| The Grim |
| | Scacciato dalla sua razza per colpa del suo orrendo crimine e la sua blasfemia, il caduto vagava per le terre degli Arshaid, godendo dell'ombra sotto le fronde degli Shaogal Crann. Si muoveva senza tregue, mosso dalla curiosità di cosa ci fosse oltre quella collina là, intrigato da che forma avesse il margine di quel bosco lì, oppure seguendo il fiume fino alla sua sorgente per poi seguirlo fino alla foce. Aveva trasformato la condanna dell'esule nell'entusiasmo del viandante, e viveva di esso, senza aver mai considerato la possibilità di stabilirsi altrove; forse aveva accettato con troppa gioia quel fato. Il suo fine non era quello di scoprire ogni anfratto dell'Erynbaran ma il semplice piacere di trovarsi ogni giorno - o quasi - in un posto diverso, senza deprimersi ogni qual volta si trovava bloccato per via di un incidente, tuttavia in quel momento trovava un fastidio quasi fisico nel stare all'ombra delle cupe foreste degli elfi, e desiderava qualcosa di nuovo. Non che fosse così sfrontato o avventuroso da desiderare i panorami del Dortan, e il solo pensiero del meridionalissimo Akeran gli faceva venire un capogiro; in tutta sincerità anche le vette dell'Erydliss gli parevano irraggiungibili, però le valli alle pendici di quei monti potevano essere un cambiamento piacevole. Fagotto in spalla, e una canzone sulle labbra e fu pronto a partire.
Un filo sottile di fumo s librava dai colli brulli fino al cielo, tradendo la presenza di un qualche insediamento, forse una fattoria. Subito un profumo di pesce arrostito e di verdure cotte prese a stuzzicare le narici di Amrod che affrettò il passo benché non stesse certo morendo di fame, con le sue capacità non aveva queste preoccupazioni, ma si era stufato di nocciole e bacche fredde; mettere qualcosa di sostanzioso fra i denti era quasi un bisogno fisiologico. Quando varcò la soglia del grande casolare in legno lo stomaco dell'elfo chiarì immediatamente come stavano le cose: un borbottio tonante che fece scoppiare in una risata tutti gli uomini e le donne del grande salone, un riso non di scherno o malizioso, ma di genuina allegria. Un donnone che aveva già superato la mezza età senza essere ancora entrata nella vecchiaia, con una treccia di capelli sudici e solo quattro denti in bocca, mise una ciotola fumante su di un gesto, e poi indicò prima l'elfo e poi quella; un gesto troppo autoritario perché l'Arshaid potesse rifiutare. Patate nere e cipolle rossastre galleggiavano un brodo arancione vaporoso, tanto invitante che sarebbe stato impossibile per chiunque non catapultarsi ad assaggiarlo, magari direttamente dalla scodella. L'elfo invece attirò più di uno sguardo sorpreso per il suo approccio completamente opposto, impossibile da dedurre tanto per il suo ingresso rumoroso quanto per quell'aspetto, se non da mendicante, almeno da vagabondo con i suoi abiti logori e rattoppati, le unghia nere e rotte, il viso sudicio di chi ha dormito sulla nuda terra. Invece quello si mise a tavola come un nobile signore, seguendo una qualche liturgia segreta, consumando il brodo come fosse un rituale, con le braccia attaccate al tronco, le spalle rigide e le labbra che si socchiudevano appena, in un ritmo quasi ipnotico di colpi di tovagliolo ogni quattro cucchiaiate e un sorso d'acqua ogni cinque, chiese di lavarsi le mani prima e dopo la portata, concluse il tutto con un grappolo d'uva spellato acino dopo acino solo con un coltello smussato, senza mai sfiorarli con le mani. Davanti a quello spettacolo la donna di prima, nonché padrona della casa, sentendo il tintinnare di oro facile, si sedette al tavolo con l'elfo, interessandosi al suo viaggio e intrattenendolo con storie di famiglia, riempendolo di premure e supplicandolo di fermarsi la notte; si sarebbe detto che assomigliava a certe zie affettuose, se non fosse che l'elfo non avesse mai avuto che parenti freddi e dalle alte aspettative. Quella tanto fece e tanto disse che, complice anche un bicchiere di vino, lo convinse ad accettare, facendo provare al vagabondo il piacere della morbidezza di un materasso dopo non sapeva più nemmeno lui quanti mesi; sprofondò in quella sensazione e si risvegliò che il cielo era già alto e molto più vicino al mezzogiorno che all'alba. Amrod ritornò al salone, assaggiò della polenta rimasta dalla sera prima, poi si lavò nell'acqua fredda del lago e pulito prese il suo fagotto, prima di chiedere alla padrona delle valli attorno, i suoi pericoli, ed eventuali insediamenti dove proseguire per il suo viaggio. Fece tutto con un ampio sorriso sulle labbra, ormai certo che tutte quelle chiacchiere su quanto gli uomini fossero burberi e scontrosi non fossero che pregiudizi. Col fagotto in spalla salutò la donna, e si preparò a partire, mentre quella rimaneva impietrita e balbettante. Iniziò così ad enumerare le comodità di cui aveva goduto Amrod, facendo notare fino all'ultimo dettaglio come il cuscino pieno di piume o il pitale pulito in stanza pronto all'uso, e quindi gli chiese dell'oro, ma l'elfo la guardò senza capire. Una precisazione è necessaria, anche fra gli Arshaid vi era il concetto di mercato, di pagamenti, e perfino della valuta, benché nell'Edhel venisse coniata raramente moneta, e si preferisse barattare altro, no, non era una qualche forma d'ignoranza ad averlo preso di sorpresa, ma una purissima ingenuità; era infatti convinto che quella fosse una fattoria e non una locanda, e che lui fosse un gradito ospite e non un cliente da spennare. Sopratutto Amrod non aveva un soldo in tasca, non aveva nulla con cui pagare la serata e questa mancanza l'aveva messo in agitazione, e più quella ripeteva i costi con voce sempre più stridula e gote sempre più rosse, più lui si trovava a corto di parole. Fu allora che sbucarono dal nulla - in realtà erano semplicemente seduti in cucina - due energumeni uno più alto dell'altro, pieni di cicatrici, con uno sguardo truce e barba incolta, che sul fianco tenevano dei grossi foderi ingioiellati, benché vuoti al momento, che si affiancarono all'elfo, gli indicarono la catenina argentea che teneva al collo, intimandogli di dargliela. Lui non aveva che poche cose, e fra le tante quella era l'unica che non poteva dare, l'ultimo ricordo della sua famiglia, provò a balbettare la cosa, ma quelli s'infuriarono ancor di più. In mente non gli brillò l'idea di suggerire che si mettesse a lavoro, e quelli sembravano tanto seccati, s'alzarono le maniche mostrando i bicipiti gonfi di chi aveva passato la vita a fare mestieri pesanti, o forse di chi aveva combattuto o combatteva ancora; all'Arshaid non rimase che di supplicare pietà. E così fece.
Scena concordata, si prega di chiedere prima di intervenire.
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