| Shervaar |
| | Continua da qui << Quant'è piccolo questo maledetto mondo >> pensai mentre un lembo della tenda dove ero stato accolto si levava scostato da una mano femminea e curata che immediatamente riconobbi. Solo allora, quando la mia gabbia di pelle e solitudine fu spezzata, i rumori del bivacco che stavano tenendo fuori mi arrivarono alle orecchie non più ovattati dalle pesanti mura di cuoio in cui mi ero rintanato: era un suono vivo, gioioso, che sapeva di speranza. Un rumore pieno e frenetico, eppure a modo suo grave, in una lingua a me sconosciuta che sapeva di braci e banchetti, di fumi di fuochi e d’alcool, di lunghi viaggi e di stenti, ma che nel finale, nella spensieratezza delle voci che lo animavano, richiamava salvezza e speranza. Appena qualche ora prima si era presentato alla mia tenda uno dei pochi nomadi che sbascicava la mia lingua, uno di quelli a cui dovevo la vita. Era un giovane esploratore dalla zazzera corvina con un accenno di barba e i lineamenti duri ma non ancora adulti, e offrendomi la cena mi aveva spiegato che per giorni il suo clan di Rahm ad Aid, una trentina di persone comprese donne vecchi e bambini, era fuggito a rotta di collo da un manipolo di esploratori dell’esercito demoniaco. Mentre consumavo silenzioso e interessato la cena, un taglio grasso e speziato di suino, il ragazzo continuò spiegandomi che a sentir lui voleva il caso che i demoni sulle loro tracce da ormai una settimana buona fossero spariti dalla circolazione proprio la sera del il mio ritrovamento, appena due giorni dopo la mia fuga dall’antica foresta del Samarbethe. Avevo così guadagnato l’appellativo di “ospite fortunato” e l’ospitalità presso i nomadi, come fossi stato io a salvarli da quel male vomitato dalle profondità del Baathos. In effetti così era, ma in un modo che quelli non potevano neanche immaginare, e no, non era un caso che la loro fuga fosse terminata in concomitanza con il mio ritrovamento. Poi se li avevo salvati o condannati a qualcosa di addirittura peggiore solo il tempo ce lo avrebbe detto.
Quando il giorno precedente per la prima volta dopo una giornata intera di stenti e fatiche assolutamente perso in un labirinto di roccia avevo rivisto un essere senziente, qualcosa di finalmente vivo dopo la morta desolazione del Samarbeth, era il crepuscolo. Il sole però era già sparito da un pezzo dietro pinnacoli e gole in cui ero disperso e vagavo senza meta e senza cibo ormai da più di venti quattro ore in un labirintico groviglio strapiombi di roccia e guglie appuntite. Sferzato da imprevedibili e violente raffiche di vento secco e gelido e vagabondo in quell’ultima propagine del Samarbethe che annegava nel Talamlith, io, un Nitro dalla pelle spaccata dal vento e dalle gambe deboli e instabili perso tra chilometri di roccia che sembrano non aver un’uscita, ero in fuga senza meta dall’epicentro di quel terremoto alato che presto avrebbe travolto il Nord. Quello stesso terremoto che avevo messo in movimento incoscentemente ed involontariamente. Difficile però dire quanto tempo effettivamente rimasi lì vagabondo mentre le forze venivano meno e i pensieri si facevano sempre più confusi. Ciò che ricordo sicuramente di quel incontro che sul finale mi aveva salvato la vita erano due i bipedi, un’avvertimento che suonava minaccioso in una lingua che non capivo, e un lancia puntata al volto. Poi mi ero sciolto come ghiaccio al sole sotto il peso di fame e della fatica, rovinando al suolo. Quando avevo ripreso conoscenza il sole mi arrivava come un disco sfocato la cui luce ed il cui calore erano attenuati da alcuni tendaggi. Giacevo disteso e mezzo nudo, ancora confuso, mentre un irregolare ma costante sbalonzolio ed il continuo lagnarsi del legno mi lasciarono intuire che fossi adagiato su un carro in movimento. Ancora in viaggio dunque, un viaggio che ormai durava da un mese e che speravo almeno questa volta mi stesse portando verso Sud, lontano dal Samarbethe. Ero rimasto semicoscente in dormiveglia per una buona mezza giornata e quando a sera finalemente ritornai in me era ormai passato un giorno e poco più dal mio ritrovamento ed il popolo nomade mi aveva accolto, curato e rimesso in piedi con infusi e cataplasmi. Mi avevano poi proposto compagnia e quando avevano rifiutato mi avevano lasciato i miei pensieri. Pensieri vuoti in realtà perché al momento non facevo che rimuginare spento sugli avvenimenti dei giorni precedenti cercando di immaginare cosa sarebbe accaduto ora che nuove ed indomite forze erano arrivate a riscrivere gli instabili equilibri del Nord. Magari non sarebbe successo un bel niente, erano solo mie inutili preoccupazioni, magari no. Quella sera però, sentendo tutta quella baldoria, avevo deciso di fermare il giovane nomade che era giunto con la cena dando sfogo alla mia ritrovata curiosità. Notai poco sorpreso che fu quella la prima cosa del vecchio me a rifarsi viva, la curiosità. Finito di ascoltare il racconto avevo declinato l’offerta ad unirmi agli altri ed ero rimasto chiuso a rimuginare sul passo successivo; e mentre silenzioso consumavo il mio pasto, mentre fuori festeggiavano la fine della loro fuga ignari di quale altro cataclisma stesse per abbattersi sull’Edhel, la mano femminea scostò il tendaggio e lui entrò nei miei spogli sei metri quadri di stanchezza fisica e mentale. Il giovane umano, non uno dei nomadi però, avrebbe trovato poco più che il pallido ricordo dello scienziato incontrato nelle torri di Lithien il mese precedente. Avevo il volto scavato dagli stenti e dalla fatica, gli occhi stanchi e privi del loro vispo guizzo e membra spossate e le spalle cadenti abbandonate sopra un ciotola fumante. In un angolo, abbandonati, stavano tutti i miei averi e le mie armi. << Veramente piccolo questo nostro mondo... >> dissi mentre entrava nella mia tenda. << ...troveranno i nostri nuovi amici il loro posto in esso? >>
Legenda : Narrato - Pensato - Parlato
Note:
Scena Free tra me ed Hole. Si prega di non intervenire.
Al momento è un quadretto solo introduttivo sul come e perché sono finito lì. A te la palla, ovviamente puoi inventare tutto l'omesso.
Edited by Shervaar - 5/9/2015, 13:38
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