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Eulogy, contest mensile Luglio 2015 ~ Cielo

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view post Posted on 23/7/2015, 17:41




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Invettiva al cielo

Odiava il cielo. Così distante, estraneo ed effimero; cosa poteva saperne delle sofferenze del mondo? Le vite degli uomini erano incatenate alla terra, una terra colma di affanni, sofferenza, tragedia e violenza, costretti a lottare per la sopravvivenza fino al giungere della morte, ed anche allora i loro corpi di sarebbero disintegrati, tornando al terreno. Il cielo non conosceva nessuna di queste cose: osservava immobile ed immenso, vegliando sugli eoni e il susseguirsi delle generazioni, ricordando costantemente agli esseri viventi la presenza di un'intera altra esistenza, che però non avrebbero mai sperimentato.
Conosceva una persona, tempo addietro, il cui sogno era di volare via, libera, nell'orizzonte infinito. Si trattava di una ragazza, un'esile figura dai capelli dorati ed un sorriso capace di illuminare più del sole; era una Cacciatrice, proprio come lui, nata e plasmata col solo scopo di uccidere mostri, davvero impensabile vista la sua stazza minuta e fragile, del tutto opposta a quella di lui, grosso e nerboruto. L'elemento più peculiare erano due piccole ali bianche piumate che le spuntavano dalle scapole - indubbiamente il risultato degli esperimenti magici a cui era stata sottoposta, ma del tutto inadatte al volo: l'aveva sempre trovato un elemento di irritante ironia, ma quando lo faceva notare lei scrollava semplicemente le spalle dicendo "Non servono ali per volare". Non era abbastanza intelligente per comprendere quel genere di discorsi, ma trovava una certa pace nel sentirla raccontare le sue storie, nell'osservarla mentre studiava la volta celeste con attenzione meticolosa: per qualche tempo era riuscita a convincerlo dell'esistenza di una vita diversa, di una bellezza che non aveva mai conosciuto. Tutto finì il giorno in cui gli portarono la notizia che fosse morta, uccisa durante una caccia, prima che potesse realizzare i suoi sogni: troppo giovane e luminosa per meritare questa fine. In suo onore decise di porre fine a quella situazione con le sue stesse mani, ponendosi a capo di una rivolta che portò alla distruzione dell'Organizzazione che li aveva creati e schiavizzati, costringendoli a vivere una vita di sangue e violenza.
Dal giorno della sua morte non aveva mai più rivolto lo sguardo al Cielo, come silenziosa accusa della sua indifferenza verso il destino degli uomini. Ed ora, steso sul tappeto d'erba umida di una radura, con il viso rivolto alla volta stellata della Notte, tornava a guardare quel blu infinito, mentre un singola lacrima gli rigava il viso.


Sei settimane prima...

Se ne stava seduto a gambe incrociate sull'argine ghiaioso di un fiumiciattolo, una canna da pesca nella mano e lo sguardo semi-assopito fisso sul punto in cui l'amo si immergeva nell'acqua. Al suo fianco un grosso bacile testimoniava una pesca alquanto infruttuosa, che consisteva di soli quattro pesci di medie dimensioni, neanche lontanamente sufficienti a soddisfare l'appetito di uomo della sua mole. Le chiare e limpide acque del torrente riflettevano il terso cielo primaverile, d'un azzurro perfetto, decorato occasionalmente da qualche vaporosa nuvola lattea; tuttavia l'uomo non sembrava assolutamente interessato a quel particolare, anzi pareva concentrarsi appositamente su un unico dettaglio per escludere alla vista tutto il resto. Quando però un improvviso schianto lo destò dal torpore, fu costretto a dimenticarsi dell'esca per controllare cosa fosse successo: poche decine di metri più in là un grosso tronco era andato ad incagliarsi in mezzo a dei massi, spezzandosi a metà. Il vero problema era che, aggrappata a una delle estremità del legno, stava una giovane figura priva di sensi e visibilmente ferita. A quella vista il pescatore strabuzzò sorpreso gli occhi, senza però accennare il minimo movimento per giungere in soccorso; solo svariate manciate di secondi dopo, l'imponente figura si decise ad alzarsi, lentamente e con calma, per poi sollevare il corpo dall'acqua con un singolo gesto del braccio.
Si trattava di una ragazzina di dodici anni al massimo, un'elfa, cosa che trovò subito strana visto che gli insediamenti elfici si trovavano decisamente più a nord, a monte del fiume, e raramente si avventuravano in quella parte dei boschi. Era ferita pesantemente: aveva almeno due costole rotte, una profonda ferita all'addome e diverse lacerazioni sparse; miracolosamente era riuscita a sopravvivere, ma pur facendo del suo meglio nel medicarla la febbre l'avrebbe probabilmente uccisa nel giro di un paio di giorni... o almeno così credeva.
La sera del terzo giorno la giovane riprese conoscenza, svegliandosi in un grosso letto di legno e paglia, in una casupola solitaria eretta nel mezzo di un bosco, poco distante dal fiume. Nel mezzo di una larga stanza spoglia e calda, illuminata da un braciere scoppiettante, stava un energumeno di due metri, spesso quanto un armadio, intento a girare una zuppa. Appena accortosi che la ragazzina si era svegliata, il figuro sospirò tra sé e sé, lasciando il mestolo: sapeva già come sarebbe andata, lui si sarebbe avvicinato per controllarla, lei si sarebbe spaventata e lui sarebbe andato nel panico perché con i bambini non ci sapeva fare. Con sua sorpresa non accadde nulla di tutto questo: quando si accovacciò al capezzale la giovane elfa lo fissò in silenzio, senza emettere il minimo suono, assolutamente indifferente al suo aspetto minaccioso. L'uomo sollevò un bruno e folto sopracciglio, poi con tono calmo e cavernoso chiese:
Come ti chiami? Non ebbe risposta.
Che ci facevi nel fiume? Ancora silenzio.
Come ti sei procurata quelle ferite? All'ennesimo rifiuto l'uomo decise di arrendersi, tornando ad occuparsi della zuppa, che servì poco dopo in due grosse ciotole. La ragazza doveva sicuramente essere affamata, non mangiando da almeno tre giorni, ma non fece moto di voler accettare il cibo, limitandosi a fissarlo mentre cucchiaio dopo cucchiaio ne ingurgitava almeno un litro. Solo ore dopo i morsi della fame ebbero la meglio sulla giovane, che mandò rapidamente giù la zuppa quando credeva che lo sconosciuto non la stesse guardando. Quella notte andarono a dormire senza proferire neanche una parola.
La mattina dopo venne svegliato dal rumore di un ramo che si spezzava, seguito da un acuto grido; tirandosi in piedi allarmato, notò il letto vuoto e prontamente si gettò fuori dalla baracca, per trovare, pochi metri più in là, una esile figura riversa in terra. L'elfa era evidentemente sgattaiolata fuori di casa mentre lui dormiva, aiutandosi nel camminare con un bastone improvvisato, che però aveva ceduto al peso e l'aveva lasciata cadere, riaprendole le ferite che ora sanguinavano copiosamente. Nel riportarla in casa, la giovane si divincolava furiosamente, urlando isterica Devo andare! Devo andare!, finché le energie non la abbandonarono e perse conoscenza. Quando verso l'imbrunire rinvenne, trovò l'uomo intento a intagliare un grosso ramo contorto nella forma di un bastone; questi le rivolse uno sguardo severo ma placido e si limitò a dire: Le tue ferite sono troppo profonde, ci vorrà almeno un mese prima che tu riesca a muoverti senza rischi, quindi meglio se ti abitui a stare qui per un po'. Dopodiché posò il legno contro un muro. Preparo la cena. Stasera stufato di coniglio. E mentre si alzava notò che gli occhi della ragazza si erano fatti lucidi e tremolanti. Senza dar troppo peso alla cosa preparò la pentola e fece a tocchetti i conigli che aveva già spellato; quando poi venne l'ora di aggiungere le spezie al brodo dello stufato, la sua concentrazione venne interrotta da una flebile voce dal tono cristallino, che d'improvviso mormorò qualcosa: ci volle un po' perché la montagna realizzasse la parola che aveva appena udito, poi, comprendendo, si voltò ...quello è il tuo nome? un movimento di spalle gli fece di sì. La sua prossima domanda sarebbe stata "Cosa ti è successo?", ma aveva paura che la questione l'avrebbe dissuasa dal parlare nuovamente, quindi si limitò a tornare al suo stufato, commentando semplicemente E' un bel nome, il che era vero. Qualche minuto dopo, però, senza che lui accennasse minimamente all'argomento, l'elfa cominciò a spiegare di sua iniziativa: La nostra comunità vive a nord, risalendo il fiume, siamo nomadi quindi abbiamo solo degli accampamenti. Qualche giorno fa un branco di di lupi corrotti ha attaccato l'insediamento, in cerca di cibo; qualcuno ha combattuto, altri sono scappati, io sono corsa via con mia madre, in direzione del fiume, ma uno dei mostri ci ha seguite. Mamma ha provato a fermarlo, ma non ce l'ha fatta, e quando sono tornata per aiutarla il lupo mi è saltato addosso e mi ha colpita, ma non è riuscito a prendermi perché sono caduta nel fiume e la corrente mi ha portato via. Ascoltò la storia con ferrea impassibilità, evitando di girarsi a guardarla, perché dalla voce tremante poteva capire che stesse piangendo ma non volesse darlo a vedere. Più tardi, quella notte, dopo che la ragazzina si addormentò, lui stette ancora un po' alzato a fissarla con sguardo perso, ripensando a quanto avesse detto: la sua comunità era stata attaccata da dei mostri, quindi erano sicuramente stati costretti a trovare un nuovo insediamento, probabilmente a valle, oltre il bosco, dove la presenza di altri elfi era maggiore. Certamente la madre della ragazza era morta, e dovendo dedurre, neanche il padre era in vita, il che lasciava i suoi simili come unica famiglia rimastale.

Nei giorni e nelle settimane che seguirono, il solitario uomo si prese cura della creatura di cui ormai si sentiva responsabile. Nei primi tempi i rapporti fra i due furono alquanto distaccati e difficili, un po' per l'irrequietezza della giovane, un po' per l'atteggiamento taciturno e cupo di lui; col tempo, però, i due cominciarono a legare e a parlare più spesso: una ragazza di quell'età, senza più nessuno accanto, cercava una figura di sostegno, mentre l'uomo, dopo anni passati di solitudine, aveva ritrovato un contatto umano che lo distrasse dai ricordi del passato. Nel mese richiesto alla giovane per guarire, la convivenza tra i due era diventata sempre meno forzata e più naturale, ma entrambi sapevano che non sarebbe durata ancora a lungo.
Quando l'elfa divenne nuovamente in grado di camminare da sola - con l'aiuto del bastone che lui le aveva intagliato - il gigante prese una decisione: l'avrebbe accompagnata all'accampamento, dove si sarebbe ricongiunta alla sua comunità. Inutile dire che la ragazzina fu entusiasta della notizia, nonostante la prospettiva di abbandonare il suo nuovo amico la rammaricasse. Il viaggio avrebbe richiesto almeno dieci giorni, viste le condizioni di lei, oltre al fatto che per ritrovare il resto degli elfi sarebbe occorsa una certa esplorazione del territorio, sperando che il tempo non avesse totalmente cancellato le tracce del loro passaggio.
Passando per i boschi e costeggiando il fiume la ricerca avrebbe richiesto meno tempo, ma l'uomo insistette nel fare alcune, lunghe, deviazioni per evitare zone in cui sarebbero potuti incappare in mostri ed altre bestie selvagge, benché lui stesso sembrasse più che capace di affrontare un branco di orsi a mani nude. Così facendo passarono i giorni e le notti, riposandosi ogni ora per evitare di affaticare la bambina, che molto spesso doveva trasportare lui stesso in braccio quando i terreni erano troppo accidentati e faticosi. Inizialmente ebbero anche difficoltà nel trovare segni di passaggio, e per un paio di giorni proseguirono persino alla cieca, non sapendo se fossero sulle tracce degli elfi oppure no; dopo circa una settimana, però, i segni di una pista battuta diventarono sempre più chiari, annunciando che la loro destinazione era ormai a portata.
Infine, il tredicesimo giorno di viaggio, sul fare della sera, la grossa e pesante figura dell'ex-Cacciatore, con al fianco l'esile sua protetta, sbucarono dalle fronde nere della foresta, affacciandosi su una zona pianeggiante: qui, vicino le sponde del fiume, si ergevano tende e casupole, illuminate dai fuochi dell'accampamento. Li abbiamo trovati. esultò sorridente lui, dando un buffetto sulla testa dorata della ragazzina e facendo un passo in avanti; prima che potesse farne un secondo, però, una morbida manina lo bloccò, strattonandolo per un braccio e facendolo voltare, interdetto: Passiamo la notte qui fece lei in quella sua flebile vocina, fissandolo con supplichevoli occhioni. Stava già per replicare, quando si bloccò a bocca aperta, realizzando la natura di quella richiesta assurda: gli stava chiedendo di passare un'ultima sera insieme, prima che lui la lasciasse con i suoi simili e tornasse a nascondersi nei boschi. Vagamente imbarazzato e intenerito, l'energumeno alzò la sua pesante zampa, spettinando allegramente i capelli di lei e facendo segno con la testa.
Si accamparono in una radura poco distante dal limitare della selva, l'erba era umida e bagnata dalla pioggia primaverile, ed il cielo era illuminato da miliardi di stelle, limpido e sereno come solo un'atmosfera da fiaba saprebbe riprodurre. Ma il cielo non era di suo interesse, lo era la terra su cui la leggera figura di una piccola elfa danzava allegramente, per dimostrargli che ora era completamente guarita e non doveva più preoccuparsi per lei. La falce della Luna alta contro il manto celeste li illuminava entrambi, ma era la terra, erano le fronde e i fiori e gli animali a sentire le loro risate: i sorrisi d'addio di un uomo che aveva vissuto troppo ed una bambina che aveva vissuto troppo poco.
...già, gli animali.
Fu un attimo, un cupo ringhio mischiato alle voci di una discussione, che annunciò la presenza di decine di creature attorno a loro, nascoste nel fitto della foresta. Le risa cessarono e ben presto l'unica cosa che risuonava nel silenzio erano i passi pesanti di un qualcosa che si avvicinava a loro: qualche attimo dopo, delle sagome simili a dei tori con fauci e artigli da lupo spuntarono dai cespugli, venendo lentamente avanti. Decine, sbuffavano e ringhiavano, raspando il terreno con violenza, volgendo le possenti e lunghe corna contro il duo in fronte a loro. L'uomo sapeva che cosa fossero, ne aveva uccise molte di bestie simili ai tempi della Caccia, ma da quando l'Ordine era andato distrutto si era ripromesso di non uccidere mai più un mostro. Pertanto, con calma flemmatica, si era già preparato ad aggrappare la ragazzina e fuggire nella foresta, dove avrebbe seminato quelle creature, quando un pensiero lo raggelò sul posto: se le avesse lasciate andare quelle mostruosità avrebbero raggiunto l'accampamento degli elfi, sterminando anche l'ultima famiglia rimasta alla giovane.
Chiuse gli occhi, prese un respiro, poi con fare perentorio disse: Corri, raggiungi l'insediamento, io mi occuperò di questi.
A quelle parole la ragazza sgranò gli occhi, scuotendo la testa e aprendo la bocca per ribattere, ma lui la zittì con un possente urlo Vai!
Per tutta risposta, i mostri ringhiarono a loro volta, lanciandosi simultaneamente alla carica. Il gigante scansò con una mano l'elfa, correndo a sua volta contro la mandria inferocita, cacciando un grido primordiale e caricando tutta la forza di cui disponeva: con un sol pugno schiacciò in terra la prima delle bestie, uccidendola sul colpo, seguita da una seconda a cui spezzò il collo facendola volare. Una terza riuscì a ferirlo ad un fianco, ma prima che la quarta avesse modo di incornarlo, afferrò con le enormi braccia quella più vicino a lui e la scagliò contro l'altra, uccidendole entrambe. E così il colosso massacrò una creatura dopo l'altra, senza però accorgersi di una cosa fondamentale: la ragazza non era scappata. Era rimasta lì impietrita, nel medesimo punto in cui era caduta dopo essere stata spinta, a fissare ipnotizzata il brutale ed animalesco scontro; accadde, quindi, che uno di quei mostri, ferito ma vivo, notando la preda inerme, le si avventò contro. Il grido della giovane chiamò l'attenzione del nerboruto guardiano, che con un solo balzo raggiunse la bestia, per poi stritolarla con un braccio.
Stai bene? fu la sua unica domanda, l'unico momento di distrazione che gli risultò fatale: l'ultimo orrore rimasto in vita si lanciò in avanti, trafiggendo il gigante alla schiena, trapassandogli lo stomaco. A quella scena l'elfa impallidì shockata, ed ancora prima che decidesse di piangere le sue guance erano già bagnate dalle lacrime; d'altro canto, il gigante, notando quell'espressione, sorrise sereno, carezzandole la fronte con un dito Raggiungi l'accampamento, avvertili, io sarò qui ad aspettarti. e così la congedò, affrettandola perché se ne andasse. A quelle parole una flebile luce di speranza si accese nella giovane, che immediatamente si tirò in piedi, correndo in direzione dell'insediamento.
Quando finalmente se ne andò, l'uomo diede una mesta smorfia, sputando in terra del sangue, prima di digrignare i denti furiosamente: con una mano prese la punta del corno che l'aveva trapassato, spezzandolo, mentre con l'altra afferrò la base, estraendola e sollevandola in aria con tutta la creatura; infine vibrò con violenza il braccio, trafiggendola alla testa con il suo stesso corno, prima di scagliare via il cadavere.
Ora la radura era nuovamente silenziosa, costellata dei cadaveri di decine di mostri, ed in mezzo a questi un uomo, un gigante, che cadeva esausto e morente sulla schiena.


Elogio al cielo

Se ne stava disteso in mezzo alla radura, l'erba umida dalla pioggia e dal sangue appena versato, gli occhi finalmente puntati al cielo che da tanto tempo aveva dimenticato. Odiava il cielo, l'aveva odiato sin dal giorno in cui la sua più cara amica era morta, perché gli ricordava della promessa non mantenuta: quella di libertà, di una vita migliore, lontana dalle sofferenze, dalla fatica e dal sangue. Anche adesso non si era smentito, quel maledetto cielo, che con i suoi centomila occhi stellati lo guardava morire, bagnato nel sangue, proprio come si supponeva che una persona come lui morisse; "Va bene così, almeno lei è salva" si disse fra sé e sé, onestamente felice di questo pensiero. Forse, dopotutto, non era così male una simile morte, solitaria, violenta sì, ma non la morte di un cacciatore, o di un burattino, bensì di un Guardiano disposto a sacrificare la propria vita per preservarne un'altra.
Il cielo era testimone anche di questo, della vita vissuta, che forse nessuno sulla terra avrebbe mai ricordato, ma che sarebbe rimasta impressa nelle stelle. Ah quante storie devono essere scritte nel firmamento, almeno tante quante le infinite stelle che rappresentano gli uomini passati e futuri. Proprio lassù, in mezzo a miliardi di altre luci, un nuovo sole nasceva mentre la vita lo abbandonava, quasi come un promessa di rinascita. Ed ora un pensiero, la semplice ombra di una speranza gli attraversò la mente: forse era quella la promessa del Cielo. Aveva sempre creduto che esso fosse indifferente alle vite degli uomini, che stesse come imperturbabile memento della loro insignificanza, lontano e freddo; forse però non era così, forse c'era un modo di raggiungere quel lontano cosmo e di abbandonare la cruda terra. "Non servono ali per volare" gli tornò a mente quella frase, quell'enigma che mai era riuscito a comprendere e che una giovane ragazza, ignara del mondo, era riuscita a concepire. Non servono ali... ripeté con l'ultimo filo di voce, mentre una singola lacrima scendeva a rigargli la guancia.
Avrebbe dovuto odiare il cielo, ma ora, nel guardarlo, sentiva di aver fatto pace con esso. Quella volta stellata sarebbe stata l'ultima testimone, l'avrebbe accompagnato nella morte e si sarebbe fatta carico di tramandare la sua storia ai posteri, in modo che chi si fosse soffermato ad indagare gli astri, un domani, avrebbe avuto modo di leggere la vita di un eroe senza nome.
E mentre gli ultimi istanti di vita lo lasciavano, e la sua visione si oscurava, poté vedere ancora un'ultima stella, cadere e solcare i cieli, volando libera. Riconobbe quella stella, riuscendo quasi a intravedere le ali piumate della sua vecchia compagna che gli mostrava la direzione; morì quindi con un sorriso, al pensiero che finalmente il suo sogno si fosse realizzato. Volare liberi nel cielo.
 
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