Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Il Nord non dimentica ~ Ad un passo dal traguardo

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view post Posted on 17/8/2015, 11:21

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Ser Gregory Norhwood ~ Sceriffo di Sua Maestà, Segugio del Regno


L’ultima prigione che aveva visitato era un luogo squallido e disperato. Non c’era alcuna speranza di trovare qualcuno ancora in grado di reggere una spada, figurarsi mandare uno di quei derelitti nella maledetta città di Afal. Il luogo in cui si trovava era decisamente meno drammatico.
Una comune prigione cittadina, con le classiche celle dal pavimento in pietra ricoperto di paglia rancida, le ancor più classiche porte in legno con una finestrella per il pasti e l’immancabile carceriere corruttibile e mezzo ubriaco. Una forca era stata preparata nel centro della graziosa cittadina di Hertfordshire, uno dei luoghi che aveva toccato nel suo viaggio di ritorno. Non c’erano dubbi sullo scopo di quelle travi di legno e di quella corda penzolante: presto, gli onesti e bravi cittadini di quel posto avrebbero tirato il collo a qualcuno.
Aveva indagato un po’, sciolto le lingue con elargizioni di danaro, minacciato qualche losco individuo immischiato – di certo- in affari poco puliti e alla fine aveva avuto l’informazione che cercava. Un uomo, un pazzo sanguinario aveva ucciso il notaro più influente della città.
La fonte principale di quella soffiata non era sicura che fosse stato proprio il condannato a morte il vero colpevole ma le autorità cittadine volevano un cadavere da mostrare alla folla e soprattutto alla potente famiglia dell’assassinato.
Si era così ritrovato a sborsare ulteriori danari per corrompere magistrati, guardie e carcerieri.
Aveva convinto i suoi integerrimi “colleghi” a preparare una bella messinscena. Il piano era semplice: sostituire il condannato con un cadavere e commutare la pena da impiccagione a morte per rogo. Poi sarebbe bastato bruciare il cadavere con un cappuccio sulla testa, strattonandolo un po’ per la via per dare l’impressione che fosse vivo.
«Ma noi non abbiamo un cadavere pronto!» – protestò il giudice.
Gregory che si era già stancato di quegli indegni tutori della legge rispose in malo modo dicendo – «Se volete il cadavere potrei fornirvelo io in meno di un minuto! »
Il riottoso giudice colse la minaccia non troppo velata e si disse pronto a consultarsi con il Mastro Chirurgo suo amico, che di cadaveri aveva una collezione per fini di studio.
Ora non rimaneva che convincere il prigioniero a collaborare … Cosa non facile a giudicare dal caratterino che le voci gli attribuivano. Mentre il carceriere apriva la cella Greg si sfiorò la tasca contenente il potente sonnifero che Sua Altezza gli aveva consegnato “ in caso di emergenza”.
Sperò di non doverlo usare … Non era propriamente un bel modo di iniziare un rapporto di lavoro.


Lady Ursula ~ La Sirena, Signora delle Spie di Sua Altezza.


Avrebbe preferito viaggiare per mare alla vecchia maniera ma la cosa, oltre a rivelarsi sospetta, sarebbe stata abbastanza problematica per la vitt… la povera anima che stava andando a liberare.
Si era costretta, dunque, ad affrontare una noiosa traversata a contatto con uomini rudi e maleducati a cui avrebbe volentieri aperto la pancia. Una volta uno di loro aveva cercato di palparla, lei con tutta la delicatezza di cui era naturalmente dotata, gli aveva spezzato dita, polso e gomito. Nessuno si era più permesso nemmeno di guardarla al di sotto del collo.,
Giunti a Sud aveva visitato un piccolo, sordido, villaggio ai confini del mondo civilizzato.
Per Lady Ursula civilizzato corrispondeva a bagnato dalle acque e non desertico. Il Bekâr-şehir era proprio il contrario del suo ideale di civiltà. Si era recata in quei luoghi perché li sapeva essere un fiorente mercato di schiavi. Gli schiavi a differenza dei carcerati non cercano di pugnalarti dopo averli salvati dal boia, costringendoti a tua volta ad eseguire la sentenza capitale. Non era un pregiudizio, le era già capitato quattro volte in quel viaggio.
Khales detto il Tagliente era uno dei mercanti di schiavi a cui era rivolta. Gli aveva presentato un antologia di soggetti niente male … Se avesse cercato qualcuno da far lavorare nelle stalle o al tempio dei Mille Piaceri. Uomini e donne, pelleverde e nani tutti inadatti ad una missione come quella in cui stava per spedire il fortunato vincitore della lotteria di Erein il Benevolente.
Così era stata chiara. Alla dodicesima sfilata di miserabili aveva piantato il suo coltello pericolosamente vicino ai gioielli dello schiavista e aveva fatto due semplici richieste: la prima era quella di farle un offerta speciale: tutti gli schiavi fin’ora mostrati al prezzo di 10 monete d’oro. L’Affilato che alla sua virilità ci teneva annuì senza un ombra d’esitazione. La seconda era di trovargli uno schiavo capace di essere buttato in un abisso i e sopravvivere senza un graffio.
Il Mercante la prese alla lettera, stupendola non poco.
«Questa volta Sua Altezza si becca un bel coccolone.» – pensò ridacchiando tra se e se. « Chissà che faccia farà quando gli dirò “ho trovato un'altra Sirena, posso tenerla vero?”»



Lord Aureus ~ Alto Generale del Regno, Drago.



«Per tutti gli Dei, giù le mani da quell’uomo!» – Esclamò con il volto contratto dall’ira e la spada in pugno.
«Zitto vecchio! O ti porto anche te in prigione. Non lo sai che esiste un solo dio? Il Sovrano?»
Quello che stava procedendo all’arresto del giovane monaco era uno di quegli squallidi uccelli del malaugurio noti come Arconti o Corvi Neri. Folli, arroganti, invasati omuncoli pieni delle loro convinzioni. Aureus proprio non li tollerava.
«E con quale autorità?» – chiese.
«Ascolta vecchio, sto arrestando eretici da stamattina. Questo idiota, qui, ha difeso uno di loro e si è beccato un mese di gogna. Se proprio ci tieni a salvargli la pelle da un po’ di verdura e qualche secchiata di sterco puoi trovarci nella piazza cittadina e pagare lì la decima richiesta per purificargli l’anima! »
Aureus che era un uomo ragionevole, dopotutto, decise che qualche moneta d’oro valevano la dignità di quel promettente giovane. Dell’arrogante corvo si sarebbe occupato più tardi.
Mentre si dirigeva nel luogo indicato un idea lo folgorò. Suo nipote, Erein, aveva mandato i suoi sgherri in cerca di uomini per un avventura. Forse, forse quel monaco, quel santo uomo avrebbe potuto aiutarli nella ricerca. In fondo gli uomini di chiesa non avevano nulla da temere dalle citta maledette … O no?



Deyrnas ~ Segrete del Palazzo


Era irritato su questo non c’erano dubbi.
«Spiegamelo di nuovo, temo di non comprendere … Cos’è quello?»
Disse indicando l’uomo più giovane tra le tre reclute che i suoi fidi lacchè gli avevano procurato.
«Un monaco. Un sant’uomo che ho salvato dalle grinfie di quei palloni gonfiati!»
Erein si portò le dita alle tempie e prese a massaggiare - «E cosa me ne faccio di un monaco?! »
Aureus, il Drago, sfoggiò la più offesa delle espressioni - « Può fare molte cose! Se sapevo che l’avresti presa così non ti avrei aiutato!»
«Io-non-ti-ho-chiesto-aiuto!» – scandì Erein ringhiando.
Gwalch Glass decise che era giunto il momento di intervenire.
«Figlio non ti hanno insegnato a rispettare i vecchi?» – disse con il suo solito sorriso beffardo sulle labbra. Erein sospirò pesantemente sollevando gli occhi al cielo. La sua sopportazione era giunta al limite - « Mi sono preso la libertà di trovarti un essere adatto al tipo di missione … Quando ha fatto il suo dovere potresti studiarlo … Ti sarà comodo una volta che la tua mutazione sarà completa .. »
Erein lo osservò per un attimo - «Perché la cosa dovrebbe inter.. »
«E’ un ombra» – lo interruppe lo Stregone.
«Portalo dentro!» – ordinò il Re. Forse il suo umore iniziava a migliorare.



CITAZIONE
QM Point

Benvenuti nella mia prima quest! Inizio dicendo che farò di tutto per rendere quest’esperienza piacevole e proficua e vi prometto che se riuscirete a completare tutti i pezzi del puzzle per voi ci sarà una ricompensa extra.
Detto questo apriamo le danze. Per questo primo turno il vostro compito è duplice. Come prima cosa dovrete descrivere il viaggio dalla prigione a Deyrnas ( ed eventualmente anche la narrazione di come siete finiti in galera), niente di che solo una piccola introduzione alla quest vera e propria. Potrete essere autoconclusivi con i miei Png a patto di non esagerare troppo. Se volete una breve descrizione degli stessi ve la fornirò in confronto. Fatto ciò ci sarà un salto temporale e si passa al gioco vero e proprio. La scena si apre con l’arrivo in una segreta adibita a laboratorio nelle viscere del Palazzo Reale di Deyrnas. Incappucciati i nuovi “assunti” avranno modo di discutere con Erein e di porgli domande sul lavoro. Conclusa questa fase vi verrà offerta una duplice opportunità: dare il cuore in pegno al Re stregone che assicura di restituirlo a lavoro finito o indossare un collare.

Chi indosserà il collare avrà le seguente attiva e conseguente malus:

Cane e Padrone: Una volta per turno il legame magico che unisce Erein e il suo sottoposto può curare un basso ad una delle tre risorse. Malus: Qualunque tentativo di allontanarsi dal gruppo, mandare a sabotare la missione o comunque la commissione qualsivoglia azione che potrebbe danneggiare l’esito della missione provocano un danno psionico pari a Medio inteso come senso di costrizione e soffocamento.

Chi sceglie di offrire il proprio cuore in pegno riceverà la seguente attiva e conseguente malus:

Senza cuore:Il personaggio può scegliere di aumentare del 20% una delle caratteristiche Fisico o Energia e sarà immune al dolore psionico. Malus: La caratteristica “Mente” riceverà in automatico un danno permanente ( ai soli fini della quest) per un totale del 20%.

Ultima nota: fatemi avere i vostri feedback sulla quest, cercherò di adattarla alle vostre esigenze in caso si rivelasse necessario. Sono molto felice di avere un gruppo così etereogeneo e variopinto, voglio fornirvi quanti più spunti di gioco possibili senza blindare il vostro bg alla quest. Insomma, per ogni necessità contattatemi.



 
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Ashel
view post Posted on 18/8/2015, 19:04






Uno spiraglio di luce si fece largo nel buio, spezzando le tenebre della cella al punto da costringere la giovane a tenere gli occhi serrati.
Si udì un rumore di passi, poi più nulla.
Un respiro leggero, delicatissimo, appena percettibile.
Uno schiocco di dita rimbombò nel vasto e umido silenzio delle prigioni sotterranee, scivolando sul metallo arrugginito delle catene e sulla ruvida pietra calcarea delle pareti.

- Sarebbe... questa?

Era una voce femminile, vellutata e maligna allo stesso tempo.

- Mi stai prendendo in giro?

- Mia signora, non mi permetterei mai!
Vedete, siete stata voi a chiedermi qualcosa di speciale, qualcosa di diverso dal solito... Qui, oltre ai pelleverde e agli zingari non abbiamo altro.


- Vi avevo chiesto qualcosa che potesse sopravvivere a una spedizione mortale, non una puttana per i vostri schifosi bordelli di Taanach.

- Questo è l'esemplare migliore che abbiamo, mia signora. Nessuno aveva mai visto qualcosa di simile, da queste parti... E poi quel troll che vi avevo mostrato... Quello ha ucciso quattro dei miei uomini a mani nude, eppure l'avete scartato!

- NON CERCO DELLE BESTIE! Per chi mi hai preso?

Una lama sibilò nel buio, fendendo l'aria attorno. Cassandra, pur senza poter vedere, si figurò un ometto basso, grassoccio e con la barba sfatta - quello che aveva incontrato prima di essere catturata - e pensò alla sua gola minacciata da una spada tanto sottile quanto mortale.

- Non mi devi far perdere la pazienza. Sai quanti altri mercanti di schiavi posso trovare da queste parti? E con merce migliore, per giunta.

Per un po' ci fu di nuovo un lungo silenzio carico di tensione e di aspettativa, probabilmente da parte di entrambi.

- Hai detto che ha delle abilità particolari.

- S-sì, è così! Sì, mia signora, lei... Non so spiegarvelo bene, può... Convincere le persone a fare delle cose, entrare nella loro testa...

La risata cristallina della donna colse il suo anziano interlocutore di sorpresa, perché si fermò e cominciò ad ansimare in preda a una strana forma di agitazione.

- Ah, è così.

Cassandra la sentì che si avvicinava, poi il rumore metallico di una chiave nella serratura la fece trasalire. Non mangiava da giorni ed era rimasta appesa alla parete da troppo tempo, cosicché tutti i muscoli della schiena e delle braccia le procuravano un dolore insopportabile. Le catene avevano scavato un solco nei suoi polsi, ma almeno quel pensiero la distraeva dalla fame e dalla sua condizione a dir poco disperata.
Aveva commesso un grave errore a spingersi così lontano da Dorhamat senza una guida di cui si potesse fidare. Non conosceva gli usi di quella regione e non poteva sapere quali pericoli avrebbe dovuto affrontare una volta trovatisi nelle vaste e vuote lande desertiche del Bekâr-şehir senza sapere da cosa o da chi doversi difendere.
Il commercio di esseri umani era per lei un'assoluta novità. Ma in quel piccolo avamposto armato aveva visto, poco prima di essere rinchiusa, anche dei pelleverde e membri di altre razze che non conosceva, per lo più raminghi o probabilmente nomadi.
I primi tempi aveva pensato a come fare per uscire, ma poi la fame, la sete e tutto il resto ne avevano fiaccato la volontà impedendole persino di riflettere sul da farsi.
Quella era la prima volta che incontrava qualcuno che non fosse il suo carceriere.

- Se non la comprerete voi sarà venduta tra una settimana a Nauzad. Pagheranno bene per lei. A Taanach apprezzano le bellezze esotiche!

La donna si avvicinò al punto da farsi colpire dal fascio di luce che entrava dalla porta in alto, e Cassandra vide quei suoi occhi taglienti, splendidi come il fondale di un mare cristallino, eppure al contempo così spaventosi...

- Che cos'è che sai fare, eh?

- Finalmente qualcuno che chiede la mia opinione.

La sua voce era roca, rotta dalla sete; ma il modo in cui si rivolse alla Sirena bastò a renderla sufficientemente antipatica da meritare un po' di attenzione.
La guardò a lungo con uno sguardo che Cassandra non riuscì a decifrare, poi entrambe rimasero in silenzio a studiarsi come se temessero che, a distogliere lo sguardo, una delle due potesse perdere quella strana prova di forza che le aveva coinvolte loro malgrado.

- Sì, capisco che cosa vuoi dire, Yavék.
Mmhh.. Sì, potrebbe esserci utile.


Erano molti i modi che Cassandra conosceva per convincere gli altri a fare ciò che desiderava; e anche quella volta aveva provato, con la sua semplice presenza, a spingere quella donna a liberarla e a offrirle un'occasione per fuggire da lì. Ma aveva temuto che quei giorni di prigionia avessero fiaccato la sua mente al punto da rendere innocue tutte le abilità che normalmente avrebbe usato per togliersi d'impiccio: ciononostante la donna aveva deciso di comprarla ad un prezzo più alto di quanto pattuito, e probabilmente senza nemmeno aver subito l'influenza malevola della sua prigioniera.

~

- I miei uomini non sono adatti a questo tipo di missione. Il perchè è presto detto: è pericolosa, dannatamente pericolosa e non intendo rischiare le loro vite.

Le segrete del palazzo di Deyrnas avevano un aspetto lugubre e tutto sommato non molto diverso dalla prigione in cui Cassandra aveva trascorso gran parte del suo sgradito soggiorno nel Bekâr-şehir.
La luce che proveniva dalle torce appese alle pareti era fioca e conferiva alle ombre che si muovevano sul soffitto un'aria alquanto sinistra.

- l tuo senso dell'onore mi compiace giovane monaco ma aspetterei a definire il mio interesse verso di voi come "generosità". A dirla tutta tu non avresti nemmeno dovuto trovarti qui ...

Cassandra non era sola. Con lei erano stati portati al cospetto del Re altri tre prigionieri: un guerriero dall'aria rude e con un fisico piuttosto prestante, un umano dal capo rasato e dallo sguardo grave e un altro che però non era riuscita a scorgere e che era stato tutto il tempo alle sue spalle.

- Quanto alla missione ciò che vi chiedo è abbastanza semplice: trovare uno stendardo e un vecchio libro di araldica. Per farlo dovrete recarvi nella città di Afal, un luogo maledetto ed estremamente pericoloso. Se riuscirete a completare il vostro compito il vostro debito con me potrà considerarsi estinto, in caso contrario ... La scelta tra collare e cuore dovrebbe in ogni caso evitare problemi durante il percorso e motivarvi a sufficienza...

Era stato chiesto loro di prestarsi a una strana forma di magia nera per la quale Cassandra provava un forte disprezzo e un vago senso di terrore. Non avrebbe mai permesso a quel crudele sovrano di impossessarsi della sua anima, di eseguire su di lei un rituale forse senza ritorno...

- Niente più che uno stendardo e un libro... Per comprare la nostra libertà, dico bene?
Sire, io compirò questo viaggio per voi: cingetemi dunque il collo con il vostro gingillo e avrete la certezza di ottenere i miei servigi. Ma il mio cuore... per quello, vi servirà ben altro, per ottenerlo.


Erein Dewin, il Signore di Deyrnas, era alto, magro e pallido. Le sue lunghe dita affusolate si stringevano aggraziate attorno al collare e il suo sguardo si posava su ciascuno di loro con decisione e con un forte senso di nobile superiorità.
Cassandra non provava nulla nei suoi confronti, solo disgusto per quella sua nuova condizione che la costringeva ad obbedire agli ordini di un sovrano che non conosceva contro la sua volontà.

- Che cosa... dobbiamo aspettarci di trovare, di preciso, nella città maledetta?

- Ad ognuno i suoi feticismi mia Lady. Io adoro l'autoproclamazione e sventolare lo stendardo del mio casato e leggerne il nome in un libro antico e molto autorevole mi sa dare brividi di pura estasi. Come ho detto al nostro rispettabile monaco non sono un uomo crudele ... Le precauzioni che ho preso chiedendovi di affidarmi il vostro cuore o indossando il mio collare servono proprio a prepararvi a ciò che vi attende nella città maledetta, vale a dire spiriti senza pace, demoni e oscuri sortilegi. Questo oggetto è infuso della mia magia e mi permette di creare un legame con chi lo indossa... Ciò che può apparire come un semplice strumento di controllo - e statene certi lo è - in realtà è anche il principale mezzo tramite cui proteggervi. Se mai dovesse averne bisogno basterà chiederlo e vi offrirò il mio aiuto per quanto possibile. Stesso discorso per il cuore. E' la mia assicurazione, nessuno lascerebbe qualcosa di tanto prezioso in mano di uno sconosciuto, specie se può usarlo per annichilire la volontà del proprietario e manipolarlo come una marionetta. Al tempo stesso privandovi della principale sede delle emozioni - o meglio di ciò che in magia è reputata la sede delle emozioni - rendo impossibili o estremamente difficili possessioni, controlli mentali e simila. Dopotutto, considerando ciò che vi attende, è come lasciare la propria borsa di danari al sicuro prima di esplorare un covo di tagliaborse, non credete?

Il rituale che compì allora sul ragazzo dal capo rasato bastò a convincerla a scegliere il collare argentato, che emanava nel frattempo inquietanti riflessi metallici.
Rimase in silenzio mentre attendeva che le cose facessero il loro corso, mentre le parole del Re riecheggiavano nelle segrete del castello dando una forma e un nome a quella magia che Cassandra tanto temeva.



Cassandra



Mente:
Corpo:
Energia:
Armi: Spadino; Arco lungo [15/15]

Passive attive:

Attive utilizzate:

Riassunto: Naturalmente Cassandra sceglie il collare, come indicato in Confronto.

Note: Ho dovuto postare già oggi perché poi non ne avrò più la possibilità; chiedo scusa a Malz che forse voleva un giro in confronto più ampio.
 
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Indovino titubante
view post Posted on 19/8/2015, 17:47





Tanaach, prigioni

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Era notte fonda; un singolo, pallido raggio di luce entrava dalla piccola feritoia nella pietra, quel che di più simile a una finestra potessero chiedere. Da un secchio di legno, nell'angolo opposto, proveniva l'odore acre dei loro escrementi - sembrava che potesse penetrare nelle pareti della cella, tanto si era fatto pesante, e nemmeno un filo d'aria che portasse via il fetore, anche solo per un istante. Scandivano il tempo gli squittii dei ratti, come piccoli demoni invisibili, e le grida di qualche ubriaco nella strada. Il soffitto della cella era talmente basso che nessuno dei due prigionieri avrebbe potuto stare lì dentro in piedi. Erano rassegnati, l'uno di fronte all'altro, seduti sulla pietra nuda e con le spalle contro il muro. Erano così simili, loro due, le gambe intoripidite e le mani sporche, riverse sul pavimento; erano entrambi vestiti di stracci e l'umidità tormentava le loro ossa allo stesso modo - eppure li separava una sottile linea del destino: il giorno seguente Luka avrebbe avuto indietro la sua libertà, mentre Davit sarebbe andato incontro al suo boia, alla morte incappucciata.
Era stato preso diverse volte dalla follia, al pensiero di quella cruda condanna, ma nella sua ultima notte Davit era silenzioso e raccolto. Grattava il pavimento con le sue dita tozze, contando il tempo che gli restava. « Ah... » tentò di dire qualcosa, d'un tratto, ma la sua gola era troppo secca e la voce cadde in un colpo di tosse. Dopo qualche momento riprese insieme i suoi pensieri, mentre lo sguardo tornò a distrarsi sulle sue dita.
« Abbiamo trascorso molti giorni in questa prigione, Luka... » fu poco più che un sussurro, ma tanto bastò a scuotere l'altro dal suo leggero sonno. Luka piegò il capo, staccando i suoi capelli dalla parete sudicia; la timida luce della feritoia lambiva il suo volto, i piccoli occhi scuri e la barba in preda all'incuria sul suo mento importante.
« Abbiamo cagato nello stesso secchio per tutto questo tempo - » « Lo so, lo so bene! » lo interruppe il suo compagno, con una nota di noia nelle sue parole, come se avesse già dovuto sopportare simili discorsi in passato. « Mi dispiace per te, amico... » soffiò con il naso e strisciò di un passo in avanti nella penombra, per avvicinarsi all'altro. Allora Davit lo scrutò con uno sguardo che non gli aveva mai visto addosso e che non sapeva come interpretare. Lo scosse fin dentro i visceri; era forse quello umido e perduto, a tratti sognante, di chi aveva già varcato la soglia con il primo piede?
« Sei il solito bastardo, Luka. Lo so che sei un bastardo, e io un povero disperato. So che non hai tempo da perdere con quelli come me, ma... Verrai, almeno...? » la sua fievole richiesta scivolò vibrando nel buio, fino a toccare la bocca di Luka. Le sue labbra furono colte da un fremito improvviso.
« Sarò lì, in mezzo agli altri. » rispose piano, scandendo le parole della sua promessa con gli occhi fissi su quelli del condannato. Attese qualche tempo sospeso all'interno di quella bolla, quindi tornò a poggiarsi contro la sua parete - con il viso avvolto nell'ombra del sonno. I suoi piedi crocchiarono con un rumore sordo. Soltanto allora Davit la vide: malamente ricucita, una vecchia cicatrice che tagliava la sua caviglia sinistra e s'insinuava fin sotto l'orlo delle braghe.


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Era stato uno spettacolo magro.
Una piccola folla era raccolta sotto al patibolo, ma alcuni di loro tornavano già alle proprie mansioni, una volta esaurità la macabra curiosità. Una donna era talmente assorta nella nella preghiera da non rendersi conto che tutti, attorno a lei, potevano sentire le sue lagne - e forse non le importava affatto. Blaterava qualcosa a proposito della corruzione, dei demoni che s'insinuavano nelle anime della povera gente. Una ragazza singhiozzava in disparte, tremando nelle sue paure. Tra quei pochi che erano rimasti si trovava anche Luka, che vestiva un'umile camicia e pantaloni del colore della terra. Ancora umidi di pioggia, i suoi capelli aderivano alla fronte squadrata; sul viso aveva un duro cipiglio. Aveva assistito all'esecuzione in religioso silenzio. Tre erano gli uomini appesi al patibolo, le mani legate dietro la schiena e la testa dentro un sacco nero. Quello nel mezzo dondolava ancora, per quanto si era dimenato: avanti e indietro, avanti e indietro. Avanti e indietro.
Ad ogni battito della sua melodia, Luka poteva scorgere la cicatrice sulla caviglia del cadavere.

« Non è curioso? » perso nei suoi pensieri, non si era accorto dello straniero che si era avvicinato alla sua destra. Si voltò verso di lui con fare distratto, ma non riuscì a vedere molto del suo viso, dacché quello era nascosto sotto l'ombra di un pesante cappuccio. Luka cominciò ad innervosirsi; l'altro, al contrario, sembrava che si stesse rivolgendo proprio alla persona che cercava. Così accostò la bocca al suo orecchio e si inumidì le labbra: « Il pover'uomo continuava a gridare che le guardie avevano commesso un grosso errore, che oggi sarebbe stato il giorno della sua liberazione. In un certo senso, si può dire che lo abbiano preso in parola... » ritardava la sua voce, in un crescendo di tensione, « Non era solo... Condivideva la sua cella con un altro » sussurrò, « Ed era l'altro quello condannato all'impiccagione! Ma una volta preparato il patibolo le guardie hanno trovato soltanto lui... »
Luka si scansò dalla stretta dei suoi sibili, corrucciando la bocca in un'espressione di disgusto: « Di che parli? Chi sei? » gli chiese, ma per tutta risposta lo straniero levò una mano dalle pieghe del suo mantello e lo strinse a sé. Nel suo palmo portava un'occhio, la traccia di un incantesimo - e Luka ne fu subito prigioniero. « Avrai tutto il tempo che desideri per dirmi chi sei tu... E mi racconterai come hai fatto. » e così dicendo lo prese con sé per i bassifondi di Tanaach, lungo un dedalo di strade e viucole, senza che quello potesse resistergli. Quando ebbero varcato la porta di un vecchio appartamento, Luka aveva ormai perso e ritrovato la coscienza diverse volte; non avrebbe ricordato molto di quel che accadde nella casa dell'uomo che l'aveva reso schiavo, a parte quel momento in cui si ritrovò con il suo fiato contro il proprio - e quella voce rancida che gli martellava nelle tempie.
« Tu... La somiglianza è impressionante... » gli stringeva la bocca con le dita ossute,
« Sei come lui. »




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Deyrnas


« Non è uno stolto. Sapeva bene quanto sarei stato disposto a dare, per qualcuno del tuo valore... Ed è per questo che ti trovi qui, ora. » Gwalch Glass camminava attorno alla gabbia a grandezza d'uomo con passo lento e cadenzato, sfiorando le sbarre con la sua sinistra. L'eleganza era uno fra i doni dello stregone; il suo portamento, quello di un re - sicuro di sé, il mento sollevato e un sorriso appena accennato, gli occhi di ghiaccio che lo seguivano incuriositi. « Il male che mi ha fatto... Farai lo stesso anche tu? » il prigioniero parlò con una voce sottile e priva di tono. Era riverso sul fianco; si reggeva con il gomito sinistro, mentre con la destra spingeva avanti e indietro, sul fondo della gabbia, una biglia di turchese. Sul suo viso inclinato gli occhi piccoli e neri, come quelli di un ratto, si perdevano nelle fitte trame dell'oscurità. « Io? » gli rispose Gwalch Glass, « Non ti torcerò un singolo capello. Quel che desidero conoscere, attraverso te, è altro... Sono curioso di sapere, ad esempio, che cosa ti abbia tradito. »
« Mi sono limitato a mantenere la promessa data... Gli avevo detto che sarei andato a vederlo - » sospese la parola in aria, raccogliendo la sua pietra fra le dita e portandola davanti al proprio viso, « ... morire. » finì in modo brusco, nascondendo il turchese tra le pieghe della camicia. Quindi, come in preda ad uno spasmo, si alzò di scatto sulle ginocchia e si gettò con il viso verso lo stregone, le mani tese attorno alle sbarre. Il suo labbro inferiore era spaccato; un rivolo di sangue si era seccato sotto la narice. Gwalch Glass gli stava di fronte, statuario; i capelli corvini incorniciavano con delizia la sua espressione severa, mentre dischiudeva le labbra in un atto di sfida e pronunciava una parola netta: « Bugiardo. » la sua voce si ruppe in una risata sorda, trattenuta appena.
« Non ti ho mentito », incalzò l'altro: « Dammene l'opportunità e sarò uno dei tuoi sogni, stregone, un desiderio divenuto realtà! » ma Gwalch Glass lo interruppe; chiuse gli occhi, sorridendo, e gli diede le spalle. Le sue parole si allontanavano con lui, ad ogni passo. Si fecero piccole piccole - fino a scomparire del tutto nella tenebra del palazzo. « Lo sei fin da ora: sei un prezioso dono per mio figlio, il re. Non ti conviene contrariarlo. Così facendo, forse... Una volta esaudita la sua richiesta, avrai indietro la tua libertà... »

...


Quando Erein gli tolse il cappuccio che gli copriva il capo, Luka vide un uomo - oppure un elfo, un viso antico? - dalle belle mani; era come se le sue dita affusolate danzassero, inebriate da quel contrasto che voleva il signore da una parte, il servo dall'altra. Il Signore di Deyrnas aveva dalla sua un aspetto e una posa davvero regali, degni non solo del suo titolo, ma anche della descrizione che ne avrebbe fatto una fiaba. Sulla forma longilinea del suo corpo vestiva un abito scuro e dalle lunghe maniche, che tagliava la sua figura contro le luci soffuse delle torce e l'accompagnava insieme alle loro ombre, tingendo di nero la pietra delle segrete. Che fosse sceso fin dentro i visceri del suo palazzo, poi, era un'ulteriore nota di chiaroscuro sul ritratto del re. Dalla spinosa corona che poggiava sul suo capo piovevano lunghe ciocche di capelli argentei, che gli carezzavano il collo ad ogni passo, prima di adagarsi sull'altero petto. Non una sola stortura macchiava la sua dignità. Al contrario, le spalle del prigioniero erano curve sotto il peso della sua condanna. Quel che vestiva non era di alcuna importanza: che fosse la sua pelle o la trama grezza di un tessuto, era ugualmente sporca e sgualcita. I piedi nudi erano neri e grossolani quanto la pietra su cui erano gravi. E non aveva altro che cenere a cingergli le tempie; i capelli scarmigliati e gli occhi perduti, gettati dentro le ombre severe che erano diventate le sue orbite. Il suo viso era altrettanto nascosto nell'incuria della barba.
Nella sua stretta, il re teneva altri tre prigionieri come lui. Uno era un uomo dalla corporatura rude, che portava sul volto i segni della guerra; un altro, invece, aveva il capo rasato e l'aspetto di un eremita. L'ultima era una donna; Luka non poteva cogliere altro di lei, se non che portava con sé una traccia vagamente esotica. Erein li aveva presi perché andassero loro incontro alla morte, al posto dei suoi uomini - nella città maledetta di Afal, dove avrebbero trovato uno stendardo e un vecchio libro di araldica, di cui bramava il possesso. Quegli strumenti dovevano essere di grande valore, considerato l'affanno del re. Tuttavia, una volta tornati in salvo sulla loro strada, i prigionieri li avrebbero potuti barattare per avere in cambio la libertà, così come Gwalch Glass aveva preannunciato. Il re, inoltre, pretendeva da loro una garanzia: che indossassero una collana, gioiello stregato, tramite la quale avrebbe potuto vigilare sul loro operato - oppure che gli dessero come pegno il loro cuore, in un rituale di antica magia. Che scegliessero la prima o la seconda, sembrava che per lui non avesse importanza. Uno degli uomini lasciò che Erein gli prendesse il cuore; la donna, invece, scelse la collana e così la seguì anche il guerriero, dopo aver sfidato il re con le sue calunnie.
Per ultimo si fece avanti Luka: « Prendete il mio cuore » gli disse infine, « Così magro e consunto, non mi sarebbe d'aiuto nella città maledetta. E non conterrà molto di quel che desiderate; ma permettetemi di dire che per me è molto importante. Con quali parole, sire, mi promettete che l'avrò indietro, una volta che vi avrò portato il vostro tesoro? »
E il Signore di Deyrnas gli rispose con un sorriso deliziato: « Avrete il vostro cuore indietro, non temete. La mia parola di nobile sarebbe già una garanzia sufficiente ma se ciò non bastasse aggiungo anche quella di uomo di fede. Un Re può sfuggire alla legge dei mortali giacchè ne è superiore ma non a quella degli Dei e dinnanzi a questa io prometto. Vi basta? »
Che vi credesse o meno, a quelle parole l'uomo non osò controbattere. Si limitò a lasciar cadere le braccia lungo i fianchi, le mani rivolte alla stregoneria che si preparava a ricevere; oscuratosi lo sguardo, piegò il capo sul suo petto e attese in silenzio.



Io... Non ho idea di cosa mi abbia preso con questo post. Mi sono messo a scrivere e... Semplicemente, non la finivo più. Spero che sia almeno un po' godibile, oltre che borioso e astruso. Quel che succede, in sostanza, è che nell'antefatto Torc'hijen, sotto le spoglie di un uomo di nome Luka, viene braccato da un cacciatore di ombre, che lo vende a Gwalch Glass. Così viene portato fino al palazzo di Deyrnas, al cospetto del re. Come stabilito nel topic di confronto, Torc'hijen sceglie di dare il proprio cuore in garanzia ad Erein. Al termine del rituale, le sue risorse saranno così distribuite:

Corpo 75
Energia 180 (150 + 20%)
Mente 60 (75 - 20%)

Colgo l'occasione per ringraziare Malzhar per avermi preso nella quest, che si prospetta parecchio interessante... Spero di non averti strapazzato troppo Gwalch Glass! Detto questo, passo la tastiera ^^
 
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view post Posted on 22/8/2015, 19:34
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what a thrill
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Plic, plic
Il suono di una goccia che cadeva segnava il tempo meglio del più preciso degli orologi. Il lento cadenzare di quel ritmo si accompagnava perfettamente al silenzio nei pensieri dell'uomo seduto al centro di quella cella umida. Aureus si fermò un istante a guardarlo attraverso le sbarre, riflettendo dubbioso sul bisogno di spezzare quella certamente sacra cerimonia: Fray era seduto a gambe incrociate, immobile, con gli occhi chiusi ma comunque fronteggiando la parete opposta ad Aureus. Così immerso nella sua concentrazione, certamente non aveva notato il Dorato mentre si era avvicinato.
Il tintinnio di un mazzo di chiavi destò Aureus dall'indecisione. Un giovane uomo, probabilmente uno sguattero incaricato di badare alle celle vuote, si fece avanti mentre con l'unica mano libera cercava freneticamente la chiave giusta. Aureus schiarì la voce e sia Fray che il giovanotto sussultarono, accorgendosi solo ora della sua luminosa presenza. Il servo sembrò diventare minuscolo dinnanzi alla sfarzosa armatura di Aureus, al suo portamento regale e soprattutto alla spada che aveva ben custodita nel fodero che portava sul fianco. « Suvvia, bando alle ciance, giovane! Apra questa cella, ci avete già fatto perdere abbastanza tempo con i vostri grovigli burocratici! » Lo sguattero balbettò delle scuse e dopo un paio di ulteriori tentativi riuscì a infilare la chiave giusta nella cella del monaco, la cui porta si aprì con un doloroso e rugginoso stridio.
Fu solo allora che Fray, sicuro delle intenzioni del Dorato, abbandonò la sua posa meditativa e si rialzò in piedi per fronteggiare il suo salvatore. Senza pronunciar parola fece un mezzo inchino piegando la testa verso Aureus, in segno di ringraziamento. Solo dopo disse: « Sono grato della vostra assistenza, ser. Siete un uomo d'onore per aver mantenuto la vostra parola. »
Fray ricordava bene come quando solo un'ora prima, quando era stato condotto in cella, aveva sentito Aureus protestare con un corvo riguardo al suo incarceramento, sventolando la spada come un maniaco. Era certamente grato dell'assistenza di quel misterioso benefattore, ma non poté che immaginarsi per qualche strano motivo un uomo dovrebbe pagare danaro per la libertà di un culto esterno a quello del Sovrano. Fray non era mai stato il benvenuto nelle terre vicine alle rovine di Basiledra e il suo ingiustificato incarceramento ne era la prova. « Mi ringrazi dopo! Presto ora, usciamo di qui. Detesto il fetore delle carceri. »
Fray uscì dalla cella, sentendo immediatamente un brivido di sollievo, quindi seguì Aureus fino alla superficie della caserma e poi all'aria aperta. Il cielo era grigio, coperto da una coltre di nubi e l'aria densa di umidità. Sotto a quel pallore neppure l'armatura del Lord Dorato sembrava splendere, ma Fray fu comunque grato di poter respirare aria pulita di nuovo. Aureus borbottava incessantemente, lanciando maledizioni sui corvi e su quella triste cittadina, poi d'un tratto disse: « Dove sono le mie maniere! » si girò di scatto, sorprendendo il monaco, e gli arpionò una mano stringendola con un vigore quasi disumano mentre gli sorrideva compiaciuto. Se le dita di Fray non fossero state resistenti quanto le sbarre della prigione difficilmente il monaco non avrebbe sentito dolore. « Il mio nome è Aureus! Fiero Lord Generale delle forze del Re Stregone, nonché suo avo! » Fray spalancò gli occhi, incredulo dinnanzi all'entusiasmo dell'anziano cavaliere. Chi? pensò, colto dalla confusione nel momento in cui sentì pronunciare il titolo di Re Stregone, che sembrava uscito da qualche fiaba. « P-potete chiamarmi Fray, ser. » balbettò il monaco. « Solo Fray? » chiese Aureus, convinto che un uomo di fede dovesse portare con fierezza i titoli e le cariche affidategli. Ma poi un'epifania lo colse, irradiandogli il volto con un sorriso soddisfatto, e senza lasciar rispondere Fray aggiunse: « Ma certo! I santi uomini come voi preferiscono vivere nell'umiltà! Perdonate i miei rozzi modi. »

Fray continuò a seguire Aureus per qualche minuto ancora, ascoltando il suo incessante borbottio. A volte il Lord Generale si fermava di colpo e gli porgeva una domanda, come se venissero a galla nella sua mente ormai invasa da memorie di una vita interminabile. Se Fray avesse saputo la vera età del Dorato certamente avrebbe riconsiderato la sua sfortuna con l'immortalità, realizzando che millenni di vita e tragedie possono fare brutti scherzi alla mente di qualcuno. Finalmente Fray si azzardò a chiedergli « Dove siamo diretti? » ma Aureus non sembrò afferrare. « Ma ditemi, Fray: cosa ha spinto questi villani a rinchiudervi in una lurida cella? Certamente non ve lo meritate! »
« Ho difeso un anziano che si era messo a chiedere elemosina a dei corvi di passaggio, che si sono messi a minacciarlo, per qualche ragione che non comprendo. Uno squadrone è arrivato in poco tempo e sono stato sopraffatto. » Aureus annuì convinto ma qualcosa non gli tornava: « Capisco! Ditemi però, come mai non portate ferite o lividi? Dev'essere certamente stato uno scontro impari! »
Fray sospirò. « La verità è che mi sono lasciato catturare. Preferisco passare un mese meditando nell'oscurità di una cella piuttosto che combattere egoisticamente e rischiare di stroncare vite certamente più preziose della mia. » Udendo queste parole, le rughe sul volto di Aureus si deformarono in un'espressione di stupore e sincera ammirazione, lasciando Fray ancora più confuso e sorpreso. « Voi siete un monaco! » disse, colto da un fervore esagerato. « Mi ricordo bene del vostro culto! Eravate pochi ai miei tempi, e siete ancora meno oggi. Da decenni non vedo uno come voi! Ricordo bene che cercavate di mediare tra uomini e i draghi miei fratelli! » Fray aggrottò le sopracciglia, contenendo a malapena un "che?", ma Aureus interruppe immediatamente ogni suo pensiero indicandogli un oggetto in lontananza:

7y75XfE

Una carrozza.
« Voi siete l'uomo giusto, ne sono certo! E se vorrete sdebitarvi, vi porterò nel luogo adatto.
Il Re Stregone ha una missione per voi!
»

[...]

Fray iniziava diventare nervoso.
Erano state due ore di viaggio a separare la partenza dall'arrivo nel castello di Deyrnas. Questo era il nome della fortezza dalla quale il Re Stregone, Erein, esercitava il suo potere. Aureus non gli aveva detto nient'altro su di lui, nonostante fosse anche troppo loquace su argomenti irrilevanti. In qualche modo, Fray fu sollevato quando il Lord Generale scomparve improvvisamente, perché così non avrebbe dovuto sopportare il suo incessante borbottare per un altro secondo. Ma quel sollievo gli fu rapidamente sottratto quando delle mani estranee calarono un cappuccio sul suo volto e gli legarono le mani dietro la schiena.
Fray mantenne una calma innaturale. Aveva molte domande, ma lasciò che i servi del Re Stregone lo conducessero dal loro padrone nel modo in cui ritenevano più sicuro. Soltanto l'aria, progressivamente più fresca e pungente, gli diede la notizia che si stavano dirigendo in qualche sotterraneo.
Nonostante tutto, il monaco mantenne la sua fiducia in Aureus, che era certamente un uomo onorevole.
Il rumore di passi si moltiplicò, e Fray capì che non era il solo ad essere incappucciato.
Una spessa porta si aprì con un lento grugnito, e i quattro malcapitati furono spinti dinnanzi ad una presenza ingombrante.
Il Re Stregone.

Nell'aria regnava un silenzio pieno di tensione, come se due uomini si stessero puntando vicendevolmente un coltello alla gola.
Fu Fray che, stufo dei modi del suo "datore di lavoro", decise di parlare per primo: « Avete così tanti uomini valorosi a servirvi, Lord, eppure mandate a prendere sconosciuti che facciano il lavoro per voi. » nonostante cercasse di mantenere una calma assoluta, si rendeva conto che le sue parole erano cariche di risentimento per tutto quel trambusto. Che bisogno c'era di incappucciarlo? Ricacciò indietro il fastidio, ponderando sulle parole giuste da usare. « Sono qui per mia volontà per ripagarvi della generosità che mi avete offerto. Vorrei almeno sapere, Lord, qual'è la missione che intendete affidarci. »
« I miei uomini non sono adatti a questo tipo di missione. » la luce di un candelabro invase gli occhi di Fray, improvvisamente liberato dal cappuccio. Dopo pochi istanti, riuscì a mettere a fuoco la fonte di quelle parole: un maschio dalla figura slanciata, la pelle pallida e una lunga chioma bionda. Il suo sguardo era severo e determinato, tipico degli uomini che non sono disposti a cedere su nulla, e i suoi modi erano eleganti e raffinati. Non ci volle molto per immaginare chi fosse. « Il perchè è presto detto: è pericolosa, dannatamente pericolosa e non intendo rischiare le loro vite. » il Re Stregone sospirò brevemente, soppesando le sue parole. « Il tuo senso dell'onore mi compiace, giovane monaco, ma aspetterei a definire il mio interesse verso di voi come "genorisità". A dirla tutta tu non avresti nemmeno dovuto trovarti qui... quanto alla missione, ciò che vi chiedo è abbastanza semplice: trovare uno stendardo e un vecchio libro di araldica. Per farlo dovrete recarvi nella città di Afal, un luogo maledetto ed estremamente pericoloso. Se riuscirete a completare il vostro compito, il vostro debito con me potrà considerarsi estinto, in caso contrario...» quella pausa aveva un significato che Fray non tardò a cogliere: servitù. Non c'era molto da aspettarsi da un uomo dotato dell'audacia di considerarsi Re.
« La scelta tra collare e cuore dovrebbe in ogni caso evitare problemi durante il percorso e motivarvi a sufficienza... »

Collare o cuore.
Aureus gli aveva spiegato cosa sarebbe successo di lì a poco: arrivati nel castello, a Fray sarebbe stata proposta la possibilità di essere legato da un collare magico oppure di essere privato del cuore, per dare al Re Stregone la garanzia di non essere tradito durante la missione. Il Lord dorato si era affrettato a precisare che quella di privare il cuore alle persone non era una pratica violenta o mortale; la parte sottratta era in realtà un elemento non dissimile all'anima, una valvola che conteneva le emozioni. Fray accettò la plausibilità di quella nozione piuttosto rapidamente. Non era il primo miracolo magico a cui assisteva o avrebbe assistito.
Delle parole di Erein, una in particolare turbava Fray: « Afal... » mormorò tra sé e sé, riflettendo sulle possibilità che lo attendevano nella città abbandonata. Come diceva il Re Stregone, Afal era un luogo maledetto e destinato a essere dimenticato presto. Persino Fray -che aveva viaggiato per tutti le maggiori regioni di Theras in più di cinquant'anni- non aveva osato avvicinarsi alla città, temendo di essere impreparato agli orrori che si diceva strisciassero tra le sue pareti di pietra. Ma se le parole del Re Stregone erano vere, allora quella garanzia che veniva proposta al monaco e agli altri compagni di sventura poteva rappresentare la sua occasione per esplorare Afal in cerca di indizi per spezzare la maledizione. « Siete certamente un uomo crudele verso coloro che non vi servono, Lord. » ammise, cercando di nascondere i suoi secondi fini, benché innocenti. « Prendete il mio cuore dunque, fatene quel che volete. La mia decisione è già presa, esplorerò la città maledetta per vostro conto. »
« Crudele? » chiese il sovrano di Deyrnas. « Guardala dalla mia prospettiva, mio buon monaco, ho dato ai tuoi compagni un'opportunità, cosa che chi li ha imprigionati o schiavizzati non ha e non aveva intentenzione di fare. Quanto a te... » Sul suo volto si distese un sorriso pungente, sicuro di sé. « ...Nessuno ti ha costretto a venire qui hai fatto tutto di tua volontà. In ogni caso quando tutto ciò si sarà concluso mi piacerebbe dimostrarti che sono un uomo tutt'altro che crudele. »
Erein non gli diede immediatamente l'opportunità di accettare quell'offerta. Si avvicinò a lui e puntò il suo indice contro il cuore di Fray mentre rispondeva ad un'altra prigioniera. Fray vide quel dito pallido scivolargli nel petto lentamente, affondando come se stesse scivolando nell'acqua. Nonostante ciò che aveva detto Aureus, il corpo di Fray reagì istintivamente mozzandogli il respiro e facendolo sbiancare di colpo. Dopo un solo istante, Erein teneva tra le mani una sfera luminosa che il monaco non tardò a identificare come un pezzo stesso della sua anima.
« Mmmm, purezza e contaminazione... interessante, davvero... » Erein era quasi in contemplazione, rigirandosi il cuore di Fray fra le mani come se non avesse visto mai nulla di simile. L'istinto diceva al monaco di fare uno scatto e riprendersi ciò che era suo. Il suo corpo sembrava essere stato privato di qualcosa di essenziale, anche se Fray non riusciva ancora a percepire alcuna differenza dentro di sé. Ciò di cui era certo era che pareva che Erein avesse percepito la presenza della maledizione nel suo cuore. « Se avrai voglia e tempo sarai mio onorato ospite. Sono curioso di sentirti raccontare la tua storia ... » disse poi il Re Stregone, regalando all'uomo al quale aveva appena strappato il cuore un'occhiata prima di tornare a rispondere alle domande degli altri "prigionieri"

« Ed io sarò grato di ritornare. »
Concluse Fray, cercando di riprendere il fiato che quello shock improvviso sembrava avergli rubato.
« Se non altro, per riprendermi ciò che è mio. »

Energia: 100%
Fisico: 120%
Mente: 80%

Note: visto che il post stava venendo seriamente lungo ho preferito tagliare tutti gli altri dialoghi, spero non dispiaccia a nessuno. Come conseguenza della scelta fatta, Fray guadagna il 20% di fisico in più.
 
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Atelstano
view post Posted on 22/8/2015, 21:26




Toc... Toc....
Toc... Toc...

Nessuna risposta.
Toc... Toc...
Ancora niente; afferrai un altro sasso. Accarezzai con le dita quella superficie irregolare, poi, di nuovo, lo lanciai alla finestra.
Toc...
Questa volta sentii dei rumori proveniente dalla stanza. Poi un'ombra.
Il cuore cominciò a battere all'impazzata.
La finestra si aprì e riconobbi una persona affacciarsi.



Era notte. La luna si nascondeva malamente tra le nubi, lasciando intravedere una flebile macchia chiara, appena appena luminosa.
Non c'era una stella in cielo e numerosi aliti di vento sembravano prennunciare un temporale.
Raccolsi appena in tempo la giacca che già se ne stava volando al ritmo delle folate.
La indossai, ma feci bene attenzione a che la sciarpa non mi coprisse il volto.

"Godiva!"

Dissi a voce alta.

"Godiva, mi sembra di non vederti da un'eternità, oh Godiva!"

Credetemi, non riuscivo a trattenermi dall'emozione. Davvero, non ricordavo da quando tempo non la vedevo: erano settimane – che dico, mesi!
Un periodo di tempo in cui avevo quasi accettato la distanza, cercando di riaverla seguendo le "regole".
Ma non aveva funzionato, ed in quel momento dovevo fare a modo mio.
Oh, era bellissima, davvero. Più bella di come la avevo lasciata, più bella di quanto ricordassi.

"E... Eoforhild? Eoforild, Eoforild, sei proprio tu?"

"Chi altri se non io?"

"Io... Mi avevano detto che tu... Aspetta, aspetta lì"

Disse tra le lacrime, prima di rientrare dentro.
Mi limitai ad annuire.
Le mani cominciarono a tremare, il cuore a battere forte. Ero agitato, in ansia, certo, ma lucido, dannazione se ero lucido! Ero lucido come non lo ero mai stato prima. Sapevo cosa avrei dovuto fare: prendere Godiva e andare via da lì.
Non c'era futuro per me in Hertofordshire, non dopo che avevo aggredito Wulfsige.

Vidi Godiva uscire dalla porta di casa, mezza incappucciata, e correre verso di me. Non dissi nulla, mi limitai a baciarla.
Restammo fermi, abbracciati, per Dio solo sa quanto tempo, senza pronunciare una parola.
Quanto mi mancava quella sensazione.
Poi interruppi il silenzio.

"Dobbiamo andare. Se ancora vogliamo stare insieme, se ancora sogniamo la nostra vita, dobbiamo andare. Ora."

"Mi avevano detto che hai aggredito mio padre. Alcuni dicono che sei impazzito, che non sei più quello di una volta. Altri ancora sostengono che sei morto. Eoforild, Eoforild, ti prego, dimmi, cosa sta succedendo?"

"Non sono morto, ci sono andato vicino, ma non sono morto. E, beh, ti spiegherò poi, ma... ti sembro impazzito?"

"No..."

"Allora seguimi"

Feci per stringerla a me, ma una voce mi interruppe.

"Sir Eoforhild Dub Dunstan, eccovi.
Lasciate andare la donna e non vi verrà fatto alcun male."


Mi girai. A parlare fu un uomo alto, robusto, sulla trentina. Era una guardia.
Avevo intravisto più volte il suo volto durante le battaglie. Un uomo capace, un alleato, prima. Un nemico, ora.

"Non toccatela, vi prego"

Pronunciai lentamente. Diressi il mio sguardo verso Godiva e lessi paura nei suoi occhi. No, no, che dico. Era terrore, terrore e sorpresa. Quella strana sensazione di frustrazione che ti deprime, quando capisci che c'è qualcosa di sbagliato ma non hai idea di che cosa diamine stia succedendo.

"Andrà tutto bene."

Le sussurrai, lasciandola.

"Chiudi gli occhi."

Aggiunsi, asciugandone una lacrima. Aspettai che lo facesse e mi voltai, di nuovo, verso la guardia. Era un nemico, appunto, e lo trattai come tale: mi ci scaraventai contro.
Sentii la mia spalla impattare contro di lui; per un attimo pensai persino di avergli rotto qualcosa, e vedendolo cadere al suolo per poco non esultai.
Neanche qualche istante dopo, però, qualcuno mi colpì la nuca: non era solo. Beh, almeno credo, considerando che in quel momento persi i sensi.


___ ___ ___





L'aria sapeva di muffa e di umido. La testa mi faceva male e sentivo che sarei impazzito da un momento all'altro.
Ero solo la maggior parte del tempo. Di tanti in tanto una guardia passava, mi fissava per qualche secondo, e tra l'imbarazzo reciproco prendeva la giusta decisione di andarsene. Beh, eravamo colleghi, fino a poco tempo fa, quasi amici. Ed ora io ero dall'altro lato.
Ascoltai il carceriere mentre parlava con qualcuno. Probabilmente mi avrebbero giustiziato, di lì a poco.
Lo so, avrei dovuto esserne impaurito, eppure non riuscii a temere per la mia sorte.
Ero solo un folle, starete pensando, ma non era così. Sarei uscito da quella prigione, anche se ciò avrebbe significato sfondare le porte a suon di pugni. Sarei tornato da Godiva, persino se costretto a camminare sui corpi senza vita di quelli che una volta erano miei amici.
Sarei uscito da lì a qualsiasi costo.
Non temevo la morte, la avevo sconfitta una volta, potevo farlo di nuovo.

Lo scricchiolio della porta in legno mi distrasse dai miei pensieri.
Un uomo snello, sulla trentina, sussurrò qualcosa ad una delle guardie, poi entrò da solo – facendo attenzione a chiudere la porta dietro di lui.

"Eoforhild Dub Dunstan, sei tu?"

Pronunciò.

"È il mio nome"

Risposi.

"In questa cella ti attende la morte. Vieni con me ed avrai salva la vita."

Aveva un viso pallido e magrolino, ma impassibile.
Io mi lasciai cadere sul letto, e le stecche di legno quasi cedettero sotto il mio peso.

"Siete generoso, Sir. Ma, vedete, non sono così ingenuo da credere che vogliate fare beneficienza."

"Ed hai ragione. Ma la forca ti attende: cosa può mai frenarti dal seguirmi?"

"Vedete, Sir, oh Sir. Ancora non mi avete detto il vostro nome. Come devo chiamarvi, dunque?"

"Gregory Norhwood"

Il suo tono di voce, inizialmente così calmo e pacato, cominciò a diventare irritato.

"Ecco, Sir Gregory Norhwood, ecco. Non so come dirlo, ma, beh, io non temo la morte. Non al punto da lasciarmi governare dal terrore.
Se volete che vi segui, beh, ditemi fino a dove e per quale motivo."


"Saprai tutto, a tempo debito."

"Ma così non aiutate, Sir. E se mi rifiutassi? Aspettate, Sir, aspettate. È solo un'ipotesi, non fraintendete, ma, mi chiedo, cosa potreste mai fare se rifiutassi di seguirvi, così, per chissà quale motivo."

"Troverò qualcun altro disposto a seguirmi."

Sorrisi. Almeno era sincero.

"Bella risposta, davvero. Mi state convincendo, non mento, Sir Norhwood. Ed in che modo credete di potermi far uscire da qui?"

"Sostituiremo il tuo corpo con quello di un cadavere. Per Hertfordshire Eoforhild morirà."

Rimasi qualche attimo in silenzio. Simulare la mia morte mi avrebbe dato abbastanza libertà per poter prendere Godiva ed andarcene via. Ma, diavolo, quanto tempo avrebbe potuto richiedere un piano del genere? Non volevo che Godiva mi credesse morto, non tanto a lungo.

"Va bene, vi seguo"

Dissi, con un tono rassegnato, mentre vidi un sorriso formarsi sul volto dell'uomo. Diede due colpi alla porta e il carceriere la aprì.
Successe tutto in un attimo: colpii Gregory con una spallata e corsi fuori dalla cella. Conoscevo quella prigione, sarei potuto scappare se solo avessi avuto un po' di fortuna.
Ma, a quanto pareva, avevo esaurito tutta la mia fortuna scampando alla morte: nel lungo corridoio che precedeva l'usicita, apparsero dal nulla quattro guardie armate. Mi girai, e ne vidi un'altra rincorrermi insieme a Gregory.

"Sei patetico"

Pronunciò quest'ultimo, prima di avvicinare un fazzoletto alla mia bocca. Non opposi resistenza, non aveva senso in quelle condizioni: passarono pochi istanti e persi i sensi.


___ ___ ___



Viaggiammo a lungo verso nord, ma ricordo ben poco, e non vi nascondo che per qualche attimo credetti che fosse solo un sogno.
Ma mi sbagliavo.
Ero ancora intontito: avevo da poco preso coscienza e l'essere stato incappucciato non aveva aiutato.
Un uomo cominciò a parlare. Non ero certo di aver compreso tutto perfettamente, ma pareva che altri tre individui erano stati ingaggiati pressappoco nelle mie stesse condizioni. Dovevamo completare una missione – a quanto pareva estremamente pericolosa – e recuperare uno stendardo e un libro. Sì, uno stendardo e un libro: chissà che razza di poteri possedevano!
Ah, e l'uomo che con tanta arroganza ci stava indirizzando, aveva intenzione di controllarci in una maniera che ancora non comprendevo.

"Oh, perdonatemi, perdonatemi se non ho ancora parlato per me. Ma, vedete Sir, io - come posso dirlo - io non comprendo in pieno ciò che ci chiedete."

Mi fermai un attimo, giusto il tempo di schiarire la voce. Dannazione, ero imbarazzato e non riuscivo ad azzeccare due parole in fila.

"Cos'è questo stendardo, cosa contiene questo libro? Voglio dire, avete faticato non poco per trovare persone che non avessero nulla da perdere ed avrebbero partecipato di buon grado ad una missione così pericolosa! Non sono stupido, Sir, posso sembrarlo, ma non lo sono: non posso, davvero, non riesco a non essere incuriosito da ciò che ci chiedete di procurarvi!
E poi il collare? Il cuore? Andiamo, se volete controllarci in questa maniera, almeno fateci capire cosa temete che possiamo mai compiere!"


Per un attimo temetti che le mie parole potessero essere malintese, che credessero che ancora prima di iniziare quel lavoro li stessi tradendo.

"Però, Sir, Dio, Sir, non fraintendetemi, vi prego, non fatelo! Sarò lieto di offrirvi il mio cuore, la mia testa e quant'altro, ma non così, non senza spiegazioni, dannazione!"

«Io non ho faticato affatto buon villico. Ma non dubito che sia stata dura per Greg non è un tipo propriamente loquace e non gli piace essere sommerso da tutte queste domande...»

Rispose l'uomo, quasi divertito dalle parole che pronunciava. Io invece già cominciai ad irritarmi.

«Non c'è niente da capire: voglio che recuperiate per me un libro e uno stendardo le mie ragioni rimangono mie e non ho intenzione di esporvele, non finché non lo riterrò opportuno. Quanto al cuore e al collare non è ovvio ciò che temo? Fughe, furti, assassini, complotti contro di me o qualunque altro crimine vi venga in mente. Di certo non sei finito in galera per colpa della tua mania di far domande ..»

"Oh, ma così mi offendete, Sir."

Dissi. Altro che irritato, avrei colpito dritto in fronte quell'uomo. Che cosa mai credeva di sapere? Cosa credeva che fossi? Un assassino?
Dannazione, che arrogante!

"Datemi questo collare, dunque."

Aggiunsi porgendogli la mano e prendendo il collare.

"Tuttavia spero che non vi infastidisca se vi chiedo - ed è l'ultima volta che vi porgo una domanda, ve l'assicuro - a che razza di pericoli andiamo incontro. È nell'interessi di tutti rendere noi, poveri insulsi reietti, consapevoli delle minacce che ci attendono. Convenite, Sir?"

Non so perché non chiusi la conversazione: di certo non ero più imbarazzato, ma mi infastidiva il fatto che non volesse condividere dettagli con noi. Dannazione, l'essere andato in battaglia senza la consapevolezza della potenza dei nemici mi aveva portato quasi alla morte. Ed alla follia.
Lui cominciò a ridere. Sì, rideva, si prendeva gioco di me, di tutti. E come biasimarlo, non era mica lui lo sventurato che di lì a poco avrebbe intrapreso una missione praticamente suicida.

«Anime dannate, maledizioni, non morti e questo solo nella città di Afal. Per la via chissà quale manica di briganti, assassini, ribelli, esaltati, contadini dalla mente ristretta che infilzano viandanti con i loro forconi. E molti, moltissimi animali selvaggi
Questo è il Nord signori, una terra infame, ostile e pericolosa in cui sarebbe bene tenere la lingua a freno e la bocca chiusa a meno che non si voglia rischiare un assideramento di queste ultime... »


"Una terra di cui non siete all'altezza, considerando che delegate ad altri il vostro lavoro, Sir."

Risposi, di getto. Oh, ero molto più che arrabbiato.
.
"Fate bene a prendere misure di controllo. Non vi celo che da quando avete aperto bocca, il desidero di colpirvi con le mie mani è diventato sempre più forte.
Ma non sono uno sciocco, oh no, ve l'ho detto: seguirò la missione e pagherò il prezzo della mia libertà.
E dunque, quando cominciamo?"


Lo avrei ucciso con le mie mani, se solo avessi potuto. Ma in quel momento era lui ad avere il potere ed io non potei far altro che indossare il collare.

«Faccio solo ciò che fanno i sovrani: delegare ad altri. »

Il collare cominciò a stringersi, sempre di più. La sorpresa iniziale divenne presto paura, e quando cominciai a rendermi conto di non riuscire più a respirare, temetti realmente per la mia vita.

«Ora vi offrirò un eloquente spiegazione di come funzionano certe mie misure di controllo...»

Continuava a parlare, lentamente. E nel frattempo il collare stringeva, e io mi agitavo come una bestia inerme che si rende conto dell'imminente morte.

«...ogni volta che qualcuno di voi disobbedirà, metterà a rischio se stesso, gli altri o l'esito della missione il mio gingillo vi renderà inoffensivi. Stringerà e stringerà sempre più a meno che ... »

Si fermò. Un ennesima, lunga, pausa.

«...non veniate a più miti consigli. Allora la punizione cesserà.»

I sensi stavano cominciando ad abbandonarmi, quando l'uomo schioccò le dita e la morsa del collare cedette.

«Sarò chiaro Messere, non mi piace essere minacciato o insultato specie da chi tengo letteralmente per il collo. Se tenete alla vostra libertà imparate un po' d'educazione. Dopotutto vi ho salvato la vita ...»

Abbassai lo sguardo, respirando rumorosamente. Ero stato umiliato, dannazione.
Alla fine di tutto, quel sovrano l'avrebbe pagata.
Continuò a parlare con un altro uomo, pur non risparmiando frecciatine nei miei confronti, ma non le ascoltai.
Quella dannata luce desolante cominciò ad insinuarsi, infida, in me.
La accolsi.
Ah, la follia, in certi momenti è quasi rassicurante. Ero solo nel mio mondo, dove non c'era spazio per la collera, per l'umiliazione. Non c'era spazio per nulla, in fondo. Neanche per la quiete.



Energia: 100%
Corpo: 100%
Mente: 100%
Armi: 2 katane - 1 archibugio - 2 pistole - 8 pugnali da lancio.
Armi naturali: pugni
Armatura naturale: corpo
 
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view post Posted on 23/8/2015, 10:57

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Ravensoul ~ Un pessimo posto di pessima gente …




«Prima fermata Ravensoul…» - aveva affermato Erein di Deyrnas - «…un pessimo posto di pessima gente, una vera e propria cloaca a cielo aperto. Sfortunatamente le uniche mappe affidabili sulla locazione di Afal si trovano li, in mano ad uno dei più squallidi figli di buona donna mai esistiti sulla faccia della terra: “Lord” Leopold Winter, ex aguzzino dell’infame Guardia Insonne, negromante. Un uomo così deprecabile da essere considerato un reietto persino in quella conventicola di ribelli che è, anzi era l’Altaloggia.»
Erein fece una pausa - «La nota positiva della vicenda è che il buon Lord Winter è un uomo che venderebbe la madre al mercato degli schiavi pur di ottenere qualche oscuro artefatto o tomo di empia magia e si da il caso che io abbia con me un paio di amuleti maledetti che lo interesseranno di sicuro. Vi darà quello che volete, statene certi. »
Detto questo il Re Stregone li congedò invitandoli a partire senza ulteriori esitazioni e aggiungendo solo - «Prendete ciò che vi serve dalle armerie e dai magazzini. Che non si dica che ho mandato i miei uomini sprovvisti del necessario in giro per una terra maledetta come questa. »

Ed eccoli, dunque, a Ravensoul gli impavidi avventurieri.
La città – se così si poteva chiamare quel confusionario agglomerato di edifici, spesso fatiscenti – era un luogo davvero tetro. L’abitato era rinchiuso in una conca naturale, circondato da pareti rocciose. Due porte – rispettivamente a nord e a sud- erano le uniche vie d’accesso alla città.
Sembrava che qualcuno avesse escogitato quell’infelice disposizione per ostacolare tanto l’accesso quanto l’uscita e così effettivamente era giacchè Ravensoul in origine era una colonia penale.
Persino il populismo esasperato della Guardia Insonne necessitava di metodi repressivi efficaci.
Oppositori politici, ex sostenitori divenuti dissidenti o disertori, nemici, comuni criminali, membri dell’organizzazione diventati troppo estremi o troppo molli nel condannare il Leviatano vennero deportati in un unico luogo. Ravensoul divenne così un’enorme prigione a cielo aperto in cui i suoi abitanti erano liberi di far tutto eccetto uscire o uscire vivi almeno.
Poi la Guardia Insonne si era dissolta e Ravensoul era rimasta. Dimenticata da tutti divenne terra di nessuno, approdo per criminali in fuga dalla legge, ricettacolo della peggiore umanità
Agli avventurieri mostrò il suo squallido spettacolo. Ovunque, disordinatamente come bozzi su un corpo malato sorgevano edifici di tutti i tipi. La grande taverna in pietra era abbracciata alla squallida baracca eretta con materiali di fortuna, il magazzino invaso dai ratti era prossimo al lindo palazzo di qualche criminale divenuto più ricco dei mercanti che era solito derubare.
Le strade erano sporche di fango, dei rifiuti notturni scaricati dalle finestre, dei resti fumanti degli animali da traino e delle immondizie abbandonate per la via. Di tanto in tanto da un cumulo di stracci affiorava un arto umano e non si poteva dire se apparteneva ad un cadavere o ad un mendicante fintanto che qualcuno non lo stuzzicava.
La gentaglia affollava le arterie di quell’immondo luogo. C’erano bancarelle che vendevano merci d’ogni tipo, prostitute, tagliagole, banchi in cui s’offriva gioco d’azzardo, acquirenti, accattoni.
Rischiare di trovarsi nel bel mezzo di una rissa non era raro, a Ravensoul si combatteva e si moriva per molto poco.
Districarsi da quella massa caotica e perennemente in moto, raggiungere la casa di Lord Winter e uscire illesi era la missione affidata agli avventurieri per quel giorno.


CITAZIONE
QM Point

Eccoci al secondo turno. Iniziamo con un piccolo compito off game: imparare ad utilizzare l’equipaggiamento. Erein offre la possibilità di visitare le sue armerie e magazzini e prendere tutto ciò che vi serve. Nonostante gli utenti siano liberi di aggiungere alla propria scheda – e nei limiti descritti dal regolamento – tutto l’equipaggiamento che desiderano è offerta un’ulteriore possibilità ( e cito esplicitamente il regolamento della creazione della scheda) “…l'equipaggiamento potrà essere anche trovato e utilizzato sul campo, di fatto aumentando il realismo del mondo di gioco che circonda i personaggi”. La sportività impone che non possiate portarvi appresso un numero spropositato di oggetti d’equipaggiamento, lasciandovi la libertà di prendere ciò che vi serve voglio mettervi alla prova. In più mi piacerebbe osservare come e secondo quale logica i vostri PG si preparano ad un viaggio lungo e potenzialmente pericoloso. Altra motivazione è non lasciarvi sforniti, diciamo pure che di base avrete tutto ciò che potrebbe servivi. In cosa questo consista vorrei che me lo diceste voi, elencandolo nel riepilogo di fine post. Non è necessario che descriviate in game la cosa, mi basta una nota nel riepilogo.
Detto ciò passiamo all’azione!
Ravensoul è stata per anni una colonia penale della Guardia Insonne un posto aspro e sperduto tra rocce e gelo, una depressione circondata da montagne. L’accesso alla cittadina era costituito da due passi, entrambi sorvegliati da fortificazioni imprendibili. Durante il periodo di maggior gloria della Guardia Ravensoul fu riconvertita a “caserma” per i cosiddetti Iniziati e Reietti. Questa massa di diseredati, rifiuti umani, traditori e malvagi ha continuato a popolare Ravensoul anche dopo la progressiva disgregazione della Guardia ed ha trasformato Ravensoul in una sorta di “terra di nessuno” in cui la feccia del Nord scappa come ultima speranza di fuggire alle maglie della legge. A Ravensoul si può acquistare di tutto e in molti passano di li prima di un viaggio nell’estremo Nord per assoldare qualche esploratore o assassino prezzolato. A Ravensoul abita anche Leopold Winter, un famoso Reietto esperto nelle arti arcane.
Si dice che l’uomo sia l’unico ad aver visitato Afal negli ultimi anni e che abbia acquisito i suoi poteri vendendo l’anima ad uno degli inquieti spiriti che la abitano.

Il vostro compito in questa prima fase è di esplorare Ravensoul e trovare Leopold Winter.
Avete come indizio un nome, solo un nome e mille possibilità a vostra disposizione.
Ve lo dico fin d’ora non esiste una mappa di Ravensoul. Per spostarvi all’interno della città usate questi punti di riferimento:
Il Gallo Nero ~ E’ la taverna più grande e famosa della città. Varie attività si svolgono al suo interno da quelle puramente ristorative ad altre di cui non si parla apertamente. IMPORTANTE : La casa di Leopold Winter si trova nei sotterranei della taverna. Questo sarà il vostro punto di partenza per il confronto.
Mercato ~ E’ una zona vasta che riempie 2/4 della città. E’ il punto migliore in cui cercare informazioni ma non sempre saranno gratuite.
Ingresso Nord e Sud ~ Rispettivamente il punto da cui dovrete uscire e da cui siete entrati. Ci sono alcune “guardie” che vi sapranno indicare sommariamente i luoghi di maggior interesse della città.

L’esplorazione della città è rimessa alla vostra fantasia, potrebbe essere lunga o breve. Ciò che voglio che facciate, ciò che è davvero essenziale, è collaborare tra voi.
Organizzatevi tra decidete insieme cosa vi succede, come reagite e in che modo riuscite a trovare la casa di Leopold Winter. Ripeto non è necessario dilungarsi troppo, lascio al vostro buonsenso il numero di azioni necessarie.

Fatto ciò, come vi avevo preannunciato, si aprirà una lunga fase di confronto. Giunti nei sotterranei troverete l’abitazione vuota eccezion fatta per alcune creature poco rassicuranti. L’abitazione è divisa in tre stanze classificate per comodità A, B, C rispettivamente: ingresso, studio e laboratorio. Il vostro punto di partenza è ovviamente l’ingresso.
La stanza è più simile ad un lungo corridoio che sbocca in una piccola anticamera. Mappe di ogni luogo misterioso e arcano sono appese alle pareti, tavolini e ripiani pieni di oggetti strani affollano lo spazio ristretto. Tutto è ricoperto di polvere e ragnatele. Nonostante l’aspetto trasandato l’impressione non è quella di un luogo empio o lugubre, anzi l’aspetto generale della stanza vi fa pensare più ad un museo che ad un abitazione privata. C’è un ultimo elemento di rilievo: all’interno dell’anticamera ci sono due porte. La prima è di metallo, catene e chiavistelli rendono evidente che il padrone di casa non vuole che si ficchi il naso al suo interno. La seconda porta è invece abbastanza comune eccezion fatta per un glifo arcano. Decidete cosa fare e vi darò io l’esito delle azioni guidandovi passo, passo.
NOTA: Da questo momento in poi si aprirà una caccia al tesoro. Fate bene attenzione alle descrizioni che vi fornirò in futuro perché è il solo modo in cui poter giungere al primo indizio.



 
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Ashel
view post Posted on 28/8/2015, 17:32






Una città sporca, rumorosa di giorno e inquietantemente silenziosa di notte, sprovvista di fogne e abbarbicata tra montagne che la rinchiudevano come in una morsa, nel tentativo forse di preservare il mondo esterno dal suo putridume e dalle sue perversioni: Ravensoul non era esattamente il luogo che Cassandra avrebbe voluto visitare nel corso delle sue esplorazioni nel territorio di Theras; ma se da Afal doveva aspettarsi il peggio, tanto valeva farci l'abitudine.
La spedizione che il Re Stregone aveva messo in piedi aveva proceduto speditamente alla volta dell'ex prigione della Guardia Insonne, un corpo armato di cui la giovane sirena ottenne poche ma esaustive informazioni da Erein e dai suoi compagni di viaggio. Avevano cibo, acqua, armi e oggetti di valore con cui barattare notizie di importanza vitale per il corso della missione.
Scambiò poche parole con gli altri membri del gruppo e solo se necessario. Tutta quella situazione la metteva a disagio, anzi la atterriva, facendole perdere ogni speranza sulla possibilità di tornare libera e continuare con la sua esplorazione: diverse volte aveva pensato alla possibilità di spedire un messaggio di aiuto alle sue compagne, disperse come lei in ogni angolo del mondo emerso; ma il collare di Erein vigilava a garanzia della sua fedeltà e tanto bastava a farla desistere.
Quale re poteva pensare di comprare la fedeltà dei suoi uomini con la paura? Un tiranno, o forse uno sciocco. Ma loro non erano altro che merce, per lui: sacrificabili come pedine su una immensa scacchiera.
Dalle sue segrete aveva preso tutto ciò di cui aveva bisogno, per lo più chincaglierie da scambiare una volta arrivati a Ravensoul: un volume di arti arcane tutto impolverato dall'aria lugubre e un amuleto elfico di oro massiccio sul quale era stata eseguita una potente fattura. Non essendo una guerriera non seppe scegliere armi che sapesse usare o che potessero risultarle utili in un combattimento corpo a corpo: aveva il suo spadino e il suo arco, e tanto le bastava per sentirsi sicura: non credeva che una volta arrivati ad Afal la dimensione di una lama potesse fare davvero la differenza tra la vita e la morte.
Il gruppo si disperse per trovare informazioni su Leopold Winter e il suo laboratorio di magia. L'unico che sembrava in grado di fornire loro una guida per la città maledetta era un reietto che aveva militato nelle fila della Guardia Insonne e che ora si dilettava praticando la negromanzia in quell'angolo dimenticato del mondo; Cassandra pensò bene di fare le domande giuste alle persone giuste, ovvero prendendo la via del mercato e scivolando nei vicoli e nelle calli maleodoranti in cui si vendevano artefatti, amuleti e tomi magici in cambio di denaro, favori o vili patti di sangue. Rovistò in ogni sudicia bottega in cui maghi, fattucchieri e ciarlatani scambiavano i loro servigi, cercando di non dare l'occhio ma di sembrare, al contrario, una viaggiatrice come tanti altri che capitavano laggiù soltanto per dare seguito ai loro oscuri e malefici intenti. In più di un'occasione dovette ricorrere ai suoi personali artifici per convincere i sedicenti stregoni del posto a fornirle le indicazioni che le servivano; spesso bastava un'occhiata, una carezza o la sua semplice presenza per farli parlare. Ma pochi conoscevano i dettagli della vita di Leopold Winter, la cui fama spesso lo precedeva e sul quale circolavano molte voci false o alimentate dalla leggenda.
Ma fu nel laboratorio di una vecchia strega sdentata che conobbe il metodo per entrare nell'abitazione di Winter. A proteggerne l'ingresso vi era un incantesimo che era necessario eludere con una controfattura non essendo possibile spacciarsi verosimilmente per il padrone, l'unico che potesse entrare e uscire liberamente.
La donna conosceva i metodi dei maghi al servizio della Guardia Insonne perché anche lei, un tempo, vi aveva militato; cosicché le fornì una formula che potesse aprire la porta, da pronunciarsi ovviamente sotto tributo di sangue. Ne bastava una goccia, un taglio per indebolire gli ospiti indesiderati.
Quell'informazione le costò l'amuleto e il tomo di magia, che Cassandra si vide sottrarre peraltro con grande sollievo.

~

La casa di Leopold Winter si trovava nei sotterranei dell'unica locanda della città, una bettola che persino i più coraggiosi e spregiudicati marinai di bassa lega di Dorhamat avrebbero preferito evitare: il Gallo Nero. Erano stati i suoi compagni a ottenere quell'indicazione durante il loro sopralluogo.
Eorfhild era impaziente di continuare l'esplorazione e quando Fray fece per avvicinarsi a una delle due porte presenti nell'abitazione Luka intervenne cercando di placare gli animi.

- Sta' indietro... Non puoi sapere quale incantesimo nascondano quei segni. Cerchiamo prima degli indizi in questo corridoio; quando avremo finito, allora ci rivolgeremo alle altre stanze.

- Vero. Ma ricordatevi che dobbiamo trattare con quest'uomo. Se ha lasciato trappole, preferirei sbarazzarmene prima di iniziare a fare trattative. Del resto stiamo parlando di un personaggio alquanto malfamato.

I quattro si scambiarono vicendevoli occhiate. Cassandra si avvicinò alla porta e osservò lo strano simbolo che Luka sembrava temere tanto: ancora una volta incappavano in una forma di magia che nessuno di loro conosceva.
A quel punto fece per aprire bocca ma Eoforhild la precedette.

- Al diavolo, andiamo!

Si avventò sulla porta con tutta la forza bruta di cui disponeva e ciò bastò a spianare la strada: un metodo decisamente poco ortodosso - e anche poco saggio - ma senz'altro efficace!
La giovane tossicchiò a causa della polvere e si preparò ad affrontare magie, maledizioni o altre sgradevoli conseguenze per la loro irruenza; ma dalla stanza giunse solo un debole strillo e una voce acuta, fastidiosa.

- N-non attaccate il buon Majontus! Pietà, non fategli del male!

A quel punto apparve ai loro occhi una creatura alata, munita di corna e di zanne, che svolazzava spaventata da una parte all'altra.

- Ospiti? Sisisisisi! Ospiti! Il padrone non c'è! Majontus vi aiuterà ma voi non fate del male a Majontus si?Cosa vogliono gli ospiti? Ditelo a Majontus!
Majontus aiuta! Sisisisisisisisisi! Ma voi dovrete giocare con Majontus. Le regole del gioco sono tutte qui! Sisisisisisisi! Una risposta per una risposta questa è la norma. Sisisisisisi. Dicendo "accetto" si gioca e al gioco non puoi più sottrarti. Sisisisisisi. Se sbagli Majontus ti mangia gli occhi. Nonononononono. No va bene ... Se sbaaaaaagli ... mmmmmm ... se sbagli .... Se sbagli Majontus ti fa uno scherzetto. Sisisisisisisi! Allora belli miei giocate con Majontus?


Cassandra, piuttosto sorpresa, esitò a dare una risposta. Quella situazione imprevista la irritò irrimediabilmente, se non altro perché non avevano assolutamente tempo di giocare con i tirapiedi di Winter. Senza contare che non potevano sapere di che cosa fosse capace, nel caso fossero usciti perdenti...
Comunque alla fine accettarono tutti e Majontus somministrò loro degli indovinelli che spesso avevano lo scopo di confondere le idee; la fortuna volle che fossero in grado di rispondere correttamente e poterono ottenere da lui nuove informazioni sul suo padrone.
La stanza in cui avevano fatto irruzione era invero lo studio in cui il negromante conservava appunti, tomi e mappe. Majontus fu piuttosto vago su quest'ultimo aspetto e sembrava non conoscere affatto Afal né la destinazione di Winter, che sembrava disperso; seppero però che nella sala attigua si trovava una sfera magica in grado di condurli ovunque volessero e un oggetto maledetto che il demonietto sembrava temere molto.

- Hai detto che al tuo padrone non importa se tocco il suo scrigno. Che diresti, invece, del suo laboratorio? Ti dispiace se proviamo ad aprire quella porta?

- A me non interessa ma al padrone non piacciono gli ospiti. Peeeeeeeeeeeeeeeeeeeeerò ... Lui non c'è. Se non lo sa non può arrabbiarsi.

Quindi, li congedò dando loro le spalle e trastullandosi con alcuni libri aperti sul pavimento.
A quel punto non ci fu spazio per i ripensamenti. Luka si avvicinò alla porta blindata e la esaminò brevemente prima di provare ad aprirla.

- Indietro. Lasciate che ci pensi io.

Cassandra non riuscì a vedere bene i suoi movimenti, ma gli servì davvero poco per liberarsi delle catene che proteggevano l'ingresso. Si era presentato a loro come un semplice viandante, non volendo dire altro su di sé o sul suo passato; si trovavano del resto ad agire insieme per una sfortunata coincidenza, ma questo non faceva di loro una squadra e nessuno desiderava condividere con gli altri più di quanto fosse necessario, ma era chiaro che nessuno era stato scelto a caso.
Il laboratorio di Winter era un'accozzaglia di oggetti, libri e chincaglierie di vario genere che negli anni aveva stipato sugli scaffali o su enormi da tavoli da lavoro che riempivano inquietantemente la vastità della sala.
La loro attenzione fu però catturata da alcuni oggetti sistemati con maggiore cura: una sfera di cristallo, delle teste mozzate mummificate, delle mani raggrinzite e uno scrigno aperto dal quale provenivano dei tetri riflessi di luce.
Fu allora che Cassandra percepì all'altezza della gamba un calore improvviso; subito infilò una mano nella tasca e sentì che l'oggetto che si era portata dai sotterranei del Palazzo di Deyrnas aveva cominciato a scottare. Si trattava di un ciondolo di vetro legato da una catenina di metallo, privo di qualsiasi attrattiva o valore, che tuttavia si era portata appresso perché in grado, come le aveva detto il Re, di captare la "magia più oscura". Lei non conosceva la differenza tra una semplice fattura e la negromanzia, perché non aveva familiarità con nessuna forma di magia: ma nel momento stesso in cui si avvicinò allo scrigno e sentì il medaglione pulsare insistentemente nelle sue tasche seppe con certezza che cosa di preciso intendesse dire Erein quella volta.
Esaminarono la sfera, poi l'attenzione di lei e di Luka fu rivolta unicamente all'oggetto contenuto nello scrigno, tanto che non notarono Eoforhild che trafficava con le mani secche poco distanti.
A quel punto sentirono una risata e furono colpiti da una serie di attacchi magici; le teste, se interpellate, parlavano!
Le interrogarono su Afal e su Winter, e scoprirono che il padrone non era sparito, era semplicemente trapassato... Ma fu allora che Luka, fattosi coraggio, afferrò il frammento contenuto nel forziere e tutto si fece confuso.
A Cassandra girava la testa, sentiva un'improvvisa stanchezza... E intorno a lei tutto tremava, tutto precipitava verso il basso, roteava, esplodeva in mille sfumature di oscurità...

- Bene, bene, bene ... Ladrucoli in casa mia ... Che razza di fine ha fatto Majontus?! Spero proprio che abbia fatto il suo lavoro dannazione! Mmmm non c'è da fidarsi di quello stupido zuccone ... Vorrà dire che provvederò io! In guardia bifolchi!

Leopold Winter, quello che una volta era stato un uomo, era apparso a loro per ucciderli: un cadavere ambulante, con occhi senza orbite e carni divorate dal tempo e dall'odio. L'odore di morte lo precedeva e infestò il laboratorio di un lezzo insopportabile.
Ciascuno di loro si difese come poté; attaccarono tutti con le armi di cui disponevano ma i tentativi di Cassandra per distrarlo e permettere ai suoi compagni di attaccarlo frontalmente fallirono quasi sempre. A sfiorare la sua presunta invulnerabilità furono gli altri, ma la sua magia sembrava troppo grande per essere contrastata.
Così, la giovane decise di giocarsi la sua ultima carta: apparve distintamente accanto a loro il profilo sottile e longilineo di Erein Dewin, con il suo sorriso malvagio e il suo sguardo sornione, avvolto in un fascio di luce bianca che penetrò le ombre della stanza scacciandole indietro.

- Suvvia, Winter, sappiamo entrambi che ci darai quello che ti chiediamo...
In fondo, si tratta solamente di uno scambio!


Ed egli - o perlomeno la sua illusione - attaccò con una lingua di fuoco che si dipanò dalle sue mani per raggiungere il negromante, nel tentativo di aiutare i suoi servitori a portare a termine la missione...
... ma l'illusione svanì in un attimo, vanificata da un gesto secco di Winter.

- Una buona prova ma ti sei dimenticata due piccoli particolari: primo le illusioni non attaccano ... Svelerebbero la loro natura. Secondo Erein di Deyrnas non verrebbe mai qui di persona e soprattutto non si sarebbe mai perso il gusto di attaccarmi con il suo nuovo giocattolo: la Spada senza un Re. Studia meglio il tuo soggetto la prossima volta ...
Accettabili, tutti quanti. Facciamo un accordo voi mi dite cosa state cercando ed io... Valuterò se lasciarvi vivi. In fondo avevo proprio bisogno di un paio di lacchè nuovi di zecca. I miei sono ... Fuori moda ... Si diciamo così
.

- Cerchiamo qualcosa che conosci molto bene, Winter - Afal. Specificatamente, uno stendardo e un libro di araldica, oggetti che sarebbero nascosti nella città. Non penso che tu abbia mancato di comprendere che Erein Dewin è immischiato in tutto questo. Temo che non potremo essere i tuoi lacchè finché saremo costretti ad essere i suoi. Ci è stato detto di cercarti, e così abbiamo fatto. Ci è anche stata data della... merce di scambio per trattare con te le informazioni che ci servono. Ma se continui a tenerci così legati temo che non potrò nemmeno raggiungere le mie tasche per mostrarti questo amuleto di cui parlo...

- Tenetevi pure le vostre cinciscaglie Sono morto, ormai non so che farmene. Quello che cerco è qualcos'altro ... la Pace. La sfera, vi condurrà ad Afal in cambio di un prezzo di sangue. Chi offrirà il proprio sangue dovrà pronunciare il nome della località prescelta diventerà la guida del gruppo e avrà una mappa mentale che lo aiuterà a raggiungere la meta. Vedo che avete già messo le mani tra le mie cose. Il frammento che mi ha evocato è la metà di un anello che apre una tesoreria ad Afal. Al suo interno sono contenuti molti oggetti magici ... Tutti maledetti. La mia spada di acciaio nero l'ho presa li ... Da quel giorno non ho avuto pace da vivo e come potete vedere non ne trovo nemmeno da morto. Quello che vi chiedo è semplice: riunite i pezzi del sigillo, cercate la metà perduta e una volta ad Afal riportate questa maledetta spada al posto a cui appartiene ... Io troverò la pace e voi ...bè quello che vi accadrà dipende solo da voi. Afal è un luogo che non dimentica ...

Il medaglione bruciava a tal punto da impedire a Cassandra di toccarlo.
La compagnia che Erein aveva messo in piedi si trovava a quel punto a un bivio; quello che però nessuno desiderava era trovare un altro padrone, qualcuno con cui avere un debito da pagare. Winter aveva proposto loro uno scambio e se rivolevano indietro la libertà avrebbero dovuto accettare.
Cassandra si guardò intorno spaurita.
Chi di loro si sarebbe offerto volontario?



Cassandra



Mente: 75
Corpo: 50
Energia: 140
Armi: Spadino; Arco lungo [15/15]
Danni: 1 medio diffuso, 1 basso diffuso
(1 basso curato)

Passive attive:

» Fascino: Le sirene sono in grado di esercitare un'influenza tale sulle altre creature da essere in grado di condizionarne la volontà semplicemente con la loro presenza. Possono emanare un'aura attorno a loro influenzando qualunque creatura nei dintorni, inducendola a non contraddirle o a seguirle, o ancora a temerle.
Ciò si traduce in un'influenza psionica passiva che spinge le vittime a fidarsi di loro e ad accondiscenderne le richieste, anche quando queste comprendano azioni dannose o pericolose.
(Numero di utilizzi: 6)
[Passiva Affascinare Talento Lv 1]

Attive utilizzate:

» Mente di Ferro: Grazie al suo addestramento ferreo Cassandra è in grado di schermare la propria mente in modo da prevenire o dissipare completamente i danni di una malia psionica nei primi momenti in cui cerca di indebolirne le volontà.
[Abilità personale 2/25, Difesa Pionisca, Consumo Medio, Mente, 2 pt]

» Illusione amplificata: Cassandra crea sul campo di battaglia un'immagine che inganna tutti i cinque sensi, in grado di spostarsi ed emettere suoni, e che può essere percepita da tutte le persone sul campo di battaglia, invece che solamente da una. Tale illusione può rappresentare una persona, una creatura, un avvenimento o persino modificare l'aspetto del campo di battaglia stesso per intero.
Influenza tutti i presenti, per un turno. Natura psionica.
Consumo: medio, energia

» Canto delle sirene: L'avversario udirà per due turni un canto lontano e incessante che lo distrarrà continuamente e gli impedirà di mantenere attiva la concentrazione sullo scontro o suoi nemici. La malia deve essere intesa come un attacco psionico passivo.
[Abilità personale 7/25, Attacco psionico, Consumo Basso, Mente, 1 pt]

Riassunto: Come da confronto.

Note: Il medaglione in grado di percepire la magia oscura è un oggetto che ho deciso di inserire più per ragioni narrative che altro, ma credo che da qui in avanti potrebbe essere utile per orientarsi ad Afal. Lascio comunque a te, Malz, decidere se sfruttarlo pienamente in game per fornire indizi o altro.
 
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Atelstano
view post Posted on 30/8/2015, 00:17




Annusai l'aria, più volte.
Mi guardai introno, ancora e ancora.
Tesi l'orecchio, ma nulla.
Niente, assolutamente niente. Escludendo quel fatiscente agglomerato di pietre e mattoni con la parvenza di una città, facendo finta di non vedere tutto il marciume che popolava quel posto, non c'era nulla. Nulla che potesse spiegare quella sensazione di disagio che piano piano cresceva in me. Non la strada coperta di fango, non i reietti che abitavano quei posti, né tantomeno i mendicanti che affollavano i vicoli.
Nulla, se non quel tenue raggio di luce che io solo potevo vedere e presagiva la mia follia.

Ci trovavamo a Ravensoul: prima tappa del nostro viaggio. Dovevamo trovare un certo negromante.
Eravamo in quattro, appunto. Io, Cassandra – una bella donna dai biondi capelli – Fray, un monaco da chissà quali poteri nascosti e Luka, un viandante – stando a quanto diceva.
Decidemmo di dividerci per trovare informazioni ed io e Luka ci ritrovammo, infine, in una locanda. Il Gallo nero, recitava l'insegna.

« Non sarà difficile trovare qualcuno che voglia dirci qualcosa di lui... di Leopold Winter. »

Pronunciò l'uomo.

« Di tempo ne abbiamo a sufficienza, non credi? Beviamo qualcosa, raccontami di te. »

Sospirai. Odiavo i negromanti, odiavo Erein, odiavo quella missione, odiavo tutto. Ero abbastanza irritato – me ne rendevo conto, credetemi – da avere la mente occupata solo da pene a rammarichi. Non pensai al fatto che potevo cogliere quell'occasione per fare nient'altro che una sana chiacchierata.

"Io, beh, non sono niente di più di quello che vedi. Un folle pover'uomo che avrebbe dovuto perdere la vita già più volte."

Mi fermai per qualche istante; forse stavo esagerando con le confidenze, ma come biasimarmi? Da quanto tempo non parlavo con un amico (considerando, poi, che i miei amici erano diventati i miei carcerieri!)?

"Ma, a quanto pare, lassù deve esserci qualcuno che mi assicura la buona sorte!"

Scattai in una risata – piuttosto fragorosa a dire il vero. Era forzata, ovviamente, quasi volessi distogliere l'attenzione da quanto avevo appena pronunciato. Il motivo? Credetemi, non lo so. Non avevo idea di cosa mi passasse per la mente, e me ne rammaricai!

"Tu, piuttosto. Mi incuriosisci: se non sei in grado di affrontare uno scontro, per quale motivo sei stato scelto per questa missione? Che talenti nascondi, viandante?"

Aggiunsi, spostando la conversazione verso di lui.

«Talenti? Niente di più che qualche trucchetto, quel che basta per restare vivo lungo la strada. Non sono un fratello d'arme, Eoforhild. Non sarò con te sul campo di battaglia, ma ti coprirò ugualmente le spalle - alla mia maniera.»

Non vi nascondo che quell'uomo mi incuriosì parecchio e avrei voluto approfondire il discorso, ma proprio in quel momento l'oste giunse al tavolo e subito mi tornò in mente qual era il nostro obbiettivo.

"Portateci un paio di bicchieri di rum."

Pronunciai, prendendomi qualche attimo prima di riprendere a parlare.

"E magari diteci qualche parola riguardo un tale. Son certo che ne avete sentito parlare: Leopold Winter, vi dice nulla?"

« Una richiesta insolita, straniero. Perché lo cercate? »

Rispose, tentando malamente di mascherare l'agitazione.

"Affari, Sir, affari. Nulla più, credetemi. E ricompenseremo chiunque ci aiuti a trovarlo."

Dissi, mostrando un bracciale d'oro. Si trattava di un pezzo di un'armatura, presa dal magazzino di Erein. Non era granché resistente, ma diavolo se era bella! Probabilmente si trattava di un'armatura da esibizione o qualcosa del genere: del tutto inadatta in guerra, ma utilissima per contrattare.

"Beh, seguitemi: non mi sembra il caso di parlarne qui"

Mi limitai ad annuire e seguimmo l'oste in uno stanzino dietro le cucine. Pareva un ripostiglio, disordinato e sporco, ma di certo con la giusta intimità.

" Dammi il bracciale. "

Intimò l'oste.

« Prima vogliamo sapere dove si trova Lord Winter. »

Intervenne Luka.

" Non farmi perdere tempo! Vi dirò solo questo: Leopold Winter è una serpe, e come tale si rifugia nei cunicoli sotto i nostri piedi; cercate sotto la città. "

L'oste riprese il gioiello ed io e Luka indugiammo ancora un po' in taverna. Tutti facemmo finta che non fosse successo nulla, ignorandoci l'un l'altro.

« Un indizio, anche se vago - è sempre un indizio. Forse i nostri compagni sono riusciti a scoprire dove si trova l'ingresso a questi sotterranei, di cui parlava l'oste. »

Pronunciò Luka – a ragione.
Tornammo all'ingresso della città e condividemmo le nostre informazioni.
Fu ironico scoprire che eravamo giunti ad un passo dalla casa del negromante, ma eravamo tornati indietro: il luogo che cercavamo era proprio il sotterraneo del Gallo nero!


Sotterranei.

Un lungo corridoio, pieno di cianfrusaglie. Due porte: una blindata, l'altra no.
Una situazione semplice, avrei detto. Bisognava semplicemente attraversare almeno una di quelle porte.
Ma il monaco e il viandante continuavano ad esitare di fronte a quella situazione. Diamine, cosa aspettavano? Che si sarebbe aperta da sola?
Capivo il pericolo dato dalla presenza dei glifi, le probabili trappole e che si trattava sempre della casa di un negromante, ma non potevamo passare la vita in quel seminterrato.
Ero irritato: sapevo di essere un po' impaziente ed a tratti impulsivi, ma, cavolo, cosa c'era da fare ancora?
Li lasciai parlare per qualche secondo circa la strategia migliore da adottare, poi intervenni a modo mio.

"Al diavolo, andiamo"

Dissi, sfondando la porta senza catene con un calcio. Una nube di polvere si diramò all'istante, tanto che dovetti trattenere il fiato per evitare di inalarla.
Dopo qualche istante feci per inspirare, ma non ci riuscii: il collare cominciò a stringersi, sempre più forte, rievocandomi una sensazione che conoscevo fin troppo bene.

"Erein..." Biascicai nella mia mente.

« E' QUESTA LA MANIERA DI COMPORTARSI BIFOLCO? ENTRARE IN CASA D'ALTRI E BUTTARE GIU' UNA PORTA?»

Sentii la morsa allentarsi, ma quella voce continuava nella mia mente.

« Rifletti sciocco! Sei nella casa di un negromante! E se la porta fosse stata maledetta? E se ora Lord Winter si rifiutasse di collaborare? Rifletti prima di agire, RIFLETTI! O la prossima volta ti lascio soffocare.»

Mi vergognai di me stesso: ero io lo stolto, non gli altri.

«N-non attaccate il buon Majontus! Pietà, non fategli del male!»

Non fu Erein a pronunciare quest'ultima frase, ma un demonietto presente nella stanza, spaventato – probabilmente, dall'entrata teatrale dei quattro.
Misi da parte la vergogna e la frustrazione e mi confrontai su questo nuovo individuo.
Ero diventato bravo ad ignorare i pensieri ed i sentimenti. Forse l'aver sperimentato tanta follia mi aveva reso più forte, quantomeno mentalmente.

Dopo che il monaco e il viandante rassicurarono Majontus e gli chiesero informazioni, quest'ultimo ribatté che avrebbe risposto ad una sola domanda a testa, a patto che la persona che gliel'avrebbe posta sarebbe riuscito a risolvere un indovinello.

«Ho un paio di scarponi: in uno ci sono due buchi e nell’altro tre. Che ore sono?»

Pronunciò con uno sguardo furbo, quando fu il mio turno.
Mi presi un attimo per pensare. Che diavolo c'entravano le scarpe con l'ora? E i buchi? Il fatto che da una parte ve ne fossero due e dall'altro tre in che modo poteva influire sulla mia risposta?
Diavolo, diavolo, diavolo!
Che razza di scarponi, poi, potevano mai avere tutti questi buchi? Un paio di scarpacce usate e riusate, che a quest'ora dovrebbero già essere state buttate, ecco quali!
...
A quest'ora?
...

"È ora di cambiare questi scarponi, diamine!"

Esclami infine, quasi divertito! Beh, sì, dai, ero riuscito a venire a capo di quell'indovinello, ne ero sicuro ed il demonietto me ne diede presto conferma: perché non mostrare un po' di entusiasmo?
Ma la situazione era seria ed il riso cessò ancor prima di iniziare.

"In quale parte dell'edificio, precisamente, si trova la mappa per Afal?"

Dissi, esponendo nella maniera più chiara e inequivocabile la domanda che mi ero guadagnato. Majontus era pur sempre un demone dispettoso, e si sarebbe aggrappato a qualsiasi appiglio pur di evitare di rispondere alle nostre domande.

«Afal? Chi è Afal? La fuori è pieno di mappe... Ma se non trovi niente di interessante c'è una sfera nel laboratorio del Padrone. Conduce ovunque vuoi andare ...»

Rispose.
Ci toccò recarci nell'altra stanza alla ricerca di quella sfera.

« Indietro. »

Disse luka, andando per primo verso la porta.

« Lasciate che ci pensi io. »

Aggiunse, trafficando con le catene e torcendole con facilità.

"Nient'altro che un viandante, eh?"

Pronunciai beffardo, quasi per provocarlo bonariamente. Infondo era chiaro che non era un individuo qualunque.
Lui ignorò le mie parole e si diresse all'interno della stanza.
Rimasi perplesso per qualche istante, e la mia mente toccò pensieri che stranamente ancora non mi avevano sfiorato.
Quel Luka – l'ho già detto – non era un individuo qualunque. Ma nessuno di loro, no, nessuno di noi, lo era.
Eravamo tutti dei condannati a morte, per questo ci trovavamo lì!
Squadrai ad uno ad uno i miei "compagni".
La bella Cassandra, l'umile monaco, il misterioso viandante. Cosa mai avevano potuto compiere per guadagnarsi una sentenza di morte?
Certo, potevano essere innocenti – come me, ma... Potevo realmente fidarmi di loro?
Un brivido mi percorse la schiena: cominciai a tremare.
Mi sentii incredibilmente solo in quel momente.
Un ennesimo raggio di luce – ancora flebile, per fortuna, fece irruzione nella mia mente.
Per un attimo pensai di abbandonarmi all'altro mondo e cedere alla follia, ma fui abbastanza lucido da considerarlo come una condanna a morte: Erein, di certo, non si sarebbe fermato e mi avrebbe ucciso, questa volta.
Dovevo andare avanti.

Entrai titubante nella stanza e subito la mia attenzione fu attratta dalle raccapriccianti cianfrusaglie li presenti. Osservai una mano raggrinzita che stringeva una candela e provai un profondo disgusto.
Era familiare, estremamente familiare. L'avevo già vista, ma dove?

"Ma che schifo..."

Sussurrai

"A cosa può mai servire questa roba?

Aggiunsi e nonappena pronunciai l'ultima lettera ricordai dove l'avevo già vista.
Anni fa, a Hertfordshire, c'era un mago che di tanto in tanto faceva irruzione nelle case dei cittadini. Non era un bravo ladro, no di certo, ma riusciva sempre a farla franca.
Dopo mesi di furti, finalmente riuscimmo a braccarlo e dopo che lo interrogammo, confessò.

"Beh, si tratta pur sempre di un negromante. Non sono sicuro di quello che sto per dire, ma se questo è quello che penso, si tratta di un oggetto che permette di rubare impunemente.
Una mano di un cadavere che stringe un candela fatta del suo stesso grasso... Raccapricciante."


Espressi ad alta voce i miei pensieri, afferrando la mano: infondo se ricordavo bene, il suo potere poteva tornarci utile.
Fu un grave errore.
Appena le mie dita strinsero quella carne putrefatta, la candela si accese. La fiamma era di un irreale colore blu e fin troppo grande rispetto a quanto mi aspettassi.
Cominciò a tempestare tutti con le sue fiamme: fui troppo sorpreso per tentare di schivarle!
Fortuna volle che intervenne Fray, il monaco, che la spazzò via facilmente con un calcio.
Il vero problema, però, non era quello.
Nel frattempo nella sala aveva fatto la sua apparizione nientemeno che lord Winter in persona: il negromante che tanto avevamo cercato!

«Bene, bene, bene ... Ladruncoli in casa mia ...» -

Affermò

«Che razza di fine ha fatto Majontus?! Spero proprio che abbia fatto il suo lavoro dannazione! Mmmm non c'è da fidarsi di quello stupido zuccone ... Vorrà dire che provvederò io!»

Sollevò le braccia e scaraventò verso di noi un'ondata di pura energia oscura.

«In guardia bifolchi! »

Osservai la scena impietrito.
Cosa diavolo stava succedendo?
L'energia mi colpì dritto al petto, così forte che per un attimo pensai che mi fossi rotto qualcosa.
Tastai velocemente ed in maniera tutt'altro che accurata la parte colpita, per assicurarmi che fosse tutto a posto.
Guardai gli altri: in una maniera o nell'altra erano riusciti a reagire e contrattaccare.
Erano forti, dannazione.
Oltre che solo, in quel momento mi sentii anche debole.
Estrassi la pistola e sparai un colpo al negromante.

«Rozzo ma efficace. »

La spalla esplose letteralmente, ma il negromante parve calmo; osservando il suo braccio che si rigenerava, ne compresi presto il motivo.

«Stattene buono anche tu ... »

Aggiunse, mentre dei tentacoli cominciarono ad impedirmi movimenti.
Non feci nulla per contrastarli, ma con la mano tremante continuai a tener sotto tiro l'uomo.

«Facciamo un accordo voi mi dite cosa state cercando ed io... Valuterò se lasciarvi vivi. In fondo avevo proprio bisogno di un paio di lacchè nuovi di zecca. I miei sono ... Fuori moda ... Si diciamo così. »

Era disposto a trattare, anche lui.
Qualcuno una volta disse che giocando le carte giuste, chiunque sarebbe sceso a compromessi. Se lo aveva fatto persino un morto, forse aveva ragione.

«Vedo che avete già messo le mani tra le mie cose. Il frammento che mi ha evocato è la metà di un anello che apre una tesoreria ad Afal. Al suo interno sono contenuti molti oggetti magici ... Tutti maledetti. La mia spada di acciaio nero l'ho presa li ... Da quel giorno non ho avuto pace da vivo e come potete vedere non ne trovo nemmeno da morto. Quello che vi chiedo è semplice: riunite i pezzi del sigillo, cercate la metà perduta e una volta ad Afal riportate questa maledetta spada al posto a cui appartiene ... Io troverò la pace e voi ... Bè quello che vi accadrà dipende solo da voi. Afal è un luogo che non dimentica ... »

Non dissi nulla.
Appena fui in grado di muovermi, raccolsi la spada.
Non mi importava della sciagura che portava con sé: avevo già perso l'amore, la libertà, e persino la ragione, cos'altro poteva togliermi quell'arma maledetta?
Gli altri erano riusciti a meritarsi la "fiducia" di lord Winter grazie alle loro abilita, mentre per quanto mi riguardava, il merito era attribuibile alla pistola: senza armi non sapevo se sarei riuscito a nuocergli!
Ero debole – me ne resi conto – ma disposto a qualsiasi sacrificio pur di avere maggiore forza. Sì, perché ero sicuro che il negromante aveva preso la spada per questo motivo.
Se fossi diventato più forte, avrei facilmente riguadagnato la mia libertà.
Diventando più forte, avrei potuto riavere la mia donna.
Non mi importava della sanità mentale – quella, ormai, la avevo persa.
Beh, forse non del tutto, ma, lo vedete, no? Vedete come continuavo a perseguire la strada della follia con questo raccapricciante raziocinio?



Corpo: 100 - 10 - 10 = 80%
Mente: 100 - 10 + 5 = 95%
Energia 100 - 5 - 10 = 85%

Armi: 2 katane - 1 archibugio - 2 pistole - 8 pugnali da lancio.
Armi naturali: pugni
Armatura naturale: corpo

Tecniche usate:
Focus – Con un po' di concentrazione, Eoforhild riesce a far fronte alla sua follia. Si tratta di una difesa psionica di potenza e consumo bassa, di natura psionica e che può difendere solo tecniche psioniche, e che – per essere usata – consuma l'energia.
Aim – Si tratta di un semplice attacco a distanza, sferrato con un proiettile particolare della pistola, con un lancio particolare di un pugnale, o sfruttando l'ambiente esterno per arrecar danno all'avversario. È una tecnica fisica di potenza e consumo medio, che causa danni al corpo dell'avversario e che – per essere usato – consuma l'energia.

Note:
Dai magazzini di Erein prendo il bracciale scambiato, una bussola ed un paio di pugnali con inciso lo stemma del re.

Uso il potere del collare per curarmi il 5% in mente.
Tutto il resto è già stato detto in confronto, penso sia inutile ribadirlo qui.


Edited by Atelstano - 30/8/2015, 11:20
 
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Indovino titubante
view post Posted on 30/8/2015, 03:00





Si era già scordato che cosa gli avesse preso il Signore di Deyrnas. Quel che gli era appartenuto doveva essere qualcosa di rotondo, simile a un grumo rosso di calore, ma non avrebbe saputo dirne il nome. Poteva toccarlo, tenerlo fra le dita; poteva soffiarci sopra con i suoi pensieri, ma nessuno di questi glielo avrebbe detto. Che cos'era quel che gli era stato rubato? Era un intimo legame, il pegno della sua fedeltà al re, e accarezzava l'immagine di un futuro in cui l'avrebbe avuto indietro, tutto per sé. L'idea lo stuzzicava a tal punto che la curiosità lasciava presto il posto al desiderio - e il desiderio alla brama, che correva senza tregua sulle pareti della sua testa. Era la vibrazione di una tiepida melodia d'ambiente, che pizzicava le sue intenzioni come le mani di una donna sulle corde dell'arpa. Afal era sì un luogo distante, ma lì lo avrebbe condotto: dove giacevano il manuale di araldica e lo stendardo per Erein, il re, e dove l'attendeva anche il suo...
« Luka. » si ritrovò a dire ai suoi compagni di viaggio. Rispondeva distratto alle parole del monaco, mentre era intento a stringere una fasciatura in tessuto attorno al suo braccio sinistro. Dietro il suo capo sporgeva l'impugnatura di una daga, custodita all'interno di un fodero che pendeva dalla cinta legata attorno al petto. Aveva preso dall'armeria e dal magazzino del re tutto quel che poteva servire per il suo viaggio: per proteggersi dal gelo del Nord, una giacca che lo copriva fin sotto la vita e un paio di stivali in cuoio, che non avrebbero risentito del terreno scosceso. « Non ero altro che un viandante, prima di trovarmi prigioniero del re. Se dovessimo essere costretti ad uno scontro, non fate affidamento su di me. »
Così terminarono le presentazioni: Fray era il monaco dal capo rasato, Eoforhild il guerriero e Cassandra la donna, un magico riflesso nei suoi occhi.


Ravensoul

La loro ricerca li avrebbe condotti a Ravensoul, cittadina stretta nel cerchio roccioso di una montagna: una terra mista di gelo e fango, per i viaggiatori un presagio di quei sentieri impervi e dei luoghi inospitali che li attendevano sul loro lungo cammino verso il Nord. I suoi abitanti erano quel che restava dei prigionieri di guerra e dei reietti di un tetro capitolo della storia; ladri e briganti vi si rifugiavano ancora, poiché era lontana dal braccio della legge, e uomini senza scrupoli si aggiravano per le vie affollate del suo mercato nero. Nascosta fra le maglie di questo intrico, soltanto chi possedeva un orecchio acuto e nervi saldi, chi sapeva dove guardare poteva cogliere l'opportunità che Ravensoul rappresentava. Quando la compagnia ebbe attraversato, infine, i cancelli della grande porta a Sud della città, i suoi membri si separarono e andarono ciascuno in cerca di un briciolo d'informazione. « Andrò io con lui » disse Luka, affiancandosi sulla sua strada al guerriero che aveva lanciato l'invito. « Ci ritroveremo qui, come stabilito. »
Li fermarono poco più avanti la luce soffusa e gli schiamazzi provenienti dall'affollata taverna del Gallo Nero, un povero luogo di ritrovo invero. Era un vecchio edificio in pietra e legno, ma avrebbe ricordato ai più gli stracci di una vecchia mendicante, rattoppati qua e là con materiali di fortuna e rosicchiati dall'incessante attività dei ratti. La porta era aperta ai viandanti: Luka fece cenno ad Eoforhild di seguirlo all'interno e aprì la via fino a un tavolo in un angolo appartato del locale. In attesa di qualcuno che venisse a prendere il loro ordine, si guardava attorno con aria pensosa: in un luogo simile, il loro aspetto trasandato non avrebbe destato l'attenzione di alcuno. Li osservavano tuttavia alcuni sguardi torvi, e altri incuriositi per via dei loro volti stranieri. Si sporse d'un tratto verso il suo compagno, in modo che la sua voce lo raggiungesse nel mezzo del brusio. « Non sarà difficile trovare qualcuno che voglia dirci qualcosa di lui... di Leopold Winter. »
Lord Leopold Winter, deprecabile negromante e reietto fra quelli che un tempo erano stati la Guardia Insonne, era colui che - a detta di Erein di Deyrnas - era in possesso delle uniche mappe che potessero guidarli fino alla città di Afal. Quel nome, e nient'altro, era il motivo per cui i prigionieri indugiavano a Ravensoul: altrimenti, un luogo che diversi fra loro non avrebbero mai incrociato coi propri passi. Anche fra la sua gente, tuttavia, il negromante era un uomo di cui pochi ardivano parlare; quel che lo riguardava era un'informazione che gli stranieri avrebbero pagato a caro prezzo. Per un bracciale dorato, così li ricambiò l'oste del Gallo Nero: « Vi dirò solo questo: Leopold Winter è una serpe, e come tale si rifugia nei cunicoli sotto i nostri piedi; cercate sotto la città. »
Era poco più che un indizio, ma tanto bastava. Una volta riunitisi ai loro compagni, Luka ed Eoforhild tornarono con loro nei dintorni della stessa locanda; sul suo retro trovarono l'ingresso allo scantinato che, come avevano dedotto dalle informazioni in loro possesso, li avrebbe condotti nelle stanze di Leopold Winter.

. . .

Si calarono all'interno di un corridoio costipato di cianfrusaglie e vecchie pergamene. Era uno spazio angusto, che pizzicava la gola con il tipico sapore terroso della polvere. Al suo termine, v'erano due porte di fronte a loro: la prima aveva numerosi chiavistelli, serrature e catene di ferro a tenerla al sicuro, mentre la seconda sarebbe stata spoglia, se non fosse stato per un simbolo dipinto con della vernice rossa - un glifo magico, con tutta probabilità. Ignorando la sua natura, Luka ne aveva forse più timore di quel che immaginava giacesse oltre. Si fece d'un tratto silenzioso, accostando l'orecchio. « C'è qualcuno. » finì a malapena di sussurrare, prima che Eoforhild lo facesse da parte e si gettasse con tutta la sua violenza contro la porta, sfondandola. Prima ancora che potesse vedere a chi appartenesse, una voce innaturale gridò: « N-non attaccate il buon Majontus! Pietà, non fategli del male! »
Un demone si agitava, ora avanzando e ora ritraendosi, e sollevava le pagine aperte su di una scrivania; libri - in un numero indefinito - stretti l'uno contro l'altro sui numerosi scaffali che correvano lungo le pareti, e altri ancora impilati sul pavimento. Majontus - pelle rossa e coriacea, ali e coda lunga, corna di montone e grandi orecchie a punta - osservava gli stranieri col suo sguardo impaurito. Con un cenno della mano e del capo, Luka volle mostrargli che le sue intenzioni non erano maligne. « Perdona l'irruenza di Eoforhild. » seguì alle parole rassicuranti del monaco; Eoforhild, dal canto suo, sembrava che fosse alle prese con il castigo del collare d'argento. Luka mosse qualche passo incerto all'interno della stanza e raccolse uno fra i libri che erano caduti nella confusione. Mentre lo riponeva al suo posto colsero la sua attenzione i titoli di alcuni testi di negromanzia, e per ultimi gli appunti che il negromante - o chi per lui - aveva lasciato sulla scrivania. Vide un simbolo intrigante; lesse, fra le righe, alcune note a proposito di Afal. A proposito di una maledizione. Lo interruppe il demone: « Ti piacciono quelle scritte? Majontus le traduce per te. Majontus ti racconta un grande segreto. Ma prima devi giocare con Majontus. »
« Mi incuriosisci, Majontus. Accetto. » incalzò l'uomo. Così come Luka, anche gli altri compagni dovettero risolvere gli indovinelli del demone; non fu difficile per loro trovare le soluzioni, quanto porre le giuste domande cui il demone, in cambio, aveva promesso di rispondere. Soddisfatto dei suoi inganni, Majontus volse loro le spalle, lasciando che andassero nel corridoio verso l'ultima stanza. Fu Luka a liberare la porta dalle catene che la sigillavano, torcendone il ferro tra le dita come fossero fatte di carta. Una volta rotto l'ultimo chiavistello, afferrò la maniglia e la spinse in avanti con quel poco che restava della sua cautela. Le trame del suo desiderio si erano infittite e così, teso all'idea di poter trovare, oltre la porta, una strada verso Afal - verso... -, si limitò a fingere che Eoforhild non avesse detto nulla. Che egli stesso, ancor prima, non avesse davvero fatto nulla di strano. « Quella - » disse, indicando uno fra gli oggetti grotteschi cui aveva aperto uno spiraglio, « Dev'essere la sfera di cui parlava Majontus. E questo... »
Si diresse verso uno scrigno, al cui interno qualcosa pulsava di una luce oscura. D'un tratto una lingua di fuoco si gettò su di lui; fece solo in tempo a voltarsi e proteggersi il volto con la sinistra, e subito l'odore di carne bruciata avvolse le sue narici. Frugando tra le reliquie del negromante, Eoforhild aveva evocato una stregoneria - prontamente, il monaco l'aveva spenta. Ora parlava, stupito, alle due teste avvizzite che ridacchiavano da sopra il loro scaffale e dicevano che Leopold Winter, il negromante, non era altri che un defunto. Ma la maledizione che lo aveva ossessionato in vita, quella, si trovava dentro lo scrigno. Luka tese la mano e sfiorò l'oggetto arcano - lo prese delicatamente fra le sue dita, ma le urla che ne venirono fuori vibrarono così forte da far tremare l'intero edificio. « Bene, bene, bene... Ladruncoli in casa mia... »
Lo spettro di Lepold Winter levò su di loro le sue mani corrotte. In quel preciso istante, Luka scomparve.

. . .

Quando lasciò il suo riparo, la metà dell'anello che teneva fra le dita emanava ancora la sua tiepida ombra. Vide i compagni legati dalla sua magia:
il negromante era ora un cadavere maledetto che, pur di trovare pace, si appellava alle forze che restavano ai prigionieri. Ma i quattro non potevano fare altro se non accettare anche il suo giogo.
Luka si diresse verso la sfera di cristallo e prese il coltello che era posto al suo fianco. Martellavano ancora i suoi pensieri, per quella parola che non poteva ricordare. Aprì il palmo della sinistra. « Così tanti desideri, tutti in un luogo soltanto... »

Il taglio fu netto.

« Afal. »



Corpo 65 (75 - 5 - 5)
Energia 170 (150 + 20)
Mente 55 (75 - 20)

Equipaggiamento Mani nude. Fasciature per entrambi gli avambracci e una daga lunga (dall'armeria del re). Metà dell'anello di Leopold Winter.

Abilità utilizzate
talento, impeto per quanto il suo corpo possa apparire debole, l'ombra possiede una sconcertante forza fisica, che utilizza per compiere azioni di norma precluse ad un essere umano. abilità passiva, 6 utilizzi 5/6

abilità personale 1/25 in un istante, l'ombra è in grado di sparire e ricomparire in un altro punto dello spazio, nelle prossimità dell'ambiente di gioco. abilità a consumo nullo a discrezione del master, natura magica, eventuale difesa assoluta in duello

Riepilogo Torc'hijen libera la porta dai chiavistelli utilizzando la sua passiva di forza sovrumana. Subisce l'offensiva del fuoco fatuo (danno basso da scottatura all'avambraccio sinistro). Utilizza la sua difesa assoluta in risposta all'offensiva ad area di Lord Winter. Si provoca un taglio sul palmo della mano sinistra per evocare il potere della sfera di cristallo.

Note Che altro dire... Torc'hijen si veste un po' meglio per il viaggio (come descritto in narrazione) prendendo cose dai magazzini del re. Per il resto, dovrebbe essere tutto a posto; ho corretto la percentuale delle risorse che nel turno precedente avevo calcolato male. Mi scuso ancora per il ritardo - e per il post un po' raffazzonato, ma la carne al fuoco era davvero tanta!
 
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view post Posted on 30/8/2015, 15:24
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« Prima fermata: Ravensoul… »
Un pessimo posto con pessima gente.

Così Erein aveva indicato ai suoi quattro indebitati la prima tappa per il loro viaggio verso Afal. Ravensoul era come una macchia lercia tra gli speroni rocciosi della Roesfalda da quando la Guardia Insonne aveva perso i suoi leader più carismatici nella battaglia di Basiledra. Fray non era stato nei territori umani durante quel periodo, ma conosceva la ferrea mentalità dei Signori Senza un Re e lo rattristava vedere come una convinzione elevata al fanatismo possa crollare così rapidamente. Le sezioni dell'esercito Insonne, profondamente destabilizzate, si erano sparpagliate per tutto l'Ystfalda ed erano fuoriuscite dalle montagne come un'onda improvvisa, infilandosi in ogni anfratto. L'Altaloggia era un alveare caduto e le sue api si erano disperse su gran parte di Dortan sotto la maschera di piccoli gruppi dediti al brigantaggio e al saccheggio.
Questo pensò Fray mentre si avvicinava alla città, osservandola dall'alto di un masso. Ravensoul sembrava davvero una macchia: il grande mercato che ne ricopriva quasi interamente la superficie era un intreccio di drappi scoloriti, sotto al quale brulicavano centinaia di persone. Parevano formiche.
Fray scese dalla roccia con un piccolo balzo, annunciando ai suoi altri compagni di viaggio che la città era in vista. Aveva avuto modo di fare la loro conoscenza e si era rallegrato del fatto che anche se erano effettivamente finiti in galera, non sembravano dei delinquenti. Aveva scambiato poche chiacchiere con loro poco dopo che Erein li aveva congedati e mandati a rifornirsi nella sua armeria, che era un vero e proprio arsenale in grado di equipaggiare un piccolo esercito. Fray si era messo a passeggiare lentamente tra i banchi di spade, mazze, lance, picche, armature ed elmi che protendevano verso di lui come se desiderassero essere impugnate. Il monaco si fermò un attimo a guardare i suoi compagni scegliere e prendere equipaggiamenti e vestiario, senza sapere cosa farsene di tutta quella preparazione. Fray aveva fatto un voto quando era ancora un apprendista, un giuramento che avrebbe onorato fino alla morte: non avrebbe mai fatto ricorso ad una qualsiasi arma. Il monaco sapeva che non era un'usanza comune dei monaci combattenti rinunciare ad ogni forma di equipaggiamento, ma del resto le arti marziali non gli erano state insegnate per essere usate come strumento di aggressione.
Aveva preso soltanto la spada più finemente decorata che aveva potuto trovare, colto da un'idea improvvisa.

Quando il gruppo arrivò alle porte della città, Fray e gli altri si misero a discutere del modo migliore per trovare Leopold Winter. Erein non aveva detto molto di lui a parte ingiurie, quindi trovarlo non sarebbe stato facile. Fray si chiese se anche quello era un lavoro troppo pericoloso per i suoi sottoposti: di certo un uomo con l'audacia di farsi chiamare Re Stregone avrebbe dovuto essere più disposto a fare sacrifici. Ma evidentemente, Erein era troppo attaccato ai suoi possedimenti -siano essi oggetti o persone.
« Dividerci è probabilmente la scelta migliore; troveremo indizi più velocemente così. Propongo di ritrovarci qui al cancello sud tra circa due ore per condividere le informazioni trovate su Winter. Siete d'accordo? Ricordatevi che agire da soli potrebbe costarci caro, non mettetevi in pericolo. » Il monaco indicò il collare stretto attorno a Eoforhild e Cassandra. Quell'aggeggio era in grado di mandare impulsi psionici, a quanto era stato detto loro, ed era collegato direttamente al Re Stregone. Il fatto che Erein li osservasse costantemente metteva a disagio Fray. « Direi di formare due gruppi, giusto per poter stare più sicuri: chi viene con me? » propose immediatamente Eoforhild. Con lui andò il quarto membro del gruppo, Luka. Restavano quindi Fray e Cassandra, che si sarebbero recati al mercato. Tuttavia il monaco fu rapidamente sorpreso dalla brulicante e sinistra attività del mercato, dove non c'era transazione che fosse illegale, e perse rapidamente di vista la sua compagna nel flusso di persone. Il mercato era troppo ampio per essere esplorato in sole due ore, quindi Fray rinunciò quasi immediatamente alla ricerca di Cassandra e preferì dedicare le sue forze alla missione: trovare Winter.
Sfortunatamente, erano in moltissimi a non sapere nulla su di lui -e se anche avessero saputo qualcosa, di certo non erano intenzionati a parlarne. Leopold Winter era a dir poco malfamato. In moltissimi avevano detto a Fray era era un negromante pazzo, dal quale bisognava stare il più lontano possibile. Alcuni avevano anche scacciato il monaco in malo modo appena pronunciava il nome di Winter, probabilmente temendo di rimanere invischiati in qualche sinistra macchinazione. Ciò nonostante, Fray continuò la ricerca imperterrito. Fu un mercante d'armi particolarmente povero a dare le informazioni che Fray cercava, ma pretendeva un prezzo. In quell'istante Fray cercò di sfoggiare uno dei suoi sorrisi più diplomatici e con soddisfazione allungò la spada che aveva preso nell'armeria di Erein, chiedendo se fosse abbastanza come pagamento per qualche misera parola. Quando il mercante la fece sgusciare fuori dal fodero per esaminarla, rimase estasiato: era un pezzo incredibilmente curato e decorato, dell'acciaio più puro. Cercò di contrattare ancora, ma Fray aveva visto il luccichio nei suoi occhi: non cedette e ottenne l'informazione che voleva. "Winter è un tipo losco... molto più losco della gentaglia che approda qui, e questo è dire tanto. Si dice che sia spesso nella taverna e che sia in affari con il suo gestore. Se vuoi altro dovrai recarti lì, io non so più nulla. Addio!"

Fray guardò in alto. Il sole si era mosso parecchio da quando erano arrivati. Decise di tornare indietro, alla porta sud, e condividere quel poco che aveva scoperto. Fortunatamente Eoforhild e Luka avevano saputo che Leopold Winter era solito avventurarsi nel sottosuolo della città, e facendo due più due il gruppo capì che il prossimo indizio si trovava certamente al di sotto della locanda. Furono sorpresi, però, di trovare l'abitazione stessa del negromante poco sotto a quella stamberga. Se tutti avessero saputo della sua locazione, probabilmente quel posto sarebbe andato in rovina molto velocemente.
L'abitazione di Leopold era tutto ciò che Fray si sarebbe aspettato dalle descrizioni che gli erano state fornite: dopo aver attraversato un lungo e sinistro corridoio, l'area si era aperta rivelando una stanza le cui pareti erano completamente ricoperte di segni e fogli d'ogni genere. Mappe, arcane traduzioni e glifi misteriosi si mescolavano in un caos poco organizzato. Non c'era traccia del negromante, ma c'erano altre due stanze: una era sigillata da delle spesse catene e l'altra era semiaperta. Fray decise di avvicinarsi a quest'ultima, ma poco prima di poter poggiare la mano sul legno ne sentì un'altra sulle sue spalle: Luka lo aveva fermato in gran fretta, indicandogli una runa sulla porta. Fray la studio, ma non riuscì bene a capire cosa la distinguesse da tutte le altre presenti nella stanza. Fu allora che udirono uno strano lamento provenire dall'altra parte.
Fray e Luka si fecero avanti e il monaco stava per annunciare la loro presenza, ma Eoforhild piombò tra di loro con irruenza e diede un poderoso calcio alla porta, che si aprì di colpo facendo volare fuori una creaturina che si mise a strillare per lo spavento e la paura. Fray, ripresosi dalla sorpresa di questa eventi, si ritrovò Majontus davanti: un imp, ovvero un demonietto evocato da Lucious Winter. Fu immediatamente chiaro ai presenti che l'uomo che cercavano non era in casa, e da parecchio tempo. Nello stanzino in cui Majontus era rinchiuso erano accumulate alcune pergamene con delle sparse informazioni su degli artefatti di Afal, ma Fray decise di lasciare i suoi compagni ad esaminarle mentre parlava con il demonietto. Majontus si dimostrò ben presto una peste: propose un gioco di indovinelli il cui vincitore avrebbe potuto porgergli una domanda. Fray respinse il nervosismo e si sottopose al gioco del mostriciattolo, risolvendo il suo indovinello, ma non ottenne molte informazioni da ciò che chiese.

Il gruppo si spostò dunque nella stanza adiacente dopo che Luka ebbe spezzato le catene a mani nude -una cosa che nemmeno Fray sarebbe riuscito a fare così facilmente. Il laboratorio di Winter si aprì dinnanzi a loro in tutto il suo macabro splendore. Tra gli oggetti più disgustosi spiccavano delle teste rimpicciolite e una mano rinsecchita, riposti come semplici soprammobili. Eoforhild cercò di esaminare la mano, ma subito dopo la candela che questa stringeva si illuminò con una luce bluastra, facendo fuoriuscire uno spirito del fuoco. La piccola sfera di fuoco attaccò immediatamente gli intrusi sparando proiettili magici ovunque, e Fray vide alcuni dei suoi compagni venir feriti dall'attacco. Decise quindi di curarsene il prima possibile: evocò un'incantesimo di rinforzo attorno a sé per schivare più facilmente i proiettili lanciatigli contro, quindi gli bastarono due passi per raggiungere il nemico. Con un poderoso calcio disperse lo spirito di fuoco, e nella stanza tornò il silenzio -almeno per poco. Una risata spettrale infatti invase l'intera stanza: erano le teste secche che schernivano gli intrusi per la loro stupidaggine. Fray si avvicinò alle teste, ma prima che potesse imbastire un qualsiasi discorso con loro anche Luka sfiorò un'altro oggetto, un frammento luminoso rinchiuso in un forziere.
Da quel frammento si propagò un'ondata di energia negativa incredibilmente presente, che costrinse tutti a schermarsi. Come una nube di fumo, l'energia si raccolse al di sopra del forziere andando a formare una sagoma sempre più umana. Quella sagoma si presentò come Leopold Winter.
Senza nemmeno dare il tempo al gruppo di sorprendersi per quella rivelazione, Winter lanciò un'altra e più potente bordata d'energia, accusandoli di essere intrusi e ladri. Fray non si perse in chiacchiere, evocando uno scudo luminoso dinnanzi a sé con un semplice gesto della mano. Scattò subito dopo aver assorbito l'energia dell'impatto, cogliendo il negromante di sorpresa grazie all'intervento di Cassandra, e gli menò un poderoso destro nella zona dove il suo addome doveva essere. Il monaco si sorprese quando il suo attacco riuscì: pareva che Winter avesse una forma concreta e che non fosse fatto di semplice aria ed energia. Motivato da questa rivelazione, Fray spiccò un salto e tentò di rincarare la dose con un calcio, ma Leopold fu rapido a difendersi. Il nemico disse di essere soddisfatto da Fray, e lo incatenò al suolo con dei lacci oscuri. Impossibilitato a muoversi, Fray poté solo guardare i suoi compagni badare al mostro. Uno dopo l'altro furono tutti incatenati, e Leopold si decise a rivelare le sue motivazioni: era stato intrappolato in quel frammento per colpa della maledizione presente su una spada, e non era interessato ai medaglioni che Erein aveva detto sarebbero stati utili per convincerlo a parlare. Invece di contrattare la proposta di Fray, Winter gli disse tutto: la sfera nella stanza era un modo sicuro di arrivare ad Afal. Winter sarebbe stato felice di permettere al gruppo di usarla, ma solo se avessero tentato di riportare la spada maledetta nella città, in modo da liberarlo. Il gruppo fu d'accordo.
Eoforhild prese la spada, e Luka decise di fare da guida. Pagò il tributo di sangue necessario per far funzionare la sfera e pronunciò solennemente il nome della loro prossima destinazione: Afal.

Energia: 90% (da 120%)
Fisico: 100%
Mente: 70% (da 80%)
CS: 0 (spesi: 4 in forza, 4 in maestria nell'uso delle armi)

Tecniche Passive:
(1/25) - Funambolo: il possessore di questa abilità ha sviluppato la capacità innata di sfruttare il proprio fisico in un modo che è inconcepibile per i normali abitanti di Theras. Il suo intero corpo sarà completamente sotto il suo comando, permettendogli movimenti e spostamenti degni del più agile degli uomini, ma per un periodo di tempo limitato. Consumando un utilizzo della passiva, questa incredibile destrezza acquisita gli permetterà quindi di colpire il nemico da punti inusuali, ma anche di combattere in pose atipiche e di sfruttare tutti gli elementi dello scenario per avvantaggiarsi e confondere il nemico con la propria velocità. (Numero di utilizzi: 3/4)
Tecniche attive: vs Fuoco Fatuo
(Costo Alto mentale/energetico) (Natura magica) - Fortificazione superiore: Fray ricopre il suo corpo con un tenue velo d'energia, come se un drappo luminoso accompagnasse ogni suo movimento. L'incantesimo incrementa sia la sua forza che la sua maestria delle armi di quattro punti CS.

(6/25) (Costo medio energetico) (Natura fisica) - Colpo della mantide: una tecnica base, nella quale l'utilizzatore rinforza una parte del suo corpo attraverso uno sforzo spirituale, in modo da conferire al prossimo attacco portato con esso una potenza media. Ferisce il corpo.
Tecniche attive: vs Leopold Winter
(3/25) (Costo Medio energetico) (Natura magica) - Voto del silenzio: il monaco invoca una preghiera, innalzando in un istante un sigillo di luce dinnanzi o tutt'attorno a sé. Questo scudo impedisce alle tecniche magiche di potenza pari o inferiore di portare danno al suo evocatore.
Riassunto azioni: Fray schiva gli attacchi fisici del fuoco fatuo spendendo 3 degli 8 CS guadagnati con i power up, quindi lo uccide con Colpo della Mantide, un attacco medio. Durante il combattimento con Winter attiva Voto del Silenzio per difendersi dalla bordata ad area, quindi contrattacca usando i restanti 5 CS.
 
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view post Posted on 30/8/2015, 17:47

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Stanze del Re ~ Deyrnas

Il mantello era di lana rossa, tinta tre volte per enfatizzarne il colore. Aveva scelto una stoffa priva di qualsiasi ricamo ma la compattezza e la raffinatezza della tessitura rendevano quel tessuto costoso come pochi altri; eppure all’occhio sapeva dare un’impressione di severa sobrietà appena ingentilita da un pizzico di grazia. Avrebbe potuto scegliere broccati, sete o tessuti ancor più pregiati … Ma ancora una volta sarebbe apparso come uno straniero.
Quell’indumento era di un materiale umile, alla portata di tutti. Ciò che lo contraddistingueva dagli altri mille mantelli di lana era solo la lavorazione e la bordatura di pelliccia. Il collo che ornava il mantello era di pelo d’orso. Una belva fiera, nobile, feroce, un figlio del Nord. Nessun abito per il Re. Avrebbe indossato una variante cerimoniale dell’armatura. Più leggera e meno spoglia della corazza da battaglia. La Spada senza un Re avrebbe avuto un posto d’onore alla cintura. Nuda, priva di guaina, visibile a tutti. Una minaccia e al contempo una rassicurazione.
Ultimo particolare la corona. Aveva scelto la sua corona … Legno candido come la neve e foglie rosse come sangue ad intrecciarsi su una fredda fascia d’oro. Quello era l’unico particolare eccentrico e vagamente ultraterreno nel suo abbigliamento ma Erein era certo che i nobili del Nord avrebbero soprasseduto.
Già con la mente viaggiava verso quell’alba gloriosa in cui il nome del suo casato sarebbe tornato sulle labbra e nella memoria di tutti … Già li vedeva sgranare gli occhi dinnanzi al vessillo spiegato, chinare il ginocchio. Uno ad uno … Quegli arroganti, bifolchi, presuntuosi, irriverenti nobilotti da strapazzo si sarebbero inchinati. Non avevano scelta.
Gli Dei gli avevano dato il loro assenso, donandogli la Spada. La memoria e il diritto di sangue avrebbero fatto il resto …
Lanciò un’occhiata alla figura riflessa nello specchio. Mai come in quegli abiti aveva avuto l’aspetto di un Re.
«Presto il nome Goodswood dominerà il Nord. » - affermò parlando tra se e se.
Una risata lo costringe a voltarsi di scatto. Era una risata antica, pregna della derisione di chi conosce e guarda l’ignorante con pietà e disprezzo. Una risata inconfondibile, atavica, la sua …
«Lo senti vicino non è così? Dannatamente prossimo … Ti manca solo un passo …»
I capelli le scendevano candidi lungo la schiena fino a sfiorare il terreno. Il volto disseminato di rughe, quegli occhi di ghiaccio così intensi da ferire l’anima. E quella voce, gracchiante, roca, millenaria.
«Eppure …» - sorrise mostrando la chiostra dei denti perfetti - «… perfino ad un passo dal traguardo si può inciampare e cadere Erein Goodswood.» - ridacchiò ancora -«Goodswood …» - ripetè - «… Quanta boria! Quanta stupidità! Non imparate mai non è così? Voi mortali e la vostra ambizione … Sciocchi e ciechi alla verità del mondo, come bambini.»
Erein la osservava silenzioso e sconvolto. La verità scorreva in quelle parole, gelida, bruciante, innegabile.
Quella donna era uno dei misteri irrisolti della sua vita. Di certo era legata al suo passato, come probabilmente lo era con il passato del mondo stesso, ma nessuna delle ricerche che fece su di lei ne rivelò l’identità. Nessun libro, nessuna cronaca nel parlava…
«Cosa …» - non fece in tempo a finire la frase che la vecchia si portò l’indice alla testa. - «Rifletti bambino mio, rifletti … Ci credi stupidi? La nostra maledizione non può essere elusa con cavilli e giochetti … Il vostro nome è dimenticato. Capisci? Dimenticato e maledetto. Manda pure i tuoi sgherri a cercare informazioni sul nobile casato Goodswood e non troverai nulla. Umiltà ragazzo. Solo l’umiltà può pulire la vergogna e riparare all’errore. Rifletti bambino mio, apri i tuoi occhi o vivi nella tua menzogna. »
Quando fece per rispondere Erein di Deyrnas vide la minuta figura svanire in un fruscio di ali di corvo.
C’era qualcosa, un particolare che gli era sfuggito … Ma quale?


Foresta di Oldtree ~ Residenza del Barone di Morguenville

La residenza di caccia era poco più che una vecchia costruzione di pietre con un enorme sala comune e un paio di stanze nel piano superiore destinate al riposo del signore. Non c’era una servitù fissa a mantenerla linda e calda. Il fuoco ardeva al centro del salone solo quando il Barone decideva di uscire a caccia e ciò accadeva sempre più di rado. L’arte venatoria era diventata un passatempo pericoloso per chi si addentrava nella vasta, antica foresta di Oldtree. I rapporti parlavano di animali – solitamente miti- feroci come fiere affamate. I cervi erano quasi del tutto scomparsi, i cinghiali si erano fatto così violenti da aggredire e uccidere qualunque essere umano si fosse addentrato per caso nel loro territorio. Il Barone aveva così deciso di esplorare la causa dei disagi insieme ad un manipolo di uomini reclutati nei vari villaggi di sua competenza … Nessuno era mai tornato e la residenza era rimasta vuota.
La sfera di Lord Winter li aveva condotti in quella rustica dimora nobiliare quasi volesse proteggere gli avventurieri. Le porte di quercia, il fuoco e le spesse mura di pietra li avrebbero protetti dalle minacce che popolavano la selva; eppure prima o poi avrebbero dovuto attraversarla quella distesa di alberi antichi quanto il Nord stesso. Di notte gli ululati dei lupi si mescolavano ai tetri canti degli uccelli notturni, riuscendo a gelare il sangue di chiunque li udisse. Scricchiolii ancora più sinistri tormentavano l’udito di chi si avvicinava al bosco, quasi come se gli alberi allungassero i loro rami e distendessero le radici pronti a muoversi ed ad afferrare chiunque violasse la propria ancestrale dimora.
Nonostante ciò alle prime luci dell’alba la magia della sfera invase nuovamente la mente della Guida con immagini che indicavano il percorso da seguire …





Sala dello Specchio ~ Deyrnas



Erein osservava i suoi avventurieri inoltrarsi nel folto del bosco di Oldtree con una certa apprensione.
Sapeva delle voci che circolavano sulla foresta: alberi semoventi, animali folli ed aggressivi, maledizioni …
Da anni chiunque osasse addentrarsi all’interno della distesa arborea non usciva vivo o sano di mente.
Non c’era modo di arrivare a destinazione se non passando per quel luogo. Il Re avrebbe evitato ai suoi uomini quel posto selvaggio e maledetto ma non c’erano alternative. Eppure un modo per aiutarli c’era …
«Li lascerai davvero entrare li dentro?»
Erein si voltò di scatto.
«Come diavolo?» - chiese prima di assumere un’espressione irritata- «Non dovresti essere qui!»
Volpebianca sfoggiò uno dei suoi famosi, fascinosi sorrisi da furfante gentiluomo.
«Sono un ladro. Il migliore. Entrare dove non dovrei, senza che nessuno se ne accorga è la mia specialità ..» - il sorriso sfiorì presto sostituito da un’espressione tetra - «Li stai uccidendo. Mandarli la dentro equivale ad ucciderli. »
Non mentiva. Non in quell’occasione almeno. La constatazione di quanta ragione avesse Volpebianca nell’affermare ciò che aveva affermato indispose ancor di più il Re Stregone. Sentiva qualcosa a metà tra il cuore e lo stomaco. Una sorta di disagio che poteva essere paura, senso di colpa e rabbia o molto più probabilmente tutte le cose insieme.
«Cosa ne sai tu? Ed in ogni caso non sono affari tuoi…»
Volpebianca gli rivolse uno sguardo di puro astio. Era la prima volta che lo guardava così … Di solito quando Erein scrutava i suoi occhi poteva vedere solo adorazione, gratitudine al massimo divertimento.
«Non sei l’uomo che credevo fossi … Sei solo un arrogante, cinico, egoista! Non sei diverso dai nobili che critichi tanto! Mandare della povera gente incontro a morte certa e per cosa? Soddisfare il tuo ego gigantesco?»
Erein sentì la vergogna accendergli le gote. In qualche modo si rese conto che aveva ragione di nuovo.
Eppure non fu il buonsenso a prevalere ma la sua arroganza.
«Come osi!» - strillò indignato - «Quegli uomini sono miei! Ho salvato la loro miserabile vita ed ora …»
«Butti quella stessa vita in pasto a chissà quale mostruosità!» - ribatté ostile l’altro.
«Cosa importa! Sono criminali, uomini privi di valore, rietti! Nessuno sentirà la loro mancanza… Li ho scelti per questo!»
«IDIOTA!» - ruggì Volpebianca facendo perdere colore all’incarnato del Re. «Davvero non capisci?! Non li hai scelti perché sono sacrificabili, li hai scelti perché sono esattamente come te!»
Quelle parole lo ferirono come uno schiaffo in pubblico. Avrebbe dovuto punirlo, lo avrebbe fatto in un altro momento e in maniera atroce. Nessuno poteva rivolgersi in quella maniera ad un sovrano, nessuno.
Eppure non lo fece. Rimase a guardarlo mentre nella sua mente si agitavano domande che da troppo tempo non trovavano una risposta.
«Sei davvero così arrogante da non riuscire a vederlo Erein di Deyrnas? Guardali, guardali bene! Una sirena, un ombra, un povero pazzo e un monaco immortale! Come pensi che li veda la gente? Sono come te ma tu sei troppo pieno della tua regale boria per accorgertene. Uccidili, mandali a morire … E non sarai diverso dalla gente che tanto disprezzi.»
Non seppe come mai, non comprese per quale assurda meccanica la sua mente inviò quelle parole alla sua bocca. Sta di fatto che le pronunciò -«Li aiuterò maledizione!» - affermò risoluto - «Ma dovranno dimostrarsi degni!»




Oldtree ~ Sentiero



Un labirinto ingrovigliato di titanici guardiani in cui il tempo sembrava essersi congelato in un autunno sempieterno. Le chiome rosse, gialle e brune non avevano lasciato cadere una singola foglia. La terra umida, cosparsa di felci e muschio partoriva un sottobosco ostile fatto di roveti, arbusti contorti e radici affioranti. Silenzio ...
Non un singolo canto d’uccello, non un verso, quella foresta sembrava disabitata. L’unico suono era quello di un ruscelletto d’acqua fetida che tagliava in due la selva come una cicatrice e di tanto in tanto il sinistro scricchiolio del legno.
Gli avventurieri avevano avuto vita facile fino ad allora. Ravensoul era una città dannata ma via, via che ci si allontanava da essa, lungo la strada, fiorivano villaggi. Erano agglomerati di casupole abitati da gente umile e guardinga, disabituata agli stranieri ma ancora fieramente legate alle tradizioni di ospitalità delle piccole comunità del Nord. Ovviamente l’accoglienza sarebbe stata ben diversa se quei bifolchi e le loro moglie e figli avessero saputo chi realmente bussava alla loro porta. Nessuno degli avventurieri aveva un aspetto esotico ma l’apparenza inganna e quella volta, per loro fortuna, l’inganno riuscì e la brava gente del Nord non tirò fuori forconi e bastoni e l’unico rogo a cui gli avventurieri si riscaldarono fu quello di un camino.
La residenza di caccia in cui avevano soggiornato era tetra e sporca, ma era comunque un luogo sicuro e chi l’aveva fatta costruire si era anche preoccupato di tracciare un sentiero nella foresta.
Non avevano dovuto far altro che seguire la strada che si inoltrava la foresta e badare ai pali dipinti di rosso alla punta che servivano ad orientarsi al suo interno.
Giunti nel folto, però, la natura sembrava aver preso ferocemente il controllo della situazione.
I segnali che avrebbero dovuto guidare i viandanti erano scomparsi e al loro posto erano apparse ben meno gioiose tracce … Ossa, indubitabilmente umane affioravano dal terreno orrendamente spezzate dalle mascelle poderose di qualche animale.
Non c’era verso di capire quale fosse l’est, l’ovest, il sud o il nord. Le chiome degli alberi s’erano fatte così folte da non far passare che un filo di luce. Il muschio avvolgeva i tronchi impedendo di utilizzare il consueto accorgimento per individuare il Nord. Si erano persi e questo era quanto.
Ad un tratto il silenzio della foresta si interruppe. Dapprima un ringhio basso, quasi una minaccia.
Poi due occhi gialli, iniettati di una ferocia senza controllo. Improvvisamente l’enorme figura balzò loro dinnanzi. Un orso, certo, ma non un orso comune. Una bava rossastra e schiumosa gli arrossava la bocca in cui fiorivano una sfilza di denti innaturalmente lunghi e numerosi. Il muso dell’animale era più lungo del normale, la pelliccia chiazzata di rogna e ferite. Il ruggito dell’animale fu così tremendo da spaventare persino l’osservatore oltre lo specchio.
La fiera s’alzò in piedi, ruggì ancora e si preparò ad attaccare quando …
Uno schiocco, uno schianto, un guaito disperato, il rumore di ossa che si spezzano. Qualcosa, qualcosa di enorme aveva colpito l’orso mostruoso sul cranio e aveva continuato a percuoterne la carcassa fino a renderla una poltiglia indistinta.
Altri occhi, occhi verdi e stanchi guardarono gli avventurieri. E poi una voce …Quasi umana.
«Mmmmmmmm andate via. Che volete? Andate via.» - un albero, un gigantesco albero stava parlando con loro osservandoli con i suoi occhi porcini. «Uomini e loro magia. Avete infettato la foresta. Andate via. Non vi salverò di nuovo. Andate via.»
I collari che serravano la gola di due degli avventurieri si illuminarono. Il treant si allontanò spaventato.
Poi prese a sussurrare e parlare da solo. «Mmmmmmmm tu dici? D’accordo. Ma devono aiutare. Promesso? Va bene. »
L’albero animato tornò a guardarli - «Il vostro padrone dice che voi aiutate e io vi porto fuori di qui. Se rifiutate dice di lasciarvi andare. Affari vostri, dice. Io non vi aiuto, non ci guadagno. Che fate?»


CITAZIONE
QM Point
Bando alle ciance e passiamo all'azione. Come avrete capito la foresta in cui vi trovate ha qualcosa che decisamente è fuori dal normale. Sembra immobile, vuota, morta.
L’obiettivo è raggiungere l’altra parte del bosco, ma non sarà una passeggiata. Poco dopo i primi passi nel folto del bosco scoprite che ad ogni passo si possono trovare ossa umane ed animali affiorare dal terreno. L’aria è pesante, quasi sfrigolante di una magia oscura e perversa. Improvvisamente venite attaccati da un gigantesco orso e a salvarvi interviene un treant, un albero animato dalla magia, insomma.
Inizialmente non vuole saperne di voi, ma Erein lo convince con qualche discorso a darvi una mano ad una condizione: dovete aiutare anche voi lui a fare qualcosa. Cosa non è dato saperlo al momento ma se vi rifiuterete dovrete cavervela da soli.
Ci vediamo in confronto con la vostra scelta da cui dipenderà lo svolgimento di questo turno. Ovviamente dovrete esprimere la vostra opinione in merito votando, ma essendo in quattro potrebbe venirsi a creare una situazione di stallo. Per ovviare a tutto ciò il voto della Guida del gruppo ( ovvero chi ha offerto la sua salute in cambio delle visioni) varrà doppio. Per domande, dubbi e quant'altro ovviamente non esitate ad utilizzare il confronto.
Se uno di voi è certo di non poter partecipare a questo turno è pregato di avvertire.



 
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Ashel
view post Posted on 3/9/2015, 16:41






Mentre avevano trovato rifugio nel casino di caccia immerso nella foresta, Cassandra pensò a molte cose. Non solo a Surgun-Zemat e al mercato di Nauzad; anche a Erein Dewin e alle sue straordinarie quanto crudeli magie in grado di piegare la volontà di chiunque desiderasse.
Da quando erano partiti da Deyrnas aveva cominciato ad annotare ciò che accadeva loro su un piccolo diario, ritrovandosi a scrivere del Re Stregone e di come li aveva comprati, di Leopold Winter e del patto che avevano fatto a Ravensoul; ma più spesso si limitava a commiserarsi per la sua condizione e per quanto le stava accadendo a causa dei capricci del sovrano di Deyrnas.
Immersa nella contemplazione silenziosa del fuoco - unica fonte di luce dell'edificio - si era detta che non valeva la pena consumarsi nell'autocompatimento e nel disprezzo: a dispetto del rancore che provava nei confronti del Re, avrebbe dovuto concentrarsi unicamente sulla missione e sulla destinazione finale anziché crucciarsi inutilmente per una situazione alla quale non poteva porre rimedio.
Si era così limitata a consumare un pasto leggero e a dormire qualche ora, quando possibile, nonostante i tetri rumori della foresta attorno a loro che sembrava, in certi momenti, una creatura dotata di una sottile e diabolica coscienza. La piccola residenza agreste che li aveva accolti appariva loro come un luogo sicuro, li faceva sentire protetti; ma dall'esterno gli alberi e gli animali si chiamavano tra il vento e attraverso l'oscurità e nessuno dei viaggiatori poteva trovare riposo.
Cassandra non rivolse quasi mai la parola ai suoi compagni. Avrebbe voluto conoscerli meglio, domandare loro da dove venissero e quali storie avessero da raccontare; ma non vi era entusiasmo in quel viaggio maledetto, né amicizia o vicinanza d'intenti.
Si trascinavano stancamente lungo il percorso sperando di non essere uccisi: solo questo contava.

~

Ritrovandosi a percorrere i sentieri intricati della foresta i giovani avventurieri trovarono con stupore che più nessun rumore pareva provenire dagli alberi o dal sottobosco. Un silenzio inquietante avvolgeva ogni cosa con il suo presagio di morte, come se non stessero vivendo che un lucido e terribile sogno a occhi aperti.
Cassandra proseguiva avendo timore di spezzare, con il suo stesso respiro, la monotonia di quel silenzio irreale e continuava a guardarsi intorno chiedendosi da cosa precisamente avrebbero dovuto difendersi.
Man mano che il verde si infittiva i segnali che li guidavano nel folto della foresta si facevano via via sempre più radi, fino a quando non scomparvero del tutto lasciando la compagnia in balia di se stessa.
Cercarono invano di orientarsi ma si accorsero a un certo punto di aver ripercorso la stessa strada più volte. Non vi era nulla che potesse guidarli, nulla che sapesse fornire loro una seppur vaga indicazione: senza una mappa o perlomeno un sentiero erano ciechi.
La foresta continuava a tacere.
Furono attaccati all'improvviso e sulle prime Cassandra nemmeno se ne accorse. Un orso enorme e in preda a una furia tremenda emerse dall'oscurità e ringhiò: i giovani si prepararono a difendersi, chi mettendo mano alla spada, chi all'arco; ma qualcosa, a un certo punto, si mosse nell'ombra e colpì la bestia con un colpo secco, uccidendola. I rami si mossero su di lei percuotendola selvaggiamente fino a ridurne i resti in poltiglia.

- Mmmmmmmm andate via. Che volete? Andate via. Uomini e loro magia. Avete infettato la foresta. Andate via. Non vi salverò di nuovo. Andate via.
Mmmmmmmm tu dici? D’accordo. Ma devono aiutare. Promesso? Va bene.
Il vostro padrone dice che voi aiutate e io vi porto fuori di qui. Se rifiutate dice di lasciarvi andare. Affari vostri, dice. Io non vi aiuto, non ci guadagno. Che fate?


Era un albero vivo, che poteva vederli e che poteva parlare come una creatura senziente: Cassandra non aveva mai visto nulla di simile prima d'ora. Sulle prime non sapeva bene se si trattasse di un nemico o di un alleato, ma sia Luka che Eoforhild sembravano propensi ad aiutarlo in cambio di una guida nella foresta e lei non aveva nulla da obiettare: lo scambio era equo e, in fin dei conti, non avevano alternativa se volevano uscire da quel labirinto di foglie e querce secolari.
L'albero chiese loro di indagare sulla fonte che attraversava il bosco e che forniva acqua a tutte le creature della selva; si offrì anche di accompagnarli per buona parte del percorso, ma poi avrebbero dovuto continuare da soli.
Intanto, intorno a loro, l'aria si faceva sempre più pesante e l'atmosfera sospesa, allucinata.

~

Non appena entrarono nella caverna, Cassandra si sentì girare la testa.
Erano arrivati fin lì seguendo il corso d'acqua e sebbene la grotta non promettesse niente di buono nessuno osò proporre un itinerario alternativo, anche ammesso che ve ne fosse uno.
Il senso di soffocamento e la claustrofobia crebbero a dismisura non appena un crollo improvviso bloccò l'uscita e la compagnia si ritrovò costretta ad addentrarsi nell'oscurità senza avere una via di fuga libera; ma, poco distante da loro, apparve la fonte che stavano cercando: qualcosa, al suo interno, brillava di luce propria.
Un ringhiò spezzò il silenzio rotto solo dallo scrosciare insistente dell'acqua e di colpo i giovani avventurieri si ritrovarono assediati da lupi giganteschi apparsi dalle cavità di roccia calcarea.

- Attenzione...!

Ma fu troppo tardi. Una delle bestie si avventò contro di lei e fu solo grazie alla sua prontezza di riflessi che riuscì a scampare la morte; le zanne lunghe e deformi del lupo riflettevano la luce fioca della caverna, una macabra promessa per chi, troppo lento per difendersi, si fosse fatto agguantare.
Cassandra arrancò nella polvere, afferrò l'arco e sparò un dardo verso di lui, per ucciderlo; vide la freccia penetrargli le carni ma, come se niente fosse, ritornò all'attacco con uno scatto ferino, colpendola. Cercò di allontanarsi, di fuggire; ma un dolore atroce premeva all'altezza del fianco e le toglieva il fiato.
Aveva paura e le sembrava che la parete della caverna stesse per crollarle addosso: vedeva il soffitto muoversi verso di lei per stringerla, stritolarla fino a ridurla in poltiglia; e poi il buio che si impossessava di ogni cosa, persino dei suoi nemici.
L'aria era pesante, irrespirabile: i polmoni chiedevano ossigeno ma non ne trovavano. I lupi già si preparavano a banchettare con lei, boccheggiante e riversa nella polvere; poi sentì un clangore di spade e i suoi compagni che combattevano, accanto a lei.
Non poteva farsi prendere dal panico, non in un momento come quello. Isolò la sua mente da tutto il resto, persino dal dolore lancinante che la tormentava giù, all'altezza del fianco. Cercò un ricordo positivo, qualcosa che potesse calmarla, restituirle la lucidità.
Mentre le immagini riaffioravano dalla periferia della sua coscienza sentiva il suo respiro chetarsi, i suoi muscoli rilassarsi; era un ricordo straordinariamente vivido e puro, un retaggio della sua infanzia felice e spensierata nel palazzo dorato di Oltremare.
Gli ululati e il clangore delle spade le giunsero in sordina, lentamente. Un gemito, un grido di dolore, il tonfo sordo di un corpo che si lasciava cadere.
Provò ad alzarsi, cercò i suoi compagni nel buio e li vide che combattevano: forse non si erano mai fermati da quando erano entrati in quel maledetto buco.
Con la mente lucida e con quella sua espressione ferma, glaciale, evocò attorno a loro le copie perfette della loro persona: i lupi, confusi, avrebbero attaccato indistintamente gli originali e le illusioni e loro avrebbero guadagnato tempo. Estrasse quindi lo spadino, si mosse rapidamente nelle tenebre e infilzò uno dei lupi con un colpo secco, in un unico e ampio movimento del braccio.
Lo sentì gemere e provò a colpirlo ancora, fino a quando poté sostenere quel ritmo; si allontanò, incoccò un dardo e sparò alla cieca.
Ancora, e ancora.
Le frecce sibilavano nel buio e le spade fendevano l'aria malsana e putrescente della grotta, appendice incancrenita della montagna sopra di loro, ma a nulla valsero i loro sforzi. Uno dei lupi la azzannò al braccio, trascinandola con sé come una preda già vinta, e molti altri le furono sopra cercando le sue carni e la sua vita.
I suoi compagni continuarono a combattere per un po'.
Poi, silenzio.
Era certa che avrebbe trovato la morte, in quella circostanza.
Era sicuramente arrivato il suo momento.



Cassandra



Mente: 75
Corpo: 50
Energia: 140 - 30 = 110
Armi: Spadino; Arco lungo [8/15]
CS: + 4 Astuzia, + 1 Velocità
Danni: 1 Alto a un fianco, Danni Medi diffusi, 1 Alto al braccio sinistro

Passive attive:

» Immagini fortificanti: Vedere le proprie illusioni muoversi sul campo di battaglia e ingannare il proprio avversario è una sensazione rinvigorente per una sirena, che immediatamente inizia a prepararsi per colpire alle spalle un nemico distratto dai suoi poteri.
Consumando un utilizzo di questa passiva quando lancia una tecnica d'illusione, essa può aggiungere 1CS alla Velocità alla sua riserva. Natura psionica.
Consumo: passiva; 6 utilizzi

Attive utilizzate:

» Scatto: Cassandra sarà in grado con uno scatto fulmineo e improvviso di evitare un attacco fisico a lei rivolto di potenza Media o inferiore.
[Abilità personale 5/25, Difesa fisica, Consumo Medio, Energia, 2 punti]

» Concentrazione: Raggiungendo un grado incredibile di concentrazione, Cassandra sarà in grado di potenziare la sua mente guadagnando 4 CS all'Astuzia.
[Abilità personale 6/25, Power Up psionico, Consumo Medio, Energia, 2 punti]

» Illusione amplificata: Cassandra crea sul campo di battaglia un'immagine che inganna tutti i cinque sensi, in grado di spostarsi ed emettere suoni, e che può essere percepita da tutte le persone sul campo di battaglia, invece che solamente da una. Tale illusione può rappresentare una persona, una creatura, un avvenimento o persino modificare l'aspetto del campo di battaglia stesso per intero.
Influenza tutti i presenti, per un turno. Natura psionica.
Consumo: medio, energia

Riassunto: Dopo aver evitato l'attacco iniziale di un lupo con la difesa fisica Media, Cassandra sfrutta l'abilità Concentrazione per ritrovare la lucidità perduta a causa dell'effetto dei vapori.
Genera quindi sul campo di battaglia delle copie esatte dei suoi compagni per distrarre le bestie, poi comincia ad attaccare prima con lo spadino, poi con l'arco. Viene poi azzannata da un lupo al braccio sinistro e viene quindi sopraffatta dal branco.

Note:
 
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Indovino titubante
view post Posted on 5/9/2015, 22:14





Oldtree

La notte fu carica di cattivi presagi. A detta del popolino che li aveva ospitati lungo la strada, un incantesimo oscuro aveva preso possesso dei loro boschi, aveva destato gli alberi dal sonno dei loro mille anni e maledetto gli animali che li abitavano; tutti ne avevano paura e guardavano sconsolati, con la consapevolezza che non avrebbero mai fatto ritorno i viaggiatori che, loro malgrado, erano decisi a prendere quei sentieri. Tempo addietro, il barone che regnava su quelle terre aveva reclutato alcuni fra gli uomini dei villaggi in grado di brandire una spada e si era addentrato nel cuore della foresta, alla ricerca del centro da cui si originava la sua corruzione e la pazzia delle bestie; come nelle storie più tenebrose, nessuno di loro aveva ritrovato la via di casa. Da allora la residenza di caccia del nobile era rimasta disabitata e le sue povere mura di pietra si erano lasciate andare nella stretta di macabre radici e rampicanti. Dietro l'imponente porta di legno, che andava annerendo e pietrificandosi sotto al carico degli anni, si apriva un grande salone - l'unica stanza del pianterreno - le cui pareti nude destavano, palpabili, una sensazione di vuoto e abbandono. I prigionieri di Erein utilizzarono quel che erano riusciti a togliere alla polvere per accendere una brace modesta nello spazio dedicato al focolare, e vi sistemarono attorno i loro giacigli di fortuna. Il fuoco riscaldò un poco le mani, ma non sciolse affatto le lingue sovrappensiero né tantomeno i cuori - ammesso che non li tenesse il Signore di Deyrnas - gravi di sconforto: i quattro compagni stettero in silenzio come dei mendicanti, o dei ladroni che andavano a morire al loro prossimo risveglio.
Luka ricordava di aver vissuto una notte del tutto somigliante, durante la sua prigionia a Tanaach. Poteva aver memoria di qualsiasi dettaglio e qualsiasi parola avesse scambiato con il suo compagno di cella, ma per quanto tentasse non sarebbe riuscito a pensare quel che di piccolo mancava alla sua storia - il pezzo che, sapeva, era nelle mani del re. L'uomo trascorse così le sue ore, provando e riprovando a catturare quella lepre sfuggente che aveva la tana nella sua mente. Il fuoco crepitava distorto nel riflesso della sfera di Lord Winter, che teneva fra le mani e osservava paziente nell'attesa che gli mostrasse le impronte del viaggio a venire. Invano, poiché la magia che l'incantava s'era dissolta dal momento che aveva portato i viaggiatori al sicuro, nel rifugio sul limitare del bosco, e la visione non attecchiva più fra i suoi pensieri. Scivolò lentamente nel sonno, in disparte dai suoi compagni, ma il suo fu un riposo magro; si svegliò di soprassalto, poco prima che fosse l'alba. Non poteva ricordare quali erano stati i suoi sogni, quella notte; altre erano le immagini che martellavano nella sua testa: quelle di un sentiero fra i rovi del sottobosco, una via tracciata con dei pali di legno e della vernice rossa. Quel giorno, la sfera li avrebbe condotti fino al cuore della foresta di Oldtree.

. . .

Era da un pezzo, ormai, che non vedevano segnalatori. Per quanto camminassero, il sentiero veniva inghiottito dal sottobosco e si faceva via via sempre più difficile da seguire, oltre che percorrere. Luka impugnava nella destra la sua daga e apriva la strada davanti a sé menando fendenti contro l'intrico di rami pungenti. I suoi passi che scalpicciavano sul terreno umido rompevano senza alcuna grazia quel che sembrava fosse il gran voto di silenzio della foresta di Oldtree; certo, aveva qualcosa di innaturale, così come avevano suggerito le ombre che si erano presentate, la notte prima, alle finestre della residenza di caccia. Era come pietrificata in un tetro e duraturo autunno, cui i vecchi alberi nodosi rifiutavano di lasciar cadere in offerta il loro fogliame bruno. Era come addormentata - eppure, quanto mai sembrava vegliare, lamentandosene coi suoi scricchiolii di legno, su quegli uomini che procedevano intrusi verso le sue trame più nascoste. Luka si lasciava distrarre dall'eco poco distante dell'acqua di un rigagnolo. Si fermò d'un tratto, quando qualcosa di marcio si era spezzato sotto il suo stivale - qualcosa che non sembrava affatto un ramo, o un pezzo di tronco. E nello stesso istante la vista di quel simbolo di morte parve prendere voce in un grido sommesso, il latrato di una bestia; un orso fu loro davanti ancor prima che potessero pensare ad un piano di fuga. Il suo viso famelico, distorto nel ghigno innaturale delle sue fauci, spaccato da parte a parte da una strabordante fila di denti aguzzi, grondava una schiuma dello stesso colore del sangue e del sapore della rabbia: il ruggito dell'animale maledetto scosse la guida fino alle profondità dei suoi visceri, come se già ne avesse lacerato la carne. Le sue gambe restarono incapaci di muoversi per un tempo che gli sembrò interminabile.
E poi d'improvviso un'ombra cadde sull'orso. Qualcosa di più grande di lui schiacciò a terra il muso deforme e lo colpì più e più volte, come i pesanti rintocchi di una campana, finché non rimase altro che un ammasso di carne viva, ossa e peluria indistinguibile. L'essere maestoso si drizzò crocchiando la corteccia che lo ricopriva, frusciando il fogliame che adornava il suo corpo: all'apparenza non era nient'altro che un albero secolare, ma sul suo tronco aveva incisi quelli che sembravano gli occhi di uomo. Prima di voltarsi rivolse un ammonimento ai viaggiatori, intimando loro di andarsene da quei luoghi; la sua voce era antica e parlava a fatica la lingua degli uomini. "Andate via": ripeté mentre si allontanava, ma qualcosa aprì una breccia nel suo cuore nodoso. « Il vostro padrone dice che voi aiutate e io vi porto fuori di qui. Se rifiutate dice di lasciarvi andare. Affari vostri, dice. Io non vi aiuto, non ci guadagno. Che fate? »
A sentire le sue parole, sembrava che avesse dialogato con Erein di Deyrnas in persona, che tuttavia si trovava in un luogo lontano e sicuro, che non aveva nulla a che spartire coi pericoli di Oldtree. Che cosa voleva l'albero dai suoi prigionieri, che non potesse fare da solo? Luka sollevò lo sguardo incerto, incontrando i suoi occhi. « E' così? E cosa faresti per noi - cosa chiederesti in cambio? Non abbiamo nulla che ci dica: ne sarà valsa la pena. »
« La foresta è malata. » rispose l'albero, facendo eco alle sue parole in una nenia dalla voce possente: « La foresta è malata. la magia... Sveglia cose che dovrebbero dormire e fa impazzire gli animali... Cercate... Trovate... La fonte del nostro male... Ed io vi aiuterò ad uscire da qui. »

. . .

L'ingresso della caverna cedette alle loro spalle e la terra crollò perfino sull'ultimo, esile spiraglio di luce. La polvere che si sollevava alle narici e l'odore malsano nell'aria ricordavano - Luka poteva immaginare - quel che un uomo avrebbe provato, da vivo, sepolto sotto la sua tomba. Ma fu proprio nelle trame dell'oscurità che i viaggiatori poterono vedere, distinto, l'alone di stregoneria che si sprigionava, in lontananza, da un pezzo incastonato fra le pietre, dove sgorgava la fonte del torrente: l'origine della maledizione di Oldtree. L'artefatto portava la stessa traccia di quella metà dell'anello di Lord Winter, che la guida aveva dentro la tasca. Dalle acque della sorgente saliva un vapore denso, che presto lo pervase ed entrò nella sua testa, i pensieri tanto pesanti da otturare le sue orecchie. « Attenzione...! »
Quando infine si scosse al grido di Cassandra, fu troppo tardi: un ringhio feroce gli si era pericolosamente avvicinato, soffiando nell'aria con il suo respiro umido e caldo. Prima che l'uomo potesse evitarlo, la bestia si avventò su di lui e serrò le fauci sul suo fianco; coi suoi denti aguzzi lacerò la giubba, strappò la camicia e affondò nella carne, fino a scalfire con il suo male il guscio dentro cui riposava l'ombra, il sogno. Luka tramortì la bestia, colpendola al muso con la destra, e si liberò dalla stretta ferina. Poté sentire il sangue che fuoriusciva copioso dalla sua ferita - e dopo che la sua mente era tornata lucida ne provò il dolore, prima come un tiepido ronzio e poi d'improvviso acuminato, pulsante; sentì le voci dei suoi compagni e le strida delle loro armi, per un'ultima volta. Tutti quei suoni - e anche il loro dolore - si fecero distanti e soffusi, perdendo la presa che avevano su di lui, e lasciarono che il suo tempo fosse scandito soltanto dalla meccanica sequenza di immagini crude che vedevano i suoi occhi; dal ghigno del lupo che affiorava nel buio, e dalle sue mani che si stringevano attorno all'elsa della spada. Prima che la belva fosse ancora su di lui, con un colpo secco le conficcò la spada tra i denti, dentro la sua bocca - quella, di tutta risposta, si sollevò sulle zampe posteriori e agitò gli artigli contro di lui, latrando per la brama della sua vita. Il male che aveva preso la sua terra e l'acqua da cui si abbeverava ne avevano fatto un essere mostruoso, al pari dell'orso che i viaggiatori avevano incontrato sulla via. Il suo collo già lacero per il morbo era grosso e deforme, teso alla fame insaziabile; la sua tenacia avrebbe avuto la meglio sulle braccia dell'uomo.
In quel momento Luka chiamò a sé un desiderio - silenzioso e arcano quanto un pensiero inespresso -, un grumo che si cibasse di lui, della trama dei suoi sogni. Apparve nelle sembianze di un animale ferito, un cervo dagli occhi sbarrati per la paura e che stentava a gridare il suo dolore: l'aria divenne pregna del suo calore e dell'odore del sangue. L'uomo gli gettò addosso l'immagine che ne avrebbe fatto un capro espiatorio, un'illusione per il nemico che lo stava predando; per sé ne trasse una forza misteriosa ed irreale, che mai avrebbe trovato nelle sue mani se non nei deliri della notte. Grazie ad essa liberò la sua daga, affondandola in profondità fino al cranio del lupo e poi tirandola a sé con uno strattone; così sfigurata, la bestia si accasciò a terra. Un altro del suo branco la superò con un balzo e fu di fronte a Luka, che indietreggiò sulle gambe tremanti e premette la sinistra sulla sua ferita, ansante. E lo vide: il mostro lo avrebbe atterrato, tant'era massiccio il suo corpo, e avrebbe dilaniato il suo viso. Fu ucciso in quello stesso istante; ma in quello dopo il suo desiderio volle che il lupo fosse di nuovo davanti a lui, che ancora si muovesse nell'ombra in attesa di chiudere il cerchio con le fauci sulla sua preda. Allora l'uomo lo trovò e lo prese coi suoi pensieri - lo stritolò come avrebbe fatto con le sue mani e, mentre la bestia si divincolava e cercava il suo respiro, la colpì al collo con una sferzata della daga.
Ronzavano attorno alla sua testa le grida incessanti delle fiere, l'eco dei suoi compagni; altri del branco vennero su di lui, e non gli avrebbero dato nessuna via di fuga. E tuttavia Luka avrebbe lottato fino alla sua morte - come in un sogno che teneva il sognatore prigioniero nella sua trama, e lo torturava fino al risveglio con la sua violenza senza ragione.





Corpo 25 (65 - 40)
Energia 90 (170 - 40 - 20 - 20)
Mente 55
CS 3 forza

Equipaggiamento Mani nude. Fasciature per entrambi gli avambracci e una daga lunga (dall'armeria del re). Metà dell'anello di Leopold Winter.

Abilità utilizzate
abilità personale 3/25 a parità di CS, le azioni fisiche di Torc'hijen prevalgono su quelle del suo avversario. abilità passiva, 3 utilizzi 2/3

talento, resistenza Torc'hijen è in grado di resistere a qualunque tipo di sofferenza fisica, come se non la provasse affatto. abilità passiva, 6 utilizzi 5/6

pergamena, mondo di sogno Torc'hijen è in grado di generare un'illusione che inganna i sensi di tutte le persone presenti sul campo di battaglia, della durata di due turni consecutivi. L'illusione rinvigorisce il suo padrone, aggiungendo alla sua riserva 4 CS in forza, mentre sottrae 2 CS alla resistenza fisica di chi non dovesse difendervisi. abilità a consumo critico, natura psionica, risorsa energia

pergamena, immagini fortificanti ogniqualvolta Torc'hijen utilizza una tecnica illusoria, può aggiungere alla sua riserva 1 CS in forza. abilità passiva, 6 utilizzi 5/6

abilità personale 7/25 Torc'hijen è in grado di generare una contraddizione simile a quelle che si presentano nei sogni, nullificando un'offensiva del nemico - come se non fosse mai avvenuta - e rendendone il ricordo un'immagine distorta, fuori posto. abilità difensiva a consumo alto, natura psionica, difesa da attacchi di natura fisica, risorsa energia

abilità personale 6/25 Torc'hijen è in grado di scagliare un'onda mentale che si stringe attorno al nemico e insinua in lui una dolorosa sensazione lungo le vie respiratore, come se qualcuno stesse tentando di soffocarlo. Provoca danni di entità media, ma necessita di una difesa critica. abilità offensiva a consumo alto, natura psionica, bersaglio corpo, risorsa energia

Riepilogo Luka viene azzannato dal primo lupo, che gli provoca una ferita di entità Critica sul fianco destro. Mentre tiene a bada la bestia (abilità personale 3/25), che si prepara per un secondo attacco, utilizza la pergamena Mondo di sogno per generare l'illusione di un cervo ferito sul campo di battaglia; aggiunge 5 CS (Immagini fortificanti) in forza alla sua riserva, mentre le bestie attorno a lui ne perdono 2. Si libera del primo lupo con un attacco da 1 CS. Viene attaccato da un secondo lupo, ma utilizza la sua abilità personale 7/25 per difendersi e la attacca con la 6/25. A quel punto sferra un attacco con la daga da 1 CS. Lo scontro si conclude, narrativamente, con il personaggio che attende di essere finito dal branco di lupi.

Note idealmente, avrei voluto elaborare un po' di più (o un po' meglio) questo post, ma anche in questo turno la carne al fuoco era già di per sé tanta :sigh: Mi scuso per eventuali refusi.
 
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Atelstano
view post Posted on 6/9/2015, 20:46




Fetido olezzo di marcio.
Squallida puzza di un vecchio degradato, di un cadavere in decomposizione.
Se avevo qualche dubbio circa le parole pronunciate da quell'albero, quel nauseabondo odore me li aveva fatti passare. C'era realmente una fonte infetta in quella grotta: cos'altro poteva puzzare in questa maniera?
Chiusi il naso con le dita e continuai a camminare: avevamo deciso di aiutare l'albero e l'avremmo fatto, anche se non avevo assolutamente idea del come.

La luce cominciò a contornare ciò che vedevo. Non era vera luce, in realtà. Non illuminava un bel niente, anzi, ostacolava la vista ed i sensi tutti. Ah, ed esisteva solo nella mia mente.
Presagio e mezzo della mia follia, la luce, quella dannata luce, cominciò ad isolarmi dagli altri.
Li vidi sempre più lontani, li udii sempre meno.
Ero solo, finalmente.
Beh, quasi: contro quella puzza la mia luce non poteva far nulla.
Cominciai a sentirmi sempre più strano. Non so se per l'odore o per la pazzia, ma continuavo a crogiolarmi in quella mia solitudine, quasi mi piacesse.
Ma non mi piaceva affatto.
Mi procurava dolore, rabbia.
Molta rabbia.
Strinsi forte i pugni, tesi i muscoli e quasi imbracciai le spade: sembrava che dovessi combattere da un momento all'altro!
Il cuore mi batteva, provavo persino un po' di paura, proprio come se un avversario fosse d'avanti a me!
Oh, che follia, che follia!
Me ne rendevo conto, credetemi, mi rendevo conto di non essere più padrone in casa mia!
Certo, potevo muovere il corpo come volevo, ma ciò che provavo, sì ciò che provavo e pensavo, persino, era completamente al di fuori del mio controllo!
Questa è pazzia, gente, è pazzia!
Provai a calmarmi in tutti i modi, ma più ci pensavo, più quella puzza mi irritava, più il mio corpo sfuggiva ai pensieri.
Durò tutto poco più di qualche secondo, ma parve un'eternità!
Non persi il controllo, anzi, riuscii a riprendere giudizio appena in tempo. Ma, ahimé, non per merito mio: non ero sicuro, ma parve che fu il collare a rendermi più lucido e la luce cominciò ad attenuarsi.
Proprio in quell'istante, però, mi resi conto che eravamo stati accerchiati.
Lupi deformi ed irrealisticamente aggressivi cominciarono ad attaccarci.
Erano forti, agili, veloci. Non conoscevano la paura e, a quanto pareva neanche il dolore.
Cassandra fu la prima ad abbozzare una strategia, la prima ad essere presa di mira.
Vidi una di quelle bestie dirigersi verso di lei: di scatto mi frapposi tra di loro, deviando le zanne del lupo con il mio avambraccio.
Estrassi la pistola e sparai ad un altro, prima ancora che si avvicinasse.
Impietrito lo osservai alzarsi: parte del cranio era letteralmente distrutta a causa del proiettile, ma l'animale – o meglio, ciò che una volta era una animale ed ora sembrava solo un mostro – non pareva sentire il minimo dolore.
Per un attimo mi feci prendere dalla paura e subito ne pagai le conseguenze: due di quelle bestie mi morsero le caviglie. Le loro mascelle erano come tenaglie, i denti penetrarono la mia carne quasi stessero tagliando burro.
Caddi in ginocchio, gridai dal dolore.
I miei piedi erano grondanti di sangue e non sapevo se erano ancora in grado di reggermi.
Eravamo disorganizzati, noi quattro. Partiti allo sbaraglio, senza l'ombra di una strategia, senza conoscerci, senza fidarci l'uno dell'altro: una nostra disfatta era tutt'altro che improbabile.
E lo sapevo, io, che in passato per poco non persi la vita in una situazione simile.
Un lupo si scaraventò contro di me frontalmente: aveva mirato al collo, ma ero riuscito a muovermi appena in tempo e le sue zanne si ritrovarono a stringere la mia spalla.
Un altro mi colpì con le zampe, così forte da farmi accasciare al suolo.
Chiusi gli occhi, per evitare di mostrare il terrore che ormai gli si era dipinto sopra.
Mi sentivo inerme, di nuovo.
Di lì a poco sarei morto.
Percepivo quelle bestie camminare sopra di me: dovevano avermi circondato.
Sentii le loro zanne penetrare la mia pelle.
Dannazione, non volevo morire, non volevo!
Forse piansi, probabilmente temetti realmente che la mia vita sarebbe finita.
Ma non potevo permetterlo.
Non avevo speranze, ma non potevo farmi uccidere.
Non sapevo come, ma non era forse questo che facevano i folli? Si opponevano all'inevitabile in una maniera che neanche loro conoscevano e qualche volta, persino, riuscivano nei loro intenti?
Lo sperai, davvero: in quel momento pregai la mia follia di salvarmi.



Corpo: 80 - 20 - 5 - 10 - 10 = 35 %
Mente: 95 + 5 = 100 %
Energia 85 - 5 - 10 - 5 = 65%

Armi: 2 katane - 1 archibugio - 2 pistole - 8 pugnali da lancio.
Armi naturali: pugni
Armatura naturale: corpo

Tecniche usate:
Parry – Con l'utilizzo delle armi, dell'armatura, o persino a mani nude, Eoforhild è in grado di parare o schivare gli attacchi fisici più blandi. Si tratta di una tecnica a potenza e consumo basso, di natura fisica e che può difendere solo tecniche fisiche, e che – per essere usata – consuma l'energia. Tecnica personale I.
Aim – Si tratta di un semplice attacco a distanza, sferrato con un proiettile particolare della pistola, con un lancio particolare di un pugnale, o sfruttando l'ambiente esterno per arrecar danno all'avversario. È una tecnica fisica di potenza e consumo medio, che causa danni al corpo dell'avversario e che – per essere usato – consuma l'energia.

Note:
Allora, all'inizio Eoforhild - mentre accusa gli effetti negativi dei vapori, si fa curare la mente dal collare.
Poi inizia lo scontro vero e proprio. Come da confronto, usa parry per difendere Cassandra e Aim per colpire un lupo.
Due di loro, però, gli colpiscono le gambe, causandogli un danno alto. Usa di nuovo Parry, per difendersi da un offensiva media di un lupo, e subisce quindi un danno basso alla spalla. Un altro lupo lo scaraventa a terra, e subisce un medio al fianco. Ancora, mentre è a terra, viene colpito da altri lupi che gli causano un altro medio su tutto il corpo. Lo scontro termina proprio con Eoforhild a terra e tanti lupi sopra di lui.
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view post Posted on 11/9/2015, 19:02

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Deyrnas ~ Passato

Era stata la sua prima battaglia. Niente di più, niente di meno che una scaramuccia tra l’esercito di Sua Maestà e un gruppo di nobili con più ambizione che cervello. Schiacciarli era stato facile quanto calpestare uno scarafaggio molesto. Il Re aveva affidato a lui il comando generale ma era toccato a Loghan guidare gli uomini in battaglia. Ovviamente questo aveva comportato un’inutile spargimento di sangue.
Facile era stato facile ma non per questo Erein si poteva dire soddisfatto dall’esito della battaglia.
Aveva progettato tutto nei minimi particolari. Grazie alle sue conoscenze in campo arcano era riuscito a prevedere le mosse dei ribelli e a tendere una trappola al contingente guidato da Lord De-Betune l’ispiratore della rivolta. Il piano era semplice: con il capo dei ribelli in ostaggio il morale degli altri sarebbe precipitato. A quel punto bastava apparire sul campo nel pieno della forza, minacciare di uccidere il capo e di non lasciare superstiti e contemporaneamente offrire ai nemici una via d’uscita semplice e pulita: arrendersi. La resa avrebbe comportato vantaggi inequivocabili; il Re avrebbe dimenticato la faccenda, tutti sarebbero tornati a casa senza nemmeno un graffio e – se le condizioni dei ribelli si fossero dimostrate ragionevoli- Sua Altezza avrebbe persino concesso loro di esprimere il malcontento durante un udienza privata. Loghan aveva rovinato tutto ….
Giunti alla scena madre invece di obbedire agli ordini del suo comandante aveva agito di spontanea iniziativa, imprigionando gli emissari giunti a trattare, impiccando Lord De-Betune e guidando una feroce offensiva contro il campo dei ribelli. Un’inutile massacro che per convenienza politica era stato mascherato da eroica impresa a tutela della libertà e della sicurezza del regno.
Quando il Re li aveva convocati per complimentarsi – nonostante tutto – Erein ne aveva avuto abbastanza delle vanterie del fratellastro ed era scoppiato …
«Sei un idiota! Ti credi un grande eroe solo perché hai massacrato uomini impreparati, demoralizzati e pronti ad arrendersi? » - lo avrebbe schiaffeggiato ma si trattenne dal farlo. - «Una vittoria, certo, ma quanto ci è costata? Le perdite in termini di uomini e reputazione sono incalcolabili …. »
Loghan sfoggiò il suo sorriso più arrogante - «Quali perdite? Nessuno dei nostri cavalieri investiti è morto … Se la morte di un paio di villici ti disturba lo stomaco forse non sei adatto ad ereditare la corona! »
Erein sentì la faccia andargli a fuoco - «Nessun cavaliere? Sono stati uccisi quaranta cavalieri nell’accampamento dei ribelli di cui cinque erano Lord; altri trecento uomini sono morti tra fanti e attendenti e …»
«Tutti nemici, ribelli, degenerati che hanno osato levarsi contro di noi! »
«Erano comunque sudditi del Regno idiota! » - quello che sarebbe divenuto il Re Stregone perse il controllo … Dai pugni contratti si levarono spire di una materia fumosa che andarono ad avvilupparsi intorno al collo e al busto di Loghan, stringendo, imprigionando in una morsa prodigiosa - «Dammi una sola, buona, ragione per non stritolarti! »
Il Re che fino ad allora aveva osservato la scena come un padre fa con una litigata tra fratelli intervenne -
«Erein lascianda andare tuo fratello! Ora! »
Erein obbedì - «Sei un vigliacco, un arrogante, un mostro! La fortuna vuole che sarò io ad ereditare il Regno … Questa gente è già fin troppo sfortunata a vivere in questa terra ingrata senza doversi sorbire un monarca che reputa la vita altrui meno del fango che gli inzacchera gli stivali! »
Il Re lo osservò a disagio - «Ebbene … »
«Non mi direte che siete d’accordo con lui ! » - commentò Erein irritato.
Sua Altezza scosse la testa evidentemente imbarazzato. - «No … Ecco… Non proprio. » - piantò i suoi occhi in quelli del suo erede - «Oh per gli dei! E’ giusto che tu lo sappia! Loghan ha sbagliato calcando un po’ troppo la mano …»
«Solo un po’?! »
Il Re mosse una mano infastidito per tacitare lo sdegno dell’erede - «Ciò che intendo dire è che alcuni sacrifici sono necessari! La vita di quegli uomini è servita a riportare la pace nel regno. Cosa sono le loro vite rispetto alle nostre? »
Erein rivolse ad entrambi un’occhiata di fuoco - «Mia madre ha ragione: io non sono come voi! Sciocchi, presuntuosi, ciechi! » - e così dicendo abbandonò la stanza.
Il Re osservò il suo erede uscire sbattendo la porta con un’espressione addolorata sul viso.
Quel giovane, così ardente e controverso gli ricordava sua fratello … Era stato quel suo spirito indomabile a condurlo alla perdizione, la sua incapacità di cedere ai compromessi. Sperò vivamente di sbagliarsi.


Deyrnas ~ Tempo attuale


«Salvarli? Sarebbe uno spreco di tempo. Sono condannati. Lascia che i lupi facciano il loro lavoro è più misericordioso rispetto a quello che dovrebbero sopportare se tu li salvassi »
Gwalch Glass probabilmente aveva ragione ma Erein non lo avrebbe ammesso con tanta facilità.
«Posso aiutarli, con le mie conoscenze troverò un antidoto. »
Lo Sparviero sollevò un sopracciglio - «Dovresti iniziare a comprendere che anche ai tuoi poteri ci sono dei limiti. Quella maledizione non può essere spezzata con tanta facilità … C’è solo una persona che può aiutarli e non è detto che lei sia disposta a farlo … »
Erein osservò la superficie dello specchio non aveva molto tempo per decidere - «Se li abbandono la missione fallisce … »
«Potrebbe andar peggio, potresti essere infettato anche tu… »
«Il mio spirito è più forte … Resisterò, andrò da lei e la obbligherò ad aiutarci! »
Gwalch Glass sbuffò - «Fai come ti pare. Provaci pure. Ma se credi che ti renderà le cose facili ti sbagli. Dopo quello che le avete fatto vorrà umiliarti. »
Una luce improvvisa s’accese nel volto del Re Stregone - «Un po’ d’umiltà non ha mai ucciso nessuno … »



Fonte Corrotta ~ Tempo attuale


Un turbinio di fumo e fiamme invase la caverna. Odore di pelliccia bruciata, guaiti, ululati disperati e poi il caos … Mentre i membri più deboli del branco morivano e quelli più resistenti ritornavano nei budelli di pietra da cui erano venuti l’enorme maschio alfa non si dava per vinto. Dopo l’esplosione era – se possibile- più orribile di prima. Laddove le fiamme l’avevano lambito larghe chiazze di carne bruciata e deforme si facevano spazio nel pelame abbrustolito. Gli occhi iniettati di sangue erano accesi di una follia che solo la morte avrebbe potuto sopire. Una densa bava biancastra insozzata del sangue intossicato dell’animale stesso colava dalle fauci snudate.
Il nuovo arrivato osservò con pietà e circospezione la belva … Prima della maledizione doveva essere stato un lupo magnifico, possente, regale. Ora non rimaneva che un mostro. Cose oscure l’aveva trascinato nell’oscurità corrotta e deviata da cui non c’era speranza di salvarlo. C’era un solo modo di porre fine alle sue sofferenze: sopprimerlo. La figura slanciata estrasse la spada dal fodero. Il lupo si preparò ad attaccare. Un’ondata di puro potere magico percorse la distanza che li separava. La magia della spada lo sorprese così: zampe tese nello sforzo dello slancio, fauci aperte, un’espressione quasi umana e sofferente negli occhi.
Fu sufficiente un fendente per distruggere la materia cristallina che la spada stessa aveva creato. La statua di ghiaccio esplose e fu finalmente il silenzio. Ora il visitatore inatteso poteva preoccuparsi degli avventurieri.
I quattro giacevano sulla pietra resa scivolosa ed infida da una fanghiglia verdastra, malsana e maleodorante, privi di sensi. Erano feriti, probabilmente già contaminati dalla stessa maledizione che aveva corrotto la foresta ma vivi. Il visitatore inatteso ebbe un attimo di mancamento …
Stava respirando anche lui i vapori esalati dalla fonte infetta e ben presto anche la sua magia avrebbe ceduto al potere corrompente dell’artefatto. Doveva fare in fretta …
Si avvicinò alla fonte ed esaminò il frammento colpevole dell’orribile ferita inflitta a quel posto.
Una magia perversa, potente, insaziabile animava quello che appariva come la metà di un anello.
Il misterioso viandante evocò una figura eterea, fumosa e gli ordinò di prelevare per lui il frammento.
L’ombra obbedì ma non appena le dita affusolate afferrarono il pezzo di metallo animato da tanto negromantico potere iniziò a contorcersi ed ululare in una lingua sconosciuta. Prima che fosse troppo tardi il suo padrone la liberò il frammento cadde a terra con un sinistro rumore metallico.
Non aveva scelta, doveva farlo da solo. Le sue dita lo afferrarono, un dolore atavico, ultraterreno, intollerabile lo colse. Sentì la potenza della maledizione percorrerlo come una scarica elettrica, diffondersi in tutto il corpo. Quel fuoco immondo durò poco lasciandolo debole, spaventato ed indolenzito.
Ora sentiva quella rabbia, quella paura, quell’oscurità afferragli le viscere, insinuare le sue dita gelide nella mente. Presto, presto sarebbe svenuto anche lui e allora non ci sarebbe stata speranza …
Doveva fare in fretta, doveva recarsi da lei …



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Arrivavano. In cinque.
Aprì la porta e lo vide. Era lui come le sue visioni le avevano detto. Non seppe trattenere un sorriso.
«Guarda, guarda chi striscia ai miei piedi … »
Era debole, certo, in difficoltà ma non le avrebbe permesso di rivolgersi a lui in quei termini.
«Vuoi farmi entrare? »
La figura raggrinzita non si mosse di un millimetro. Gwalch Glass aveva ragione non gli avrebbe reso le cose facili.
«Per favore … »
Lei continuò ad osservarlo gongolando.
«Ti supplico… »
Il sorriso sdentato si allargò.
«Dentro! Lascia stare quei quattro, ci penso io …. Non vorrai creparmi sulla porta vero? Porta male! »
La casa era come la ricordava. Pulita, ordinata, profumata di erbe aromatiche. Il focolare acceso ospitava una pentola con qualcosa a bollire: zuppa di spezie, probabilmente. Le era sempre piaciuta la zuppa.
Lei rientrò trascinandosi gli avventurieri. Era irriconoscibile …
«Se volevi morire tra atroci sofferenze perché non venire da me subito? Conosco la maledizione te l’avrei inflitta gratis … In ricordo dei vecchi tempi! » - ridacchiò tetra - «Vuoi il mio aiuto non è così? »
Erein non rispose.
«Sei ancora convinto di essere migliore di me? Più puro, più giusto, più nobile, più potente?» - la sua voce era un gracchiare spiacevole. «Eppure … Ora che i tuoi poteri non funzionano cerchi l’aiuto di questa povera, triste, contadinotta illetterata … Non è così che mi chiamò tua madre? »
«Io non lo pensavo …» - rispose lui con un filo di voce. «Per me eri importante …»
La sua risata roca e malefica invase la stanza. Il rancore e il veleno di secoli emersero con virulenza.
«Io non lo pensavo …» - lo scimmiottò - «Già tu eri troppo nobile per pensare queste cose … Semplicemente mi ritenevi inadatta ad uno come te. Andavo bene come amica, ma quando si trattava di passare oltre … Oh no! Non si può! Non sarebbe conveniente!»
La vecchia sputò sul pavimento. - «Io avrei fatto di tutto per te…»
«E l’hai fatto! Hai fatto di tutto e anche di più. Ma cosa sei diventata?»
La strega gli balzò alla gola. Le dita rachitiche afferrarono la gola del Re Stregone. Gli occhietti cisposi lo fissarono colmi di rancore. «VOI MI AVETE FATTO QUESTO! VOI MI AVETE RESO IL MOSTRO CHE SONO!»
«A-abb-abbiamo solo …»
«Ah lo ricordo! La conosco bene questa favola … Avete solo dato al mio corpo lo stesso aspetto della mia anima! »


Erano giovani … Lei era una serva e lui l’erede al trono. Era intelligente Ella e dolce. Timidamente spiava Erein mentre studiava dai suoi grossi tomi, con gli occhi sgranati per meraviglia. Avrebbe desiderato tanto saper leggere… Lui un giorno l’avvicinò, le chiese come si chiamava e le propose di fargli compagnia.
Ella non riusciva a credere alle proprie orecchie, era pazza di gioia e spaventata al tempo stesso.
Il principe era così gentile con lei … Ben presto divennero amici. Lui le insegnava a leggere, le parlava delle storie incredibili e favolose che trovava nei suoi libri. Un giorno, provò a baciarlo ma lui si ritrasse …
Pensò che era troppo presto, che in fondo lui l’amava e che un giorno le avrebbe confessato i suoi sentimenti. Attese Ella, attese per anni. Era diventata una persona nuova. Sapeva leggere, si interessava di magia ed era diventata un esperta di erbe. Il Re l’aveva persino liberata dalla sua condizione di serva e le aveva donato un piccolo pezzo di terra in cui coltivare i suoi semplici perché era riuscita a curargli una ferita infetta che rischiava di fargli perdere un dito della mano destra.
Ella ed Erein avevano continuato a vedersi spesso. Facevano lunghe passeggiate notturne e lui l’aiutava a raccogliere i suoi semplici e le donava libri.
Una notte, mentre aspettava che il suo amato principe bussasse alla porta, sentì un rumore e vide lei …
Era bellissima, elegante, una vera Regina. Si inchinò sollevando la gonna e chinando il capo come fanno le dame a corte. E lei … Rise.
« Povera, triste, contadinotta illetterata » - le disse con tono sprezzante - « Aspetti il mio Erein non è così? Non verrà … »
Ella non pensò nemmeno per un attimo alle offese della Regina. Ciò che le interessava, ciò che la preoccupava era che al suo amato potesse essere accaduto qualcosa di brutto.
« Cos’è successo? Non sta bene?»
La Regina risa ancora. « Sei tu a farlo star male cara … Lo sfianchi con le tue moine, lo insulti con i tuoi atteggiamenti da piccola sgualdrina ignorante! Stai lontano da lui! Non osare avvicinarlo mai più... Trovati uno della tua specie! Trovati uno come te … Lui è al di sopra delle tue possibilità. »
Ella avrebbe voluto piangere ma non lo fece.
« Fuori da casa mia! » - urlò - «Sei solo una donna perfida, sei senza cuore! »
La Regina la guardò con un sorrisetto gelido sulle labbra -« Quella senza cuore sarai tu se oserai avvicinarti a mio figlio ancora una volta …»


« Come hai potuto?!» - le urlò Erein furente di rabbia. «Io mi vergogno di te!»
La madre lo osservò con un misto di pietà e paura in volto - « Tu non capisci … Lei … Lei è …»
«Una cara ragazza, una persona dolce, comprensiva, intelligente … E soprattutto è una mia amica!!»
Mornie lo osservò a lungo - «Ho visto nel suo futuro Erein … Presto ti dichiarerà il suo amore … Tu la rifiuterai e lei farà qualcosa di orribile a se stessa e a te … Dovevo fermarla …»
«Menti! Lei l’ha già fatto. Io le ho spiegato che non ricambiavo e non è successo niente! Niente! Tu lo fai solo perché è una contadina …»
Mornie lo guardò allarmata, poi senza aggiungere niente scomparve.



« Tu hai ceduto all’oscurità Ella! » - le dita della strega stringevano con meno convinzione - «Hai fatto un patto con un demone, hai corrotto la tua anima e mi hai tradito! Hai usato la magia per tentare di farmi innamorare di te e quando non ha funzionato hai iniziato a vendicarti uccidendo uomini innocenti!»
La strega abbandonò la presa - « E tu mi hai privato della mia giovinezza… Mi hai reso un mostro … Io … Io volevo solo …»
Un urlo. Le convulsioni iniziarono a scuotere il Re Stregone. La maledizione progrediva rapidamente.
«Aiutami Ella! Ti supplico … »
Poi il buio.

CITAZIONE
Qm-Point

Cosa succede? Siete svenuti e "qualcuno" giunge a salvarvi ... Ma le cose non vanno affatto per il verso giusto.
Questo è - come vi avevo annunciato - un turno bonus, pertanto totalmente inaspettato e imprevisto. Nel prossimo Qm point riceverete maggiori informazioni. Per ora chi ha scelto di giocare seguendo la traccia fornita tramite Pm può procedere e postare.

Sneak: dimmi se vuoi recuperare il turno precedente in questo post. Ovviamente salti il turno bonus, provvederò io a fornire una "scusa" al tuo Pg.



 
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24 replies since 17/8/2015, 11:21   620 views
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