Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Castello di Carte - Picche

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view post Posted on 19/9/2015, 15:16
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Ti amo.
E anche se non ti conosco; anche se i tuoi occhi si chiudono dinanzi a me per la prima volta.


Il corpo nudo dell'uomo chiamato Teslat se ne stava riverso in una pozza di sangue. Il torso tumefatto e costellato di infiniti graffi e lamenti, era arcuato e poggiato sul proprio male. Sofferente, tremulo e cagionato dal ribrezzo delle frustate, delle torture e delle violenze subite. Il suo sguardo era vacuo. I capelli stopposi e sporchi si appiccicavano sul volto contratto dal dolore, che di tanto in tanto si lasciava andare a un respiro profondo e una espressione sofferente. Lo sguardo, poi, tornava vacuo. Si schiudeva, si straniva. Ma infine tornava sempre a fissare un punto imprecisato del soffitto, ovunque si perdessero le sue ambizioni. Una braccio si levava, quasi a indicarle; quasi a provare a toccarle. Erano li che iniziavano e finivano le proprie emozioni, in quel punto verso l'infinito toccato con gli occhi e con le mani, ma impossibile da raggiungere davvero. Non li. Non in quello squallore di cella buia, distorta dalla ruggine e dal sangue ormai incrostato che ne disegnavano decine di ghirigori neri, in uno sfondo buio e senza luce.
Quel poco che filtrava dalla finestra faceva capolino solo a mezzogiorno, come un saluto rarefatto nel dolore che sfolgora attraverso la cappa di infamia. Accadeva soltanto quando il sole faceva capolino sopra il fosso, illuminando tutti i piani sotto di esso e sfolgorando brevemente entro le celle in circolo dei vari gironi.
Solo allora poteva vederlo quel momento di passione. Solo allora conosceva la vita, la morte e il significato insisto al circolo in mezzo a esse.
Altrimenti, vedeva il nulla. Vedeva l'amarezza di non aver conosciuto niente che valesse la vita stessa.
Niente, a parte la sofferenza.

TUMP

La porta vibrò, sotto i colpi dei martelli.
Qualcuno urlava qualcosa oltre la porta chiusa. Si erano barricati entro quella trappola, soltanto per concedersi qualche minuto in più.
Soltanto per stringersi in silenzio, entro il canto dei propri pensieri. Insieme, a fissare quel punto infinito di libertà e passione, entro il quale sarebbero vissuti i loro sogni.
Anche se solo per qualche minuto. Anche se per così poco.
Eppure era loro. Uno spazio piccolo, minuscolo. Che si concedevano.

TUMP

La porta vibrò ancora una volta, seguita dalle solite urla.
Tremò, l'uomo chiamato Teslat, quasi di risposta a quel colpo vibrato. La febbre e la morte prendeva il suo corpo, mentre le forze sembravano abbandonarlo.
Muovere una mano era difficile; alzare un braccio lo era ancora di più. Iniziava a provar fatica anche a tenere gli occhi aperti; per questo, fissò ancora il suo punto speciale e con un briciolo di forza parlò, forse per l'ultima volta.

Ti amo.
Se bisogna morire, tanto vale la pena morire così.

L'uomo alle sue spalle lo abbracciò con forza. Strinse il suo corpo ferito e morente, sporcandosi di lacrime e sangue.
Sporcandosi di lui e, per questo, condividendone in parte la sofferenza. Quasi potesse servire; quasi potesse alleviarne il dolore.
Una lacrima scese a sua volta, mentre quell'abbraccio vigoroso tremò di paura. Paura di perderlo, paura di sopravvivere a esso.
L'uomo chiamato Teslat avrebbe risposto, l'avrebbe stretto a sua volta.
Ma le braccia non rispondevano più.
Rispondeva soltanto la voce.
Per l'ultima volta.

Ti amo.

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Fosso dei Lamenti
Quattro ore prima


Il Priore Caino se ne stava ritto, fissando fuori dalla finestra.
Sotto di esso, le pareti di pietra si dispiegavano per centinaia di metri, scavando nella terra e scomparendo nella profonda oscurità. Intorno, invece, cerchi concentrici disegnavano diversi livelli di quella che appariva, agli occhi, come una gigantesca prigione. Dai cerchi partivano decine e decine di celle, oltre che ramificazioni laterali che si dispiegavano orizzontalmente nella roccia. Sui livelli era possibile scrutare le mani dei detenuti che si distendevano oltre le sbarre arrugginite, oltre che ombre scure che si muovevano lentamente tra un piano e l'altro. Erano carcerieri del tutto particolari, scuri in volto ed estranei alla vista. Spesso vessavano i detenuti con colpi di picca, pugni e finanche morsi, lasciandoli sanguinare oltre il muro di ferro che li divideva dalla libertà. Man mano che si scendeva, la luce del sole si diradava e scompariva, fino a quando il buio impediva la vista dei livelli più profondi. Di fatto, era finanche impossibile capire ove il fosso avesse fine.

Dalla stanza sulla sommità era possibile udire le paure, le disperazioni, le lacrime e le sofferenze degli ospiti del fosso. In un connubio di terrore, le infinite emozioni si dispiegavano in un canto tedioso, una melodia stonata e gracchiante che avrebbe disilluso qualunque umano sentimento. Un caduco rimbrottare di perversioni che avrebbe fatto impazzire chiunque.
« È terribile » si limitò a commentare Caino, invece « avvilente e perverso. »
L'uomo alle sue spalle fece un inchino stentato, abbassandosi lentamente sul proprio ginocchio sinistro e flettendo solo leggermente l'altro. Nel mentre si reggeva su di un bastone di mogano scuro, che scricchiolò sotto il peso di quella penosa e stentante etichetta. « Sono contento che gradisca, Priore. »
Il Priore si girò, riservando al suo interlocutore uno sguardo raggelante. L'uomo aveva un camice bianco sporco di macchie porpora in più punti; sul capo teneva una capigliatura rada, bianca, sporca e con ampie chiazze vuote, che lasciavano intravedere un cuoio capelluto incrostato in più punti. Una delle poche lunghe ciocche bianche gli svendeva sul volto, carezzando il naso adunco e i piccoli occhialetti da lettura che teneva appoggiati su di esso.
Attraverso di essi, le iridi azzurro cielo sembravano sorridere amabilmente, all'unisono con la bocca gretta e sdentata.
« Non gradiamo per niente » rispose Caino, distogliendo lo sguardo dall'uomo. « Non siamo folli come voi. »
L'altro sorrise ancora, di rimando. « Non gradite i lamenti dei miei ospiti » disse, arguto « ma vi rivolgete a me ancora una volta. »
« Ciò non vi rende alquanto ipocrita? »
Rispose e sorrise con pochi denti. Incurante di ciò che si fosse permesso di dire.
« Questo è inaccettabile, dottore » ribatté Caino a sua volta « sapete bene quanto non gradiamo l'impudenza. »
Il dottore sorrise nuovamente, tenendosi gli occhiali sul naso. « Eppure so che non mi punirete; avete bisogno di me. »
Poi lo fissò, con sguardo malizioso. La bocca si distese in un ghigno famelico, compiacente e malevolo. « Tutti hanno bisogno di me »
« anche tutti quelli che vi hanno preceduto, avevano bisogno di me. »

Poi si voltò, fissando il fosso e le celle. Negli occhi, un margine di estrema soddisfazione.
« Io e questo posto siamo sopravvissuti a più Regni di quanti lei possa immaginare » biascicò, secco. « Abbiamo visto imperi cadere e risorgere continuamente. »
« Siamo stati testimoni delle atrocità del mondo, nonché dell'opera ambigua e perversa dei suoi dominatori; abbiamo creato e disfatto l'impossibile per ogni Sovrano prima di voi. »
Sorrise ancora, con un pizzico di malinconia. « E continueremo a farlo ancora per molto tempo. »

Caino fece pochi passi verso il centro della stanza. Si portò le mani alla tempia, riflettendo. Poi, tornò a fissare il dottore.
« Dove l'avete portato? » Disse, cambiando discorso.
« È rinchiuso in una cella speciale » disse il dottore, di risposta « lo stiamo sottoponendo ad alcuni esami. »
Poi tornò a fissarlo, pensieroso. « È affascinante quanto gli sia successo; non riusciamo a guarirgli la ferita e - al tempo stesso - è assurdo che egli si sia ferito in quel modo »
« Cosa vuol dire? » Chiese Caino, con un pizzico di preoccupazione. « È come se... come se sia diventato umano. »
Caino rimase immobile, interdetto.
« D'altronde è sempre stato il loro desiderio e voi lo sapete bene, signore... »
« Ma com'è potuto accadere? » Chiese ancora il Priore, ignorando il riferimento.
« Non ne ho idea » rispose il dottore, alzando le spalle « ma è comunque affascinante. »
Caino rimase in silenzio per un altro minuto, riflettendo. « Voglio che torni a collaborare » sbottò poi, secco « possiede informazioni molto preziose. »
« Lo farà, statene certo » rispose il dottore, con un altro sorriso arguto « se necessario ve ne daremo un altro. »
Caino scosse la testa, seccamente. « Non ce ne serve un altro » disse, sicuro.
« Ci serve proprio lui. »

« E... per gli altri? » Chiese il dottore, dissimulando curiosità. « Quali altri? » Chiese Caino, perplesso.
« C'è altra gente con lui » ribatté l'altro, ansioso. « Non ci interessa » gli rispose il Priore, sicuro.
« Ci importa soltanto di lui. »

D'improvviso, la tensione nella stanza fu spezzata dal rumore di una porta cigolante. Un umano ammantato di un bianco camice e ricoperto di stoffa bianca su braccia e gamba, fece ingresso nella stanza con passo arrancante. Il volto era coperto da un cappuccio di stoffa altrettanto bianca, che gli lasciava intravedere a malapena il taglio degli occhi: due occhi gialli, grandi, senza pupille.
« Dottore » balbettò la creatura, simulando un tono umanoide « problema - creatura - emergenza. »
Il dottore perse immediatamente il sorriso, riguadagnando un tono piuttosto serioso. « Problemi? » Gli fece eco Caino, visibilmente alterato?
« Sicuramente niente di grave, Priore » rispose il dottore, cercando di rassicurarlo.
« Nulla che non potremo risolvere. »

Caino squadrò il dottore, con rabbia. Poi, si avviò verso l'uscita ad ampie falcate, superando l'essere con una vigorosa spallata.
« Ce lo auguriamo » liquidò i due, imboccando la scalinata che portava verso l'esterno.

Nel mentre, dal profondo del fosso si levò un unico grido. Un sibilo, quasi, troppo flebile per esser percepito dalla sommità. Una risata raggelante, di scherno, che si frantumava contro le grate rugginose delle celle, dispiegando un un'ilarità nervosa tutta la frustrazione per quella condizione inumana. Troppo inumana, per chi si era abituato all'umanità.
Per chi di penare, soffrire e fingere, era fin troppo stanco.



CITAZIONE

QM Point.
Il primo post è una introduzione narrativa alla quest, in cui viene presentato il luogo in cui la stessa è ambientata, ovvero il fosso dei lamenti. Lo stesso non è un luogo legato direttamente a Caino, come penso (e spero) si evinca dal post, ma un qualcosa che lui (e altri prima di lui) hanno sfruttato per motivi a voi ignoti. Nel primo post semplicemente dovrete affrontare una particolare situazione che vi descriverò di seguito. Sarebbe stato troppo lungo descriverla narrativamente insieme alla scena di cui sopra, quindi rimetto a voi questo compito, limitandovi a esporvela solo descrittivamente.

Come premessa dovrete (potete) stabilire il motivo per cui siete nel fosso dei lamenti. Potete essere stati portati dagli Arconti; potete essere stati venduti dai mercanti o schiavisti del sud; potete esserci finiti per sbaglio. Potete, se volete, esserci finiti di proposito per cercare Teslat, per chi lo conosce, sapendo che è stato rinchiuso proprio qui da Caino. Per dire, la circostanza non è un mistero. Comunque sia, il risultato è che ci siete finiti e siete stati rinchiusi dal fantomatico "dottore" di cui al post. Ognuno di voi viene rinchiuso in una cella, apparentemente isolata. Come comune denominatore delle vostre situazioni c'è il fatto che nella cella siete nudi e senza oggetti, quindi niente artefatti o altro. Per il resto, potete usare i vostri poteri (non più di due slot per questo turno). Ma non avete nemmeno compagni o altro. Siete, per converso, tutti consapevoli di essere stati rinchiusi. Eppure, la circostanza perde quasi di significato alla luce delle situazioni che vivete nelle celle, che vi sembrano altrettanto vere.

Malzhar Rahl Nella tua cella sei, come detto, nudo e incatenato al pavimento. Le catene sono troppo corte e non riesci a sollevarti da terra. Spezzarle (prima che tu me lo chieda) implica un danno medio per catena. Sei nudo e ti senti vinto, avvilito, "sconfitto", ovvero nudo anche nell'anima, fragile. Attorno a te senti (ma non li vedi) delle presenze; per qualche ragione ti immagini sia l'intero consiglio dei Pari che ti vede in questa condizione e ride di te, ti schernisce con cattiveria. Infine, dinanzi a te vedi Ryellia, la tua amata. A differenza degli altri, lei la vedi benissimo. È disgustata, prova vergogna e ti invita a ricomporti. Interpreta liberamente la scena e agisci come credi.

Snek Tu sei in una cella, non incatenato. Dinanzi a te appare la tua amata; la donna che hai dovuto evitare, che volevi per te, ma che il destino ti ha strappato. È nel fiore dei suoi anni, esattamente come la ricordavi. E provi ancora un sentimento fortissimo verso di lei. Ella è dall'altra parte della stanza; eppure, se provi a raggiungerla vieni frenato da un vetro. Un vetro che divide la stanza a metà, impedendoti di raggiungere l'altro lato. Nel frattempo lei ti invita a raggiungerla, dicendoti che non può rimanere a lungo. Ti dice che se non la raggiungerai, la perderai di nuovo. Il vetro può essere infranto, se voi, causandogli un totale di danno pari a un Critico.

Majo_Anna Priva dei tuoi oggetti non vedi niente. La stanza, anche se vedessi, sarebbe buia, totalmente buia. Attorno a te c'è qualcosa, ma non capisci cosa. Percepisci prima dei sospiri, dei soffi. Quasi risatine trattenute. Poi mani che ti sfiorano, ti toccano e si prendono gioco di te. Infine, qualcuno che ti colpisce con una frusta. Poi ancora, con ancor più violenza. Poi ancora una seconda. Se non ti difenderai, o farai qualcosa, subirai un totale di danno pari ad Alto al corpo. Decidi come agire.

Misato Kojima Nella tua cella, improvvisamente il pavimento si spalanca. Si crea una gigantesca voragine che ti fa quasi sprofondare verso il baratro. Riesci a tenerti con una mano, forse con due. Ma ancora per poco; le mani infatti di sanguinano, e i piedi a stento si reggono su piccoli spuntoni di roccia che emergono dalla parete. Poco distante da te, vedi delle persone che camminano. Perfetti sconosciuti che passano; sembrano accorgersi di te, ma ti ignorano semplicemente. Non ti aiutano. Puoi, se vuoi, attirare la loro attenzione con una qualunque tecnica psionica pari a un medio. Un medio per ogni "persona" attirata; nel caso, puoi provare a convincerli ad aiutarti.

In generale, non è prevista una fase in confronto. Ovvero, potete postare direttamente. Immagino però vogliate chiarimenti di qualche genere, per questo ho aperto la discussione in confronto qui.
Tempi: 5 giorni da adesso; quindi entro giovedi della settimana prossima.

 
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view post Posted on 22/9/2015, 21:00
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♥ Non piangere Nishimiya sai poco fa ti ho parlato in un sogno, mi sembrava di aver rinunciato a molte cose, ma non è così. Ho sempre pensato come te Nishimiya...♥
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Castello di carte - La voragine dell’indifferenza -
Iniziava a pensare che forse stava meglio quando uno scopo lo aveva, quando vagava su quella terra alla ricerca di una sola cosa mentre, ora, cercava solo di restare viva: ma a che scopo? Era ferma, in una piccola radura subito dopo aver attraversato il confine tra Akeran e Dortan, cercando di tornare nel suo villaggio natio e stava consumando una cena piuttosto spartana composta solo da un uccello che aveva cacciato con le sue frecce demoniache, aveva acceso un fuoco e adesso era assorta a fissare i resti di quella creatura che aveva divorato mente i suoi occhi vagavano fra le fiamme che lei stessa aveva acceso. Un tempo avrebbe trovato difficile una cosa del genere ma ora no, adesso sapeva badare a sé stessa e procacciarsi anche le cose più semplici. Le sembrava essere passato tanto tempo da quando aveva lasciato la sua casa ma il suo aspetto non cambiava, solo le cose intorno a lei continuava a mutare in una danza macabra che sembrava quasi prendersi gioco di lei.

”Perché mi ostino tanto a sopravvivere?”


Sapeva di essere solo una piccola creatura egoista, che ormai pensava solo a sé stessa ma in fondo non si ricordava più come si faceva a prendersi cura di qualcun altro, aveva anche rimosso quegli anni felici in cui sua madre davvero si curava di lei e di tutto il resto, ormai aveva imparato solo cos’era la solitudine e la sensazione di trovare gente che ti vuole morta ad ogni angolo.

”Tu esisti per me, come io per te. Avanti Ririchiyo, non fare la stupida e torniamo indietro. Ci hanno tradito, lo so, l’ho capito ma questo dai demoni te lo devi aspettare, lo sai che noi siamo fatti così…siamo come te. Egoisti, pensiamo solo a noi a dagli umani cosa pensi di aspettarti? Sai che i demoni sono fatti come sono ma gli esseri umani si nascondono dietro false maschere solo per raggiungere i propri scopi. Tu credi che siano puri ma non è così, loro possono solo deluderti. Forza, torniamo indietro.”


Lilith ci provò a farle cambiare idea, in tutte le maniere ma la ragazzina era più testarda di un mulo.

”Mi spiace ma non ho intenzione di trascorrere tutta la mia vita a guardarmi le spalle. Sono sicura che in questo mondo ci sia un posto dove anche una come me può essere accettata….”


E davvero lo credeva possibile. Per un attimo alzò gli occhi al cielo, cercando la luna con i suoi occhi ametista per farle arrivare un canto silente, una preghiera, perché potesse trovare un posto così, come in un sogno meraviglioso, come in un mondo ideale.

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”Atten…”


Rumori di passi. Rumori sull’erba umida della rugiada della sera. Dolore. Vuoto. Poi più nulla.

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Non aveva sognato niente, non aveva visto niente, l’unica cosa che l’aveva accompagnata fino al suo risveglio era stato il dolore, una fitta alla testa che le dava quasi la sensazione che fosse stata aperta come un cocomero prima di essere mangiato. Quando riaprì gli occhi, lentamente, si ritrovò in una cella dove regnava l’oscurità, il freddo. Quasi quasi le sembrava di essere di nuovo nel luogo che Lilith chiamava casa se solo non fosse stato per le sbarre che si innalzavano davanti a lei. Lentamente Ririchiyo cercò di mettersi a sedere sul pavimento umido di quella cella, massaggiandosi la testa che doleva in maniera spasmodica e iniziò a guardarsi intorno. Era da sola e fuori non sembrava esserci qualcuno…perché era stata catturata? Non riusciva a capire quanto tempo fosse passata dal momento dello svenimento a quello del risveglio e fuori non vi erano luci naturali che potessero aiutarla a capire.

”Mi verrebbe quasi da dire che eravamo nel posto sbagliato al momento sbagliato.”


Come al solito il demone si rivelava di grande aiuto. La ragazzina sbuffò appena prima di alzarsi con cautela, assicurandosi di poter stare in maniera salda sulle sue gambe, e cercò di avvicinarsi alle sbarre, per afferrarle, per sentire il gelo e assicurarsi che tutto fosse vero ma non fece nemmeno in tempo a raggiungerle perché, ad un certo punto, il pavimento sotto i suoi piedi si spalancò letteralmente quasi come fosse una grande porta che aspettava solo lei per dare vita a quella voragine. Il cuore che rimbalzò in gola ed ebbe giusto il tempo di capire grossolanamente quello che stava succedendo prima di capire che stava precipitando nel vuoto.

”Forza, cerca di aggrapparti.”


Sussurrò la voce del demone allarmata dentro alla sua anima. Come una bambola di pezza priva di volontà propria, un burattino nelle mani di Lilith, allungò d’istinto le mani nel tentativo di appendersi ed evitare di sfracellarsi al suolo. Di nuovo il dolore prese possesso del suo corpo. La mano destra afferrava saldamente il bordo di quel baratro, la sinistra cercava di rimanere appesa con scarso successo e anche i suoi piedi minacciavano di scivolare obbligandola a scalciare per rimanere a galla. Vide un piccolo rivolo di sangue iniziare a scendere lungo il braccio destro e digrignò i denti. Non sapeva come si era cacciata in quel guaio ma era certo che doveva provare a tirarsene fuori in tutte le maniere.
Cercò di tirarsi su, di provare a uscirne da sola ma quei tentativi sembravano essere inutili e ormai aveva capito che cadere sarebbe stato inevitabile se non avesse trovato qualcuno disposta ad aiutarla. Si dimenticò completamente com’era finita in quella situazione quando il suo sguardo incrociò la figura di alcune persone che passavano davanti a lei ignorandola deliberatamente.

«No…aspe…aspettate. ASPETTATE!»


Provò ad urlare invano, quelle persone sembravano non avere alcuna voglia di fermarsi per lei. L’indifferenza le bruciava sulla pelle, le stringeva il cuore e si chiedeva come una ragazzina con il suo aspetto non potesse seminare almeno un po’ di pietà nel cuore degli adulti. Era forse per le sue corna? Era forse per la sua diversità? Allora avrebbe sfruttato proprio il suo potere per farsi sentire, per fare la voce grosse e attirare la loro attenzione.
Fissò intensamente uno di loro cercando di concentrare tutto il suo potere demoniaco e, in pochi secondi, i suoi occhi si illuminarono come piccoli fare in mezzo ad un mare in tempesta. Cercò di ammaliare uno di loro per farlo venire da lei ad aiutarla. Sembrò quasi riuscirci, qualcuno si staccò dal gruppetto per avvicinarsi a lei ma si limitò a fermarsi proprio sull’orlo del baratro per fissarla, con aria inespressiva ma senza allungarsi per aiutarla, senza farle un sorriso, senza nemmeno farle cenni di pietà. Ririchiyo strizzò gli occhi che bruciavano per via delle lacrime che giocavano a nascondino e a cui l’orgoglio impediva di uscire e provò ad urlare la sua disperazione e la sua richiesta di aiuto.

«Andiamo, davvero avete il coraggio di lasciare qui una povera ragazza come me? Vi prego, con che cuore avete il coraggio di lasciarmi qui a morire? Aiutatemi vi prego, non mi merito tutto questo e io non ce la faccio più a tenermi su. Una mano, vi prego non vi chiedo altro.»


Gli occhi che luccicavano di una stregante luce ametista era fissa sulle persone che la fissavano, era sicura che il suo potere potesse bastare ma a quanto pareva non era così e allora non le restava fare altro che implorare e chiedere aiuto. Nella sua vita le era successo forse un paio di volte, per quanto la riguardava parlare in quella maniera era un disonora ma non era pronta a morire ed era convinta di poter usare e persone per poter raggiungere i propri scopi in fondo aveva scoperto che la maggior parte degli essere umani erano così deboli.


”Vergognati di pregare in questa maniera.”



Ma forse, in fondo, anche Lilith sperava che quelle richieste potessero avere presa laddove il suo potere aveva fallito, laddove il suo ammaliamento non aveva potuto niente.
La presa si allentava sempre di più, il sangue cominciava a scendere più copioso e le lacrime fuggirono dagli occhi della ragazzina cercando di fare leva sull’anima compassionevole di quelle persone e, come raramente succedevano, erano sincere. Era troppo presto per morire, non voleva che la sua vita finisse in quella maniera perché avrebbe reso vano tutte le sue lotte per la sopravvivenza e per la ricerca di un posto dove anche una come lei poteva essere accettata.


CITAZIONE

RIRICHIYO


Basso: 5% - Medio: 10% - Alto: 20% - Critico: 40%


»Stato fisico: Indenne
»Stato mentale: Indenne
»Sinossi: Egoista, indipendente e irascibile; coriacea, corna e occhi viola
»Energia:
    Energia 125/125 %


    Mente 125/125%


    Corpo 50/50 %



»Equipaggiamento:
    -Arco
    -Naginata
    -Armatura naturale

»Oggetti:
    -Cristallo del talento
    -Amuleto lunare

»Talenti:
    -Affascinare 1/6
    -Maledire 0/6
    -Focalizzare 0/6
    -Trasmissione 0/6

Tecniche
Affascinare:
    » Gli ammaliatori hanno sviluppato naturalmente un'influenza tale sugli altri da essere in grado di condizionarne la volontà semplicemente con la loro presenza. Essi potranno emanare un'aura attorno a loro influenzando qualunque persona sia presente nei dintorni, inducendoli a non contraddire l'ammaliatore o a seguirlo, o ancora a temerlo. Con il consumo di un utilizzo di questa passiva, dunque, l'Ammaliatore sarà in grado di emanare un'aura di ammaliamento che conta come un'influenza psionica passiva con effetto da personalizzare liberamente, purché non si discosti troppo dai principi enunciati.«


Specchietto riassuntivo
Utilizza Affascinare per attirare la loro attenzione e farsi aiutare ma nel momento che vede che non funziona inizia ad implorare di essere aiutata arrivando anche a piangere.




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view post Posted on 23/9/2015, 20:09

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Il morso del Serpente

Non era stato un viaggio piacevole, affatto. Giorni e giorni passati in una carrozza soffocante, fetida per il sudore acre del suo ospite. L’uomo era particolarmente grasso, di quella grassezza provocata da uno stile di vita fatto di eccessi decadenti e rivoltanti. Il profumo con cui si era abbondantemente cosparso gli abiti di tessuti preziosi non faceva che peggiorare la situazione. A tutto si mescolava l’odore del cibo che l’ospite divorava ad ogni ora del giorno e della notte e quello del vino.
Nonostante il desiderio di cacciare a calci quella palla di grasso dalla sua carrozza fosse forte Erein mantenne sempre una condotta impeccabile. Nutrì il maiale di tasca propria, lo fece ubriacare con i pregiati vini che commerciava, intrattenne noiose conversazioni prive di qualunque senso.
Dopotutto quell’uomo, se uomo si poteva chiamare una simile bestia, era un personaggio influente anche se non nel senso onorevole della parola. Boltrin Hill era, infatti, un famoso mercante di schiavi. La sua “attività” si estendeva a quasi tutte le zone civilizzate di Theras e le modalità di acquisizione della “merce” erano assai variegate; si andava dall’acquisto di schiavi sulle tolde delle navi pirata ai rapimenti organizzati da bande criminali. Boltrin Hill aveva anche l’abitudine di visitare i luoghi in cui si erano tenute di recente guerre e battaglie. Acquistava prigionieri di valore per chiederne il riscatto, raccoglieva i soldati feriti dai campi di battaglia per venderli ai proprietari di arene di combattimento. Il denaro che ricavava veniva poi investito in una miriade di attività apparentemente legali disperdendosi in rigagnoli che infettavano le varie imprese che si trovavano in un modo o nell’altro a collaborare con lui. La sua specialità era quella di lavorare come fornitore o finanziatore di piccole imprese. Artigiani, mercanti, locandieri, si affidavano inconsapevolmente a quella grassa, lurida serpe che attraverso le sue conoscenze criminali li spediva sul lastrico. A quel punto li stritolava, lentamente … Indebitati oltre misura, gli sventurati, non trovavano il modo di saldare. Iniziavano allora le minacce, le ritorsioni e persino le violenze. Alla fine della fiera il poveraccio riceveva una proposta: vendere se stesso come schiavo e lavorare finché non avesse saldato il debito. Boltron Hill aveva creato una perversa spirale in cui l’attività criminale e quella lecita si intrecciavano in un intrico così contorto da risultare indistricabile.
Lui, l’ideatore, rimaneva sempre un passo indietro. Protetto da amicizie influenti, disposto a muoversi di continuo, a corrompere le persone giuste, minacciare e uccidere quelle che non riusciva a convincere con il denaro era riuscito a svincolarsi come una biscia dalle - invero assai poco fitte – maglie della giustizia.
Aveva però commesso un errore … Sfruttando la fragile struttura politica dei Regni del Leviatano precedente all’incoronazione di Julien aveva iniziato ad espandersi con sempre più insistenza nel Dortan.
Le piccole prede non sembrarono saziar più la fame del serpente e aveva iniziato a puntare in alto. Forse troppo in alto … Deprecabilmente alcuni nobili avevano usufruito dei suoi servigi e quando avevano sentito il laccio stringersi intorno al collo, prevedibilmente erano corsi a lamentarsi con alcuni influenti membri del Consiglio dei Pari. Erein aveva colto la palla al balzo, risolvendo la faccenda avrebbe catturato due piccioni con una fava: si sarebbe guadagnato la fama di paladino della giustizia dinnanzi Re Julien e il nascente Parlamento e al contempo la stima del Consiglio.
Doveva però trovare il modo di avvicinare l’inavvicinabile schiavista, coglierlo con le mani in pasta e farlo quando il rischio di diventare a sua volta una preda era minore. Si era finto così interessato ad una collaborazione sfruttando le numerose attività commerciale che facevano capo alla corona di Deyrnas.
Allettato dall’imponente ricchezza del Re Stregone, Boltron Hill si era lasciato persuadere e aveva accettato a sottoscrivere un vero e proprio accordo. Aveva posto una sola condizione: si sarebbero incontrati in un luogo neutrale; da li si sarebbero diretti insieme in un altro luogo, scelto di comune intesa al momento della partenza, onde evitare quelle che aveva chiamato “spiacevoli intromissioni”. Erein aveva accettato, nonostante la cosa puzzasse di inganno. Alla peggio – aveva pensato – avrebbe scatenato qualche sortilegio cataclismatico. In fondo l’obiettivo era neutralizzare la minaccia e tagliare la testa del serpente era una soluzione drastica ma pur sempre una soluzione.
La consapevolezza di fare una cosa giusta e remunerativa aveva aiutato a tollerare tutte le spiacevolezze del viaggio, ospite compreso, ma a tutto c’era un limite e quel limite fu travalicato quando la carrozza dovette fermarsi nel bel mezzo di una zona desolata e desertica a causa di una ruota spezzata.
«Non temete i miei uomini sistemeranno la cosa in fretta, riprenderemo il viaggio prima di quanto immaginiate Altezza.» - gli occhi dell’uomo scintillarono di malizia mentre la bocca larga e lorda di sugo si distorceva nella scimmiottatura di un sorriso.
La buone maniere e la facciata cortese di Erein se ne andarono a farsi benedire. Tutto il disgusto e il disagio provato apparvero sul suo volto mentre sibilava -«I vostri schiavi vorrete dire ... » - si affacciò dal finestrino della carrozza scostando le tende che avrebbero dovuto riparli dal caldo e dalla polvere. Il seguito del mercante di schiavi era composto da poche figure di uomini miserabili ridotti pelle ed ossa dal lavoro e dall’inedia -«… schiavi che diverranno cadaveri prima di riuscire a cambiare la ruota visto il caldo e le loro condizioni fisiche.»
L’uomo sorrise viscido - «E’ molto nobile da parte vostra preoccuparvi per loro … » - rispose sbottonandosi il collo della camicia e mostrando una pesante collana d’oro - « … specie quando dovreste preoccuparvi di non diventare un cadavere a vostra volta.»
Erein immediatamente comprese. Fu’ la collana più del contesto a metterlo in allarme. L’oro era stato abilmente lavorato in modo che somigliasse ad un serpente. Tutto era curato nei minimi dettagli, le squame picchiettate con perizia artigiana sorprendente, la testa con le fauci spalancate e la pietra che quelle stesse fauci reggevano: una sfera di livida ametista che sfavillava sinistramente.
«Vi piace Maestà? » - disse indicando il monile - «Oh non c’è bisogno di rispondere, sono sicuro che è così … Visto che avete indossato qualcosa di simile non troppo tempo fa’ quando ci avete derubato. »
Inconsciamente Erein si rese conto che era già troppo tardi. Sentì la testa girargli violentemente, le membra sciogliersi come burro su una graticola, le forze venirgli meno. Ebbe appena il tempo di pensare che avrebbe dovuto aspettarselo … Non si calpesta un serpente senza essere morsi.


In vinculis ...

Il risveglio fu peggiore dell’assopimento. Aveva dormito profondamente, un sonno senza sogni, buio e denso come un barile di pece. Ricordava, sebbene con un po’ di confusione, la catena di eventi che lo avevano condotto a risvegliarsi nudo, incatenato e umiliato ma quelli persero di importanza dinnanzi ciò che lo attendeva in quel posto.
I Pari, quegli stessi Pari per cui lui era finito li dentro, lo osservavano e lo deridevano. Per loro non era altro che un fenomeno da baraccone una bizzarria con cui dilettarsi nei lunghi pomeriggio di tedio. Era sempre stato così dal giorno in cui era arrivato ad un soffio dall’essere nominato Campione del Torneo; ne aveva avuto riprova più volte quando sentiva gli sguardi di quei Lord e di quelle Lady scrutarlo con diffidenza, invia e timore e derisione. Aedh Lancaster doveva sbellicarsi più di tutti a vederlo così annichilito. Lui, proprio lui che gli aveva sbattuto in faccio il suo disprezzo senza mai darsi cura di nasconderlo dietro un velo di ipocrisia come facevano gli altri. Quelle risate e quei mormorii lo ferivano, certo, ma gli davano anche forza.
Il pensiero della faccia che avrebbero fatto una volta che lui si sarebbe liberato e vendicato umiliandoli a sua volta era come un antidoto alla vergogna che gli permetteva di resistere.
Con tutta la loro boria, con tutta la presunta superiorità morale cos’erano loro dinnanzi a lui?
Mosche, patetici insetti che gli ronzavano attorno infastidendolo e punzecchiandolo come farebbero i tafani con un leone in trappola. Quegli stessi miserabili sacchi rigonfi di arroganza si sarebbero afflosciati non appena lui si fosse manifestato in tutta la sua gloria. Loro non sapevano, non potevano immaginare cos’era davvero Erein di Deyrnas! Presto, molto presto ne avrebbero avuto un assaggio.
Un energia gelida si condensò intorno agli arti costretti dalle catene. Il metallo iniziò a trasudare una patina trasparente, chiara, cristallina. Rese fragili come cristallo dal gelo intenso le catene si spezzarono alla minima sollecitazione. Stava per levarsi, Erein, quando udì la sua voce.
« Patetico… » - i capelli biondi come grano maturo erano acconciati in una treccia che le scendeva morbidamente lungo la spalla lasciata nuda dall’abito color vinaccia. Il volto perfetto che amava era come infettato da un’espressione di disgusto intenso. Le labbra piene, rosse, quelle labbra che aveva baciato suggendone il succo di una felicità pura, candida, ristoratrice erano piegate in una smorfia di disprezzo. « … ed io che avevo pensato di poter avere un figlio da te! Mio zio aveva ragione: non sei altro che un buffone! Sei senza dignità, sei solo una bestia esotica e vagamente interessante… Per un gruppo di villici illetterati, s’intende. Ti meriti di essere legato a quel modo a giacere nel tuo sterco. Mi fai ribrezzo!»
Quelle parole gli precipitarono addosso schiacciandolo. Lei, Ryellia colei che pensava fosse l’unica a poterlo comprenderlo, ad amarlo senza condizioni, a vederlo per ciò che realmente era aveva calato la maschera.
Non era altro che una Lancaster, come il padre, lo zio e i cugini. Come tutti lo disprezzava. Aveva solo atteso il momento in cui era più debole per confessarglielo.
Ryellia Lancaster fece pochi passi in avanti e gli sputò addosso. Poi osservò le catene spezzate - Ti sei liberato. » - constatò - « Alzati! Non stare li disteso come un verme! Fino a quando qualcuno non mi libererà dalla tua scandalosa presenza rimango legata da quello stupido fidanzamento! Alzati! Datti un contengo ... »
Erein la guardò incapace di conciliare le due immagini che aveva di lei, quella passata e quella presente.
Sbigottito ormai incapace di reagire si inginocchiò - « R-Ryellia… » - singhiozzò - « …tu, tu non pensi davvero queste cose … T-ti prego … »
Gli occhi del Re Stregone erano pieni di lacrime, lacrime che si rifiutavano di scendere e di dare quell’ultima soddisfazione agli impietosi spettatori.
Ryellia scimmiottò la sua supplica facendo esplodere l’ilarità dell’uditorio. «Sei davvero uno sciocco Erein di Deyrnas … Pensavi che ti amassi davvero? Io ti ho sempre disprezzato. Sempre! Per me eri solo la chiave per fuggire dalle catene della mia famiglia. Una chiave difettosa a quanto vedo. »
E quello che temeva accadde. Il dolore si fece così grande, così insopportabile, così annichilente che ogni altra emozione scomparve. Chiuse gli occhi Erein detto Dewin mentre le orecchie si riempivano delle gracchianti risate dei Pari e di quella crudele ma ancora bellissima di colei che amava.
Quel dolore degradò rapidamente in rabbia, rabbia che lo invase, lo dominò totalmente cancellando ogni coscienza, ogni riguardo, ogni precauzione. Spinse con le ginocchia per levarsi di scatto. Si preparò a compiere una scelleratezza … Accumulò potere fino a sentirsi così pieno da scoppiare.
Avrebbero penato, avrebbero sofferto, tutti. E alla fine sarebbero morti! Avrebbero urlato – prima – e implorato!
Mentre i muscoli delle cosce si preparavano allo scatto le forze gli vennero meno. Erein riuscì a rimanere in piedi per un istante solo, poi le gambe lo tradirono e cadde. La testa batte sul pavimento lurido sollevando spruzzi di lerciume che gli coprirono il viso.
« Zoikar liberaci! » - commentò sdegnata la Lancaster - « Il grande Re Stregone non è capace nemmeno di reggersi in piedi …»

CITAZIONE

D7g4Hgy
CS: 0 | Intelligenza| Corallo - utilizzato.
Critico 40| Alto 20 | Medio 10 | Basso 5



Fisico:75%
Mente: 75%.
Energia: 150%- 10% - 10% = 130%
Passive in Uso:



Attive:


Dagrau o Kjed ~ Lacrime di Kjed ~ Personale 17/25, consumo medio a bersaglio, dominio elementale ghiaccio. ( Usata una volta per catena)

Note: //




[/QUOTE]
 
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view post Posted on 23/9/2015, 21:20
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Like a paper airplane


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Non è possibile dire quali siano i confini del buio. Forse sono gli stessi della paura.
Tu che ne dici, Ainwen?

Distesa, con la sola certezza del terreno sotto il proprio corpo nudo, si rannicchiava cercando il contatto della propria pelle. Una volta le avevano raccontato che prima della nascita per tutti c'è solo oscurità. Si chiese se era per quello che, alla fine, i bambini cercavano la luce. Anche lei, inutilmente, protendeva le mani in avanti, ma c'era solo il vuoto. Si sfiorava il viso e il corpo, con ansia, cercando delle verità taciute. Cercando i ricordi che si erano sparpagliati nella memoria.
L'unico suono era il martellare sordo di un maglio lontano. Il suono del suo cuore. E un mantice, il suo respiro, che si librava per poi precipitare, privo di ali. Di tanto in tanto provava il desiderio di piangere, ma le sue lacrime pavide non volevano rotolare lungo le guance, verso l'ignoto.
Si portò una mano alle labbra, là dove il fazzoletto dei suoi aggressori si era poggiato. Poteva ancora sentire sotto il naso l'odore della sostanza con cui l'avevano stordita. Dolciastro, lo stesso odore che associava alle malattie dell'infanzia, alla febbre e ai decotti di erbe che era costretta a bere. L'odore della sconfitta, delle notti deliranti.


Come sempre era giunta fin lì credendo di essere scaltra.
La bambola nascosta sotto il mantello, un servo ad accompagnarla, fingendo di essere cieca.
Di essere debole.


E non era altro che questo, nell'oscurità che avrebbe potuto appartenere alla notte. Non c'era luce a sfiorarla, donandole un po' di calore. Non c'erano i suoni del mondo esterno a consentirle di orientarsi. Aveva finto di essere fragile ed era stata spezzata. Tentò di sollevarsi verso le ginocchia, cercò un segnale che potesse dirle dove si trovasse.
Nulla le rispose. Nulla ancora per qualche attimo.
Poi qualcuno sospirò al suo fianco.


Aveva detto di essere giunta per cercare un uomo, che aveva incontrato lungo i suoi viaggi.
Un uomo di nome Teslat, la cui scomparsa l'aveva colpita. Incuriosita, ma lo aveva taciuto.
Aveva detto che era giunta per potergli parlare.
Non aveva detto che lo avrebbe liberato e poi avrebbe cercato la sua alleanza.
Eppure, nonostante avesse creduto di averli ingannati, due mani forti senza preavviso le avevano premuto la stoffa contro il viso.
All'inizio si era ribellata, agitando i piedi e le braccia, trattenendo il fiato.
Per quanto?
Non avrebbe saputo dirlo. Le era sembrato un'eternità, ma forse era stato solo un secondo.


Non è possibile dire quale sia la distanza tra due respiri. Quale sia il punto esatto in cui si infrangono l'uno contro l'altro, in cui violano il rispettivo spazio.
Se ne stava ad ascoltare quel fiato estraneo, che le pareva ora vicinissimo ora alla fine di un lungo corridoio. Ne assaporava il suono, il segno che doveva esserci qualcosa di vivo vicino a lei. Ne ascoltava ogni singola sfumatura, chiedendosi se si trattasse di un altro prigioniero.


C'è...c'è qualcuno?


La sua voce tremava dal freddo e dall'angoscia. Ma il respiro non le rispose. Ora pareva vicino, così vicino da essere proprio dietro il suo orecchio. Un respiro concitato, emozionato. Un soffio.
Come un richiamo, a cui se ne aggiungevano altri.
Quanti uomini e donne possono riempire lo spazio di un solo buio? Quanti dei loro corpi possono essere ammassati uno sull'altro senza che se ne accorgano, continuando ad ignorarsi? Quanto possono essere prigionieri delle proprie sensazioni?
Forse dovrebbero chiedertelo, Ainwen.

Erano tanti, abbastanza da sovrapporsi l'uno all'altro. Il loro respiro era diventato un fruscio, che le si faceva sempre più vicino. Non emettevano altro suono che quei sibili rauchi, in punta di labbra. Non emettevano odore né calore, nemmeno quando il loro fiato era tanto vicino da assordarla. In quel silenzio assoluto ogni loro sospiro era come un grido.
Si portò le mani alle orecchie. Non voleva sentirli. Non era più convinta che la solitudine fosse la peggiore condanna. I palmi le premevano contro le orecchie, il suo cuore diventava protagonista, scandendo una danza sempre più accelerata.
Eppure loro, chiunque fossero, erano ancora tutti attorno a lei. Forse potevano addirittura vederla. O forse erano tutti come lei, terrorizzati e incapaci. Si protendevano verso il suono della sua voce come falene attorno a una lampada. Scosse il capo, cercando di scacciarli, ma quelli non si allontanavano.
Di tanto in tanto uno di loro emetteva una breve risatina querula che le faceva venire i brividi. Pareva il riso di un bambino, ma con una vena più acuta, isterica. Conosceva quel suono, la melodia di sottofondo della follia. Comparivano e se ne andavano, senza lasciare eco, acuti improvvisati sulla melodia di fondo. Forse loro lo trovavano particolarmente divertente, forse, come tutti gli altri esseri umani, li divertiva vedere una cieca annaspare in cerca di risposte. Si coprivano le labbra con ribrezzo e ridevano del suo fallimento. La disprezzavano.
Come avevano sempre fatto tutti.
Come avevano fatto quelli che amava.
Le lacrime avevano iniziato ad inumidirle le guance, quando la prima mano la sfiorò. Due dita sottili lungo l'avambraccio, incerte, come se volessero studiarla. Si ritrasse istintivamente, stringendosi le ginocchia al petto.
Il buio non aveva confini, eppure lei voleva occupare il minor spazio possibile. Tratteneva addirittura il fiato, sperando che gli altri si stancassero e la lasciassero in pace. Come quei giorni nel letto, a palazzo, mentre sperava che si dimenticassero di lei.
Le dita tornarono ancora, questa volta da due parti diverse. Questa volta da altre mani. La toccavano delicatamente o con più forza, senza fermarsi a conoscerla meglio, semplicemente tastandola. Forse volevano capire di che materia fosse fatta la paura di una donna prigioniera.


Chi siete?!


Aveva alzato il capo, e subito qualcuno le aveva tirato i capelli. Le risatine si erano moltiplicate come un'onda contro gli scogli. Si prendevano gioco di lei, facendosi più vicini. Sembravano donne e uomini, o forse erano soltanto bambini. I loro tocchi si erano fatti più decisi. Poteva quasi sentire il loro scherno.
Era certa che non fossero ciechi. Era certa che fossero persone normali, con un aspetto normale, ordinario con una natura simile a quella di tutti gli altri. Un branco. Animato dalla normale cattiveria che aveva accomunato per anni la gente lungo la sua strada. L'ordinaria crudeltà che consentiva loro di sfiorarla, spingerla, senza provare rimorso.
Senza concederle nemmeno di essere nuda nel buio, di avere paura, di piangere. Di desiderare le braccia di una madre a sollevarla, le braccia di un cavaliere a proteggerla. Perché ai loro occhi non ne era degna.
I loro erano gli occhi della noia e lei era il loro ultimo giocattolo. Come un gatto con un topo morente, alcuni la sbilanciavano. Si rannicchiò a terra.


Vi prego”.


Il suo buio si era fatto più piccolo, condensato. Perché tutto attorno c'era il loro mondo, quello in cui non poteva entrare, quello che non poteva infrangere. E le loro mani che la facevano sentire piccola, limitata, inerme.
Quando si era svegliata credeva che l'avrebbero semplicemente imprigionata per chiedere un riscatto.
E invece, di nuovo, si levò una risatina. La trovava irritante, deprimente. La disprezzava, anzi, la odiava. Come odiava tutti loro. I loro respiri inodori e i loro corpi che non riusciva ad afferrare.


Basta….


Una frustata la colpì in pieno viso, facendola sobbalzare contro il pavimento. Cercò di ritrarsi. La frusta sibilava nell'aria, tendendosi all'indietro. Questa volta la sentiva con chiarezza lucida. Cercò di ritrarsi, di trascinarsi fuori portata. Si aggrappò con le unghie cercando un terreno che le consentisse una via di fuga, si morse la lingua. Ma le mani la respingevano indietro come un muro.
La sua angoscia era tale che cercò inutilmente di afferrarle. Non voleva sentire nuovamente dolore.
Una frustata la raggiunse a una gamba. Sobbalzò di nuovo. I respiri attorno a lei si fecero più intensi, le risate più frequenti.
Lei, come una prigioniera alla gogna, esposta al loro ludibrio, al loro piacere. Incapace di fuggire, destinata ad essere colpita ogni volta che lo avessero voluto, senza poterlo prevedere. Regalando loro il proprio doloroso stupore.
Digrignò i denti. Non si sarebbe arresa a quel modo.


Ora Basta!


Dalle sue spalle sorsero due onde di seta buia. Ovviamente era così che se le immaginava. Perché ai suoi occhi non cambiò nulla. I suoni si fecero impercettibilmente più flebili, mentre veniva avvolta dalla propria difesa come da un bozzolo. Che cercassero di colpirla ora. Non voleva avere più nulla a che fare con loro. Tremava, mentre con le mani aggrappava alle proprie spalle come avrebbe fatto con quelle di un inesistente salvatore.
Nessuno sarebbe venuto a cercarla. Nessuno lo aveva mai fatto per lei. Avrebbe voluto gridare e invece tacque, sperando che i suoi persecutori, non sentendola, la lasciassero in pace. La sua difesa presto sarebbe svanita e lei non voleva di nuovo quel contatto sgradevole.
Si accorse di avere i capelli ritti sulla nuca. Voleva solo che la lasciassero in pace. Lo aveva sempre voluto.
Perché per qualcuno è così difficile anche solo esistere? Forse perché vivendo rompe le regole del destino.
Tu che ne dici, Ainwen?




Perchance to Dream

R. 125%.[Mente] 50%.[Corpo] 125%.[Energia]
*Proviene da un Occhio
B.[5%] M.[10%] A.[20%] C.[40%]



Energia. 125%
Fisico. 50% - [(Medio x1)] = 40%
Mente. 125% - [(Medio x1)] = 115%

.Passive.


Talento stratega - Ostinazione | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Intuito | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Mente Fredda | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Scetticismo | Numero di utilizzi: 6
Passiva Personale 5/25: genera un'aura di disagio e inadeguatezza nei confronti di chi si trovi nel suo campo visivo | Numero di utilizzi: 6
Passiva Razziale umana | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Statiche | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Legate | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagini Fortificanti | Numero di utilizzi: 6
Passiva Personale 16/25, Visione attraverso gli occhi della bambola anche quando essa non è a contatto con Ainwen | 6 utilizzi
Passiva Personale 17/25, Auspex delle anime | 6 utilizzi
Collana Elfica | 6 utilizz


.Abilità Utilizzate.


Abilità Personale 14/25, Natura Magica, Autodanno Mentale, Dominio delle tenebre con effetto difensivo dalle tecniche magiche | Consumo: Variabile --> (Usato a Medio)


.Riassunto.


MI difendo da un medio al fisico subendo un medio.


.Altro.


Sono fierissima ed emozionatissima di partecipare a questa quest *_____*/ Spero che il post sia degno!

 
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view post Posted on 24/9/2015, 12:32
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Quanto tempo è passato?
Giorni? Settimane? Anni? Secoli?
Da quanto non vedo la luce del sole? Quante volte ho sentito il cigolio della porta, quante volte ho ingoiato la miseria con cui mi sfamavano, e quante volte mi sono rifiutato di farlo? Ho visto il sorriso meschino del carceriere mentre prendeva le ciotole ancora piene via dalla mia cella, mormorando qualcosa su quanto fossi conveniente. Dopo un po' hanno smesso di darmi cibo. Per risparmiare, forse. Il mio corpo ha iniziato a diventare freddo e fragile, il mio volto avrà iniziato ad assomigliare a quello di un vecchio pallido -non ci sono specchi qui, solo pareti di metallo sporco, quindi non ho idea di come, di cosa io sia diventato. Una grande parete di vetro mi separa dall'entrata della cella. Ho tentato di infrangerla, ma è troppo resistente. Forse sono solo le mie braccia ad essersi indebolite.
Il sonno è il mio unico rifugio.


La porta d'acciaio si schiuse con un lamento rugginoso. Una figura esile si stagliò contro la luce proveniente dalle prigioni, che inondò la cella di Fray. La sagoma fece qualche passo verso di lui, osservando attentamente ogni suo movimento -spasmi dovuti ad una fame incessante che avrebbe già ucciso chiunque altro. Gli occhi del prigioniero si schiusero, rivelando il grigiore vacuo nelle sue pupille, tipico di chi sta per perdere i sensi. Bene, si disse l'ombra nera. Era un soggetto pericoloso quello, uno contro il quale delle catene sarebbero servite a poco. Ma in quello stato non avrebbe potuto fare niente. Lo avevano tenuto già da qualche tempo, ma la sagoma non sapeva quali erano i piani a riguardo. Il soggetto era stato consegnato loro da una banda di malfattori, dei briganti con cui facevano affari ogni tanto, e pare che per quell'uomo fosse stata pagata una cifra non indifferente. Immortale, avevano detto. Un caso raro, da non perdere.
Ma quelli non erano affari suoi, no. La sagoma posò a terra un vassoio, facendolo scivolare poco oltre una minuscola fessura presente nella vetrata. "Mangia" disse. Fray alzò immediatamente lo sguardo verso di lui, e rimase così per qualche istante, come se avesse appena assistito ad un miracolo. Il carceriere poté immaginare cosa stesse pensando -ne aveva visti molti come lui.
Grazie.
Sì, era quello il primo pensiero di quei condannati. Anche il peggiore dei mostri si sarebbe inginocchiato di fronte ai suoi nemici pur di porre fine ad un'atroce agonia. Cambiava solo il tempo, ma alla fine cedevano tutti. Era inevitabile. E così anche Fray si lanciò sulla ciotola, ingozzandosi di quel poco riso che gli avevano portato, tossendo e rantolando quando rischiò di soffocare. Ma anche se fosse davvero soffocato, quel prigioniero non sarebbe mai morto. La sagoma scura pensò che fosse molto divertente prima di girare i tacchi e sparire, lasciando quel che un tempo era un rispettabile monaco a leccare il pavimento della sudicia cella.

Le notti erano l'unico momento di vero riposo per Fray.
Non era sicuro che fosse notte in verità. Ma quando le sue palpebre iniziavano a chiudersi Fray poteva vedere quel che c'era al di là delle pareti della cella: vedeva l'immensa fossa prigione, e come mille stelle nel firmamento poteva osservare le anime dei condannati come lui brillare in un paesaggio di orrida magnificenza. Ogni volta che Fray provava a contarle il loro numero cambiava, alcune sparivano, alcune mutavano. Poi precipitava sempre verso il baratro del sonno, pregando di non doversi svegliare più.
Nei sogni rivedeva lei.

4ekM8Ts

Linsey.

Erano da soli nella campagna di Dortan, circondati dalla brillantezza dorata del raccolto che Fray si era messo a coltivare. Aveva abbandonato la sua tediosa vita da monaco, tornando ad essere uomo. E lei... quanto era bella, lei. Radiosa. I lunghi capelli neri le scendevano fin sotto ai seni, i suoi occhi color nocciola erano pieni di felicità e sul suo volto c'era sempre un sorriso quando Fray si avvicinava per baciarla. Attorno a loro c'erano quei bambini che Fray aveva visto nascere decenni prima, ma che non erano stati suoi -ma nella finzione dell'illusione tutto poteva essere cambiato. Fray parlava loro delle sue avventure e gli insegnava tutto quello che sapeva, e i quattro vivevano felici.
Ma la voce di quel bambino a volte cambiava. In un battito di ciglia Fray si ritrovava di fronte a quell'uomo, il vero figlio di Linsey.
" Va' via. Non sei più il benvenuto qui "

Il pensiero che era stato lo stesso sangue di Linsey a venderlo a dei mercenari era ciò che tormentava davvero Fray.

« Mio amore... svegliati. »
Fray aprì gli occhi. Nella sua cella, l'oscurità regnava suprema. Eppure gli era sembrato di udire una voce familiare.
« Sono io, amore. Non vuoi salutarmi...? » « Linsey? »
Solo allora Fray si accorse di quanto la sua voce gli fosse diventata aliena dopo tutto il tempo in cui non la aveva sentita, come se fosse stata una mela lasciata a marcire. Ma quel pensiero fu solo un riflesso di una visione ancora più grande, celestiale. Linsey. La donna era al di là della parete, immobile. Portava un abito grazioso, di quelli che aveva sempre voluto ma che non si poteva permettere, e il suo viso era truccato. Lei che era una contadina di certo non si sarebbe potuta trasformare così, eppure Fray la riconobbe all'istante, e ne fu ammaliato.

« Perché mi hai lasciato da sola, Fray? » « Linsey, io... dovevo... »
« Ero così sola e triste, mio amore, ti ho aspettato e aspettato... » « Linsey... io volevo guarire.. »
« Saresti potuto restare con me. Ma hai deciso di andare via.. » « No! Io volevo invecchiare con te! E per questo...! »
« Sei stato tu a tradirmi. » « Cosa? No! Linsey, tu... tu... »
« Ma va bene, ora. Ora è tutto passato. Sono qui per te, mio amore. » « Per me..? Sono.. »
« Non vuoi venire da me? Non vuoi amarmi di nuovo? Vieni. » « Io ti ho sempre amato, sempre. »

Il monaco strisciò fino alla parete di vetro. Il palmo della sua mano si posò su quella barriera trasparente.
« Vieni da me, amore. Rompila. »
« Sì, Linsey. »
Sei tu... ad avermi tradito.
Il monaco si alzò. Il grigiore della morte era sparito dai suoi occhi.
Colpì ancora e ancora e ancora, mentre Linsey lo supplicava di raggiungerlo, ripetendo come lo aveva sempre amato e di come lo aveva perdonato.
Quelle parole furono come fiamme nelle vene di Fray, che non distingueva più tra amore e rabbia. Così colpì ancora e ancora, finché...
crash. Il vetro si infranse in un milione di frammenti,
e sotto a quella pioggia scintillante i due amanti si sarebbero riuniti.
Sì. Così era stato predetto.

Energia: 70% / 100% (-30%)
Fisico: 100%
Mente: 100%
Equipaggiamento: mani e gambe dure come il ferro (armi naturali)
CS: 0

Tecniche Passive
Il suo spirito: l'anima di Fray è stato temprata da un rigido allenamento fisico e psicologico, che lo ha portato ad essere in contatto con l'ambiente circostante, potendone capire gli squilibri. Questa capacità, un sesto senso denominato auspex, permette di percepire e vedere l'aura degli esseri viventi attorno a sé. (Amuleto dell'auspex) (Utilizzi: 5/6)
Tecniche attive
(6/25) (Costo medio energetico) (Natura fisica) - Colpo della mantide: una tecnica base, nella quale l'utilizzatore rinforza una parte del suo corpo attraverso uno sforzo spirituale, in modo da conferire al prossimo attacco portato con esso una potenza media. Ferisce il corpo.
(8/25) (Costo alto energetico) (Natura fisica) - Colpo della tigre: una tecnica base, nella quale l'utilizzatore rinforza una parte del suo corpo attraverso uno sforzo spirituale, in modo da conferire al prossimo attacco portato con esso una potenza alta. Ferisce il corpo.
Riassunto azioni: Fray decide di infrangere il vetro che lo separa dalla sua amata usando le due tecniche sopracitate. Avvantaggiandosi delle sue armi naturali infligge danni medi al vetro via attacchi fisici, risparmiando qualche energia.
Mi scuso per il post molto sotto tono, cercherò di rifarmi nei prossimi turni.
 
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view post Posted on 25/9/2015, 13:44
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« Com'è potuto succedere? »
I gradini di pietra si alternavano sempre uguali, uno dopo l'altro. Il dottore piazzava la pianta del piede destro di traverso e si dava la spinta per muovere il ginocchio sinistro, barcollando alquanto. Si sforzava di essere veloce, benché il fisico non gli fosse di sufficiente prestanza per assecondare quella sua ansiosa fretta. Nel mentre si grattava nervosamente la barba incolta, agitando il bianco camice come un rovinato mantello.
I suoi occhi tremavano, barcamenandosi tra una ostentata sicurezza ormai sfumata e un grigiore opaco e tenebroso, stendando di una preoccupazione velata su quanto di più ameno potesse celarsi al di sotto di quei piani bui.
Al suo fianco, le creature bardate di stoffa bianca a malapena sembravano ascoltarlo. Annuivano e si sforzavano di stare al suo passo: o meglio, si sforzavano di non passargli oltre.
Erano vuote, apparentemente inique entro quella frenesia nervosa. Sembravano asettiche alla situazione, benché il dottore si preoccupasse ripetutamente di coinvolgerle nella sua apprensione.

« Inspiegabile » disse quella alla sua destra, sopravanzandolo di poco.
« Diverso » aggiunse l'altra, fissando diritto dinanzi a se. « Diverso da tutti gli altri. »
Il dottore si morse il labbro con violenza, mentre gli occhialetti da lettura sul naso adunco si bagnavano del sudore dei suoi capelli posticci.
« Vi avevo detto di prestare attenzione... » ribadì, tra i denti « vi avevo pregati di stare attenti! »

Diverso
Inspiegabile
Creatura
Emergenza

Continuavano a balbettare i due ai lati. Tra le bende strette si intravedevano solo occhi bianchi, privi di pupille.
E buio. Soltanto buio.

« Ah, al diavolo » aggiunse il dottore, con un gesto di stizza. « Certe cose è meglio farsele da soli »
Il loro cammino terminò alla fine di un lungo corridoio, scavato nella roccia. Le pareti erano strisciate di rabbia, cadenzate da vagiti di corruzione e urla strozzate. Sembravano quasi parlare e ribellarsi contro il trio, provando a invadergli l'animo fino a farlo soffocare. Invano, però.
Il dottore aveva occhi solo per la porta alla fine del corridoio. Una porta di ferro massiccio, con una piccola inferriata ad altezza d'uomo. Oltre di essa, non v'erano luci, né suoni. Il silenzio dominava l'ultimo livello del Fosso; perfino gli ospiti sembravano aver smesso di urlare, al suo arrivo.
« Aprite! » Urlò il dottore, tenendosi gli occhialetti con una mano.
Il labbro mordicchiato e tremulo, giocava nervosamente con i pochi denti rimasti nella bocca, trasudando ansia a ogni secondo.
Il dottore si guardava intorno, cercando consensi e sicurezze oltre quell'inferriata solida. Avrebbe voluto vederla ricolma di urla e sofferenza. Illuminata sui lamenti e le passioni, di modo da poterne accentuare la sofferenza e scrutarne la dimensione.
Invece v'era solo buio. Buio e silenzio.

« Aprite ho detto...! » Chiamò nuovamente, con un acuto più accentuato, che parve sfociare quasi in un lamento.
Al secondo richiamo qualcosa si mise in moto. Un rumore metallico prese il sopravvento sul silenzio atavico e una catena parve trascinarsi entro dei solchi laterali, scavati nei muri.
Dopo qualche istante, la porta cigolò rumorosamente, scomparendo entro la parete.
« P-per tutti i diavoli » commentò il dottore, con un debole sollievo « finalmente. »
Disse e fece qualche passo entro la stanza.

L'ultimo livello era un gigantesco salone circolare. Al suo interno v'erano sedie sparse, catene, legacci e - per lo più - chiazze di sangue, chiamate a raccolta dalla puzza insostenibile di budella, sudore e morte.
Attorno al salone, poi, si ergevano, su di un piano rialzato, decine di inferriate, non dissimili a quella da cui era appena entrato il dottore. Come lui sapeva bene, oltre di esse vi erano i prigionieri più illustri del fosso, che si scindevano entro i propri peccati, nel modo in cui la loro stessa coscienza aveva deciso di punirli. V'erano richiami, flebili lamenti e isolate urla.
Il dottore le passò in rassegna rapidamente, come se temesse di scoprire qualcosa di terribile.
Sulle grate, erano indicati i nomi che aveva dato ai suoi ospiti.

Piccola imbecille
Nobilotto incravattato
Puttanella cieca
Eremita calvo


Quando poi giunse alla porta centrale, quasi trattenne il respiro. I suoi occhi passarono in rassegna ogni dettaglio della stessa, passando dai cardini staccati da muro, alla lastra di metallo parzialmente piegata. Su di essa, troneggiava ancora il nome del suo ospite, ovvero di colui che doveva esservi un tempo rinchiuso e che ora, evidentemente, non lo era più.

Teslat

« Cercavi me, doctor? »
Il suo sguardo si spostò poco più in su, oltre una grossa balaustra. Rabbrividì quando vide i suoi occhi rossicci che ridevano verso di lui. Il torso era completamente nudo, disegnato di infiniti ghirigori di sangue, che discendevano verso le gambe e sulle braccia come infiniti filamenti di odio. Perfino i suoi capelli ne erano impregnati, insieme al sudore e al calore che li rendevano fradici e appiccicati al volto. Tutto quello, però, contrastava con la sua espressione: sorridente e quasi serafica.
Solo in quel momento il dottore li vide. Erano distesi ai margini della stanza, nascosti nell'ombra alla quale i loro occhi faticosamente ormai si abituavano. Erano servitori bardati di bianco, occhi vuoti e pelle scura, non dissimili dai due che si era portato dietro.
Ma erano morti. Gli occhi bianchi erano più vuoti del solito, fissando punti imprecisi del soffitto. Le gole, invece, lacerate alla base e riverse in un liquame pastoso di colore violaceo, che traboccava dalle membra al posto del sangue.
Alla loro vista, i due servitori ancora vivi palesarono qualche parvenza di emozione - di paura, indietreggiando piano. Il dottore, invece, si limitò a mandar giù un grosso grumo di saliva.
« T-tu... c-come...? » Balbettò, come se avesse appena visto un fantasma « ...c-come puoi essere... cosciente? »
Teslat carezzò la balaustra, ostendando tranquilità. « I tuoi trucchi non funzionano con me. »
Poi si passò una mano sulla grossa ferita aperta sul petto, bagnandosela di rosso sangue. « Il dolore... » asserì, con un filo di eccitazione « ...il dolore mi tiene sveglio. »
Il dottore fece un passo indietro. Poi un secondo e un terzo. Provò a passare nuovamente dalla porta di ingresso, quasi con circospezione. Teslat, però, lo anticipò; toccò una catena di fianco a se e vide la porta metallica chiudersi alle spalle dell'uomo e dei suoi sgherri.
« No dottore, non andartene » commentò, divertito « abbiamo tante cose da dirci. »

Il dottore ricadde quasi sulle sue deboli ginocchia, disperato. « A-aspetta, ti prego... »
Teslat lo fissava con una espressione a metà tra il divertito e il disgustato. Si voltò, scrutando la stanza intorno a se. Vide decine di tubi di cristallo scivolare giù dal soffitto e dirigersi verso e decine di celle intorno alla stanza. Le studiò con attenzione e, poi, si limitò a commentare con un ampio sorriso.
« Di un po' dottore » aggiunse, sorridendo ancora « non credi che questo posto sia alquanto... vuoto? »
Sorrise nuovamente. « Ti va un poco di... compagnia? »
Si girò, poggiando le mani sui tubi di cristallo.
« No... NO! » Urlò il dottore, con tono disperato. « Non farlo! »
Teslat non gli diede ascolto e, con un rapido pugno, colpì uno a uno tutti i tubi, che iniziarono a creparsi sotto gli occhi sgomenti del dottore.


CITAZIONE
QM Point
Un piccolo record, credo. Causa mia partenza repentina per viaggio di lavoro, ho scritto quasi tutto il post dall'ipad. Questo significa che potrebbe non essere eccellente, ma...meh.
Comunque, andiamo avanti. L'effetto dell'azione di teslat si ripercuote sulle vostre "visioni". Semplicemente, la realtà attorno a voi inizia a distorcersi. Gli sfondi che vedete o percepite si trasformano pian piano in quelli di fredde celle del fosso. Le "persone", allo stesso modo, diventano creature dalla pelle nera, occhi bianchi vuoti e lunghe braccia artigliate. Vi ricordano qualcuno? Sono praticamente copie di Belphegor, il vecchio guardiano del bianco maniero / cuore di marmo. Chi se lo ricorda può citarlo nel post; chi no può informarsi facendo una ricerca sul forum (non posso mettervi link -> Ipad, u know). Non siete comunque obbligati a questa cosa.
Chiunque di voi possieda una passiva / tecnica per riconoscere le illusioni può rendersi conto di essere in una cella. Chi abbia tecniche di rivelazione può azzerare del tutto (e subito) l'effetto. Tutti gli altri vedranno l'illusione sparire gradualmente ma subendo un danno medio alla mente da pazzia.
Inoltre, avrete la possibilità di fuggire dalla cella, evitando l'azione dei guardiani che vi hanno ingannato fino a un minuto prima, che ovviamente proveranno a bloccarvi per non farvi fuggire (gestite la cosa come un mini autoconclusivo di un turno solo.) Chi aveva più persone accanto a se, può far apparire più guardiani, a vostra scelta.
Per il resto, due slot come sempre. La porta si abbatte per un danno alto totale. Non recuperate ancora oggetti per ora, ma accanto a voi c'é sedia e un letto da usare come eventuali armi.

Tempi di risposta: giovedì 1 ottobre.
 
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view post Posted on 29/9/2015, 21:20
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♥ Non piangere Nishimiya sai poco fa ti ho parlato in un sogno, mi sembrava di aver rinunciato a molte cose, ma non è così. Ho sempre pensato come te Nishimiya...♥
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Castello di carte - Il profumo della follia -
Le energie la stavano lentamente abbandonando e mentre fissava negli occhi quella persona che ancora sembrava indecisa sul da farsi, sentì una serie di piccole goccioline di sudore che scendevano lungo l’incavo del suo collo. Sapeva che sarebbe durata poco e che le mani, ormai grondanti di sangue, non intendevano più sostenere tutto il peso del suo corpo.

«Perché mi fate questo? Perché non mi aiutate?»


Chiese la ragazzina anche se non aveva più intenzione di implorare eppure quelle parole lasciarono le sue labbra quasi come se avessero vita propria. Sentiva ancora un po’ del suo spirito di sopravvivenza che si dibatteva dentro di lei insieme a Lilith per spingerla a resistere, per continuarla a rimanere forte nel suo spirito ma le ferite del corpo iniziavano ad essere troppo profonde.
Vide quella persona accovacciarsi davanti alla sua voragine e fissarla per un lungo istante. Aveva gli occhi di un azzurro così chiaro che sfumava quasi nel bianco, come la neve fresca che spesso aveva coperto il luogo nel quale era nata e nel quale voleva tornare per ricominciare a vivere a modo suo.

«Perché dovrei farlo? Tu abbandoni chiunque non ti serva più. Tu non mi sei utile, quindi perché dovrei aiutarti? Credo ti lascerò morire piccola creatura egoista.»


La sua voce era calma, era calda e aveva la tonalità e le sfumature di tutte quelle voci che avevano sempre riempito i suoi incubi. Era la voce del singor Miketsukami, era la voce di sua moglie, la voce di Calvin che ancora si ricordava fin troppo bene…la voce di sua madre. Sembrava quasi cambiare in intermittenza diventando prima dell’uno poi dell’altra ma, alla fine, sorrise in maniera piuttosto sadica. Ririchiyo non ce la faceva più e i suoi occhi lucidi stavano ormai iniziando a lasciar scivolare piccole e calde lacrime cristalline che presero a vagare sul suo volto senza una vera e propria meta.

”Mi spiace Lilith, non ce la faccio più…sto per mollare.”


Mentre raggiungeva il demone per toccarlo con quel pensiero carico di tristezza e di infelicità, i suoi occhi ametista si chiusero su quel mondo, su quella persona che non aveva voluto aiutarla e su altre due che, in lontananza, sembravano aspettare il loro compagno.

"Non ci provare ragazzina, non ci pensare nemmeno altrimenti io…"


Il demone non riuscì a finire la frase e Ririchiyo non riuscì mai a scoprire quale tremenda minaccia le era stata lanciata perché le sue mani, ormai completamente stremate e sporche di sangue caldo, cedettero lasciando la presa e quindi permettendo alla giovane di cadere nel vuoto. Sentiva lo stomaco chiuso, esattamente come quando si cade da molto in alto, eppure attorno a sé non sentiva l’aria fischiare, il buio l’aveva ghermita ma, lentamente, la sua caduta nel vuoto sembrò rallentare fino a darle il colpo di grazia.

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La sensazione che ebbe fu esattamente come quella che rimane quando uno sogna di cadere e si risveglia nel letto. Le sembrò quasi di ridestarsi da quello che era un sogno mentre, intorno a lei, il buio del pozzo, svaniva lentamente. Aveva il fiatone e gli occhi erano spalancati mentre il suo cuore martellava all’impazzata nel suo petto minacciandola di squarciarlo e di poter finalmente fuggire altrove libero dalla maledizione della sua esistenza. Ancora scossa per quello che aveva visto e sentito alzò le mani per poterne fissare i palmi. Grosse chiazze rosse coprivano la sua candida pelle e profondi solchi attraversavano le sue mani esattamente dove era rimasta appesa all’orlo della voragine. Eppure, lentamente, molto lentamente, le chiazze presero a diminuire esattamente come i solchi purpurei, sentì ancora quella risata mista della tante voci che aveva sentito nella sua vita e che aveva in qualche modo tradito o abbandonato e, davanti a sé, vide ancora quei tre sconosciuti che avevano deciso di non aiutarla. L’avevano chiamata piccola egoista e, forse, avevano anche ragione.

”Non merito nulla….sono forse morta?”


"Smettila di dire sciocchezze….ad ogni modo non credo che siamo finite nelll’aldilà….io sono ancora qui."


Il suo peggiore incubo era ancora attaccata a lei, forse davvero non erano ancora morte. In fondo dove finiscono i demoni? Da quando aveva scoperto la sua duplice esistenza non si era mai posta la questione anche perché tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento era stato stravolto e non sapeva nemmeno più cosa fosse reale e cosa no.
Anche le figure di quelle tre persone lentamente sbiadirono e, intorno a lei, prese forma una cella mentre quelle persone presero delle strane sembianze, orribili, vuote, che le davano un senso di nausea e terrore.
Non riusciva più a capire nulla. Dove si trovava davvero? Perché non vi era più alcuna traccia delle sue ferite? E le sue armi? Stava forse impazzendo?

"Non sarebbe una novità sapere che tu sei pazza ma io....io no e sono confusa tanto quanto te."


image
Lilith era solita essere così dura ma questo non alleviò nemmeno un po’ lo spirito di Ririchiyo che si portò quelle mani miracolosamente guarite alle orecchie, quasi a voler tenere lontana la verità qualsiasi essa fosse e cercare di sprofondare nel punto esatto dove si trovava. Era confusa e non sapeva cosa fare, come doveva muoversi?
Quasi si stava dimenticando delle figure che aveva davanti e che la riportarono alla realtà borbottando qualcosa che lei non riuscì a capire ma che le fece alzare lo sguardo terrorizzato su di loro. Non era difficile capire cosa stava accadendo ma ormai lei non sapeva più a cosa credere e cosa fosse reale quindi rimase ferma prima di vedere queste tre cercare di attaccarla con una serie di pugni. Lei li guardò, li osservò mentre si avvicinavano velocemente verso di lei e il suo corpo sembrava non voler reagire.

"Muoviti! Combatti, stupida ragazzina!"


L’urlo del demone dentro la sua anima sembrò risvegliarla da quel torpore e non perse nemmeno un attimo. Attinse al grande potere di Lilith e, mentre i suoi occhi iniziavano ad illuminarsi come due piccoli fari, i movimenti di quei tre cominciavano ad essere decisamente più chiari, come fotogrammi di una sequenza. Vide il primo pugno arrivare verso il suo volto e, senza ulteriori indugi, si abbassò cercando di superarlo.

"Vai verso la porta…dobbiamo assolutamente uscire di qui."


porta? In effetti solo in quel momento riuscì a realizzare davvero che si trovava in una cella e, proprio davanti a lei, vide la pesante lastra di ferro, suo unico punto di fuga. Doveva arrivarci ma per farlo doveva ancora superare quelle tre spine…anzi due. Vide un calcio diretto ai suoi piedi per provare a fermare quella sua avanzata e Ririchiyo saltò via dal posto per superare quell’ennesimo ostacolo e trovarsi davanti il terzo che la fissò per un attimo con il suo sguardo vuoto preparandosi a tirarle un pugno diretto nello stomaco. Stava per colpirla, ormai era a pochi centimetri e, proprio all’ultimo momento, la ragazzina girò su sé stessa scartando il suo avversario sulla destra. La porta era proprio davanti a lei, mancava solo un colpo e non doveva permettersi di rallentare, doveva approfittare di quella forza donata dall’energia oscura del demone per poter andare avanti. Tese le mani davanti a sé, quasi a creare un arco fatto di energie oscure fra le sue mani e una freccia si materializzò e, alla fine, la scagliò contro la porta. Un’esplosione colpì quella lastra di ferro e i pezzetti che volarono in giro la colpirono facendola cadere a terra e provocandole qualche escoriazione, vera probabilmente perché il dolore era fin troppo forte perché potesse essere ancora una cosa falsa. Certo, quello che aveva sentito sembrava essere vero ma non lo era come in quel momento, non lo era come i pezzetti di ferro che colpivano la sua pelle tagliandola. Si ritrovò a terra, sdraiata sulla pancia in quella cella e, quando alzò la testa con fatica, trovò il passaggio libero, poteva andarsene da quel posto e poteva farlo immediatamente. Si rialzò cercando di fuggire fuori senza curarsi minimamente delle tre creature che erano in cella con lei e stando attenta ad eventuali nemici che avrebbe potuto trovare sul suo tragitto.


CITAZIONE

RIRICHIYO


Basso: 5% - Medio: 10% - Alto: 20% - Critico: 40%


»Stato fisico: Indenne
»Stato mentale: Indenne
    -Medio da pazzia
»Sinossi: Egoista, indipendente e irascibile; coriacea, corna e occhi viola
»Energia:
    Energia 95/125 %


    Mente 105/125%


    Corpo 50/50 %



»Equipaggiamento:
    -Arco
    -Naginata
    -Armatura naturale

»Oggetti:
    -Cristallo del talento
    -Amuleto lunare

»Talenti:
    -Affascinare 1/6
    -Maledire 0/6
    -Focalizzare 0/6
    -Trasmissione 0/6

Tecniche
[スピード] “Supiido”:
    »Ne corso degli anni di caccia Ririchiyo ha imparato a muoversi sempre più veloce e ora, con anche l’aiuto del demone, i suoi movimenti sono più fluidi e più leggiadri riuscendo a schivare senza alcun problema gli attacchi dei nemici ed ha natura fisica.«
    Consumo di energia: Alto Energia

[爆発] “Bakuhatsu”
    »Ogni volta che usa il suo arco, Ririchiyo è in grado di imprimere nella sua freccia il potere del demone che è in grado di condividere con Lilith, aumentando così il suo potere e facendo esplodere l’obiettivo; se invece la utilizza in forma di demone Lilith non avrà alcun bisogno di utilizzare armi vere e proprie ma si creerà una lancia col suo potere demoniaco ed è di natura magica.
    Se il colpo va a segno, in entrambi i casi, causerà un danno alto al singolo bersaglio e sarà sempre riconoscibile come “fonte” del danno. Se portata a segno causa un alto al corpo.«
    consumo: medio energia, medio mente



Specchietto riassuntivo
Utilizza la sua variabile Supiido per superare le tre guardie, è stato messo come alto dal momento che lo usa per tutti e tre ma non li attacca perché per lei, in quel momento, non sussiste alcun motivo per far loro del male, alla fine utilizza Bakuhatsu sulla porta per farla esplodere e poter finalmente uscire.





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view post Posted on 30/9/2015, 19:52

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Cedere è facile ...

« SpEzZaLi. DiStRuGgIlI. FaLlI sOfFrIrE. »
Nera come il catrame quella parte del suo cuore si risvegliava. Ribolliva, si agitava come una cosa dotata di vita propria quella voce raschiante come ferro che gratta sulla pietra. I suoi occhi si erano chiusi, per non vederli ridere, per non vedere lei troneggiante e bellissima infliggergli l’ennesima umiliazione.
Non appena le palpebre avevano fatto calare il sipario sul mondo Lei aveva iniziato a parlargli …. Non aveva bisogno di assumere una forma specifica, le era sufficiente manifestarsi come pura oscurità ribollente. Avanzava, divorando ogni spazio, ogni singola fibra della sua coscienza. Era piacevole abbandonarsi ad essa. Erein la conosceva, la conosceva fin troppo bene …
Quante volte vi aveva fatto ricorso? Quante volte invocandola era riuscito a rispedirla nei meandri più profondi del suo essere? Ma quella volta non aveva opposto resistenza, aveva lasciato che l’Oscurità vincesse. Una vittoria netta, totale.
Che senso aveva combattere? Che senso aveva affidarsi a cose effimere come l’amore, il rispetto, l’onore?
Ne aveva avuto la prova: l’amore è una debolezza. Si era illuso che potesse essere il suo ultimo appiglio a ciò che rimaneva di umano in lui e invece … L’unico risultato ottenuto era quello di aver abbassato la guardia, di diventare vulnerabile, fragile.
« HaI vIsTo CoM’è StAtO fAcIlE sPeZzaRtI? LaScIa ChE sIa Io A dEcIdErE ... AbBaNdOnAtI … VeDrAi … E’ cOsì DoLcE …»
Era dolce davvero … L’oscurità aveva un gusto inizialmente amaro, quasi intollerabile. Ma dopo il primo assaggio … Farne a meno diventava così difficile!
Intanto le risate intorno a lui aumentavano. Quella di Ryellia Lancaster le superava tutte.
«PoSsO FaRlI sMeTtErE. LaScIa FaRe A mE.»
«No! »
Non poteva permetterlo. Certo sarebbe stato più facile ma no, non si sarebbe piegato. Non poteva cedere, non poteva perdere tutto. Lasciare che lei prendesse il controllo voleva dire cessare di esistere. Non sarebbe accaduto, non ora che era così vicino a compiere il suo Fato. Non adesso che aveva tutti gli strumenti per prendersi ciò che il destino - o qualsiasi altra entità avesse fatto quella scelta per lui – aveva accuratamente preparato e custodito per anni.
Nero doveva essere il suo cuore. Quasi del tutto pervaso dal Suo potere. Eppure fu sufficiente sillabare quel diniego per farla retrocedere e ritornare al posto che le spettava. Un giorno, forse, se avesse fallito i Tre che si contendevano il suo cuore avrebbero avuto ciò che desideravano. Forse a prevalere sarebbe stata proprio Lei … Ma quel giorno non era ancora arrivato.
Non aveva bisogno del suo potere per spazzare via quella feccia. Deboli, patetici umani. Gonfi d’orgoglio, ciechi nella loro arroganza. Cosa sarebbero stati tra dieci, venti, cento anni ? Polvere. Solo polvere.
Aprì gli occhi e si alzò. Nudo e sporco, con i segni delle catene a deturpargli la carne dei polsi e delle caviglie era pur sempre più regale e nobile di tutta quella massa di porcari vestiti di sete.
Lei, Ryellia gli si parava dinnanzi. Il sorriso sprezzante sulle labbra.
«Tu, amore mio, avevi il mio cuore e l’hai spezzato ... » - le disse. Nella sua voce non c’era più traccia di dolore. L’ardore della rabbia e dell’orgoglio avevano cauterizzato quella ferita. - «... pessima mossa. Ora io spezzerò voi. »
Lei lo osservò per un attimo per niente intimorita. Poi gettò la desta all’indietro e lasciò che la sua gola partorisse l’ennesima risata. La lasciò fare … Presto non avrebbe avuto molto di cui ridere.
Erein distese lentamente il braccio. Sentì il potere scorrergli lungo l’arto, arrivare alle dita facendole formicolare piacevolmente.
La figura che aveva amato si distorse. La risata calda, piena si fece un gorgoglio inumano.
C’era qualcosa non andava … Improvvisamente la stanza prese a tremare. Era come se la realtà che lo circondava fosse percossa da un terremoto. Il mondo sembrava uno specchio che qualcuno stava per mandare frantumi.
Agì prima di pensare alle conseguenze. Deviò l’energia telecinetica che pervadeva il suo braccio verso un letto apparso chissà quando alle sue spalle. Il pezzo di mobilio sfreccio verso la figura antropomorfa che, decisamente, non assomigliava più a Ryellia mandandola a sbattere contro un muro in un’esplosione di schegge. Anche la stanza intorno a lui aveva cambiato aspetto e la corte di Pari che lo circondava insieme ad essa. Simili ad ombre umanoidi alte e nere, dotate di lunghi artigli i Guardiani di quel luogo iniziarono a sciamargli intorno.
«Chi siete? Dove sono? Cosa volete? INDIETRO! »
Ordini a cui, prevedibilmente, le inquietanti figure risposero con ulteriori risate. Erein non sapeva se sentirsi rasserenato o perduto … L’aspetto positivo della faccenda era che quelli non erano i Pari e – cosa più importante – che quella figura crudele che l’aveva ferito ed umiliato non era Ryellia.
D’improvviso, quella constatazione gli fece perdere qualsiasi controllo o prudenza. Come avevano osato utilizzare lei? Come avevano potuto?
La cella iniziò a tremare… Una crepa si allargò sul pavimento partendo da Erein e risalendo rapidamente le pareti. Dal soffitto iniziarono a piovere le pietre e rocce che lo ricoprivano mentre i nemici – o presunti tali – crollavano a terra incapaci di reggersi in piedi. Con uno schianto la porta che lo teneva prigioniero si abbatté a terra. Erein seppe di dover fare una scelta: vendicarsi o fuggire …
L’istinto di sopravvivenza, ancora una volta, ebbe la meglio.



CITAZIONE

D7g4Hgy
[size=2]
Critico 40| Alto 20 | Medio 10 | Basso 5



Fisico:75%
Mente: 65%. (danno medio provocato dalla scomparsa dell’illusione)
Energia: 130 – 20 = 110%%
Passive in Uso:
La Magia Sopravvive ~ Bisogna smentire la ridicola credenza secondo cui la magia può essere distrutta.
La magia non muore, non si distrugge, non può essere eliminata mai ! La magia sopravvive, si trasforma, si adatta e attende il momento giusto per manifestarsi in forme diverse. Non è un paradosso inspiegabile ma semplice e basilare sfruttamento dei residui di precedenti incantesimi e sortilegi ormai estinti o consumati. Il mago lascia che i residui dei suoi incantesimi sopravvivano, perdurino come un aura passiva che potenzia gli incantesimi che solitamente necessiterebbero di uno sforzo non proporzionato al risultato.
Incantesimi, maledizioni, sortilegi che coinvolgono ampie aree d’azione o numerosi soggetti possono risultare, infatti molto meno potenti della loro variante “ limitata”. Per ovviare a questo inconveniente lo stregone può colmare la differenza tra sforzo e risultato aggiungendo la magia residua che lo circonda a quest’ultimo, compensando in questo modo il difetto per così dire congenito di queste tipologie di incantesimi.
[ Passiva personale che parifica consumi e danni per le tecniche offensive ad area (6 usi) 2/25]


Attive:


Furia di T’al~ I Primogeniti narrano che il Creatore, T’al, se adirato sia latore di una furia incontrollata e distruttiva. La violenza della sua ira è tale da scuotere le fondamenta stesse della terra, provocando terremoti, cataclismi e altri disastri naturali. Si narra che in un tempo distante i discepoli del suo culto viaggiassero di terra in terra evangelizzando le folle con sermoni e dimostrazioni di potere senza pari. Un giorno questi ferventi fedeli del Creatore giunsero in una terra il cui Re aveva osato raggiungere l’immortalità. Tale condizione offendeva il credo di T’al più di ogni altro peccato commesso dagli uomini. Poiché la rabbia del Creatore è tremenda a vedersi ma non giunge mai prima che il destinatario della stessa sia ammonito circa le conseguenze della sua condotta, i sacerdoti elfici chiesero al Re di rinunciare a quello che consideravano un abominio e una stortura della creazione. Questi, ovviamente, rifiutò e li sfidò a dimostrare la grandezza del loro dio tentando di ucciderlo. I sacerdoti sapevano che non esisteva magia, arma o stratagemma che potesse spegnere la vita del profano; solo il Re infatti poteva rinunciare al dono di una eterna vita, fu così che i sacerdoti ordirono un ingegnoso tranello.
Nottetempo si radunarono intorno alla sua reggia e scatenarono un terremoto che fece sprofondare la dimora nelle voragini infuocate che il ventre della terra ospita. Non potendo morire il Re era costretto a patire le pene derivanti dalla permanente immersione nella roccia fusa. Fu allora che i discepoli di T’al chiesero per la seconda volta al Re se volesse rinunciare all’immortalità e questi finalmente accettò.
Il Re morì e la volontà del Creatore venne rispettata. Da allora gli Elfi si tramandano questa storia, memori che non esiste altra vita se non quella che T’al assegna. Ma anche la memoria del sortilegio usato da quei devoti non si perse, fu trasfusa nei libri di magia rituale e imparata da coloro che erano così saldi nella loro fede da riuscire a tollerare il peso di una tale furia nel loro cuore.
[E' una tecnica ad area di natura magica, elemento terra. Il caster poggia una mano sul terreno e genera attorno a sé un vero e proprio terremoto capace di scuotere il campo di battaglia da cima a fondo a 360°. Le piante verranno in questo modo sradicate, i pendii potranno franare e le costruzioni in precaria condizione di stabilità crolleranno. Attorno al caster rimarrà disinteressata dalla tecnica una piccola area di terreno, così che lui non sia colpito dalla sua stessa tecnica. Mantenere l'equilibrio in queste condizioni sarà impossibile salvo facendo uso di difese fisiche di potenza Media o superiore. Questo terremoto può essere generato su qualsiasi tipo di terreno. La tecnica causa danni Medi ai personaggi coinvolti, e non può essere utilizzata come difesa. Consumo Alto. Danneggia il fisico. Personale 9/25. ]
Note: Ho voluto interpretare la follia “sfruttando” lo spunto fornito dall’artefatto Cuore di Cristallo. In pratica, Erein sta per abbandonarsi alla furia distruttrice rappresentata da Rhelia. Sto sperimentando, spero che l’effetto risulti piacevole.



 
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Era avvolta nel suo bozzolo di tenebre, che lentamente si scioglieva sopra di lei come un guscio inutile. Era prigioniera di un'oscurità che non poteva scacciare, eppure qualcosa stava cambiando. Come nel mezzo di una notte nera in cui improvvisamente il vento soffi via le nuvole, così piccoli segnali di novità si accendevano nell'uniformità attorno a lei. Nulla che potesse veramente vedere, non lei. Nulla che potesse toccare, con le mani raccolte sotto il petto. O odorare, con il naso tappato perfino al respiro.
Giaceva in posizione fetale, tremante, ma la consapevolezza riusciva comunque a fare breccia nelle sue difese. Come un getto d'acqua bollente nel mezzo di un cumulo di neve, così riusciva a sciogliere il terrore che fino a quell'istante l'aveva paralizzata.
Le due dita sfiorarono un pavimento che era solamente nuda pietra, erosa dal tempo e dal dolore dei suoi occupanti. Pietra ricoperta da un sottile strato di sabbia, ruvido sotto i polpastrelli, concreto come e quindi immediatamente rassicurante.
Le sue orecchie ascoltarono le voci che si erano fatte più vicine, sul suo corpo risuonarono i tocchi dei suoi molestatori, come note di una melodia che l'esecutore abbia sbagliato involontariamente. Qualcosa non andava in quei suoni striduli, ormai poco più che inarticolati. Non erano voci di bambini, sottili e terribili. E nemmeno voci di uomini e donne, derisorie. Erano mugolii distorti, pallida imitazione di una voce. Qualunque creatura li avesse emessi, doveva essere derelitta e abbandonata quanto lei.
Si sollevò lentamente, mentre percepiva l'inganno che la circondava come una cappa che le fosse stata gettata addosso. Lentamente le sarebbe scivolato via, perché ora lei sapeva di esservi immersa. Sapeva di esserne preda così come lo erano i suoi persecutori. Quello doveva essere il loro minuscolo universo, un mondo in cui potevano ambire ad essere potenti, pericolosi, vivi. Un mondo destinato a rinchiudere quelli come lei, a far perdere loro speranza, a rendere grandi gli infimi e ad abbassare i potenti. Anche lei avrebbe voluto farne parte, provare per una sola volta la loro sensazione di trionfo.
Allungò una mano, sfiorando uno dei loro corpi, che ora non sembravano più così distanti e inafferrabili. La creatura si ritrasse, interdetta, e Ainwen sentì una lieve nausea impossessarsi di lei. Barcollò, mentre cercava di rialzarsi in piedi, di orientarsi. Tese una mano, scoprendo che i muri non erano poi così distanti. Che la stanza non era poi così grande.
Le sue dita si aggrapparono alle pietre squadrate, coperte di muffa, che erano divenute la sua guida. Prima o poi, ne era certa, avrebbe trovato una porta per sfuggire a quell'incubo. Sentiva un pulsare sordo dietro le ginocchia, e un nodo alla gola. Era la sofferenza perché si era lasciata ingannare, l'imbarazzo di essere nuda, l'impulso inestinguibile ad andarsene al più presto, salvarsi finché ne aveva ancora la forza.
Mosse un primo passo incerto, sicura che le mani l'avrebbero spinta ancora, che le voci le avrebbero soffiato all'orecchio. La nausea le faceva girare la testa, rendendole difficile mantenere l'orientamento in quel mondo oscuro che la stringeva a sé. Eppure continuò a camminare, lasciando che fossero le sue percezioni a guidarla mentre il mondo attorno a lei si faceva via via più nitido.
Si illuse che forse l'avrebbero lasciata andare. Forse allo scemare dell'illusione, anche il potere dei suoi carcerieri stava sparendo.
Ma pochi secondi dopo, già uno l'aveva afferrata per il polso e strattonata all'indietro. Con un gemito perse l'equilibrio, finendo tre braccia di un'altra creatura. Non aveva mani, ma artigli, non aveva labbra con cui intimarle la resa. Il suo corpo era liscio e quasi viscoso, della stessa consistenza del terreno limaccioso di una palude. Scalciò, tentando di liberarsi, ma per tutta risposta ottenne di essere gettata nuovamente a terra. Nuovamente senza una direzione.
Allungò la mano, le sue dita incontrarono un ostacolo abbastanza sottile da essere impugnato. Riconobbe immediatamente le gambe di una sedia, ravvicinate e inchiodate senza decisione. Le afferrò saldamente con entrambe le mani, mentre una delle creature si chinava ad afferrarla per le caviglie. Odiava quel tocco appena sperimentato, le metteva i brividi. Le faceva perdere la speranza. Non voleva provarlo mai più.
Con tutta la forza che aveva, gettò la sedia sull'essere che la tratteneva. Un suono metallico ruppe il silenzio. Pensò che fosse un grido, ma quando lo udì proseguire, farsi più ritmico, capì con un brivido che si trattava di una risata. Che era troppo debole per loro. Che erano sempre più vicini anche se non udiva il loro respiro.
Perchè non avevano respiro.
Ma avevano quegli artigli che le avrebbero conficcato nella pelle senza pensarci due volte. Di nuovo l'adrenalina le accelerò i battiti del cuore e il respiro. Doveva liberarsi ad ogni costo. Non voleva rimanere lì dentro per sempre, non voleva finire la propria vita in quella cella, cieca, senza poter nemmeno guardare in faccia il proprio destino. Non voleva diventare come loro, poco più che un incubo, costretta a fingere di vivere ancora.
Si sporse all'indietro, afferrando il suo assalitore per un polso. Quello la scostò, ma lei sapeva che non si era allontanato, che stava richiamando i suoi compagni. Levò una mano, ascoltando il loro strascicarsi soffocato, i loro piccoli gemiti ansimanti. Come animali affamati che abbiano odorato un compagno ferito.
Le sue dita si distesero ad ombrello sopra di loro. Le creature emisero un gemito acuto, tutte insieme. Non erano preparate, naturalmente. Non lo erano mai, di fronte a lei. Ma la lotta per la sopravvivenza non era una loro prerogativa. Sentiva l'ansia moltiplicarle le forze, mentre il suo unico pensiero fisso era l'uscita. Si levò in piedi, liberandosi dalla presa che la stringeva. Non poteva vedere, ma aveva tutto il tempo per scoprire la direzione giusta.
Fece qualche passo incerto, urtò la sedia che aveva lanciato. La rimise in piedi, usandola per puntellarsi. Di tanto in tanto sotto i piedi sentiva i loro corpi, i muscoli tesi nel tentativo di spezzare la sua maledizione. Digrignò i denti. Non avrebbe lasciato spazio a un loro contrattacco. Le sue mani continuarono a scivolare lungo il muro, cariche di aspettativa.
Le creature mugolavano, ma ormai non potevano più avvicinarsi e approfittare di lei. Ormai non avevano più alcun potere. Ogni tre passi muoveva la sedia un poco avanti. Rigorosamente ogni tre passi, come se fossero un mantra. Erano tre passi in meno verso l'uscita.
Le sue dita incontrarono del metallo, trattenne il fiato, mentre le sfuggiva un sorriso involontario. Avrebbe voluto gridare di gioia. La spinse con tutte le forze del braccio libero.
Chiusa.
Naturalmente. Ma non si sarebbe fermata. A quel punto era ovvio cosa avrebbe dovuto fare. Arretrò di mezzo passo. L'artiglio le scivolò lungo i fianchi, nella grottesca imitazione di un abbraccio. Il dolore esplose bruciante dietro le palpebre, linee rosse e roventi tra i suoi sensi tesi a cogliere la minima sensazione.
Girò su se stessa, i capelli candidi che le facevano ala. L'altro doveva essere davanti a lei, inspiegabilmente libero. Una complicazione imprevista. Si fece scudo con la sedia. Sapeva che lui era immobile davanti a lei, in attesa di cogliere una sua incertezza e approfittarne. Perché lei era.
Schifosamente.
Cieca. E non avrebbe in alcun modo potuto prevedere il suo gesto. Per quanto si sforzasse spasmodicamente di cogliere i minimi cambiamenti nell'aria, prima o poi si sarebbe distratta. Era quello che succedeva potendo contare su un senso di meno. Con la mano afferrò una delle gambe della sedia, una di quelle inchiodate senza alcuna energia, perché destinate a prigionieri incapaci di sollevarsi da terra. Con un gesto deciso la forzò.
Schegge di legno le penetrarono nel palmo, ma non riuscì a staccarla dal chiodo.
Dopo tutto lei non era una guerriera o un'eroina. Nel suo mondo le cose non erano epiche e scintillanti come nelle leggende. La creatura colse il suo disappunto, lanciandosi in avanti. Non ci pensò due volte, non ne avrebbe avuto tempo. Afferrò la gamba della sedia con entrambe le mani, ruotandola da sinistra a destra con tutta la propria forza. Sentì qualcosa spezzarsi, e questa volta un vero gemito di dolore. Gettò la sedia lontano, sperando di colpire qualcosa.
La porta era. ESATTAMENTE. Dietro di lei. O almeno questa era la sua unica speranza. Certa quasi quando il pavimento sotto i suoi piedi. O forse il soffitto, per quello che ne poteva sapere. Per una come lei sarebbe stato davvero molto sciocco soffermarsi sui dettagli. Tese una mano verso il punto alle proprie spalle che avrebbe dovuto rappresentare la sua salvezza. Dal palmo sanguinante proruppe un maglio d'oscurità, privo di qualsiasi forma.
Non ci doveva essere eleganza, nessuno l'avrebbe ammirata in ogni caso. Sentì un cigolio mentre i cardini si spezzavano. Un tonfo metallico. Non si preoccupò di controllare, né del fatto che presto i carcerieri avrebbero potuto seguirla. Si preoccupò solo di correre con le forze che aveva verso il rumore, verso la speranza che al di là qualcuno l'avrebbe aiutata. Qualcuno di morto, per donarle almeno un paio di occhi.
O vi fosse qualcuno di vivo. Per avere un paio di occhi. Dopo averlo ucciso.
Strinse i denti, le sue labbra si ridussero ad una linea pallida.
Nessuna.
Pietà.




Perchance to Dream

R. 125%.[Mente] 50%.[Corpo] 125%.[Energia]
*Proviene da un Occhio
B.[5%] M.[10%] A.[20%] C.[40%]



Energia. 125% - [(Altox1)] = 100%
Fisico. 50% - [(Medio x1) - (Basso x1)] = 35%
Mente. 125% - [(Medio x1) + (Alto x1 +Medio x1)] = 85%

.Passive.


Talento stratega - Ostinazione | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Intuito | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Mente Fredda | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Scetticismo | Numero di utilizzi: 6 --> 5
Passiva Personale 5/25: genera un'aura di disagio e inadeguatezza nei confronti di chi si trovi nel suo campo visivo | Numero di utilizzi: 6
Passiva Razziale umana | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Statiche | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Legate | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagini Fortificanti | Numero di utilizzi: 6
Passiva Personale 16/25, Visione attraverso gli occhi della bambola anche quando essa non è a contatto con Ainwen | 6 utilizzi
Passiva Personale 17/25, Auspex delle anime | 6 utilizzi
Collana Elfica | 6 utilizz


.Abilità Utilizzate.


Abilità Personale 7/25, Natura Psionica, Autodanno Mentale | Consumo: Alto --> Tecnica ad area che costringe tutti i nemici immobilizzati sul terreno e infligge loro un danno Basso all'energia

Abilità Personale 12/25, Natura Magica, Consumo Energetico, Dominio delle tenebre con effetto offensivo che danneggia l'energia | Consumo: Variabile --> Usato ad Alto sulla porta

.Riassunto.


- Ainwen individua la presenza dell'illusione con l'abilità "Scetticismo", ma non ha tecniche in grado di scioglierla, perciò subisce il danno Medio e cerca di cavarsela come può per trovare l'uscita. Diciamo che essere cieca non le è di particolare aiuto >_>
- I carcerieri/ombre la attaccano, cercando di trattenerla. In un primo momento si difende con la sedia, ma non è un personaggio particolarmente nerboruto, quindi riesce solo a destare la loro ilarità (ho voluto interpretare la debolezza fisica di Ainwen, ma potrebbe anche interpretarsi come l'utilizzo di CS da parte dei suoi avversari).
- Ainwen casta la personale 7/25, immobilizzando a terra le ombre che la attaccano. A questo punto, nel tempo a sua disposizione e usando come "guida" la sedia e la parete cerca di trovare una via d'uscita. Individua finalmente la porta, e si prepara ad abbatterla.
- A questo punto un'ombra, che è riuscita a sfuggire al suo attacco, la ferisce infliggendole un Basso al fisico. Ainwen cerca di difendersi strappando una gamba alla sedia per colpire il suo nemico, ma non ci riesce. Usa allora l'intera sedia, allontanando la creatura per il tempo che le serve.
- Con un colpo alto dell'abilità 12/25 sfonda la porta e cerca di uscire. Non vedendo non può sapere cosa la aspetta.

.Altro.


Asgradel è pieno di barriere architettoniche, bruti ç_ç

 
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view post Posted on 1/10/2015, 00:24
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what a thrill
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Perché mi hai lasciato da sola, Fray?
Perché mi hai lasciato da sola, Fray?
Perché mi hai lasciato da sola, Fray?
Perché mi hai lasciato da sola, Fray?
Perché mi hai lasciato da sola, Fray?

« Sei stato tu a tradirmi. »

Il vetro esplose sotto i colpi inarrestabili del monaco.
Come un automa, i movimenti di Fray si erano fatti rigidi, meccanici. I suoi pugni colpirono sempre lo stesso punto, finché l'intero muro non crollò. I frammenti si sparsero ovunque, conficcandosi nelle carni del monaco, infilandosi sotto le sue unghie e dentro ai suoi occhi, pungendogli la lingua. Ma nulla importava più. L'Immortale si gettò sulla sua amata, proteggendola mentre la pioggia di schegge luminose finiva di precipitare sulle loro teste. Fray sentiva il calore di lei tra le braccia, e Linsey ricambiava quel gesto affettuoso stringendo l'ormai esile corpo del suo amato con la stessa passione. Ma subito dopo, Linsey allontanava Fray e lo guardava dritto negli occhi, sorridendogli. Gli carezzava il barba incolta e i capelli neri che erano ricominciati a crescergli sul capo, e lui restava immobile ad aspettare altre parole di conforto, come se stesse attendendo un vero miracolo capace di cancellare tutta la sofferenza. La ragione era ormai persa, e Fray viveva nella sua illusione con tutta l'anima. Ma ecco che Linsey piegava leggermente il capo e sempre sorridendogli pronunciava quelle parole tanto temute, le uniche che avrebbero potuto distruggere di nuovo Fray:

« Svegliati ora, caro. »
cosa?

E così Fray si svegliava.
Si ritrovava di nuovo nella cella e ancora davanti a lui persisteva l'invincibile muro di cristallo. A questo punto Fray piangeva, inesorabilmente, per ore. Si rannicchiava negli angoli di quella scatola di metallo e stringendosi le ginocchia al petto annegava nei singhiozzi, cercando di spingere via quella realtà incomprensibile, odiosa, assurda, crudele, meschina. Ancora una volta smetteva di mangiare ed ancora una volta cedeva alla fame dopo giorni e giorni, se non settimane. Ancora una volta il carceriere apriva la porta e passava il vassoio al di sotto del muro, lasciando che il monaco -il cane- potesse mangiare. Quando ogni briciola di dignità svaniva dal monaco, anche i suoi ricordi iniziavano a vacillare. L'immagine di Linsey dietro al vetro diventava sempre più sbiadita e opaca, fino a che non spariva del tutto. A quel punto, precisa come la lancetta di un orologio, la donna si ripresentava, ed ancora una volta Fray distruggeva la barriera trasparente pur di riabbracciarla. Il calore di lei scaldava il suo cuore al punto giusto per infliggergli la massima sofferenza nel momento in cui sarebbe scomparsa, nel momento in cui lei pronunciava le fatidiche parole - Svegliati ora, caro.
E così Fray si svegliava.
Ogni volta, ed una volta ancora. Quel circolo avrebbe avuto fine solo in un modo: la morte. Ma Fray era immortale. Non poteva morire, indipendentemente da cosa fosse successo, era completamente impossibile. Ci furono variazioni, però. Come un pittore che nel replicare un ritratto cambia alcuni dettagli involontariamente, anche Fray si comportava diversamente con la sua dolce Linsey ogni volta che la vedeva. A volte decideva di non infrangere il muro. A volte infrangeva il muro, e violentava la donna. A volte tentava di ucciderla con delle schegge di vetro o con le sue stesse mani di ferro, a volte cercava di uccidere sé stesso -in vano. Ad ogni ciclo le pupille dell'immortale si rimpicciolivano fino a diventare due fessure senz'anima. Ad ogni ciclo il suo spirito veniva eroso, ancora e ancora e ancora e ancora e ancora.
Ma poi, improvvisamente, tutto cambiò.

« Svegliati ora, caro. »
Una sostanza nera e vischiosa toccò la pelle di Fray nei punti in cui avrebbe dovuto sfiorare la sua bella Linsey. Invece del calore di lei, il monaco trovò solamente gelo, come se stesse accarezzando un blocco di ghiaccio. In quell'istante la voce di Linsey si face distorta e la sua figura mutò velocemente in quella di un mostro, più simile ad ombra che uomo, le cui braccia erano strette attorno al corpo di Fray come gli artigli di una lince sono stretti attorno al collo della sua preda. L'essere nero si distanziò dunque da quell'unione sinistra e fissò il suo fu-amato con quei due bagliori biancastri che aveva incastonati in un volto altrimenti completamente nero, come se fossero due gemme preziose. Fray ebbe l'impressione che stesse sorridendo.

E così, ancora una volta, per l'ultima volta, Fray si svegliò.
Questa volta non ci furono specchi di cristallo da abbattere. Solo una piccola, buia, fredda cella. Era diversa da tutte le altre in cui era stato solo per la presenza di un tubo che scorreva lungo l'incastro tra la parete e il soffitto, una sedia ed un letto. C'erano alcune aperture nel tubo, ma nulla usciva. Non più. Fray si alzò in piedi senza dire niente, senza nemmeno respirare. Il suo sguardo era come perso nel vuoto, ed una parte di sé si era resa conto di essere stata ingannata. Ma non importava. Niente importava. Nemmeno il dolore che andava crescendo nelle parti più sensibili del suo cervello importava. Animato da una forza ignota, quasi come se si stesse trascinando, il Cane si mosse verso la grande porta di metallo. Al di fuori si sentivano rumori inquietanti e gran baccano, urla e rumori di vari oggetti che vengono distrutti o scagliati. Poi, per la sorpresa di Fray, la porta si aprì da sola, rivelando una grande sagoma bianca che fece ben presto a richiuderla dietro di sé. L'uomo in bianco poi guardò all'interno della cella, ed incrociò finalmente lo sguardo di Fray.
Quello sguardo.

9ErHrR5

Sei stato tu a tradirmi.

« Chi sei tu? »
disse Fray, rimanendo completamente immobile, come una statua.
L'uomo in bianco non aspettò e non parlò, ma sembrava palesemente scocciato. Estrasse dalla fascia nera che teneva legata in vita un bastone di ferro, cilindrico, e lo picchio contro il muro di ferro una, due volte. Fray rimase ancora immobile, come un bambino che si sta chiedendo cosa succede attorno a lui. Fu allora che il carceriere si mosse e tentò di menare l'arma contro il capo del prigioniero -un uomo mingherlino, ridotto alla fame, immortale ma di certo non invincibile. Avrebbe potuto pestarlo un po' di più rispetto al solito, ecco tutto. Tuttavia le cose non andarono come previsto, perché il suo bastone fu semplicemente fermato dal palmo aperto del prigioniero. Così il carceriere tentò ancora e ancora, ma i suoi colpi o mancavano completamente il bersaglio o venivano respinti senza difficoltà dallo scheletrico prigioniero. Fray inclinò la testa di lato, schiudendo le labbra dallo stupore mentre il suo sempre più nervoso avversario rifiutava il buon senso che nella sua mente gli stava urlando di chiamare aiuto. Il monaco, il Cane d'ora in poi, inaspettatamente fece due passi in avanti e una sola mano, con un movimento fulmineo, penetrò il petto del carceriere bianco. Il Cane poté sentire le interiora del suo nemico muoversi al passaggio della sua mano, finché non trovò la loro pulsante sorgente di vita. Con uno strattone estrasse il cuore dell'uomo in bianco, che cadde esanime subito dopo. L'organo batté ancora qualche istante tra le sue dita prima di spegnersi definitivamente. Fray lo gettò via senza rimorso, rimpianto, o qualsiasi altro sentimento umano. Nei suoi occhi c'era solo la grande porta metallica.
Ma anche quella non fu un'ostacolo. Fray la afferrò e il metallo si contorse nella sua mano fino a strapparsi così come farebbe un fiore. Il Cane dunque scavò voracemente nel metallo della porta finché nulla rimase, e l'aria di libertà arrivò a solleticargli le narici.
Ma anche se usciva dalla scatola grigia, ci lasciava un qualcosa di insostituibile.

Energia: 40% / 100% (-30%)
Fisico: 100%
Mente: 80% / 100% (-10%) affaticamento; (-10%) follia
Equipaggiamento: mani e gambe dure come il ferro (armi naturali)
CS: 2 (Maestria nell'uso delle armi), 2 (Forza); (-4, utilizzati tra Maestria e Forza)

Tecniche Passive
///
Tecniche attive
(Costo Alto mentale/energetico) (Natura magica) - Fortificazione superiore: Fray ricopre il suo corpo con un tenue velo d'energia, come se un drappo luminoso accompagnasse ogni suo movimento. L'incantesimo incrementa sia la sua forza che la sua maestria delle armi di quattro punti CS.

(8/25) (Costo alto energetico) (Natura fisica) - Colpo della tigre: una tecnica base, nella quale l'utilizzatore rinforza una parte del suo corpo attraverso uno sforzo spirituale, in modo da conferire al prossimo attacco portato con esso una potenza alta. Ferisce il corpo.

Riassunto azioni: Fray attiva il suo PU alto per badare alla guardia, spendendo 2 CS in maestria per deviare tutti i suoi colpi. Dunque ne spende altri 2 in forza per piantargli la mano nel petto e ucciderlo nel modo più macabro possibile. Mi scuso se non è un capolavoro strategico, ma non penso che il generico scagnozzo meriti una strategia complessa :v dopodiché scarica un altro alto sulla porta per distruggerla.
Comunque questo post è esemplificativo dell'odio che ho iniziato a provare per questo personaggio. Spero che non sia stato eccessivo :argh:
 
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view post Posted on 4/10/2015, 15:48
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Un tumulto si scosse nelle pareti.
Un tremulo e roboante perforare di mani, che grattavano contro il metallo con voracità e violenza. Ringhiavano, quasi, nel rumore delle unghie che scalfiscono la durezza della prigione, richiamando a se un pizzico di follia e sentimento, fino a lambire l'esterno col proprio animo, prima ancora del proprio ego. Così si sentiva stretto ogni lembo di pelle, il povero dottore: sentiva occhi, orecchie e mani che scavavano, si muovevano e - con ritmicità quasi maniacale - ogni tanto battevano un colpo contro le porte, all'unisono.

« Li sente, dottore? » Sorrideva Teslat, fissandolo dalla balaustra.
« Stanno chiamando » aggiunse ancora, divertito « stanno implorando la libertà, sentendola a pochi passi; la annusano e la vogliono. »
« La desiderano »

Poi strofinò le mani sul parapetto, sporcandosi di polvere e pulviscolo. Si leccò il dito sporco, quasi assaggiando quel posto perverso e gustandone l'empietà cui andava pian piano confondendosi.
« Desiderano esser liberi molto più di quanto non lo desiderassero quando vi sono entrati » aggiunse, ancora « sentono di aver trovato lo scopo delle loro infime vite, proprio nel momento in cui quelle infime vite sono state messe in pericolo. »

Lo fissò nuovamente, sgranando lo sguardo e penetrandogli i timidi occhialetti da lettura, bagnati di sudore.
« L'ordine è soltanto la scusa cui i potenti nascondo il proprio ego » asserì nuovamente, alterato « si prendono gioco degli altri, in un lascito di egoismo che porta loro a disporre delle vite con la semplicità con cui dispongono del denaro. »
« Ma non capiscono qualcosa, qualcosa di importante » sorrise, ancor più divertito.

« Non capiscono che presto o tardi i sudditi trovano giovamento dalla loro schiavitù, comprendendo come se l'ordine sia il male da sconfiggere... »
« ...allora la cura sia qualcosa a loro diretta disposizione » proseguì ancora, « qualcosa di semplice e unico. »

Teslat lo fissò, con aria malevola. Si leccò le labbra con la lingua, bagnandole del suo stesso sangue.
« La cura, dottore » proseguì, secco
« è caos »

picche3bis

Teslat rise di gusto. Quasi contemporaneamente le porte delle celle si spalancarono, sotto il peso delle mani che grattavano.
Nel giro di pochi secondi il grosso salone si riempì di occhi sbarrati, corpi corrotti dalla fame e dalla follia, mani insanguinate e urla inumane. I prigionieri del Fosso erano per lo più condannati, povere anime lasciate al tempo e alla follia, sottoposte a lunghe illusioni e psicosi atte a esasperarne le emozioni. Le volontà si erano piegate alla follia e qualunque comando di libertà che veniva loro indotto, era divenuto un famelico volgersi verso quella stessa autorità che li aveva costretti in cella allo stesso modo di un cane che si volge verso il proprio pranzo. Erano golosi di autorità, di libertà e disposti a mangiarsela, a divorarla e a sopraffarla. Nemmeno più per sopravvivenza od orgoglio; ma per dileggio. Per il semplice gusto di farlo.
E Teslat, oltre la balaustra, sorrideva divertito. Vedeva grotteschi corpi ormai deformi, lasciati a marcire e a divorarsi dalla fame e dalla pietà, librarsi in volo. Li vedeva contorcersi dal dolore e dalla passione, potendosi dispiegare in uno spazio esteso, più grande della piccola cella che li aveva costretti fino a quel momento. A suo modo ne coglieva la felicità, benché essa si manifestasse con fauci spalancate, occhi cadenti, sguardi piegati e mani aperte ad artiglio. Benché non sembrassero altro, a ben guardare, che un gruppo di bestie assetate di sangue.

« No ---- no......! » Gridò il dottore, lanciandosi contro la porta di uscita.
« T-tu ---- sei pazzo! » Disse, quasi soffocandosi con le sue stesse urla. « Non farlo! »
Il Dottore si lanciò contro un tubo, appeso sulla parete di fianco a lui. Parlò all'imbocco del tubo, lanciando urla di terrore e richieste di aiuto.
In pochi secondi, altre creature irruppero nel salone. Sfondarono l'inferriata d'ingresso e una botola sul soffitto, entrando in gruppo. Erano neri, dagli occhi gialli ampi - senza pupille e con grosse braccia, lunghe fino al bacino. Avevano artigli e non si fecero scrupolo di iniziare a macellare quanta più carne gli si palesasse innanzi. Mentre si sparpagliavano intorno al salone, infatti, la mattanza prendeva forma in una danza raccapricciante di sangue, artigli, morsi, mugugni e urla strozzate. Come se non ci fosse nient'altro al mondo che potesse salvare quel buco logoro di una sana pozza di bestialità, che si sarebbe consumata fino ad annullare qualunque forza interna.
Oltre che qualunque forma di vita senziente.

Nel mentre, Teslat ammirava divertito. Il sangue sgusciava oltre la carne, zampillando oltre la balaustra come la spuma del mare che schizza oltre le onde.
Guardava con uno sguardo a metà tra il ferale e il soddisfatto quegli esseri che chiamava a se, quasi fossero di sua proprietà, divenire padroni dei propri istinti. E sfogarli, senza alcuna inibizione. Trovare una ragion d'essere nel diventare un caotico vortice di insurrezione, contrastando quella malevola autorità che li aveva tenuti prigionieri con una potenza ancor più malevola e perversa. Dopo qualche istante, si sottrasse alla visione, circumnavigando la balaustra e uscendo da una porta laterale, di cui scardinò i cardini con la violenza di un lampo.
« A-aspetta...! » Gli urlò il dottore, che faticava a trovarsi un anfratto tra i corpi inespressivi dei suoi soldati neri. « B-bisogna fermarlo ---- presto...! »
E, a sua volta, il dottore si sottrasse al caos. Scomparve come un ratto entro gli anfratti creati dai corpi dei propri soldati, proteggendosi tra essi e il muro. In questo modo, scivolò oltre la porta da cui era entrato e si affrettò a ripercorrere il corridoio all'inverso, nel tentativo disperato di recuperare l'unico prigioniero che sua eccellenza Caino gli aveva raccomandato.
« S-sta fuggendo...! » Urlava, disperato « Teslat sta fuggendo! »



CITAZIONE
QM Point
Scusate il ritardo. Riemergete dai vostri incubi e siete fuori dalla cella; assistete a questo breve dialogo e, subito dopo, si scatena l'inferno. Teslat libera tutti i prigionieri del piano inferiore. Questi si rivelano esseri umani, prevalentemente, corrotti nel corpo e nella mente; folli, consumati dalla fame e dalla follia e ormai ridotti a quasi delle bestie. Li sfrutta per creare confusione. Il dottore, infatti, risponde chiamando altri soldati tipo belphegor e il salone diventa una gigantesca mattanza. Uno scontro tutti contro tutti, combattuto con artigli, morsi e sangue. Voi, alla fine, siete esattamente nel mezzo e non dovete fare altro che fuggire.
Potete fuggire per due strade:

• la porta del salone, da cui è fuggito il dottore. Questa, però, è occupata da decine di soldati neri che si ammassano nei pressi; dovrete farvi largo in qualche modo.
• la porta sul passatoio in altro, oltre la balaustra, da cui è fuggito Teslat. Questa è pressoché libera, ma il passatoio è in alto, sopra di voi, lontano circa 5 metri e nel poco spazio che avete sotto, non avete molto spazio di manovra (leggi sotto). Anche qui, dovrete ingegnarvi.

Oltre a questo, ci sono tre punti:

1. Potete recuperare un singolo artefatto dal vostro inventario, che troverete in una sacca nei pressi dell'ingresso della vostra cella. Se non avete artefatti, potrete recuperare due oggetti / armi a scelta. Siete nudi, quindi non avete vestiti, ricordatevelo.
2. La lotta che imperversa agisce con due effetti: uno passivo, ostacolandovi le azioni e impedendovi mosse troppo complesse (tipo lunghi salti, corse da una parte all'altra o cose così); ed uno attivo, in quanto il perdurare nella stanza comporterà che veniate coinvolti nella lotta in qualche modo, subendo due danni fisici di potenza media ciascuno. Potrete scegliere "come" subite questo danno e, di conseguenza, anche difendervi.
3. Non potete passare tutti per una uscita. Non c'è tempo perché tutti e 4 passiate da una delle due porte, in quanto la stanza si sta riempiendo e molto presto rimarrete semplicemente intrappolati qui fino alla fine della lotta. Quindi dovrete dividervi in due gruppi, a scelta (3 e 1, o 2 e 2). Uno inseguirà il dottore dalla porta principale, l'altro Teslat dalla porta in alto.

Procederemo in confronto. Mi direte come procedete e io vi dirò se l'azione ha successo e cosa succede. Orientativamente, come tempi ci diamo fino a sabato prossimo (10 ottobre).
 
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view post Posted on 9/10/2015, 20:58
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♥ Non piangere Nishimiya sai poco fa ti ho parlato in un sogno, mi sembrava di aver rinunciato a molte cose, ma non è così. Ho sempre pensato come te Nishimiya...♥
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Castello di carte - Paura -
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Intorno a lei tutto sembrò esplodere all’improvviso quando riuscì finalmente ad uscire dalla sua cella. Ancora non riusciva a capire in cosa fosse finita e nemmeno come ci fosse arrivata in quel posto, nella sua mente era tutto terribilmente confuso, come se avesse preso una forte botta in testa. Una sola cosa era certa: dentro quella cella, si era accorta ora che era fuori, era al sicuro, al caldo, lontano da quella lotta che si era accesa nel luogo dove era finita. Un brivido di freddo le scese lungo la spina dorsale e, quando si rialzò, si accorse di essere completamente nuda. Freddo, gelo. Per sua fortuna non aveva grandi cose da mostrare essendo il suo un corpo ancora acerbo ma si vergognava terribilmente, non voleva che qualcuno posasse il proprio sguardo su di lei, non conciata in quella maniera.

"In questo momenti siamo uguali…io e te…perché dovresti vergognarti della tua nudità? Questa sei tu, non dovresti avere paura di mostrare tutto di te. Noi demoni non lo facciamo, siamo disinibiti, siamo liberi."


Certo e Ririchiyo aveva visto quanto fossero davvero liberi, quanto fosse falso questa loro maschera di autonomia, così tanto che lei era stata accarezzata da questa parvenza di indipendenza e, alla fine, era stata fregata alla grande dall’Ahriman.

”Non dire stupidaggini Lilith, voi demoni siete ancora più soggiogati di noi umani.”


Per lei considerarsi interamente della specie del suo alter ego era ancora impossibile perché lei non sentiva di essere cattiva, sapeva di tenere più alla sua vita che a quella degli altri ma non credeva di essere come i demoni: crudele.
Non poteva stare a pensare troppo alla sua nudità, aveva ben altro a cui pensare, come per esempio fuggire da quel posto. Forse poteva approfittare del caos che si era creato. Si guardò per un attimo in giro e quando il suo sguardo scivolò sul punto accanto a dove prima c’era la porta della sua prigione, vide una sacca molto strana, che sembrava quasi richiamare la sua attenzione. Vi guardò dentro e trovò sia la sua maschera che il suo arco con la faretra. Non attese nemmeno un solo istante ricoprendosi con quei pochi oggetti e legandosi la maschera alla vita com’era solita fare. Si voltò giusto in tempo per vedere Teslat fuggire come il dottore ma in direzioni ben opposte. Purtroppo il primo si rivelò essere un grande acrobata e si trovò una strada alternativa. Ririchiyo digrignò per un attimo i denti, prendendo una freccia dalla faretra e incoccandola per voltare lo sguardo sulla porta presa dal dottore. Forse quella poteva essere la via più sicura per lei che non era in grado di dare spettacolo come aveva visto fare a Teslat. Si mise a correre a tutta velocità verso il portone e ringhiò quando vide alcune delle guardie mettersi tra lei e la libertà, formando un muro e cercando di impedirle la fuga.

"Spero tu non voglia farti fermare da loro…."


«Col cavolo.»


Sussurrò appena, puntando bene i piedi a terra e sentendo il gelo del pavimento risalirle lungo la pianta dei piedi nudi, le gambe…ma lei lo ignorò. Tese l’arco con la freccia incoccata e ne impregnò la punta di parte del suo potere demoniaco. Voleva accecarli, voleva rendere i loro occhi completamenti oscurati e impedendoli così di poterla vedere. Scoccò quindi la sua arma verso le guardie che erano più davanti e che una volta prese, iniziarono a camminare come fossero al buio, scontrandosi anche tra di loro. Senza perdere alcun tempo incoccò subito un’altra freccia impregnando anche questa di tutto il potere demoniaco di cui era capace, questa volta voleva far esplodere la seconda fila, voleva crearsi un varco tra quelle guardie per poter fuggire.

"Ma così moriranno!"


”Per quanto mi riguarda la loro vita non è importante quanto la mia.”


Alla sua risposta il demone sorrise nei meandri oscuri della sua anima e attraverso gli occhi ametista della ragazzina vide la freccia volare nell’aria e arrivare proprio contro i loro obiettivi, esplodendo, prendendosi le loro vite e formando quel varco che tanto Ririchiyo stava aspettando. Non attese nemmeno un secondo, si mise a correre cercando una via di fuga verso la libertà
Tutto era silenzioso nella sua corsa, soltanto i suoi passi veloci, ovattati, arrivavano alle sue orecchie e anche un’altra cosa: un respiro. Era quello affannato del dottore che, come lei, probabilmente, cercava una via di fuga…ma da cosa? Lei ancora non riusciva a capire cosa stesse accadendo e, cosa peggiore, non le importava. Per lei gli altri potevano anche morire perché, in quel momento, nessuno sembrava avere importanza per lei, nessuno era lì a darle una mano. Continuò a seguire il rumore di quel respiro affannoso e, alla fine, giunse in un corridoio pieno di porte, tre per lato circa, di ferrò, alcune più arrugginite di altre e dell’uomo che stava andando verso la libertà nemmeno l’ombra.

”Lilith se hai delle idee brillanti è il momento di darmi una mano. Ogni consiglio è ben accetto.”


Mentre attendeva una risposta del demone la ragazzina si fece avanti, portandosi quasi al centro di quel corridoio on quelle porte e cercando di studiarle. Alcune sembravano meno arrugginite, più usate, mentre da altre provenivano anche strani rumori poco udibili ma decisamente inquietanti.

"Prova a vedere se da dietro di una delle porte proviene dell’aria, di solito è il modo giusto per capire se si è vicini all’uscita…oppure opterei per le porte meno arrugginite, quelle che sembrano più usate, le altre mi danno l’impressione di essere altre celle e non credo sia saggio avvicinarsi troppo."


La ragazzina obbedì al demone e fece qualche passo verso le porte per studiarle. Rabbrivì ad ogni nuovo contatto del piede nudo con la superficie congelata del pavimento ma doveva farsi forza, doveva cercare di ignorare la cosa, ci avrebbe pensato una volta che fosse stata al sicuro e lì, certamente, non lo era. Non sentì provenire aria da nessuna, da alcuni si sentivano più distintamente di prima dei deboli respiri, quasi strozzati. Prigionieri? Beh la cosa non era un suo problema quindi decise di andare oltre. Un paio delle porte presenti, però, le sembravano decisamente più usate ma le davano la sensazione di esser tutte chiuse a chiave.

”Grande….e adesso come facciamo ad aprirle? Non abbiamo la chiave.”


"Hey genietto del male perché non provi a scassinarli con le tue frecce? Insomma, devo proprio spiegarti tutto?"


Aveva perfettamente ragione, perché non ci era arrivata prima?

”Mi spiace se non ho la vena criminale come te….”


I loro pensiero cozzarono per un attimo nel suo animo mentre Ririchiyo si avvicinava lentamente ad una delle porte dall’aria più usata per accostare un orecchio sulla fredda superficie per poter sentire cosa ci fosse dall’altra parte. Nulla, non sentì niente almeno finchè la porta non si spalancò cogliendola di sorpresa. Due mani forti e robuste l’afferrarono tirandola dentro e chiudendole la porta alle spalle. Era tenuta per un braccio e l’altra le chiudeva la bocca. Pelle contro pelle. Non aveva mai avuto un contatto così pelle a pelle e la cosa non le piaceva per niente, si sentiva minacciata e il contatto era una cosa terribilmente sgradevole, umido, viscido ma come poteva liberarsi? Un’altra nota negativa che rendeva tutto più disgustoso e difficile era l’odore che permeava quella stanza: acre, pungente, che le faceva solo venire voglia di vomitare ma, in quel momento, non poteva permettersi nemmeno quello.
Se fosse andata a scavare nel cassetto dei suoi ricordi non sarebbe mai riuscita a trovare una situazione più sgradevole di quella, più disgustosa, la peggiore della sua vita. Provò a strattonarsi il braccio o a muoversi per liberarsi ma niente sembrava riuscire anzi, il respiro del suo aggressore era affannoso e le accarezzava in maniera orribile il collo, sembrava nervoso e, forse, in fuga esattamente come lei. Anche questo non sembrava importarle, per lei quell’individuo era solo un nemico che andava annientato e distrutto. Gli occhi le bruciavano perché le lacrime facevano a botte per uscire. Aveva paura e non sapeva nemmeno se ne fosse uscita viva e, presa dallo sconforto, con tutta la forza della disperazione, provò a tirare un calcio negli stinchi di quella persona che la teneva ferma e la cosa sembrò funzionare perché lui si ritrasse, lasciando la presa e lei riuscì a liberarsi e sgusciare via da quella presa per poter riprendere la sua fuga.
Purtroppo venne nuovamente fermata dalla luce di una torcia che per un attimo accarezzo la sua pelle nuda. La voglia di scappare era forte ma non ebbe il tempo di fare nulla tranne incoccare un’altra freccia e alzare il suo arco su quella fonte pronta a dare nuova lotta, pronta a combattere ancora per la sua vita.


CITAZIONE

RIRICHIYO


Basso: 5% - Medio: 10% - Alto: 20% - Critico: 40%


»Stato fisico: Indenne
»Stato mentale: Indenne
    -Medio da pazzia
»Sinossi: Egoista, indipendente e irascibile; coriacea, corna e occhi viola
»Energia:
    Energia 80/125 %


    Mente 95/125%


    Corpo 50/50 %



»Equipaggiamento:
    -Arco
    -Armatura naturale

»Oggetti:
    -Cristallo del talento
    -Amuleto lunare

»Talenti:
    -Affascinare 1/6
    -Maledire 0/6
    -Focalizzare 0/6
    -Trasmissione 0/6

Tecniche
[ブラインド] “Buraindo”
    »Sia in forma umana che in forma demoniaca, Ririchiyo e Lilith sono in grado di richiamare a sé il potere demoniaco per poter accecare l’avversario e lasciandolo confuso per qualche istante. Utilizzata in fase di difesa può causare autonclusività e l’effetto dura un solo turno ed è una tecnica a natura psionica. Se portata a segno causa un basso all'energia«
    consumo: basso energia
[爆発] “Bakuhatsu”
    »Ogni volta che usa il suo arco, Ririchiyo è in grado di imprimere nella sua freccia il potere del demone che è in grado di condividere con Lilith, aumentando così il suo potere e facendo esplodere l’obiettivo; se invece la utilizza in forma di demone Lilith non avrà alcun bisogno di utilizzare armi vere e proprie ma si creerà una lancia col suo potere demoniaco ed è di natura magica.
    Se il colpo va a segno, in entrambi i casi, causerà un danno alto al singolo bersaglio e sarà sempre riconoscibile come “fonte” del danno. Se portata a segno causa un alto al corpo.«
    consumo: medio energia, medio mente


Specchietto riassuntivo
Recupera i suoi due oggetti (arco e maschera) e segue il dottore sbaragliando le guardie con le sue tecniche e, quando cerca di liberarsi dalla presa dello sconosciuto, attacca con un calcio sugli stinchi che porta 0 cs




code by Misato Kojima ♥ don't copy

 
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view post Posted on 10/10/2015, 22:12
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Like a paper airplane


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La cura, dottore.
È il caos.
Lui annunciava qualcosa che lei ben conosceva. Non vi era altro balsamo contro l’ordine malsano del mondo. Non c’era altra verità che valesse la pena di essere pronunciata. Nell’ordine quelli come lei venivano schiacciati, sostituiti dai più fortunati, derisi, abbandonati. Nell’ordine quelli come lei erano chiusi in una cella, preda delle proprie sofferenze.
È il caos.
La salvezza per chi non ha più la forza di resistere.
Afferrò la propria bambola, che la chiamava come una calamita, tendendo le braccia di ceramica verso di lei. La strinse al petto, godendo del contatto con la sua superficie fredda, senza emozioni. Gli occhi di vetri si spalancarono su una bolgia di anime sofferenti. E sopra tutte, come su un trono di sangue e carne, c’era l’uomo che era venuta a cercare.
E rideva. Godendo della sconfitta della giustizia e della razionalità. Godeva, come un giullare che abbia perso la capacità di piangere. Annunciava loro la soluzione di tutti i loro mali, derideva la loro paura. Senza alcuna compassione, decretava la fine di quel piccolo mondo di pietra e ferro. Mentre le creature d’ombra iniziavano la mattanza di quelli che credevano i suoi alleati. Lei sapeva. Lui
Si divertiva.
Non c’erano alleati per quelli come loro. Non c’era vita se non nella confusione tra amici e nemici, quando perfino la morte non comprende chi colpire. E lei non era più semplicemente nuda a contemplarlo. Lei era decisa a raggiungerlo, per essere parte di quel momento. Un’artigliata la colpì sul braccio, strappandole un grido di dolore. Non poteva restare là in mezzo, non sarebbe diventata una delle vittima. Non sarebbe diventata una dei vincitori. Ma in quella nebulosa di volontà, lei si sarebbe agitata più forte degli altri.
Tese le dita, chiamando il freddo del nord, lo stesso che l’aveva sferzata senza rivolgerle nemmeno un’occhiata di pietà. Lo concretizzò in una scala ritorta verso la balaustra che lui aveva appena abbandonato. Quel freddo, anni prima, aveva decretato la sua morte, aveva sbarrato i portoni della sua casa. E adesso l’avrebbe salvata. Ironico, ammesso restasse loro ancora la forza per ridere.
Lui fuggiva. O forse no.
Sospettava lui avesse in mente qualcosa.
La cura.
Qualcosa non per loro, ma per chiunque avesse osato partecipare al suo gioco. Doveva immaginare che loro lo avrebbero rincorso. Era curiosa di sapere cosa la aspettasse, il fiato si era fatto pesante, i piedi le facevano male. L’unico segno del suo corpo nudo era il dolore della pelle esposta all’umidità e alla pietra di pareti e pavimenti. Non riusciva a sentirsi in imbarazzo.
Quando sei cieca queste cose non importano davvero.
Rivolse un sorriso sghembo alla propria condizione. Così derelitta da non avere le capacità per provare vergogna. Lui svoltava in una stanza laterale. Lei ripensava a quando lo aveva visto morire. Pensava a quando lui aveva osato sfidare il re invincibile. E l’ammirazione che l’aveva condotta in quel luogo non faceva che aumentare.
Forse erano davvero simili. Ma lui doveva aver trovato quello che a lei mancava: il segreto per non soccombere agli eventi, ma tirare le redini del destino a proprio piacimento. Non se lo sarebbe fatto scappare, non prima che le dicesse ogni cosa.
Guardò le tre porte che le si paravano davanti. Forse agli occhi degli altri avevano un significato, ma per lei, per la bambola dallo sguardo distaccato, non avevano alcun valore. Erano semplicemente parole, semplicemente luoghi tutti uguali. Lui avrebbe potuto essere dietro ogni porta e dietro nessuna. Avrebbe potuto attenderli per punirli o elevarli al proprio fianco. Ma lei sapeva che non sarebbe cambiato nulla.
Che il caos era la soluzione.
Che qualsiasi soluzione sarebbe stata quella giusta.
Segui il tuo cuore.
Stronzate. Lei non voleva avere un cuore, non voleva credere nelle frasi fatte da fanciulle in età da marito e non aveva alcuna fede nel destino. Al destino non importava niente del loro cuore, del loro desiderio di trovare Teslat.
Si accorse di esitare. Nonostante tutte le sue considerazioni, stava davvero pensando a quale porta imboccare.
Psiche.
Il regno delle emozioni incontrollate, il rigurgito acido di ansia, terrore, agitazione, amore. Senza ordine e senza disciplina. Psiche, il contenitore dell’anima ormai avariata. Il cimitero degli ultimi sorrisi, dei primi sguardi, delle ripetute lacrime. Non le piaceva, ma era ciò che meglio la rappresentava. Non avrebbe saputo dire dove lui potesse essere.
Ma sapeva dove sarebbe andata lei.
Spinse la porta. Quando non si aprì esitò per un attimo. Forse lui aveva posto delle prove? Forse voleva che si ingegnassero maggiormente?
Si morse il labbro, irritata. Forse lui si era preso gioco di loro.
Alle sue spalle, Erein, il magnifico re del nord. Il re nudo. Menò un fendente con la spada. Il legno si ruppe in una cascata di schegge.
Naturalmente. E lei che aveva perfino creduto ci fosse un mistero da risolvere. Trattenne a stento una risata, mentre seguiva il nuovo compagno attraverso quello che restava del battente.





Perchance to Dream

R. 125%.[Mente] 50%.[Corpo] 125%.[Energia]
*Proviene da un Occhio
B.[5%] M.[10%] A.[20%] C.[40%]



Energia. 125% - [(Altox1) + (Medio x2)] = 80%
Fisico. 50% - [(Medio x1) + (Basso x1)] = 35%
Mente. 125% - [(Medio x1) + (Alto x1 +Medio x1)] = 85%

.Passive.


Talento stratega - Ostinazione | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Intuito | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Mente Fredda | Numero di utilizzi: 6
Talento stratega - Scetticismo | Numero di utilizzi: 6 --> 5
Passiva Personale 5/25: genera un'aura di disagio e inadeguatezza nei confronti di chi si trovi nel suo campo visivo | Numero di utilizzi: 6
Passiva Razziale umana | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Statiche | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagin Legate | Numero di utilizzi: 6
Pergamena Immagini Fortificanti | Numero di utilizzi: 6
Passiva Personale 16/25, Visione attraverso gli occhi della bambola anche quando essa non è a contatto con Ainwen | 6 utilizzi
Passiva Personale 17/25, Auspex delle anime | 6 utilizzi
Collana Elfica | 6 utilizzi


.Abilità Utilizzate.


Abilità Personale 15/25, Natura Magica, Consumo Energetico, Dominio del ghiaccio con effetto difensivo dalle tecniche fisiche | Ad Area | Consumo: Variabile --> Usata a Medio

.Riassunto.


- Ainwen recupera la bambola (artefatto che le consente di vedere anche senza passiva finchè lo tiene contro di sè).
- Quindi decide di seguire Teslat. Per farlo evoca una scala di ghiaccio che le consenta di salire sulla balaustra (sfruttando la sua tecnica da area). Per essere rimasta troppo a lungo sul campo di battaglia subisce un Medio che le danneggia le energie.
- Quando arriva alle tre porte sceglie quella con scritto "psiche" dopo che Erein l'ha gentilmente abbattuta per lei.

.Altro.


Tutto questo ha del paradossale, credetemi >_>

 
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view post Posted on 11/10/2015, 10:59

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La sfiorai dolcemente … La accarezzai con amorevolezza per un istante; riuscivo a sentire la brezza gelida che esalava persino attraverso il lurido sacco in cui era stata nascosta. Poi con estenuante lentezza la estrassi e mi sentii nuovamente integro. Ero nudo, indebolito, lurido eppure la presenza di quella lama mi faceva sentire a mio agio come se fossi stato ricoperto di sete. Ero stato così vicino a sprofondare nel baratro della follia. Così vicino a perdere me stesso…
Mi diedi un’istante di tempo per dare ai miei sospetti la dignità di certezze. Studiai l’ambiente infernale in cui mi trovavo, analizzai gli indizi e compresi - «Qualcuno devi volerti davvero molto, molto male per farti finire qui, nel Fosso dei Lamenti ».
C’erano centinaia di prigioni nel Dortan, su Theras l’ordine di grandezza sfiorava quello delle migliaia ma nessuna era come quella. C’erano luoghi più violenti, più sporchi, visivamente più spaventosi ma il Fosso dei Lamenti era sempre stato considerato un inferno in terra. Uomini entravano e spettri macilenti e consumati dalla follia uscivano … Mi ero sempre chiesto cosa di così tremendo contenessero le mura di quel frammento di Baathos emerso in superficie. Ora lo sapevo …
Per un attimo ebbi la tentazione di dare sfogo alla rabbia. Sarebbe stato semplice, quasi misericordioso.
Bastava volerlo e Lei, la mia devota, obbediente, servitrice avrebbe mutato quell’inferno di illusioni in un paradiso di cristallo. Sorrisi a quel pensiero, mi crogiolai nell’idea di detenere quel potere che era stato in grado di cancellare l’aura di invincibilità del Leviatano, di far tremare il Trono che non Trema.
Poi, per mia fortuna, ripensai alla fine che avevano fatto tutti gli stolti uomini che avevano impugnato quella Spada con troppa leggerezza e desistetti dal mio intento. Avevo tempo per consumare la mia vendetta, tempo che potevo spendere sopravvivendo e cercando di capire cosa aveva fatto crollare il castello di illusioni che mi teneva schiacciato alla mia follia come una farfalla in una di quelle macabre collezioni. Si perché l’autocelebrativa, patetica sequela di speculazioni in cui avevo indugiato mi aveva fatto perdere un pezzo del mosaico … Qualcuno o qualcosa avevano spezzato l’incanto. Senza quell’intervento misterioso i miei carnefici avrebbero lentamente consumato la mia mente, il mio corpo si sarebbe rattrappito e la mia forza vitale indebolita in uno strazio senza tregua.
Prima di pensare a vendicarmi avrei dovuto pensare a chi ringraziare per la libertà. Mentre procedevo verso la libertà vidi che l’intera prigione era in tumulto. Anime dannate si arrampicavano sulla scivolosa parete del pozzo alla ricerca della salvezza. Alcune fallivano miseramente, altre erano assai vicine al successo. Pensai per un attimo di liberarle … Poi procedetti, non c’era tempo per le buone azioni all’inferno.
Il corridoio mi condusse ad un salone e il mio cuore perse un battito. Non ero l’unico detenuto di valore li dentro … Ainwen l’Oracolo mi aveva preceduto. La pelle nuda e lattea si poggiava su quell’ossatura fragile facendola assomigliare ad uno spettro. Lo sguardo vacuo dei ciechi era puntato in direzione di una voce nota. Lo riconobbi dopo un attimo di ritardo e sorrisi.
Ah Teslat, Corpo di Caino, folle, affascinante, perverso Teslat! Ebbi la certezza che il merito di tutto ciò che stava accadendo era suo non appena lo individuai. Coerentemente alla sua natura istrionica stava tenendo un sermone. La sua mente già bacata doveva essere peggiorata dall’ultima volta. Impresa ardua viste le azioni di cui ero stato testimone in passato. Mi aveva già salvato una volta, spezzando l’illusione che il Priore Caino aveva lanciato su di noi in chissà quale delle sue machiavelliche trame.
Pensavo che non l’avrei più rivisto…. Nessuno pesta i piedi di Caino e rimane vivo abbastanza a lungo da potersene vantare, almeno questo accadeva in passato. Eppure Teslat era su quella balaustra, più allucinato che mai a blaterare di cose a cui non mi diedi cura di dare un senso.
Il terrore, quello vero, quello in grado di far suonare le ossa come sinistri sonagli artigliava il Dottore.
Ero deliziato da quello spettacolo, estasiato! L’impulso di battere le mani fu soppresso dal bussare dei dannati alle porte dell’Inferno in terra. In un attimo la situazione degenerò …
Vittime e carnefici riempirono la stanza trasformandola in un gigantesco e violento carnaio mentre il Dottore il e il nostro salvatore fuggivano da direzioni opposte. Mi ritrovai indecentemente pressato tra corpi luridi e corrotti mentre costrutti della stessa specie di quelli che mi torturavano fino a poco tempo prima facevano scempio dei meno fortunati tra i prigionieri evasi. Avevo gongolato troppo presto.
Mi imposi di non cadere nel panico, di non cedere alla follia che sembrava contaminare ogni essere vivente in quella sala. Dovevo agire e farlo con intelligenza e freddezza ma prima … Prima avevo bisogno di riflettere. Indugiai, forse troppo. Un dolore acuto alla schiena mi fece voltare di scatto e lo vidi: febbricitante, corroso dalla pazzia un omiciattolo mulinava un raffio tentando di sopravvivere. Vidi la punta di quell’arma di fortuna rispendere di un rosso sanguigno … Il mio sangue! Sollevai la spada, stavo per colpirlo quando due, tre, quattro di quei costrutti gli furono addosso. Ciò che rimase a terra era un ammasso di carne orrendamente maciullata ed irriconoscibile. I loro occhi furono su di me, cercavano un’altra vittima. Senza riflettere, mosso solo dall’istinto affondai la Spada senza un Re in uno di quei corpi d’ombra e lo vidi afflosciarsi. Senti un refrigerio percorrermi le dita, penetrare l’epidermide, insinuarsi nel sangue, irradiarsi nei muscoli e pervadermi il corpo. Era la Spada che bevendo il sangue del nemico ricompensava il suo padrone rinvigorendo il suo corpo, dandogli la maestria necessaria a colpire ancora per nutrirla di nuovo. Mi sentii per un attimo invincibile, capace di dominare la battaglia e rivoltarla a mio favore ma ancora una volta la mia arroganza mi tradiva. Erano in troppi ed io ero uno.
Decisi, nuovamente, di preferire la salvezza alla gloria di una battaglia senza speranza e volai sollevandomi da terra in direzione della balaustra da cui Teslat era fuggito.
Ainwen era già li e con lei il monaco di cui mi ero servito in passato per ricordare chi ero. Dinnanzi a noi l’enigma di tre porte. Ainwen dovette credere che le indicazioni riportate sullo stipite di ognuna nascondessero un arcano da risolvere perché vi si avvicinò con aria meditabonda. La porta ovviamente non si aprì … Decisi che, forse, la carezza dalla mia spada sarebbe stata più persuasiva.
«Lasciate fare a me … » - le dissi rivolgendole per la prima volta la parola.

CITAZIONE

D7g4Hgy
[size=2]
Critico 40| Alto 20 | Medio 10 | Basso 5



Fisico:65% (Medio, provocato dalla permanenza nella sala)
Mente: 65%.
Energia: 130 %
Passive in Uso:
Passiva, 4 utilizzi. Riuscendo a ferire con un colpo fisico non tecnica un avversario, il possessore della spada aggiungerà 1 CS in Agilità alla propria riserva

Attive:


Note: //



 
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view post Posted on 14/10/2015, 16:37
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what a thrill
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Fray si gettò nella mischia. O, per meglio dire, ne fu sommerso.
Con uno stridio che pareva provenire dagli abissi dell'inferno stesso (sempre che quel posto non fosse già classificabile come tale) le porte dei prigionieri si aprirono cedendo dinnanzi alla loro furia, alla loro follia e alla loro smania di libertà. E Fray non era diverso in nessun modo da quei residui di umanità che ora sbirciavano fuori dalle loro celle, assaggiando un'aria ugualmente viziata e quasi irrespirabile ma in qualche modo completamente diversa da quella delle loro prigioni. Erano esseri di tutti i tipi quelli, uomini e donne, giovani e vecchi, tutti rinchiusi per qualche motivo che Fray non avrebbe saputo mai. Alcuni dei carcerieri che erano venuti a contenerli, udendo lo stridio che annunciava l'apertura delle porte, fuggirono via. Quelli che rimasero vennero travolti dall'ignobile rabbia delle bestie ora svegliate, libere di sfoderare i loro artigli e distruggere qualsiasi cosa, persino loro stessi.
Ancora una volta, Fray non era diverso.

4qdLMdW

Ciò da cui il Cane era diverso era l'immagine che aveva dato di sé quando ancora si faceva chiamare monaco.
Il suo corpo era ridotto in uno stato ben peggiore di molti altri prigionieri: la sua pelle era talmente disidratata che sembrava potesse staccarsi con una carezza e le ossa potevano essere contate in ogni parte del suo corpo nudo. Gli occhi erano sbarrati in un'espressione di terrore misto a follia, rabbia e determinazione; sulle sue labbra si spaccava un sorriso sghembo e fin troppo divertito, una smorfia forse resa innaturale dall'inesperienza di Fray in questi momenti. Come lui anche gli altri prigionieri (le altre bestie) si dimenavano, ridendo e contorcendosi in convulsioni di gioia. I loro lamenti e gemiti riempirono tutto, coprendo le parole di quel Salvatore e del Carceriere. Ma anche se le avesse sentite, Fray non si sarebbe curato di cosa stessero dicendo. C'era solo un'obbiettivo: ritornare in superficie, ritornare a sentire l'aria di Theras, ritornare a vivere decentemente. Quel desiderio riempì la sua coscienza con una vitalità incomparabile: da quando desiderava vivere? Lui era effettivamente immortale comunque. Morire era stata la sua missione per almeno due decenni. Ma in quel momento tutti quei pensieri gli sembrarono completamente idioti. Stupidi.

« Voglio vivere! Viiiiiiivere, hah, hahah! »

Presto anche gli sgherri del Carceriere si riversarono nella bolgia creatasi, trasformandola in una mattanza. Fray li riconobbe: erano tutti identici al mostro che si era finto Lindsey, stringendolo in un freddo abbraccio e ridendo della sua follia quando aveva cercato di riprendersi la sua donna. Il Cane restò qualche secondo a contemplare quegli esseri neri e lucidi, con due biglie bianche per occhi, la figura snella e i grossi artigli. Istintivamente li odiò più di qualsiasi carceriere o Uomo in Bianco, più di qualsiasi illusione. Poteva vedere in loro i volti di chi lo aveva deriso per un motivo o per un altro (perché si vestiva con abiti esotici o perché si rasava il capo, o perché pregava pur non avendo alcun Dio). I costrutti si lanciarono addosso ai presenti in gran numero e solo uno sforzo di concentrazione disumano permise a Fray di non cadere in uno stato di assoluta incontrollabilità. Era come se il vecchio Fray, il monaco con gli abiti sfarzosi e la crapa pelata, gli stesse urlando "FERMATI! DEVI FUGGIRE!". Il Cane, essendo in fondo obbediente, accettò quell'ordine e la sua attenzione si voltò immediatamente verso una sagoma che pareva emergere dal mare di corpi per raggiungere nuove altezze e nuovi percorsi. Ma non era un'ombra o un costrutto. Era Erein. Erein! Fray rise sguaiatamente mentre cercò di farsi strada in quell'orgia di violenza, sventolando i suoi pugni d'acciaio e colpendo indiscriminatamente qualsiasi cosa minacciasse di fermarlo.
Il calore dei corpi umano misto alla freddezza dei costrutti lo confondeva, lo turbava e quasi quasi lo eccitava. La violenza e la riscoperta di quegli impulsi primordiali, la fame, la sete e la follia crearono un miscuglio di indescrivibili sensazioni che il suo corpo nudo non poteva che esaltare nell'unico modo gli fosse concesso. Linsey! Linsey, oh Linsey, quanto la voleva! Anche lei sarebbe dovuta essere lì, nuda, circondata da morte e follia -ma soprattutto circondata dalle forti braccia di Fray, che l'avrebbe baciata, l'avrebbe..

"Devi andartene. Devi andartene ora, ORA!"
"Aye aye"


Un costrutto scattò verso di lui, facendo stridere i suoi artigli contro i crani di alcuni prigionieri. L'ombra lucida poi mosse quelle lame letali verso Fray, e lui l'abbracciò nel modo più tenero possibile. L'artiglio del costrutto gli entrò nel fianco e quasi lo perforò, ma fu bloccato dalla morsa di ferro che il Cane stava stringendo su ogni fibra del suo corpo alieno. Il costrutto iniziò a ribellarsi, dimenandosi incontrollabilmente e graffiando Fray con la mano libera finché il prigioniero (ex-prigioniero) non decise di smettere di ripagare il favore. Il Cane infatti si liberò della creatura, che barcollò all'indietro di un solo centimetro prima che il destro del fu-monaco gli entrò nella faccia, creando una conca nella sostanza nera e fredda di cui era composta. Fray ammirò per una frazione di secondo quel capolavoro e poi spiccò un salto, ignorando le ferite che cercavano di aggiungere il loro dolore nell'orgia della sua follia, e atterrò sulla testa del costrutto in una posa tanto familiare, che aveva praticato tanto durante la meditazione: quella dell'albero.
Da quel punto fu un gioco da ragazzi. Non sapeva se era perché ancora si ricordava del suo allenamento spirituale o se era perché il suo corpo era diventato tanto leggero, fatto sta che Fray iniziò a volare. Spiccava piccoli saltelli, galleggiando nell'aria che pareva essersi fatta solida. In una manciata di secondi riuscì ad aggrapparsi alla balaustra che Erein aveva raggiunto e a scavalcarla.
Il Re Stregone e un'altra donna con una bambola tra le mani stavano inseguendo quella che a Fray non sembrò altro che un'ombra. Forse era la stessa la cui voce era stata sommersa dalle urla poco prima. Comunque, non importava. Il Cane seguì la coppia di prigionieri in un'altra stanza senza proferire parola, abbandonando l'espressione di rabbia omicida e assumendo l'aspetto di un randagio malnutrito ma ancora curioso. Si ritrovarono dinnanzi a tre porte con qualche scritta, poco gli importava. Erein brandì la sua arma e sfondò una porta, immergendosi in quell'oscurità insieme alla donna, così Fray li seguì senza troppo indugio. La vocina dentro di lui gli diceva che se Erein era nella sua stessa condizione, sicuramente stava cercando un modo per uscire e seguirlo era l'opzione migliore.

Certamente la porta della PSICHE sarebbe stata la più adatta ad un uomo nel suo stato.

Energia: 40% / 100%
Fisico: 80%, (-20%) ferita da perforazione al fianco destro, graffi sparsi sul torace
Mente: 80% / 100%, follia
Equipaggiamento: mani e gambe dure come il ferro (armi naturali), corallo (utilizzato)
CS: 4 (Forza); (-4, utilizzati tra Maestria e Forza)

Tecniche Passive
(1/25) - Funambolo: il possessore di questa abilità ha sviluppato la capacità innata di sfruttare il proprio fisico in un modo che è inconcepibile per i normali abitanti di Theras. Il suo intero corpo sarà completamente sotto il suo comando, permettendogli movimenti e spostamenti degni del più agile degli uomini, ma per un periodo di tempo limitato. Consumando un utilizzo della passiva, questa incredibile destrezza acquisita gli permetterà quindi di colpire il nemico da punti inusuali, ma anche di combattere in pose atipiche e di sfruttare tutti gli elementi dello scenario per avvantaggiarsi e confondere il nemico con la propria velocità. (Numero di utilizzi: 3/4)

Volo: i possessori del talento hanno raggiunto un tale controllo sul proprio corpo da trascendere i limiti umani. Consumando un utilizzo di questa passiva, l'eremita sarà in grado di levitare e di volare alla stessa velocità che avrebbe sul terreno. (Numero di utilizzi: 5/6)
Tecniche attive
///
Riassunto azioni: Fray riottiene il corallo e lo attiva immediatamente (+4 forza), quindi spende 2CS in maestria e 2CS in forza per stordire un Belphagor, saltargli sulla fronte e volteggiare nel modo più favoloso possibile verso la libertà (?). A questo punto segue gli altri due nella porta della psiche.


Edited by Snek - 14/10/2015, 18:55
 
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