Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

la vigilia corrotta, ci sono scene un po crude, almeno per i miei standard xd quindi boh se volete leggete altrimenti passate oltre.

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miky1992
view post Posted on 14/8/2015, 09:09




Prologo.



In questa terra, quelli che erano come me, non sono più come me. Ho fatto l'errore una volta, stanco e affamato, alla disperata ricerca di aiuto di dubitane. Alla ricerca di un posto in cui nascondermi, alla ricerca di cibo e protezione per la notte, alle occhiate di sospetto e disprezzo che mi accompagnano ogni volta che entro in un villaggio, o in una città. Ho visto un discendente di quelli che erano come me, non era puro, ma aveva il nostro sangue. Feci scivolare il braccio squamato fuori dal mantello lurido e stracciato, il muso spuntava appena da sotto la stretta delle fasce di cotone e gli rivolsi un saluto nella nostra lingua. Mi ha guardato con disprezzo, ed è sbottato in una risata sprezzante. Mi ha insultato nella mia lingua, poi nella lingua comune attirando un gruppo di bambini di strada umani. Ha gesticolato verso di me, quella disgustosa aberrazione indegna e ha gridato qualcosa troppo in fretta perché potessi capire. E quelle creature corrotte, dalla moralità distorta e impura pericolosamente brutali hanno preso da terra dei sassi e mi hanno colpito dove mi trovavo. Seduto nel buio di una strada secondaria. Mi sono reso conto in quel momento, mentre frammenti di muro mi cadevano in testa di essere solo. Non avevo più il diritto di usare la mia lingua, avrei dovuto dimenticarla. Avrei voluto dimenticarla, dimenticare ci che ero e che probabilmente non sarò mai più.
Ho imparato ad usare le armi umane, a cacciare di notte, a trovare cibo nel buio, mentre le creature della luce dormono. Ho imparato a nutrirmi dei loro scarti, a entrargli in casa e a derubarli. Io sono un intruso in quel mondo, la città mi rigetta. Cammino e so di non potermi fermare perché quel luogo non mi vuole, i suoi abitanti non mi vogliono, io non lo voglio. Ci sono tante immondizie, gli umani e i nani scartano cose davvero interessanti alle volte.
Ho visto miliziani ripescare morti dai fiumi, seppellire moribondi ancora vivi per eliminare epidemie, uccidere per qualche capriccio. Esseri disperati come me accalcati gli uni sugli altri per cercare calore, ho visto quegli esseri miserabili colpiti dalla cosiddetta gente perbene, mentre i miliziani li aiutavano. Allora io avevo ragione, io sono stato punito ingiustamente.
… Le cicatrici e i mozziconi di ossa prudono. Non ricordo più com'è avere delle ali sulle spalle, non ne ricordo il peso, la sensazione del vento sulla pelle. Alle volte mi arrampico in cima agli edifici più alti, li il vento è forte e per un momento riesco a ricordare. E tanto mi basta.
Fa anche questo parte della punizione? Il non poter dimenticare? Il non poter diventare l'abominio che sono anche nella mente, rinunciare a tutto e rassegnarmi a vivere nel buio. A volte mi arrampico sul laboratorio del mio stregone, mi sdraio sulla schiena contro le tegole di argilla e lo guardo: scrive, butta giù appunti, legge e fa esperimenti. Non credo otterrò più nulla da lui, ci sono cose che gli sono precluse. Dovrò trovarne un altro, ma prima devo guadagnarmi altro oro.



Parte I il cardellino ferito.



Il vento mi odia, non mi riconosce più come uno dei suoi figli. Quando mi attardo sui tetti di notte mi colpisce inclemente, sa che se tornassi a volare lo abbandonerei e lui perderebbe il compagno di queste freddi notti. Perciò mi minaccia, cerca di farmi cadere. O almeno così vuole farmi pensare, nessuna folata potrebbe spazzarmi via, vuole spaventarmi e farmi capire che potrebbe farlo. Allora dormo sotto gli archi dei tetti degli edifici più grandi, li non può toccarmi. Quale divinità del cielo ho dimenticato di pregare? Possibile che nessuna di loro mi ascolti? O non gli interessi ascoltarmi?

Il piccolo cardellino canta, anche se non c'è nessuno ad ascoltarlo. Ha meno interesse di te a farsi ascoltare?
La voce proveniva da sotto di me, un nano vestiva con eleganti abiti, parecchio costosi ma non dava l'impressione di un nobile. Allora scesi giù dal mio giaciglio di fredda pietra, gli occhi del nano mi seguirono lungo la discesa, le labbra si incresparono in un sorriso compiaciuto.
Cosa ne sai tu della mia pena? O vuoi farmi capire che a qualcuno interessa ascoltarmi?
Ne dubito... Scosse la testa. A me non interessano, ma forse interessano a qualcuno.
Sogghignai. Non credo che interessi neppure al mio stregone, chi dovrebbe curarsene?
A chi mi ha mandato a cercarti e che mi ha dato il messaggio che ti ho appena riferito.
Chi? Una scintilla di curiosità attraversò i miei occhi, lui se ne accorse e si avvicinò sostenendo il mio sguardo. Non lo so, io ho solo ricevuto il messaggio da recapitare al cardellino ferito che dorme su nudi giacigli di pietra, di curarlo e nutrirlo per avere la sua riconoscenza. Mi lasciò abbastanza tempo da recepire le sue parole. Ho interpellato diversi sacerdoti, indovini e saggi per arrivare a trovarti per puro caso. Il nano scoppiò a ridere. Il piccolo cardellino era appollaiato sul tetto di casa mia.

L'interno dell'abitazione era sfarzoso, intravidi anche una libreria in una delle stanze. Tappeti ben curati e puliti dalla sabbia, decorati con motivi geometrici color rosso e oro. Alloggerai nella stanza degli ospiti, ti darò vino, pane, carne e un incarico.
Un incarico di che genere?
Tutto a suo tempo.
La situazione era quantomai strana, un perfetto sconosciuto arriva con una strana domanda, parlando di cardellini e offrendomi cibo, riparo e lavoro. La cosa mi inquieta, la pura generosità tra queste grottesche creature è quantomai rara. L'ho visto mentre la gente si ammassava nel sultanato alla ricerca di protezione. Il massimo dell'altruismo di cui sono capaci non va al di la di qualche frase fatta e alle percosse delle guardie che calano generosamente solo su braccia e dorso, senza sfigurare o azzoppare. Quanti di loro moriranno presto di fame e stenti? Meglio affrontare i caduti che finire così. La fame, la sete e la stanchezza mi aiutarono ad allontanare i sospetti. Addentai per prima la carne, ne staccai un grosso pezzo e lo deglutii intero, insieme al pane e a un sorso di vino. Il vino aveva un sapore dolce, gioii a quel tocco. Mi mancava il sapore del vino, e il sapore di un pasto decente. Non lo avevo capito fino a ora.
Ero in mare. Cominciò a parlare senza preavviso, senza darmi modo di finire il pasto. Buttai giù un altro boccone e lo fissai. Braccato da una nave di corsari, noi eravamo poco armati e più lenti. Sapevamo che ci avrebbero preso e ci preparavamo al peggio. Il mio nostromo era calmo, nervi d'acciaio davvero. Ma comunque non servivano a molto in quel frangente. Cominciai a pregare le divinità del mare, alcune le avevo solo sentite nominare nelle città libere. Offrii la mia vita al mare perché salvasse gli altri membri dell'equipaggio, giurai di fare qualsiasi cosa mi fosse chiesta e di offrire in tributo metà della mia fortuna in suo onore e delle sue divinità protettrici. Arrivò una tempesta, il vento spazzò via la nave pirata come fosse un ramoscello e invece la mia nave rimase senza un graffio.
Una bella storia. Dissi. Ma vorrei sapere cosa centra con me.
Semplice, tra due giorni la mia flotta dovrà partire per una difficile traversata. Mi sono recato a pregare a Taanach e li sono entrato in contatto con un culto deviato, un offesa a Dio. Pregai e un veggente mi disse che avrei dovuto cercare il cardellino ferito e averne la fiducia. Desidero porre fine alla loro empietà, domani l'altro è la notte di vigilia per la loro setta, adoreranno il loro dio nel territorio del Plaakar.
E qui entro in gioco io.
Esatto.
Diedi un morso al morbido pane e dissi: Accetto.

PARTE II FIAMME E RITUALI IMMONDI


L'orgia rituale aveva luogo proprio ai margini estremi del Plaakar. Mi ero preparato per affrontarne le insidie, a ricevere un imboscata a ogni albero, immaginavo nemici nascosti dietro ogni fronda. Invece non c'erano rumori, ne buoni ne cattivi. Gli uccelli non cantavano, gli animali erano silenziosi, persino il vento aborriva quella terra e si teneva alla larga ed ero certo che potendo anche le piante sarebbero scappate. Avventurandomi nella foresta, le piante intrise d'acqua mi bagnarono i vestiti, si appiccicavano e sembravano volermi trattenere. Poi arrivarono le urla: solo esseri folli potevano emettere rumori simili, alcuni erano inconfondibilmente umani, altri di umano non avevano nulla. Impugnai due coltelli da lancio e mi mossi con la massima cautela verso la fonte dei rumori. I fedeli ballavano in cerchio, in maniera sfrenata, altri erano distesi nudi in mezzo alla terra nera e brulla, in preda a una sfrenatezza insensata. Alcuni erano umani, altri mostravano i primi segni della corruzione, altri di umano non avevano più nulla. I versi di quei mostri si mescolarono in un ululato disorganizzato, salvo poi interrompersi e trasformarsi in parole che non riconobbi, ma che credo appartenesse alla lingua dei demoni. Altri articolavano insulti in lingua umana verso una divinità sconosciuta che non riconobbi, forse la stessa adorata dal mio datore di lavoro.
In quella radura naturale, quegli abomini privi di abiti, ragliavano, strillavano e si contorcevano intorno a un falò circolare, al centro del quale si elevavano un idolo di metallo a forma di piovra i cui tentacoli terminavano con muso di quali e chele. Appesi ai tentacoli dell'idolo c'erano umani ed elfi (uno per tentacolo) si dimenavano sopra le fiamme, i corpi consumati dalle fiamme. Rimasi pietrificato a osservarli contorcersi e agitarsi trattenuti dalle catene per polsi e caviglie. Le fiamme avevano consumato buona parte del corpo e reso i volti irriconoscibili. Eppure vivevano ancora.
Era a questo idolo che la folla rivolgeva i propri versi disarticolati.
Decisi di non attendere oltre: scagliai i due coltelli, ebbi la certezza di aver centrato il bersaglio, benché la massa non se ne fosse avveduta e avesse continuato il rito. Allora decisi di calcare la mano, creai la palla di diamante e la scagliai al centro della folla. Le urla di dolore sostituirono i versi inumani. Con un movimento fluido scagliai altri due coltelli prima ancora che si rendessero conto della mia presenza. Ero in posizione di vantaggio, mi spostai tra gli alberi nella notte. Lanciai una seconda palla di diamante prima di essere individuato e caricato dai superstiti. La massa di creatura umanoidi nude mi caricarono: alcuni si armarono con dei tizzoni di legno incandescenti, altri con le nude mani. Lanciai gli ultimi quattro coltelli che trovarono via facile nei corpi nudi. Richiamai la mia pelle ed evocai la lama di diamante. Decapitai il primo, il corpo cadde a terra lasciandosi dietro una scia di sangue. Mi rovinò addosso una pioggia di ceppi di legno. Vacillai, cercai di lacerarmi, una scheggia di legno mi lacerò il braccio spillando sangue. Balzò su di me un uomo, il volto mezzo deformato dalla corruzione. Brandiva un una mano una pietra. Lo trafissi allo stomaco e così feci agli altri due che lo seguirono. IL MALEDETTO! UCCIDETELO! Urlò qualcuno. IL SERVO DELL'ABISSO! Fece eco un'altra voce. Altri ceppi mi colpirono. UCCIDETELO! IL FOLLE!
Mi feci largo colpi di spada, intorno a me i folli si contorcevano dal dolore, o stramazzavano al suolo. Caddero uomini e donne e corsi nel varco che si era aperto. Creai un paio di dardi magici e li scagliai contro i nemici. Creai lo scudo e bloccai alcuni assalitori, ne trafissi uno al collo e i secondo al fianco. La lama penetrò fino all'elsa, fiotti di sangue caldo mi bagnarono la mano. NON PERMETTETEGLI DI FARVI VACILLARE! LA VIGLIA! IL RITORNO DI GOZZARAG! Lanciai altri due dardi magici, una donna con il volto emaciato e sporco mi colpì al volto. Intontito parai il secondo colpo, sanguinavo dalla fronte. Tagliai la gola alla donna che cadde a terra tamponandosi la ferita con le mani. Gli altri corsero a implorare il loro idolo.
Decisi che non li avrei fatti fuggire. Lanciai gli ultimi due dardi alla schiena dei primi due, corsi verso di loro e ne trafissi tre con la spada. Gli ultimi due armati di bastone si misero a braccia alzate a implorare la salvezza al loro Dio. Al primo mozzai il braccio, al secondo affondai la lama nel collo. Bloccai a terra l'ultimo, fiotti di sangue uscivano dall'arto mozzato.
Alzai lo sguardo: le vittime appese sopra il fuoco non si muovevano più.
Affondai la lama nella schiena dell'uomo, questo esalò un respiro profondo e smise di muoversi.
I primi raggi del sole illuminarono l'idolo, nessuna reazione.
Pregai affinché il rito fosse davvero fallito e tornai a portare la buona notizia al mio datore di lavoro.
 
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