Mae teyrnwialen o'r adegau a gollwyd Lo scettro dei momenti perduti
Fien accarezzò le ruote dentate dello scettro con la punta delle dita. Il metallo era freddo, unto dall'olio ancora fresco, e lui si mise a giocare con gli ingranaggi facendone ruotare uno avanti e indietro, e con lui tutto il macchinario. Clak, clak, clak. Armonia perfetta: non un traballamento, non il minimo gioco fra i denti, e il suono che ne usciva era musica. Sospirò soddisfatto e si abbandonò a occhi chiusi sulla poltrona, lasciandosi cullare dagli echi del vento che soffiava contro la torre. Gli sembrò che la tormenta fosse il suo respiro, e quasi sognò ghiaccio e neve sprizzare fuori dalle proprie narici e investire la vallata, spazzando rocce e alberi secolari. Ridacchiò sommessamente. Oh, sì, soffiare tempesta, di certo era ciò che molti si aspettavano da Fien il Senzavolto, il pazzo dell'eremo, quello che vive con le Ombre, il... aveva troppi nomi per ricordarseli tutti. Ogni tanto gettava un'occhiata nella foresta o vi entrava come viandante, coperto con quel cappuccio stinto ma ben coprente che gli conferiva il più altisonante fra i soprannomi.
Aveva camminato più volte nei villaggi e pregato agli Shaogal-Crann di nascosto, mentre nessuno prestava attenzione a quel vecchio le cui dita parevano già in procinto di germogliare. Tra gli Arshaid non era particolarmente ben visto: circolavano voci su come lui stesse diventando una nuova Eitinel, e alcune tribù non molto lontane avevano inviato qualche plotone di guerrieri per assassinarlo prima che fosse troppo tardi. Che voci esagerate che erano, quelle! Fien non aveva mai desiderato porsi scopi altisonanti come quelli dell'Inquisitrice, o di sconvolgere il mondo intero con le proprie ambizioni. Si era solo ritirato non più di cento anni prima, lontano da distrazioni e futili preoccupazioni. Non aveva detto niente a nessuno, certo, ma non era diritto sacrosanto di ogni creatura quello di vivere in perfetta libertà?
Nonostante questo non aveva commesso l'errore grossolano di lasciar tornare qualcuno vivo. Forse qualche pezzo di quella scarsa centuria era ancora lì, in mezzo alla neve, conservato dalle bestie e dal marcio grazie al freddo eterno dell'Erydlyss. Non si viene a disturbare un Arcimago di Lithien per puro sospetto che stia tramando qualcosa.
Afferrò lo scettro e si sforzò di sollevarsi dalla sedia. Dire che le ossa gemettero sarebbe stato riduttivo, perché il suono che fecero fu simile a quello della corteccia di un albero che viene scorticato, e una smorfia di dolore gli si dipinse il volto, facendogli quasi desiderare di ripiombare sull'imbottitura. «Ma non importa, non importa!» esclamò ad alta voce, serrando le dita sullo scettro. Aveva finito. Aveva vinto. Una scarica di piacere gli attraversò il corpo e riuscì a muovere i primi passi verso la porta, procedendo poi per inerzia. Oh, com'era orrenda la vecchiaia! Soprattutto per gli elfi: per settecento anni puoi arrivare a credere che essa sia un mito, una sciocchezza; di vecchi quanti ne aveva visti, in tutta la vita? Forse meno di una decina, e la maggior parte in quegli ultimi cento anni, ogni mattina quando di tanto in tanto sbirciava nello specchio. Ridacchiò. Lui era arrivato così avanti nel comprendere la magia: aveva tradotto codici incomprensibili, modificato formule che ora portavano il suo nome... o lo avevano portato, perlomeno, probabilmente il suo nome era stato raschiato via da ogni annale. Aveva creduto di poter andare avanti e avanti ancora, all'infinito... Finché un giorno, quasi inaspettatamente, si era svegliato rendendosi conto di avere la fronte solcata dalle rughe e una vita piena di rimorso.
La natura a volte è capace di fare scherzi a cui solo lei sa ridere. Ma adesso aveva rimediato, aveva risolto tutto, e la soluzione la stava stringendo quel momento in mano. O perlomeno l'avrebbe stretta fra qualche minuto, quando sarebbe riuscito a scendere quelle dannatissime scale.
Fien fece una smorfia e schioccò le dita. Cominciò a galleggiare giù dalla scalinata levitando a qualche centimetro da essa. A volte dimenticava di poterlo fare. Si ricordò quando, forse settant'anni prima, forse dieci, Lorelej era venuta. Aveva bussato alla porta della torre un mattino. Fien sapeva che fosse lei. Era andato ad aprire di persona e l'aveva trovata bella come l'aveva lasciata, avvolta da una pesante pelliccia. La mano di lei si era mossa quasi inavvertitamente verso il pugnale che portava al fianco, e l'Arcimago si era un poco intristito per quel gesto, perché lei era arrivata a provare paura per lui, per la persona che le voleva più bene in tutta Theras. Avevano salito quelle scale assieme, passo dopo passo, smuovendo la polvere e le ragnatele che le ricoprivano. Lei si era guardata attorno ammutolita per qualche minuto osservando gli arazzi alle pareti, quelli che un tempo avevano adornato la villa di Lithien. Poi l'aveva preso per una spalla e aveva cominciato a sbraitare.
«Questo è stupido, Fien» aveva detto scuotendo la testa. «Lithien era pronta a ricoprirti di onori. Di intitolarti una statua. Ora si stanno chiedendo se lasciarti in vita sia una buona idea». L'Arcimago si era stretto le spalle. Quel giorno portava la tunica da reggente, un telo purpureo che indossava principalmente perché caldo e comodo, e allargando le braccia sembrò che avesse spalancato un paio di ali. «Ashurazar Na'far, mia cara. Gli onori sono...» «Sì, sì, gli onori sono volatili quanto la polvere. Ma Umbrai era un eroe delle leggende, questa non è una leggenda!» lo afferrò per un braccio e lo strattonò. Fien aveva sospirato guardandola negli occhi. Li aveva del verde delle foglie degli alberi-padre, così intensi e belli da far venire male al cuore. Juno glielo aveva detto spesso, quando erano giovani. “Hai occhi troppo vivi per seppellirti tra i libri”. «Devo dirti tuttavia che la tua è una pessima traduzione» si limitò a mormorare, liberandosi. «Na non è la polvere ma è precisamente il pulviscolo nevoso, e volatile è una parola eccessivamente scientifica. Trovo che “effimeri come il nevischio” renda molto meglio il significato, non trovi?». Lorelej lo aveva fissato senza sapere cosa dire. Fien aveva allungato una mano per mettergliela fra i capelli e lei non si era ritratta. «Cosa stai facendo, tahad?» aveva sussurrato. Aveva duecento anni, e Fien non ricordava di averla mai vista così vicina alle lacrime come quel momento. «Nulla» mentì, e lei dovette comprenderlo perché sollevò lo sguardo. «Se è così, tu devi essere più pazzo di quello che dicono». Fien annuì in silenzio. Quasi con preoccupazione cercò per un istante nella testa qualcosa che potesse contraddire quell'affermazione, ma fortunatamente non trovò nulla. «Non voglio il vostro male, o il male di nessuno. Ho solo bisogno di tempo». Verità, in parte. Lei non capì. Si limitò a voltarsi e a tornare sui propri passi. «Addio, tahad». «Namasté krap, Lorelej» «Namasté kah. Lo spirito divino in me ti saluta». Fien il Senzavolto aveva annuito sorridendo. «Questa è una splendida traduzione».
Quella era stata l'ultima volta che aveva visto la figlia. Gli erano arrivati alcuni messaggi, perlopiù spediti utilizzando qualche incantesimo, ma negli ultimi anni si erano fatti sempre più radi fino a cessare del tutto. Ne aveva sentito la mancanza nei momenti in cui la mente si scostava dal lavoro che lo aveva occupato per quei cento anni quasi ininterrottamente, e allora si era sentito triste e aveva pianto. Attorno a lui era cambiato il mondo, l'Edhel si era trasformato in qualcosa di diverso, di selvaggio, ma lui non si era mai staccato dai libri. E alla fine ce l'aveva fatta. Lanciò un'occhiata allo scettro di ingranaggi che reggeva in mano e provò una sensazione fra il trionfo e la tristezza. Sì, ce l'aveva fatta. Ora era stanco, tanto stanco che forse, se si fosse addormentato, sarebbe germogliato e si sarebbe unito alla natura come tanti avevano fatto prima di lui. Ma non subito. Non prima di aver terminato.
La porta dei sotterranei l'aveva modellata nel piombo, senza maniglie o serrature, solo una lastra di spesso metallo scuro inamovibile per la maggior parte di possibili ficcanaso. Ma visto che qualcuno per arrivare fin lì doveva per forzaessere un ficcanaso particolarmente agguerrito, Fien si era premunito incantandola con diverse schermature. Persino lui avrebbe fatto fatica a passarvi oltre. «Nid yw'n cael ei ynghlwm wrth y dynged» mormorò sottovoce nella lingua povera di vocali delle Ombre. Io non sono legato al fato. La porta emise uno scatto sonoro, e Fien vi poté passare attraverso come se fosse stata un telo di nebbia grigiastra. La stanza in cui entrò era buia, con l'odore di umido e afa che rendeva pesante il respiro. Le condizioni ideali con cui allevare muffe e insetti schifosi... o l'oscurità stessa.
«Sei tornato, Senzavolto» mormorò una voce nel buio. Fien indugiò un istante, indeciso, poi mosse qualche passo in avanti, avvicinandosi al centro della stanza. I suoi occhi non erano quelli rossi e piccoli dei depravati Neiru, ma erano in grado di scorgere al centro della stanza una figura piccola, insignificante, posta sopra un piedistallo. «È finito il mio lavoro» si limitò a dire «Ora comincia il tuo». Una risata. L'eco rimbombò dando l'impressione che fossero le pareti a schernire l'arcimago, e la cacofonia lo pervase entrandogli nelle ossa, ma lasciandolo indifferente. Trucchetti del genere avrebbero potuto impressionare un apprendista debole di cuore, ma dopo anni trascorsi a studiare magie c'era ben poco al mondo, naturale e non, che potesse sorprenderlo. «Sei venuto qui per sentenziarmi a morte, dunque. Non ne vedevo veramente l'ora». Fien si strinse le spalle. «Risparmiami il sarcasmo, Ombra. I tuoi simili hanno sterminato centinaia di creature viventi. Una in meno di voi farà solo bene al mondo». «Una tua simile» ribatté la creatura sul piedistallo «ci ha portate nel tuo mondo e ha sterminato a migliaia di noi. Ma tanto a te non è mai importato veramente, vero? Non è per questo che lo fai» Fien scosse la testa. «Tu sognerai. Sognerai assieme a me, e saranno tante cose belle. Anche brutte, sì, ma non ne rimpiangeremo nessuna. Alla fine per te sarà come tornare nell'Oneiron, nel vostro mondo di saprofagi di pensieri. Credo che questo tu lo possa accettare». L'Ombra rimase in silenzio per qualche istante, come se stesse ponderando qualcosa. «Sì» decise infine. «Credo che lo potrò tollerare».
Fien annuì e tese lo scettro perché sormontasse la cupola di vetro sul piedistallo. «Allora vieni. Te lo ordino». Vi fu un forte rumore di risucchio, un turbine che fece tremare l'intera stanza. L'Ombra si illuminò di una luce violacea, mostrando i propri contorni sfasati e indistinti, prima di sollevarsi e penetrare all'interno dell'asta di ingranaggi. Poi tutto si placò come era iniziato. L'oscurità parve attenuarsi un poco, schiarirsi come se la presenza della creatura l'avesse nutrita e rinforzata per tutto quel tempo. Fien non si mosse, poi una fitta improvvisa alla mano lo costrinse a scostare il braccio. Lo scettro, finalmente, si muoveva.
Clak clak clak clak.
I denti degli ingranaggi gli scavavano nella pelle, così come doveva essere. Roteavano lenti ma implacabili, ticchettando quando il meccanismo all'interno scattava. Il pomo all'apice dello scettro scintillava di una luce verdastra, pulsante, e attorno ad essa si disegnavano piccole volute di condensa. Fien la sfiorò appena con un dito, quasi affettuosamente. Un lampo improvviso gli tolse la vista.
«Fien!» strillò una voce dall'alto. L'arcimago sollevò gli occhi. Ora non era più nei sotterranei della torre, ma in un campo di battaglia aperto, costellato di cadaveri sanguinanti. I guerrieri non combattevano: avevano mollato le spade e gli scudi a terra, alcuni si stavano slacciando l'elmo di fretta, gettandolo alle spalle frettolosamente. Un grosso lupo in armatura guaì come un cucciolo e si andò a nascondere alle spalle del padrone. «Anobaith...» pronunciò Fien nel linguaggio delle Ombre, quasi inconsciamente. Disperazione. I denti gli cominciarono a battere e un gran freddo gli paralizzò le braccia.
Una sfera nera, gigantesca, scendeva sulla vallata loro.
Fien boccheggiò ritraendosi di scatto. Era di nuovo nella torre, ora, nell'oscurità, e lo scettro emetteva alcune scintille azzurrine, forse soddisfatto. Il Senzavolto ghignò con sollievo passandosi una mano sulla fronte. La Guerra del Crepuscolo! Che bel momento con cui iniziare, non era vero? L'istante in cui il despota del Dortan aveva sterminato intere armate per poter proseguire nel suo sogno di follia. Le mani gli tremavano ancora per l'emozione, e si dovette appoggiare a un muro per non cadere. Era stato bello, bellissimo! Tutto quell'orrore che gli aveva attanagliato il cuore, il silenzio mortale mentre quell'enorme ghigliottina calava per sentenziarli a morte... e lui era lì a ricordarlo come se l'avesse veramente vissuto.
«Ancora...» mormorò, appoggiandosi l'estremità dello scettro sul capo. In un istante la sua mente venne proiettata... ovunque. In ogni tempo e luogo, in ogni angolo di Theras e di mondi remoti, tra i Daimon dell'Oneiron e fra le formiche che scavano la terra, nei bassifondi dell'Akeran e sul trono del Re che non perde mai. Per un momento era un ubriaco che ciondolava sul tavolo di un'osteria con la bava alla bocca, le braccia reclinate contro la testa per sopportare meglio le fitte lancinanti che gli premevano le tempie e un occhio che sbirciava fuori il seno della cameriera; il secondo successivo fissava il mare dal ponte di una nave, respirava a forti boccate l'aria salmastra mentre arrotolava una cima e l'appendeva. Si vide galleggiare in estasi in un sogno distorto, in un mondo devastato e privato di bene e di male, e forse allora pensò di essere diventato davvero simile a Eitinel, l'Inquisitrice, la traditrice degli Arshaid. «Voi non siete pronti!» strillò dalla cima di Velta, e il mondo intero risuonò della sua voce e tremò, mentre l'Oneiron si riversava in una cascata ricoprendo terra e cielo.
«Fien» mormorò una voce alle spalle (ma era veramente alle sue spalle? Forse era sopra, o sotto, o ovunque) dell'arcimago. Lui si voltò lentamente, quasi spaventato, poi sorrise. «Namasté krap, Juno» la voce quasi gli si ruppe nel pronunciare quella frase. «È da... tanto tempo che non ci vediamo». Juno aggrottò la fronte facendoglisi vicino. Aveva i capelli castani sciolti e lunghi che aveva avuto nella sua lunga primavera della vita. «Cosa stai dicendo?» rise, e solo in quell'istante il Senzavolto si rese conto di quanto la voce di sua moglie gli fosse mancata. Le accarezzò una guancia piano, quasi con la paura che si potesse dissolvere come nebbia o un sogno. Qualcosa gli punse l'occhio – si asciugò la lacrima che ne scese con un dito. «Io... non ho fatto questo per amore» mormorò, e quelle parole erano amare perché erano vere. Lui aveva voluto vivere ogni istante possibile, ogni fato intessuto nell'universo, e morire completo, senza risentimenti. Non precludersi nulla: non la vita del verme né quella del leona, non la vita del povero così come quella del ricco. Allora sarebbe morto felice. Allora non avrebbe avuto nulla da rimpiangere: non il potere, non l'amore né il denaro. Prese la mano della moglie fra le proprie. «Ma io sarei felicissimo se tu volessi accompagnarmi». Lei ridacchiò annuendo. Si avviarono verso la luce – verso quella che ora era Lithien, la città dei maghi, la loro città, Lithien dalle mura d'oro e dai vessilli di seta, la gloria del nord.
Lo scettro cadde a terra, sbatté e rotolò contro una parete. La luce baluginò un istante, quasi lamentandosi della caduta, poi si affievolì fino quasi a spegnersi. Uno sprazzo di luce spezzò l'oscurità del sotterraneo, poi un altro, un altro ancora. La luce investì l'ombra e la cancellò, la neve turbinò dall'alto e si posò sulla quercia che, con radici spesse quanto gambe, aveva perforato la roccia e raggiunto il terreno, e con i rami aveva forzato le pietre del soffito e si era aperta un varco. La tunica da reggente di Lithien ne abbracciava il tronco.
Lo scorrere del tempo è alterabile
Fien, arcimago di Lithien, studiò negli ultimi anni della sua vita il comportamento di alcune Ombre che abitavano l'Edhel. Dall'apertura del varco per l'Oneiron si era dedicato assiduamente al comprendere queste creature per poterle contrastare, così non gli fu difficile analizzare questo tipo specifico: ovvero quello che si nutriva di tempo. Più che tempo, comprese presto, queste vivevano dei sogni mai realizzati degli uomini. Situazioni mai successe, speranze infrante, vagheggiamenti infantili avevano fornito cibo a queste creature finché erano potute risiedere nella pace caotica del loro mondo. Una volta imprigionate su Theras, esse avevano trovato un modo peculiare per procacciarsi ciò di cui avevano bisogno: alimentando desideri, speranze, insinuandosi nella mente delle persone e imprigionandole in costrutti irreali per poi estrapolarne l'energia vitale. Dopo la morte della moglie Juno, in Fien si generò il folle desiderio di vivere ogni vita possibile agli uomini.
Divoratore di tempo a orologeria Lo scettro venne forgiato dopo cento anni di lavoro interrotto solo da sporadiche visite agli Shaogal Crann sotto travestimento, pratica che gli valse il soprannome “Senzavolto”. Dopo la sua morte, esso fu recuperato da diverse tribù nomadi, perduto e ritrovato, conteso e a volte abbandonato perché ritenuto inutile. Gli ingranaggi in continua rotazione del manico, che sono il suo tratto più distintivo, scoraggiano molti a usarlo. Inoltre, ciò che vi è al suo interno necessità ancora di essere nutrito, e non si asterrà dal farlo sul suo utilizzatore.
[Malus: il manico dello scettro è formato da un intrico di ingranaggi in continuo movimento. Ogni turno in cui lo si reggerà in mano infliggerà all'utilizzatore un danno basso alle mani causato dai graffi e dalle contusioni inflitte dal meccanismo. Non si potranno usare tecniche dello scettro senza averlo in mano e subire, di conseguenza, il danno.]
[Malus: ogni volta che si sferra un attacco fisico (non tecnica) con lo scettro, si dovrà sacrificare un ricordo della durata di pochi secondi, non importa quanto importante. Questo pagamento è permanente e l'istante perduto non potrà mai più essere recuperato. Si subirà inoltre un normale danno basso alla psiche.]
Giochi Mentali Alimentato da un'Ombra imprigionata al suo interno, lo scettro è capace di divorare i ricordi di qualunque persona a cui gli sia concesso di farlo... o di crearne di nuovi, da inserire in quelli già esistenti. Le Ombre, tuttavia, non possono che provare a imitare un vero sogno, e ogni tentativo, per quanto ben riuscito, contiene sempre errori capaci di insospettire anche l'individuo più distratto.
[Attiva media psionica: lo scettro si insinuerà nella mente di una persona e cancellerà o inserirà un ricordo al suo interno. Potrà anche riscriverne parzialmente uno, modificando particolari o aggiungendone a piacimento. La durata massima del ricordo dovrà essere di cinque minuti e non potrà interessare l'ultima ora di avvenimenti (quindi non può essere usata per far dimenticare a un nemico di stare combattendo). Nel caso l'utilizzatore voglia cancellare o modificare un ricordo, non potrà visionare la mente del bersaglio ma dovrà specificare al meglio quali memorie gli interessano (ad esempio: “desidero modificare l'incontro che il mercante ha avuto con il mio compagno due ore fa e inserirci un dialogo amichevole con me medesimo”). Nel caso non esista l'avvenimento da modificare, o nel caso non si specifichi nulla, la memoria del soggetto verrà “corrotta” da ricordi fasulli, come angeli che volano in cielo dove ci fossero stati piccioni o navi che approdano sulla terraferma quando si trattava invece di carri; la confusione risultante causerà alla vittima un danno medio alla psiche. Non infligge alcun danno nel caso venga usata per riscrivere memorie, ma può essere difesa comunque come una tecnica psionica di potenza media. Può causare la Stasi Temporale.]
[Malus: tutti i ricordi trasmessi non sono altro che un parto che le Ombre hanno ricavato dal mangiare momenti mai realizzati o sogni impossibili degli esseri umani; contengono tutti, quindi, anche quelli verosimili e creati ad arte, particolari bizzarri o inusuali che potrebbero insospettire la vittima se avesse occasione di rifletterci. In un tempo paragonabile a due turni di gioco, essa inizierà a rendersi conto che qualcosa non quadra nei propri ricordi. In un tempo paragonabile a tre giorni sarà certa che ci sia qualcosa che non va e smetterà di credere alle proprie memorie. Nel caso un ricordo le fosse stato cancellato completamente, durante questo lasso di tempo riemergerà, sebbene sempre “corrotto” da particolari bizzarri.]
Stasi temporale
Ma il potere di sottrarre istanti è molto più ampio di quello che Fien avesse mai potuto immaginare: cosa succede se invece di essere sottratto un momento dal passato, esso viene preso dal presente o dal futuro? Molti contro cui lo scettro è stato usato come arma hanno sperimentato la sensazione di essere incapaci di muoversi, di fare fatica a pensare e ad agire per un periodo breve, prima di tornare alla realtà ed essere incapaci di ricordare cosa sia successo; solo la sensazione di stordimento rimane in mente, chiara, lampante.
[Passiva: 3 utilizzi, massimo 1 per turno. Sacrificando un uso di questa passiva e mettendo a segno un attacco fisico con lo scettro o una tecnica di questo artefatto (ma non personale o pergamena, anche se fa uso dell'artefatto per metterla a segno) alla vittima verrà tolto il successivo secondo, in cui essa si potrà muovere solo a una velocità estremamente ridotta. Al termine di questo tempo essa non ricorderà cosa sia successo durante quegli istanti.]
Sfera temporale E a rubare il futuro cosa accade, invece? La magia, che sfida ogni logica terrena, viene alterata e cessa di esistere, poiché lo scorrere del tempo le viene privato. Ma qualcosa deve cominciare a esistere al posto degli incantesimi uccisi: ed ecco che un teatrino di ombre silenziose e immobili che inscenano vite normali e tranquille si disegneranno ovunque, presenze imperturbabili. Chi coglierà un fiore, chi allatterà un bambino, chi giocherà a palla o si lancerà per prenderla al volo. Bambini, donne, animali, uomini in armatura, niente sarà escluso. E l'energia di quegli istanti immobili pervaderà il portatore dello scettro, che si sentirà investito da tale forza da essere capace di muoversi con rapidità incredibile – o forse è il tempo attorno a lui a rallentare?
[Attiva Alta: dispel ad area di potenza bassa, inoltre crea un'illusione ad area per un turno che rappresenta silhoette indistinte compiere gesti di tutti i giorni.]
[Passiva (1 utilizzo): solo all'interno dell'illusione creata dalla prima attiva, il portatore si muoverà a velocità eccezionalmente alta e percepirà il mondo attorno a sé rallentare fino quasi a fermarsi. Può essere usata solo in fase offensiva e consente di utilizzare un numero di attacchi fisici maggiore del normale (ma sempre tenendo conto della sportività) e di muoversi con estrema rapidità. Tutti gli attacchi fisici sferrati in quel turno dovranno necessariamente essere portati a segno con lo scettro o l'effetto della passiva cesserà nel momento stesso in cui si tenterà anche solo di utilizzare un'altra arma.]
Esilio Ma oltre a sottrarre tempo, esso può essere donato. Come Fien visse infiniti istanti di ogni vita possibile prima di morire, così il portatore dello scettro potrà donare un breve sprazzo di una realtà mai esistita a chiunque riesca a infliggere un colpo sul capo. L'effetto non sarà tanto potente, poiché l'Ombra all'interno dell'artefatto ha consumato molti dei suoi poteri per alimentare il sogno del Senzavolto, ma sarà comunque capace di far vedere qualche secondo di una storia mai narrata.
[Attiva media fisica: colpendo il nemico con lo scettro sul capo si spedirà il nemico in un momento mai esistito in cui l'avversario si vedrà compiere le più svariate azioni, da prendere il té con un'imperatrice a lottare contro leoni in un'arena. Lo sprazzo durerà pochi istanti prima di essere rimandato nella realtà con un danno medio alla mente da nausea. Nel caso si sprechi un utilizzo della stasi temporale, invece del secondo di rallentamento la vittima permarrà nella visione un secondo di più.]
Regina Rossa Mangiare gli istanti significa, a volte, scegliere anche cosa mangiare. Il possessore dello scettro sarà capace di decidere quali eventi possono accadere e quali invece andranno divorati dall'Ombra e non vedranno mai la luce. Un potere tanto enorme ha tuttavia enormi limiti: cinque secondi per volta è tutto ciò che lo Scettro potrà fare, prima che la creatura al suo interno si prenda un meritato riposo per la voracità che le è richiesta.
[Attiva Nulla di utilità o difesa assoluta: l'utilizzatore dello scettro potrà visionare a piacimento i successivi cinque secondi e scegliere quali istanti tenere e quali invece dare in pasto alle ombre, annullandoli per sempre. In termini di gioco, basandosi sulle descrizioni dell'avversario o del QM, il caster potrà ignorare qualunque parte di esse come se non fossero mai accadute, facendo sì che questa venga considerata una difesa assoluta. Agli occhi di un osservatore esterno, il possessore dello scettro scomparirà nel nulla e riapparirà in un altro luogo dopo qualche istante. Se utilizzata per utilità, il caster può annullare in maniera simile i cinque secondi successivi, ma non può evitarne le conseguenze. Ad esempio, se sceglierà di cancellare gli istanti in cui un vaso prezioso gli cade di mano e si frantuma a terra, non potrà cancellare i frammenti che cospargeranno il pavimento (ma potrà cancellare il rumore della rottura). Uno spettatore esterno vedrebbe il vaso in mano al possessore dello scettro e l'istante successivo un mucchio di frammenti a terra apparso dal nulla, quasi come se le due azioni coincidessero.]
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