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| Intet, la sognatrice il quarto Ahriman — la lunga via illusoria —
— Il nostro tempo insieme è terminato, Somnhya. Aupiter sciolse l'intreccio con le dita di Intet. Per lei fu come se qualcuno le avesse strappato tutta la pelle dal corpo, scavandole le braccia con un uncino. Si voltò a guardarlo. Tinteggiato dalla luce delle candele e rivestito dalla ardente penombra dorata, il suo drago non sembrava nemmeno reale: era un quadro, dipinto per lei e lei soltanto dalle dolci fantasie che la accompagnavano nel dormiveglia. Chiuse gli occhi e resistette alla tentazione di gettarsi di nuovo tra le sue braccia. Espirò a lungo. Fissò nella mente il suono del suo respiro, il profumo della sua pelle, il sapore delle sue labbra, la fedeltà incrollabile nel suo sguardo, la delicatezza delle sue dita, l'elegante imperscrutabilità dei suoi pensieri, la dolcezza con cui la stringeva, il modo con cui allungava il corpo per spegnere le candele senza staccarsi da lei, il tono enigmatico della sua voce, il sorriso nei suoi occhi quando gli rispondeva a tono, le loro gambe che si toccavano appena, il calore emanato dal suo petto e il respiro che tratteneva quando le passava le labbra sul collo. Nessuna morte sarebbe stata più dolce di quella affrontata con quei ricordi. — Addio... — perse la voce. Le tremavano le labbra. Sentiva freddo. — Aupiter. Quello sorrise. Era perfetto. — Basta una nuvola per eclissare le storie degli uomini. Chissà se il tempo cambierà? Anche lei sorrise di rimando. Lo sciocco gioco delle loro astruserie ridiede calore al suo corpo. — Il tempo cambierà, forse, nell'isolato dormiveglia dove è giaciuta la nostra intimità. — Temi che una pioggia improvvisa possa spegnere tutte le candele? — Forse. Io... non so. Davvero non so. — Quale verità da voce alle tue esitazioni? — Ho paura. — quella frase le venne strappata dal petto provocandole tanto dolore da farla lacrimare. — Paura che aldilà di questa lunga via illusoria non resti più niente di noi. Aupiter alzò una mano per raggiungerla. La tenne sospesa per mezzo secondo, poi raccolse le dita e la passò sulle lenzuola del letto, distogliendo lo sguardo. — Solo chi si è perso imbocca un percorso inesistente. — il suo viso si dischiuse in un sorriso su cui avrebbe voluto poggiare le dita tremanti. — Ma come potresti smarrire la strada? Quando non saprai dove andare ti basterà alzare lo sguardo e le stelle scriveranno nel cielo la nostra storia, soltanto per i tuoi occhi da leggere. Il vento la porterà tra i rami degli alberi. I fiori col profumo delle foglie. Il sole la userà per scaldare la terra e gli uomini vivranno nell'incapace speranza di poterla imitare. Lei chinò il capo e strinse le palpebre fino a farsi male. Si girò lentamente, dandogli la schiena e rivolgendosi a Zaide. — Non voltarti. — concluse lui. La sua voce curava ogni dolore, come la migliore delle medicine. — Addio, Somnhya.
Passò un minuto, poi Intet sollevò il suo corpo nudo dal letto e camminò verso la strega di Taanach. Fra le mani teneva uno stile sottile che aveva recuperato ai piedi del letto, lavorato perché l'elsa sembrasse ricoperta di squame. Ondeggiava come un serpente che danza al suono del flauto di un incantatore. — Alla fine siamo sempre noi donne a dover risolvere ogni problema. — Stavo per dire la stessa cosa. Zaide aveva atteso il termine di quel siparietto con inusuale pazienza. Il suo sguardo era reso indecifrabile dalle centinaia di sfumature che lo attraversavano, secondo dopo secondo: le labbra le si contraevano per la rabbia; le palpebre le si stringevano per la curiosità; la fronte le si corrugava per il dubbio; il cipiglio cercava di evitare la vista dei corpi nudi dei draghi; gli occhi erano pietrificati in un grigio senso di comprensione e superiorità. Intet le mise il pugnale tra le mani, accompagnandone con gentilezza la stretta delle dita sull'elsa, poi le sorrise. La strega era più alta di lei di almeno dieci centimetri. — Sei cresciuta tanto, bambina. Zaide raggrinzò il viso in una smorfia di vecchio dolore troppo evidente perché sfuggisse all'occhio attento di Somnhya. — Ti disturba così tanto scoprire in me un'anima affine? — Mi sorprende. — si lasciò sfuggire in uno slancio di sincerità che la fece sentire inadeguata. — Questo sogno è completamente diverso da ciò che mi sarei aspettata di trovare nella mente dell'Ahriman... — la sua presa sullo stile si fece più salda. — ...ma porterò a termine ciò che sono venuta a fare. — Thàr? L'espressione della strega ritrovò compostezza. — No. La vendetta non c'entra nulla. — e per la prima volta, il suo sguardo sembrò libero da qualsiasi esitazione. — Io ti libererò dalla gabbia dorata che la corruzione ha costruito per te, esattamente come sono riuscita a spezzare e comprendere lo schema che ha intrecciato nella mia vita. Non c'è nessun altro che possa farlo. Eppure, la sua mano non si muoveva. — Quale verità da voce alle tue esitazioni, quindi? Zaide chiuse gli occhi per un secondo. Li riaprì mossa da una zelante determinazione. — Sapere cosa succederà in seguito. — Dillo. — ...Sapere di essere l'Ahriman. Passarono un intero minuto in silenzio. Poi, come se avesse preso una decisione improvvisa, la strega conficcò il pugnale dello stomaco di Intet, senza preannunciare quel gesto in alcun modo. Somnhya tossì e vacillò sulle gambe, alzando le mani per nascondere il fiotto di sangue che iniziò a fuoriuscire dalle labbra. Rovinò a terra come una marionetta a cui vengono tagliati i fili, cadendo sulla roccia senza un briciolo di eleganza. — Quando distruggerò la corruzione dall'interno, lo farò per ogni persona che ne ha sofferto. Anche per te. — disse Zaide, e nei suoi occhi era tornato il fuoco. — Solo io posso farlo. Solo io posso essere il quarto Ahriman. Ma nella sua debolezza, Intet non ascoltò nessuna di quelle parole. Il suo sguardo non aveva resistito e si era rivolto verso il letto, alla disperata ricerca del conforto del suo amato. Aupiter non c'era più. Un dolore più acuto di quello della lama che le tagliava le budella la travolse, facendole emettere un pianto gorgogliante. Morì sola, brutta, debole. Libera dalla corruzione. Di tutto ciò che stava succedendo, Jahrir ne comprense meno della metà. Prima era calata la notte, benché non fosse che mezzogiorno. Poi gli schiavi erano impazziti e si erano trasformati in caduti. Quindi una bambina era apparsa correndo in direzione dell'Ahriman, scomparendo nel nulla non appena era giunta in prossimità del signore dei demoni. Un gigantesco verme delle sabbie era emerso all'esterno dell'accampamento e si era gettato sui mostri. E infine erano arrivati i cavalli. Centinaia di cavalli. Apparsi dal nulla. Neri come se la loro carne fosse bruciata, grondanti sangue dalle narici e con diverse ossa lasciate scoperte al di sopra della pelle. Gli animali si muovevano furiosamente per il campo di battaglia, travolgendo le armate dei caduti e lasciando indenni gli schiavi: erano innegabilmente dalla loro parte, anche se la loro presenza sfuggiva alla comprensione del nano. — Ma che cazzo sta succedendo?! Il Kahraman non sapeva come muoversi. Gli avvenimenti si susseguivano sotto i suoi occhi prima che riuscisse a prendere qualsiasi decisione. L'armatura di cuoio lo stringeva sui fianchi, la barba gli prudeva e la lancia gli scivolava dalle dita sudate. Persino l'Ahriman, che gli era sembrato così terribile fino a un attimo prima, se ne stava come paralizzato al centro dell'accampamento senza muovere un muscolo. Faceva ciondolare la testa aliena sui caduti, sugli schiavi e sui cavalli, lasciando colare dalle ganasce un liquido nero che odorava di decomposizione. Era come se fosse assorto in chissà quali pensieri, al punto tale da non vedere nemmeno il campo di battaglia. Che centrasse la bambina di poco prima? Beh, lui non avrebbe sprecato quella benedetta fortuna. — Scappa, benim sevgili. — gli ripeteva la corruzione da un paio di minuti a quella parte. — Scappa. — Shaelan, per favore! Non è il momento! Non avrebbe saputo dire se fosse per la confusione tutt'intorno a lui, per l'adrenalina che gli scorreva nelle vene o per la semplicità della sua mente, ma la voce di sua moglie si era fatta più debole. Ora non era che un sussurro sopra al quale si sentiva un suono intermittente simile allo scrosciare dell'acqua. Si maledisse per essersi lasciato intristire prima della battaglia. I suoi occhi caddero su un caduto dalle fattezza canine che latrava a poca distanza da lui. Lo vide lanciarsi contro uno schiavo terrorizzato e senza pensarci due volte lo raggiunse e lo trapassò con la lancia, passandogliela fra due costole. Il soldato crollò in ginocchio e si prese la testa tra le mani, ciondolando come se fosse affetto da chissà quali incubi. La corruzione si era già presa molti dei loro soldati, ma altrettanti resistevano ancora, giacendo in uno stato di penosa disperazione. Jahrir poggiò una mano sulla spalla di quello che aveva appena salvato, ma non ottenne né ringraziamenti né risposte: si trovava come in una trance. Per il momento decise di ignorare l'Ahriman, preoccupandosi invece di salvare i suoi uomini. Il signore dei demoni sembrava comunque paralizzato, dunque non costituiva un pericolo. — Dategli quattro anni di tempo e non riconoscerete più Theras. A lungo termine, questo potere gli permetterà di tagliare i rami e le radici della Tentatio. — Cosa? — Jahrir abbassò lo sguardo verso lo schiavo. Aveva farfugliato qualcosa a bassa voce e a labbra strette, impedendogli di capire alcunché; di tutto ciò che aveva detto era riuscito a cogliere solamente "Tentatio". — Senti, ti farei volentieri compagnia ma devo andare a salvare i tuoi amichetti. Cerca di riprenderti. Gli diede una pacca sulla spalla e si allontanò. Quello non lo degnò nemmeno di uno sguardo. A quel punto raggiunse le prime file della battaglia e sfruttò gli schieramenti di picche di legno per tenere fuori i caduti, facendo penetrare la lancia tra le misere fortificazioni e combattendo spalla a spalla con i mamelucchi. Riuscirono a mietere diversi demoni prima che uno di essi, con grosse ali di pipistrello e artigli d'aquila, riuscisse a superare il loro fronte e ad abbattere l'uomo che si trovava alla sua destra, formando una crepa nella loro difesa. Il Kahraman si gettò subito su di lui per tamponare la ferita, ma quello sanguinava abbastanza da riempire tutti gli otri dell'accampamento. — Resisti, amico mio. Alza un po' la spalla così che possa... — Dovrà essere crudele. Dovrà abituarsi a essere crudele con la coscienza pulita. — Eh? Il mamelucco era preda alle convulsioni e il suo sguardo era vitreo. Nulla avrebbe potuto salvarlo. Jahrir si convinse che con l'avvicinarsi della morte il guerriero stesse ripetendo i versi del Furūsiyya. A fargli eco giunse la voce dell'uomo alla sua sinistra, che parlò con la stessa nota atona. — I mezzi capaci di riportare la più facile vittoria sulla ragione sono il terrore e la forza. — Ehi, ma vi sembra il momento? — Jahrir si voltò verso l'ultimo che aveva parlato. — Siamo nel mezzo della battaglia! Concentratevi sul nemico, invece di ripetere le cazzate dei vostri testi sacri! Ma quello non gli rispose. Non lo guardava nemmeno. Mormorava a labbra strette e ripeteva sempre la stessa frase, in continuazione. Aveva persino smesso di combattere. Il suono del legno infranto riportò il nano alla realtà. I caduti sfondarono la paratia indifesa e si lanciarono all'interno dell'accampamento, costringendolo ad allontanarsi. Strinse le dita sulla lancia e si diresse verso un altro fronte di resistenza, dove alcuni soldati arroccati fra due rocce respingevano strenuamente almeno due decine di demoni. Per poco non inciampò nel corpo di uno schiavo che benché perfettamente illeso aveva deciso di stendersi supino accanto a una tenda, forse per nasconderti. — Alzati! — gli gridò. — Non è il momento di nascondersi! — Prima di tutto bisogna eliminare i nemici della libertà. Cioè i traditori. Qui comincia il messaggio dei sacerdoti: nel ricordare che tra lui e noi ci sono venti milioni di morti. Il corpo di Jahrir venne scosso da un brivido. C'era qualcosa che non andava. Si chinò e schiaffeggiò il viso dello schiavo, senza ottenere alcuna reazione. Che cosa stava succedendo? — Scappa. Sentì provenire dalle sue spalle il suono disgustoso di un caduto in movimento e si voltò impugnando la sua arma. La creatura aveva fattezze umane e barcollava senza forze, ciondolando le braccia; la sua pelle secerneva un liquido simile alla pece ed era coperta da pustole febbrili; la mascella era dislocata e la parte superiore della testa coperta da un'escrescenza simile a un lichene. — Vieni avanti, mostro. Ma il demone non sembrava interessato a lui. Muoveva la bocca al meglio delle possibilità, emettendo lamenti a quali riuscì a dare un senso solo dopo un certo tempo. — Davanti a lui... l'impero. Dietro di lui... l'impero. L'impero... marcia con lui. Persino i caduti stavano venendo contaminati da quella pazzia? — Scappa. A quel punto le nenie iniziarono a ripetersi una dopo l'altra. Provenivano da ogni angolo dell'accampamento, indistintamente, sia dagli schiavi che dalle progenie dell'Ahriman, e tutte insieme formavano un coro che evocava orrori sempre più distinti. La ricostruzione di una figura palpitante, che si muoveva sotto di loro. — Ha preso partito per i Feziali quando era ancora un cucciolo. Poi gli è rimasto fedele, e il ricordo di questo periodo racchiuderà una ricompensa che nessuno potrebbe dargli. — Primo... consapevolezza al dovere. — La premessa dell'esistenza di un'umanità superiore non sono i Feziali, ma l'impero. — Secondo... l'amore per la nazione. — Scappa, benim sevgili. — Terzo... l'idea antisemita. — Ciò che il senzascaglie produce in campo artistico è o furto o paradosso. Gli mancano le qualità geniali delle razze dotate di valori. — Ιανός è una vaccinazione contro un bacillo, la difesa necessaria, l'anticorpo, contro una pestilenza che oggi stringe nella sua morsa il mondo intero. — Scappa. — Ciò che sta succedendo adesso è conseguenza del piano della corruzione, che grida le sue menzogne per voce di Intet. — Intet fu solo una tra milioni che, nel pantano di un mondo in putrefazione, riconobbe i veleni essenziali e li concentrò, come una negromante, in una soluzione destinata ad annientare l'esistenza dell'impero sulla terra. — Scappa. — Non farà concessioni. Saranno gli altri a doversi adattare alle sue pretese e ai suoi bisogni, o saranno spazzati via. — ...Esiste un solo discrimine: o si è Maegon, o non si è Maegon. — Sta arrivando. — Kahraman! — La voce di Aleksjéj fu come un bagno di acqua gelida. Proveniva da qualche parte sopra di loro, potente come il fragore di un tuono. — Dovete andarvene! Iανός sta arrivando! La terra tremò convulsa sotto i piedi nel nano. Lui mosse la testa in direzione di Zuben per dirgli di ordinare la ritirata; il mamelucco si trovava in una posizione sopraelevata e come la maggior parte degli uomini dell'esercito giaceva in uno stato di trance. — Zuben! — La terrà tremò ancora. Il Kahrman perse l'equilibrio. — La ritirata! Dobbiamo trovare... — uno scossone più forte degli altri lo fece cadere a terra. — ...un riparo! Ma quello non rispondeva. Stavano impazzendo tutti uno dopo l'altro, ed era stato sufficiente che Giano si trovasse lì perché ciò accadesse. Persino l'Ahriman parve svegliarsi dalla sua immobilità: si rannicchiò e iniziò a muovere le lunghe braccia per l'accampamento, scavando nella terra come un cane che cerca di nascondere un osso. Iniziò a lanciare grida aliene, dal suono metallico, che nella confusione dell'accampamento avevano la stessa cantilena del pianto disperato di una donna. — Nascondermi! — diceva terrorizzato e passava gli artigli sulle rocce, facendoli stridere. — Devo nascondermi! Tutto ciò non fece che alimentare lo spavento del nano, che tornò a rivolgersi a Zuben. Quando alzò lo sguardo verso la rupe, però, dietro al mamelucco vide apparire una mano gigantesca, ricoperta di squame: la sola mano era grande come tutto l'Ahriman, provvista di artigli e mostruosamente deforme. — Zuben! Le dita si chiusero sul mamelucco senza che lui replicasse. Il suono delle sue ossa spezzate riecheggiò per tutto l'accampamento, sovrastando quello delle nenie folli dei soldati. Quindi fu l'inferno. La terra iniziò a sollevarsi tutto intorno a loro. Il puzzo del Baathos gli riempì le narici, mentre le rocce del Sürgün-Zemat si ricombinavano a formare quella che, in futuro, sarebbe stata chiamata la bocca di Giano. Una gigantesca voragine si aprì nel terreno e sotto di essa... una seconda montagna. No, un corpo. Un corpo gigantesco che attraversava i cunicoli dell'abisso e che si stava ergendo dalle profondità, spaccando la superficie col solo movimento della sua schiena. Le yurta dell'accampamento si disfecero immediatamente; una forgia precipitò nell'oscurità sotto di loro; gli schiavi ancora coscienti strisciavano sul terreno, muovendosi il più lontano possibile dalle crepe che si allargavano sotto i loro corpi. I caduti erano in preda a un panico simile e avevano cessato qualsiasi attacco: fuggivano dall'accampamento e si ritiravano nella piana poco distante, nella patetica illusione di trovarvi salvezza. Quando Giano poggiò la prima mano a terra, alcune zolle di roccia iniziarono a fluttuare intorno a essa; due mamelucchi vi si aggrapparono spaventati, prima di perdere l'equilibrio e precipitare nel vuoto. L'altopiano che avevano scelto per difendersi iniziò a dissolversi, scomponendosi sotto il gesto di un Dio capriccioso e ricombinandosi per lasciarlo salire in superficie. Non sarebbe più tornato come prima. Quando si sollevò, il suo corpo grondava acqua marina. Fra alcune delle sue scaglie erano rimaste intrappolate alghe e mitili che facevano sembrare il suo corpo uno scoglio di dimensioni colossali. Il viaggio dallo Zar era stato lungo e in quel tragitto l'antico Dio Maegon aveva avuto modo di crescere ancora. E ancora. E di cambiare. E di divorare sempre più corruzione per costruirsi un'armatura che superasse in potenza qualsiasi cosa che Theras avesse mai visto. Era alto diverse centinaia di metri e fuoriusciva dall'abisso solo con il busto, stagliando la sua ombra sul campo di battaglia come una montagna comparsa all'improvviso. A Jahrir era stato detto che i Maegon erano anticamente imparentati con i draghi, ma Giano sembrava a malapena rettile: sebbene avesse una forma umanoide, il suo viso era protetto da creste ossee simili a quelle di un dinosauro, provvisto di una moltitudine di occhi e di zanne affilatissime, ciascuna di esse grande come un gigante. La sua schiena era protetta da un carapace spinoso che lasciava sfuggire una moltitudine di code robuste e muscolose. E mano a mano che il tempo passava il suo corpo sembrava cambiare di continuo, spezzandosi e riformandosi per diventare sempre più mostruoso. Il mondo intero pareva gravitare intorno a lui. « INTET. »
« PORTATEMI INTET. » La sua voce non poteva nemmeno essere definita tale. Era come ascoltare i tuoni di un temporale; il suono di una montagna che crolla; il mondo che va in frantumi. Toccandosi la fronte Jahrir sentì che grondava sudore freddo, e abbassando lo sguardo scoprì di essersi pisciato addosso. Cosa avrebbe potuto fare, chiunque, contro un Dio? L'Ahriman strisciava a terra come un verme, su una zolla di terra miracolosamente rimasta appesa alla superficie. — Devo nascondermi... — piagnucolava, patetico. — ...aiuto... Aupiter... Fu in quell'istante che la voce di Aleksjéj rischiarò il cielo, calda e ferma come il sole. Il drago fluttuava all'altezza delle nuvole più basse, muovendosi a debita distanza dalla testa di Iανός, come un rapace che adocchia la propria preda. Nella sua forma draconica, Venatrix era poco più grande di un solo occhio del Dio Maegon. — Eccomi, Iανός! — esclamò con tono innaturalmente calmo. — Se è il sangue di Intet che cerchi, io ne sono il vascello!
CITAZIONE Ok, post molto lungo, ma c'erano tante cose da dire - e sicuramente non sono riuscito a trovare spazio per tutto. Partiamo dagli elementi più tecnici: I vostri attacchi hanno effetto sull'armata dei caduti che, ora, giace in queste condizioni:
Corpo: 120% Mente: 300% Energia: 280%
L'assalto di Zaide alla mente di Intet, invece, si risolve come un danno mortale per l'Ahriman che, come si evince in questo post, ne risente terribilmente. Lo stato dell'Ahriman in questo momento è quanto segue:
Corpo: 100% Mente: 0% Energia: 125%
Sì, tecnicamente è come se fosse già morto (e infatti non attacca né si difende), ed è in vita solo per ragioni sceniche (l'attacco di Fatal Tragedy va a segno: puoi venire a conoscenza di tutto il background dell'Ahriman e gestire la cosa, interpretativamente, come preferisci). Ma ormai avrete capito che non era il lui il boss finale della quest... ehm... Fate un applauso a Giano! *clap clap* Il Dio Maegon emerge dal sottosuolo, distruggendo completamente l'accampamento. Le sue dimensioni equivalgono più o meno a quelle di una piccola montagna, o di una città di medie dimensioni; la sua sola presenza fa impazzire tutti i PnG meno importanti (schiavi, mamelucchi e caduti generici) che cadono in uno stato di trance e si mettono a mormorare gli inni della gloria Maegon (NdR: come caratterizzare un personaggio senza dargli un PoV, lawl). La terra stessa si sposta e si deforma per lasciare passare il Maegon, fluttuando intorno al suo corpo come se fosse un centro di gravità. Di fatto, non è mai apparso niente di più potente su Theras di Giano in questo momento - infatti non ha nemmeno delle statistiche; è tipo... "un evento" che accade. Ciò comporta per voi giocatori diverse cose:
1. Perdete l'equilibrio. Se non avete passive di "equilibrio", non potete volare o non consumate CS appropriate per rimanere in piedi, i vostri personaggi rischiano di cadere nel Baathos. Quindi dovete trovare un modo tecnico per salvarvi, o precipitare nel vuoto. 2. Secondo assalto psionico di potenza critica su ciascuno di voi, che danneggia la mente e l'energia (alto a ciascuna). Le vostre menti impazziscono davanti a Giano, semplicemente perché "non possono comprenderlo", un po' come è successo a tutti gli schiavi dell'accampamento. Questa follia non è una visione - è un semplice stato di pazzia, che potete interpretare come volete in azioni concrete; i soldati si sono rannicchiati, ma non è detto che i vostri personaggi debbano fare la stessa cosa. Anche qui vorrei lasciarvi carta bianca. 3. Per il resto, questo post è molto libero: potete nascondervi, attaccare l'Ahriman, i caduti, Giano... potete anche tentare di interagire con gli altri PnG principali, se volete. C'è un casino in atto, quindi potete fare, letteralmente, quello che volete.
Parliamo delle scelte: Come intuito da alcuni di voi, la scelta di uccidere Intet era quella più sicura per la guerra (ha oneshottato l'Ahriman, lol), ma meno sicura per Zaide. Eliminare l'Ahriman ha lasciato la corruzione libera da un vascello e, soprattutto, era l'ultimo importante tassello che la Tentatio aveva pianificato per la strega di Taanach. Tutto è andato secondo i suoi piani, quindi, e... +3 punti corruzione per Zaide. La classifica ne risulta ribaltata:
Zaide - 9 punti Jahrir - 8 punti Giano - 5 punti
La prossima scelta è molto semplice, ed è dedicata al nostro pucciosissimo dio Maegon; non ho nemmeno bisogno di introdurla:
— Giano si lancerà contro l'Ahriman per annientarlo una volta per tutte, concludendo così la sua missione. — Giano si lancerà prima contro i caduti, scaricando la sua rabbia sui demoni che hanno distrutto il suo popolo. — Giano si lancerà contro Venatrix, proiettando su di lui l'immagine che aveva di Intet (il Maegon conosceva Intet quando era ancora un drago).
A voi l'opzione! Le tempistiche sono come al solito; enjoy! (mi scuso per eventuali errori nella parte finale del post, ma non volevo ritardarne la pubblicazione)
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