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La terra di sale, Contest Dicembre 2015 - Edhel - Ospitalità

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view post Posted on 28/12/2015, 20:17
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« Sei tu quello che chiamano Grano? »
Nella penombra di quell'isolata rovina, un volto si alzò verso la luce del giorno.
« Nessuno mi chiama più così da anni. »
La voce dell'ombra era graffiante e soffocata, come se provenisse da dietro ad una maschera. A fatica raggiunse le orecchie dell'Uomo Venuto da Lontano, che fece un passo in avanti. La tenda improvvisata come porta si richiuse e l'oscurità tornò a regnare in quel minuscolo rifugio sperduto tra le rovine di Basiledra.
« Il mio nome è Noma. Noma Sharif. »
Grano allungò la mano verso una candela ed una piccola fiamma si accese magicamente sulla sua punta, riportando la luce sul volto del Guaritore di Campi Duri. Cicatrici orrende sfregiavano il suo viso, già spaccato e maltrattato da rughe che non rispecchiavano la sua vera età. Ma la ferita peggiore era sulla sua gola: pareva che fosse stata brutalmente squarciata. Nessun uomo comune sarebbe potuto sopravvivere con una simile menomazione. Il visitatore capì a cosa era dovuta la voce strozzata di Grano, e la sua fede in lui fu solidificata. Le voci parevano essere vere.
Noma Sharif era seduto a gambe incrociate davanti alla candela, così il visitatore lo imitò dopo essersi scostato il cappuccio dal volto.
« Il tuo braccio... » mormorò Noma, accarezzando la lunghissima treccia bionda che gli cadeva dalla spalla. « sei venuto per quello? »
Il visitatore fece una lunga pausa. Non era sicuro di cosa sarebbe stato giusto dire. In quanti avevano attraversato i regni umani e le rovine della capitale solo per incontrare quest'uomo? Grano, un guaritore in grado di fare veri miracoli -o almeno così si diceva. Persino un braccio era cosa triviale per lui? C'era molto che avrebbe voluto sapere. « No. » ammise, stringendo il lembo del mantello al di sotto della sua spalla destra. « Alcune ferite valgono la pena di essere tenute. »
« Tu ed io pensiamo similmente, straniero. » Il viaggiatore pensò che data la sua fama, Grano sarebbe riuscito a disfarsi di quelle cicatrici in pochi istanti. In qualche modo non poteva che provare rispetto per quel misterioso eremita, recluso tra le rovine del suo passato, in una città abbandonata. Neppure i briganti che avevano seguito il visitatore dall'ombra sin dal suo ingresso in città si erano avvicinati a quella spartana abitazione, preferendo sparire nel nulla. « E posso anche capire che non è l'unica cosa che ci accomuna. » Il viandante aggrottò le sopracciglia, incuriosito. « Cosa intendi? »
« Che questa città era la tua casa. Posso leggertelo negli occhi. » il visitatore abbassò il capo, rimuginando su qualcosa che gli era difficile dire. « Vedo che c'è un'ombra di tristezza in te. Di sconforto. Vedo che è una sensazione che non riesci a spiegarti, che non riesci a interpretare. Vedo la confusione in te, vedo la nebbia. Ma qui a Basiledra non ci può essere nebbia: questa è una distesa di sale. Niente crescerà più qui. » In quel momento, Grano esitò. Sulle sue spalle c'era il peso di un passato pieno di rimpianto e quella città era la prova che non sarebbe mai potuto tornare indietro. Eppure restava. Restava perché quella era la sua casa, e non si sarebbe mai potuto separare da qualcosa di così importante una seconda volta. Restava perché aspettava che qualcuno tornasse da lui. « Non mi ricordo. » disse il giovane, interrompendo il flusso di pensieri che si era impossessato di Grano. « Ho dimenticato tutto. La forma delle strade, l'aspetto dei palazzi, la mia casa. Le persone che mi circondavano. Le ho lasciate tutte indietro; ho abbandonato il loro ricordo per poter vivere un'altra vita... questa non è più la mia casa. »

« Ti sbagli. »
Negli occhi di Grano c'era ora una scintilla di determinazione, di rabbia. « Non si può abbandonare il passato. Anche se non ti ricordi questo luogo, sei venuto qui. Questa città ti ha chiamato come ti aveva chiamato più di quindici anni fa, quando combattesti dinnanzi alle grandi mura bianche. »
Lo stupore fece schiudere le labbra del visitatore. « Tu ed io ci conoscevamo? » gli chiese immediatamente dopo, animato da un fervore che non sentiva da tempo. Ma Grano scosse la testa, sorridendogli compiaciuto. « Questa è la prima volta che ti vedo in vita mia. Ma ci sono alcune cose che anche io posso capire. Sei venuto da me perché ti aiuti a ricordare, non è così? » il visitatore annuì. In fondo, però, si sentiva in colpa per aver abbandonato tutto, per aver lasciato Basiledra al suo destino. Quanti erano morti quel giorno, quando la città era stata rasa al suolo? Se fosse stato lì allora, forse avrebbe potuto cambiare tutto. Se fosse stato ancora un membro del Toryu avrebbe potuto difendere la sua casa. Ma aveva spezzato il giuramento. Era stato egoista. La colpa era sua.
« Molto bene. Ma ti avverto: la mia magia non farà altro che proiettare i ricordi che hai sepolto. Non li rivivrai per una seconda volta, tuttavia le immagini che vedrai dovrebbero essere sufficienti a schiudere quello scrigno in cui dici di aver chiuso tutto. Col tempo, forse, sarai in grado di recuperarli del tutto. Ti sta bene? »
« Certamente. » disse il giovane. « Un'ultima cosa, prima di procedere: qual'è il tuo nome? »

Il viaggiatore esitò. Quel nome era l'unica cosa del suo passato che gli rimaneva.
Ma poi, con fare risoluto, disse:
« Verel. »

Grano sembrò soddisfatto. In più di un modo quel giovane gli era simpatico. Ancora prima di sfiorare la sua mente poteva capire che i loro destini erano stati simili in più di un modo: il corpo di Grano era più vecchio di quanto non fosse in realtà, e quello di Verel era più giovane di quanto lui non fosse. Entrambi erano stati toccati dalla morte, ed entrambi erano tornati indietro. Entrambi possedevano una luce dentro di sé, una luce fatta per guarire. Tuttavia Grano sapeva che il filo del suo destino trovava la sua conclusione lì a Basiledra, mentre quello di Verel sembrava essere deciso a proseguire ancora oltre.
« Bene. Iniziamo. »
Noma Sharif allargò le braccia e abbassò lo sguardo. Verel era come paralizzato, stritolato dalla paura di cosa avrebbe visto, stretto dall'ansia di aver vissuto una vita degna di essere gettata via. Ma rimase lì, attento, ad osservare il rituale di Grano: non avrebbe più voltato le spalle a nessuno.
Rapidamente la tenue fiammella della candela si gonfiò e le sue spire diventarono dorate, come le spighe da cui lo Sharif prendeva il suo caratteristico soprannome. Il viandante era ipnotizzato da quella fiamma, e senza che se ne rendesse conto la sua mente fu inglobata in quel bagliore.

...

« Il comandante delle guardie del Maniero ti saluta, straniero. Medoro è il mio nome. »
Un guerriero dai riccioli lucenti si parava dinnanzi alle mura più imponenti del mondo. Con Angelica stretta nella sua mano, il guardiano fissava il nuovo venuto: un ragazzino, uno straniero proveniente dalla povertà di Gerico. Nei suoi occhi c'è un'innocenza determinata. I due si scontrano, e il bagliore di mille spade improvvisamente piove dal cielo. Il ragazzino poi intona:
" Giuro sulla mia anima di proteggere e servire il Re Invincibile;
Giuro sul mio cuore di proteggere e servire ogni cittadino del Regno;
Giuro sulla mia spada di difendere il Bianco Maniero e tutti i territori del Leviatano "


« E come ci si iscrive... a questo Leviathan? »
Era ancora un ragazzino, allora. Ma era deciso a cambiare tutto. Aveva giurato la sua eterna fedeltà pur di avere una casa, ed ora si ritrovava a volere di più. A voler scoprire cosa fosse realmente quel regno invincibile. Saevus era il suo avversario nel secondo grande torneo del Bianco Maniero. Il ragazzo vinse per un pelo quel duello, una vittoria che alimentò soltanto il suo desiderio di arrivare ancora più in alto.

« Shakan... tu non hai il potere di chiedermi nulla. Non puoi far altro che obbedire agli ordini che un tuo superiore ti impartisce. E questo è quanto. »
Un'altra immagine si apre dinnanzi al Vagabondo. Due uomini molto più grandi di lui gli sono davanti: Shakan Anter Deius e Zephyr Luxen VanRubren. Sulle mani di quel ragazzino c'era il sangue di innocenti, tutti morti per permettere a quella piccola squadra di recuperare una donna, la donna, Dalys. Allora portatrice di un segreto che Verel non avrebbe saputo mai, così come mai avrebbe saputo perché aveva dovuto tradire tutto se stesso per seguire gli ordini del suo Lord. Ma era stato in silenzio, ammutolito dalla vergogna e dall'impotenza. Fu allora che Shakan si era alzato da quella pozza di sangue e crimini e aveva chiesto "perché". E il suo coraggio risplendette negli occhi del giovane Verel; una luce coraggiosa che lo avrebbe motivato per gli anni a venire.

Un urlo. Una voce straziante, un grido di puro dolore.
Verel sentì le mani ruvide di Grano sorreggerlo, ed il vagabondo solo allora riconobbe che la voce di quel grido era la sua. La testa pulsava, e con ogni pulsazione arrivavano bordate di dolore, una dopo l'altra, senza apparente fine. Il suo corpo era fragile e spezzato, sentiva il dolore di ogni ferita mai ricevuta bruciargli sulla carne e il tormento di ogni assalto psionico assediargli la mente. La luce che proveniva dalle mani di Grano non bastava per alleviare quel dolore: nulla sarebbe bastato. Ma le visioni non si fermavano: Verel continuava a vedersi in migliaia di situazioni nel corso di centinaia e centinaia di giorni. Alcune di quelle allucinazioni erano sbiadite e confuse, ma altre sembravano così vere che il vagabondo era certo di essere tornato indietro nel tempo. Ma erano tutte false, tutte. Dovevano esserlo. Perché Verel era lì, nella disastrata Basiledra. Non era nel Bianco Maniero! Non era sulla Valchiria! Non era nell'Asgradel, non stava combattendo con Arthur Finnegan! Eppure quei momenti gli attraversavano la mente ad una velocità spaventosa.
Sembrò durare un'eternità, o più. Ma presto, tutto finì.

« Non ho fermato il rituale. »
La voce di Noma Sharif arrivò ovattata alle orecchie di Verel.
Il vagabondo era appoggiato ad uno dei muri della spartana abitazione del guaritore, esausto. Era come se il mondo si fosse improvvisamente messo a girare vorticosamente solo per fermarsi di colpo, lasciandolo sperduto e disorientato. « L'ho notato. » rispose sarcastico, anche se solo pronunciare quelle parole gli costò tutta l'energia che aveva. Persino volgere lo sguardo verso Grano fu un impresa titanica.
Dal canto suo, anche il Guaritore di Campi Duri era ridotto piuttosto male. Il suo viso era pallido e i suoi occhi sembravano ancora più infossati di prima. « Cosa hai visto? »
« Tutto. Troppo... »
Il buio del sonno lo avvolse.

...

Due giorni dopo, Verel era in cammino verso ciò che restava delle grandi mura.
Affianco a sé c'era Grano. Il guaritore sembrava ancora più vecchio sotto la luce del giorno. Verel a volte dovette sorreggerlo, perché camminare per lui era troppo faticoso. « Perché non hai chiesto niente in cambio, Noma? »
Grano sorrise. « Quando torni qui a Basiledra, porta dei biscotti. Non potrei chiedere di più. »
Verel ricambiò l'espressione serena del Guaritore di Campi Duri. Era passato molto da quando si era sentito così leggero. Anche dopo aver rinunciato ai suoi ricordi non era mai stato abbastanza tranquillo da potersi dirsi veramente felice. Certamente, in quel momento non avrebbe mai potuto osare ad una definizione del genere, eppure... era tornato a casa. A Basiledra. Anche se ogni passo in quella città perduta lo riempiva di tristezza, era anche contento di averla rivista, di aver incontrato chi potesse accoglierlo. E aveva trovato ciò che cercava: una strada.
Grano gli diede una pacca sulla spalla. Era giunto il tempo di separarsi.
« Bene... siamo arrivati. » a pochi passi da loro riposava il luogo in cui le mura della città un tempo si ergevano fiere. « Ma prima che tu vada, vorrei sapere cosa ti ha spinto a ripartire così presto. »
« Mi sono ricordato delle parole che un amico mi disse molti anni fa. Allora non le compresi, non erano quello che volevo sentire. Ma udendole ora, in questo momento... mi hanno aiutato a capire cosa devo fare. »
Grano pareva soddisfatto della risposta. « Ho incontrato Caino una volta, quando era ancora "semplicemente" il Priore. Ho fatto uno sbaglio terribile, allora. Non essere uno stupido come questo vecchio e fai ciò in cui credi prima di ogni altra cosa, Verel. »
« Lo farò. E tornerò a trovarti, Grano. Questa è anche la mia casa dopo tutto. »

Allontanandosi dalle rovine, Verel tornò a ripensare a quelle parole che ancora risuonavano forti nella sua mente.

« Alza la spada contro i nemici del tuo regno; contro chi minaccia la pace e la vita del popolo. Io ho inseguito un'ideale che credevo giusto - ma scatenare una guerra per le proprie personali convinzioni è quanto di più egoista si possa fare. Difendi la pace del tuo regno: è solo questo l'importante. »

Difenderò il regno a cui appartengo, Shakan.

Contest per uno dei temi di Dicembre: ospitalità.
Stranamente, al contrario di molti miei contest, non mi sento di poter dire molto sul tema in relazione al mio post; nel senso che penso sia tutto molto straightforward. Oltre all'ospitalità tradizionale volevo cimentarmi anche nella riscoperta di cosa significa avere una casa, e di cosa significa difenderla.

Il post contiene alcuni riferimenti al mio primo arrivo, al Leviathan 2.0, alla quest "Figli di un mondo ingrato", ad "Amber Coast" ed infine al Valzer. Grano è anche un mio precedente personaggio, che alla fine del suo viaggio è morto e risorto, acquisendo l'aspetto di un vecchio.
 
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