestemmiando in vergognoso silenzio

" ...e magari sarà la volta buona che quei sempiterni smetteranno di dettare legge."

Scattò senza pensarci afferrando malamente l'uomo per la tonaca.
Avvinghiò le dita sul colletto della veste damascata così forte che a stento si riusciva a notare la differenza tra il rosso della veste e la sua mano in tensione.
Tutto il volto del Cantastelle era raccolto in una smorfia disgustata.
Soffiava a denti stretti come un felino minaccioso.

"Come osi mancare di rispetto un anziano di Lithien?" tuonò, fissando con sguardo esterrefatto Capernion mentre cercava i liberarsi strattonando l’elfo.

"Anziano?"

sibilò, disgustato.

"Considerando il tuo aspetto avrai si e no una cinquantina d'anni ed io posso vantarne quasi altrettanti su Theras, giovanotto."

Lo fissò un attimo poi lasciò con sgarbo la presa sull'uomo, così piccolo che giusto la catalogazione dei libri della biblioteca poteva renderlo qualcuno.

"Incredibile, tu stai male! Un Rahm che si prona a difendere un branco di boscaioli! Cos'è questa rinata fratellanza eh? Cosa ne può sapere un Rahm della fratellanza? Siete un popolo di codardi capaci solo di fuggire innanzi ai problemi…"

I nostri padri fuggirono per aver salva la vita ma ti posso assicurare che oggi ci sono altrettanti figli orgogliosi che non scappano come topi..."

Si voltò raccogliendo i pochi averi accasciati vicino alla sua tracolla abbandonata a terra.
Uomini, fottutissimi uomini.

"Siamo cresciuti nel nord selvaggio, lontani dalla protezioni, braccati dalle ombre e dagli incubi, ci siamo difesi, non ci siamo mai spezzati. C'è più sangue nelle nostre mani che in qualsiasi pagina dei vostri preziosi libri..."

Prese il lumino, Aethas Brezzabianca che pulsava fiero di luce dorata.

…I Rahm risponderanno a questa chiamata se necessario.

concluse deciso, avvicinandosi alla balaustra del terrazzino per ammirare il cielo stellato sopra Lithien un'ultima volta ancora.

I Rahm fuggiranno, come sempre. Siete come sciami di lucciole dispersi per l'edhel, senza uno scopo preciso, capaci solo di sbattere le ali crogiolandovi della vostra lunga vita, la vostra unica luce...cosa possono fare tutte quelle luci così lontane tra di loro per un popolo che disgustano, cosa può fare uno come te eh?

Attirare le lucciole alla lanterna…

Mormorò ed alzando entrambe le braccia al cielo socchiuse gli occhi mentre il suo intero corpo veniva pervaso da una misteriosa energia che faceva sventolare i lembi dei suoi vestiti come banderuole.
La sua pelle sembrò schiarirsi e pulsare di una strana luce pallida, come se il sangue nelle sue vene avesse cominciato a brillare.
Riaprì gli occhi fissando il cielo.
Un iride splendente e candida, l'altra completamente nera, come oscurata da un velo di pece.
Cominciò a muovere le braccia e le mani, mescolando la notte stessa ed il suo firmamento
Ad ogni suo gesto le stelle si spostavano come ramoscelli sotto la zampata burbera di un orso, fissandosi in una porzione di cielo che non gli apparteneva.

"Co..cosa stai facendo?"

I Rahm erano forse i migliori osservatori del cielo sulle terre del nord, forse persino di Theras stessa.
Tutte quelle notti passate ad osservare il cielo per orientarsi nelle sperdute lande del Talamlith, forse sarebbe bastato quel messaggio per animare le Guide e risvegliare un orgoglio spento per soccorrere i loro antichi fratelli.
Si sarebbero riscattati espiando una colpa che gli veniva tramandata di generazione in generazione.
Questo avrebbe fatto una Lanterna, colmare i rancori per curare le ferite e se gli elfi avessero smesso di odiarsi forse la speranza sarebbe tornata in quella terra ed il popolo avrebbe smesso di credere negli incubi per tornare a sognare.
Abbassò le mani lasciando che le iridi tornissero all'azzurro quotidiano.
Sopra Lithien e in tutta l'area circostante i Tre Fratelli brillavano Rossi come braci ardenti e tutto attorno le stelle convergevano ad est verso le foreste verdi dell'Erynbaran, come un fiume di lucciole o un pellegrinaggio di stelle.
Un'illusione tanto grande che fino al Talamlith si sarebbe visto quel cielo alterato, custode d'un messaggio e di una richiesta d'aiuto verso quel popolo che primi fra tutti avevano alzato la testa al cielo per orientarsi.
Forse i Rahm non avrebbero colto la sua chiamata, forse aveva ragione il vecchio e nessuno del suo popolo avrebbe messo a rischio la propria vita per dei fratelli abbandonati, forse quel gesto era stata l'ennesimo sogno buttato al vento, ma se anche solo uno dei tanti lauma avesse risposto alla chiamata allora forse c'era ancora speranza.
Se i fratelli si fossero abbracciati riaccendendo l'ardore e la gloria del popolo di Trijune il nord tutto ne sarebbe uscito rinforzato.
Bastava un gesto per colmare i vuoti e le incomprensioni e la salvezza sarebbe sorta di nuovo sul paradiso di Theras.
Fissò il lumino poggiato a terra e la luce che si propagava pallida tutt'attorno, le figure dei grandi eroi del passato che lo giudicavano silenziosi.
I fratelli si sarebbero abbracciati di nuovo, dovevano farlo.
Per il bene degli elfi, dell’Edhel e della speranza di tutti.

…I Rahm risponderanno

sospirò di nuovo, più a se stesso che all'uomo, poi prese i suoi pochi averi, indossò la tracolla e strinse forte le dita attorno al gancio del lumino avviandosi oltre gli ampi saloni verso le porte della città.




La scena si svolge successivamente alla quest Llusern - Stўgis . Dopo aver accettato di far parte delle Lanterne, nonostante alcuni problemi, Capernion si trova a Lithien pronto a ripartire alla volta del Talamlith verso il lauma del suo gruppo. Appollaiato in una delle terrazze della cittadella durante le ore notturne ha delle visioni sull'Erynbaran e su quanto successo in seguito agli eventi dell'Abisso. Forte del suo essere una Lanterna e ispirato dalle immagine di un lanternino consegnatogli da Jace, in seguito ad uno scontro verbale con un saggio della città il Cantastelle utilizza la sua tecnica nulla per cambiare il cielo stellato sopra Lithien ed il Talamlith chiedendo ai Rahm as Aid che lo leggeranno d'intervenire in aiuto degli Arshaid, loro antichi fratelli. Al termine esce dalla città dirigendosi verso il suo lauma -chiama così il gruppo di Rahm a cui appartiene-. La scena è stata scritta per il contest bonus "memoria" e fa parte del ciclo dell'Abisso e Llusern.
 
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