Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

La crociata del traditore ~ La rana e lo scorpione

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 7/11/2015, 20:56
Avatar

--------------------
··········

Group:
Administrator
Posts:
34,432

Status:


Raymond Lancaster
crossroads

— al termine di un viaggio —


Sono arrivato a Lithien con la neve negli stivali e la nebbia nelle narici.
L'umidità aveva lasciato il posto a un'aria elettrica che mi faceva prudere il naso e bruciare gli occhi. Mi ricordò di quando Aedh portava me e Athelstan a visitare alcune rocche sul confine con l'Ystfalda. Gli uomini di lì mi erano sembrati contenti di quella posizione. Avevano mostrato con orgoglio le scorte ordinatamente stipate per l'inverno; i coltelli e i cavalletti pulitissimi con cui conciavano le pelli della cacciagione; i tetti spioventi delle torri, costruiti con una pendenza così accentuata da impedire che si sfondassero per la neve; la legna da ardere, ricavata anzitutto da un ceppo malato che avrebbe potuto infettare la foresta. Si inserivano nell'equilibrio della montagna con la gentilezza di una madre.
Ispirai a fondo l'aria autunnale, nella speranza di potervi cogliere parte di quell'armonia.
Sentivo solo il freddo e l'odore delle foglie che marcivano. Continuai a muovermi verso quella che inizialmente avevo scambiato per la piccola vetta di un ultimo rilievo.
La città si nascondeva nella nebbia avanti a me. Mutava forma di continuo, come un gigante che si rigira nel sonno.
Non saprei dire quanto tempo fosse passato dalla mia partenza e pregavo che il sigillo di Prospero potesse farmi entrare a Lithien. Non ero disposto a tornare indietro né avevo piani di riserva nel caso in cui mi avessero sbattuto in faccia le porte della città. In quel caso mi sarei limitato a proseguire verso nord, fino alla fine di Theras.
Non c'erano mura; perlomeno non come le avevo sempre intese. La sottile, bassa e storta cinta di pietra che circondava la città sembrava il tratto di un bambino che cerca di delimitare ciò che sta dentro da ciò che sta fuori. Era del tutto incapace di sostenere un assalto militare: non superava in altezza gli edifici più bassi ed era spessa come la parete di una normale abitazione.
Mi fermai per un istante e passai il dorso dei guanti sulle palpebre per liberarle dal ghiaccio. Il resto della città si sviluppava quasi in verticale, in un'unica guglia, come un mostruoso castello che divorava se stesso nel tentativo di toccare il cielo. Era diversa da qualsiasi costruzione avessi mai visto. Ebbi l'impressione di stare guardando una contorta architettura partorita dall'Oneiron: le arcate non avevano geometria e i palazzi facevano gara a chi si alzava di più, a costo di poggiare in parte o del tutto sui caseggiati più bassi. Come poteva rimanere in piedi una città del genere?

« Benvenuto, viandante. » la voce mi raggiunse dalle spalle, fredda e nitida come il ghiaccio. « Non temere, non sono un tuo nemico. »
« Voltati. »
Obbedii nonostante zoppicando. Davanti a me vi era un uomo con indosso delle vesti leggere, un mantello con cappuccio bianco e un paio di guanti di pelliccia. I lineamenti del viso erano androgini e notai che il fiato non gli si addensava per il gelo. Non mi ero reso conto della sua presenza fino a quell'istante, né avevo visto persone avvicinarmisi. Ebbi l'impressione che fosse emerso dalla neve.
« Non è da tutti raggiungere la cuspide da soli, senza compagnia né attrezzatura. » quello strinse le palpebre. « Chi sei? »
Non risposi. Il gelo mi tagliava la voce e non desideravo perdermi in convenevoli. Lui parve accorgersene.
« Immagino che possa interrogarti più avanti. Se vuoi entrare a Lithien, però, ho bisogno che tu mi dica il tuo nome. »
Aprii la bocca, ma le labbra iniziarono a sanguinarmi e la gola mi si infiammò. Quella che ne seguì fu una voce diversa dalla mia, debole e spezzata.
« ...s-serpe. »
L'altro alzò un sopracciglio. « Beh, è un miracolo che tu sia vivo, Serpe. » congiunse le mani in un gesto di condiscendenza. « ...ma io ho bisogno di sapere il tuo vero nome. »
Con uno sforzo che mi richiese più energia di quanta ne ero provvisto, infilai una mano sotto al mantello fino a tastare il sigillo di Prospero. Gettai la medaglietta bianca e blu ai suoi piedi, sulla quale era ben visibile il blasone della città.
« Questa non è di tua proprietà. » corrugò la fronte. « Anzi, a seconda delle circostanze potrebbe persino peggiorare la tua situazione. »
Lo vidi abbassarsi il cappuccio. Le lunghe orecchie a punta mi rivelarono che si trattava di un elfo.
« Il nome. »
Infine, mi risolsi di dargli ciò che chiedeva.
« ...R-raymond Lancaster. »
Quello sgranò gli occhi.
« ...quel Raymond Lancaster? »
Gli feci cenno di sì con la testa. Le tempie mi pulsavano per lo sforzo.
« Non avevo idea... » lo sguardo che mi regalò ebbe l'effetto di farmi sentire un fenomeno da baraccone. « Prego, signor Lancaster, mi segua. » Io esitai e lui intuì ciò che avrei voluto rispondergli. « Oh, certo, immagino che non voglia sentirsi chiamare col nome di suo padre. Mi segua, Raymond. »


rirdHPz

Non mi ero reso conto di quanto fossi cambiato in quei mesi finché non mi trovai di fronte a uno specchio.
L'elfo mi condusse all'interno della città senza fermarsi un momento. Mi impedì di procedere verso il corpo di palazzi centrale e mi indicò una via che correva all'interno delle mura, spazzata dalla neve. Le strade erano buie e disabitate, ma dagli angoli dei vicoli provenivano voci e bisbiglii di fantasmi sui quali non riuscivo a posare lo sguardo. Vista da dentro la città dava l'impressione di essere più solida; protetta: le vette si piegavano su di lei con fare materno, la nebbia la nascondeva senza oltrepassarne i confini e la neve la baciava sulle punte.
Mi fece entrare in un edificio basso, con poche finestre, al cui interno erano disposte panche e tavoli di legno; sembrava la mensa di una caserma. Alcuni elfi vestiti come lui si aggiravano per la stanza come spettri, senza che riuscissi a comprenderne la funzione; posarono il loro sguardo su di me per un istante e tornarono alle loro faccende.
« Questa è una sala d'accoglienza; solitamente è adibita per gruppi più numerosi di viaggiatori. » mi spiegò. « Avremo bisogno di fare ancora qualche controllo, prima di lasciarla muoversi liberamente per la città. »
Io non protestai. Erano già riusciti a strapparmi l'unico segreto che avessi interesse a preservare.
Mi fecero portare una zuppa di rape rosse, ma mi resi conto di essere troppo stanco per apprezzarla. Il tremito delle mani mi impediva di tenere il cucchiaio e gli sguardi degli elfi mi mettevano a disagio; quando il liquido toccò le mie labbra, le sentii aprirsi e riprendere a sanguinare. Mi salirono le lacrime agli occhi, alzai una mano per coprire la bocca e poggiai il cucchiaio; avrei mangiato più tardi. Non ero nemmeno più sicuro di averne bisogno.
Qualche minuto più tardi venni condotto in un'altra stanza dell'edificio, con una branda di tela e tre elfi pronti a esaminarmi. Qui le mura erano più chiare e l'unica illuminazione proveniva da due bracieri che rilasciavano un fumo dolciastro, d'incenso. Non appena l'ebbi annusato sentii i miei sensi annebbiarsi e i muscoli farmisi deboli.
Mi fecero spogliare e mi passarono le mani sul corpo, come se ciò bastasse ad assicurarsi del mio stato di salute. Di tanto in tanto si guardavano tra di loro confusi, poi tornavano a carezzarmi con gentilezza, facendomi rabbrividire. « Tutto a posto? » chiesi nell'incrociare lo sguardo preoccupato di uno. Non ottenni risposta.
Parve che non trovassero alcuna anomalia nel mio corpo, poiché dopo mezz'ora mi fecero rivestire e mi lasciarono andare. Nella stanza d'accoglienza rincontrai l'elfo, che si premurò di scortarmi a un alloggio più accogliente.
« Cosa sono quelli? » gli indicai gli edifici gargantueschi al centro della città, mentre lo seguivo.
« Lì è dove sono custodite le memorie di Lithien; il nostro orgoglio. » mi rispose. « Tutta la conoscenza del mondo è stipata all'interno di quelle mura. Gli anziani si premurano di tenere gli archivi sempre aggiornati e di amministrare la città intorno alle principali branche del sapere. Al loro interno, giovani maghi promettenti vengono educati affinché divengano adulti responsabili. »
« Questa città è completamente diversa da quelle a cui sono abituato. »
« Non ne dubito. »
« Sembra più una gigantesca accademia. »
« ...Mi segua, la prego. »
Mi condusse sino all'altro capo della città, proprio sotto alle torri più grandi. Le costruzioni si stagliavano su di noi come un corpo unico, tutte accavallate le une sulle altre. Lì mi aprì una pesante porta di legno e mi mostrò l'interno di una casupola di piccole dimensioni, non troppo diversa da quella in cui ero già stato.
« Gli anziani si premurano di adibire degli alloggi per gli ospiti più di rilievo. » mi disse. « Per ora faccia come se fosse a casa sua. Presto verrà raggiunto da un nostro funzionario che la accompagnerà dove desidera e raccoglierà le sue intenzioni riguardo alla permanenza nella nostra città. »
« Non ho bisogno di una scorta. »
« Non lo facciamo certo per lei. » mi sorrise. « Per Lithien, piuttosto. »
Dopodiché si ritirò il cappuccio sulle orecchie e si allontanò.
L'uscio era troppo basso. Dovetti chinarmi e poggiare una mano contro l'architrave per entrare.

L'interno dell'abitazione era più confortevole di quanto non sembrasse. C'erano una branda di tela, una scrivania, due sedie, un piccolo mobile, una mensola e un armadio per i vestiti, tutti di legno scuro e dagli angoli arrotondati; nella seconda stanza vi era un bacile pieno d'acqua e un vaso da notte. Un vago odore di polvere permeava tutto l'edificio. Il silenzio era assoluto.
Fu lì che mi trovai di fronte allo specchio, nel bagno della casa. Fu come guardare negli occhi di uno sconosciuto.
La barba mi si era allungata di almeno dieci centimetri e mascherava l'interezza dei miei tratti somatici. I baffi mi coprivano le labbra e il naso era rosso e spellato per il freddo.
Alzai una mano per toccarmi le guance. Erano gelide.
Mi lavai il viso due volte, ma gli occhi di quello sconosciuto erano ancora lì a fissarmi. La mia pelle si intirizzì a contatto con l'acqua fredda, rivelando nuove rughe vicino alle tempie. Faticavo a sostenere il mio stesso sguardo.
Ero troppo stanco per decidere se piacermi o meno, ma riflettei sulla possibilità di tenere la barba. Con quella poche persone sarebbero state in grado di riconoscermi. Tornai nell'altra stanza e mi sedetti sulla branda, dove la stanchezza del viaggio mi crollò addosso tutta insieme.
Prospero, Ariel, Lindorm... tutto sembrava così distante da appartenere a un'altra vita; il cucciolo di drago se n'era andato dopo il litigio e non si era fatto più vedere. Per non parlare di Ladeca, Zoikar e Basiledra. L'unico pensiero che riusciva a farsi strada nella mia mente era che finalmente ero arrivato. Ero lì dove volevo arrivare. Forse negli archivi di Lithien sarei riuscito a trovare una risposta alla maledizione che mi portavo dietro, e dalla quale nemmeno Zoikar era stato in grado di liberarmi. Una maledizione chiamata "vita". D'altra parte non avevo alcuna fretta nell'iniziare le mie ricerche: non esisteva ragione per cui valesse la pena combattere insistentemente. La risposta sarebbe arrivata, prima o poi.
Sentii il tiepido sole autunnale accarezzarmi le mani dalla finestra. Chiusi gli occhi e lasciai che il cuore mi si riempisse di gratitudine per qualcosa di così bello e così semplice al tempo stesso; presto sarebbe tornata la tempesta.

Non so quanto tempo rimasi immobile, lì, a godermi quel singolo raggio di sole. Fatto sta che qualcuno bussò alla porta.
Aprendola mi trovai di fronte a un'elfa dalla bellezza sconvolgente. Aveva il viso di una bambina e gli occhi ambrati di un cerbiatto. Non dimostrava più di vent'anni, anche se con gli elfi è difficile definire un'età. I suoi capelli erano lunghi, lisci, scuri, perfettamente pettinati e profumavano di muschio. Nonostante fosse perfettamente eretta non arrivava in altezza alle mie clavicole; ciò contribuì ad alimentare l'impressione di creatura fatata che mi ero fatto di lei: era come guardare un animale di bosco timido, fragile e forte allo tempo stesso; uno schivo dio della foresta che poco ha a che vedere con la vita di città. Forse non era neppure così bella, ma lo era ai miei occhi.
La vidi abbassare lo sguardo e ritrarre la testa tra le spalle. Mi ritrovai a fare lo stesso.
« È lei... il Drago Nero? »
La sua voce era melodiosa, nitida e perfettamente accentata. Il mio primo pensiero fu che era così che dovevano parlare le muse.
Feci un cenno affermativo.
« Mi chiamo Airin. » continuò senza guardarmi. « Io... ho il compito di accompagnarla durante la sua permanenza a Lithien. »
Storsi le labbra. « Ho già detto che non ho bisogno di un accompagnatore. Se temete per la vostra città, posso garantirvi che sono qui solamente in veste di ricercatore... » replicai nel tono più gentile che mi riusciva, mentre lei si tirava la veste con le mani.
« No... non capisce. » disse a mezza voce. « Gli anziani hanno l'abitudine di registrare tutto ciò che avviene a Lithien in modo da inserirlo nelle memorie. Io ho il compito di accompagnarla, assisterla, e di annotare i suoi comportamenti, in modo che possano essere trascritti e ricordati per gli studi a venire. »
Le diedi le spalle.
« Non credo di essere un soggetto degno di tanta attenzione. »
« Affatto! » alzò lo sguardo, emozionata. I suoi occhi erano persino più belli di quanto non avessi immaginato la prima volta. « Lei è un'importante figura storica che credevamo deceduta nel corso della guerra civile di Basiledra! È un onore per noi poterla accogliere e registrare le sue testimonianze su ciò che le è accaduto. »
In quello scatto di curiosità risentii le note della voce di Fanie e mi mancò il fiato. Portai una mano al collo e passai due dita fra le clavicole e l'allaccio del mantello, per respirare meglio.
« Va bene. » mi limitati a guardarla di soppiatto. « Quindi dovrò affidarmi a te per raggiungere la biblioteca? »
Lei sorrise.
« Quale delle tante, sir Lancaster? »
« Lascia perdere. » arrossii. « ...e chiamami Raymond. »
« Sì! »

Da quel momento Airin iniziò ad accompagnarmi ovunque ne avessi la necessità. Mi mostrò la città e chiarì molti dei miei dubbi: la maggior parte delle persone passavano il loro tempo all'interno delle accademie e camminavano per le strade solo quando dovevano tornare alle loro abitazioni. A Lithien vi erano pochi negozi e ancora meno taverne.
Mi spiegò che la città era sorretta da un'architettura in buona parte magica: un sostegno fantasma che permetteva al complesso di torri, guglie, archi e merli di attorcigliarsi su se stessi. Mi disse che il freddo era circoscritto all'esterno delle mura e che, grazie al potere degli anziani, nemmeno le peggiori tormente di neve riuscivano a toccare le strade.
Sebbene passasse la maggior parte del tempo a guardare per terra e a camminare in silenzio, Airin era un pozzo di informazioni. Calma e contemplativa lungo la superficie, nascondeva un oceano profondo e inesplorato sotto il pelo dell'acqua. Mi scoprii a sorridere dei suoi frequenti approcci di conversazione e fu grazie a uno di questi che iniziai sospettare che cercasse da me qualcosa di più della semplice compagnia.
« Lei lo sa, Raymond, di essere un mistero anche per gli anziani di Lithien? » mi chiese un giorno che andavamo alle biblioteche. « I guaritori sostengono che il suo corpo fosse clinicamente morto, quando lo hanno esaminato. Il suo cuore non batteva, la sua carne era completamente congelata e i suoi polmoni incapaci di respirare. Eppure sono tra i migliori guaritori di Theras. Come crede che sia possibile? »
« Dammi del tu. » le risposi. « Soprattutto se hai intenzione di continuare a farmi domande così personali. »
« Oh, sì! » esclamò lei. Affossò la testa nelle spalle e si mise a guardare verso il basso. Io arrossii. Arrossisco troppo facilmente. « Scusa. »
« Comunque, si può dire che sia qui per risolvere anche questo mistero. »
Lei inclinò il capo e fece un'intuizione di grande acume.
« ...Non è la prima volta che accade? »
« ...No, non lo è. »
Il pensiero della mia sgradita immortalità mi rabbuiò il viso. Non provavo alcuna gioia nel sapere che quella notizia andava diffondendosi. Io stesso non sapevo come interpretarla. Sentir parlare del mio corpo "morto" mi faceva rabbrividire e rievocava nella mente i ricordi di ciò che avevo vissuto nella dimora di Zoikar, a Basiledra Nera. Tanto bastava per farmi desiderare di pensare ad altro.
Airin mi poggiò una mano sul braccio e mi fissò a labbra strette, con le guance rosse per il freddo. Lasciai che premesse il suo viso contro la mia spalla.

Eppure sentivo tra me e Airin una distanza incolmabile.
Andavamo d'accordo e provavo per lei un'attrazione che non ricordavo più sin dai tempi di Fanie. Mi piaceva averla accanto ed eravamo in sintonia sia durante le conversazioni che nei silenzi; soprattutto imparavamo l'uno dall'altra, ci scambiavamo opinioni, informazioni e considerazioni. Con lei riuscivo a dimenticare il costante sottofondo di solitudine che mi accompagnava da sempre. Quando ero solo nel letto, la notte, pensavo a lei e sentivo il desiderio di stringerla tra le braccia; un desiderio che, lei tentò di farmi intendere con numerosi gesti di conforto, era ricambiato. Quando leggevo la scoprivo a fissarmi intensamente e il suo viso si apriva in un dolce sorriso.
Provare un interesse così spontaneo per qualcuno era come tornare a respirare. Una deliberazione del ventre che si sfogava in un lungo e piacevole sospiro. Preziosi momenti di quotidianità che risplendevano come stelle isolate in un cielo di nero sconforto.
Ciò nonostante un angolo della mia mente non faceva che domandarsi: "Anche se lei ricambiasse, cosa speri di poterle offrire?"
e ancora:

- Lei merita di più.
- Ma chi ti credi di essere?
- E con tutto quello che ti sta succedendo, questa è la tua preoccupazione?
- L'hai dimenticato? Tutto ciò che tocca il drago nero marcisce e muore.
- Ma perché, ti ricordi ancora come fare andare il cazzo?
- Stai usando un'infatuazione per dimenticare la tua pateticità.
- Vuoi veramente coinvolgere altre persone?
- Non hai le palle.
- Con che presunzione pensi di capirla?
- Ma guardati, potresti essere suo padre.
- Finirebbe come con Fanie.
- Ti sei ridotto a rincorrere le ragazzine?
- Lascia perdere. Sei ridicolo.
- Devi riprendere il controllo sulla tua vita.


Si potrebbe pensare che avrei dovuto inorgoglirmi di una preoccupazione così mondana. Invece il presunto interesse di Airin suscitava in me dei pensieri così veri da togliermi il fiato, ogni notte. Masticavano qualunque emozione e la trasformavano in un'abbandono simile a un limbo nero, che mi abbracciava prima di andare incontro al sonno. Spesso venivo svegliato dalla visione di Terra Grigia in fiamme e dalla sensazione di esserne la causa; un incubo che mi era famigliare e al quale non mi sarei mai abituato. Quando ciò accadeva mi svegliavo e boccheggiavo alla ricerca d'aria, correvo al bagno per passarmi l'acqua sulle braccia, poi uscivo e rimanevo all'aperto per un paio di minuti, per liberarmi dal ricordo del fumo e dall'odore di bruciato. A nessuno capitò di vedermi in quello stato. Smisi persino di fumare la pipa.
La mattina avevo l'abitudine di allenarmi per un'oretta, aspettando l'arrivo di Airin. Così trascorrevo le notti nel tormento, mentre il giorno lo passavo a esplorare le sconfinate biblioteche di Lithien.

Le aule erano l'opposto dei vicoli della città: colorate, rumorose, popolate da persone di ogni razza, genere e tipo. Gli alunni si muovevano da una stanza all'altra in grossi agglomerati. Seguivano elfi vestiti di bianco e parlottavano tra loro di una vasta gamma di argomenti: politica, storia, manifattura, magia, creature mostruose. Qualche volta mi parve di scorgere fra loro delle facce famigliari, ma fu solo l'impressione di un momento. « Il cuore di Lithien sono le sue accademie. » mi spiegò Airin dopo che ebbi rischiato di andare a sbattere contro uno studente. « Molti stranieri passano per la città alla ricerca di informazioni, ma chi resta a lungo lo fa per studiare e deve essere accettato dagli anziani. »
« Io sono stato accettato? »
« Lei... » si corresse. « ...tu sei un caso eccezionale. »
I miei argomenti di consultazione preferiti riguardavano le proprietà del sangue di drago, la cosmologia dei Daimon e la mitologia di Zoikar. Il cuore di Alexej mi aveva salvato già una volta in passato, ma dubitavo che il suo sangue fosse sufficiente a opporsi all'azione di un Daimon; in verità iniziavo a dubitare che persino la mia sopravvivenza nel deserto dei See fosse dipesa da quello. « Uh, io adoro gli studi sui draghi! » si lasciò sfuggire Airin quando mi vide chinato su una polverosa copia di Storia e Cultura dei draghi: gli antichi dèi di Theras. « Qui a Lithien sono un argomento di grande attualità e ho seguito numerose classi a riguardo. Posso aiutarti? »
Evitai di rivelarle che metà del mio cuore apparteneva a una di quelle creature e le confessai soltanto un generico interesse nei confronti della materia.
« Beh, va detto che il sangue di drago ha proprietà rigenerative eccezionali: dicono che poche gocce siano sufficienti, se opportunamente miscelate con altre erbe, a generare delle panacee in grado di guarire da qualsiasi malattia. Poi esso possiede un'aura molto potente: quasi una sorta di odore che lo rende tracciabile anche a grandi distanze. Infine alcune leggende sostengono che quando il sangue di due draghi imparentati entri in contatto risplenda di luce propria; per evitare che padri e figli trovino a combattersi senza essersi riconosciuti, insomma. I draghi sono creature molto indipendenti, in fondo. »
Ma era in grado di salvare dalla spada di un Daimon?
Su Zoikar non trovai altrettante informazioni. I libri che trattavano lo studio dell'Oneiron facevano ampio uso di termini tecnici di cui mi sfuggiva il significato e si rifacevano a conoscenze pregresse oltremodo distanti dalle mie. Solamente un passaggio de l'Architettura del cosmo mi restò impresso. Diceva: "Immaginando la cosmologia di Theras come una sfera con numerose superfici concentriche, e ciascuna di queste superfici come uno strato dell'Oneiron appartenente a un differente Daimon, ciò che molti studiosi vengono a chiedersi è che cosa si trovi al di fuori di tale guscio. Benché la risposta della maggior parte di loro sia "nulla", una branca minoritaria di visionari ritiene che essa vada ricercata nell'Asgradel. A tal proposito va ricordato il recente tentativo di Rainier Chevalier, il Re che non perde mai, di accumulare sufficiente energia da "bucare" i numerosi strati del cosmo e trovare una risposta per sé, durante la battaglia del Crepuscolo. Naturalmente ciò ha comportato la perdita di un incalcolabile numero di vite umane e un dispendioso consumo di energia magica senza che, in ultima istanza, dal suo atto venisse rivelato alcunché, se non l'inappropriata efficacia del mezzo adottato."
Dunque era di questo che trattava "Sugli incubi e sulle abiezioni", il volume che avevo recuperato a Ladeca e che riposava fra i miei bagagli. Rainier aveva trovato un modo per consumare le anime altrui e trasformarle in un'energia che gli consentisse di viaggiare fra i piani, con l'obiettivo di raggiungere l'Asgradel.
Quando si dice "scherzare col fuoco".

Mi persi in quei pensieri e subito sentii la mano di Airin toccarmi la spalla.
« Non è un argomento un po' troppo complesso? Che legame dovrebbe avere con il sangue di drago? »
« Nessuno. » le dissi cullato dalla sua volontà di aiutarmi. « Semplice curiosità. »
Passarono settimane senza che riuscissi a trovare una risposta alla mia esistenza. Nessun libro di Lithien suggeriva la possibilità che esistesse un caso di immortalità come il mio; anche l'eterna giovinezza di alcuni alchimisti o la grandezza ottenuta da patti con le creature del Baathos potevano essere spezzati dalla volontà dei Daimon. Non esisteva alcun modo documentato per cui io potessi essere sopravvissuto alla voce di Zoikar, eppure il mio cuore batteva, i miei polmoni si riempivano d'aria e le mie membra doloravano.
Ma naturalmente la tempesta sarebbe arrivata prima che riuscissi a venirne a capo.



PqblChG

È tutto molto bello, Raymond. Tutto molto bello. Ma io non ho pazienza per queste stronzate.
Sono venuto a Lithien alla ricerca di un drago da divorare e ci ho trovato un trentenne con crisi di depressione degne di un adolescente. Capisci il mio disappunto?
Ciò che tu pensi non ha importanza.
I tuoi problemi non hanno importanza.
Ciò che speri di trovare nei libri non ha importanza.
In effetti nulla ha importanza nel grande schema delle cose. Siamo granelli di polvere che vorticano senza meta, in balia di un destino capriccioso, e tu hai il coraggio di ripudiare un'eternità che chiunque altro custodirebbe come un tesoro.
Sai che cos'ha importanza, invece?
Il tempo che mi stai facendo perdere. La scaglia. La fame. La posizione di Rubietentia.
Lascia che ti illuda ancora un po'...


« Airin...? Airin... sei riuscita a capire perché, tra tutte le strade che ci apre il futuro, la scaglia di Venatrix ci abbia condotto da quest'uomo...? »
« ...Non ancora, mio signore. »

Gut1Io5

« Oh... peccato... ma non c'è fretta... Ricorda, però, che se vuoi una maschera... »
« ...Sì, mio signore. Non fallirò. »



CITAZIONE
Scena privata. Si prega di non intervenire.


Edited by Ray~ - 25/3/2016, 11:03
 
Top
view post Posted on 25/3/2016, 10:59
Avatar

And...bla..Bla..BLA
·······

Group:
Administrator
Posts:
6,262

Status:


Tracce d'autunno

rRd2sKC

Non gli servì che uno sguardo per capire chi fra quelli fosse il capo.
Non il vecchio zoppicante. Non il grassone tutto contento. Non la donna dall’aria arcigna.
Ashlon - così gli fu poi rivelato il suo nome - era di ben altro calibro se paragonato al selvatico intreccio fra luce ed ombra che erano i Predatori. I suoi capelli bianchi erano lunghi fino a terra, ispidi e grezzi come lana cotta; la sua pelle era sottile e pallida, poco più che un velo a fasciare muscoli guizzanti e tonici; il suo sguardo pareva antico e glaciale, una morsa nella quale Leanne si ritrovò suo malgrado a rabbrividire, infastidita.
Non sorrideva, ma fu semplice intuire la pacata soddisfazione nei suoi occhi, il morbido gongolare della camminata nel vederla lì, legata ed in ginocchio a terra in attesa che lui e tutto il suo amato popolo elfico decidesse che farsene di lei. L’avevano lasciata così per due giorni, curiosamente attenti che nessuno entrasse mai direttamente in contatto con lei ma che in egual misura le venisse fornito cibo ed acqua per quanto attenesse il suo sostentamento. E solo ora, spavaldi ma curiosamente attenti, i suoi aguzzini si arrischiavano ad approcciarla come un gruppo di domatori con l’ineffabile tigre.
Edwin è morto. Prese subito parola Ashlon. Gli Anziani hanno deciso che fosse giunto il suo momento.
Dalla sua posizione inginocchiata, Leanne si ricordò solo allora della famosa cordialità elfica, tanto orgogliosamente decantata dagli uomini di Neirusiens per essere una fra le cose più gradevoli del Nord. Che a confronto, Ombre e Aberrazioni parevano davvero una passeggiata.
Hanish’yevaw
Che la sua anima riposi in pace

Si limitò a rispondere la ragazza in lingua elfica. Una lingua non sua, la rimproverarono all’unisono gli sguardi di tutti. Ma lei li ignorò.
Non sembri dispiaciuta.
Fu il successivo commento di Ashlon. Nella cupa penombra delle fiaccole, i suoi tratti tradivano un che di sfuggente, quasi ch’egli fosse stato in grado di mutare espressione ad ogni sillaba. Leanne si strinse nelle spalle.
La’ni e reh Oneiron kawe’ru
Oneiron saprà avere cura di lui.

Chiedile perché non usa la sua lingua parve di sentire sussurrare qualcuno alle spalle dell’elfo. Forse il grassone dalla faccia rubiconda. Ora un po’ meno rubiconda, notò Leanne, mentre con sforzo tentava di sporgersi oltre la spalla di Ashlon senza in realtà farlo. Quell’indecisione imperlò in un attimo la sua fronte donandogli un che di liscio e caramellato. La ragazza chinò appena il capo.
Cercavo solo di farvi cosa gradita
si giustificò con un piccolo sospiro.
Ma probabilmente nemmeno quella era la cosa migliore da dire perché da tutti parve come sollevarsi un mormorio di furore e collera insieme. Assiepati come cervi nei cespugli, i Predatori le ringhiarono contro tutto il loro sdegno.
Questa cagna crede di poterci compiacere con i suoi modi da schiava. Non sa che i Predatori disprezzano servitù e servilismi. Eccolo il regno degli uomini. Animi deboli, cuori esangui. Occhi da animale.
Rimasto in silenzio, Ashlon si limitò a scuotere il capo.
So che tenterai di scappare. decretò infine guardando la ragazza. Lei annuì, paradossalmente contenta di ritrovarsi finalmente in un’intenzione realmente sua. Così come so che molto della tua natura sfugge alla visione di chi pronuncia il tuo nome.
Lyzari, Il Drago Nero, La bimba Ombra.
Gli anni avevano inciso su di lei appellativi più che assennatezza.

Vaghe, piccole rughe di espressione parvero allora affacciarsi sul volto dell’elfo, colme di un sentimento che Leanne notò senza riuscire a comprenderlo appieno.
E credo in ultimo che tu già sappia perché ora ti trovi qui e non al fianco di Edwin, a decomporti nelle calme acque dell’Himnakan.
Una pausa, il suo lungo sguardo a scivolare sulla ragazza con cupa eppure attenta circospezione.
Lui era un aguzzino, una grottesca parodia del comandante illuminato che era stato non molto tempo fa. Tu invece sei un simbolo.
Dichiarò infine. Per quanto non fosse affatto avvezza all’espressione, Leanne trovò quasi difficile non sorridere.
Edwin preferiva chiamarmi il suo gioiellino.
Storse le labbra. Lui fece come se non l’avesse sentita.
Edwin ti ha donato esattamente il nome che meriti, Lyzari, lo stesso di cui mi servirò per permettere ai Predatori di ricominciare le proprie vite al riparo da ricordi ed antichi timori. Al riparo dal loro passato.
Lei sbattè una volta le palpebre, un tremito del labbro che improvviso rabbrividiva sul suo volto prima che ella voltasse il capo di lato. Non aveva inteso appieno il senso delle parole di Ashlon - no, il linguaggio degli elfi non necessitava di un vocabolario a parte per risultare ogni volta incomprensibile - eppure la sensazione di essere una preda in una gabbia di belve assai affamate si faceva di momento in momento più vivida e presente. Soffocante. Alzò tuttavia lo sguardo ancora, sfidando il suo seducente aguzzino a fare lo stesso.
Potrei servirvi. Tentò comunque di difendersi. Diventare il vostro trofeo.
Senza nemmeno dare l’idea di aver considerato l’opzione, Ashlon scosse nuovamente la testa.
Noi Predatori non accettiamo le cose di altri. Spiegò semplicemente. Edwin era il tuo padrone ieri come lo è oggi. Nessun Predatore si sognerebbe mai di prendere qualcosa che non gli potrà mai appartenere per davvero. Anche se il suo valore è inestimabile.
Complimento a parte, Leanne fu certa di non aver in alcun modo gradito le parole.
Non sono mai stata di Edwin. Nemmeno per un secondo. E’ con l’inganno che mi tratteneva e se non fosse stato per esso, avrei tentato io stessa di ucciderlo più e più volte fino a riuscirci.
Nell’esatto momento in cui pronunciava quelle parole, Leanne capì che lui non le avrebbe creduto. Nè con le buone, né con le cattive. Né giurando, né arrabbiandosi. Né ora, né mai. Ed anzi, più la sua ostinazione nel dare prova della propria buona fede fosse stata grande, più egli avrebbe inteso il contrario. E quindi, in fondo, non sarebbe cambiato assolutamente nulla. Piegò allora il capo di lato, una mezza sfumatura di sdegno a riflettersi in quella ora assai più pronunciata dei presenti. Lasciò anche che i suoi polsi tintinnassero appena delle catene strette attorno ad essi.
Ho letto che fu un’elfa a scacciare il vostro popolo da Neirusiens tanto tempo fa. Esalò quindi con un mezzo sogghigno. Un’elfa dotata di poteri incredibili il cui solo spirito fu in grado di portare tutti alla pazzia e far sprofondare la città nell’abbandono per secoli.
Se mai ne fosse stata in grado, di certo l’occhiata di Ashlon l’avrebbe incenerita lì in quell’istante. Ma fortunatamente - o meno - egli aveva ben altri progetti in serbo per lei che farla fuori in quel modo barbaro e scontato, senza nessuno a parte quattro poveri mentecatti con cui vantarsi in seguito. Così dopo un lungo ed immenso attimo di velato risentimento, egli si limitò a scrollare le spalle come si faccia dopo aver avuto un pensiero brutto o un ricordo molesto. Ma assai poco importante.
Si chiamava Eitinel. Esalò quindi. E da che ebbi la sfortuna di incontrarla, tu sei davvero la cosa più simile a lei che mi sia capito di vedere.

9G9pQKh

Pochi sanno che oltre allo spiccato senso dell’umorismo, gli elfi sono anche assai famosi al Nord per la loro predilezione verso il sadismo e la violenza. L’amabile piacere con cui vi si dedicano all’occorrenza è tali da renderli in effetti una fra le razze più gradevoli e raccomandabili dell’intero continente. Fedeli alla propria nomea, essi si prodigarono affinché a Leanne venisse riservato con scrupolo e metodicità il più delizioso dei trattamenti. Scarna e malaticcia, ella venne più volte presentata dinnanzi al Popolo Neiru come l’ultima avanguardia di Edwin e dei suoi criminosi alleati. Fu esplicitato il loro stretto legame di parentela -ah si?- e l’infido sodalizio che negli anni aveva reso lei il braccio destro di lui, lei la bieca esecutrice dei crimini del primo al fine di ridurre tutto il popolo Neiru alla fame ed inedia.
Fu chiarito che la piccola possedeva sangue di Ombra nelle vene - un ringraziamento speciale ad Edwin per questo particolare - e che più volte ella si era servita di quei poteri per assolvere ai propri luridi compiti. Infine venne il momento delle liste, sfilze senza fine di nomi e nomignoli delle più o meno presunte vittime della ragazzina salmodiate da un coro di giovanissime ed agitatissime elfe.
Nella costernazione e rabbia generale, a Leanne venne giustamente riconosciuto il nomignolo di Lyzari, faccia di lucertola - in seguito poi riadattata a serpente - in nome del quale si decise di comune accordo di tagliarle la lingua in due parti distinte. Fresca di quell’intervento, le fu poi chiesto di salmodiare ai presenti la propria innocenza. Nessuno, vuoi la difficoltà nel solfeggiare le proprie ragioni, vuoi l’assai poco convincente capacità esplicativa della fanciulla, le credette.
Così, dopo tanti e presunti appelli di innocenza ed incriminazione, il Popolo Neiru convenne che fosse cosa più saggia per tutti giustiziare l’abominevole creatura e porre così fine tanto al suo quanto al loro strazio di averla lì senza un merito o uno scopo assai precisi.
L’esecuzione venne riportata come la più breve e concisa che si fosse mai vista all’interno delle mura di Neirusiens. La rapidità del taglio del capo inversamente proporzionale al sollievo che da quel momento serpeggiò per tutta Neirusiens nei giorni e mesi a venire.

QCUn3On

AOU57A8

Avanti, muoviti
La voce di Rakshin tradiva ora una nota di allarme e fretta che raramente Leanne aveva avuto la fortuna di udire. Ansante di fatica e tensione, l'uomo la sorreggeva per la spalla trascinandola quasi di peso mentre insieme si allontanavano dalla porta Sud di Neirusiens. Bruciante di febbre, Leanne si limitò ad annuire a vuoto, lo sguardo vacuo che sbandava da un muro all’altro della galleria prima di ruzzolare stanco nella piccola discesa dove l’uomo la guidò. Inciamparono entrambi. Più avanti, qualche metro di imprecazioni necessarie a ristabilire che la via da seguire era corretta e ripresero la loro ansante fuga.
Se non ti muovi, saranno qui ancor prima del taglio.
Non servirono chiarimenti per specificare a quale taglio Rakshin si riferisse. Con un simil-singhiozzo, Leanne improvvisò allora un passo più spedito, solo vagamente inficiato dalla costante necessità che la piccola aveva di voltare di quando in quando il capo e sputare un grumoso nodo di sangue a lato della via. All’ennesima sosta sputacchiante, l’uomo le mollò uno scappellotto infuriato.
Smettila subito. Seguiranno le tracce. Poi, storcendo appena le labbra Manda giù. Vomiterai poi, quando e se saremo fuori da questo casino.
Quando e se.
Entrambe quelle parole suonarono pallide ed ovattate nella mente inscurita di Leanne, un vago riverbero a pelo d’acqua cui lei rispose con un gemito sommesso, contrito.
Era stanca.
Constatò.
Da morire.
Eppure sapeva che quella era davvero l’unica occasione rimastale per sopravvivere a quell’inferno mortale chiamato Neirusiens. La sola possibilità che le veniva offerta di poter ricordare un giorno di quando, poco più che bambina, poco meno che adolescente, ella riuscì a scampare la morte con un becero scambio di persona ed una successiva fuga fra le più rocambolesche che si fossero mai viste. Ed aggiungere che ad orchestrare tutto ciò non furono nè grandi maghi né potenti fattucchieri ma solo un Danzatore dal cuore tenero. Arido fuori, tenero dentro. Che per qualche ragione era stato in grado di affezionarsi a lei che tutto salvo l’affetto pareva in grado di suscitare nelle persone.
Si può sapere a cosa stai pensando?
digrignò l’uomo in questione dandole proprio allora uno scossone deciso
Se non ti decidi a camminare come Dio comanda giuro che ti mollo qui

Dopo l’ultima grotta, l’ultimo passaggio, l’ultimo tunnel angusto, lei e Rakshin trovarono una piccola barca ormeggiata ad attenderli. L’uomo l’aveva nascosta in quel punto settimane prima, fiducioso che nessuno a parte lui sarebbe stata in grado di scovarla. Vi saltarono sopra quasi di corsa, le mosse di sgancio e partenza svolte con la furtiva e rapida veemenza di formiche impazzite. Poi, colta la corrente di deflusso, Rakshin ordinò a Leanne di accucciarsi nelle cianfrusaglie ammassate nel piccolo scafo, una coperta a confondere la sua presenza cui egli aggiunse altre piccolezze e fascine di circostanza.
Sepolta viva sotto quell’ammasso di ciarpame, la ragazzina si limitò per qualche attimo ad ascoltare il vago sciabordio dell’acqua sotto di lei, il freddo riverbero delle onde sulle anguste pareti delle gallerie, il vago ansare di Rakshin seduto poco distante al timone.
Ed infine si addormentò.

3HAM43y

Quando riaprì gli occhi, la barchetta si era fermata. Il rollio era cessato, il tramestio delle onde pure. E con esse, anche Rakshin. Sola a riva di un fiume sconosciuto, in un bosco mai visitato ed in una terra a lei per lo più ostile, Leanne si ritrovò improvvisamente vulnerabile come non lo era stata da mesi, anni probabilmente, la vaga percezione della solitudine a schiantarla per un attimo in quelle luride coperte cui ella si rifugiò per un attimo, due forse, notte e giorno ad avvicendarsi prima che ella avesse anche solo il coraggio di sgusciarvi fuori e cominciare, infine, a camminare lontano.
Da quel momento in poi, parve tutto assai più facile.
Leanne sapeva cacciare. E orientarsi. E ricordava perfino il modo per trovare acqua senza la presenza di ruscelli e fiumi. Mantenne tuttavia la coperta che -si fa per dire- le aveva donato Rakshin, certa che in qualche modo ella fosse in grado di scaldarla assai più di pellicce e cortecce trovate nel bosco.
Ma la vita allo stato brado non è cosa assai semplice per chi sia stato abituato alla civiltà e alle piccole semplicità in essa racchiuse. Comodità cui faticava a rinunciare perfino Leanne il cui addestramento e lezioni avevano impartito una serie di buone e dettagliate possibilità di sopravvivere senza fatica. Nei giorni che seguirono, la pista da lei individuata e volta a permetterle di attraversare il valico dell’Erydliss divenne sempre più fredda ed accidentata, verde e frescura a trasformarsi via via in sempreverde e nevischio. Poi neve. Poi gelo e faticoso sprofondare in cumuli di bianca e freddissima fatica.
Mangiare divenne un lusso da costante a saltuario, da saltuario ad accidentale ed infine assai improbabile, le temperature che di notte costringevano la ragazza a trovare o costruirsi buche nel terreno ove infilarcisi tremante.
Ma Edwin l’aveva addestrata bene. Anzi, meglio.
Meglio dei lupi, meglio del ghiaccio, meglio dei venti e delle tempeste d’alta quota. Meglio, infine dei Predatori che a breve ella scoprì essersi messi sulle sue tracce poco dopo la scoperta della sua fuga. La intercettarono un paio di volte, ma per entrambe l’oscurità le fu una cara e gradita amica finché, per metà assiderata e metà deperita, Leanne riuscì infine ad arrivare laddove sapeva che avrebbe trovato -anche se per poco- caldo e ristoro a sufficienza per riprendere il proprio viaggio. Lithien.
All’interno delle sue sacre mura nessuno avrebbe potuto ghermirla e trascinarla di forza verso Neirusiens dove -ne era certa- la attendeva ancora la ghigliottina. Affrettò appena il passo, mani e piedi scavati dal freddo che a forza ghermivano il ghiaccio cui era lastricata la via per giungere alla sua salvezza. La sete inaridiva il suo respiro.
Ma una volta all’interno delle mura...
Incespicò.
Una volta dentro....
Incapace di aspettare si ritrovò allora a masticare in bocca le parole da pronunciare nell’esatto momento in cui la vedetta di guardia le avrebbe chiesto il suo nome.
Chi sei tu?
Le suggerì la mente.
Leanne.
Rispose senza fiato.
Lyzari.
Le suggerirono le labbra spaccate.
La bimba ombra.
Le ricordarono le sue membra ora quasi trasparenti di fame.
Il suono delle sue mani contro le porte ora sigillate della città riverberò nelle sue orecchie come il cupo, profondo, rintocco di una campana.

Chi sei tu?

Da qualche parte, in alto, giunse allora la voce che aspettava. Quella che si era immaginata.

Il Drago Nero.
Gridarono le sue labbra sanguinanti prima che ella crollasse a terra in un singhiozzo disperato.

 
Top
view post Posted on 25/3/2016, 16:01
Avatar

--------------------
··········

Group:
Administrator
Posts:
34,432

Status:


Raymond Lancaster
crossroads

— la rana e lo scorpione —

gyzgfA0


Quante volte devo ripetere che non ne so nulla?
L'elfo intrecciò le dita con aria temporalesca; iniziavo a temere le sue espressioni proprio come sperava che io facessi.
Ma certo, signor Lancaster; io non dubito affatto delle sue parole. — mi disse stiracchiando un sorriso di porcellana. — D'altra parte questo è il mio lavoro, non deve predersela. Lithien è una città antica e civile, e i suoi nemici sono arroganti, dobbiamo tenerne conto; è di fondamentale importanza che qualcuno attenda a soffocarli prima che crescano troppo.
...e in che modo chiedermi la stessa cosa venti volte volte in quattro giorni dovrebbe soffocarli?
Quello schiacciò fra le mani le ultime briciole di pazienza che gli erano rimaste, come un prestigiatore che nasconde ciò che farà sparire con il proprio trucco.
Converrà con me che il suo arrivo a Lithien sia stato... come dire? Ah, sì: inappropriatamente coincidenziale.
...ma non mi dica.
Le sparizioni sono iniziate non appena lei ha messo piede nelle mura, e si sono susseguite con frequenza sempre più incalzante. Spera di vederci ignorare una tale concomitanza di eventi?
Mi ritrovai con la faccia sepolta tra le mani. Gli interrogatori elfici richiedevano pazienza. Una quarantina d'ore di pazienza. Loro avevano tempo per permetterselo, in fondo.
Devo dormire... per favore, mi lasci dormire...
Le mani sotto le cosce.
Gli altri due elfi nella stanza mi afferrarono le braccia e obbedirono per me.
Mi spieghi di nuovo la routine che ha seguito nei giorni seguenti al suo arrivo a Lithien.
La prego, solo un'ora...
Mi spieghi di nuovo la routine che ha seguito nei giorni seguenti al suo arrivo a Lithien.
Basta! — mi divincolai dalla presa degli elfi, alzandomi dalla sedia. Quello non mosse un muscolo. — Gliel'ho già spiegato! Sono stato con Airin alle biblioteche; chiedete a lei, se non mi credete!
Si ricorda quali libri ha letto?
Mi ha già chiesto anche questo! Qualcosa sui draghi... no, cosmologia... senta, i titoli glieli ho dati ore fa! Ora mi lasci andare!
L'elfo sorrise soddisfatto. Fece un cenno ai suoi compagni, che mi afferrarono per le spalle e mi spinsero sulla sedia. A quel punto estrasse un punteruolo da un cassetto della scrivania, si alzò e mi raggiunse.
Che cosa...?
Senza proferire parola, mi strinse una mano e mi affondò la punta dell'utensile nel palmo. Quando il sangue iniziò a sgorgare dalla ferita, prese una boccetta di vetro stretta e lunga e ve lo fece gocciolare all'interno. L'operazione non richiese più di un minuto di tempo, e fu molto meno dolorosa di quanto non mi aspettassi.
Un piccolo medium nel caso in cui le venisse in mente di lasciare la città senza informarci. — mi spiegò. — E non mi guardi così... è libero di andare, ora.

Dodici sparizioni in dieci giorni; non c'era da sorprendersi che le forze dell'ordine di Lithien fossero allarmate. Ma com'era possibile che il caso fosse stato aperto proprio dopo il mio arrivo a Lithien, di tutti i momenti? Persino io avrei dubitato che di quella coincidenza, non fossi stato troppo impegnato a maledirmi per l'improbabile catena di sfortunati eventi che mi aveva accompagnato sino a lì, e che sembrava lungi dal terminare.
In un altro tempo avrei aiutato le forze di Lithien a risolvere quel mistero. Un altro tempo. Un altro Raymond.
Abbandonando il piccolo stabile in cui ero stato interrogato, mi resi conto che non mi importava. Mi avevano fatto troppo male perché decidessi di aiutarli, e avevo già i miei problemi da risolvere. Che continuassero pure a torturarmi, alla ricerca delle risposte che non avevo.
Sarei potuto morire per la mancanza di sonno?
La ferita sulla mano pulsava al ritmo della lugubre risposta. Niente poteva uccidermi, ma non c'era niente per cui valesse la pena vivere; non in quel circo di grotteschi spettacoli per i quali la vita mi aveva spinto a lavorare.
Attraversai l'intera Lithien in meno di un'ora, scivolando sulle caviglie e muovendomi per le strade come la nube di un randagio temporale: la stanchezza e la lunga serie di domande mi avevano reso confuso, goffo e arrabbiato. Benedissi le strade vuote della città, che non potevano lamentarsi dei miei brontolii.
Solo una persona avrebbe potuto tranquillizzarmi, in quel momento.
Raymond!
Aperta la porta dell'appartamento, Airin mi venne incontro e si mise sulle punte dei piedi per gettarmi le braccia al collo, ritirandosi imbarazzata dopo appena un secondo.
Erano due giorni che non ti facevi vedere in biblioteca e io... mh... sono venuta a cercarti qui. Che cos'è successo?
Ero troppo stanco per preoccuparmi di come fosse entrata in casa, ma quel pensiero tolse al suo sorriso il potere di dissipare la mia rabbia. Mi levai il mantello e mi sedetti sulla branda, prendendomi il viso tra le mani.
Chiedilo ai tuoi compatrioti. — sbuffai. — Due giorni fa sono venuti a prelevarmi per un interrogatorio intensivo sulle stesse cose che mi chiedono da quattro giorni, e mi hanno rilasciato solo ora.
Oh, Raymond...
Queste sparizioni non c'entrano nulla con me; l'ho già spiegato decine di volte.
Ti credo, ma non puoi biasimarli per-
Posso, invece! — Airin sobbalzò spaventata. — Sono innocente, e stufo di recitare sempre la parte di quello comprensivo! È tempo che il mondo si risolva a darmi soddisfazione, una volta per tutte, invece di mandarmi incontro altre difficoltà. Ho attraversato mezza Theras per venire qui a Lithien, e che cosa ci ho trovato? Niente! Nemmeno una risposta! Solo freddo, domande e altri problemi! Mi si è rotto il cazzo a essere sempre l'ultimo pedone della scacchiera del destino. — Mi pentii subito di aver lasciato traboccare quel proverbiale vaso: Airin non aveva fatto niente di male e non meritava di essere annegata dai miei sfoghi. — ...Scusami. Tu non c'entri nulla con tutto questo.
Lei non disse nulla, si sedette accanto a me e mi poggiò una mano sulla spalla, incapace di trovare parole di conforto.
Forse era vero che ero stato destinato alla sventura. Forse avevano ragione tutti coloro che mi avevano ripetuto che la mia natura era corrotta e malvagia sin dalla nascita: Aedh, Athelstan, i Corvi di Basiledra, Charles-Étienne Chevalier... persino Zoikar. Ero tallonato da un destino che gli altri mi avevano messo alle spalle, e che non riuscivo a seminare neppure attraversando l'intero continente; lo sentivo stringersi intorno al mio collo e lanciarmi contro sventura dopo sventura, senza pace.
Ritrovai la calma e serrai le mani in un unico pugno, poggiandoci contro la fronte.
Airin, cosa pensi che si intenda con "natura dell'uomo?
L'elfa si staccò da me.
Natura dell'uomo...? Intesa come... l'uomo nello stato di natura?
Intesa come "natura malvagia".
Ci fu una lunga pausa. Le pupille di Airin saettavano da parte a parte a raccogliere le idee.
Sai... nell'Edhel si racconta una favola molto conosciuta che parla di questo argomento; ti va di sentirla?
Feci un cenno affermativo senza guardarla. Mi sarei accontentato di qualsiasi risposta, a quel punto.
Dice più o meno così:

TeIw9fz

Lo scorpione doveva attraversare il fiume, così, non sapendo nuotare, chiese aiuto alla rana:
« Per favore, fammi salire sulla tua schiena e portami sull'altra sponda. »
La rana rispose:
« Fossi matta! Così appena siamo in acqua mi pungi e mi uccidi. »
« Per quale motivo dovrei farlo? » incalzò lo scorpione. « Se ti pungo, tu muori e io annego. »
La rana stette un attimo a pensare, e convintasi della sensatezza dell'obiezione dello scorpione, lo caricò sul dorso e insieme entrarono in acqua.
A metà tragitto la rana sentì un dolore intenso provenire dalla schiena e capì di essere stata punta dallo scorpione. Mentre entrambi stavano per morire, la rana chiese all'insano ospite il perché del folle gesto.

« Perché sono uno scorpione... » rispose lui. « ...è la mia natura. »

ITjaRst

Seguì mezzo minuto di silenzio.
...e finisce così?
Sì.
Ma... non ha senso. — tornai a scaldarmi, senza rendermene conto. Avevo la mente persa fra le nebbie della stanchezza, e le sole voci che la tagliavano sembravano suggerirmi sempre le stesse cosa: "La tua natura è malvagia." e "Un giorno brucerai questo mondo."
Perché lo scorpione avrebbe dovuto pungere la rana?
È proprio questo il-
No. So già cosa vuoi dire, ma nessun essere assennato si comporterebbe mai così; favola o non favola.
È una metafora... significa che quando siamo in difficoltà cediamo alla natura del nostro animo, per quanto ci impegniamo a mascherarla.
Proprio una bella metafora! — mi alzai di scatto. — E chi ha deciso che la natura dello scorpione fosse malvagia, e quella della rana buona? Forse la rana aveva intenzione di farlo cadere in mezzo al fiume, e lui si è soltanto difeso! Forse si era reso conto di essere stato tradito!
Airin si ritirò nelle spalle, come un animale spaventato dalle grida del padrone.
Raymond, è solo una fiaba, non volevo...
Non volevi "cosa"?
Ma... ricorda la tua fede; Il Sovrano non vorrebbe che tu ti agitassi per una cosa del genere, è una stupidaggine...
Oh, pessima, davvero pessima scelta di parole. Il Sovrano non vorrebbe tante cose; men che meno da me!

Qualcuno bussò alla porta, interrompendo bruscamente il litigio.
Il nuovo ospite varcò l'uscio senza nemmeno farsi invitare a entrare.
Signor Lancaster, mi duole disturbarla ancora una volta... — la voce dell'elfo che mi aveva accolto a Lithien e interrogato strisciò sul pavimento, arrampicandosi su di me fino alla gola. — Temo di avere ancora una volta bisogno di lei.
Dovetti fare ricorso a ogni briciola di educazione insegnatami da Aedh per non urlare anche contro di lui. Strinsi le mani contro le guance e chiusi gli occhi, sentendo la testa che mi girava senza sosta.
Cosa c'è ancora...?
Pare che la sua persona sia in effetti al centro di un curioso turbinio di coincidenze...

...conosce, per caso, questa ragazza?

9A4Ukto

Una quarta figura venne fatta entrare nella stanza.
Era una ragazza giovane, quasi una bambina, dall'aspetto denutrito e affilata come un fuso. Aveva lunghi capelli rossi che le toccavano le spalle e si stringeva fra le vesti tremando convulsamente. Non potei fare a meno di notare due dettagli della sua persona: le pupille verticali, immerse in un'iride dorata, e le piccole scaglie brune alla base del collo, sulle braccia e sulle mani. Se "Storia e Cultura dei draghi: gli antichi dèi di Theras" non mentiva, avevo di fronte a me un raro esemplare di mezzo drago.
La bambina teneva la bocca serrata e sembrava a malapena in grado di reggersi in piedi; tuttavia nei suoi occhi non vi era la minima ombra di paura. In effetti... non vi era nulla. Era come guardare due stagni d'oro privi di vita, dimenticati nel fondo di una palude.
Questa signorina è appena arrivata alle porte di Lithien in condizioni a dir poco pietose. — continuò l'elfo. — Pare che sia in viaggio da giorni, a piedi, e che non mangi da altrettanto tempo. Inoltre sembra che qualcuno di recente le abbia tagliato la lingua a metà, in modo che sembri quella di un serpente.
Rabbrividii a quel pensiero, e Airin si portò le mani alla bocca.
Farla parlare in queste condizioni sarebbe una crudeltà, ma sono riuscito comunque a strapparle due parole, prima che si chiudesse nel suo silenzio:

"il drago nero."
Rimasi impassibile. Era un'altra sfortunata coincidenza?
Ero certo di non aver mai visto quella ragazza prima d'allora, ma non potevo sapere se lei conoscesse me... eppure un mezzo drago non sarebbe passato inosservato nel Dortan.
Mi ritrovai a fissarla in modo clinico e la scoprii a studiarmi allo stesso modo. Nel suo sguardo non vi erano richieste d'aiuto; semmai, la muta rassegnazione ad affrontare tutto ciò che il destino le avrebbe mandato contro. Era uno sguardo che conoscevo bene, poiché l'avevo condiviso.
Avevo aperto la bocca per rispondere all'elfo, ma il fiume di parole che fino a quel momento era uscito incontrollato dalle mie labbra si fermò. Parlare divenne un'azione meccanica... ragionata. Dovetti pensare che stavo rifiutando di conoscere quella ragazza, e che così facendo l'avrei destinata ad altre ore di interrogatorio, se non all'esilio. E lei di certo non godeva della mia stessa sfortunata immortalità.
Nella salda solidità della sua figura, colsi un cenno d'intesa che nient'altro era in grado di trasmettermi.
Lei era come me.

E come a conferma di quel pensiero, parlò. La sua voce era confusa e impastata dalla mutilazione alla lingua, che divenne visibile a tutti.
Sì, è lui.
Una menzogna. Ma una menzogna alla quale avevo dato credito senza affermare di non conoscerla. L'elfo alzò lo sguardo verso di me con aria interrogativa e io gli risposi con un cenno d'assenso. Se non altro, era l'occasione buona di liberarsi di tutti gli ospiti indesiderati.
Potreste lasciarci soli? — chiesi, abbassando lo sguardo. — Anche tu, Airin.
L'elfa si alzò di scatto dalla branda e annuì con foga, regalando un'occhiata di confuso sospetto alla nuova ospite. L'elfo inquisitore si limitò a sorridere.
La lascio alle sue cure, allora. Anche se spero si renda conto di come ciò non faccia altro che aumentare le responsabilità a suo carico.

Quando uscirono sbattei la porta dietro di loro; nell'abitazione rimanemmo solo io e la bambina.
La fissai per un intero minuto, riaprii la porta per accertarmi che i due elfi si fossero allontanati, poi presi la coperta dalla branda e gliela lanciai.
Scaldati. Qualunque cosa tu abbia intenzione di fare, dovrai prima riprenderti. — quindi mi girai verso il cucino e preparai una pentola. — Ho un trancio di cervo da bollire, spero che non ti dispiaccia. Sono quaranta ore che non mangio.
...Ciquantadue.
Sorrisi. La sentii sedersi sulla branda e avvolgersi nella coperta.
Come ti chiami?
Lyzari. Il drago nero.
Mi voltai verso di lei, incuriosito da quella coincidenza.
Io sono Raymond Lancaster.


il drago nero.



Edited by Ray~ - 26/3/2016, 09:10
 
Top
view post Posted on 7/4/2016, 15:22
Avatar

And...bla..Bla..BLA
·······

Group:
Administrator
Posts:
6,262

Status:


Il mondo che non si vede

p7WMXfq

Passò i primi giorni avvolta nelle coperte, brividi di gelo a rannicchiarla sempre più in strati su strati di calda e morbida lana che il suo ospite provvide a fornirle senza che lei dovesse richiederli. Mangiò poco e bevve ancora meno, sapido respiro a condensarsi in gocce brinose sulle fibre attorno a lei. Non parlò affatto, o almeno così le parve prima che la febbre avesse la meglio su di lei facendola a tratti sragionare.
In quei momenti, forse, le capitò più volte di chiamare il nome di Aris e piangere. E addormentarsi suo malgrado senza riuscire a curarsi del fatto che così facendo costringeva lo stesso padrone di casa -Raymond Lancaster- a fare lo stesso indipendentemente dalla sua stanchezza più o meno pronunciata.
Difficile tuttavia appurare questi fatti: per tutto il suo periodo di soggiorno lui non le chiese o accennò mai a nulla, motivo per cui anche lei preferì non dire niente.
Nei giorni che seguirono, con il progressivo affievolirsi delle febbri e dei successivi momenti di riposo forzoso, la bambina si ritrovò sempre più spesso a passare il proprio tempo in uno stato di debole ed apatica dormiveglia, l'orecchio che suo malgrado si tendeva in ascolto dei rumori della casa attorno a sé e con essi delle semplici attività dell'uomo che l'aveva accolta. Tintinnio di tazze per colazione, strofinio di piatti per pranzo, nulla più che un mesto raschiare di scodelle per cena. Leanne non ricordava di aver mai udito prima quei suoni. Né nei primi anni con Aris né in seguito mentre cresceva stritolata dall'indistricabile addestramento di Edwin.
Ed in effetti, bastò una semplice occhiata per capire che nemmeno il suo ospite pareva personaggio assai avvezzo a simili quotidianità, lo sguardo torvo e gli occhi perennemente bassi, grigi di qualche pensiero lontano a farlo assomigliare più ad un antico eroe decaduto piuttosto che ad un tranquillo padre di famiglia.
E nemmeno i suoi modi combaciavano con il quadretto bucolico che di tanto in tanto, la schiena poggiata allo schienale di una sedia ed i piedi alzati poco più avanti sul pallido profilo di una balaustra, egli tentava quasi casualmente di improvvisare.
Può un Drago fingersi un cavallo? Un corvo? Un cane? Pensava di tanto in tanto Leanne scrutandolo da dentro il suo bozzolo lanuginoso.
Come ti senti oggi?
Ogni mattina lui usciva presto di casa, una primizia di orari propria di chi sia abituato a non chiudere affatto occhio e preferisca così ingannare le ultime interminabili ore della notte con una passeggiata all’albeggiare. Quando tornava, lei si limitava a far sgusciare gli occhi dorati fuori dalle coperte imbottite, un rapido sguardo di saluto che lui colmava con un vago cenno del capo.
Meglio
mugugnò quella mattina sparendo di nuovo sottocoperta. Pur non vedendolo, lo sentì fare spallucce.
Meglio così rintuzzò questi mettendo a bollire il solito infuso dall’odore dolce ed intenso Ancora qualche giorno e avrei iniziato a credere che fosse il mio cibo e non le temperature dell’Erydliss ad impedirti di riprendere le forze...
Era stata una battuta innocente, semplice ed assai poco pretenziosa come un mezzo buffetto sulla guancia, ma Leanne sorrise comunque.
Il tuo cibo è buono
ammise dopo un attimo quando lui le posò accanto una tazza fumante. Per un secondo egli parve meditare l’ipotesi di sederlesi accanto ma subito parve ripensarci, il passo mesto a portarlo sulla solita sedia che soleva occupare per lunghi minuti, come sovrappensiero. Quando si accomodò, lo sentì soffiare appena con le labbra chiuse.
Tanto buono. Eppure insapore
fu il suo ultimo e vago commento prima che, come sempre, egli si richiudesse nuovamente nel proprio silenzio pensieroso.

____________________________________________

“Sapete almeno da dove viene?”

Sadici efferati, criminali impenitenti e comici più che naturali, ben presto Leanne apprese che gli elfi potevano anche essere degli innegabili impiccioni, specie per gli affari che non riguardavano né loro né il benché minimo interesse comune. Le visite cominciarono non appena Leanne fu abbastanza in forze da far capolino di quando in quando dalle coperte - anche se presto ella sospettò sarebbero cominciate anche prima se solo il nobile Lancaster non vi si fosse opposto fermamente -.
“ E ditemi, vi ha per caso spiegato il motivo del suo soggiorno?”
Alle ore più improbabili, per le cause meno pensabili, per le circostanze di certo più incredibili ed insomma per ogni santissimo motivo, elfi ed elfe di ogni specie presero ad irrompere nella piccola casetta tempestando il povero Raymond di domande e richieste di ogni genere.
“E avete intenzioni di fermarvi ancora per molto?”
Gli argomenti preferiti parevano essere Lei e le ragioni della sua permanenza, ma eguale interesse solevano suscitare Lui e le informazioni che lo riguardavano nonché alcune insolite ed assai poco spiegabili sparizioni che avevano preso a verificarsi in città proprio in corrispondenza del suo arrivo.
“E siete certo di non conoscere nessuno di loro?”
Pacato e riservato, Raymond sopportava quella soverchiante serie di angherie con la compunta sobrietà di un penitente, un mesto galeotto abbastanza conscio delle proprie malefatte da non osare opporvisi né con il corpo né con lo spirito. Gentilmente, egli calciò comunque fuori di casa tutti quanti, nessuno escluso, rifilando ogni volta alla porta chiusa un sospiro di pura ed autentica contrizione prima di tornarsene in silenzio alle proprie faccende.

Quella volta, non l’ultima di quel giorno, nel voltarsi l’uomo trovò due occhi dorati intenti a fissarlo incuriositi da dietro lo stipite d’ingresso del soggiorno. La sagoma arruffata di Leanne si intravedeva appena nel bel mezzo di un nugolo di crespi capelli color carminio reduci da tanto sonno e pochi lavaggi. Incerti e per qualche ragione intimoriti dall'improvvisa comparsa della ragazzina, tutti e due rimasero per un attimo immobili ad osservarsi l'un l'altro prima che l'uomo le rivolgesse infine un mesto sorriso. Lei rispose solo dopo, insicura, piccoli denti inscuriti di sangue a fermare un ghigno sghembo, solo vagamente disturbante.
Ben svegliata.
Non stavo dormendo.
Una precisazione di poco conto, la sua, cui l'altro rispose con un'espressione vagamente perplessa. Raymond si passò due dita sul mento ispido di una mezza barba, come valutando se fosse il caso di indagare o meno sulla risposta. La bimba però lo precedette.
Perché non li lasci entrare?
Gli occhi dorati occhieggiarono alla porta. Dietro, già si intravedevano alcune sagome indecise sul da farsi. Prima più distanti, poi più vicine, poi ancora più distanti, quasi che nessuno sapesse bene decidersi se battere alla porta o desistere per -che ne so- qualche minuto ancora prima di realizzare l'inevitabile. Alla sola vista, Raymond cedette ad un mezzo sibilo stizzito prima di rivolgersi nuovamente alla bambina.
Non sono graditi.
Fu il suo grigio commento.
Forse lo sarebbero se li ascoltassi
Il fischio sull'ultima parola patinò di sangue le labbra di lei.
Ho già ascoltato a sufficienza. Raymond tentò di non guardare lo sbavo cremisi. Impossibile. Era come una calamita per gli occhi. Ora tutto ciò che rimane è rispondere. E non credo di averne molta voglia.
Una pausa. Poi lui si strinse nuovamente nelle spalle accennando con il capo alla porta ancora fermamente sbarrata.
Perché non apri tu?
Lei fece spallucce, una misera scintilla di divertimento a sfiorarle per un attimo gli occhi ambrati.
Sembra che tu gli piaccia di più
Vago sorriso
Ne dubito.

_____________________________________________

Seduta su una grande sedia, il capo quasi cascante in una ciotola ancora più grande, le maniche ciondoloni e sovradimensionate per la sua stazza, Leanne pareva assai più minuta di quanto non fosse inizialmente parsa a Raymond. Era piccola, ma di quella minutezza propria di chi non abbia avuto né un'infanzia né un'alimentazione corretta per crescere secondo i canoni naturali. Le sue ossa, velate ora da una lunga maglia di lino bianco, sporgevano aguzze da una pelle che -ad occhio- pareva costellata di piccole e grandi cicatrici. Le sue dita erano sottili e storte in più punti, come se tutte quante si fossero spezzate e dolorosamente ricostruite più volte.
Non hai fame?
le chiese notando che da un po' la piccola esitava dinnanzi al piatto fumante. Lei alzò di poco lo sguardo incontrando il suo per una frazione di secondo prima di socchiuderlo appena, come un piccolo felino.
E' calda
E' calda e mi fa male.
Lui abbassò il cucchiaio ora ricolmo di zuppa, lo svuotò e lo pose accuratamente a lato. Poi incrociò le braccia al petto, calmo.
Hai ragione commentò Rovente
Aspetteremo insieme, quindi, che si raffreddi. E mangeremo.
Sarebbe stata cosa strana parlare di Leanne in riferimento ad un sorriso. Cosa strana ed assurda per quel viso abituato ad assai poca espressività così come a scarsi sentimenti. Eppure, per qualche ragione, negli occhi della ragazzina si riflesse per un attimo quell'impressione, debole ed appena accennata, ma sicuramente presente.
Un sorriso per la sua gentilezza.
Un sorriso per la naturalezza della sua gentilezza.
Un sorriso per la naturalezza della sua gentilezza verso di lei che poca o nulla ne aveva ricevuta.
Poi, un nuovo e vago rabbuiarsi, il volto che mutava da disteso ad improvvisamente serio e compunto.

Dove sono gli altri?
Mutevole, anche l'espressione di Raymond cambiò di riflesso. In parte stupita, in parte incerta sull'origine di quella domanda.
Gli altri chi?
Fu poi la tiepida risposta. Lei fece spallucce.
Quelli che hai lasciato indietro.
Quelli a cui pensi sempre.

 
Top
view post Posted on 26/4/2016, 17:23
Avatar

--------------------
··········

Group:
Administrator
Posts:
34,432

Status:


Raymond Lancaster
the others

— la rana e lo scorpione —

pci20JZ

Gli altri... — Bagnai il cucchiaio nella zuppa con la lentezza di un traghettatore che sposta la sua imbarcazione. — ...non lo so.
Il piccolo remo che tenevo fra le dita tintinnò sul fondale, rimanendo impigliato fra i pezzi di carota e lanciando una cima sul bordo del piatto, che i miei occhi seguirono spenti e lacrimosi come una medusa spiaggiata.
Non lo sapevo davvero. Benedette anime, gettatesi o cadute dalla mia barca, loro sì che si erano salvate.
...hanno preso la loro strada, immagino.
Abbandonai il cucchiaio sul bordo di quello specchio brodoso e lo allontanai da me. Le verdure risalirono dal fondo come corpi affogati; potevo quasi sentirle giudicarmi.
e allora perché ci pensi sempre?
non dovresti pensarci sempre. — sembravano dirmi. — sei tu che ci hai lasciati cadere.

« io volevo solo portarvi dall'altra parte. » con un nodo allo stomaco. « portarvi fuori dall'inferno. salvarvi da ciò che stava sotto. siete voi che vi ci siete gettati. »
quando incrociai le braccia per chiudere quel dibattito con la mia cena, fu evidente persino a me quanto tremassero.
« ho fallito con ciascuno di voi. »

È passato troppo tempo dall'ultima volta in cui ci siamo incontrati. Quando succederà, saremo diversi.
Il cucchiaio scivolò sul fondo del piatto con un cigolio sordo.
Quando succederà, io sarò il mostro.
Leanne finse un'espressione di ingenuità e si strinse nella coperta. Tutte le volte che coglieva l'occasione di dissimulare la propria intelligenza le sue pupille si stringevano come quelle di un gatto sedotto dalla propria preda.
Perché non li lasci perdere?
Mi sollevai e rovesciai quel maledetto piatto di zuppa inquisitrice nel vaso da notte. Sentii il bisogno di fumare, ma le ceneri degli incubi ricorrenti mi ardevano nelle narici, bruciando ogni desiderio di tabacco.
Mi pulii le mani, benché non ci fosse niente da pulire.
Beata te che non hai famiglia.

k3hQPky

Storia e Cultura dei draghi: gli antichi dèi di Theras doveva stare sul terzo scaffale del reparto Creature Meravigliose, accanto a Pelleverde a Chi? e Le Razze di Pietra. "Doveva", perché qualcuno l'aveva spostato.
Passai in rassegna tutto il ripiano con l'indice della mano, sotto lo sguardo impaurito di un alunno che si affacciava a intervalli irregolari dalle pagine del proprio volume.
Niente. Non era lì.
Scusi...
Il bibliotecario che si era appena affacciato al corridoio finse di non sentirmi e si rifugiò nel reparto Scienza e Alchimia, disidratando la mia richiesta d'aiuto e spostando la mia attenzione su due figure che si muovevano all'ingresso della sala, trattenendo il respiro come spie inesperte.
Uscii dalla corsia, svoltai a destra, superai un androne e mi infilai fra i tomi ammuffiti della sezione Fenomenologia dell'Anima, che se ne stavano appollaiati sugli scaffali come avvoltoi grassi e polverosi, pronti a cadere giù e rimanere schiacciati a terra in qualsiasi momento. Le oltre settecento pagine di Sulla natura della non morte mi fissavano con il petto gonfio d'umidità e la copertina carica di alterigia, legate insieme da una fibbia di pelle che sfoggiavano come il trofeo di un capobanda.
Lo fissai per mezzo minuto prima di stringerlo tra le dita indecise. Mi stava facendo un favore.
Perdonami. passai un palmo sulla copertina irregolare. Non appena me ne andrò da qui, se la prenderanno anche con te.
Vorranno sapere che cosa ho letto. Che cosa ho cercato.
Non ti tratteranno bene.

Quello lasciò andare uno sbuffo di polvere, ridicolizzando tutta la mia deferenza.

Signor Lancaster? — Sobbalzai. — Un messaggio per lei.
Il bibliotecario mi allungò un libro e una busta, prima che lo congedassi. Riconobbi la calligrafia elegante di Airin.

« In ricordo. Per la bambina. »

Il libro era rilegato in una copertina di pelle color mattone, decorata con un blasone arlecchinesco; se non lo si stringeva con forza si lasciava sfuggire alcune pagine e le dimenticava a terra, facendole svolazzare con disattenzione. Il segnapagina era dello stesso rosso acceso delle bandiere:
Fiabe di Theras; una raccolta di Taliesin il bardo.
Mai sentito. Eppure, sfogliandolo, i miei occhi andarono incontro a una lunga serie di nomi famigliari (la Dama Bianca, Rainier, Alexandra) e un'ancora più verbosa lista di personalità sconosciute, tra le quali spiccò il nome di Shahryar:
« Nasciamo dalle rime. Siamo fatti e disfatti dalle rime. La nostra lingua è ferma. Temi il senzavoce. Temi Shahryar. »
Forse a Leanne sarebbe piaciuto.

k3hQPky

Oh, quando eravamo piccoli io e mio fratello adoravamo questa fiaba. — indicai il frontespizio di pagina trentadue, che intitolava con grafia arzigogolata il regno di Diante e Carbo. Leanne mi fissò priva di reazioni, più interessata a me di quanto non lo fosse al libro. — Lady Maria si intrufolava nella nostra stanza e ce la leggeva ogni volta che Aedh se la prendeva con uno di noi, anche se le veniva impedito di farlo.
La mezzo drago mi si strinse contro, affacciandosi sulle pagine.
La sua pelle era calda e amorevole come il fuoco di un camino.
Di cosa parla?
Poggia la schiena contro il muro e mossi le gambe per stare comodo sulla branda, che era molto più morbida di quanto non ricordassi.
Era stato un lungo percorso quello che mi aveva portato sino a lì, sebbene non distassi che mezzo metro dallo sgabello di legno.
Te la racconto come è scritta qui:

Raccontano le genti del Dortan che prima che i primi regni venissero alla luce, l'unico trono esistente fosse quello dei fratelli Diante e Carbo. Quasi gemelli nell'aspetto, Diante era il maggiore per solamente un anno di differenza ed era amato e riverito dal popolo. Anche Carbo era amato, ma essendo timido e schivo preferiva passare le sue giornate lontano dalla gente, chino sui libri che tanto adorava leggere.

I due fratelli scrissero le prime leggi del Dortan, in un tempo in cui gli uomini obbedivano ancora ai più forti, e Diante si prese in carico il dovere di trasmetterle. Dove i ladri venivano puniti col taglio delle mani, lui appariva con le misure di un giusto processo; dove ai buffoni audaci veniva tagliata la lingua, lui correva ai ripari con delle scuse ufficiali. In un mondo dove tutti avevano le proprie regole, Diante fu il primo ad avere delle regole giuste per tutti, che amava dispensare con un sorriso e partendo subito dopo, senza nemmeno farsi ringraziare.

Tutti sapevano che ogni tanto Diante partiva. Ci si svegliava alla mattina e non c'era più, sparito dal suo letto fino a chissà quando e lasciando sempre la stessa lettera sul trono, che diceva:
« Carbo, ti lascio il trono. Fai attenzione a chi ci vuole poggiare il sedere fino al mio ritorno. »
Perché il regno era pieno di persone malvagie. Poi, quando stava per tornare, scriveva sempre una lettera che chiedeva:
« Come sta il trono? »
E Carbo rispondeva:
« Guarda che si è dimenticato la forma del tuo sedere, eh! »

Un giorno Diante partì e stette via più a lungo del solito.
Nel regno vi erano uno zoppo, un orbo e un dislessico che da tempo volevano sedere sul trono e, vedendo il fratello maggiore lontano, si misero insieme per usurpare il regno. Si presentarono a Carbo come persone qualunque, nascondendo le loro menomazioni, e fecero richiesta di udienza.

« Sire, le strade del suo regno sono tutte accidentate, non si cammina bene! »
Esclamò lo zoppo.
« Strano, io cammino benissimo! » rispose Carbo, ma gli altri tre indicarono lo zoppo e intonarono un coro di: « Ha ragione lui! Ha ragione lui! »

« E tutto il regno è coperto di polvere, non si riesce nemmeno a tenere gli occhi aperti! »
Continuò l'orbo.
« Eppure io ci vedo benissimo! » replicò quindi Carbo, ma ancora una volta gli altri due indicarono l'orbo e gracchiarono: « Ha ragione lui! Ha ragione lui! »

« E i co-comnuicati non si chpischono. Sogno scritti-ti male male! »
Concluse il dislessico.
« Ma a me sembrano scritti bene! » controbatté Carbo, e gli altri, indicando il dislessico: « Ha ragione lui! Ha ragione lui! »

A quel punto Carbo pensò che se tre persone convenivano tutte sugli stessi punti il regno doveva avere davvero qualche problema, quindi uscì dal castello per andare a controllarlo. Non appena lo fece, però, i tre manigoldi lo chiusero fuori dalla dimora e iniziarono a fare a gara a sedersi sul trono fra le grasse risate e gli insulti rivolti sia a Carbo che a Diante. Quando il minore dei fratelli tornò al castello e trovò le porte chiuse, capì subito che cosa era successo e vergognandosi della propria ingenuità andò a nascondersi nella foresta poco distante.

Nel frattempo Diante stava per tornare a casa e scrisse la sua solita lettera:
« Come sta il trono? »
Ma la risposta che gli arrivò, scritta dallo zoppo - che dei tre era l'unico che potesse scrivere decentemente - fu diversa dal solito:
« Bene, bene, non preoccuparti! Anzi, se vuoi stare in giro ancora un po', fa pure! »

Diante capì immediatamente che qualcosa non andava, e così prima di tornare al castello si fermò nella piazza del paese e lesse a gran voce una nuova legge che aveva appena scritto:
« Sarà re indiscusso chiunque abbia poggiato il sedere almeno una volta sul trono e raggiunga per primo il centro del bosco! »
Quando i tre manigoldi vennero a saperlo esultarono di gioia, poiché il castello era molto più vicino al bosco di quanto non lo fosse il villaggio; ma non si resero conto che la loro volontà di distruzione si sarebbe presto rivolta contro loro stessi. Iniziarono a fare a pugni tra di loro e a gareggiare per raggiungere il traguardo il prima possibile, litigando a gran voce tra chi di loro meritasse di più di essere il re. Alla fine si divisero e il dislessico, da solo, non riuscì a chiedere indicazioni a nessuno per raggiungere il bosco. L'orbo si perse fra gli alberi, che per lui erano tutti uguali, e lo zoppo non riuscì nemmeno a superare le porte del castello prima che Diante raggiungesse il traguardo.

Quando il fratello maggiore raggiunse il bosco, sentì una persona piangere nel punto più profondo. Lo raggiunse e vi trovò Carbo, seduto su un ceppo e col viso nascosto tra le mani.
« Scusami Diante, scusami! Sono stato uno sciocco! »
Ma quello lo ignorò.
« Beh, pare proprio che tu sia arrivato qui per primo! » esclamò abbracciando il fratello. « D'altra parte il trono si ricorda molto di più la forma del tuo sedere che del mio! »

Così Carbo divenne il primo re del Dortan, e Diante riprese a viaggiare e a portare la legge a tutti coloro che ancora non ce l'avevano.

HwsD6fL

Mi accorsi che Leanne aveva chiuso gli occhi e si era appoggiata alla mia spalla, respirando profondamente. Le sue labbra riuscirono comunque a formulare una domanda.
Quale dei due sei tu?
Mi alzai con gentilezza e la feci stendere sulla branda, rimboccandole le coperte. Accarezzai le pagine del libro come avrei fatto con la schiena di un amante.
Entrambi.



Edited by Ray~ - 18/5/2016, 13:00
 
Top
view post Posted on 18/9/2016, 19:07
Avatar

And...bla..Bla..BLA
·······

Group:
Administrator
Posts:
6,262

Status:


Distant Echoes
__________________________________________

E' una bella storia
sospirò Leanne prima di poggiare il mento al tavolo. Sbattè piano le palpebre. Il Tè di Raymond misto alle spezie le dava sempre una certa sonnolenza. Poi sospirò.
Anche Aris mi raccontava sempre delle belle favole. Esitò, lo sguardo felino che si spostava appena sul profilo sgranato dell'altro. Fiabe di paura in realtà. Ma secondo lei quelle erano le sole capaci di insegnare come funzionava davvero la vita.
Difficile capire se avesse avuto davvero ragione.
Poco distante, Raymond alzò appena il capo dal profilo sbeccato della propria tazza scoccandole una lunga occhiata indagatoria.
Una tipa tosta questa Aris, o sbaglio?
Fece con apparente noncuranza. Lei scrollò le spalle scoprendosi suo malgrado a sorridere appena.
Più che tosta.
La migliore.
E dove si trova ora questa Aris?
Lei poggiò la guancia al tavolo.
E' da molto che non la vedo. Ha dovuto lasciarmi.
Il che valeva a dire che sicuramente non l'avrebbe mai più vista. E che di certo sarebbe stato saggio non andarla a cercare.
Come percependo il non detto, Raymond posò allora la tazza sul tavolo, uno sguardo lungo e pensieroso a ingrigire ancor più i suoi tratti intristiti.
Dove sono i tuoi genitori, Lyzari?
Fece cupo.
E' difficile da spiegare. Difficile e faticoso più di quanto dovrebbe esserlo per una bambina di pochi anni.
Ma lei scosse semplicemente le spalle.
Aris era la mia famiglia. Poi i Danzatori mi hanno adottata. Ora non appartengo più a nessuno.
E sarebbe stata una risposta assai decisa e definitiva se solo il retrogusto infantile della voce misto a quell'aura di innocenza non avessero fatto suonare quelle sue parole come
abbandono
paura
incertezza

Tuttavia Raymond pareva un uomo dal cuore assai più duro di quanto tutti quegli avvoltoi, tutti quei mendicanti credessero standosene tutto il giorno fuori dalla loro porta. Perché non disse nulla. Si alzò e con disinvoltura prese sia la propria che la tazza della bambina lavando entrambe in silenzio.
Lei rimase qualche istante a guardarlo, incerta sull'intendere indifferenza o una più decisa meditazione in quel comportamento. Infine tornò a dormire, la testa fulva che sprofondava senza pensieri nel cuscino più morbido che le fosse mai capitato di possedere in vita sua.

Quando si svegliò, un'idea di colazione l'attendeva sul tavolo. Poco più lontano un biglietto scritto con una grafia sottile ed elegante propria di coloro che abbiano studiato ma non si vantino di averlo fatto.

Sono al mercato.
whRLmuS

Saggiò con curiosità quelle parole, una vaga aspettativa su cosa quel messaggio avrebbe significato in termini di cibo a costringerla a guardare prima il pezzo di carta poi la finestra e poi di nuovo il pezzo di carta.
Probabilmente Raymond al mercato voleva andarci da solo. Meditò. Senza che una poppante gli si attaccasse alle braghe.
Si morse un labbro. Ma forse avrebbe potuto aiutarlo con le borse. Del resto per la sua età lei era molto forte.
Guardò ancora una volta la porta, sperando che l'entrare proprio in quell'attimo di Raymond potesse risolvere in un nulla di fatto le sue intense elucubrazioni.
Poi uscì.

-0-

Fuori la città le parve insieme familiare e straniera: i vicoli stretti, le porte in legno talvolta socchiuse, i grandi viali lastricati. Tutto di Lithien parlava di Nord e di Edhel, avvolta in quel manto assieme destabilizzante quanto affascinante. Eppure Leanne faticava a orientarsi in quella bianca vastità, abituata com'era alle tenebrose vie di Neirusiens. Lithien era...schivò una carovana di pellegrini...era bianca. E grande. E magica, ma non di quella magia putrida e corrotta come Neirusiens ma di qualcosa di assai più pulito e terso, simile allo scintillio della luce sull'acqua.
Quando giunse al mercato il capo di Leanne doleva terribilmente a causa del suo stare continuamente con il naso all'insù. Esitò un attimo, a disagio nel trovarsi così presto e così improvvisamente in un mondo sempre più sconosciuto e poi lo percepì. L'odore di Raymond. Qualcosa a metà fra terra e pelo, fra profumi sciupati e sangue incrostato.
Difficile capire se una donna avrebbe o meno trovato di proprio gradimento quella fragranza decadente. Forse troppo...animale?Di certo per Leanne fu quanto di più rassicurante le fosse capitato di percepire da molto, davvero molto tempo.
Quando gli si accostò, un mezzo sorriso furbo a incresparle le labbra, lui parve appena stupito nel vederla. La studiò per un attimo come complimentandosi e insieme chiedendosi come esattamente ella avesse fatto a raggiungerlo lì senza che nessuno le avesse mai spiegato alcunché della planimetria di Lithien. Infine sospirò.
"Tu cosa preferisci?"
"Tutto"
Mezzo sogghigno sottile
"Temo che tutto sia un po' al di sopra delle mie finanze per ora"
Lei si strinse nelle spalle
"Allora quello che piace a te"
Vago accigliarsi
"E se invece volessi farti un regalo?"
Nuova scrollata di spalle
"Perché vorresti regalarmi qualcosa?"
Le labbra di Raymond si schiusero allora in qualcosa di molto simile a un sospiro e sorriso assieme. Un po' come se egli fosse seccato ma stranamente divertito dall'indole di Leanne. Poi fece spallucce.
"Perché mi renderebbe felice, penso"
Questa volta fu il turno della bambina di guardare. E arricciare appena le labbra. Poi volgere lo sguardo alla bancarella lanciando un'occhiata meditabonda alla merce lì esposta. E infine alzò un dito.
"Quello"
"Quello ti piacerebbe?"
sogghignò Raymond quasi prendendola in giro
"Quello mi potrebbe servire, immagino"

qntBN0F

Poco più tardi entrambi fecero il loro ingresso nella piccola casupola in pietra. Raymond carico delle più varie cibarie e beni di prima necessità e Leanne poco dietro, un grande arco agganciato alla schiena completo di frecce di un vivo color porpora e faretra in pelle. Il negoziante aveva provato a sconsigliarne l'acquisto essendo l'arma misurata per un uomo adulto e non per una fanciulla della sua età ma Raymond aveva semplicemente ribadito che crescere era una qualità che dubitava Leanne non possedesse, motivo per cui che problema c'era a portarsi avanti?
Giunta in salotto la bambina si sfilò di dosso l'arco per posarlo con tutto il resto accanto al divano adibito a sua cuccetta. Poi si allontanò di qualche passo e in silenzio rimase qualche attimo a fissarlo. Raymond le concesse un sorriso bonario mettendosi viceversa a riordinare e preparare il pranzo. Quando fu pronto le si accostò e senza pensarci le mise allora una mano sulla spalla. Lei alzò di scatto lo sguardo incontrando quello di lui intento a studiarla.
"Spero che un giorno possa piacerti"
lo sentì dire con voce sottile. C'era davvero qualcosa di buono in quegli occhi, decretò improvvisamente. Qualcosa contro cui non sapeva esattamente come misurarsi ma che istintivamente la faceva sentire stranamente a casa.
"Posso restare con te?"
Chiese allora senza distogliere lo sguardo. Lui si limitò allora ad abbassare il proprio per un lungo attimo. Poi lo rialzò e semplicemente, le sorrise.

 
Top
5 replies since 7/11/2015, 20:56   629 views
  Share