Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Castello di Carte - Fiori

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view post Posted on 10/12/2015, 23:16
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Like a paper airplane


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L’ambasciata era imponente al centro della città e loro erano riuniti in una stanza piccola, che sembrava ancora più incombente attorno alle loro figure avvolte da troppi strati di vestiti. Alcuni si carezzavano nervosamente la barba profumata, altri premevano le mani sulla grossa pancia. Molti avevano la fronte sudata.
Aedh Lancaster li fissava arcigno da capotavola. I suoi occhi gelidi li scrutarono uno per uno, commensali al banchetto di un funerale. Li chiuse per qualche istante, aumentando la loro tensione, sebbene non avesse bisogno di cercare le parole.


Il buon Priore Caino sta marciando sulla capitale”.


Tra i presenti si levò un lieve brusio, uno stormire di anime inquiete. Fuori era il tramonto, quando i cittadini ignari rincasavano dai loro mestieri e i soldati staccavano dal turno di guardia per divertirsi nelle bettole. Fuori le puttane attendevano inspirando il fumo delle lanterne. Dentro le teste si inclinavano alla volta del vicino, in cerca di conforto per opinioni scontate e frettolose.


Cosa ritenete dobbiamo fare?


Non avrebbe voluto chiedere il loro parere. Dopo tutto lui era il loro signore, il Primo tra tutti i Pari. Ma non aveva scelta: se non avessero deciso di schierare uomini e denaro lui non sarebbe stato in grado di resistere all’avanzata da solo. Strinse i pugni sotto la tavola, senza tradire la propria emozione.
Aveva parlato con voce ferma, ma sapeva che loro l’avrebbero percepita come una sua sconfitta personale. Avevano il fiuto degli avvoltoi e lui era una carcassa troppo succulenta per rinunciarvi. Alcuni di loro avevano già le guance arrossate, qualcuno si leccava le labbra. Assaporavano il gusto di quell’opportunità, ne soppesavano i rischi. Forse si figuravano il guadagno della vittoria. Chinò il capo, sapendo che non sarebbe servito interpellarli ulteriormente.


Il Priore…è molto potente....con tutti quei soldati… non dovremmo rivolgerci al Sovrano?


Lord Griffith infilò un dito grassoccio nel colletto ricamato, cercando di guadagnare nuova aria. Boccheggiò, risentendo del proprio improvviso coraggio, agitandosi sul sedere grassoccio. Aedh se lo immaginò correre davanti all’esercito nemico in un bizzarro tentativo di fuga. Si chiese se avrebbero perso tempo ad ucciderlo.


Ritenete il Sovrano capace di fermare un esercito? Lo stesso sovrano che poco tempo fa poppava ancora il latte da una mammella?


La Marchesa Muhyaa rivolse a tutti i presenti un sorriso morbido, assottigliando i grandi occhi scuri. Il trucco pesante la faceva sembrare una pantera, la pelle d’ebano strideva al confronto con il pallore dei suoi interlocutori. Sicura di sé, tese una mano ad abbracciare la città fuori dalle finestre.


Io dico di difendere ciò che abbiamo costruito. Ciò che ci deve appartenere di diritto: non un re, ma il potere su questo regno”.


Strinse il pugno, alcuni le fecero eco col capo.


Trovo indubbio che una come voi si intenda di mammelle, signora”.


Tutti voltarono il capo di scatto. Lord Dobrzensky non sorrideva, le labbra chiuse in una linea sottile di disgusto. I suoi abiti erano sobri nonostante i giorni freddi e la sua figura svettava elegante. I pochi capelli rossi che gli restavano avvampavano sotto la luce del tramonto. Un arrivista, pensava Aedh Lancaster, uno di quelli che avrebbe avuto qualche possibilità di farcela. Che non aveva meritato l’arrivo di una guerra, perfetta per inginocchiare la loro forza e per far rotolare le loro teste.


Non c’è alcun potere dei Pari se non c’è un re. Non c’è altro che l’anarchia, il potere della plebaglia. Difenderemo il ragazzino. E ci guadagneremo i suoi favori”.


Aveva parlato con voce perentoria. Come se fosse lui il capo di quel consesso. Aedh storse le labbra, ma evitò di replicare. Mentalmente si appuntò di farla pagare al vecchio Lord e al suo feudo grande quanto uno sputo.


O forse vi state sbagliando tutti. Forse la caduta di un re è la chiave per un benessere più grande”.


Luciano Piccardo si era alzato in piedi. Il Conte Lefais annuì vigorosamente e così pure il Duca Murray, lo sposo dell’elfa. Aedh non si stupiva che un uomo della levatura di Piccardo si mescolasse a certi individui, ben noti per le proprie preferenze eccentriche. Non sapeva se fosse più accettabile allearsi con il padre di Hoggar Lefais, guitto solo dall’entrata di servizio, o con il marito della duchessa Murray, un’elfa dai fianchi stretti quanto era larga la via tra essi racchiusa. Di certo sarebbero stati un fronte divertente.


Forse un trono vuoto potrebbe essere riempito da qualcuno di fiducia. Forse Caino non rifiuterebbe un accordo”.


Piccardo volse per un istante il capo e gettò un’occhiata a una figura inaspettata, avvolta in un manto scuro e rimasta fino a quel momento immobile. Alle sue spalle una dama dall’aspetto magnifico e dai magnetici occhi viola. Il Lancaster si chiese se la Contessa di Ardeal avesse qualche accordo segreto con il nobile e se quella serva ne facesse parte. Ainwen annuì una sola volta, un gesto talmente lieve da passare inosservato.
Nel frattempo era sceso il silenzio, scandito solo dallo scuotere il capo di Lord Dobrzensky.


Dobbiamo trovare un fronte comune!


La voce, incerta, apparteneva a un uomo dall’identità altrettanto incerta. Aedh nemmeno gli prestò attenzione: la decisione spettava a lui, ma non poteva prenderla finchè il tavolo fosse stato spaccato a metà. Si passò una mano sulla fronte. Sarebbe stata una lunga notte.





L’alba sorgeva sui prati attorno alla capitale. Un sole con le lunghe dita eleganti di un amante, carezzevoli e ambrate. Lentamente scivolava tra i fili d’erba umidi di rugiada, tra le fronde immobili degli alberi, che trattenevano il respiro. Il cielo avvampava, infuocato dal turgore del mattino, e il canto degli uccelli si levava con l’ebbrezza di una nenia.
Un rombo sordo, simile al battito di un cuore, scandiva quella particolare mattina. Il disco del sole, unico occhio spettatore del futuro, sorgeva come ogni giorno, impassibile, sul destino di un regno. A fargli eco non era il respiro della terra né il gorgogliare ridacchiante di un rivo. Ma era il ritmo regolare di centinaia di piedi, di decine e decine di passi perentori. Ogni tanto il legno delle lance toccava terra e il nitrito dei cavalli spezzava la monotonia.
Al sole non interessava. Con equità illuminava quegli elmi lucidi, rendendoli simili a specchi, e i volti tirati dei nobili del Dortan riuniti all'Ambasciata, reduci da notti insonni. Non aveva alcuna preferenza. Lanciava pesanti ombre tra i pennacchi leggeri e sotto gli zigomi affilati. Di quando in quando una nuvola lo copriva, ma quella era una mattina in cui pareva ancora essere estate.
Tiepida, la brezza si levava occasionalmente, timida, quasi smarrita, in cerca della giusta direzione. Si distendeva nel crine dei cavalli e nelle parole sparute dei commilitoni, le bocche piene del silenzio della battaglia ormai prossima.
Erano una massa anonima che rispondeva ad un nome solo: Caino. Erano le sue braccia, le sue armi, i lunghi tentacoli della sua minaccia. Ma il sole non fermava la sua corsa: molte vite e morti si erano succedute al suo cospetto su quegli stessi campi. Ed ogni volta, tra le dita dei cadaveri, il suo calore aveva riportato la vita. Attraverso la cenere era nata l’erba e le promesse ne avevano concimato il colore intenso. Là dove secoli prima si era piantata una spada, ora cresceva una pianta di primule. Il sole, muto, sapeva che così sarebbe sempre stato.
E a quei soldati, che non sapevano, forse non sarebbe stato di conforto. I loro piedi travolgevano la distanza che li separava dalla patria di altri, dalla vita di altri, dalla tranquillità e dall’amore dei loro nemici. Nell’alba, ignari, terminavano l’amplesso o riflettevano insonni sul futuro. Ancora non potevano udire quella marcia silenziosa farsi più vicina.
Non potevano sentire gli uccelli zittirsi ed alzarsi in volo frullando le ali in cerca di un rifugio più sicuro. E non potevano sentire il suono, infinitesimale e straziante, di centinaia di fiori dagli steli spezzati. Piccole corolle sporcate dalla terra, petali strappati come se la guerra in realtà fosse già iniziata. Non li avrebbero uditi nemmeno tendendo l’orecchio, eppure se avessero potuto forse sarebbero fuggiti.
Con brutalità, i giardini di Ladeca venivano conquistati senza guerra. I loro terreni distrutti senza fuoco. I loro fiori spezzati senza colpo ferire. Solo pochi potevano saperlo, ma presto sarebbe stato chiaro a tutti.
La guerra era iniziata.





Edited by Majo_Anna - 14/12/2015, 10:05
 
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