Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Broken Legacy, corsa all'oro

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view post Posted on 9/9/2015, 08:45
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h e l l i s n o w
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PoV: Dakin Thuldor III

(Tanaach, periferia sud-orientale)


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« Comprenderete che... beh, la vostra visita improvvisa...
Mi ha colto di sorpresa, ecco.
»

Il vecchio nano faticava a esimersi dal palesare il suo disagio in ogni gesto e ogni parola. Dietro al suo tavolaccio sommerso da scartoffie, cianfrusaglie e bicchierini di cristallo mezzi pieni, ringraziava in silenzio - e per la prima volta in vita sua - di essere disordinato. Si conosceva abbastanza: sapeva che quando diventava nervoso aveva la pessima abitudine di cominciare a grattarsi ovunque e arricciarsi la barba; il ciarpame che lo sommergeva gli consentiva invece di mettere le proprie mani su altro che non fosse il suo grinzoso faccione, di far finta di star sistemando.

« Comprendiamo bene. »
asserì il suo ospite con disarmante tranquillità
« Tuttavia non abbiamo il tempo d'indugiare in formalismi. »

Dakin afferrò una delle coppe e non resistette alla tentazione di trangugiare quel che vi rimaneva dentro prima di metterla accuratamente da parte assieme al resto. Sentì le budella ardere e per un istante credette di potercela fare: di affrontare quello sconosciuto e cacciarlo con fermezza dalla sua proprietà, come faceva sempre quando un mendicante o un venditore troppo ingordo gli si presentava dinanzi. Ma quando il suo sguardo si incastrò in quello del suo sgradito ospite, ogni parvenza di coraggio in lui si estinse come il lume di un cero al vento. Quell'uomo aveva gli stessi occhi di un demone. O di un drago.

« C-certamente. »
diede un colpo di tosse per coprire la propria balbuzie
« Però, come ben sapete, io debbo in qualche modo accertarmi della vostra reale identità. Del resto, il meridione è preda di canaglie e truffatori di ogni sorta, e benché io chiaramente non voglia insinuare nulla del genere sul vostro conto... »
trattenne a malapena il groppone in gola, accaldandosi al sol pensiero
« ...l'incondizionata e assoluta fedeltà della mia famiglia al patto originale, mi impon--- »
« Basta così. »

Il biondocrinito straniero non aveva gridato, ne il suo tono di voce si era fatto minaccioso, ma il silenzio cadde comunque sulla sala come una scure. Le due guardie del corpo, che da diversi anni accompagnavano il mercante anche alle latrine - era il prezzo per essersi fatto un po' troppi nemici - si irrigidirono istintivamente, e diressero i loro sguardi su di lui in attesa di qualche cenno. A Dakin sembrò che persino i libri sugli scaffali, le lanterne accese, diamine, addirittura le pareti lo stessero fissando in quegli istanti. Tutti i suoi antenati sulle spine, in attesa di vedere come avrebbe risposto l'ultimo, sciagurato erede alla sua prova. Per fortuna, l'uomo stesso gli risparmiò il supplizio di dover trovare da se la soluzione.

« Dakin terzo, ultimo esponente della nobile famiglia Thuldor e custode della nostra eredità materiale; in quanto vincolato a noi dal giuramento di fedeltà stretto dai tuoi avi, sei certamente a conoscenza che nessun tipo di sotterfugio possa eludere le catene che ci legano. Ti invitiamo dunque, ancora una volta, a onorare il patto. Riconsegna ciò che ti è stato affidato. »

Dakin si costrinse a sollevarsi dal suo scricchiolante scranno, appoggiando entrambe le mani sulla scrivania e chinando il capo con muta rassegnazione. Sapeva che quel giorno sarebbe giunto. Aveva sempre saputo, ma aveva preferito scacciare quei pensieri come lo si faceva con una zanzara troppo insistente, dicendo a se stesso che si trattava di una storiella senza fondamenta, e che anche in caso contrario l'onere non sarebbe mai toccato a lui. Come lo si poteva biasimare? Quanti fottuti secoli erano trascorsi da quando ancora la sua famiglia era schiava del popolo di scaglie? Per quante dannatissime generazioni era stata tramandata a ogni nuovo nascituro la leggenda di come un'antica divinità aveva donato loro la libertà, onorandoli del privilegio di custodire un prezioso tesoro in attesa di una sua futura venuta? Troppi. E lui non era mai stato un tipo religioso. Non era mai stato neanche un superstizioso. A lui fregava solo dei soldi e dei profitti, come ogni buon mercante avrebbe dovuto - soleva spesso dire ai suoi ingrati sottoposti; e quella della sua famiglia non era stata ai suoi occhi nient'altro che una stupida frottola raccontata come una fiaba. Se però quello straniero conosceva quel segreto, non vi potevano essere dubbi sulla sua identità. Ne potevano più essercene sul mito.

« D'accordo, d'accordo. »

Sospirò pesantemente, carezzato per un attimo dall'idea di confessare tutto e subito. Magari gli avrebbe mostrato misericordia, se gli avesse spiegato la sua triste storia. Il suo nonno o bisnonno non si era mai trovato a dover fronteggiare difficoltà come le sue! Erano tempi difficili nell'Akeran, tempi che richiedevano scelte ancor più difficili. Costretto a fare accordi poco proficui e a stringere amicizie poco rassicuranti, ne aveva passate di cotte e di crude per rimanere a galla. Certo, se proprio doveva essere sincero qualche cattivo affare lo aveva fatto; qualche soldo di troppo in baldracche e liquori lo aveva gettato. Ma davvero si poteva condannare un povero nano per essersi goduto un po' delle meraviglie del mondo? E le leggende non aiutavano quando c'era da trovar soldi in fretta, poco ma sicuro. Ma la codardia l'ebbe vinta infine, e tacque.

« Seguitemi. »
mormorò sollevando appena gli occhi bruni
« Vi condurrò alla cassaforte. »

Mentre caracollante usciva dallo studiolo seguito dalle guardie e dallo straniero, il nano si sentì morire dentro come solo un bugiardo prossimo alla sentenza poteva sperimentare. Si era scavato la fossa con le proprie mani molti anni addietro, e ora che se ne stava sul ciglio poteva solo sperare che qualunque cosa fosse, quell'individuo avesse una pessima memoria.





PoV: Vaalirunah
(sotterranei della villa)


Aveva seguito il Thuldor nel basamento della sua per nulla umile dimora, e aveva sopportato con silenzio e pazienza le sue futili chiacchere, ma cominciava ad averne abbastanza. Le memorie della Terza sull'antenato di famiglia - Jordain - erano ancora molto vivide nella sua mente; quando si era trovata costretta a dover agire per disperazione, ella aveva scelto uno dei suoi servi più umili, e lo aveva fatto con senno. Coloro che le si erano professati i più fedeli, i più vicini, erano stati i primi a tradirla. In breve tempo la corruzione aveva fatto terra bruciata attorno alla Scaglia e solo in quel semplice servitore aveva correttamente visto l'onestà e la purezza necessaria. Osservando invece l'ultimo anello della medesima stirpe, Vaalirunah vedeva ora solamente un gretto e disonesto omuncolo, che per qualche ragione stava cercando a tutti i costi di evadere dal suo obbligo. Gli si strinse il cuore nel constatare che - a quanto sembrava - anche il sangue più nobile si corrompeva.

Il nano lo condusse attraverso un corridoio debolmente illuminato, sulle cui pareti svettavano quadri e trofei di varia natura. Non gli sfuggì la ricercata bellezza di alcune delle opere esposte, ne la pregiata fattura del tappeto orientale su cui stava camminando a piedi scalzi, ma neppure poté fare a meno di notare diverse mensole vuote. Fu forse in quell'istante che un ben preciso dubbio iniziò a serpeggiare in lui.

« Ci siamo ehm, quasi. »

Sostarono di fronte a quella che pareva essere una parete come le altre, spoglia però d'ogni orpello; al comando del nano, i due nerboruti corazzati che lo scortavano si girarono dalla parte opposta. La fiebile luce delle torce a parete illuminò fugacemente il viso del tenutario, evidenziandone ogni singola goccia di sudore che gli faceva scintillare la pelle.

« Come potete vedere, nonostante il vincolo-- »
iniziò a tastare le mattonelle masticandosi le parole
« --ho preferito comunque proteggere i vostri averi in una stanza sicura.
Non si può mai essere troppo diligenti in queste cose, eheh!
»

Trovato quello giusto, il vecchio sfilò il mattone rivelando una fessura incisa in una piastra di metallo. Dunque si staccò dalla collana una piccola chiave, che una volta infilata nella toppa diede il via a una serie di suoni stridenti, come di meccanismi in movimento. In breve tempo l'Imperatore si trovò dinanzi a una sala segreta, non più grande dello studio in cui era stato inizialmente accolto ma certamente più sobria. Non vi era difatti pressoché nulla all'interno, al di fuori dello spartano altare in pietra grezza su cui si trovava lo scrigno. Nel rivederlo dopo tanto tempo gli si accese un bagliore negli occhi, e il suo cicerone dovette accorgersene, perché cominciò a sogghignare sfregandosi avidamente le mani.

« Sono stato bravo eh?
Ho fatto un buon lavoro, e sa come si dice... ad un buon lavoro corrisponde sem--
»
« Apprezziamo la tua fedeltà, Dakin Thuldor; e così quella dei tuoi antenati.
Nulla sarà dimenticato, poiché noi abbiamo lunga memoria.
»

A quelle parole il sorriso del mercante si sgonfiò. Il suo comportamento evasivo e le false adulazioni stavano innervosendo Vaalirunah, e quando ancora una volta notò la sua apparente indecisione nel proseguire oltre la soglia, si insospettì e lo invitò a farlo con un ampio gesto della mano. Quando gli fu davanti, lo seguì sino al piedistallo. Il Sesto non poteva sapere con assoluta certezza che l'antica magia che sigillava l'oggetto fosse ancora in funzione, ma se ne assicurò non appena le sue dita ne sfiorarono la superficie irregolare - illuminandola di un tenue bagliore azzurro. L'incanto dunque persisteva: solamente lui, o un membro con il sangue dei Thuldor nelle vene avrebbe mai potuto dischiudere lo scrigno, come l'antico patto imponeva. Tuttavia poté rinfrancarsi di quella scoperta solamente per pochi secondi, perché non appena aprì il bauletto all'interno non vi trovò tutto ciò che si aspettava.

« Questo non è tutto. »

Affermò con voce tonante, al che il suo interlocutore - che aveva preso ad artigliarsi la barba candida con violenza crescente - sobbalzò vistosamente.

« Ne... ne siete sicuro? »
gli rispose umettandosi le labbra
« Eppure vi assicuro... che dovrebbe...
sì, dovrebbe essere tutto...
»

La Scaglia percepì distintamente la rabbia montare nella sua testa.
Era consapevole che non sarebbe dovuto succedere, che per quanto preziosi e antichi quegli artefatti fossero rimanevano pur sempre oggetti - e l'attaccamento a beni materiali non solo era superfluo, ma anche dannoso. Eppure non poteva dimenticare. Non poteva semplicemente fingere che non avessero valore, quando così tanto delle sue vite passate vi era rimasto intrecciato. Quel piccolo tesoro era stata l'unica cosa tramandata di reincarnazione in reincarnazione, l'unico filo sottile che legava quelle diverse esistenze che non fosse esclusivamente nella sua mente. Così, quasi inconsapevolmente, si trovò a stringere il pugno con una veemenza tale che i muscoli dell'avambraccio gli si gonfiarono e si riempirono di vene. Dakin sbiancò e cadde in ginocchio, con discreta sorpresa delle sue personali guardie del corpo che avevano osservato l'intera scena appostate poco fuori dall'alcova.

« E va bene! Va bene lo ammetto! Ho dovuto vendere alcuni dei cimeli, ho dovuto! Ero rimasto senza soldi, e gli strozzini volevano tagliarmi la gola! M-mi avrebbero ucciso, dico sul serio! Voi non sapete... non sapete quanto un solo brutto affare possa essere pericoloso da queste parti! »
implorava con le mani giunte e gli occhi sgranati
« Perdonatemi vi prego! »

In qualche modo, osservare quel piccolo essere tremante invocare perdono ai suoi piedi gli rammentò cose talmente terribili che da sole bastarono a uccidere la furia in lui. Ma il disgusto che provava nell'assistere a un così sciagurato dissacramento di una tradizione che per secoli la sua famiglia aveva perpetuato con diligenza rimase. Gli si avvicinò di un passo, squadrandolo dall'alto verso il basso con occhi pieni di sdegno.

« A chi hai venduto la nostra eredità? »
« H-ho a-avuto diversi acquirenti... ma io tengo tutto segnato n-nei miei registri, posso r-ritrovarli, i-indubbiamente. »
« Allora sii grato al destino, poiché avrai occasione di redimere le tue colpe.
Stanotte ricercherai quei nomi, e domani partiremo per recuperare gli oggetti.
»
« M-ma signore, io n-non posso andarmene così di punto in bianco! »

In qualche modo trovò la forza di rimettersi in piedi, seppur ancora visibilmente agitato.

« S-se io dovessi partire e l-lasciare la città s-sicuramente alcuni dei m-miei creditori non prenderebbero bene la cosa... »
il suo tono di voce si era fatto così basso e tremulo che se non fossero stati cosi vicini non avrebbe potuto udirlo
« ...p-potrebbero decidere di prender possesso della m-mia casa! P-potrebbero dar ordine di uccidermi! »

Per quanto virtuoso potesse sforzarsi d'essere, Vaalirunah non riuscì più a resistere.
Abbrancò il nano per la collottola e lo schiantò contro il muro, digrignando i denti come una belva. I due uomini di fuori fecero per metter mano alle spade quando con un grido stridulo il mercante intimò loro di non farlo; l'Imperatore aveva già sollevato l'altro braccio in loro direzione, delle tremule fiamme spettrali ad avvolgerne la terminazione. E per loro fortuna, furono abbastanza scaltri da non contraddire gli ordini.

« Potremmo ucciderti noi, ora. »
gli sibilò in faccia con gli occhi ridotti a due fessure d'oro scintillante
« P-per f-favore, cercate di ragionare!
ribatté l'altro con i lineamenti deformati dal terrore
« Se m-mi uccidete c-come farete a trattare gli oggetti?
Possiamo risolvere tutto senza t-troppa fatica e s-senza spargere sangue!
»
cercò di divincolarsi dalla presa che gli stava sottraendo sempre più ossigeno, invano
« L-lasciatemi spiegare! »

Lo lasciò cadere a terra come un sacco di patate: che cosa diavolo stava facendo? Per quanto importanti fossero per lui le reliquie, non poteva abbassarsi al suo livello in quel modo. Uccidere per degli oggetti lo avrebbe reso uguale a qualsiasi tagliagole. Provò una forte vergogna verso se stesso, e verso l'ancora troppo sottile barriera che separava la sua ragione dalla sua passione.

« Parla. »

Disse infine con ritrovato autocontrollo, mentre Dakin si rimetteva in piedi in qualche maldestro tentativo. Tossiva ancora, ma pareva decisamente più lucido rispetto a prima: era proprio vero che la paura della morte poteva rimettere in riga chiunque, e in fretta.

« C-come ho detto, non posso semplicemente lasciare la città. »

Si affrettò a calmare il giovane che tale era solo nelle apparenze con eloquenti gesti delle mani, dal momento che questi aveva già ripreso a scrutarlo con uno sguardo infuocato decisamente poco rassicurante.

« Però posso tentare di saldare i d-debiti più importanti. Venderò quel che mi rimane, e... »
esitò lanciando un'occhiata alle due guardie, ancora impalate a metà fra l'incredulità e la paura
« ...e m-magari lei potrebbe aiutarmi a c-convincere i più esosi a starsene buoni per un po'. »

Chiuse gli occhi al termine della frase come se si aspettasse un malrovescio o qualcosa di peggio; ma dalla Scaglia non giunse altro che una secca rimbeccata a parole.

« Non siamo dei sicari, tantomeno i tuoi servi, nano. »
« Assolutamente, assolutamente! Non era mia intenzione insinuare nulla del genere... »
« Faremo il necessario a salvaguardare la tua vita nell'eventualità che si riveli necessario, e solo per la gratitudine che dobbiamo ai tuoi progenitori. Nulla di più. Ma ricorda che la nostra pazienza ha un limite; ci aspettiamo una certa solerzia da parte tua, e una concreta dimostrazione della volontà di mendare il torto che ci è stato fatto. Nel frattempo, prenderemo momentanea dimora nella tua magione finché il problema non sarà risolto. Non vi è altro da discutere. »

Richiuse il forziere e se lo mise sottobraccio, incamminandosi in direzione dell'uscita. I due mercenari non fecero nulla per bloccargli il passo, e in breve tempo si trovò nuovamente sulle scalinate che conducevano alla villa, la litania delle raffazzonate scuse del nano ormai distante alle sue spalle. Aveva già sprecato troppo fiato, e il turbine d'emozioni negative che l'aveva travolto gli aveva lasciato addosso una brutta sensazione di sporcizia. Desiderava ritirarsi in solitudine e meditare per ritrovare la serenità perduta. Aveva anche molto su cui riflettere, e parecchio per cui prepararsi nell'immediato futuro.


CITAZIONE
La scena spiega sostanzialmente come Vaalirunah torna in possesso di parte dei suoi antichi cimeli, a cui è molto legato sentimentalmente parlando - essendo di fatto l'unica testimonianza "fisica" della sua passata esistenza. Dopo aver recuperato gran parte delle memorie post-rinascita, egli decide di rintracciare la famiglia di nani con cui aveva stretto un patto in passato e la trova a Tanaach. Il mercante Dakin è difatti l'ultimo erede della famiglia a cui Mater (la terza incarnazione, vissuta nel periodo di massima decadenza dei Maegon) aveva affidato i suoi beni più importanti, poco prima di cedere alla tentatio e compiere suicidio. I Thuldor sono in seguito prosperati discretamente come mercanti e viaggiatori, conservando il tesoro e custodendolo per generazioni finché il suddetto nano - oberato dai debiti e minacciato dalle cosche a cui aveva chiesto prestiti - si è trovato costretto a venderne una parte per tirarsi fuori dai guai. Una nota in particolare: Vaalirunah in questa scena parla di se al plurale, poiché lo considera come il modo più corretto per riferirsi a se stesso (essendo il prodotto di diverse vite in diverse epoche), ma è un'abitudine che reprime con chiunque non sia a conoscenza del suo "segreto" per non apparire bizzarro agli occhi altrui. Il resto è descritto nella scena, che probabilmente sarà la prima di una serie orbitante attorno alla questione.

 
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