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Costrizione., Contest Luglio 2015, Cielo.

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Blaubart
view post Posted on 5/7/2015, 17:15




Costrizione.

« Non potrete credere ai suoi progressi, tutto suo madre! Ha sviluppato un costrutto d’evocazione davvero originale, la creatività non gli manca. » Maestro Lamlisye si prodigava nel vantarsi con i suoi anziani compagni di studio, messosi in mezzo a loro in una composta e delicata passeggiata, propria degli umani della sua età - ed io a guardare il panorama dall’alto di Lithien, immobile, che sognavo. Sognare era ormai una mia specialità. Lontano, sfocati dalle miglia che il mio occhio vagava ormai con abitudine giornaliera, ecco la flora desertica, i luoghi da me inesplorati. Con desiderio guardai poi il cielo, pulito e purificato - forse - da sparse nubi bianche. La razionale capacità di evadere dalla mia monotona vita all’interno della candida città mi portava spesso a ragionare sul senso di un mondo lontano da me. Quale mondo è questo?, pensai, quale regno?. Un regno che mi ero ripromesso di vivere, di esplorare un giorno, fuori dall’alta città.
« Viinturuth, mio caro ragazzo…! » Scossi la testa, ormai persa nei chilometri che miravo, quando l’esclamazione interdetta di Maestro Lamlisye e gli occhi dei presenti suoi compagni mi chiamarono a far sì che io li raggiungessi. E, tristemente, così feci.
« Sì, Maestro, chiedo venia: oggi il sole splende sulle nostre teste. » Dissi formalmente cercando di sorridere, unico giovane al seguito di quattro anziani maghi, studiosi, occhi sulla mia testa, gaudenti delle parole che avevo appena pronunciato. Se solo avessi potuto avere il permesso di vagare per il nord in compagnia di qualche buon avventuriero e compagno, la mia vita sarebbe quantomeno più ricca. Evitai di pensarci troppo. Del resto, non amavo mettere a disagio Maestro Lamlisye di fronte ai suoi amici che, a tutto dire, non avevano mai smesso di guardarmi come se fossi uno dei tomi più prestigiosi esistenti nelle biblioteche cittadine. Più volte il Maestro mi aveva rammentato di apparire meno taciturno e chiuso nel mio mondo di fronte agli altri studiosi. Non ho mai ben capito il motivo di tutte queste attenzioni da parte di tutti, sebbene più volte mi fu detto che vedere un… drago crescere nei primi anni di vita era un raro oggetto di studio domestico e quotidiano per nulla poco importante. Allora mi sentii costretto ad apparire più accondiscendente di fronte ai loro occhi, come per accontentarli. Eppure, il rumore delle scarpe sul marmo bianco, persino quello, aumentava la mia distrazione. Proprio non riuscivo a parlare con questi studiosi e appena tentavo di aprire bocca, per pura cortesia nei confronti di Maestro Lamlisye, provavo una sensazione estranea, come se mi sentissi fuori luogo. Il solo fatto che la mia esistenza potesse alimentare la loro sete di sapere mi faceva sentire, ogni singolo giorno, infastidito, triste: non ho mai avuto il coraggio di parlarne col mio maestro: deludere l’uomo che mi aveva cresciuto era l’ultima delle cose a cui avrei ambito. Non mi rimaneva che passeggiare; altri passi, ancora e ancora, mentre i versi stridenti di un’aquila echeggiavano tra i monti dell’Erydlyss fino a raggiungere le mie orecchie - ed eccola finalmente nel mio campo visivo, nell’aria, che volava libera.
Provai una lieve invidia. Immaginai di poter volare, per evadere dalla noia, dalla costrizione di passeggiare con i maestri, insomma, allontanarmi per quei pochi secondi che mi erano concessi: di fatto, ecco che Maestro Blougöi mi strappò alla fantasia.
« Dunque, ragazzo, raccontaci di questo costrutto sperimentale su cui ti sei dilettato. » Eccomi costretto a rispondere, ad aprire la bocca nuovamente. La voce di Maestro Blougöi era la meno dolce che io avessi mai ascoltato; possedeva un tono serioso, tristo, il tono di un maestro severo, di un elfo sussiegoso: non ero certo geloso dei suoi apprendisti. Maestro Lamlisye sorrise. Subito capii che era pronto a sentirsi orgoglioso delle mie descrizioni, dei miei studi, delle mie discrete capacità di esposizione.
« Ho mosso i miei studi sulle creature di roccia, prendendo spunto da alcuni manuali d’evocazione che Maestro Lamlisye mi ha permesso di studiare e ho adattato le loro sembianze alle esigenze che avevo, mescolando la loro natura all’elemento del fuoco. Sono partito dalla struttura costituzionale dei comuni golem, come Maestro Lamlisye vi ha accennato, e ho trasferito il materiale di cui sono composti dalla testa alle braccia, sacrificando una testa inutile ai fini della difesa. Stiamo parlando di una creatura di una certa altezza. Ho, dunque, concentrato il fuoco nella roccia degli arti superiori e ho trasferito il sistema motorio all’interno del petto, gestito dalle fiamme e dalla volontà dell’evocatore. La costituzione delle gambe permette le modifiche che ho apportato, tuttavia è una creatura che richiede un notevole quantitativo energetico affinché possa essere partorita nel mondo fisico. » Sorrisi accademicamente, per così dire, nell’intento di mostrarmi per come Maestro Lamlisye mi aveva educato: capace. Il suo sorriso aumentò e capii di averlo compiaciuto ancora una volta. Sostenne lui il resto della conversazione e rispose alle domande curiose dei suoi simili: che fortuna! Non che fossi timido, sia chiaro, ma avevo la mente altrove e non avevo voglia di sostenere una conversazione accademica. Sorrisi, assecondando i complimenti dei tre anziani studiosi. Un sorriso poco definito che subito sparì dal mio volto, non appena gli anziani si voltarono per continuare la loro cauta passeggiata. E poi un piccolo vuoto, un ascolto tetro che bussava sul mio petto a cadenze ritmiche. Una sensazione pullulante di desiderio, un bisogno inappagato. Pensai al cielo limpido sopra di me e alla mia condizione; io, me stesso, chiuso nell’impossibilità di cercare l’innovazione, nuovi stimoli - io, segregato nell’inesperienza. Il rumore dei passi sul marmo candido iniziò nuovamente a distrarmi e i miei occhi ritornarono passivi sulle maestose ali dell’aquila, ora più lontana da me. Sin da piccolo ero abituato a guardare quel panorama idilliaco con semplicità e ingenuità e per tutto questo tempo aveva appagato i miei sensi… eppure stavolta quello stesso cielo iniziava ad essere per me l’Oneiron, un luogo irraggiungibile, un dolore a cui assistevo mentre guardavo lontano, in verticale dalla mia testa, il celeste dell’atmosfera di questo mondo.
Lithien era divenuta, per me, Baathos.
« Mi scuserete, ho bisogno di riposo. » Feci un lieve inchino e i maestri mi guardarono con aria compiaciuta. Tutti fuorché Maestro Lamlisye: lui comprese, lui capì. Lui seppe che avevo bisogno della mia arpa e del mio violino. La gelosia del vento che sfiorava l’aquila e i suoi versi di sicurezza avevano preso le sembianze di catene, strette sul mio petto.

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Fu sera.
Dalla finestra il cielo s'era fatto scuro, macabro. Mi ero rifugiato nella mia stanza, sotto il calore delle note della mia arpa, e pizzicavo, carezzavo le corde alla luce dei candelabri. Il sole era andato via, lasciandomi la tristezza della luna e il suo candore sì, neutro e vacuo, ma quantomeno stimolante per lo strumento che stavo suonando. Bussarono alla mia porta e cessai di suonane, alzandomi in piedi - abbandonai la grossa arpa.
« Avanti. » Pronunciai con decisione. Quella non era mai stata una mia carenza, da sempre abituato a scandire con naturalezza ogni parola, così come mi aveva insegnato Maestro Lamlisye.
Egli entrò silenzioso, comprensivo. Io non dissi nulla, non sapevo se scusarmi oppure chiedere consiglio, aiuto. Parlare non era mai stato così difficile.
« Ho osservato il modo in cui guardavi quell'aquila, Viinturuth. » La sua voce era bassa, vicina, e i suoi occhi penetrarono comprensivi nelle mie pupille. Mi vergognai della mia tristezza, e i secondi di silenzio divennero pesanti.
« Non è necessario che tu parli, figliolo. È necessario, però, che tu comprenda. » Le mie labbra si schiusero e le mie dita si incontrarono; uno stimolo umido dietro i miei occhi.
« Un giorno anche tu conoscerai il volo, ragazzo mio. Tu sei il sangue del drago. »

Piccola scena di introduzione al mio personaggio. E' il primo post che lo riguarda ed ho approfittato del contest per rendere visibile la sua condizione di reclusione in una città, Lithien, da cui non è mai uscito, e il suo desiderio di esplorazione e innovazione della propria vita. La ricerca di qualcosa di stimolante. Il Cielo è quindi visto come sogno, un lontanissimo punto di arrivo, in contrapposizione a una gabbia interiore le cui sbarre sono formate da bisogni inappagati. Spero davvero che piaccia.
 
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