Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Ingenua provvidenza, Scena free

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The Grim
view post Posted on 12/10/2015, 23:50




Scacciato dalla sua razza per colpa del suo orrendo crimine e la sua blasfemia, il caduto vagava per le terre degli Arshaid, godendo dell'ombra sotto le fronde degli Shaogal Crann. Si muoveva senza tregue, mosso dalla curiosità di cosa ci fosse oltre quella collina là, intrigato da che forma avesse il margine di quel bosco lì, oppure seguendo il fiume fino alla sua sorgente per poi seguirlo fino alla foce. Aveva trasformato la condanna dell'esule nell'entusiasmo del viandante, e viveva di esso, senza aver mai considerato la possibilità di stabilirsi altrove; forse aveva accettato con troppa gioia quel fato. Il suo fine non era quello di scoprire ogni anfratto dell'Erynbaran ma il semplice piacere di trovarsi ogni giorno - o quasi - in un posto diverso, senza deprimersi ogni qual volta si trovava bloccato per via di un incidente, tuttavia in quel momento trovava un fastidio quasi fisico nel stare all'ombra delle cupe foreste degli elfi, e desiderava qualcosa di nuovo. Non che fosse così sfrontato o avventuroso da desiderare i panorami del Dortan, e il solo pensiero del meridionalissimo Akeran gli faceva venire un capogiro; in tutta sincerità anche le vette dell'Erydliss gli parevano irraggiungibili, però le valli alle pendici di quei monti potevano essere un cambiamento piacevole. Fagotto in spalla, e una canzone sulle labbra e fu pronto a partire.

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Un filo sottile di fumo s librava dai colli brulli fino al cielo, tradendo la presenza di un qualche insediamento, forse una fattoria. Subito un profumo di pesce arrostito e di verdure cotte prese a stuzzicare le narici di Amrod che affrettò il passo benché non stesse certo morendo di fame, con le sue capacità non aveva queste preoccupazioni, ma si era stufato di nocciole e bacche fredde; mettere qualcosa di sostanzioso fra i denti era quasi un bisogno fisiologico. Quando varcò la soglia del grande casolare in legno lo stomaco dell'elfo chiarì immediatamente come stavano le cose: un borbottio tonante che fece scoppiare in una risata tutti gli uomini e le donne del grande salone, un riso non di scherno o malizioso, ma di genuina allegria. Un donnone che aveva già superato la mezza età senza essere ancora entrata nella vecchiaia, con una treccia di capelli sudici e solo quattro denti in bocca, mise una ciotola fumante su di un gesto, e poi indicò prima l'elfo e poi quella; un gesto troppo autoritario perché l'Arshaid potesse rifiutare. Patate nere e cipolle rossastre galleggiavano un brodo arancione vaporoso, tanto invitante che sarebbe stato impossibile per chiunque non catapultarsi ad assaggiarlo, magari direttamente dalla scodella. L'elfo invece attirò più di uno sguardo sorpreso per il suo approccio completamente opposto, impossibile da dedurre tanto per il suo ingresso rumoroso quanto per quell'aspetto, se non da mendicante, almeno da vagabondo con i suoi abiti logori e rattoppati, le unghia nere e rotte, il viso sudicio di chi ha dormito sulla nuda terra. Invece quello si mise a tavola come un nobile signore, seguendo una qualche liturgia segreta, consumando il brodo come fosse un rituale, con le braccia attaccate al tronco, le spalle rigide e le labbra che si socchiudevano appena, in un ritmo quasi ipnotico di colpi di tovagliolo ogni quattro cucchiaiate e un sorso d'acqua ogni cinque, chiese di lavarsi le mani prima e dopo la portata, concluse il tutto con un grappolo d'uva spellato acino dopo acino solo con un coltello smussato, senza mai sfiorarli con le mani. Davanti a quello spettacolo la donna di prima, nonché padrona della casa, sentendo il tintinnare di oro facile, si sedette al tavolo con l'elfo, interessandosi al suo viaggio e intrattenendolo con storie di famiglia, riempendolo di premure e supplicandolo di fermarsi la notte; si sarebbe detto che assomigliava a certe zie affettuose, se non fosse che l'elfo non avesse mai avuto che parenti freddi e dalle alte aspettative. Quella tanto fece e tanto disse che, complice anche un bicchiere di vino, lo convinse ad accettare, facendo provare al vagabondo il piacere della morbidezza di un materasso dopo non sapeva più nemmeno lui quanti mesi; sprofondò in quella sensazione e si risvegliò che il cielo era già alto e molto più vicino al mezzogiorno che all'alba. Amrod ritornò al salone, assaggiò della polenta rimasta dalla sera prima, poi si lavò nell'acqua fredda del lago e pulito prese il suo fagotto, prima di chiedere alla padrona delle valli attorno, i suoi pericoli, ed eventuali insediamenti dove proseguire per il suo viaggio. Fece tutto con un ampio sorriso sulle labbra, ormai certo che tutte quelle chiacchiere su quanto gli uomini fossero burberi e scontrosi non fossero che pregiudizi. Col fagotto in spalla salutò la donna, e si preparò a partire, mentre quella rimaneva impietrita e balbettante. Iniziò così ad enumerare le comodità di cui aveva goduto Amrod, facendo notare fino all'ultimo dettaglio come il cuscino pieno di piume o il pitale pulito in stanza pronto all'uso, e quindi gli chiese dell'oro, ma l'elfo la guardò senza capire. Una precisazione è necessaria, anche fra gli Arshaid vi era il concetto di mercato, di pagamenti, e perfino della valuta, benché nell'Edhel venisse coniata raramente moneta, e si preferisse barattare altro, no, non era una qualche forma d'ignoranza ad averlo preso di sorpresa, ma una purissima ingenuità; era infatti convinto che quella fosse una fattoria e non una locanda, e che lui fosse un gradito ospite e non un cliente da spennare. Sopratutto Amrod non aveva un soldo in tasca, non aveva nulla con cui pagare la serata e questa mancanza l'aveva messo in agitazione, e più quella ripeteva i costi con voce sempre più stridula e gote sempre più rosse, più lui si trovava a corto di parole. Fu allora che sbucarono dal nulla - in realtà erano semplicemente seduti in cucina - due energumeni uno più alto dell'altro, pieni di cicatrici, con uno sguardo truce e barba incolta, che sul fianco tenevano dei grossi foderi ingioiellati, benché vuoti al momento, che si affiancarono all'elfo, gli indicarono la catenina argentea che teneva al collo, intimandogli di dargliela. Lui non aveva che poche cose, e fra le tante quella era l'unica che non poteva dare, l'ultimo ricordo della sua famiglia, provò a balbettare la cosa, ma quelli s'infuriarono ancor di più. In mente non gli brillò l'idea di suggerire che si mettesse a lavoro, e quelli sembravano tanto seccati, s'alzarono le maniche mostrando i bicipiti gonfi di chi aveva passato la vita a fare mestieri pesanti, o forse di chi aveva combattuto o combatteva ancora; all'Arshaid non rimase che di supplicare pietà. E così fece.


Scena concordata, si prega di chiedere prima di intervenire.
 
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Celian
view post Posted on 16/10/2015, 21:50




2a6r3n8 TARAS SCHEDA ELFO LADRO
« Ho dei gusti semplicissimi, mi accontento sempre del meglio »




Non si era mai recato nelle Erydliss, le montagne che dividevano il Dortan dall’Edhel e parevano invalicabili, figlie di leggende nelle quali i protagonisti erano solo i draghi più mostruosi e spaventosi descritti ai bambini per convincerli a non avvicinarsi a quei territori impervi protetti da esseri che non erano elfi e che per questo andavano temuti.
Quando ancora si trovava col suo clan in giovane età Taras aveva desiderato incontrare quelle creature, crescendo si era reso conto che fin dall’inizio non era stato il figlio che suo padre avesse voluto e per quanto amasse tutto dell’Edhel, voleva di più.
Quell’anno avrebbe superato il confine, ormai era tutto pronto, aveva rischiato superando le terre degli Arshaid e per sua fortuna non aveva mai incontrato nessuno dei Predatori di Neiru, in verità non li temeva e suo padre si era sempre mostrato un ottimo diplomatico ma non vedeva la ragione di rischiare.
Col passare del tempo si era chiesto se si sarebbe sentito solo o se avrebbe sofferto della separazione dal suo clan ma come sempre era sopravvissuto e in definitiva assieme a Celebrian non era mai davvero solo neanche quando lo desiderava.

Doveva prendere accordi per il viaggio attraverso la catena montuosa evitando accuratamente i cacciatori di Elfi, era stato messo in guardia fino all’inverosimile da ogni Rahm as Aid al riguardo e si fidava dei suoi simili nonostante tutto quello che era accaduto.
Aveva già trovato ciò che gli serviva ed aveva passato una buona nottata alla locanda per quanto la presenza di umani lo infastidisse, un tempo aveva creduto che a irritarlo fosse il loro odore rispetto alla presenza visto che le femmine della razza gli risultavano più gradevoli ma dopo aver visto la donna che gestiva quel posto aveva dovuto ricredersi.
Tutto era stato alquanto tranquillo se non noioso, aveva incontrato chi di dovere e si era divertito a recuperare qualcosa dal posto, solo un avvenimento inaspettato era riuscito a distrarlo dagli avvenimenti facendo ridere nella sua mente la sua interlocutrice che abitava nella borsa.
Un essere dall’aria fetida, più basso di lui e decisamente avventato era entrato nel locale, a Taras era bastata un’occhiata per comprendere la sua natura e quella scoperta l’aveva lasciato di stucco come non accadeva da anni. Nonostante quello però non si era avvicinato, avvicinarsi agli Arshaid poteva non essere una buona cosa per lui tantomeno in quel frangente quindi lasciò che il donnone che comandava la cucina, coi suoi occhietti porcini pieni di cupidigia, iniziasse a turlupinare il povero sprovveduto ritirandosi nella propria stanzetta angusta adiacente agli alloggi dei proprietari e quindi ai loro averi.
Gli esseri viventi erano prevedibili se non stupidi, credevano che tenendo vicino a loro quello che amavano l’avrebbero protetto ma di rado questo avveniva. Trovare un’asse di legno smussata nella stanza di chi possedeva quel posto era stato semplicissimo, così come aprire il loro materasso di piume in un punto strategico.
Togliere l’oro e mettere al suo posto il rame gli aveva dato un brivido di piacere, così come il sapere che ci avrebbero messo diversi giorni a scoprire il misfatto.
Adesso il suo borsello di pelle era ben gonfio e si sarebbe potuto pagare facilmente il viaggio, era passato inosservato e tutto era andato per il meglio si disse guardando l’alba sorgere dalla finestra. Andarsene di notte sarebbe stato sospetto ma altri viaggiatori si sarebbero mossi a quell’ora e si sarebbe avviato con loro per evitare di poter essere ricordato in alcun modo.
Gli abiti resistenti in pelle lo proteggevano e al contempo lo scaldavano, molto diversi dalle armature o dalle maglie di ferro che in quel clima si arrugginivano o bruciavano la pelle degli sciocchi che le indossavano. Avrebbe volentieri lasciato il posto in tutta fretta ma il gruppo in cui voleva sparire non sembrava intenzionato a lasciare il luogo accogliente ancora per alcune ore.
Si diresse quindi dalla locandiera e pagò il suo misero conto ricevendo in risposta uno sbuffo irritato e frettoloso come se fosse decisa a spendere il suo tempo con persone più remunerative, Taras la osservava da sotto il cappuccio scuro e pensava a quanti secondi ci avrebbe impiegato quella disgustosa creatura a venderlo se avesse saputo come sfruttare la cosa.

Furono pronti a partire quando il sole era già alto e mancava poco all’ora di pranzo ma a quel punto il biondo si accorse immediatamente che qualcosa stava per accadere e che l’altro elfo stava raggiungendo la sala.
Quello strano abitante dell’ Edhel pareva non aver capito dove si trovava ed era stato talmente ingenuo da lasciare la locanda dalla porta principale, togliendosi così ogni via di fuga, certo a lui sembrava pericoloso perché conosceva le abilità della razza ma alla sdentata l’altro appariva solo come uno straniero a cui aveva dato la stanza migliore.
Certo era stato un errore suo credere che quel fagotto di stracci fosse ricco e colpa dell’elfo pensare di trovarsi tra umani per bene, quelli erano rari come gemme e andavano coltivati. L’Arshaid aveva mostrato eleganza la sera precedente mangiando come si addiceva alla sua stirpe, come i suoi avi gli avevano insegnato quando aveva messo piede nel mondo ma questo gli aveva solamente causato guai.
Avrebbe voluto dire che non gli importava nulla della faccenda, sinceramente ogni elfo gli avrebbe creato problemi e dal momento e lui non era neanche un Rahm as Aid si sarebbe dovuto limitare a ignorarlo ma i suoi occhi chiari rimasero a osservare la scena e un fastidio profondo forse ancestrale gli fece contrarre lo stomaco.
Di solito alle persone la rabbia prendeva la testa, queste vedevano rosso e caricavano ma per lui era diverso, s’irrigidì nel vedere il viaggiatore così agitato era sicuro che avrebbe potuto reagire ma questi restava inerme quasi come un bambino sperduto colto nel sacco mentre rubava delle caramelle.
Gli ricordò se stesso a parte la rabbia e la frustrazione, al che venne accerchiato quando un urlo più forte della donna rischiò di far rompere una lampada ad olio e gli uomini che si avvicinarono apparivano grossi e stupidi con i loro foderi ingioiellati privi di lame, sicuramente servivano più per far scena che per altro ma quando tentarono di prendere la catenella al vagabondo questi parve incredibilmente scosso.
La scena lo disgustava irritandolo, non era da lui essere così empatico ne sentirsi in dovere di fare qualcosa, non si metteva in mezzo perché era un’ombra e tale doveva restare ma quando l’Arshaid parve sul punto di prostrarsi e chiedere pietà un brivido gli attraversò la schiena al che si avvicinò al gruppo con fare tranquillo gettando poi davanti alla donna parte delle monete che aveva recuperato dal suo stesso desco. Queste subito iniziarono a rotolare e caddero con un tintinnio che fece luccicare gli occhi ai tre umani.
Si piegarono a recuperarle dopo un istante e i due uomini per poco non scostarono l’elfo con tanta forza da farlo finire a terra e fu in quel momento che Taras gli si avvicinò in un unico movimento “Via da qui” disse solamente nella lingua comune per evitare che l’altro cogliesse la sua vera natura come il resto della locanda, i loro popoli non si amavano ma vedere un elfo maltrattato dagli esseri umani senza fare nulla lo avrebbe fatto stare male per giorni per quanto l’altro avesse poco delle creature di cui suo padre decantava le lodi, seppur controvoglia, nei suoi ricordi.
Prese l’altro per l’avambraccio e mentre ancora gli assalitori cercavano le monete, tra le assi di legno e sotto i tavoli, fece la sua mossa. Sbucarono lateralmente dalla porta principale dove il gruppo che il ladro aveva scelto si stava muovendo, l’altro non sembrava particolarmente agile ma non ebbero problemi evidenti.
A quel punto gli indicò una macchia di alberi e si scostò da lui per fare strada, conosceva un’insenatura sicura lì vicino dove arrivava l’acqua del lago. Non poteva rischiare che la donna mettendo via le monete scoprisse il misfatto e li cercasse, avrebbe potuto giustificare il denaro ma non voleva che quella creatura conoscesse le sue fattezze.


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Lill'
view post Posted on 19/10/2015, 19:34




Era l’inizio dei mesi invernali, o forse la fine della stagione calda, quando Rick Gultermann ripassò in fretta e furia le montagne al ritorno dal Dortan. Il suo lavoro a Ladeca era andato diversamente da come sperava. Il tempo sopra i monti restava sempre incerto, con dei macigni di nuvole grigie che occupavano il cielo basso. Così si sbrigò a tornare al Nord a finire gli affari che gl’erano stati affidati sotto il Gigante che dorme.
La traversata fu difficile come sempre, tanto più da solo e a tappe forzate, per infine arrivare nella regione dei fiumi prima della luna nuova. Il battello per Neurisiens partiva all’inizio del mese. Dopo giorni di impicci e gallette gelate, Occhio di civetta trovò una fattoria non lontana dal corso d’acqua che si srotolava giù nel centro della valle. Era notte fonda. Si stravaccò a dormire esausto, perché non si era fermato se non nelle grotte o in qualche eremo per paura di perdere il passaggio con la chiatta di pescatori. Quando si svegliò, ormai a mattina inoltrata, spese quanto aveva nel primo vero pranzo da settimane.
Una giornata abbastanza chiara
gli accennò dopo il pasto un tizio di mezz’età, seduto come lui sulle scalette del cortile con una coppa di birra in mano. Il sole del mezzogiorno era vicino, e Rick si grattava la pancia confuso dall’alcol dopo essersi rimpinzato. Fissò l’uomo.
Per adesso, sì.
Mugunò il nano. Il freddo dei monti, quello che azzanna dita e nasi, era un ricordo prossimo eppure già sbiadito come tutto il resto, mentre Rick scrutava lo spiazzo di terra umida davanti alla fattoria. A un certo punto indicò la stradina che arrivava sul retro, perdendosi nei boschetti di abeti.
Quindi non hai mai visto grossi carri, mh? disse. Anche più muli in pochi giorni, dico, casse o offerte di merci esotiche…
L’altro scosse la testa. “Noi prendiamo tutto dai villaggi vicini, sì. Su oltre la valle.
Aveva pieghe arrossate agl’angoli della bocca, ed era più ubriaco di lui: pareva solo un povero Anahmid di passaggio.
Così Rick rimase incantato a guardare il cielo per un po’. Il tizio non aveva fatto parola nella mezz’ora precedente, da quando lui gl’aveva chiesto se aveva sentito di nuovi insediamenti. Qualcuna delle Lanterne stava tirando su un fortilizio dall’altro lato della valle, pareva; di demoni lì nella zona non se n’erano più visti da qualche luna. E neanche questa volta, come all’andata, Rick aveva fatto in tempo a ripassare per la colonia e salutare gli elfi che conosceva e gl’altri in città, o a vedere le palizzate punteggiate di fiori di Biancocolle o il villaggio incastonato tra la cime di Alfar. Strinse gli occhi nella luce abbacinante del mezzodì, che però non attaccava nessun vero calore sulla pelle.
Era stanco.
È che non lo chiedo per me, ecco… cominciò con la storia buona. Potevano avere usi simili nelle città degli uomini, ma i riccastri e i politicanti di Neirusiens risolvevano le controversie con altre leggi, più tipiche dell’Edhel. Nessuna di queste era scritta.
Al silenzio stolido dell’altro Rick scosse amaro al testa; pensò che qualcosa doveva pur aver sentito, anche voci di terza categoria. Dall’interno dell’edificio arrivava un forte baccano. Il nano cercò di ricordarsi se aveva chiuso a chiave la stanza, mentre contava il numero di armi che aveva infilato alla cintola: era il caso di salire su e recuperarne qualcun’altra, giudicò, se davvero doveva risolvere quella faccenda senza chiedere ma solo ascoltando risposte. Inspirò un’ultima volta l’aria fresca. Il fondino di birra aveva un sapore annacquato.
Ehi, ma che è questo casino?” fece a un certo punto l’Anhamid ubriaco.
Allora dei tizi uscirono a rotta di collo dalla porta, correndo in mezzo ai due sull’uscio.
Che diav-' pensò Occhio di Civetta, che rimase comunque seduto a guardare la coppia di fuggitivi scomparire tra le ombre dei pini. Buttò via la coppa, pattandosi i calzoni con gli occhi lucidi di alcol per vedere se era tutto in ordine. Poi rientrò a prendere le sue cose.

Fu poco dopo pranzo, mentre stava ripassando in camera il numero di uomini armati della fattoria, che arrivò l’urlo dal piano di sotto:
Sporco elfo ciccione, morto di fame!”
E via a imprecare, per diversi minuti.
Rick non ci fece caso, perché di guai ne avrebbero visti di peggio a breve – o forse i loro guai erano iniziati tempo prima, quando avevano deciso di rivendere merci non loro. Già, doveva essere proprio così: i guai iniziavano sempre tempo prima. Saldò le asce da lancio al fianco dei pantaloni. Inavvertitamente ripensò alla figura bruna e a quell’altra sottile, un ricordo intorbidito dalla birra: quei due scrocconi dovevano avercela fatta a fuggire, quindi. Fu mentre stava per aprire la porta martello in mano che quella storia cominciò a prendere il senso giusto.
Ha preso anche i pezzi piccoli...” farfugliava il donnone della fattoria,
- non c’è più NIENTE!
Rick Gultermann si fermò immobile davanti alla porta della sua stanza; strinse gli occhi, mugugnò pensoso. Poi capì. Gli ci volle un paio di minuti per contare alla buona le ore rimaste con la mano libera, trovando che il battello non sarebbe partito prima della mattina seguente.
Schioccò la lingua soddisfatto.

Quel pomeriggio Occhio di civetta pagò di tutta fretta i fattori disperati e salutò l’Anahmid con cui s’era calato qualche bicchiere. Quando uscì il sole s’era spostato più in là nella valle, e la luce indicava fiacca verso il boschetto di conifere. Si immerse nella macchia, dove gli aghi dei pini scintillavano di un verde acceso, pieni di gocce per via dell’umidità. Non ci mise molto a scovare le tracce, proprio nella direzione in cui si ricordava; pedate pesanti nel suolo fangoso. Ancora non si vedevano grosse nuvole in cielo mentre Rick si avviò a portare a termine il suo ultimo incarico per quella stagione, la mano sull’asta del martello.
Era quello che si diceva sempre.


 
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2 replies since 12/10/2015, 23:50   112 views
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