Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Il Drago di Terra, Capitolo I

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view post Posted on 3/9/2015, 19:57
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Il Drago di Terra
- CHAPTER I -


Un giorno come un altro, con il sole che alto si ergeva maestoso sulle verdi montagne. Era estate, e anche se nel nord in molti facevano fatica a trovare differenze con l’inverno, quando il cielo era privo di nuvole si avvertiva sulla pelle il formicolio proprio del dolce calore. Un uomo si trovava da solo in un campo, coperto con abiti abbastanza leggeri nell’intento di rendere fertile la brulla terra sulla quale lavorava. L’eccessivo sudore, le vesciche sulle mani e le continue imprecazioni manifestano la sua poca familiarità con l’agricoltura, non faceva altro che menare colpi di zappa a caso nell’intento di creare un solco omogeneo fra mille sassi, ma all’ennesimo cozzare del ferro sulla pietra, perse la debole presa sull’avverso arnese, lasciandolo cadere a terra nell’ennesimo sospiro.
Si chinò per raccoglierlo, quando un rumore proveniente dalla vicina foresta, rapì totalmente la sua attenzione. Tre uomini, in sella a possenti Chocobo, avanzavano verso di lui a potenti falcate e dopo un attimo di esitazione, l’uomo iniziò a correre in direzione del suo villaggio urlando a squarciagola.

« SONO QUI!!! SONO ARRIVATI! SONO QUI!!! »

I tre non degnarono il contadino neppure di uno sguardo e in qualche decina di secondi raggiunsero il centro del piccolo villaggio composto interamente da case di legno con tetti di paglia. In molti si radunarono intorno ai tre, alcuni allarmati dalle urla del proprio compaesano ed altri dal fragore dei massicci animali. A scendere dalla propria cavalcatura fu il più anziano fra i tre, un uomo alto almeno dieci spanne, con lunghi capelli d’avorio che si posavano delicatamente sulle spalle massicce, una bianca barba gli contornava il volto e delle folte sopracciglia donavano al suo sguardo un’aria rude e ferma. Aveva le pupille di un raro grigio intenso, che ricordava il sottile strato di ghiaccio che si forma sulla pietra nei gelidi inverni del nord.

« Fy canmoliaeth, foneddigion. Mae'r rhai ohonoch a gofyn am ein presenoldeb? » disse nella lingua del nord, con un tono di voce grave ed imponente, graffiato.

Un uomo fra tutti, si fece avanti e rispose.
« Cyfarchion i chi, fy arglwyddi. » accennò con un inchino. « Vi chiedo perdono se mi permetto di utilizzare la lingua comune, ma la mia conoscenza della nobile lingua del nord si riduce a qualche frase cerimoniale. Siamo stati noi a convocarvi, miei signori, anche se più di un anno fa a ben dire… » si guardò intorno, muovendo freneticamente le nere pupille nell’intento di cercare un qualche consenso fra i suoi paesani.
« Immagino che siate stanchi per il lungo viaggio… » continuò « …vi prego, seguitemi pure nella mia dimora »

Artheslan, così si chiamava il cavaliere, masticò per un attimo la bile nel riflettere sulla proposta prima di accettare, ricambiando l’inchino con un cenno del capo e voltandosi verso i suoi due compagni. Bastò un suo sguardo con la mandibola serrata e i due scesero dai Chocobo tenendoli per le briglie, aspettando di emulare i passi del proprio comandante, che avvicinandosi alla propria cavalcatura disse.

« Spero che tanta cortesia, venga riposta anche per i nostri animali… »
« Non vi è dubbio alcuno! » rispose enfatico il capo del villaggio, che sembrava aver cambiato completamente tono, come se quel cenno di rancore mostrato nelle prime battute fosse ormai soltanto un ricordo.
« Voi due, nutrite ed occupatevi delle loro cavalcature. » disse a due giovani che preoccupati, osservavano la scena increduli…

…La casa era piccola, modesta, con un unico spazio per cucina e sala, un tavolino in legno di quercia abbastanza grande da ospitare sei persone ed una credenza piena di carne secca, pane e formaggi. I quattro si accomodarono attorno al tavolo, mentre la moglie del capo villaggio si apprestava a portare a tavola boccali di birra e tozzi di pane.
Artheslan, prese la parola.

« Mi scuso ancora per non aver risposto prima alla vostra convocazione, ma il nostro è un mestiere che ci porta via tempo ed ultimamente, sempre più uomini. » giunse le mani al mento, massaggiandosi la barba con entrambi i pollici. « Raccontatemi pure quale piaga vi affligge. » il suo tono era pacato, ma allo stesso tempo lasciava intendere una fermezza di intenzione che, supportata dallo sguardo altrettanto forte, era quasi intimidatorio nella sua gentilezza.
Il capo prese fiato con un lungo respiro, picchiettando le dita sul tavolo diverse volte prima di prendere parola.

« Posso immaginare quanto arduo e difficile sia il mestiere di Soul Slayers, e temo che neppure questa volta per voi sarà un compito facile. Vedete, questo non è il nostro villaggio, non lo è mai stato… Veniamo da diverse miglia più a nord, in un’ampia vallata ai piedi del monte Ronik, proprio dove nasce il più grande giacimento minerario che l’uomo abbia mai visto. La mia gente ha vissuto grazie ad esso per più generazioni di quelle a cui è in grado di risalire, lavorando duro in ogni galleria scavata con il sacrifico di mille anime, lavorando il metallo con la maestria che pochi altri artigiani sono in grado di vantare… » abbassò lo sguardo e per un momento i suoi occhi parvero farsi più grandi.
« Poi accadde tutto in una notte, in fretta, senza che nessuno di noi avesse il tempo o la forza per reagire. Il cielo tuonò talmente forte da smuovere il solido terreno sotto i nostri piedi e poi, proprio al centro del nostro villaggio il suolo si aprì, partorendo l’immonda creatura che divorò i nostri figli, i nostri sogni e la nostra vita… » si fermò, con la voce strozzata per l’emozione.

« Un drago di terra. » disse Artheslan.
Il capo villaggio deglutì, annuendo lentamente. « Proprio così, quella bestia ci ha portato via tutto e ci ha costretto ad una vita che non ci appartiene. Da quel giorno dimora nelle nostre gallerie e lo abbiamo visto sorvolare i nostri cieli soltanto due volte. Deve essere stanato, deve essere ucciso. » cambiò lentamente ma in maniera radicale il proprio tono di voce, stringendo i pugni talmente forte da far sbiancare le nocche. « Siamo disposti a darvi tutti i nostri e averi e se riavremo la nostra terra, vi forniremo armi ed oro per molti altri anni ancora. »

« Non prenderemo nulla di tutto ciò, ma la vostra vita più giovane. » fu uno degli altri due cavalieri a parlare, quello con un tatuaggio nero di un serpente sul cranio privo di capelli e con le rughe intorno agli occhi che accostavano la sua età alla trentina. Teneva lo sguardo fisso sul tavolo, nervoso, come se temesse la reazione di Artheslan.

« La prego di perdonare il mio amico » disse Artheslan « È ancora giovane e alla sua età anch’io facevo fatica a tenere a freno la lingua… » fece una pausa, posando i pugni morbidi sul tavolo. « In ogni caso ha ragione, non prenderemo oro, denari o armi. La nostra comunità ha bisogno di nuova forza, ultimamente le perdite sono aumentate in una maniera spiacevolmente inaspettata. Una volta ucciso il drago prenderemo con noi il vostro membro più giovane, sia esso maschio, femmina, neonato, non fa differenza. Più giovani sono e meglio riusciamo ad addestrarli. »

Il capo villaggio soppesò quella richiesta con lo sguardo almeno un milione di volte, picchiettando oltre che con le dita, anche con il tacco della gamba destra.

« Immagino di non avere altra scelta… il più giovane è senza ombra di dubbio il figlio dei Lothbrok, nato due mesi fa. Non sarà facile convincere la madre ma se veramente sarete in grado di liberarci da quella bestia, sono sicuro che saranno orgogliosi di affidare la propria discendenza nelle vostre forti mani… »

Raggiunto un accordo, i tre cavalieri si ritirarono in un giaciglio gentilmente offerto da alcuni paesani, riposando sin da subito per essere pronti all’alba. Molto prima che l’ultima stella abbandonasse l’intensità del cielo notturno, i tre erano già in viaggio verso il monte Ronik, raggiungendolo proprio mentre il sole cercava di farsi strada alle sue spalle. Smontarono dalle loro cavalcature, scesero le proprie armi e ordinarono ad esse di allontanarsi nella foresta. Artheslan impugnava un enorme spada lunga tanto quanto lui, un enorme pezzo d’acciaio in grado di tranciare qualsiasi cosa al solo guardarlo, tanto era inquietante.

« Raando » disse rivolgendosi al calvo cavaliere, che fra le mani brandiva due lunghe scimitarre dai differenti colori. Una era di un azzurro cristallino che ricordava le basse acque di un mare incontaminato, l’altra invece era di un rosso opaco, come un triste tramonto. « Io e te ci batteremo contro quella bestia, ma bada bene. Per quanta forza ci metterai nei tuoi colpi non riuscirai a trapassare le sue scaglie o la sua pelle, i draghi di terra hanno una resistenza fuori dal comune. Dovrai sfruttare la tua velocità e la tua agilità per distrarlo, dovrai portarlo da me. Fortunatamente la mia arma non ha problemi contro questi animali. »

Poi entrambi si voltarono verso il terzo cavaliere, il più giovane, che non poteva avere più di quindici anni.
« Tu Borja, dovrai occultare la tua presenza, non voglio che tu corra rischi inutili. Resta nascosto fino alla fine del combattimento e se cadremo, attendi che il campo sia sicuro e poi torna a casa nostra per raccontare la battaglia, in modo che i nostri compagni sappiano con esattezza cosa li aspetta, ma prima… » si voltò verso la montagna, indicando una delle tante gallerie che s’affacciavano in superficie. « Stana quella bestia, dalla puzza dovrebbe trovarsi dentro quella grotta. »

« Ok. » rispose il giovane, che afferrò una freccia dalla faretra e dopo averla incoccata tese l’arco con tutte le sue forze. La freccia s’illuminò di una luce azzurra fiammeggiante, mentre il giovane spariva dalla vista del mondo occultando la sua presenza con una qualche arte magica. Scoccò il dardo ed una cometa roboante si schiantò come un colpo di frusta all’interno della grotta esplodendo poco dopo. Per un attimo fu il silenzio, ma qualche istante dopo, un enorme drago bianco dal collo corto e massiccio, sbucò fuori ruggendo tutto il suo disappunto.

« Ci siamo. »

L’eco da battaglia risuonò per tutta la valle ed anche in quelle adiacenti, tanto da farsi sentire perfino nel villaggio composto da sole case di legno. Dopo l’urlo fuori dal comune della bestia, nessuno al villaggio sapeva cosa aspettarsi. Era il latrato di un animale morente? Oppure lo sfogo di una vittoria conquistata? Ci vollero delle ore e quando il sole ormai era già alto, da dietro una collina s’intravidero i tre chocobo far ritorno, con in sella soltanto due dei tre cavalieri.
Raando era morto nell’impresa, come molti altri valorosi cavalieri prima di lui. Artheslan e Borja resero onore alla sua memoria bruciando il suo corpo insieme a quello del drago che l’aveva ucciso, riportando come prova della missione compiuta l’enorme corno d’avorio dell’animale. Ci furono formali saluti, sussulti, pianti, ma alla fine Artheslan e Borja lasciarono il villaggio ed i suoi abitanti ad un nuovo futuro nella loro terra d’origine, portando con se la vita chiesta in premio… Ragnar Lothbrok.




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Scena Privata

 
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