Toc... Toc....
Toc... Toc...
Nessuna risposta.
Toc... Toc...
Ancora niente; afferrai un altro sasso. Accarezzai con le dita quella superficie irregolare, poi, di nuovo, lo lanciai alla finestra.
Toc...
Questa volta sentii dei rumori proveniente dalla stanza. Poi un'ombra.
Il cuore cominciò a battere all'impazzata.
La finestra si aprì e riconobbi una persona affacciarsi.
Era notte. La luna si nascondeva malamente tra le nubi, lasciando intravedere una flebile macchia chiara, appena appena luminosa.
Non c'era una stella in cielo e numerosi aliti di vento sembravano prennunciare un temporale.
Raccolsi appena in tempo la giacca che già se ne stava volando al ritmo delle folate.
La indossai, ma feci bene attenzione a che la sciarpa non mi coprisse il volto.
"Godiva!"
Dissi a voce alta.
"Godiva, mi sembra di non vederti da un'eternità, oh Godiva!"
Credetemi, non riuscivo a trattenermi dall'emozione. Davvero, non ricordavo da quando tempo non la vedevo: erano settimane – che dico, mesi!
Un periodo di tempo in cui avevo quasi accettato la distanza, cercando di riaverla seguendo le "regole".
Ma non aveva funzionato, ed in quel momento dovevo fare a modo mio.
Oh, era bellissima, davvero. Più bella di come la avevo lasciata, più bella di quanto ricordassi.
"E... Eoforhild? Eoforild, Eoforild, sei proprio tu?"
"Chi altri se non io?"
"Io... Mi avevano detto che tu... Aspetta, aspetta lì"
Disse tra le lacrime, prima di rientrare dentro.
Mi limitai ad annuire.
Le mani cominciarono a tremare, il cuore a battere forte. Ero agitato, in ansia, certo, ma lucido, dannazione se ero lucido! Ero lucido come non lo ero mai stato prima. Sapevo cosa avrei dovuto fare: prendere Godiva e andare via da lì.
Non c'era futuro per me in Hertofordshire, non dopo che avevo aggredito Wulfsige.
Vidi Godiva uscire dalla porta di casa, mezza incappucciata, e correre verso di me. Non dissi nulla, mi limitai a baciarla.
Restammo fermi, abbracciati, per Dio solo sa quanto tempo, senza pronunciare una parola.
Quanto mi mancava quella sensazione.
Poi interruppi il silenzio.
"Dobbiamo andare. Se ancora vogliamo stare insieme, se ancora sogniamo la nostra vita, dobbiamo andare. Ora."
"Mi avevano detto che hai aggredito mio padre. Alcuni dicono che sei impazzito, che non sei più quello di una volta. Altri ancora sostengono che sei morto. Eoforild, Eoforild, ti prego, dimmi, cosa sta succedendo?"
"Non sono morto, ci sono andato vicino, ma non sono morto. E, beh, ti spiegherò poi, ma... ti sembro impazzito?"
"No..."
"Allora seguimi"
Feci per stringerla a me, ma una voce mi interruppe.
"Sir Eoforhild Dub Dunstan, eccovi.
Lasciate andare la donna e non vi verrà fatto alcun male."
Mi girai. A parlare fu un uomo alto, robusto, sulla trentina. Era una guardia.
Avevo intravisto più volte il suo volto durante le battaglie. Un uomo capace, un alleato, prima. Un nemico, ora.
"Non toccatela, vi prego"
Pronunciai lentamente. Diressi il mio sguardo verso Godiva e lessi paura nei suoi occhi. No, no, che dico. Era terrore, terrore e sorpresa. Quella strana sensazione di frustrazione che ti deprime, quando capisci che c'è qualcosa di sbagliato ma non hai idea di che cosa diamine stia succedendo.
"Andrà tutto bene."
Le sussurrai, lasciandola.
"Chiudi gli occhi."
Aggiunsi, asciugandone una lacrima. Aspettai che lo facesse e mi voltai, di nuovo, verso la guardia. Era un nemico, appunto, e lo trattai come tale: mi ci scaraventai contro.
Sentii la mia spalla impattare contro di lui; per un attimo pensai persino di avergli rotto qualcosa, e vedendolo cadere al suolo per poco non esultai.
Neanche qualche istante dopo, però, qualcuno mi colpì la nuca: non era solo. Beh, almeno credo, considerando che in quel momento persi i sensi.
___ ___ ___
L'aria sapeva di muffa e di umido. La testa mi faceva male e sentivo che sarei impazzito da un momento all'altro.
Ero solo la maggior parte del tempo. Di tanti in tanto una guardia passava, mi fissava per qualche secondo, e tra l'imbarazzo reciproco prendeva la giusta decisione di andarsene. Beh, eravamo colleghi, fino a poco tempo fa, quasi amici. Ed ora io ero dall'altro lato.
Ascoltai il carceriere mentre parlava con qualcuno. Probabilmente mi avrebbero giustiziato, di lì a poco.
Lo so, avrei dovuto esserne impaurito, eppure non riuscii a temere per la mia sorte.
Ero solo un folle, starete pensando, ma non era così. Sarei uscito da quella prigione, anche se ciò avrebbe significato sfondare le porte a suon di pugni. Sarei tornato da Godiva, persino se costretto a camminare sui corpi senza vita di quelli che una volta erano miei amici.
Sarei uscito da lì a qualsiasi costo.
Non temevo la morte, la avevo sconfitta una volta, potevo farlo di nuovo.
Lo scricchiolio della porta in legno mi distrasse dai miei pensieri.
Un uomo snello, sulla trentina, sussurrò qualcosa ad una delle guardie, poi entrò da solo – facendo attenzione a chiudere la porta dietro di lui.
"Eoforhild Dub Dunstan, sei tu?"
Pronunciò.
"È il mio nome"
Risposi.
"In questa cella ti attende la morte. Vieni con me ed avrai salva la vita."
Aveva un viso pallido e magrolino, ma impassibile.
Io mi lasciai cadere sul letto, e le stecche di legno quasi cedettero sotto il mio peso.
"Siete generoso, Sir. Ma, vedete, non sono così ingenuo da credere che vogliate fare beneficienza."
"Ed hai ragione. Ma la forca ti attende: cosa può mai frenarti dal seguirmi?"
"Vedete, Sir, oh Sir. Ancora non mi avete detto il vostro nome. Come devo chiamarvi, dunque?"
"Gregory Norhwood"
Il suo tono di voce, inizialmente così calmo e pacato, cominciò a diventare irritato.
"Ecco, Sir Gregory Norhwood, ecco. Non so come dirlo, ma, beh, io non temo la morte. Non al punto da lasciarmi governare dal terrore.
Se volete che vi segui, beh, ditemi fino a dove e per quale motivo."
"Saprai tutto, a tempo debito."
"Ma così non aiutate, Sir. E se mi rifiutassi? Aspettate, Sir, aspettate. È solo un'ipotesi, non fraintendete, ma, mi chiedo, cosa potreste mai fare se rifiutassi di seguirvi, così, per chissà quale motivo."
"Troverò qualcun altro disposto a seguirmi."
Sorrisi. Almeno era sincero.
"Bella risposta, davvero. Mi state convincendo, non mento, Sir Norhwood. Ed in che modo credete di potermi far uscire da qui?"
"Sostituiremo il tuo corpo con quello di un cadavere. Per Hertfordshire Eoforhild morirà."
Rimasi qualche attimo in silenzio. Simulare la mia morte mi avrebbe dato abbastanza libertà per poter prendere Godiva ed andarcene via. Ma, diavolo, quanto tempo avrebbe potuto richiedere un piano del genere? Non volevo che Godiva mi credesse morto, non tanto a lungo.
"Va bene, vi seguo"
Dissi, con un tono rassegnato, mentre vidi un sorriso formarsi sul volto dell'uomo. Diede due colpi alla porta e il carceriere la aprì.
Successe tutto in un attimo: colpii Gregory con una spallata e corsi fuori dalla cella. Conoscevo quella prigione, sarei potuto scappare se solo avessi avuto un po' di fortuna.
Ma, a quanto pareva, avevo esaurito tutta la mia fortuna scampando alla morte: nel lungo corridoio che precedeva l'usicita, apparsero dal nulla quattro guardie armate. Mi girai, e ne vidi un'altra rincorrermi insieme a Gregory.
"Sei patetico"
Pronunciò quest'ultimo, prima di avvicinare un fazzoletto alla mia bocca. Non opposi resistenza, non aveva senso in quelle condizioni: passarono pochi istanti e persi i sensi.
___ ___ ___
Viaggiammo a lungo verso nord, ma ricordo ben poco, e non vi nascondo che per qualche attimo credetti che fosse solo un sogno.
Ma mi sbagliavo.
Ero ancora intontito: avevo da poco preso coscienza e l'essere stato incappucciato non aveva aiutato.
Un uomo cominciò a parlare. Non ero certo di aver compreso tutto perfettamente, ma pareva che altri tre individui erano stati ingaggiati pressappoco nelle mie stesse condizioni. Dovevamo completare una missione – a quanto pareva estremamente pericolosa – e recuperare uno stendardo e un libro. Sì, uno stendardo e un libro: chissà che razza di poteri possedevano!
Ah, e l'uomo che con tanta arroganza ci stava indirizzando, aveva intenzione di controllarci in una maniera che ancora non comprendevo.
"Oh, perdonatemi, perdonatemi se non ho ancora parlato per me. Ma, vedete Sir, io - come posso dirlo - io non comprendo in pieno ciò che ci chiedete."
Mi fermai un attimo, giusto il tempo di schiarire la voce. Dannazione, ero imbarazzato e non riuscivo ad azzeccare due parole in fila.
"Cos'è questo stendardo, cosa contiene questo libro? Voglio dire, avete faticato non poco per trovare persone che non avessero nulla da perdere ed avrebbero partecipato di buon grado ad una missione così pericolosa! Non sono stupido, Sir, posso sembrarlo, ma non lo sono: non posso, davvero, non riesco a non essere incuriosito da ciò che ci chiedete di procurarvi!
E poi il collare? Il cuore? Andiamo, se volete controllarci in questa maniera, almeno fateci capire cosa temete che possiamo mai compiere!"
Per un attimo temetti che le mie parole potessero essere malintese, che credessero che ancora prima di iniziare quel lavoro li stessi tradendo.
"Però, Sir, Dio, Sir, non fraintendetemi, vi prego, non fatelo! Sarò lieto di offrirvi il mio cuore, la mia testa e quant'altro, ma non così, non senza spiegazioni, dannazione!"
«Io non ho faticato affatto buon villico. Ma non dubito che sia stata dura per Greg non è un tipo propriamente loquace e non gli piace essere sommerso da tutte queste domande...»
Rispose l'uomo, quasi divertito dalle parole che pronunciava. Io invece già cominciai ad irritarmi.
«Non c'è niente da capire: voglio che recuperiate per me un libro e uno stendardo le mie ragioni rimangono mie e non ho intenzione di esporvele, non finché non lo riterrò opportuno. Quanto al cuore e al collare non è ovvio ciò che temo? Fughe, furti, assassini, complotti contro di me o qualunque altro crimine vi venga in mente. Di certo non sei finito in galera per colpa della tua mania di far domande ..»
"Oh, ma così mi offendete, Sir."
Dissi. Altro che irritato, avrei colpito dritto in fronte quell'uomo. Che cosa mai credeva di sapere? Cosa credeva che fossi? Un assassino?
Dannazione, che arrogante!
"Datemi questo collare, dunque."
Aggiunsi porgendogli la mano e prendendo il collare.
"Tuttavia spero che non vi infastidisca se vi chiedo - ed è l'ultima volta che vi porgo una domanda, ve l'assicuro - a che razza di pericoli andiamo incontro. È nell'interessi di tutti rendere noi, poveri insulsi reietti, consapevoli delle minacce che ci attendono. Convenite, Sir?"
Non so perché non chiusi la conversazione: di certo non ero più imbarazzato, ma mi infastidiva il fatto che non volesse condividere dettagli con noi. Dannazione, l'essere andato in battaglia senza la consapevolezza della potenza dei nemici mi aveva portato quasi alla morte. Ed alla follia.
Lui cominciò a ridere. Sì, rideva, si prendeva gioco di me, di tutti. E come biasimarlo, non era mica lui lo sventurato che di lì a poco avrebbe intrapreso una missione praticamente suicida.
«Anime dannate, maledizioni, non morti e questo solo nella città di Afal. Per la via chissà quale manica di briganti, assassini, ribelli, esaltati, contadini dalla mente ristretta che infilzano viandanti con i loro forconi. E molti, moltissimi animali selvaggi
Questo è il Nord signori, una terra infame, ostile e pericolosa in cui sarebbe bene tenere la lingua a freno e la bocca chiusa a meno che non si voglia rischiare un assideramento di queste ultime... »
"Una terra di cui non siete all'altezza, considerando che delegate ad altri il vostro lavoro, Sir."
Risposi, di getto. Oh, ero molto più che arrabbiato.
.
"Fate bene a prendere misure di controllo. Non vi celo che da quando avete aperto bocca, il desidero di colpirvi con le mie mani è diventato sempre più forte.
Ma non sono uno sciocco, oh no, ve l'ho detto: seguirò la missione e pagherò il prezzo della mia libertà.
E dunque, quando cominciamo?"
Lo avrei ucciso con le mie mani, se solo avessi potuto. Ma in quel momento era lui ad avere il potere ed io non potei far altro che indossare il collare.
«Faccio solo ciò che fanno i sovrani: delegare ad altri. »
Il collare cominciò a stringersi, sempre di più. La sorpresa iniziale divenne presto paura, e quando cominciai a rendermi conto di non riuscire più a respirare, temetti realmente per la mia vita.
«Ora vi offrirò un eloquente spiegazione di come funzionano certe mie misure di controllo...»
Continuava a parlare, lentamente. E nel frattempo il collare stringeva, e io mi agitavo come una bestia inerme che si rende conto dell'imminente morte.
«...ogni volta che qualcuno di voi disobbedirà, metterà a rischio se stesso, gli altri o l'esito della missione il mio gingillo vi renderà inoffensivi. Stringerà e stringerà sempre più a meno che ... »
Si fermò. Un ennesima, lunga, pausa.
«...non veniate a più miti consigli. Allora la punizione cesserà.»
I sensi stavano cominciando ad abbandonarmi, quando l'uomo schioccò le dita e la morsa del collare cedette.
«Sarò chiaro Messere, non mi piace essere minacciato o insultato specie da chi tengo letteralmente per il collo. Se tenete alla vostra libertà imparate un po' d'educazione. Dopotutto vi ho salvato la vita ...»
Abbassai lo sguardo, respirando rumorosamente. Ero stato umiliato, dannazione.
Alla fine di tutto, quel sovrano l'avrebbe pagata.
Continuò a parlare con un altro uomo, pur non risparmiando frecciatine nei miei confronti, ma non le ascoltai.
Quella dannata luce desolante cominciò ad insinuarsi, infida, in me.
La accolsi.
Ah, la follia, in certi momenti è quasi rassicurante. Ero solo nel mio mondo, dove non c'era spazio per la collera, per l'umiliazione. Non c'era spazio per nulla, in fondo. Neanche per la quiete.
Energia: 100%
Corpo: 100%
Mente: 100%
Armi: 2 katane - 1 archibugio - 2 pistole - 8 pugnali da lancio.
Armi naturali: pugni
Armatura naturale: corpo