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La crociata del traditore ~ La rana e lo scorpione

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Ray~
view post Posted on 7/11/2015, 20:56 by: Ray~
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Raymond Lancaster
crossroads

— al termine di un viaggio —


Sono arrivato a Lithien con la neve negli stivali e la nebbia nelle narici.
L'umidità aveva lasciato il posto a un'aria elettrica che mi faceva prudere il naso e bruciare gli occhi. Mi ricordò di quando Aedh portava me e Athelstan a visitare alcune rocche sul confine con l'Ystfalda. Gli uomini di lì mi erano sembrati contenti di quella posizione. Avevano mostrato con orgoglio le scorte ordinatamente stipate per l'inverno; i coltelli e i cavalletti pulitissimi con cui conciavano le pelli della cacciagione; i tetti spioventi delle torri, costruiti con una pendenza così accentuata da impedire che si sfondassero per la neve; la legna da ardere, ricavata anzitutto da un ceppo malato che avrebbe potuto infettare la foresta. Si inserivano nell'equilibrio della montagna con la gentilezza di una madre.
Ispirai a fondo l'aria autunnale, nella speranza di potervi cogliere parte di quell'armonia.
Sentivo solo il freddo e l'odore delle foglie che marcivano. Continuai a muovermi verso quella che inizialmente avevo scambiato per la piccola vetta di un ultimo rilievo.
La città si nascondeva nella nebbia avanti a me. Mutava forma di continuo, come un gigante che si rigira nel sonno.
Non saprei dire quanto tempo fosse passato dalla mia partenza e pregavo che il sigillo di Prospero potesse farmi entrare a Lithien. Non ero disposto a tornare indietro né avevo piani di riserva nel caso in cui mi avessero sbattuto in faccia le porte della città. In quel caso mi sarei limitato a proseguire verso nord, fino alla fine di Theras.
Non c'erano mura; perlomeno non come le avevo sempre intese. La sottile, bassa e storta cinta di pietra che circondava la città sembrava il tratto di un bambino che cerca di delimitare ciò che sta dentro da ciò che sta fuori. Era del tutto incapace di sostenere un assalto militare: non superava in altezza gli edifici più bassi ed era spessa come la parete di una normale abitazione.
Mi fermai per un istante e passai il dorso dei guanti sulle palpebre per liberarle dal ghiaccio. Il resto della città si sviluppava quasi in verticale, in un'unica guglia, come un mostruoso castello che divorava se stesso nel tentativo di toccare il cielo. Era diversa da qualsiasi costruzione avessi mai visto. Ebbi l'impressione di stare guardando una contorta architettura partorita dall'Oneiron: le arcate non avevano geometria e i palazzi facevano gara a chi si alzava di più, a costo di poggiare in parte o del tutto sui caseggiati più bassi. Come poteva rimanere in piedi una città del genere?

« Benvenuto, viandante. » la voce mi raggiunse dalle spalle, fredda e nitida come il ghiaccio. « Non temere, non sono un tuo nemico. »
« Voltati. »
Obbedii nonostante zoppicando. Davanti a me vi era un uomo con indosso delle vesti leggere, un mantello con cappuccio bianco e un paio di guanti di pelliccia. I lineamenti del viso erano androgini e notai che il fiato non gli si addensava per il gelo. Non mi ero reso conto della sua presenza fino a quell'istante, né avevo visto persone avvicinarmisi. Ebbi l'impressione che fosse emerso dalla neve.
« Non è da tutti raggiungere la cuspide da soli, senza compagnia né attrezzatura. » quello strinse le palpebre. « Chi sei? »
Non risposi. Il gelo mi tagliava la voce e non desideravo perdermi in convenevoli. Lui parve accorgersene.
« Immagino che possa interrogarti più avanti. Se vuoi entrare a Lithien, però, ho bisogno che tu mi dica il tuo nome. »
Aprii la bocca, ma le labbra iniziarono a sanguinarmi e la gola mi si infiammò. Quella che ne seguì fu una voce diversa dalla mia, debole e spezzata.
« ...s-serpe. »
L'altro alzò un sopracciglio. « Beh, è un miracolo che tu sia vivo, Serpe. » congiunse le mani in un gesto di condiscendenza. « ...ma io ho bisogno di sapere il tuo vero nome. »
Con uno sforzo che mi richiese più energia di quanta ne ero provvisto, infilai una mano sotto al mantello fino a tastare il sigillo di Prospero. Gettai la medaglietta bianca e blu ai suoi piedi, sulla quale era ben visibile il blasone della città.
« Questa non è di tua proprietà. » corrugò la fronte. « Anzi, a seconda delle circostanze potrebbe persino peggiorare la tua situazione. »
Lo vidi abbassarsi il cappuccio. Le lunghe orecchie a punta mi rivelarono che si trattava di un elfo.
« Il nome. »
Infine, mi risolsi di dargli ciò che chiedeva.
« ...R-raymond Lancaster. »
Quello sgranò gli occhi.
« ...quel Raymond Lancaster? »
Gli feci cenno di sì con la testa. Le tempie mi pulsavano per lo sforzo.
« Non avevo idea... » lo sguardo che mi regalò ebbe l'effetto di farmi sentire un fenomeno da baraccone. « Prego, signor Lancaster, mi segua. » Io esitai e lui intuì ciò che avrei voluto rispondergli. « Oh, certo, immagino che non voglia sentirsi chiamare col nome di suo padre. Mi segua, Raymond. »


rirdHPz

Non mi ero reso conto di quanto fossi cambiato in quei mesi finché non mi trovai di fronte a uno specchio.
L'elfo mi condusse all'interno della città senza fermarsi un momento. Mi impedì di procedere verso il corpo di palazzi centrale e mi indicò una via che correva all'interno delle mura, spazzata dalla neve. Le strade erano buie e disabitate, ma dagli angoli dei vicoli provenivano voci e bisbiglii di fantasmi sui quali non riuscivo a posare lo sguardo. Vista da dentro la città dava l'impressione di essere più solida; protetta: le vette si piegavano su di lei con fare materno, la nebbia la nascondeva senza oltrepassarne i confini e la neve la baciava sulle punte.
Mi fece entrare in un edificio basso, con poche finestre, al cui interno erano disposte panche e tavoli di legno; sembrava la mensa di una caserma. Alcuni elfi vestiti come lui si aggiravano per la stanza come spettri, senza che riuscissi a comprenderne la funzione; posarono il loro sguardo su di me per un istante e tornarono alle loro faccende.
« Questa è una sala d'accoglienza; solitamente è adibita per gruppi più numerosi di viaggiatori. » mi spiegò. « Avremo bisogno di fare ancora qualche controllo, prima di lasciarla muoversi liberamente per la città. »
Io non protestai. Erano già riusciti a strapparmi l'unico segreto che avessi interesse a preservare.
Mi fecero portare una zuppa di rape rosse, ma mi resi conto di essere troppo stanco per apprezzarla. Il tremito delle mani mi impediva di tenere il cucchiaio e gli sguardi degli elfi mi mettevano a disagio; quando il liquido toccò le mie labbra, le sentii aprirsi e riprendere a sanguinare. Mi salirono le lacrime agli occhi, alzai una mano per coprire la bocca e poggiai il cucchiaio; avrei mangiato più tardi. Non ero nemmeno più sicuro di averne bisogno.
Qualche minuto più tardi venni condotto in un'altra stanza dell'edificio, con una branda di tela e tre elfi pronti a esaminarmi. Qui le mura erano più chiare e l'unica illuminazione proveniva da due bracieri che rilasciavano un fumo dolciastro, d'incenso. Non appena l'ebbi annusato sentii i miei sensi annebbiarsi e i muscoli farmisi deboli.
Mi fecero spogliare e mi passarono le mani sul corpo, come se ciò bastasse ad assicurarsi del mio stato di salute. Di tanto in tanto si guardavano tra di loro confusi, poi tornavano a carezzarmi con gentilezza, facendomi rabbrividire. « Tutto a posto? » chiesi nell'incrociare lo sguardo preoccupato di uno. Non ottenni risposta.
Parve che non trovassero alcuna anomalia nel mio corpo, poiché dopo mezz'ora mi fecero rivestire e mi lasciarono andare. Nella stanza d'accoglienza rincontrai l'elfo, che si premurò di scortarmi a un alloggio più accogliente.
« Cosa sono quelli? » gli indicai gli edifici gargantueschi al centro della città, mentre lo seguivo.
« Lì è dove sono custodite le memorie di Lithien; il nostro orgoglio. » mi rispose. « Tutta la conoscenza del mondo è stipata all'interno di quelle mura. Gli anziani si premurano di tenere gli archivi sempre aggiornati e di amministrare la città intorno alle principali branche del sapere. Al loro interno, giovani maghi promettenti vengono educati affinché divengano adulti responsabili. »
« Questa città è completamente diversa da quelle a cui sono abituato. »
« Non ne dubito. »
« Sembra più una gigantesca accademia. »
« ...Mi segua, la prego. »
Mi condusse sino all'altro capo della città, proprio sotto alle torri più grandi. Le costruzioni si stagliavano su di noi come un corpo unico, tutte accavallate le une sulle altre. Lì mi aprì una pesante porta di legno e mi mostrò l'interno di una casupola di piccole dimensioni, non troppo diversa da quella in cui ero già stato.
« Gli anziani si premurano di adibire degli alloggi per gli ospiti più di rilievo. » mi disse. « Per ora faccia come se fosse a casa sua. Presto verrà raggiunto da un nostro funzionario che la accompagnerà dove desidera e raccoglierà le sue intenzioni riguardo alla permanenza nella nostra città. »
« Non ho bisogno di una scorta. »
« Non lo facciamo certo per lei. » mi sorrise. « Per Lithien, piuttosto. »
Dopodiché si ritirò il cappuccio sulle orecchie e si allontanò.
L'uscio era troppo basso. Dovetti chinarmi e poggiare una mano contro l'architrave per entrare.

L'interno dell'abitazione era più confortevole di quanto non sembrasse. C'erano una branda di tela, una scrivania, due sedie, un piccolo mobile, una mensola e un armadio per i vestiti, tutti di legno scuro e dagli angoli arrotondati; nella seconda stanza vi era un bacile pieno d'acqua e un vaso da notte. Un vago odore di polvere permeava tutto l'edificio. Il silenzio era assoluto.
Fu lì che mi trovai di fronte allo specchio, nel bagno della casa. Fu come guardare negli occhi di uno sconosciuto.
La barba mi si era allungata di almeno dieci centimetri e mascherava l'interezza dei miei tratti somatici. I baffi mi coprivano le labbra e il naso era rosso e spellato per il freddo.
Alzai una mano per toccarmi le guance. Erano gelide.
Mi lavai il viso due volte, ma gli occhi di quello sconosciuto erano ancora lì a fissarmi. La mia pelle si intirizzì a contatto con l'acqua fredda, rivelando nuove rughe vicino alle tempie. Faticavo a sostenere il mio stesso sguardo.
Ero troppo stanco per decidere se piacermi o meno, ma riflettei sulla possibilità di tenere la barba. Con quella poche persone sarebbero state in grado di riconoscermi. Tornai nell'altra stanza e mi sedetti sulla branda, dove la stanchezza del viaggio mi crollò addosso tutta insieme.
Prospero, Ariel, Lindorm... tutto sembrava così distante da appartenere a un'altra vita; il cucciolo di drago se n'era andato dopo il litigio e non si era fatto più vedere. Per non parlare di Ladeca, Zoikar e Basiledra. L'unico pensiero che riusciva a farsi strada nella mia mente era che finalmente ero arrivato. Ero lì dove volevo arrivare. Forse negli archivi di Lithien sarei riuscito a trovare una risposta alla maledizione che mi portavo dietro, e dalla quale nemmeno Zoikar era stato in grado di liberarmi. Una maledizione chiamata "vita". D'altra parte non avevo alcuna fretta nell'iniziare le mie ricerche: non esisteva ragione per cui valesse la pena combattere insistentemente. La risposta sarebbe arrivata, prima o poi.
Sentii il tiepido sole autunnale accarezzarmi le mani dalla finestra. Chiusi gli occhi e lasciai che il cuore mi si riempisse di gratitudine per qualcosa di così bello e così semplice al tempo stesso; presto sarebbe tornata la tempesta.

Non so quanto tempo rimasi immobile, lì, a godermi quel singolo raggio di sole. Fatto sta che qualcuno bussò alla porta.
Aprendola mi trovai di fronte a un'elfa dalla bellezza sconvolgente. Aveva il viso di una bambina e gli occhi ambrati di un cerbiatto. Non dimostrava più di vent'anni, anche se con gli elfi è difficile definire un'età. I suoi capelli erano lunghi, lisci, scuri, perfettamente pettinati e profumavano di muschio. Nonostante fosse perfettamente eretta non arrivava in altezza alle mie clavicole; ciò contribuì ad alimentare l'impressione di creatura fatata che mi ero fatto di lei: era come guardare un animale di bosco timido, fragile e forte allo tempo stesso; uno schivo dio della foresta che poco ha a che vedere con la vita di città. Forse non era neppure così bella, ma lo era ai miei occhi.
La vidi abbassare lo sguardo e ritrarre la testa tra le spalle. Mi ritrovai a fare lo stesso.
« È lei... il Drago Nero? »
La sua voce era melodiosa, nitida e perfettamente accentata. Il mio primo pensiero fu che era così che dovevano parlare le muse.
Feci un cenno affermativo.
« Mi chiamo Airin. » continuò senza guardarmi. « Io... ho il compito di accompagnarla durante la sua permanenza a Lithien. »
Storsi le labbra. « Ho già detto che non ho bisogno di un accompagnatore. Se temete per la vostra città, posso garantirvi che sono qui solamente in veste di ricercatore... » replicai nel tono più gentile che mi riusciva, mentre lei si tirava la veste con le mani.
« No... non capisce. » disse a mezza voce. « Gli anziani hanno l'abitudine di registrare tutto ciò che avviene a Lithien in modo da inserirlo nelle memorie. Io ho il compito di accompagnarla, assisterla, e di annotare i suoi comportamenti, in modo che possano essere trascritti e ricordati per gli studi a venire. »
Le diedi le spalle.
« Non credo di essere un soggetto degno di tanta attenzione. »
« Affatto! » alzò lo sguardo, emozionata. I suoi occhi erano persino più belli di quanto non avessi immaginato la prima volta. « Lei è un'importante figura storica che credevamo deceduta nel corso della guerra civile di Basiledra! È un onore per noi poterla accogliere e registrare le sue testimonianze su ciò che le è accaduto. »
In quello scatto di curiosità risentii le note della voce di Fanie e mi mancò il fiato. Portai una mano al collo e passai due dita fra le clavicole e l'allaccio del mantello, per respirare meglio.
« Va bene. » mi limitati a guardarla di soppiatto. « Quindi dovrò affidarmi a te per raggiungere la biblioteca? »
Lei sorrise.
« Quale delle tante, sir Lancaster? »
« Lascia perdere. » arrossii. « ...e chiamami Raymond. »
« Sì! »

Da quel momento Airin iniziò ad accompagnarmi ovunque ne avessi la necessità. Mi mostrò la città e chiarì molti dei miei dubbi: la maggior parte delle persone passavano il loro tempo all'interno delle accademie e camminavano per le strade solo quando dovevano tornare alle loro abitazioni. A Lithien vi erano pochi negozi e ancora meno taverne.
Mi spiegò che la città era sorretta da un'architettura in buona parte magica: un sostegno fantasma che permetteva al complesso di torri, guglie, archi e merli di attorcigliarsi su se stessi. Mi disse che il freddo era circoscritto all'esterno delle mura e che, grazie al potere degli anziani, nemmeno le peggiori tormente di neve riuscivano a toccare le strade.
Sebbene passasse la maggior parte del tempo a guardare per terra e a camminare in silenzio, Airin era un pozzo di informazioni. Calma e contemplativa lungo la superficie, nascondeva un oceano profondo e inesplorato sotto il pelo dell'acqua. Mi scoprii a sorridere dei suoi frequenti approcci di conversazione e fu grazie a uno di questi che iniziai sospettare che cercasse da me qualcosa di più della semplice compagnia.
« Lei lo sa, Raymond, di essere un mistero anche per gli anziani di Lithien? » mi chiese un giorno che andavamo alle biblioteche. « I guaritori sostengono che il suo corpo fosse clinicamente morto, quando lo hanno esaminato. Il suo cuore non batteva, la sua carne era completamente congelata e i suoi polmoni incapaci di respirare. Eppure sono tra i migliori guaritori di Theras. Come crede che sia possibile? »
« Dammi del tu. » le risposi. « Soprattutto se hai intenzione di continuare a farmi domande così personali. »
« Oh, sì! » esclamò lei. Affossò la testa nelle spalle e si mise a guardare verso il basso. Io arrossii. Arrossisco troppo facilmente. « Scusa. »
« Comunque, si può dire che sia qui per risolvere anche questo mistero. »
Lei inclinò il capo e fece un'intuizione di grande acume.
« ...Non è la prima volta che accade? »
« ...No, non lo è. »
Il pensiero della mia sgradita immortalità mi rabbuiò il viso. Non provavo alcuna gioia nel sapere che quella notizia andava diffondendosi. Io stesso non sapevo come interpretarla. Sentir parlare del mio corpo "morto" mi faceva rabbrividire e rievocava nella mente i ricordi di ciò che avevo vissuto nella dimora di Zoikar, a Basiledra Nera. Tanto bastava per farmi desiderare di pensare ad altro.
Airin mi poggiò una mano sul braccio e mi fissò a labbra strette, con le guance rosse per il freddo. Lasciai che premesse il suo viso contro la mia spalla.

Eppure sentivo tra me e Airin una distanza incolmabile.
Andavamo d'accordo e provavo per lei un'attrazione che non ricordavo più sin dai tempi di Fanie. Mi piaceva averla accanto ed eravamo in sintonia sia durante le conversazioni che nei silenzi; soprattutto imparavamo l'uno dall'altra, ci scambiavamo opinioni, informazioni e considerazioni. Con lei riuscivo a dimenticare il costante sottofondo di solitudine che mi accompagnava da sempre. Quando ero solo nel letto, la notte, pensavo a lei e sentivo il desiderio di stringerla tra le braccia; un desiderio che, lei tentò di farmi intendere con numerosi gesti di conforto, era ricambiato. Quando leggevo la scoprivo a fissarmi intensamente e il suo viso si apriva in un dolce sorriso.
Provare un interesse così spontaneo per qualcuno era come tornare a respirare. Una deliberazione del ventre che si sfogava in un lungo e piacevole sospiro. Preziosi momenti di quotidianità che risplendevano come stelle isolate in un cielo di nero sconforto.
Ciò nonostante un angolo della mia mente non faceva che domandarsi: "Anche se lei ricambiasse, cosa speri di poterle offrire?"
e ancora:

- Lei merita di più.
- Ma chi ti credi di essere?
- E con tutto quello che ti sta succedendo, questa è la tua preoccupazione?
- L'hai dimenticato? Tutto ciò che tocca il drago nero marcisce e muore.
- Ma perché, ti ricordi ancora come fare andare il cazzo?
- Stai usando un'infatuazione per dimenticare la tua pateticità.
- Vuoi veramente coinvolgere altre persone?
- Non hai le palle.
- Con che presunzione pensi di capirla?
- Ma guardati, potresti essere suo padre.
- Finirebbe come con Fanie.
- Ti sei ridotto a rincorrere le ragazzine?
- Lascia perdere. Sei ridicolo.
- Devi riprendere il controllo sulla tua vita.


Si potrebbe pensare che avrei dovuto inorgoglirmi di una preoccupazione così mondana. Invece il presunto interesse di Airin suscitava in me dei pensieri così veri da togliermi il fiato, ogni notte. Masticavano qualunque emozione e la trasformavano in un'abbandono simile a un limbo nero, che mi abbracciava prima di andare incontro al sonno. Spesso venivo svegliato dalla visione di Terra Grigia in fiamme e dalla sensazione di esserne la causa; un incubo che mi era famigliare e al quale non mi sarei mai abituato. Quando ciò accadeva mi svegliavo e boccheggiavo alla ricerca d'aria, correvo al bagno per passarmi l'acqua sulle braccia, poi uscivo e rimanevo all'aperto per un paio di minuti, per liberarmi dal ricordo del fumo e dall'odore di bruciato. A nessuno capitò di vedermi in quello stato. Smisi persino di fumare la pipa.
La mattina avevo l'abitudine di allenarmi per un'oretta, aspettando l'arrivo di Airin. Così trascorrevo le notti nel tormento, mentre il giorno lo passavo a esplorare le sconfinate biblioteche di Lithien.

Le aule erano l'opposto dei vicoli della città: colorate, rumorose, popolate da persone di ogni razza, genere e tipo. Gli alunni si muovevano da una stanza all'altra in grossi agglomerati. Seguivano elfi vestiti di bianco e parlottavano tra loro di una vasta gamma di argomenti: politica, storia, manifattura, magia, creature mostruose. Qualche volta mi parve di scorgere fra loro delle facce famigliari, ma fu solo l'impressione di un momento. « Il cuore di Lithien sono le sue accademie. » mi spiegò Airin dopo che ebbi rischiato di andare a sbattere contro uno studente. « Molti stranieri passano per la città alla ricerca di informazioni, ma chi resta a lungo lo fa per studiare e deve essere accettato dagli anziani. »
« Io sono stato accettato? »
« Lei... » si corresse. « ...tu sei un caso eccezionale. »
I miei argomenti di consultazione preferiti riguardavano le proprietà del sangue di drago, la cosmologia dei Daimon e la mitologia di Zoikar. Il cuore di Alexej mi aveva salvato già una volta in passato, ma dubitavo che il suo sangue fosse sufficiente a opporsi all'azione di un Daimon; in verità iniziavo a dubitare che persino la mia sopravvivenza nel deserto dei See fosse dipesa da quello. « Uh, io adoro gli studi sui draghi! » si lasciò sfuggire Airin quando mi vide chinato su una polverosa copia di Storia e Cultura dei draghi: gli antichi dèi di Theras. « Qui a Lithien sono un argomento di grande attualità e ho seguito numerose classi a riguardo. Posso aiutarti? »
Evitai di rivelarle che metà del mio cuore apparteneva a una di quelle creature e le confessai soltanto un generico interesse nei confronti della materia.
« Beh, va detto che il sangue di drago ha proprietà rigenerative eccezionali: dicono che poche gocce siano sufficienti, se opportunamente miscelate con altre erbe, a generare delle panacee in grado di guarire da qualsiasi malattia. Poi esso possiede un'aura molto potente: quasi una sorta di odore che lo rende tracciabile anche a grandi distanze. Infine alcune leggende sostengono che quando il sangue di due draghi imparentati entri in contatto risplenda di luce propria; per evitare che padri e figli trovino a combattersi senza essersi riconosciuti, insomma. I draghi sono creature molto indipendenti, in fondo. »
Ma era in grado di salvare dalla spada di un Daimon?
Su Zoikar non trovai altrettante informazioni. I libri che trattavano lo studio dell'Oneiron facevano ampio uso di termini tecnici di cui mi sfuggiva il significato e si rifacevano a conoscenze pregresse oltremodo distanti dalle mie. Solamente un passaggio de l'Architettura del cosmo mi restò impresso. Diceva: "Immaginando la cosmologia di Theras come una sfera con numerose superfici concentriche, e ciascuna di queste superfici come uno strato dell'Oneiron appartenente a un differente Daimon, ciò che molti studiosi vengono a chiedersi è che cosa si trovi al di fuori di tale guscio. Benché la risposta della maggior parte di loro sia "nulla", una branca minoritaria di visionari ritiene che essa vada ricercata nell'Asgradel. A tal proposito va ricordato il recente tentativo di Rainier Chevalier, il Re che non perde mai, di accumulare sufficiente energia da "bucare" i numerosi strati del cosmo e trovare una risposta per sé, durante la battaglia del Crepuscolo. Naturalmente ciò ha comportato la perdita di un incalcolabile numero di vite umane e un dispendioso consumo di energia magica senza che, in ultima istanza, dal suo atto venisse rivelato alcunché, se non l'inappropriata efficacia del mezzo adottato."
Dunque era di questo che trattava "Sugli incubi e sulle abiezioni", il volume che avevo recuperato a Ladeca e che riposava fra i miei bagagli. Rainier aveva trovato un modo per consumare le anime altrui e trasformarle in un'energia che gli consentisse di viaggiare fra i piani, con l'obiettivo di raggiungere l'Asgradel.
Quando si dice "scherzare col fuoco".

Mi persi in quei pensieri e subito sentii la mano di Airin toccarmi la spalla.
« Non è un argomento un po' troppo complesso? Che legame dovrebbe avere con il sangue di drago? »
« Nessuno. » le dissi cullato dalla sua volontà di aiutarmi. « Semplice curiosità. »
Passarono settimane senza che riuscissi a trovare una risposta alla mia esistenza. Nessun libro di Lithien suggeriva la possibilità che esistesse un caso di immortalità come il mio; anche l'eterna giovinezza di alcuni alchimisti o la grandezza ottenuta da patti con le creature del Baathos potevano essere spezzati dalla volontà dei Daimon. Non esisteva alcun modo documentato per cui io potessi essere sopravvissuto alla voce di Zoikar, eppure il mio cuore batteva, i miei polmoni si riempivano d'aria e le mie membra doloravano.
Ma naturalmente la tempesta sarebbe arrivata prima che riuscissi a venirne a capo.



PqblChG

È tutto molto bello, Raymond. Tutto molto bello. Ma io non ho pazienza per queste stronzate.
Sono venuto a Lithien alla ricerca di un drago da divorare e ci ho trovato un trentenne con crisi di depressione degne di un adolescente. Capisci il mio disappunto?
Ciò che tu pensi non ha importanza.
I tuoi problemi non hanno importanza.
Ciò che speri di trovare nei libri non ha importanza.
In effetti nulla ha importanza nel grande schema delle cose. Siamo granelli di polvere che vorticano senza meta, in balia di un destino capriccioso, e tu hai il coraggio di ripudiare un'eternità che chiunque altro custodirebbe come un tesoro.
Sai che cos'ha importanza, invece?
Il tempo che mi stai facendo perdere. La scaglia. La fame. La posizione di Rubietentia.
Lascia che ti illuda ancora un po'...


« Airin...? Airin... sei riuscita a capire perché, tra tutte le strade che ci apre il futuro, la scaglia di Venatrix ci abbia condotto da quest'uomo...? »
« ...Non ancora, mio signore. »

Gut1Io5

« Oh... peccato... ma non c'è fretta... Ricorda, però, che se vuoi una maschera... »
« ...Sì, mio signore. Non fallirò. »



CITAZIONE
Scena privata. Si prega di non intervenire.


Edited by Ray~ - 25/3/2016, 11:03
 
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