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La crociata del traditore ~ La rana e lo scorpione

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Eitinel
view post Posted on 25/3/2016, 10:59 by: Eitinel
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Tracce d'autunno

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Non gli servì che uno sguardo per capire chi fra quelli fosse il capo.
Non il vecchio zoppicante. Non il grassone tutto contento. Non la donna dall’aria arcigna.
Ashlon - così gli fu poi rivelato il suo nome - era di ben altro calibro se paragonato al selvatico intreccio fra luce ed ombra che erano i Predatori. I suoi capelli bianchi erano lunghi fino a terra, ispidi e grezzi come lana cotta; la sua pelle era sottile e pallida, poco più che un velo a fasciare muscoli guizzanti e tonici; il suo sguardo pareva antico e glaciale, una morsa nella quale Leanne si ritrovò suo malgrado a rabbrividire, infastidita.
Non sorrideva, ma fu semplice intuire la pacata soddisfazione nei suoi occhi, il morbido gongolare della camminata nel vederla lì, legata ed in ginocchio a terra in attesa che lui e tutto il suo amato popolo elfico decidesse che farsene di lei. L’avevano lasciata così per due giorni, curiosamente attenti che nessuno entrasse mai direttamente in contatto con lei ma che in egual misura le venisse fornito cibo ed acqua per quanto attenesse il suo sostentamento. E solo ora, spavaldi ma curiosamente attenti, i suoi aguzzini si arrischiavano ad approcciarla come un gruppo di domatori con l’ineffabile tigre.
Edwin è morto. Prese subito parola Ashlon. Gli Anziani hanno deciso che fosse giunto il suo momento.
Dalla sua posizione inginocchiata, Leanne si ricordò solo allora della famosa cordialità elfica, tanto orgogliosamente decantata dagli uomini di Neirusiens per essere una fra le cose più gradevoli del Nord. Che a confronto, Ombre e Aberrazioni parevano davvero una passeggiata.
Hanish’yevaw
Che la sua anima riposi in pace

Si limitò a rispondere la ragazza in lingua elfica. Una lingua non sua, la rimproverarono all’unisono gli sguardi di tutti. Ma lei li ignorò.
Non sembri dispiaciuta.
Fu il successivo commento di Ashlon. Nella cupa penombra delle fiaccole, i suoi tratti tradivano un che di sfuggente, quasi ch’egli fosse stato in grado di mutare espressione ad ogni sillaba. Leanne si strinse nelle spalle.
La’ni e reh Oneiron kawe’ru
Oneiron saprà avere cura di lui.

Chiedile perché non usa la sua lingua parve di sentire sussurrare qualcuno alle spalle dell’elfo. Forse il grassone dalla faccia rubiconda. Ora un po’ meno rubiconda, notò Leanne, mentre con sforzo tentava di sporgersi oltre la spalla di Ashlon senza in realtà farlo. Quell’indecisione imperlò in un attimo la sua fronte donandogli un che di liscio e caramellato. La ragazza chinò appena il capo.
Cercavo solo di farvi cosa gradita
si giustificò con un piccolo sospiro.
Ma probabilmente nemmeno quella era la cosa migliore da dire perché da tutti parve come sollevarsi un mormorio di furore e collera insieme. Assiepati come cervi nei cespugli, i Predatori le ringhiarono contro tutto il loro sdegno.
Questa cagna crede di poterci compiacere con i suoi modi da schiava. Non sa che i Predatori disprezzano servitù e servilismi. Eccolo il regno degli uomini. Animi deboli, cuori esangui. Occhi da animale.
Rimasto in silenzio, Ashlon si limitò a scuotere il capo.
So che tenterai di scappare. decretò infine guardando la ragazza. Lei annuì, paradossalmente contenta di ritrovarsi finalmente in un’intenzione realmente sua. Così come so che molto della tua natura sfugge alla visione di chi pronuncia il tuo nome.
Lyzari, Il Drago Nero, La bimba Ombra.
Gli anni avevano inciso su di lei appellativi più che assennatezza.

Vaghe, piccole rughe di espressione parvero allora affacciarsi sul volto dell’elfo, colme di un sentimento che Leanne notò senza riuscire a comprenderlo appieno.
E credo in ultimo che tu già sappia perché ora ti trovi qui e non al fianco di Edwin, a decomporti nelle calme acque dell’Himnakan.
Una pausa, il suo lungo sguardo a scivolare sulla ragazza con cupa eppure attenta circospezione.
Lui era un aguzzino, una grottesca parodia del comandante illuminato che era stato non molto tempo fa. Tu invece sei un simbolo.
Dichiarò infine. Per quanto non fosse affatto avvezza all’espressione, Leanne trovò quasi difficile non sorridere.
Edwin preferiva chiamarmi il suo gioiellino.
Storse le labbra. Lui fece come se non l’avesse sentita.
Edwin ti ha donato esattamente il nome che meriti, Lyzari, lo stesso di cui mi servirò per permettere ai Predatori di ricominciare le proprie vite al riparo da ricordi ed antichi timori. Al riparo dal loro passato.
Lei sbattè una volta le palpebre, un tremito del labbro che improvviso rabbrividiva sul suo volto prima che ella voltasse il capo di lato. Non aveva inteso appieno il senso delle parole di Ashlon - no, il linguaggio degli elfi non necessitava di un vocabolario a parte per risultare ogni volta incomprensibile - eppure la sensazione di essere una preda in una gabbia di belve assai affamate si faceva di momento in momento più vivida e presente. Soffocante. Alzò tuttavia lo sguardo ancora, sfidando il suo seducente aguzzino a fare lo stesso.
Potrei servirvi. Tentò comunque di difendersi. Diventare il vostro trofeo.
Senza nemmeno dare l’idea di aver considerato l’opzione, Ashlon scosse nuovamente la testa.
Noi Predatori non accettiamo le cose di altri. Spiegò semplicemente. Edwin era il tuo padrone ieri come lo è oggi. Nessun Predatore si sognerebbe mai di prendere qualcosa che non gli potrà mai appartenere per davvero. Anche se il suo valore è inestimabile.
Complimento a parte, Leanne fu certa di non aver in alcun modo gradito le parole.
Non sono mai stata di Edwin. Nemmeno per un secondo. E’ con l’inganno che mi tratteneva e se non fosse stato per esso, avrei tentato io stessa di ucciderlo più e più volte fino a riuscirci.
Nell’esatto momento in cui pronunciava quelle parole, Leanne capì che lui non le avrebbe creduto. Nè con le buone, né con le cattive. Né giurando, né arrabbiandosi. Né ora, né mai. Ed anzi, più la sua ostinazione nel dare prova della propria buona fede fosse stata grande, più egli avrebbe inteso il contrario. E quindi, in fondo, non sarebbe cambiato assolutamente nulla. Piegò allora il capo di lato, una mezza sfumatura di sdegno a riflettersi in quella ora assai più pronunciata dei presenti. Lasciò anche che i suoi polsi tintinnassero appena delle catene strette attorno ad essi.
Ho letto che fu un’elfa a scacciare il vostro popolo da Neirusiens tanto tempo fa. Esalò quindi con un mezzo sogghigno. Un’elfa dotata di poteri incredibili il cui solo spirito fu in grado di portare tutti alla pazzia e far sprofondare la città nell’abbandono per secoli.
Se mai ne fosse stata in grado, di certo l’occhiata di Ashlon l’avrebbe incenerita lì in quell’istante. Ma fortunatamente - o meno - egli aveva ben altri progetti in serbo per lei che farla fuori in quel modo barbaro e scontato, senza nessuno a parte quattro poveri mentecatti con cui vantarsi in seguito. Così dopo un lungo ed immenso attimo di velato risentimento, egli si limitò a scrollare le spalle come si faccia dopo aver avuto un pensiero brutto o un ricordo molesto. Ma assai poco importante.
Si chiamava Eitinel. Esalò quindi. E da che ebbi la sfortuna di incontrarla, tu sei davvero la cosa più simile a lei che mi sia capito di vedere.

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Pochi sanno che oltre allo spiccato senso dell’umorismo, gli elfi sono anche assai famosi al Nord per la loro predilezione verso il sadismo e la violenza. L’amabile piacere con cui vi si dedicano all’occorrenza è tali da renderli in effetti una fra le razze più gradevoli e raccomandabili dell’intero continente. Fedeli alla propria nomea, essi si prodigarono affinché a Leanne venisse riservato con scrupolo e metodicità il più delizioso dei trattamenti. Scarna e malaticcia, ella venne più volte presentata dinnanzi al Popolo Neiru come l’ultima avanguardia di Edwin e dei suoi criminosi alleati. Fu esplicitato il loro stretto legame di parentela -ah si?- e l’infido sodalizio che negli anni aveva reso lei il braccio destro di lui, lei la bieca esecutrice dei crimini del primo al fine di ridurre tutto il popolo Neiru alla fame ed inedia.
Fu chiarito che la piccola possedeva sangue di Ombra nelle vene - un ringraziamento speciale ad Edwin per questo particolare - e che più volte ella si era servita di quei poteri per assolvere ai propri luridi compiti. Infine venne il momento delle liste, sfilze senza fine di nomi e nomignoli delle più o meno presunte vittime della ragazzina salmodiate da un coro di giovanissime ed agitatissime elfe.
Nella costernazione e rabbia generale, a Leanne venne giustamente riconosciuto il nomignolo di Lyzari, faccia di lucertola - in seguito poi riadattata a serpente - in nome del quale si decise di comune accordo di tagliarle la lingua in due parti distinte. Fresca di quell’intervento, le fu poi chiesto di salmodiare ai presenti la propria innocenza. Nessuno, vuoi la difficoltà nel solfeggiare le proprie ragioni, vuoi l’assai poco convincente capacità esplicativa della fanciulla, le credette.
Così, dopo tanti e presunti appelli di innocenza ed incriminazione, il Popolo Neiru convenne che fosse cosa più saggia per tutti giustiziare l’abominevole creatura e porre così fine tanto al suo quanto al loro strazio di averla lì senza un merito o uno scopo assai precisi.
L’esecuzione venne riportata come la più breve e concisa che si fosse mai vista all’interno delle mura di Neirusiens. La rapidità del taglio del capo inversamente proporzionale al sollievo che da quel momento serpeggiò per tutta Neirusiens nei giorni e mesi a venire.

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Avanti, muoviti
La voce di Rakshin tradiva ora una nota di allarme e fretta che raramente Leanne aveva avuto la fortuna di udire. Ansante di fatica e tensione, l'uomo la sorreggeva per la spalla trascinandola quasi di peso mentre insieme si allontanavano dalla porta Sud di Neirusiens. Bruciante di febbre, Leanne si limitò ad annuire a vuoto, lo sguardo vacuo che sbandava da un muro all’altro della galleria prima di ruzzolare stanco nella piccola discesa dove l’uomo la guidò. Inciamparono entrambi. Più avanti, qualche metro di imprecazioni necessarie a ristabilire che la via da seguire era corretta e ripresero la loro ansante fuga.
Se non ti muovi, saranno qui ancor prima del taglio.
Non servirono chiarimenti per specificare a quale taglio Rakshin si riferisse. Con un simil-singhiozzo, Leanne improvvisò allora un passo più spedito, solo vagamente inficiato dalla costante necessità che la piccola aveva di voltare di quando in quando il capo e sputare un grumoso nodo di sangue a lato della via. All’ennesima sosta sputacchiante, l’uomo le mollò uno scappellotto infuriato.
Smettila subito. Seguiranno le tracce. Poi, storcendo appena le labbra Manda giù. Vomiterai poi, quando e se saremo fuori da questo casino.
Quando e se.
Entrambe quelle parole suonarono pallide ed ovattate nella mente inscurita di Leanne, un vago riverbero a pelo d’acqua cui lei rispose con un gemito sommesso, contrito.
Era stanca.
Constatò.
Da morire.
Eppure sapeva che quella era davvero l’unica occasione rimastale per sopravvivere a quell’inferno mortale chiamato Neirusiens. La sola possibilità che le veniva offerta di poter ricordare un giorno di quando, poco più che bambina, poco meno che adolescente, ella riuscì a scampare la morte con un becero scambio di persona ed una successiva fuga fra le più rocambolesche che si fossero mai viste. Ed aggiungere che ad orchestrare tutto ciò non furono nè grandi maghi né potenti fattucchieri ma solo un Danzatore dal cuore tenero. Arido fuori, tenero dentro. Che per qualche ragione era stato in grado di affezionarsi a lei che tutto salvo l’affetto pareva in grado di suscitare nelle persone.
Si può sapere a cosa stai pensando?
digrignò l’uomo in questione dandole proprio allora uno scossone deciso
Se non ti decidi a camminare come Dio comanda giuro che ti mollo qui

Dopo l’ultima grotta, l’ultimo passaggio, l’ultimo tunnel angusto, lei e Rakshin trovarono una piccola barca ormeggiata ad attenderli. L’uomo l’aveva nascosta in quel punto settimane prima, fiducioso che nessuno a parte lui sarebbe stata in grado di scovarla. Vi saltarono sopra quasi di corsa, le mosse di sgancio e partenza svolte con la furtiva e rapida veemenza di formiche impazzite. Poi, colta la corrente di deflusso, Rakshin ordinò a Leanne di accucciarsi nelle cianfrusaglie ammassate nel piccolo scafo, una coperta a confondere la sua presenza cui egli aggiunse altre piccolezze e fascine di circostanza.
Sepolta viva sotto quell’ammasso di ciarpame, la ragazzina si limitò per qualche attimo ad ascoltare il vago sciabordio dell’acqua sotto di lei, il freddo riverbero delle onde sulle anguste pareti delle gallerie, il vago ansare di Rakshin seduto poco distante al timone.
Ed infine si addormentò.

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Quando riaprì gli occhi, la barchetta si era fermata. Il rollio era cessato, il tramestio delle onde pure. E con esse, anche Rakshin. Sola a riva di un fiume sconosciuto, in un bosco mai visitato ed in una terra a lei per lo più ostile, Leanne si ritrovò improvvisamente vulnerabile come non lo era stata da mesi, anni probabilmente, la vaga percezione della solitudine a schiantarla per un attimo in quelle luride coperte cui ella si rifugiò per un attimo, due forse, notte e giorno ad avvicendarsi prima che ella avesse anche solo il coraggio di sgusciarvi fuori e cominciare, infine, a camminare lontano.
Da quel momento in poi, parve tutto assai più facile.
Leanne sapeva cacciare. E orientarsi. E ricordava perfino il modo per trovare acqua senza la presenza di ruscelli e fiumi. Mantenne tuttavia la coperta che -si fa per dire- le aveva donato Rakshin, certa che in qualche modo ella fosse in grado di scaldarla assai più di pellicce e cortecce trovate nel bosco.
Ma la vita allo stato brado non è cosa assai semplice per chi sia stato abituato alla civiltà e alle piccole semplicità in essa racchiuse. Comodità cui faticava a rinunciare perfino Leanne il cui addestramento e lezioni avevano impartito una serie di buone e dettagliate possibilità di sopravvivere senza fatica. Nei giorni che seguirono, la pista da lei individuata e volta a permetterle di attraversare il valico dell’Erydliss divenne sempre più fredda ed accidentata, verde e frescura a trasformarsi via via in sempreverde e nevischio. Poi neve. Poi gelo e faticoso sprofondare in cumuli di bianca e freddissima fatica.
Mangiare divenne un lusso da costante a saltuario, da saltuario ad accidentale ed infine assai improbabile, le temperature che di notte costringevano la ragazza a trovare o costruirsi buche nel terreno ove infilarcisi tremante.
Ma Edwin l’aveva addestrata bene. Anzi, meglio.
Meglio dei lupi, meglio del ghiaccio, meglio dei venti e delle tempeste d’alta quota. Meglio, infine dei Predatori che a breve ella scoprì essersi messi sulle sue tracce poco dopo la scoperta della sua fuga. La intercettarono un paio di volte, ma per entrambe l’oscurità le fu una cara e gradita amica finché, per metà assiderata e metà deperita, Leanne riuscì infine ad arrivare laddove sapeva che avrebbe trovato -anche se per poco- caldo e ristoro a sufficienza per riprendere il proprio viaggio. Lithien.
All’interno delle sue sacre mura nessuno avrebbe potuto ghermirla e trascinarla di forza verso Neirusiens dove -ne era certa- la attendeva ancora la ghigliottina. Affrettò appena il passo, mani e piedi scavati dal freddo che a forza ghermivano il ghiaccio cui era lastricata la via per giungere alla sua salvezza. La sete inaridiva il suo respiro.
Ma una volta all’interno delle mura...
Incespicò.
Una volta dentro....
Incapace di aspettare si ritrovò allora a masticare in bocca le parole da pronunciare nell’esatto momento in cui la vedetta di guardia le avrebbe chiesto il suo nome.
Chi sei tu?
Le suggerì la mente.
Leanne.
Rispose senza fiato.
Lyzari.
Le suggerirono le labbra spaccate.
La bimba ombra.
Le ricordarono le sue membra ora quasi trasparenti di fame.
Il suono delle sue mani contro le porte ora sigillate della città riverberò nelle sue orecchie come il cupo, profondo, rintocco di una campana.

Chi sei tu?

Da qualche parte, in alto, giunse allora la voce che aspettava. Quella che si era immaginata.

Il Drago Nero.
Gridarono le sue labbra sanguinanti prima che ella crollasse a terra in un singhiozzo disperato.

 
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5 replies since 7/11/2015, 20:56   630 views
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