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{ Masut, Bastione di Granato, alloggi dei consiglieri } «Da questa parte.» La voce del guerriero che gli faceva da guida riscosse Jahrir dai suoi pensieri, evitandogli di sbagliare strada in quel labirinto di corridoi che era il palazzo. I passi del nano e dell’umano echeggiavano nei corridoi rivestiti di marmo bianco finemente scolpito in elaborati arabeschi e illuminati da ampie finestre bifore da cui la luce mattutina entrava tagliando l’ombra in fasci netti e delineati. Il guerriero che gli apriva la strada era un uomo di stazza mastodontica, tanto grande e possente come Jahrir non ne aveva mai visti, braccia nerborute e fittamente tatuate tanto grosse da poter stritolare facilmente un toro, pelle scura, capelli lunghi del colore dell’onice raccolti in una miriade di trecce che fluenti gli accarezzavano le spalle ad ogni passo, un volto scultoreo, larghe labbra carnose incorniciate da una barba pulita e ordinata tagliata da una lunga cicatrice. Indossava una sobria ma minacciosa armatura in scaglie di bronzo dipinte di nero, però ciò che più inquietava il nano era senza dubbio l’arma che portava disinvoltamente appoggiata alla spalla: un’enorme tabarzin dalla massiccia lama ondulata, tanto grande da poter tagliare un cavallo in due, che da sola probabilmente pesava quanto un uomo adulto. Jahrir non riusciva a smettere di guardarsi intorno nell’ammirare tutte le meraviglie architettoniche, le sculture e le pareti affrescate che gli passavano davanti agli occhi. Fu quando la sua guida alzò il braccio per grattarsi la base del collo che il nano scorse un simbolo marchiato a fuoco sulla sua spalla, un simbolo che aveva visto innumerevoli volte e ormai sapeva riconoscere molto bene.
«Ehi, umano.» Ruppe il silenzio. «Hai detto di chiamarti Tolga, giusto? Dimmi un po’, sei uno schiavo?»
Il gigante piegò leggermente la testa continuando a camminare e si limitò a squadrarlo per un istante con i suoi occhi duri e inespressivi, indecifrabili, ma non gli diede nessuna risposta.
Entrando in Masut, quella mattina il nano aveva avuto modo di comprendere quanto bastava su quella città. Per le sue strade era possibile ammirare ogni sorta di persone e merci provenienti da ogni parte del continente, ma nessuno dei quartieri mercantili rivaleggiava con il Bazar delle Grate, il mercato degli schiavi: un immenso complesso di edifici uniti tra loro in cui si sviluppavano dedali di oscuri corridoi e cortili, era tanto esteso da occupare addirittura un buon quarto della città. Ovunque si guardasse si potevano vedere, dai lati della strada affollata al livello del terreno fino alle logge più alte, schiere su schiere di profonde celle con sbarre di metallo in cui era messe in bella mostra un solo genere di mercanzia. Merce viva. Di ogni sesso, di ogni razza e per ogni estrazione sociale: da barbari e briganti catturati e fatti prigionieri a sventurati villici caduti vittima delle scorribande dei cacciatori di schiavi, tutti destinati alle cave o ai cantieri; uomini ben acconciati e di distinto aspetto in vendita a caro prezzo come scribi, contabili, educatori o maestri di palazzo; donne, fanciulle e bambine speranzose di essere comprate come dame di compagnia da qualche nobildonna e di non finire invece smerciate come meri oggetti di piacere in uno dei tanti bordelli che costellavano i bassifondi. Esseri viventi venduti al dettaglio, all’ingrosso o all’asta. Come bestiame.
Sopra la fitta rete di strade, torri e caseggiati, il Bastione di Granato dominava l’intera piana. Adagiato sul colle a ridosso della città come un gigante sopito, le sue massicce torri di pietra rossa erano visibili per decine di miglia e l’imponenza delle sue mura era tale da mettere in soggezione anche la più potente delle armate. Nonostante la vivacità del centro abitato, chiunque avesse un minimo di competenza in architettura e urbanistica avrebbe potuto costatare che Masut era stata ideata originariamente non come centro abitato, ma come piazzaforte. Eppure, come una perla all’intero di uno scabro guscio di conchiglia, dietro a quelle muraglie tozze e squadrate il Bastione di Granito racchiudeva splendidi palazzi ricchi di mosaici, statue e fontane, giardini colmi di piante esotiche e fiori variopinti e rigogliosi ogni mese dell’anno. Era questo il simbolo del potere di Masut. Ultimo fiero vestigio di un regno che anno dopo anno sprofondava lentamente nell’ignavia e nella corruzione, macchiandone i marmi e diroccandone i torrioni.
I due attraversarono in cupo silenzio un altro paio di corridoi, finché il guerriero non si arrestò di fronte a un portone di legno scuro finemente intagliato e vi si pose di davanti, rivolto verso il nano, come a bloccargli il passaggio.
«Il mio padrone vi sta aspettando.» Ringhiò con quella voce che si sarebbe addetta più a un orco che a un essere umano. «Le vostre armi, cüce.» Gli intimò.
Jahrir esitò per qualche istante a quella richiesta. Dopotutto le persone a cui stava per domandare appoggio erano le stesse che non molte stagioni prima avevano mosso guerra al popolo nanico, il suo stesso popolo. Era consapevole del rischio che stava correndo, ma la corruzione avanzava e la cerchia degli alleati si era drasticamente ristretta, al pari delle alternative e del tempo a disposizione. E Jahrir era risoluto ad andare fino in fondo. Alzò il lembo del farsetto sgualcito color paglia, si sfilò dal cinturone la spada corta e il prezioso martello nanico, baluardo di Qashra, compagno fedele di innumerevoli battaglie, e lo consegnò nelle mani dell’umano.
«Un momento...» Ringhiò il bestione, spingendo indietro il nano con la gigantesca mano d’acciaio, proprio quando stava per risolversi a varcare il portone, e indicando subito dopo i suoi piedi con un ringhio che non prometteva nulla di buono.
«Oh!» Esclamò Jahrir, trattenendo lo spavento. Scoperto, si abbassò ed estrasse lentamente il coltello che aveva nascosto nello stivale, l’ultima risorsa che serbava nell’evenienza nel caso la situazione si fosse messa male, e consegnò anche quello. «Chiedo perdono, l’avevo dimenticato.» Tentò di dissimulare con un sorriso teso stampato posticcio sulla faccia, ma ottenendo in risposta solo un’espressione minacciosa e un truce ammiccamento di avviso, l’occhiata di una belva abituata a schiacciare uomini come mosche. E pronta a farlo in qualsiasi momento.
«Attento...» Lo ammonì.
Si era già fatto un amico.
Non si lasciò intimorire. Inspirò profondamente di fronte al portone, raccolse tutto il coraggio che gli rimaneva, spinse la maniglia e superò la soglia, sempre pedinato dall’imponente guerriero. La stanza in cui si trovò aveva tutto l’aspetto di uno studio: la luce proveniente dal lucernario sul soffitto illuminava riccamente le pareti affollate da scaffali stracolmi di grossi tomi, pergamene e quaderni rigorosamente ordinati e numerose mensole portanti busti di alabastro e marmo nero raffiguranti illustri personaggi che Jahrir non seppe riconoscere. Lussuosi tappeti variopinti ricoprivano quasi totalmente il pavimento in mosaico ligneo e, sopra di essi, diverse poltrone intorno a un basso tavolino occupavano lo spazio di fronte all’ampio scrittoio stipato di documenti che dominava la stanza. Assiso dietro di esso, un uomo affiancato da due soldati di armature identiche a quella di Tolga, ma dal volto coperto da un foulard nero, scrutava il nano, un vecchio dalla barba bianca come la lana, lunga e riccioluta, la pelle cadente e rugosa. Indossava ampi abiti dai colori sgargianti e un alto copricapo violetto di forma conica.
«Tolga, dammi il suo martello.» Ordinò, dopo aver squadrato per alcuni secondi il nano, fermo in piedi di fronte a lui. Il guerriero avanzò al cospetto dell’uomo e adagiò la splendida arma sulla scrivania, sotto agli occhi del vecchio. Costui la studiò minuziosamente con sommo interesse, accarezzando con delicatezza e rispetto le elaborate decorazioni incavate nell’acciaio nanico. Ad un tratto annuì, quasi estatico, come se l’avesse riconosciuta.
«Jahrir Gakhoor... quale onore. Dunque è vero che siete ancora vivo.» Puntò nuovamente gli occhi verso il suo ospite, rivolgendogli un affettato sorriso gioviale e al contempo divertito. «Vi immaginavo più alto.»
Jahrir rimase interdetto: gli avevano raccontato che il sovrano di Masut era un giovane di nemmeno vent’anni. «Voi chi siete? Ho richiesto esplicitamente di parlare col califfo.»
«Il califfo al momento ha altro di cui occuparsi.» Rispose con disinvoltura, incrociando le dita e sdraiandosi comodamente sullo schienale imbottito dello scranno. «Io sono Sum Kadhir, gran visir di Masut. Potete parlare con me. Accomodatevi.» Lo invitò, mostrandogli con la mano aperta la poltrona più vicina, ma Jahrir non lo assecondò.
«Forse non sono stato abbastanza chiaro. La questione è di estrema importanza. Io non...»
«Sì, sì... è una questione importante, certo...» Lo interruppe con composta deferenza. «La vostra lettera è stata più che esplicativa. E alquanto appassionata, non c'è che dire.» Con la mano destra prese tra l’indice e il pollice un foglio di pergamena semi-arrotolato che si trovava sul tavolo e lo sollevò con flemma, in modo che il nano lo vedesse. Jahrir riconobbe la missiva che aveva inviato al califfo tre giorni addietro, da un’oasi a poche miglia da Masut. «Ma una persona assennata quale voi siete di certo comprenderà le nostre perplessità.» Il suo bonario sorriso scomparve in un lampo, sostituito da un’espressione severa e indagatrice che lasciava intendere da sé che i convenevoli erano finiti.
«Un bel giorno, di punto in bianco uno dei più arditi nemici delle città libere, per giunta noto oppositore del commercio di uomini, si presenta alle nostre porte in cerca di aiuto. Senza esitazione, entra dritto nelle fauci del leone. Non considera che potrebbe essere catturato e trattenuto come prezioso ostaggio per qualche interessante ricatto diplomatico ai danni dei suoi amici nani. Oppure che potrebbe essere semplicemente gettato a marcire in gattabuia, o torturato... o ucciso.» Restò in silenzio per un lungo istante scrutando il volto del nano, scandagliandolo con lo sguardo alla ricerca di un movimento, di un tic traditore, quasi potesse scoprirvi dietro le sue vere intenzioni. «La domanda è: perché noi?»
Jahrir non si scompose; rimase in piedi, altero, affrontando con gli occhi audaci e dignitosi quel potenziale ma ostico alleato. «Credevo di essermi spiegato bene nella mia lettera.» «Voglio sentirlo direttamente dalle vostre labbra, re Jahrir.» Il visir non demorse. «Rispondete alla mia domanda.»
La faccia dell’eroe nanico si distorse leggermente in una smorfia di fastidio. L’Akeran era in grave pericolo, il tempo stava scandendo per tutti, mentre quel vecchio si godeva a dileggiarlo. Abbassò la testa, ingoiò la rabbia che sentiva salire prepotente dalla gola, inspirò profondamente e, deciso a tirare fuori tutto sé stesso, o quel poco che ne rimaneva, rispose.
«Ascoltatemi bene. Non attraversato mezzo continente per essere denigrato in questo modo.» Alzò nuovamente lo sguardo, affrontando l’aristocratico con lo sguardo d’acciaio che solo i guerrieri sanno sfoggiare. «Ho passato una vita sognando la pace per il mio popolo. Dopo la battaglia di Qashra speravo che fosse tutto finito... che il mio tempo fosse giunto alla fine. Per questo ho deciso di ritirarmi, e desiderare finalmente un po’ di pace per me e per mia moglie.» Prese il respiro prima di continuare, con voce vibrante. «Ma ora la minaccia è tornata, e io sono l’unico in grado di fermarla, ma non posso farlo da solo.» Il suo tono parve calmarsi, come se sperasse che l’uomo che aveva di fronte lo stesse ascoltando davvero. «Masut è una piccola città, ma il suo esercito è potente e suoi soldati coraggiosi.»
«Ah, suppongo vi riferiate ai mamelucchi. Sono schiavi guerrieri, non vi disturba la cosa?» Rispose prontamente il visir con tono obiettivo, sempre composto, distaccato.
«Non m’importa.» «Dite sul serio?»
I pugni di Jahrir si serrarono lungo i fianchi, i suoi denti si strinsero. Fece un passo deciso in avanti, verso la scrivania. «Mia moglie è morta, la mia vita è distrutta, ma la mia missione non è ancora finita. Guardatemi bene negli occhi. Lo vedete? Lo vedete il mio dolore? Lo vedete il mio rancore?» La sua voce tuonò nella stanza, schiudendo la stessa passione del medesimo re che aveva guidato l’esercitò nanico all’estrema difesa di Qashra. «Il mio nome rimarrà stampato sui libri di storia finché non avrò rispedito l’ultimo di quei bastardi nell’Abisso a calci in culo, potete starne certo! E sono disposto a farlo con qualsiasi mezzo.»
«Modera il linguaggio. Sei di fronte al gran visir, cüce.» Tolga lo affiancò all’improvviso, fulminandolo col suo sguardo glaciale, ma Jahrir ormai già iniziato la sua battaglia. E l’avrebbe portata avanti fino all’estremo esito.
«Unitevi a me, mettetemi al comando dei vostri soldati, e sconfiggeremo insieme il nemico comune.»
Il visir non si lasciò impressionare, anzi, scoppiò a ridere. «Ahahah... la vostra caparbietà è davvero proverbiale come narrano le leggende. Il sangue nanico scorre fiero nelle vostre vene.» Sospirò, imbastendo una nuova, affettata espressione colma di mestizia. «Tuttavia le vostre motivazioni non bastano. Voi siete un idealista, ma i buoni propositi non sono una merce di scambio, non qui a Masut.» Affermò, quasi fosse veramente dispiaciuto, unendo davanti a sé i polpastrelli di una mano con quelli dell’altra. «Non mi avete ancora dato una buona ragione per accondiscendere alla vostra richiesta.»
«Cosa?!» Sbottò, Jahrir, sconcertato, alzando la voce fin quasi a gridare. «La corruzione è alle porte, e stavolta non ci saranno i nani a venirvi a salvare; siete da soli, e io sono la vostra unica speranza.» «Sappiamo difenderci da soli. Non ci serve aiuto, tantomeno l’aiuto di un nano.»
«Taanach è caduta, e si trova a meno di cento miglia da qui. Voi siete i prossimi.»
«Taanach è caduta molte volte; il Bastione di Granato non è mai stato espugnato.»
«Razza di stupidi...» Non ci vide più. Balzò in avanti e sbatté con violenza i palmi sullo scrittoio, facendo sussultare i mucchi di scartoffie che lo sommergevano e il vecchio ministro dietro di esse. «Vi serve una buona ragione? Ora ve la do io una buona ragione! Ehi, che fate?!» Neanche a dirlo, le due guardie ai lati del visir più lo stesso Tolga non avevano esitato nemmeno un istante a lanciarsi su di lui prima che potesse fare qualunque altra cosa. Lo ghermirono saldamente e lo trascinarono lontano dal tavolo, verso la porta. «Lasciatemi subito, scriteriati!» Jahrir provò a dimenarsi, ma il colosso, sollevatolo praticamente senza sforzo da terra, lo abbrancava da sotto le ascelle con le gigantesche braccia, tanto solide da sembrare ganasce di ferro. E Jahrir non era certo un mingherlino. Sentendosi immobilizzato, cominciò a fulminare a destra e a manca con sguardi colmi di rabbia i suoi aguzzini. «Ma bene, bravi! Sbattetemi pure fuori! Fate come cazzo vi pare! Busserò alla porta di ogni città sul mio cammino finché non troverò un umano abbastanza assennato da ascoltarmi.» Berciò, sbrigliando tutta l’ira repressa finora. «Scoprirete presto cosa striscia alle mie calcagna. Vediamo come lo fermeranno le vostre fottute mura!» Diresse un’ultima occhiata sconvolta, mista contemporaneamente di collera, supplica e compatimento, a Sum Kadhir. «Voi non sapete, non avete visto! Non avete idea di cosa avanza da sud! Diverrete suoi burattini prima ancora di rendervene conto, non avrete nemmeno il tempo di pentirvi per aver ignorato il mio avvertimento!»
Il visir resto a osservarlo con sguardo serio e la fronte corrucciata mentre lo portavano via, quasi provasse soddisfazione nel guardare la disperazione sul volto del nemico di lunga data, godendo della sua miseria. Ma fu all’improvviso, proprio mentre i tre soldati tentavano di spingere il robusto nano a forza – e non senza difficoltà – fuori dalla porta, che l’espressione del vecchio cambiò repentinamente, quasi una maschera fosse caduta dal suo volto. Quasi avesse avuto un ripensamento improvviso.
«Basta così.» Ordinò imperatorio, alzandosi di scatto dalla poltrona e sporgendosi dalla scrivania. «Lasciatelo.»
Le tre guardie si arrestarono sorprese, ma non quanto Jahrir si sarebbe aspettato. Anzi, quasi gli parve che si stessero aspettando di ricevere quel preciso ordine. Tuttavia, non appena allentarono la stretta su di lui, sgusciò dalla loro presa e tornò ad avvicinarsi al tavolo, stavolta cauto protendendo leggermente le mani in un gesto di supplica, deciso a non sprecare quella breccia di speranza che gli parve aver creato nell’animo del visir.
«Credetemi, il tempo che vi rimane è poco e non vi è nessun altro disposto ad aiutarvi all'infuori di me.» Disse, ancora ansante per la lotta, con voce profonda, la più empatica che gli riuscisse. «Ho salvato il mondo una volta. Posso farlo ancora.»
Il visir lo guardò a lungo con espressione interessata, fregandosi lentamente le mani, assorto, quasi stesse ammirando un diamante prezioso appena capitatogli tra le mani.
«Va bene.» Esclamò infine, annuendo tra sé e sé, poi si rivolse alle sue guardie. «Uscite tutti.»
«Siete sicuro, vostra grazia?» Domandò Tolga con aria apprensiva.
«Lasciateci soli.»
L’immenso guerriero si lasciò sfuggire un grugnito di disappunto. Mostrò un cenno di assenso verso il suo padrone e con un gesto nervoso esortò gli altri due soldati – che a quanto pare gli erano inferiori di grado – a uscire, ma non prima di aver lanciato l’ennesima occhiataccia di ammonimento al nano: un’altra corbelleria e probabilmente non sarebbe uscito tutto intero da quella stanza. Se ne andarono chiudendo la porta alle loro spalle. Jahrir e Kadhir ri ritrovarono da soli.
«Vi ho convinto, finalmente.» Sospirò sollevato Jahrir, più a se stesso che all’umano, crollando sfinito su una delle poltrone color porpora.
Il visir inaspettatamente gli sorrise; sembrava quasi una persona completamente diversa, il vecchio cinico con cui aveva parlato pochi secondi prima sembrava non essere mai esistito.
«A dire il vero mi avevate già convinto. L’altro ieri, quando ho ricevuto questa lettera.»
«Ma allora...» A quelle parole, Jahrir protrasse la testa in avanti, confuso e rallegrato dalla sorpresa.
«Spero non l'abbiate presa male. Desideravo solo saggiare personalmente di che pasta è fatto il grande re Jahrir. Perché voi siete il grande Jahrir, dico bene?»
«Ci potete scommettere. Dunque combatterete al mio fianco?»
Il vecchio alzò la mano aperta, come per esortarlo a frenare i cavalli. «Ho piani migliori per voi.» Si spostò verso un mobiletto incastonato tra le librerie, ne aprì l’anta e iniziò a rovistarci dentro. «Un piccolo compromesso che confido gioverà a entrambi.» Ne tirò fuori un vassoio in argento con sopra due calici e un vaso di vetro soffiato colmo di liquido morato. «Un po’ di vino?»
Jahrir fece per rifiutare, ma il visir fu pronto a rispondergli.
«Ehehe... non temete, non è mica avvelenato.»
Riempì i due bicchieri e gliene porse uno. Il nano con riluttanza lo prese e rispose al cenno di brindisi di Sum Kadhir, ma non bevve un singolo sorso; lo tenne mollemente in mano, senza portarlo alle labbra o appoggiarlo. Il vecchio ministro iniziò a passeggiare lentamente per la stanza, come se il movimento gli stimolasse la parola.
«C’è una storia che vorrei ascoltaste.» Esordì, passando alle spalle del nano. «L’esercito di Masut risponde agli ordini di una sola persona. Me.» Disse, indicandosi. «Ma non è stato sempre così. Una volta avevamo un generale: era un incapace, un ruffiano arrivista e arrogante. La peggior persona che si vorrebbe vedere a capo di un’armata, in poche parole.» Sospirò. «Poi un brutto giorno il nostro stimato vecchio califfo Abdul-Raafi', pace all’anima sua, passò a miglior vita. A succedergli fu il suo unico erede, Nu’man Uhl-Qaadir, all’epoca era un giovinetto di appena quattordici anni. Poiché era chiaro che fosse ancora troppo giovane per governare, elessero me, il più anziano e saggio tra i membri del Consiglio, come suo tutore e reggente del regno di Masut finché il nuovo califfo non fosse stato in grado di ricoprire il suo ruolo. E sapete quale fu la prima cosa che feci quando salii al potere?» Si concedette un sorso di vino, poi camminò in silenzio fino a raggiungere il fronte della scrivania e vi si appoggiò, guardando il suo ospite dritto negli occhi. «Eliminai tutte le mele marce che deturpavano la nostra corte, a partire dal nostro generale.»
«Lo faceste uccidere?» Domando Jahrir, incuriosito.
Il visir ridacchiò. «No no, certo che no... Lo umiliai pubblicamente di fronte a tutto il Consiglio, e poi lo degradai seduta stante.»
«Be’... suppongo non l’abbia presa molto bene.»
«Affatto. È un tipo che non accetta di buon grado una sconfitta, scommetto che in questo momento getterebbe la madre e la moglie nell’Abisso pur di riuscire a mettermi le mani in torno al collo.»
Jahrir ebbe un brutto presentimento. Cercava forse qualcuno che lo uccidesse sul serio, stavolta? «Un momento...» Agitò la mano, come per dare un taglio alla conversazione prima che battesse strade inutili, pericolose e che non lo riguardavano minimamente. «Ah, no no no... non ho tempo di immischiarmi nei vostri sporchi intrallazzi di corte.»
«Hahahah! Chiedo perdono, devo essermi spiegato male; non è questo il punto.»
«E allora qual è?»
«Il punto è che abbiamo un posto vacante.»
A udire quelle parole Jahrir strabuzzò gli occhi dallo stupore. Intuì dove volesse arrivare il visir, ma non riuscì a intenderne il motivo.
«Governare una città-stato non è una passeggiata, di certo lo sapete anche voi, e io sono troppo indaffarato e troppo vecchio per occuparmi di tutto; mi servono uomini validi a cui delegare le mie incombenze. E voi...» Si avvicinò fino a incombere maestosamente sul condottiero nanico, scrutandolo dall’alto della sua statura. «...re Jahrir Gakhoor, siete senza dubbio la persona più qualificata che abbia mai messo piede nel mio ufficio.»
La svolta fu inaspettata quanto strana, ma la soluzione sarebbe stata comunque più che eccellente per Jahrir. Avrebbe avuto il suo esercito e l’autorità necessaria per muovere guerra ai demoni.
Guardò di rimando il visir, perplesso. «Vorreste affidare un incarico tanto importante a un nano che fino a pochi mesi fa era vostro nemico?»
Sum Kadhir si fece serio. «Io vedo davanti a me solo un nano molto stanco e ferito nell’anima, solo, colmo di rabbia e di vendetta... e con un certo interesse verso la nostra causa comune, dico bene?»
Jahrir sprofondò nella poltrona e ponderò a lungo.
«E sia...» Rispose infine, accettando l’offerta. «Quando saremo pronti per la guerra?»
«Adagio, re Jahrir.»
A quel nuovo, improvviso rifiuto il nano si spazientì ancora.
«Cosa c’è ancora?»
«Discuteremo la vostra carica dopo che avremo risolto una certa questione: i demoni non sono l’unica minaccia per la nostra città, al momento.» Spiegò sbrigativamente Sum Kadhir, appoggiando il calice vuoto sulla scrivania e raggiungendo nuovamente la sua posizione sullo scranno.
«Vi riferite al problema dei predoni?» Sbuffò scandalizzato. «Baathos è alle nostre porte e voi vi preoccupate di una banda di briganti?! Ma è ridicolo!» Sbatté con stizza il bicchiere ancora pieno sul tavolino di fronte alla poltrona, schizzando buona parte del prezioso contenuto d’annata sul mosaico variopinto che ne decorava la superficie.
«Sta al Consiglio decidere cosa è ridicolo e cosa no.» Rispose il ministro con improvvisa fermezza. «Se non erro siete un abile guerriero oltre che un buon condottiero, sono sicuro che col vostro aiuto risolveremo il nostro problema in un batter d’occhio. Consideratela una prova di lealtà verso il vostro... alleato.»
«E va bene... Cosa devo fare?» Sbottò infine Jahrir, disposto ormai a far qualunque cosa pur di risolvere la situazione in fretta.
Sum Kadhir prese una piccola campanella dal tavolo e la suonò. Il guerriero gigante entrò praticamente all’istante – segno che era appena fuori dalla porta, pronto a intervenire in caso di necessità. «Tolga vi porterà dal suo maestro, sarà lui a darvi tutte le istruzioni.»
Il visir e il re nanico si scambiarono gli ultimi convenevoli, prima di separarsi. Se l’unico modo per ottenere ciò che gli serviva era sconfiggere una masnada di banditi, non vi era nulla di più facile; dopotutto aveva affrontato nemici ben più pericolosi nell’arco della sua vita. Sull’uscio della porta, però, un brivido gli corse lungo la schiena, come un presagio, o un brutto presentimento.
«Ah, un’ultima cosa.» Interpellò un’ultima volta Sum Kadhir. «È solo una curiosità: che fine ha fatto il precedente generale?»
Il vecchio sorrise.
«Oh, lo incontrerete molto presto. È il nuovo comandante delle Guardie Reali.»
{ Masut, Bastione di Granato, giardini }
Zuben solcò a passi rapidi le ultime arcate del corridoio che portavano al giardino interno della fortezza, facendo tintinnare le scaglie della sua armatura nera e le sue armi a ogni passo. Amrat e alcuno dei suoi luogotenenti erano già presenti sul posto ad aspettarlo per accordarsi sugli ultimi dettagli tattici prima dell’imminente partenza. Ogni bisbiglio tacque appena lo videro imboccare l’acciottolato principale del chiostro. Il maestro mamūluk si guardò intorno, passando in rassegna dei presenti e non appena incontrò il volto beffardo del capitano delle Guardie Reali, intento ad ammiccare ai suoi uomini con atteggiamento irrisorio un gruppetto di persone a uno degli angoli del colonnato che contornava il giardino, comprese che la sua “squadra speciale” era arrivata. Erano in cinque, di cui un nano, sedutosi in disparte sul cornicione. Avanzò verso di loro impaziente, imbastendo nel poco tempo in cui coprì la poca distanza il terrificante cipiglio di condottiero e spietato addestratore che persino i suoi irriducibili schiavi guerrieri avevano imparato a temere.
«In riga!!» Berciò, con una furia che avrebbe spaventato una tigre, aspettandosi da essi l’adeguata prontezza nell’obbedire al suo ordine.
«Il mio nome è Zuben, Gran Maestro dei mamelucchi di Masut e vostro comandante e referente in questa missione.»
Si presentò, passeggiando lentamente avanti e indietro esaminandoli uno a uno. Sembrava deluso: forse si aspettava di trovarsi davanti sicari esperti, guerrieri professionisti, ranger delle terre selvagge del sud o qualche specie di raro mostro intelligente che si dilettasse a massacrare uomini dalla mattina alla sera.
«Se siete qui, suppongo abbiate letto il bando. Mi sembrava di aver specificamente richiesto gente con esperienza; se siete venuti per farmi perdere tempo o per farmi un brutto scherzo, sappiate che quando m’incazzo neanche Berion in persona desidererebbe trovarsi nella posizione in cui siete voi in questo momento.» Fulminò uno a uno tutti e cinque con quel suo sguardo truce che si sarebbe addetto più a un assassino senza scrupoli che ha un militare.
«Per cui vi concedo trenta secondi. Trenta secondi per spiegarmi come cazzo vi chiamate, cosa ci fate qui e convincermi che non siete analfabeti!»
Non sperava in una risposta soddisfacente, la esigeva.
CITAZIONE QM POINTBenvenuti a questo nuovo capitolo della saga di Fetiales! Vi assicuro che scrivere e impaginare questo post dal tablet e con la linea hotspot del cellulare è stato un delirio, per cui vi prometto che poemi così lunghi d'ora in poi non ne farò più (per la vostra gioia). Probabilmente troverete errori e refusi di vario genere: non fateci caso, per favore, alcune parti sono stato costretto a scriverle un po' di fretta. Domani farò un po' di correzioni. Ordunque, come avete letto, Jahrir si è presentato al Bastione di Granato, il castello di Masut, ed è riuscito a giungere a un accordo col visir Sum Kadhir: se riucirà a sconfiggere i fantomatici banditi, il visir accetterà di assumerlo come generale alle dipendenze del regno. Posizione che, tra l'altro (SPOILER!) un tempo, a quanto pare, apparteneva ad Amrat. E qui entrate in scena voi! Questo primo post sarà semplice: sarete liberi innanzitutto di descrivere in che modo i vostri pg sono venuti a conoscenza del bando e dei misteriosi assalti alle carovane di schiavi - sappiate che nella regione praticamente non si parla d'altro e che vi sono annunci scritti in molte locande della zona, per cui venire a sapere che il califfo sta cercando gente da reclutare è piuttosto semplice se vi trovate nei paraggi di Masut, altrimenti ovviamente si passa parola anche da mercante a mercante e in questo modo tali notizie possono giungere anche in luoghi più lontani - e raggiungono la città di Masut. Il punto d'incontro per gli aspiranti a partecipare alla missione è il giardino presentato alla fine del post, che potrete raggiungere solo scortati all'interno del castello da inservienti o guardie - liberi di descriverli -, un po' come è accaduto a Jahrir con Tolga. L'importante è che raggiungiate il luogo d'incontro, dove vi troverete ad affrontare già la prima prova di questa quest: Zuben infatti non sembra per nulla convinto delle vostre capacità e dovrete essere voi a persuaderlo del contrario, oltre a presentarvi, come vi richiede. Come? Stupitelo! Ah, dimenticavo: appena arriva a mettervi in riga, Zuben nel gridarvi contro fa uso una tecnica psionica di potenza Bassa che non causa danni, ma vi influenzerà infondendovi un profondo senso di timore e soggezione verso la sua persona per questo turno e il prossimo. Insieme a voi ci sarà anche Jahrir, il quinto membro della vostra squadra. Non si è ancora presentato e non sapete ancora chi sia. Inoltre nel giardino, se avete notato, c'è anche Amrat con dei suoi sottoposti. Prima dell'arrivo di Zuben potrete agire liberamente o parlare con i png presenti, ma questo sempre e perentoriamente previa richiesta in confronto. Avete 7 giorni per postare, quindi fino alle 23.59 dell'11/9. Per qualsiasi domanda o richiesta, utilizzate il topic di confronto. Buona giocata!
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