Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Castello di Carte - Apocalisse

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view post Posted on 4/1/2016, 22:30
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Maestro
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Sospirò e nessuno parve sentirlo.
Nel buio di quel grosso salone, nemmeno le panche parvero interessarsi troppo all'alternarsi di emozioni che si susseguivano pedisseque nei suoi occhi luccicanti.
Erano rabbia, ardore, paura e sconforto. Erano lo spettro infinito di tutte le tonalità che un umano cuore potesse assumere. Regale o meno che fosse.
Era il suo popolo quello che rimaneva fuori. Erano le sue mura quelle assaltate dall'esercito nemico; erano le sue case, quelle che presto o tardi sarebbero state date alle fiamme.
Mentre egli rimuginava su tutto quello, infatti, l'assedio aveva avuto inizio.
Si erano presentati nella notte, anticipati dai rumori dei corni bianchi e dal rullo dei tamburi. Si erano fatti sentire, quasi sprezzanti di qualunque pericolo; quasi avessero nelle carni e nelle mani già il profumo della vittoria e non avessero alcun timore a rimbrottarlo negli animi lacerati degli abitanti di Ladeca.
Con arroganza. Come se una guerra potesse essere anche arrogante.
E lui li aveva sentiti. Sbalzato dal letto e custodito in quel grosso salone come un trofeo di guerra.
Li aveva uditi.
Battere contro le porte delle vie principali; lanciare gli arpioni e caricare le macchine di assedio.
Li aveva sentiti lanciarsi contro la pace del Regno senza alcun rispetto o timore reverenziale; pregni di odio e denaro, come se da quella guerra non ne derivasse soltanto il comando di uno sparuto cumulo di terreno. Bensì il destino stesso del mondo.

Da allora era durato tutta la notte, fino all'alba e ancora oltre. E chissà per quanto ancora sarebbe durato.
D'altronde lui era l'obbiettivo. Lo scopo; la sua vita sarebbe valsa la loro salvezza e andava preservata in ogni caso.
Pertanto, a poco erano valse le sue proteste. Il suo coraggio scimmiottato, tenendo tra le dita un'armatura di acciaio dipinto.
La sua volontà e le sue urla. Lui andava preservato, custodito. Nel centro della città, circondato dalle migliori guardie.
Al pari di un grosso trofeo, quasi.

Sospirò, amaro.
Carezzo il bracciolo del suo seggio e ne scostò via un grumo di polvere, incastonato nei lineamenti intarsiati del legno. Curioso fu come ebbe modo di apprezzarne la finitura della lavorazione.
Non si era mai soffermato troppo ad ammirare quel palazzo. Aveva assistito alla sua costruzione ed eretto, insieme agli altri, il significato intimo della sua stessa esistenza.
Nel connubio di patriottismo che era derivato da tale evento, però, aveva dimenticato di apprezzarne la bellezza pura. Al di là del significato.
Sulle pareti aleggiavano trionfanti gli arazzi delle ultime battaglie. La guerra del crepuscolo, poi le lotte per la liberazione e - ancora - la sconfitta della Guardia insonne.
Quei disegni erano stati dipinti dai mastri pittori del Regno e circuivano il salone come un abbraccio di storia; quasi a ricordare ai componenti di quel Consiglio il peso atavico della loro responsabilità.
D'altronde, il nome stesso riecheggiava come un monito nelle orecchie dei suoi uditori: Edraleo di Ladeca.
Un parlamento che significasse un messaggio. Una bellezza che divenisse propria con le idee dei suoi ammiratori.

Nel mentre, vide con ammirazione la conca che si formava verso l'interno.
L'architettura intelligente che si era immaginata quella sala come fosse aperta al pensiero di ciascuno dei suoi consiglieri; anche per questo, i corridoi che la percorrevano ricadevano verso il basso, disegnando la struttura come formata da un grosso bacino, scavato verso il basso. In questo modo, ogni seggio avrebbe parlato al pubblico nel suo insieme, senza controbattere il proprio disappunto contro le schiene nude di coloro che siedono davanti. E senza impedire a chi siede indietro di non potere controbattere a sua volta.
Nel centro, in fondo, c'era il suo seggio. Il seggio del Re, nel gradino più basso della sala.
Il seggio di colui che ascolta; colui che riflette.
Colui che non perde una parola del discorso.
Nemmeno una; nemmeno quella più mite.
Nemmeno un sospiro leggero.

« Chi c'è? »
Disse solo, leggendo quello sbuffo di vento nel mezzo dei banchi dei consiglieri.
Lo sguardo si perse tra tutte le poltrone di stoffa rossa, le pergamene ammassate ai lati delle scrivanie e i gradini lucidi dei corridoi.
Si persero, fino a trovare la frastagliata e innaturale grettezza di un manto di stoffa scura, che fece capolino dal fondo.
Era rovinato, sporco di polvere e sabbia. Ma, per questo, ancor più raccapricciante.
Il suo interlocutore non rispose, ma lui poté sentirlo sorridere.
« Sei già qui, non è vero? » disse Re Julien, rimanendo immobile.

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Apocalisse
di Caino

Ferriera di Lenigrast
Il primo giocatore


L'altisonante schiocco dei ferri e dei legni da assedio era soltanto un bagliore lontano dalla loro posizione.
Si erano lasciati indietro le rombanti effervescenze della battaglia, coi corni che invocavano alla riscossa e le bandiere che sventolavano sopra le teste spaventate dei nemici. Tutto, ormai, era soltanto il pavimento di un bellissimo spettacolo di cui avrebbero soltanto sentito parlare.
In questo spirito, si fissavano con circospezione e alternavano un'occhiata al promontorio e una a loro stessi.
« Dicevi Nicolaj...? » Chiese un vecchio calvo, mentre arrotolava nervosamente una sigaretta. « ...della nostra grande riscossa? »
L'altro ispirò a occhi chiusi, profondendosi in un grosso sforzo di pazienza. « Mi rendo conto che abbiamo idee differenti di "riscossa". »
« Molto differenti » aggiunse il terzo, fissando l'orizzonte da un cannocchiale. « Mentre gli altri affileranno i loro puntuti piselli nei ventri dei nemici, noi rimarremo a fissare questo mucchio di ferraglia senza aver sfoderato nemmeno i coltelli. »
Sergey scese dalla rupe e tornò a fissarli entrambi, con un'espressione schifata stampata sul volto. « Se c'è qualcosa di peggio nel perdere una battaglia... » aggiunse, sputando per terra, « è perderla, senza averla nemmeno combattuta. »
Nicolaj sospirò ancora una volta, fissando il cielo per un secondo. Si chiedeva come avesse fatto a sopportarli negli anni passati; forse aveva perso lo smalto di un tempo. O forse stava semplicemente invecchiando.
« Ascoltate, il piano è molto chiaro » ribatté, scandendo le parole. « Infiltrarsi nella Ferriera e portare il carico a destinazione. »
Poi spostò lo sguardo oltre di loro, in direzione di una grossa sacca di tela verdognola.
« Non c'è altro modo di farla entrare in città; il nostro ruolo è fondamentale. »
Ilyr sbuffò nervosamente, facendo anch'egli capolino sopra la rupe. Era rude, rozzo e il tempo aveva - se possibile - imbruttito ancora di più il suo volto. Le rughe gli avevano scavato un'espressione ancor più arcigna sul volto e la schiena gli si era accorciata e inarcata ulteriormente, rendendo il suo profilo più prossimo a quello di un vetusto gargoyle appostato sul parapetto di un vecchio castello di campagna.
Tutto questo rendeva la sua espressione ancor più rude e sgraziata. E il disappunto che provava in quel ruolo alquanto marginale, gli si leggeva chiaramente in viso. Forse anche più chiaramente di quanto non volesse, in realtà.

Alla fine, però, rimanevano i migliori Sussurri. I più fedeli.
E non avrebbero mai disatteso gli ordini del loro signore.

Anche per questo, rimasero qualche istante in più a squadrare di poco oltre l'orizzonte. Fissarono un punto imprecisato nei pressi della montagna che gli si parava dinanzi, rimirando il luccichio delle fiamme che rimbrottava nel cielo con suadente alternanza.
La ferriera appariva come un gigantesco ammasso di lamiere da quel punto. Un tortuoso sentiero sul fianco del monte si arrampicava sottile, fino a sbucare nel centro del cumulo ferroso. Le lamiere si aprivano dinanzi al sentiero quasi fossero la bocca di un grosso drago: si spandevano ai lati come grosse pareti, lasciando che il calore e il buio divorassero il sentiero sterrato, trasformandolo in un tappeto di fuliggine e cenere.
Per il resto, la ferriera si reggeva a strapiombo sull'altro verso della montagna, che la carezzava con la grazia di una matrona che non passa giorno ad ammonire la propria protetta. La montagna l'aveva retta sempre, ma le aveva anche regalato dispiaceri: incidenti e macchioline di sangue che tappezzavano il fondo, quasi medaglie al valore dei poveri sciocchi che si erano sporti troppo oltre il perimetro della fabbrica.
Unica nota distintiva di quel cumulo, alla fine, era il grosso tubo di rame che discendeva dall'alto. Proveniva direttamente dal lago più vicino e attraverso un sistema di pompe trasportava direttamente nelle fucine l'acqua necessaria per lavorare il ferro. Il tubo, in verità, si estendeva per chilometri, sorretto da tralicci di ferro e piombo abbandonati alle cure di pochi poveri operai, che di tanto in tanto ripercorrevano tutto il tragitto fino allo stagno per riparare ai danni del vento e delle intemperie.
« Chi controlla la ferriera? » Chiese Ilyr, continuando a fissare l'orizzonte.
« Credo siano della guardia cittadina; giovani reclute e qualche veterano » rispose Sergey, prontamente. « Hanno l'ordine di non fare entrare nessuno, ovviamente; sarebbe meglio non far volare nessuna testa. »
« Non possiamo dirgli soltanto che siamo dalla stessa parte? » Chiese ancora Ilyr, con un pizzico di speranza.
« Certo, sono sicuro che saranno comprensivi con un manipolo di brutti ceffi che scorta un carico di armi dentro la città durante un assedio » rispose Sergey, quasi divertito.
Ilyr fece finta di non sentire. « Quanti? » chiese, soltanto.
« Ne ho contate una decina circa » rispose l'altro.
« Circa? » Ribatté Ilyr, con evidente disappunto.
« Mi hai scambiato per un cazzo di falco? » Ribatté a sua volta Sergey, « non sono mica Yuri... »
E lo sguardo sui tre si rabbuiò istantaneamente, facendo seguito a un lungo minuto di silenzio.

Ilyr finì di ammirare il tedioso panorama, poi tornò a fissare gli altri.
« E va bene » ammise, con la stessa euforia di chi ha appena bestemmiato. « Ripetimi il piano, cervellone. »
Nicolaj sospirò ancora una volta, tediato. « Scortare il carico dentro la ferriera » aggiunse, disilluso, « condurlo lungo il tunnel che porta direttamente in città. »
Ilyr scosse la testa, stralunato. « Sicuro che esista questo famoso tunnel? » Abbaiò, con tono isterico. « Sicuro che una volta dentro non rimarremo chiusi in quel buco di merda rovente? »
« Aye » ribatté Sergey, immediatamente. « I nostri si sono infiltrati nella ferriera e hanno scavato quel buco per settimane. »
« Hanno penetrato la montagna come una vecchia bagascia di borgata » sorrise, particolarmente soddisfatto dalla metafora.
« Porta direttamente sotto all'Edraleo » concluse, secco, « puoi scommetterci il tuo grosso culo flaccido. »
« Lo spero per te, Torchio » ribatté Ilyr, scontroso. « ...sai com'è, ci tengo al mio grosso culo flaccido. »
Nicolaj scosse il capo, glissando quella parte di conversazione.
« Avviso gli altri » disse, secco. « Siete pronti? »
« Scherzi? » Rispose Ilyr, sorridendo e pestando la sigaretta con la punta dello stivale.
Sergey sorrise a sua volta. « Sono anni che aspettiamo questo giorno » tagliò corto.

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L'Ambasciata
Il secondo giocatore


Il rumore delle ruote echeggiava nella grossa carrozza come il lamento di un rinoceronte.
Fuori dai finestrini scorrevano le immagini rapide di una città in tumulto; soltanto di sfuggita potevano ammirarsi gli squadroni dell'esercito che correvano da un lato all'altro dei quartieri di Ladeca, mentre rimbombavano i tonfi dei grossi arieti che rintuzzavano vigorosamente contro i poderosi cancelli della città.
Nel mentre, gli sguardi dei soldati si fissavano con affanno. Erano tutti raggomitolati ai lembi delle scomode sedie della carrozza, ricercandosi a vicenda con affanno, quasi richiamando l'affetto e la solidarietà che occhi giovani e spaventati abbisognano in un momento in cui la loro vita si decideva.
E giungeva così improvvisamente in quel sottile confine che regna tra la vita e la morte.

« Tradimento. »
Le parole del Comandante Mark Smith risuonarono come uno scoppio. Ridestarono improvvisamente gli occhi spaesati, come risvegliati da un lungo sonno. In quel moto di orgoglio, vomitato così rapidamente e altrettanto schifosamente, risiedeva tutto lo sdegno e la vergogna per un male profondo che - alla fine - non aveva mai lasciato quelle terre.
E si era radicato a lungo, come un'infezione che ogni tanto brucia ancora.
Il Comandante li aveva radunati in fretta e furia, prendendoli uno a uno dalle mura cittadine.
Li aveva sottratti dall'ultima difesa della città, in un atto di violenta disperazione. Come se il loro compito fosse, verosimilmente, ancora più importante.
E quello sbotto improvviso li turbò ancora di più, radicando negli occhi spauriti la convinzione che la realtà poteva spaventare più dell'immaginazione.
« Ci sono dei traditori tra noi » disse ancora, con tono ancor più rabbioso.
Gli occhi languidi si stringevano nelle grossa ciglia grigiastre, folte e cespugliose. Sotto l'elmetto si intravedevano a stento i pochi capelli rimasti a ricoprir la fronte; si distinguevano nettamente, invece, le rughe sul volto, frutto di mille battaglie e altrettanti pensieri. La bocca, poi, si apriva a stento. Quasi si rifiutava di pronunciare quelle parole, richiamando la vergogna nell'animo e raffigurandola nelle sue spalle forti, che si stringevano visibilmente entro quelle poche righe abbozzate sul foglio.
« Questa mattina è stata fermata una giovane recluta, nei pressi del Torrione del Drago » aggiunse, stringendo tra le mani un foglio di pergamena ingiallito e macchiato.
« Portava con se degli ordini precisi: aprire il Cancello Ovest a metà mattina. »
Gli occhi dei presenti si cercarono ancor più nervosamente. Nessuno sembrava comprendere realmente il senso di un ordine simile.
« Ufficialmente l'ordine è imposto per consentire il passaggio di una delegazione consolare fuori dalla città » aggiunse Mark Smith, secco. « Di fatto si tratta, evidentemente, di un favore fatto al nostro nemico che ci sta assediando. »
Una guardia sbottò in un lamento. Un'altra abbassò lo sguardo nervoso, chiedendo maggiori dettagli.
« L'ordine era senza firma, ma marchiato col vecchio simbolo del Casato Vaash. »
Il gelo tornò a regnare nella carrozza, quando il nome dei Vaash fu pronunciato. « Ma comandante... » chiese qualcuno, subito « ...il vecchio casato Vaash non fa più parte del Regno...! »
« Solo alcuni rami esterni e ormai lontani, è vero » tagliò corto Smith, subito. « Ma alcuni casati sono ancora fedeli al vecchio ordine dei Vaash e quei pochi che lo sono non hanno mai nascosto i propri favori per... » attese un secondo, sospirando
« ...il Priore Caino. »

Il respiro si fermò al pronunciare di quel nome. Finalmente la dimensione dell'inganno prendeva le sue forme reali e si manifestava come un tentacolare ragno dagli infiniti occhi e altrettante zampe. Che tesseva una tela sottile, ma lunga.
« Abbiamo interrogato la guardia a lungo e alla fine ci ha rivelato chi ha emesso l'ordine. »
Un altro sospiro, affranto; poi parlò. « Sir Arthur Kalamesh. »
Si levò una sola parola tra i soldati: « L'Ambasciatore?! »

La carrozza scivolò lungo tutto il viale alberato, scorrendo oltre il borgo dei palazzi nobiliari e le caserme degli ufficiali. Poi cambiò strada, svoltando pericolosamente in una curva a gomito. Dalle tendine della carrozza fece capolino, all'orizzonte, il profilo maestoso di un imponente palazzo bianco.
I marmi levigati trionfavano lungo tutta la facciata anteriore, scorrendo attorno alle grosse colonne che sorreggevano le decorazioni frontali e, più sopra, le statue decorative. Le icone baldanzose simboleggiavano la vittoria dell'utopia, del patriottismo e della solidarietà, ripercorrendo le poche fasi storiche in cui la pace aveva avuto la meglio sulla guerra.
Era un palazzo di quattro piani, con grosse finestre ricoperte da pesanti tendaggi, a nascondere ciò che vi dimorava all'interno.

« L'ambasciatore è un traditore? » Chiese qualcuno, nervosamente.
Mark Smith annuì, cercando di mantenere a stento il necessario distacco. « Così sembra. »
« Sopratutto » aggiunse, ancora, « sembra che custodisca una lista con i nomi dei soldati che ha raccolto per la sua causa. »
Li fissò uno a uno, con aria disgustata. « Una lista di traditori, di cui dobbiamo entrare in possesso. »
Prima che sia troppo tardi, fu la parola che nessuno ebbe il tempo di pronunciare.
La corsa, infatti, fu bruscamente interrotta. Una pioggia di dardi infuocati investì la carrozza; due di essi colpirono, rispettivamente, uno dei due cavalli e una ruota del carro, mandandola in frantumi e facendo ribaltare tutto il trasporto.
I soldati furono sbalzati fuori dai finestrini, mentre il carro intero cedeva lungo il fianco e si disperdeva sulla strada lastricata.

Dinanzi ai soldati si palesò un panorama da guerra civile.
Entro le mura cittadine, sotto assedio, si radicava un'autentica fortezza nemica. Una pattuglia di soldati armati di tutto punto uscì dal portone principale del palazzo, mentre quattro arcieri, appostati dalle finestre del primi piano, ricaricarono nervosamente gli archi, scaricando una seconda ondata di frecce infuocate.
« Traditori del Regno » balbettò Mark Smith, strisciando fuori dalla carcassa della carrozza.
Un rivolo di sangue sbucò dalle sue labbra, che il comandante si asciugò con la manica dell'armatura.
« Non ci sarà nessun processo per i vostri crimini » disse, irato, « solo la morte. »

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Bazar di Mahyas
Il terzo giocatore


Il mercato era un guazzabuglio di voci e richiami.
Quasi in risonanza con la confusione che regnava presso le mura, il bazar si muoveva altrettanto freneticamente, spostando carichi, merci, persone e affari da una parte all'altra della borgata. Invero, qualunque voce avesse un eco fuori dal mercato, entro di esso sembrava amplificarsi e rimbombare. Confondersi, perfino, tra i mille profumi e suoni che esso portava con se.
Chiudendo gli occhi, sembrava quasi di poter perdersi in essi e dimenticare la guerra.

Eppure, non tutti potevano soffermarsi con troppo entusiasmo.
Quattro volti incappucciati camminavano lungo le strette vie del mercato con passo svelto. I più facevano finta di non vederli o li perdevano immediatamente, tra le fronde confuse dei carichi pendenti e i variopinti capi dei mercanti che scorrevano da una parte all'altra, per far provvigioni e affari in una città ormai in emergenza.
I quattro camminarono con passo sicuro, passando oltre i mercati della carne e delle verdure e infilandosi in una porta laterale dei grossi magazzini.
Un omaccione li fissò mentre arrivavano. Con la rugosa mano pelosa li invitò a fermarsi, per poi perquisirli uno a uno, in cerca di armi, armature o oggetti sospetti.
Non trovò nulla; poi sollevò un telo sotto di esso e con un gesto della mano li invitò a entrare.
« Muovetevi » disse solo, guardandosi in giro con sospetto.

All'interno della grossa tenda, costruita sul fondo dei magazzini, un uomo corpulento se ne stava sdraiato su di un cuscino di piume, rosso e giallo. Teneva indosso una tunica di tela nera e verde che ricopriva soltanto parte del suo grosso ventre, rivelando capezzoli e peluria grigiastra sotto di esso.
Aveva il volto paonazzo di un uomo pieno di se, e non solo. Una capigliatura rossiccia, forse tinta, che scendeva lungo i margini del viso con curiosi ricciolini sottili. Infine, un paio di occhiali stretti si ergevano oltre un grosso naso paonazzo, mentre nella mano sinistra ciondolavano bracciali dorati, grossi anelli e un otre ricolmo di rosso vino dei campi.
I quattro rimasero silenti e immobili, sperando che l'uomo concedesse loro udienza quanto prima.
Dissimularono rispetto, ma uno di essi non tardò a battere il piede e tossire con vigore soltanto qualche istante dopo.

« Non dovreste essere qui » disse l'uomo dai capelli rossi, fissando delle carte sul basso tavolino.
Non degnò loro di uno sguardo; anzi, sembrava che non gli interessasse affatto vederli o anche solo considerarli.
« Non so cosa crediate di potermi o volermi dire, ma ritenetevi fortunati a essere arrivati vivi qui da me » ribatté, senza guardarli.
« E adesso, fuori » tagliò corto.

L'uomo che si era innervosito sorrise sornione sotto il cappuccio. Poi tossì ancora e rispose immediatamente.
« Devo insistere, vostra opulenza. »
Al sentirsi chiamato in quel modo, il grosso uomo rossiccio prese a fissarli. I suoi piccoli occhi verdi si rimpicciolirono ulteriormente, lasciando intravedere una tensione nervosa sotto quel grosso ammasso di lardo che lo ricopriva. « Ascoltami bene, bellimbusto » gracchiò, col a bocca ancora impastata dal vino « nessuno parla così a Vid Quaison...! »

« Eccellenza...! »
Una voce suadente li interruppe. Un'elfa dalla pelle scura e i capelli bianchissimi fece capolino dal fondo della tenda; aveva un sottile strato di tunica rossa che le ricopriva le gambe, lasciando intravedere le cosce e i polpacci. Ai piedi aveva sandali neri che si attorcigliavano lungo il polpaccio, mentre sul corpo una maglia fine lasciava intravedere forme leggiadre e avvenenti, oltre che un seno prorompente e due spalle morbide.
Era una bellezza esotica e - proprio per questo - assolutamente irresistibile.
« Non fate così, eccellenza » disse l'elfa, avvicinandosi a Vid Quaison. Le labbra carnose e scure schioccarono un bacio di affetto sulla guancia dell'omaccione, mentre gli occhi da cerbiatta sbattevano con sensualità in direzione del suo sguardo.
« Loro sono le persone di cui vi ho parlato, eccellenza » aggiunse la donna, con tono mieloso, « me lo fate questo favorino piccolo piccolo...? »
Il grosso uomo dai capelli rossi si sciolse all'improvviso; i suoi bassi istinti parvero mutarne l'indole nel giro di mezzo secondo, abbandonando qualunque dura corazza avesse indosso per vestire i panni del grosso pappone dispensatore di favori.

« V-va bene » balbettò Vid, su di giri. « Quindi voi siete...? »
L'uomo col cappuccio che aveva parlato poco prima, si mostrò. Aveva capelli grigiastri, un tempo rossi che scendevano lungo le spalle e un'espressione divertita e sorniona che non gli si staccava dal volto.
Medeo avvertì una fitta al petto, mentre predisponeva quello squallido teatrino. L'ennesimo rivolo di sangue fece capolino sul labbro e lui lo ingoiò immediatamente.
Sono Medeo, voleva dire. « Sono un mercante dell'Alcrisia », disse.
Sono venuto a uccidere Caino, voleva ammettere. « Sono qui per fare alcuni affari con sua eccellenza », disse.
« Come voi sapete, in tempo di guerra si fanno gli affari migliori » ammise Vid, ormai a suo agio. « Prego accomodatevi e... »
Ma furono presto interrotti.
Un grosso rumore di spade e corazze interruppe il dialogo, mentre dal fondo della tenda fecero capolino alcuni soldati con armature d'acciaio bardate di tintura rossa. Avevano i volti coperti da pesanti elmi con rigogliosi pennacchi e sguardi affatto raccomandabili.

« Buongiorno Vid » disse il comandante, subito, « siamo qui per un controllo, se permetti. »
Vid Quaison strabuzzò gli occhi, strozzandosi quasi con l'ultimo sorso di vino. Tossì vigorosamente e sputò dentro la bottiglia, salvo poi tornare a guardare i suoi nuovi ospiti.
« Co-comandante, cos'è tutto questo trambusto? » Urlò, con tono iroso. « Cos'è, la cesta che vi ho mandato non era abbastanza grossa questo mese? »
Il comandante sorrise, comprendendo il senso delle sue parole. « Affatto, Vid. »
Poi fece un passo avanti, lanciando un'occhiata di sospetto ai presenti. « Ma l'ordine potrebbe presto cambiare, si dice » aggiunse, con tono di scherno « e un uomo di giustizia deve capire sempre in anticipo da che parte stare. »
I quattro incappucciati si guardarono, preoccupati. Vid prese un'espressione a metà tra lo stupito e il disgustato.
« Si dice che tu nasconda qualcosa di pericoloso nei tuoi mercati » aggiunse il comandante, secco « ...o qualcuno. »
« Non ti dispiace se facciamo un controllo, vero? »

I tre incappucciati fissarono Medeo con aria preoccupata. Allo stesso tempo, la giovane elfa fissava la situazione, tesa.
Dietro di lei, ove la linea della vita lasciava cadere il tessuto sottile che le copriva i glutei, teneva un coltello ricurvo ancora sporco di sangue.
E in bocca un'espressione amara di chi è pronto a tutto pur di difendere i propri obiettivi.



CITAZIONE
QM Point
Benvenuti a tutti. La quest si svolgerà, in generale, in tre parti. Ci saranno tre "giocatori", ovvero tre "punti di vista" facenti capo a tre eventi che accadono in città durante l'assedio. In tal senso, i personaggi partecipanti non avranno un ruolo direttamente nell'assedio in se, ma finiranno per interpretare diverse azioni nel corso di questo. L'assedio, di fatto, rimarrà principalmente lo "sfondo" della quest. Naturalmente, chiunque voglia prendere parte alla quest senza rispettare le indicazioni che specificherò, può interpretare liberamente anche l'assedio di per se, ma - facendo in questo modo - non potrà partecipare direttamente alla "competizione" e affrontare Caino a fine quest. Come è evidente, infatti, da ogni "punto di vista", uscirà un solo finalista, che si troverà faccia a faccia con Caino.
Il terzo punto di vista, quello con protagonista Medeo, non è interpretabile dai personaggi, ma è riservato alle scelte dei lettori della quest, così come meglio specificherò in seguito. Questa circostanza rende, di fatto, Medeo uno dei tre finalisti. Nel caso in cui ve lo chiediate: le scene linkate (o che linkerete) saranno considerate nel background generale del vostro pg. Avranno un ruolo nella scelta, ma il peso maggiore l'avrà il vostro comportamento in quest.

Primo scenario: Ferriera. Coloro che sceglieranno questo scenario dovranno interpretare una recluta dei Silenziosi Sussurri, arruolati per una nuova missione direttamente dai loro storici capi. Non è necessario essere stati sussurri in passato o avere partecipato ad altre quest in tal ruolo: potete inventarvi liberamente il modo in cui avete aderito ai sussurri o dire che aderite alla missione come mercenari esterni; non ci sono vincoli in tal senso, è più che altro uno spunto interpretativo per chi volesse coglierlo. Il vostro scopo è semplice: dovrete infiltrarvi nella ferriera, trasportando una grossa sacca. Questa missione richiederà, di fatto, un lavoro di squadra. Uno dei partecipanti, infatti, dovrà trasportare la sacca con le armi; la sacca è particolarmente pesante e chi la trasporta potrà utilizzare soltanto uno slot tecnica nel prossimo post, anziché due. Questa circostanza richiederà, quindi, che altri lo scortino all'interno della ferriera. Il vostro compito in questo post sarà infiltrarvi nella ferriera, scegliendo una delle strade che vi elenco sotto:
- primo ingresso, il sentiero che conduce all'ingresso principale; l'unica difficoltà è che l'ingresso è presidiato da quattro guardie;
- secondo ingresso, scalare il fianco della montagna significa raggiungere la ferriera di lato; scalare la montagna significa profondersi in uno sforzo notevole. Inoltre, il fianco è presidiato solo da una guardia che cammina per un passatoio laterale; una volta raggiunto il passatoio e superata la guardia, poi, dovrete aprirvi un varco nelle lamiere che coprono la ferriera.
- terzo ingresso, c'è un tubo che corre per chilometri e si cala dall'alto sulla ferriera, trasportando acqua. Il tubo è abbastanza largo da contenere una persona di taglia media, che dovrebbe trovare un modo di entrare nel tubo; inoltre, il tubo è pericolante in diversi punti, quindi dovreste trovare un modo per superare illesi i punti "critici". Allo sbocco del tubo, direttamente nella ferriera, poi, ci sono due guardie a presidio.
Il modo in cui interpreterete questa parte, comporterà un punteggio che terrò io a mente e determinerà il posto da finalista. Chi dovesse trasportare la sacca avrà un bonus in punteggi, ma - per converso - avrà il malus di avere uno slot in meno. Sarà particolarmente apprezzata la collaborazione.

Secondo scenario: Ambasciata. Chi sceglierà questo scenario sarà arruolato nella guardia cittadina o ne farà temporaneamente parte, come membro di una speciale squadra raccolta da Mark Smith. Sembra, infatti, che l'ambasciatore Kalameth sia un traditore e stia preparando un ingresso trionfale all'armata di Caino. Dunque, mentre vi recate all'Ambasciata per arrestare l'ambasciatore e trovare la lista dei traditori, venite bellamente attaccati. Il vostro primo turno è alquanto semplice. La carrozza si ribalta e vi causa un danno medio al fisico se non vi difendete; poi, venite investiti da una pioggia di frecce infuocate che conta come attacco fisico ad area di potenza alta (medio per ognuno). Infine, ci sono delle guardie che vi raggiungo: fate conto che, più o meno, ciascuno di voi ne affronta una. L'attacco della guardia conta come una tecnica fisica di potenza media, che potete personalizzare a piacere. Il vostro scopo è entrare nell'ambasciata, ma dovrete comunque difendervi e contrattaccare o evitare le guardie per entrare. Non potete essere autoconclusivi, ma sappiate che non tirerò per le lunghe questo combattimento, alla fine è soltanto un primo antipasto. A voi.

Terzo scenario: Bazar di Mahyas. Come detto, questa parte è riservata alle scelte dei lettori; lo scenario, dunque, non è interpretabile dai giocatori (solo i primi due). Medeo ha cercato di infiltrarsi con l'aiuto della Corte dei Superbi e ha raggiunto Vid Quaison presso i magazzini nel Bazar di Mahyas. Qui però, si trova dinanzi a un imprevisto: un controllo della guardia cittadina che, con la guerra in atto, non ha più intenzione di soprassedere ai sospetti sugli affari del boss del quartiere. Questo scenario sarà gestito dai lettori con scelte che decideranno il modo in cui Medeo raggiungerà Caino (ovvero quanta fatica dovrà fare per raggiungere il suo obiettivo). Se le scelte saranno sbagliate, di fatto Medeo non sarà in grado di affrontare Caino. Diversamente, sarà un candidato vincitore. In questo primo turno dovrete decidere la reazione di Medeo al controllo della guardia. Ogni lettore potrà liberamente scegliere, motivando la scelta. Scelte non motivate saranno tendenzialmente non considerate. Le tre scelte sono:

Numero uno. Medeo si arrende pacificamente alla guarnigione.
Numero due. Medeo affronta la guarnigione in combattimento.
Numero tre. Medeo scappa dalla tenda.

Turni. Il mio prossimo post avverrà tra una settimana circa, orientativamente entro lunedì prossimo. Avvertirò comunque qualche giorno prima. Dubbi o domande, usate la discussione in confronto!


Edited by janz - 5/1/2016, 12:09
 
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Alb†raum
view post Posted on 10/1/2016, 00:28




La politica non era qualcosa per cui Jorge avesse mai provato un sincero interesse.
A Shirazamar, sui giornali della sera, c'era qualche capitoletto destinato alle faccende riguardanti il regno; ed era tuttavia una sezione ben scarna, con poche righe di relazione per fatti che avrebbero richiesto pagine o addirittura libri per essere comprese nella loro interezza. Il governo di Shirazamar, d'altro canto, aveva questa idea: che la popolazione dovesse rimanere all'oscuro di tutto ciò che esso non riteneva importante, privarla di preoccupazioni che non rientrassero nell'ambito cittadino. In altre parole, non voleva eroi che trovassero nei fatti esterni giustificazioni per guidare ribellioni contro la già traballante nobiltà, ingrassata dei frutti delle miniere.

Così non c'è da stupirsi se il vecchio Jorge, che era vissuto abbastanza per veder sorgere e cadere il Re che non perde mai, che aveva visto la capitale spostata da Basiledra a Ladeca e che aveva ricevuto notizie su intrighi e tradimenti nella corte, non avesse fatto ricerche più profonde sulla politica del Dortan finché, un giorno, sua figlia non gli scrisse che si stava trasferendo a Ladeca, e che aspettava ormai da tre mesi un figlio, il secondogenito.
Una donna ammantata di rosso e dalla pelle nera come l'ebano, in quell'occasione, aveva detto a Jorge che il suo secondo nipote non sarebbe mai nato come nascono tutti gli uomini.

Possiamo ora tornare alla nostra vicenda, tenendo a mente che sebbene Jorge fosse giunto a Ladeca, di certo non si aspettava che in quei giorni avvenisse un assedio, anche se sapeva, in cuor suo, che a quel punto mettere al servizio della salvezza degli abitanti le proprie abilità era ciò che di più nobile potesse fare. Non che gli interessasse realmente mostrare di essere un grand'animo, soprattutto in quei momenti in cui il suo cervello veniva divorato lentamente da quel tumore chiamato woromhabes; ma provate a mettervi nei panni di un uomo morente che sa che un proprio gesto potrà significare la salvezza della cosa che ama di più al mondo.
C'è davvero da recriminare la sua ignoranza e ipocrisia?


Pianti, urla. Una decina di donne erano accalcate a soffocare una poveretta accasciata su un letto di fortuna, poco più di un lenzuolo che copriva un'imbottitura di paglia. La coperta era macchiata di umori e sangue, e altro sangue scorreva dai genitali della malata, che strillava tenendosi il grembo gonfio dove albergava. Un uomo dalla barba in disordine e gli occhi rossi dal sonno le strinse la mano e le sussurrò parole gentili, ma lei gli affondò le unghie nella carne del braccio. Nel caminetto poco distante bolliva una pentola d'acqua di cui nessuno ricordava più nulla; solo una vecchia ostetrica tese una mano verso il manico e si scottò con il metallo ardente, chiese aiuto e, siccome nessuno la udì, tornò a sedersi in silenzio in un angolo della stanza a pregare.
Jorge era salito al piano di sopra, dove un'ostetrica più giovane con un'ampia cuffia bianca frugava i cassetti alla ricerca di ciò che quell'inquietante individuo le aveva chiesto. Era arrivato qualche mese prima a bordo di una carrozza e si era presentato alla loro porta, e subito aveva attirato attenzioni per quel suo respiro raschiante, da mantice rotto. Puzzava di sudore, canfora e chissà quali altre droghe, e ammantato come durante un inverno rigido si era fatto avanti.
«Elise Whetstone. La sua governante ha detto che si trova qui» aveva proferito con quella voce raschiante.
«Lei chi è?» aveva domandato l'ostetrica, ma già stava chiudendo l'uscio del sanatorio, e se lui non l'avesse bloccato con un piede, di certo lei lo avrebbe serrato senza ascoltare una delle sue parole.
«Jorge Louis Joyce. Suo padre» aveva mormorato l'uomo, e così dicendo aveva cavato da sotto la mantella una lettera scritta e firmata dalla stessa signora Whetstone, e intestata a lui. L'ostetrica gli aveva fatto cenno di aspettare e si era rivolta alla superiora, che da dietro lo spesso velo nero che le nascondeva il volto era quasi più inquietante dello sconosciuto. Lei aveva incrociato le dita adunche e sottili come quelle di un rapace, come se sapesse già qualcosa.
«Il padre, mh?» aveva gorgogliato la donna, con la voce ormai irruvidita da anni di incensi e benedizioni strillate. «Gli dica che non gradiamo depravati fra le nostre mura. La gestazione di sua figlia è abbastanza dolorosa senza avere la sua grama presenza vicina».
Senza sorpresa o dispiacere Jorge aveva accolto l'invito ad andarsene. Lui si era stanziato poco distante, in una taverna abbastanza piccola, pulita, e quanto meno esosa. Aveva previsto di affittare un piccolo locale o addirittura comprarne uno, una volta in città, ma Ladeca si era rivelata sovraffollata: era poco più di un villaggetto che si era ritrovato a essere capitale praticamente dall'alba al tramonto, e prezzi di terra e pane erano saliti a livelli spaventosi non meno rapidamente.
In ogni modo, da lì gli era permesso tenere sotto controllo la figlia, spiarla attraverso le finestre, da cui non la vedeva mai ma ne percepiva la presenza, e fare qualche domanda discreta a coloro che uscivano ed entravano. Il sanatorio lì di fianco era una struttura che ultimamente aveva costituito l'ultima moda per le donne borghesi, il luogo ideale dove sfornare il proprio pargolo nella sicurezza di circoli di protezione magici e aromi miracolosi; tuttavia sua figlia non si trovava lì di certo per moda.
Già da un mese la febbre continuava a salirle senza un accenno a una guarigione.

Letto di paglia per scontare i peccati e coperte sottili durante un autunno freddo non avevano di certo migliorato le sue condizioni; ma di queste cose Jorge non era stato informato, altrimenti la porta del sanatorio l'avrebbe già sfondata e avrebbe usato tutte le sue vesti per riportare calore alla figlia e a quel nipote che, irrequieto, si apprestava a nascere.

Ora era tardi; ma forse non troppo.
«Coltelli, pinze, calce, ago e filo. Porti erbe curative. Quelle che può».
«Non è il primo parto cesareo che opero» protestò la donna. Jorge strinse i pugni per la rabbia.
«Perché non la operate voi, allora?»
L'ostetrica indugiò un istante, poi raccolse in una sacca ciò che aveva richiesto l'uomo. «Volevamo vedere se si potesse salvare».
Il tossicologo sospirò. Già, salvarla. Perché è questo quello che insegnavano qui, non era così? Una donna il cui bambino non nasceva per vie naturali era destinata a morire dandolo alla luce. Così aveva voluto qualche dannato sacerdote che medicina l'aveva studiata quando la insegnavano assieme a salmi. Tutti buoni a fare i macellai con le carni altrui; ma non avrebbe permesso loro di farlo con quelle di sua figlia.

Scesero le strette scalette di legno che dal magazzino nell'attico portavano ai letti dei malati, e Jorge si fece largo fra le donne che circondavano Elise. Si era tolto la palandrana ma non il mantello, che continuava a coprire quel meccanismo infernale che lo teneva in vita, e molti degli astanti si scostarono o segnarono, quasi vedessero uno spettro che si avventava sulla morente.
«Fatemi posto» comandò, afferrando per le spalle una chierichetta assorta in preghiera e gettandola alle proprie spalle. Il marito di Elise, il signor Whetstone, fece per alzarsi, ma Jorge gli fece cenno di rimanere seduto.
«Lei mi serve» ordinò con voce ferma. «Si arrotoli le maniche e si lavi bene mani e braccia nella bacinella. Non dobbiamo infettarla».
«Cosa ha intenzione di fare?» domandò, e Jorge ebbe di ammirare la fermezza della voce del genero, nonostante i suoi occhi fossero sbarrati e sudore gli ungesse i ricci castani.
«Il bambino ha la strada dell'utero bloccata. Apriamo la pancia di Elise e lo tiriamo fuori». Placò l'espressione di sdegno che si dipinse sul volto dell'altro afferrandogli saldamente una spalla. «Non morirà, se lei seguirà attentamente quello che le dico».

Stappò una bottiglietta di sali e la passo sotto le narici di Elise per qualche istante. Lei tossì, ritrasse le gambe per il dolore e strinse forte le dita, poi posò la testa di fianco. Jorge prese una delle siringhe che di solito usava per iniettarsi la medicina e che ora era piena di un potente oppiaceo dal colore biancastro. Fece sdraiare la figlia delicatamente da un lato e fece cenno al marito di avvicinarsi.
«Me la sorregga. Non si spaventi se si muove».
L'ago corse tra le vertebre della figlia, poco sopra la metà della schiena. Lei scalciò, ma gli effetti dei sali erano già in azione, e il movimento si placò dopo poco.

«Questo dovrebbe evitare che si agiti» mormorò, ma più a sé stesso, per convincersi che le dosi fossero giuste, che non avesse condannato per sbaglio la figlia a non riuscire più a camminare, o a svegliarsi durante il taglio al ventre e a ricordarsi per sempre il dolore terribile dell'operazione.

«Adesso faccia esattamente quello che le dico». Jorge aveva in mano il coltello, portato al calor rosso poco prima, e lo aveva posizionato poco sotto l'ombelico della figlia. Diverse donne erano state fatte uscire; quasi tutte le ostetriche, invece, osservavano con interesse, e Jorge si sentì a uno degli esami di chirurgia che aveva praticato trent'anni prima. «Ora opero un'incisione qui, da sotto l'ombelico all'osso corticale, vede? Lei deve aiutarmi a tenere aperto il taglio. Non si impressioni per il sangue e tenga il viso lontano dall'apertura. Ok, tiri più forte. Il muscolo deve essere tirato, altrimenti il taglio potrebbe sfibrarlo. Tenda più forte, ora incido. Non si pulisca dal sangue, dannazione, lasci lì le mani. Ora aprirò l'utero. Questa sacca – la vede? - questa sacca rossa. No, non è il suo stomaco, quello è sopra, mi lasci operare. Taglio qui, per lungo. Dovrò tendere io perché lei non ha abbastanza braccia. Il bambino è qui, lo vede? È qui. La sacca amniotica è già venuta via. Ora uso queste pinze. Devo far leva, non si impressioni. Stia calmo, continui a tenere aperto. Lo tiro fuori io».
Il corpicino era cianotico, bagnato e sporco di umori quando lo fece strisciare a fatica fuori dalla minuta apertura. Ci furono degli istanti eterni in cui Jorge lo tenne per i piedini, a testa in giù, e il piccolo petto non si alzò né abbassò. “Può essere solo uno shock passeggero, un collegamento col ventre materno rimasto. È nella norma, è tutto nella norma”. Lo schiaffeggiò piano su un lato del sederino, una, due volte. Il neonato si mise finalmente a piangere e il tossicologo riuscì a respirare di nuovo.
Le ostetriche avevano già provveduto a tagliare il cordone ombelicale e consegnò loro il bambino. Ora a Jorge non restava che fare la differenza fra la vita e la morte di sua figlia.
“Ad aprire un varco ce la fa anche un barbiere con i suoi di coltelli”. Si asciugò la fronte con una pezza, poi si lavò di nuovo le mani nella calce e invitò il signor Whetstone a fare altrettanto.

«Questa è la parte dove lei starà male, signor Whetstone, ma deve essere il più attento possibile. Le pinze sono state portate al calor rosso? Bene, date qua. Dobbiamo tirare fuori la placenta. Forbici, anche queste sterilizzate? Grazie sì. Allora, adesso uso la pinza per tirarla fuori. Ecco. Non è una bella vista, lo so, ma si contenga. È ancora collegata solo parzialmente al ventre di sua moglie, perciò è necessaria solo una piccola incisione, vede? Adesso arriva la parte difficile. Chiudiamo tutto. Le erbe che le ho chiesto di prendere. Ecco sì. Sapete qualche incantesimo di guarigione base o dovrò accontentarmi di questo e qualche preghiera? Allora si metta a lavorare anche lei, dannazione. Suture del genere non possono essere operate senza un rischio di infezione troppo alto. La chiuda bene, ecco». Una luce calda e aranciastra emanava dalle mani della giovane ostetrica, che con dolci rime in una lingua antica la dirigeva sul taglio, facendo ricombaciare i lembi che Jorge aveva avvicinato con le pinze come il fabbro nella forgia saldava il metallo al calor bianco.

“Il problema non sta nei mezzi, sta nel metodo” aveva grugnito il professore di chirurgia alla domanda di Jorge, un'eternità prima. “Interventi troppo profondi non sono possibili perché la maggior parte dei medici crede che lavarsi le mani prima di infilarle all'interno di cavità umane sia indecoroso, per non parlare di teorie umorali e scempiaggini varie in voga anche qui. Nessun incantesimo di guarigione salva da una setticemia fulminante. Quella ti uccide prima che venga pronunciata la prima strofa del prodigio».

Risaldarono il muscolo e poi la pelle. Jorge si infilò in bocca una manciatina di erbe, le mastico, e applicò il bolo verdastro sulla cicatrice, tamponandola appena. Avrebbe dovuto prevenire infezioni almeno nel primo periodo.
Si accasciò su una sedia, piegato per il peso del meccanismo respiratore, e si avvicinò un poco la maschera alla bocca per respirarne gli effluvi. Le ostetriche pulivano gli strumenti mettendoli a bollire sul fuoco come lui le aveva instruite. Obbedivano senza pensare, quasi di malavoglia, insicure se fidarsi di quell'individuo che la Superiora aveva rifiutato.
La Superiora, tuttavia, era morta qualche giorno prima, colta da un attacco durante il suo té. Era stata una vera sfortuna, considerando che Jorge aveva impiegato giorni prima di capire la varietà di infusi che acquistavano per lei. La sostituta era stata molto meno intransigente riguardo al lasciar entrare un medico laureato.

«È un maschio» mormorò la balia. Il bambino era sdraiato sul suo grembo, placido, e succhiava avidamente dal seno di lei. Le pelle, che inizialmente era sembrata a Jorge eccessivamente bianca, era soltanto coperta dalla sacca amniotica scoppiata.
«Nato con la camicia, vedo» ridacchiò. Gli carezzò il dorso della mano con la punta del dito. Era umido, appiccicoso.
«E da un cesareo. A questo bambino spetta una grande fortuna» mormorò la donna, sostenendo la piccola testa.
«Mia figlia gli ha già dato un nome?»
«Le abbiamo consigliato di chiamarlo come il nostro re, ma ha mugugnato qualche sciocchezza. Ha perso conoscenza prima di poterlo fare».
Jorge sospirò. «Peccato». Il signor Whetstone era chino sulla moglie e ne controllava il respiro con aria assorta. Di tanto in tanto lanciava uno sguardo al figlio neonato e poi al suocero, come per controllare che non stesse facendo nulla di sospetto.
«Vorrei che al bambino deste il mio nome» gli disse Jorge, dopo qualche minuto di silenzio. A quel punto l'altro si voltò di scatto, gli occhi serrati, quasi rabbiosi, che sorpresero il tossicologo.
«No». Una sentenza, dura, spietata.
«Forse lei non ricorda che io ho appena salvato sua moglie» ringhiò Jorge, sollevandosi dalla seggiola e aggiustandosi gli occhiali tondi. «Ed è stano, perché mi è parso che lei mi abbia aiutato».
«Non darò il nome di un assassino a mio figlio» il signor Whetstone cinse la mano della compagna con le proprie come avrebbe cinto il proprio oro o un proprio gioiello. «O pensavate che non lo sapessimo? Tutte quelle boccette che vendevate sotto banco. Quegli odori strani che permeavano il laboratorio. Anch'io sono un chimico, signor Joyce».
Jorge si gettò su di lui, lo afferrò per le spalle e lo sollevò sopra la propria testa. L'ostetrica lì vicino si mise a urlare mentre le valvole sulla schiena del tossicologo fischiavano in preda allo sforzo.
«Lei non ha capito, Whetstone!» gridò, schiacciandolo contro il muro. «Questa è la ricompensa che voglio per aver salvato Elise e mio nipote. Non mi importa nulla del suo onore, degli odori dei laboratori o delle latrine dove rovescerò le tue budella. Tu chiamerai mio nipote Jorge Louis». Una lama scivolò fuori dal bracciale e si puntò in una piega di pelle sul collo dell'uomo. «Altrimenti avremo una vedova e un orfano in questa stanza».
Gli occhi dell'altro si fecero incerti, spauriti, ma all'improvviso gli afferrò il braccio che lo teneva e gli sputò in viso con un ghigno sdegnato sulle labbra. Il tossicologo lo lasciò cadere e gli sferrò un calcio che lo buttò nell'angolo fra due letti. Una vecchia distesa sopra si svegliò e cominciò a emettere un verso lamentoso, come una tromba d'allarme.
«Lei è pazzo, Joyce, pazzo». Whetstone aveva il volto paonazzo e si rialzò appoggiandosi al muro, ansimando per la paura e il dolore. «Lei crede di poter minacciare così me e la mia famiglia?!»
Jorge non lo sentì. Già cullava fra le proprie braccia il nipotino addormentato, e notò che aveva i capelli ricci, così simili a quelli di quell'idiota di suo padre. Se ne avvolse uno attorno al dito quasi distrattamente. Gli ricordava di quando era nato Nicholas, il suo secondogenito, e si era chinato per mostrarlo a Elise, per dirle che quello era suo fratello.
Questo prima che iniziasse con le droghe e con l'alcol e rovinasse il matrimonio con continue visite ai bordelli. Aveva amato i figli molto più della moglie, e Elise più di ogni altra cosa. Non aveva rammarichi sulla separazione.
Rimise piano il nipote fra le braccia della balia, pallida per lo spavento di fronte alla scenata, poi prese la porta di uscita.


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Nel carro che lo portava all'ambasciata, Jorge non ebbe molto tempo per riflettere su ciò che era accaduto. Si era arruolato nella milizia cittadina una settimana prima, quando i preparativi per l'assedio stavano già terminando e le guardie raccoglievano volontari anche dalle carceri e, si diceva, persino dagli obitori. Gli avevano chiesto se sapesse impugnare una spada o un arco e lui aveva mostrato i pugnali nel bracciale; e questo era bastato.

«Ci sono dei traditori tra noi»
Mark Smith, capo della guardia cittadina, era un uomo che come Jorge doveva aver passato la cinquantina; reggeva gli anni, tuttavia, su due spalle larghe e allenate, e i tratti scolpiti del viso ricordarono al tossicologo quelli degli antichi busti marmorei esposti all'Accademia di Shirazamar. In particolare gli ricordava quello di... come si chiamava? Filius G. Dravii, gli pareva, un alchimista annoverato fra i fondatori della scuola della kemia. Forse per questo motivo Smith gli sarebbe anche apparso rispettabile, se non avesse saputo che si trattava di un mago.
«Questa mattina è stata fermata una giovane recluta, nei pressi del Torrione del Drago. Portava con sé degli ordini precisi: aprire il Cancello Ovest a metà mattina.»
Jorge si leccò le labbra secche. Il calore che emanava dai corpi dei soldati e l'odore secco e ferroso del metallo gli avevano fatto montare una sete terribile. Tirò una gomitata al proprio vicino nello sfilare dal proprio bracciale una boccetta – acqua e sale -, chiese scusa e la infilò nel foro del catetere. L'altro, un ragazzo sulla ventina con gli occhi svelti come quelli di un roditore idrocefalo, fissò il meccanismo sul braccio e poi il suo viso come avrebbe scrutato nella dispensa alla ricerca di quel cervello che sua madre non gli aveva fornito. Jorge ne aveva avuto abbastanza di idioti per quella giornata; si limitò a lanciargli un'occhiataccia prima di tornare sul comandante.
«Ufficialmente l'ordine è imposto per consentire il passaggio di una delegazione consolare fuori dalla città. Di fatto si tratta, evidentemente, di un favore fatto al nostro nemico che ci sta assediando».

Tutto ciò che Jorge sapeva dell'assedio lo aveva appreso in maniera timida e senza molto entusiasmo dall'alchimista da cui si era rifornito di materiale – anche questo a prezzi esorbitanti -. Il fulcro di tutta la faccenda era: Caino, un sedicente esponente della nobiltà corrotta, reclamava per sé il potere che era finalmente stato consegnato a un presunto legittimo erede.
“Se almeno avessero qualche originalità con i casus belli i mattoni di storia sarebbero più digeribili” pensò con un grugnito.

«Sir Arthur Kalamesh.»

Fu il termine di un discorso, dopo il quale tutti gli astanti sembrarono più o meno sorpresi. Per Jorge era solo un altro nome di cui non conosceva l'importanza o il significato. Perché si trovava lì, in mezzo a quella gentaglia scrostata dai campi di battaglia e dalle strade? Non condivideva con loro dimora o interessi, aspirazioni o le misere preoccupazioni che potevano attraversare le loro vite. Perché si era unito a loro a difendere quella stupida città? “Elise. Il bambino”. Si raccolse le mani in grembo. Già, ma ne era valsa la pena di sopportare prima il genero e poi questa odiosissima solfa? Era valsa la pena di attraversare stati per farsi sputare in faccia? Ed erano tutti momenti che stava strappando alla breve vita che gli rimaneva, attimi di nulla in cui concedeva al tumore di nutrirsi del suo sangue e delle sue cervella. Lo sentiva... sì, pulsava, dentro di lui. Si espandeva. Portò una mano alla tempia e la compresse con forza, come a voler contenere quella massa di carne infetta che sarebbe voluta esplodere.
Elise. Il piccolo. Loro erano suoi, suoi, avrebbe dovuto farli fuggire di nascosto, consegnarsi ai nemici, qualsiasi cosa, ma lui non apparteneva a quel luogo, lui non apparteneva a questi schiavi di giochi idioti lui era

«Morto.»

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La voce di Selhades, l'Afrit, la madre di Lenja e Karen, gli risuonò nelle orecchie mentre la carrozza veniva proiettata a terra. Si portò una mano al cappello a cilindro per trattenerselo sul capo, prima di venire sbalzato contro una finestra.

«C'è questa cosa in te che non comprendo; ovvero la completa rassegnazione al tuo destino, e allo stesso tempo il tuo desiderio di vincerlo. Vuoi essere ucciso, vuoi sopravvivere. La verità è che tu sei già morto, Jorge, ti sei ucciso per diventare questo orrore di ingranaggi e valvole e giustificare ogni crimine che tu possa mai realizzare per capriccio. O forse molto prima, quando hai mesciuto il primo veleno per un uomo. Tu sei la peggior fattispecie di individuo che questo mondo possa creare: un malato, un pazzo ossessionato da un singolo pensiero, ovvero che tutto ciò che lo circonda sia un suo strumento. È una fortuna che tu sia semplicemente un verme.

L'ultimo come te che è stato Re ha quasi distrutto il mondo».



Odore di fumo. Calore. Si sollevò da terra sputando un bolo di polvere che gli era entrato in bocca. Vetro e legno gli avevano forato uno zigomo, e un po' di sangue gocciolava dalla ferita, che in compenso bruciava come un impiastro di pece bollente.
Selhades si era sbagliata. Whetstone si era sbagliato. Lui non era quel genere di individuo, non era un pazzo o un assassino... aveva solo paura.
La povertà da cui era voluto fuggire vendendo veleni, la morte da cui fuggiva ora. Tutti spettri della stessa cosa, non era vero?
Essere inutile.

Forse era per questo che aveva scelto di essere lì, in mezzo a quella gentaglia, in fondo. O stava tentando solo di giustificare quella scelta avventata e stupida di schierarsi assieme a persone di cui non sapeva nulla?

Una freccia lo colpì nella spalla, una seconda poco sotto lo stomaco. Il calore della punta incandescente e il puzzo del tessuto bruciato lo svegliarono da quel torpore. Afferrò i legacci che gli tenevano chiuso il mantello e li strappò per lasciarlo cadere prima che il fuoco arrivasse a prendergli la palandrana; e questo fu ciò che riuscì a fare prima che l'adrenalina scemasse e si rendesse conto di avere due punte conficcate nella carne. Ora era scoperto, con il meccanismo respiratore che soffiava e sibilava per seguire i suoi ansiti di dolore represso. Afferrò la maschera e se la fece scivolare sul viso.

“Dannazione...”. Una fitta al ventre lo assalì nel muovere qualche passo verso il resto della scorta – o quello che ne rimaneva. Pezzi di legno schioccavano sotto gli stivali. Una decina di uomini erano in piedi fra le macerie del carro, altri erano, probabilmente, intrappolati sotto queste, e Jorge non concesse loro un pensiero per salutarli.
Il portone dell'ambasceria si spalancò, vomitando una schiera di soldati probabilmente venuti col compito di ripulire il disastro. Jorge se ne vide uno armato di ascia venirgli contro. Un fremito di paura, breve. Estrasse i pugnali per parare il colpo, ma l'altro lo prese sotto, sull'incavo del braccio destro, e il taglio dell'accetta sprofondò nel tessuto e poi nella carne.
Jorge, in tutta risposta, gli si fece più vicino.

«Respira a fondo» ordinò. Un rumore di pompe e ventole del respiratore, poi Jorge tese un braccio, e dagli irroratori che aveva sul polso soffiò fuori una sostanza dal colore biancastro, quasi eterea, che si sparse per la zona in gran rapidità, divorando il terreno e l'aria e forzando la propria via attraverso narici e dotti lacrimali.
Tese una gamba per colpirlo con una ginocchiata al petto, poi estrasse le lame anche sul bracciale del sinistro e puntò direttamente agli occhi. Il braccio ferito mirò invece alla mano armata, per evitare che, nonostante la confusione indotta dagli effluvi, il bastardo decidesse di ritorcerglisi contro.

E l'estasi delle sostanze che gli corsero in corpo gli fecero pensare che forse quello era il motivo per cui era rimasto. Non fu sicuro se esserne felice.

Energia: 75% (-20% mass confusion; -5% maledizione minore)
Corpo: 80% (-10% caduta; -10% frecce; -10% carica dei soldati; +10% cura di verel)
Mente: 100%
CS: 2 CS alla velocità - speso 1 per la fase offensiva
Passive attivate:[Passiva del Negromante: ogni volta che Jorge usa una tecnica che toglie CS, lo sforzo dell'utilizzo gli fa respirare una maggiore quantità di sostanze palliative che gli forniscono 1 CS in velocità (5/6)]
[Passiva dell'umano: ogni volta che Jorge guadagna CS, ne guadagna 1 in più alla velocità (5/6)]
[Passiva del Negromante: ogni volta che Jorge usa una tecnica che toglie CS, ne toglie uno aggiuntivo (5/6)]
[Passiva personale (1/25): qualsiasi tecnica di rimozione CS può essere trasformata in una tecnica ad area di potenza dimezzata rispetto al consumo (5/6).]
[Passiva personale (20/25); sprecando un utilizzo di questa passiva, una tecnica di depotenziamento ad area diventerà di potenza pari al consumo (invece che dimezzato).(5/6)]
[Personale passiva (13/25): le tecniche offensive ad area diventano di potenza pari a consumo (5/6)

Attive:

Mass Confusion
[Psionica Alta personale (21/25). Attacco ad area. Tutti i bersagli ostili attorno al caster dovranno difendersi o ritrovarsi in preda ad allucinazioni e difficoltà motorie per la durata di due turni (non infligge danni). Sarà per loro difficile inquadrare un bersaglio, le parole che pronunceranno risulteranno biascichi confusi e i loro movimenti scoordinati. Ha potenza bassa ogni turno.]
(Potenza media per turno per utilizzo di passiva)

Maledizione minore
[Il negromante utilizzerà le sue arti oscure per scagliare una maledizione sull'avversario, rimuovendo 2 CS dalla sua riserva. Se possiede la tecnica passiva "Anatema vigoroso" o equivalenti, invece le CS rimosse saranno 3.
consumo: basso]
(Potenza bassa ad area pari al consumo per utilizzo di passive; rimuove 3 CS per Anatema Vigoroso)

Note: Niente da dire rispetto a quello che ho messo in confronto, in campo tecnico;
Riassumendo: Jorge incassa sia il medio delle frecce che quello della caduta, viene curato dal medio di Verel (che non cito nel narrato perché non ci fa caso), viene colpito dall'attacco medio della guardia (che ho interpretato come attacco in mischia con un'ascia) e risponde con le due tecniche sopra citate, che hanno la forma di esalazione di gas tossici ad area (gli alleati sono immuni da essi). Dopodiché utilizza 1 CS in velocità di quelli ottenuti per attaccare prima con una ginocchiata nello stomaco della guardia, seguita da un affondo con i pugnali del braccio sinistro ai suoi occhi e da un tentativo con il braccio destro di tagliargli la mano armata.

Enjoy it :8):

EDIT: rimossa la cura di Verel

Re-edit: rimesso a posto come detto dal master. Mi era sfuggita la richiesta di non editare.


Edited by Alb†raum - 15/1/2016, 18:57
 
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view post Posted on 11/1/2016, 01:14
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CASTELLO DI CARTE
I


Raoh si trova in una carrozza diretta verso l'Ambasceria, parte di una squadra speciale raccolta personalmente da Mark Smith, il Comandante della guardia cittadina, un uomo non molto anziano dal fisico possente; come sia finito in una situazione del genere si può riassumere in una sola parola: un capriccio. È infatti per un semplice capriccio che il werewolf ha deciso di recarsi a Ladeca, ed è per un semplice capriccio che il werewolf ha deciso di seguire il signor Smith quando questi, dopo averlo visto uccidere un membro della fazione opposta ed averlo probabilmente confuso con un membro della guardia, gliel'ha chiesto. Egli, del resto, non avrebbe mai potuto immaginare che un ragazzino come Raoh, appena diciottenne, abbia visitato la città per l'unico, macabro desiderio di far scorrere fiumi di sangue; che sia stato solo un caso che abbia tolto la vita a quel soldato e non ad un altro; che abbia accettato di fare quanto gli è stato domandato soltanto per il gusto di sapere dove tutto ciò sarebbe andato a parare.

« Tradimento. » quella singola parola del Comandante della guardia sveglia le coscienze dei presenti, che fino a quel momento sembravano dormienti; Raoh, dal canto suo, non prova alcun interesse, e di conseguenza si limita ad ascoltare solo distrattamente le parole di Mark Smith: pare che l'ambasciatore, Arthur Kala-qualcosa, sia un traditore e che custodisca una lista contenente i nomi di tutti coloro che hanno aderito alla sua causa di cui devono entrare in possesso, che per questa ragione si stanno dirigendo all'Ambasceria e bla-bla-bla. Mentre tutti ascoltano concitatamente le parole dell'uomo, il werewolf guarda il panorama celato dietro le tendine della carrozza; immagini di una città sommersa nel caos scorrono rapide, finché un imponente palazzo bianco, decorato con statue, icone ed orpelli di altro genere non compare: eccola finalmente, l'Ambasceria ---

in quel momento, senza che nessuno abbia neanche il tempo di rendersene conto, una pioggia di dardi infuocati investe il mezzo facendolo ribaltare; i soldati al suo interno - e con loro Raoh - vengono scaraventati fuori dai finestrini, mentre il carro cade in pezzi lungo la strada. Il ragazzo, dopo l'incidente, si ritrova steso al suolo: perde sangue dal braccio sinistro, col quale ha cercato di farsi scudo e nel quale dei frammenti di vetro si sono conficcati, e dalla fronte, con cui ha leggermente colpito l'asfalto. Nonostante le ferite però, si rimette in piedi senza sforzo -- l'uomo lupo non è infatti in grado di avvertire dolore, anzi, il suo cervello lo trasforma automaticamente in piacere sessuale facendolo avvicinare di un passo all'orgasmo ogni qualvolta subisce un danno; è un masochista perverso. Una volta sulle sue gambe, volge rapidamente lo sguardo verso quella che avrebbe dovuto essere l'Ambasceria, ora una vera e propria fortezza militare: vede prima una pattuglia di soldati uscire dal portone principale, poi quattro arcieri intenti a ricaricare i propri archi alle finestre dei primi piani. Istintivamente dà le spalle all'enorme palazzo e nasconde la testa tra le braccia così da evitare che i propri punti vitali siano esposti. Pochi istanti dopo, sente tre frecce affondargli nella schiena ed un'altra nella mano, ancora altro piacere. Dentro di sé prova sensazioni simili a quelle che uno avverte mentre sta facendo sesso. In uno stato d'estasi, si volta di nuovo verso l'Ambasceria ed un ghigno perverso compare sul suo viso quando scorge un soldato correre verso di lui: non si preoccupa nemmeno di difendersi, no, continua soltanto a ghignare e lascia che quello lo ferisca --- nel momento in cui la spada gli penetra la spalla, Raoh sente di aver ormai raggiunto l'apice e si abbandona ad un verso animalesco. Il soldato, quasi spaventato da una reazione del genere, ritira la sua arma ed indietreggia di qualche passo.
« Ah, mi ci voleva proprio, » dice; sebbene siano passati soltanto pochi minuti, il werewolf può contare: una ferita profonda alla spalla, una al braccio e una alla fronte, più tre frecce nella schiena ed una nella mano.
« del resto, per questo sono venuto. » conclude - ed è vero, perché al ragazzo non importa nulla del motivo per cui sta combattendo, per lui è solo un gioco, ed è solo un caso che lui si trovi dalla loro parte. Fa un paio di respiri profondi e ruota prima il collo e poi le spalle, come se si stesse riscaldando, concentrandosi: sul suo corpo, grazie anche ad un incantesimo del ragazzo menomato, che ha in qualche modo accelerato il fattore rigenerante caratteristico della sua razza, tutte le ferite ricevute scompaiono - sembra quasi non ci fossero mai state.
In seguito guarda il soldato che l'ha attaccato e gli sorride mostrando le zanne, un'espressione malvagia stampata sul volto - il fatto che buona parte della sua pelle sia nascosta dal suo stesso sangue lo rende inoltre spaventoso, lo fa assomigliare ad un demone. Quindi, senza pensarci nemmeno un istante, si getta contro di lui, approfittando pure della strana nebbia biancastra che si è sollevata all'improvviso: vuole strappargli la giugulare a morsi.


R a o h
¤ Energia : 150% - 20% = 130%
¤ Corpo : 75% - 30% + 30% = 75%
¤ Mente : 75%.

¤ Abilità passive :
Passiva della classe Campione, guarigione vigorosa: le tecniche di guarigione hanno potenza pari al consumo (5/6).
Passiva del talento Avanguardia, resistenza: Raoh non sente dolore, ma piacere, quando viene ferito (5/6).

¤ Abilità attive :
Attiva della classe Campione, cura incisiva: cura un alto al corpo se utilizzata in combo con la passiva guarigione vigorosa od un'altra equivalente, altrimenti cura un medio; consuma energia.

¤ Armi :
Zanne e artigli.

¤ Note :
La passiva resistenza non è stata ancora aggiunta in scheda - ed il fatto che, anziché rendere immune Raoh al dolore, trasformi quest'ultimo in piacere è stato una piccola modifica esclusivamente scenica concessami dallo staff.


 
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view post Posted on 11/1/2016, 16:13
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Time Lost Centurion (3dh Economic Crisis Edition)
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Regni del Leviatano - Boschi di Ladeca
«Who taught you how to hate?»

Mi è sempre piaciuto venire qui, nel cuore del bosco, lontana da tutto e da tutti. Una o due volte a settimana, ho comunque le mie responsabilità, devo badare al gregge e portare la lana alla tessitoria in città. Pochi l osanno, ma qui ci sono anche alcuni alberi da frutta, meli e peri per lo più, protetti dal folto della foresta. Ogni tanto facevo questa strada per portare il pranzo agli addetti per le riparazioni del tubo dell'acqua, taglia il bosco a metà per portare l'acqua dal bacino idrico montano fino alla Ferriera del vecchio Leningrast, però si sfascia spesso. Il bosco rimane comunque un luogo pacifico e ancora incontaminato dai progressi della civiltà, le fronde hanno quasi del tutto reclamato il sistema idrico, nascondendolo piuttosto bene alla vista dei più. L'intera zona, poi, è completamente presa da ogni genere di suono. Il cinguettare dei pettirossi, lo svolazzare frenetico dei passeri, lo scavare incessante delle marmotte. Rimanevo qui per intere ore, a volte, sdraiata su di un ramo a lasciarmi cullare dalle brezze estive, nella penombra delle fronde arboree. ma adesso tutto questo è solo un lontano ricordo. Gli uccelli non cinguettano, i piccoli roditori stanno nascosti nelle loro tante, nessuna carovana o cargo giunge dalla città. L'unico suono che riempie l'aria sono gli ingranaggi della macchine d'assedio e le urla dei soldati che si schiantano l'un l'altro per ogni centimetro di cinta muraria. La battaglia non volge in nostro favore, questo lo so, per questo mi trovo qui. Una piccola macchia nascosta in sottofondo su una pagina di leggende, di grandi nomi, di individui che hanno comandato vita e morte dell'intero Dortan. Non so cosa li abbia spinti a contattarmi, forse uno di loro ha trovato interessante come io sia riuscita ad infiltrarmi nel palazzo reale per consegnare la mia lettera, o forse pensavano che avere un Vampiro in squadra potesse fargli comodo. Sono stati così cortesi dal mandarmi persino un invito formale, firmato di pugno dalla Foglia in persona! Ed ora sono qui, ad ascoltare tre dei più noti sussurri che architettano uno dei loro piani finali. Perché lo sanno anche loro, la battaglia non volge in nostro favore, non sappiamo per quanto le mura potranno fermare le armate di Caino. Ed un esercito extra nascosto tra le stesse strade di Ladeca può sempre far comodo. Ma un esercito ha bisogno di armi. Ed è qui che entriamo in gioco noi.



« Très bien! Non sembra ci sia alcun problema ad infiltrarsi nella Ferriera, però io sono troppo piccola per portare tutte quelle armi da sola, toccherà a voi omaccioni prendere il carico! » Tra le nuove reclute c'era anche un illusionista, giovane ma promettente, non era nemmeno tanto male a vedersi. Passare per l'ingresso principale mi sembra un tantino rischioso, ma se lui è certo di poterci riuscire e i capi si fidano, allora non c'è problema. Insomma, così si spera. « Meglio non affollare troppo l'ingresso principale, io prenderò la via panoramica per il tubo dell'acquedotto, ci si vede al tunnel! »



Le mie aspettative non sono state disattese, del resto sapevo quali punti del tubo erano funzionali e quali erano già stati riparati, trovare un entrata non ha richiesto più di una manciata di minuti. L'aria nel tubo è comunque fresca, devono aver mandato una bella scarica d'acqua di recente, per forgiare più armi possibili prima dell'arrivo di Caino. Buio quasi assoluto se si escludono degli sporadici spiragli situati nei punti alti del condotto, messi in secondo piano dagli addetti alla manutenzione visto che non costituiscono una perdita d'acqua costante. Nessun suono, nessuno scricchiolio, passi leggeri e impercettibili ben celati da magia e felina grazia. Poi il punto interessante, il piccolo strapiombo che porta direttamente nelle fornaci della Ferriera. Un salto da nulla per me, l'unico problema sono le due guardie poste a guardia dello stesso. Semplici reclute, ma il passaggio è fin troppo stretto per poter evitare i loro sguardi. Non c'è altra scelta, dovrò far ricorso alle mie arti magiche per sparire e andare oltre. Una volta dentro non dovrebbero esserci problemi a trovare il tunnel, la Foglia è stata professionalmente precisa sulla sua posizione. Non sarei sorpresa se gli altri fossero già li, ma meglio così. Sta andando tutto bene, nel peggiore dei modi. Per un attimo mi ero quasi illusa che finalmente stesse andando tutto bene. Fine degli intrighi politici, Ladeca che diventa finalmente una città prospera e ricca, la gente felice e pronta ad un'era di pace che sie era fatta attendere ormai per decenni. Stava andando tutto bene... ormai anche il problema dei Caduti era stato risolto. O... beh, si è risolto da solo, in un certo senso. No. A Caino non andava bene di aver perso, a Caino non glie ne frega un bel niente della felicità del popolo. Lui vuole solo il potere, solo la sua fetta di torta, non importa se deve distruggere la concretizzazione dei sogni di ogni cittadino dei Regni per raggiungere il suo scopo.



« Ma a lui non sta bene, nevvero? A lui non gilè ne frega niente della gente, del bene degli altri, del bene di tutto il regno. Che si fottano, giusto? Meglio regnare su macerie e dolore, che dover guardare qualcun'altro regnare al tuo posto! Figlio di puttana... » L'incanto di silenzio era ancora su di me, la maschera copriva le mie labbra, nessuno poteva udire ciò che stavo dicendo. Nessun doveva udirlo, nell'oscurità di quel tunnel, aspettando che anche gli altri facessero la loro comparsa. Furiosa, indignata, l'odio che mi scorre nelle vene come veleno. Avvolgo le dita intorno all'impugnatura della Bella, specchiandomi nel suo riflesso dorato. « Persone come lui... non sarebbero mai dovute nascere. Ma questo non è un problema, non c'è nulla a cui la morte non possa porre rimedio. Gli staccherò quella testa di cazzo, a morsi se necessario, non mi importa il metodo. Mi importa solo degli altri, ed è per questo che non mi fermerò. Ti farò a pezzi, ti staccherò i tendini, ti strapperò le vertebre e ti scaglierò sul fondo dell'oceano se necessario. Forse, allora, nessuno si ricorderà più di te... »






¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯ ¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
Riassunto

CS { 0 }

Fisico {95%} ~ Mente {95%} ~ Energie {100%}




Passive:

» Amuleto dell'Auspex: (5/6)
» Passiva Razziale - Scurovisione: (5/6)
» Passiva Razziale - Sensi Migliorati: (5/6)
» Passiva Razziale - Mira precisa: (5/6)
» Passiva Acrobata - Funanbolo: (5/6)
» Passiva Acrobata - Caduta Lenta: (5/6)
» Passiva Acrobata - Scalatore: (5/6)
» Passiva Acrobata - Contorsionista: (5/6)
» Passiva Ladro - Celarsi: (5/6)
» Passiva Ladro - Velo Sonoro: (5/6)
» Passiva Ladro - Velo d'Ombra: (5/6)


Attive & Oggetti:

La mia istruzione nelle arti magiche è stato altrettanto esemplare. In molti non lo sanno ma il vampirismo ha una natura strettamente legata alla magia, permettendo verosimilmente ad ogni vampiro di apprendere le arti magiche con grande rapidità e semplicità rispetto ad un essere umano o a qualunque appartenente alle razze comuni del Thedas. La magia si suddivide in varie scuole e la mia preferita è senza ombra di dubbio quella dell'Illusione. La prima capacità che io abbia mai appreso è stata quella di divenire completamente invisibile, e vi assicuro che la cosa non è semplice come sembra! Ci vogliono settimane di pratica, senza contare il fatto che il corpo all'inizio non riesce ad orientarsi se non riesce a vedersi. Può suonare strano ma è la pura e semplice verità! Certo la fatica è remunerativa quando puoi semplicemente sparire in un battito di ciglio e lasciare il tuo nemico li, imbambolato come un babbeo.
Pagando un prezzo equi-diviso tra Corpo e Mente, Odette sarà in grado di occultarsi Magicamente per l'intero turno di utilizzo. Questo però non è in grado di annullare un qualunque suono prodotto dal proprio corpo o le tracce lasciate dal proprio passaggio.

[Consumo Medio]






Use all the passives, sneak all the Forges! :yeah:


 
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Numar55
view post Posted on 11/1/2016, 22:35




Heymstone, a poca distanza da Ladeca

I miei passi risuonavano sinistramente sul selciato della piazza quella sera, rendendo la scena piuttosto inquietante. E di conseguenza aumentando enormemente la difficoltà di poter svolgere il mio compito con discrezione; guardando distrattamente qua e là notai la reazioni più disparate: alcuni abitanti mi fissavano intimoriti appena nascosti dagli usci di qualche porta, un gruppetto entrò in una taverna più in fretta del solito, sentii anche qualche sbattito di finestre sopra alla mia testa.
L'aria era talmente pregna di timore e paura che un tremito mi scosse la schiena. Niente di inaspettato; Theras non era di certo l'unico mondo a possedere la triste piaga del pregiudizio e il mio aspetto non migliorava di certo la situazione. Era anche vero però che non si è mai davvero pronti ad essere spaventati da sé stessi. Il solo pensarci mi fece capire quanto sarebbe stato stupido crogiolarsi anche in quell'emozione. Scossi lievemente la testa cercai di astrarmi il più possibile dai sentimenti altrui concentrandomi sui i miei pensieri.
La ragazza aveva detto di bussare alla terza porta a sinistra una volta passata la piazza principale. E così feci.
Per alcuni attimi solo il silenzio rispose alla mia chiamata ma poi una voce ben più vecchia e spaventata di quanto ricordassi si levò da dietro la porta.

"Vattene da qui! Non vogliamo avere a che fare con te!"

"Madre, piantala! Arrivo subito, Axel..."

La seconda voce, squillante e giovane, la riconobbi immediatamente e non potei che rallegrarmene: avevo il serio timore che la famiglia l'avesse cacciata per avermi invitato nella loro dimora, ma a quel che pareva Nyssa sapeva il fatto suo. Quando mi aprì la porta afferrai il cappello con il pollice e l'indice salutandola con un elegante inchino ed un sorriso.

"Sei incantevole come sempre, giovane Theraniana!"

Di sicuro alcuni non avrebbero concordato con la mia affermazione: con i capelli tagliati corti, le larghe vesti maschili che ne nascondevano le forme e la sottile cicatrice che le attraversava il volto, Nyssa poteva non accendere con facilità i desideri degli uomini. Tuttavia lui non era esattamente un uomo.
Dove molti vedevano un fredda cacciatrice, lui vedeva una graziosa fanciulla con una mentalità aperta ed una buona mira.
Lei cercò di sorridermi ma potevo percepire quanta fatica le costasse, del resto la situazione non doveva essere delle migliori se mi aveva chiesto di venire. Lentamente entrai nella casa, gettando un'occhiata in giro. L'abitazione era piuttosto semplice, dall'arredamento piuttosto spartano e decorata unicamente da varie pellicce di animali che tappezzavano le pareti. Al centro della stanza, seduta ad un ampio tavolo, stava una donna; da quel che aveva sentito doveva avere una quarantina d'anni ma che, a causa dei capelli grigi e dall'aspetto provato, ne dimostrava molti di più. Sinceramente non vidi molte somiglianze tra la mia amica e la madre ma probabilmente la donna era devastata dagli avvenimenti, oppure più semplicemente Nyssa assomigliava più al padre.
Sentii chiaramente il disprezzo nello sguardo della donna, percepii il suo gusto amaro, ma vidi chiaramente anche come quello non fosse che uno scudo per nascondere la medesima paura che mi aveva travolto al suo ingresso al villaggio. Ebbe un moto di pietà per quella donna, a cui non restavano altre opzioni se non affidarsi a qualcuno che la terrorizzava.
Il tocco gentile di Nyssa mi distolse da quei pensieri e con uno movimento del capo mi indicò una porta poco più avanti. Cercai di sorridere con gentilezza alla madre di lei un'ultima volta ma quella aveva affondato la faccia tra le mani piangendo sommessamente, così mi incamminai. Sull'uscio mi rivolsi alla giovane.

"Vuoi venire anche tu?"

"No. Gli ho...già detto tutto ciò che dovevo dirgli.
E poi non...non credo che riuscirei ad affrontarlo..."


Annuii. Non era mai facile per loro, pochi avevano davvero la volontà necessaria per permetterglielo; e anche se lei era una dura, vedevo chiaramente quanta fatica le costasse non scoppiare a piangere. Un ultimo sorriso d'incoraggiamento, poi entrai e mi chiusa la porta alle spalle.
Un paio di scaffali stavano ai lati della stanza ma la maggior parte dello spazio era occupato da un letto matrimoniale posto sotto della corna di cervo, attaccate al muro. Steso sulle lenzuola giaceva un uomo; i capelli e la barba erano biondi anche se tendenti al bianco, il torso, privo di indumenti, mostrava un fisico ben allenato e pieno di cicatrici. Certamente un uomo del genere avrebbe potuto incutere timore in qualsiasi altra situazione ma, con quel pallore e il ventre fasciato da bende sporche di sangue, pareva fragile come una scultura di vetro.
Il respiro era irregolare e leggeva il dolore negli occhi dell'uomo ogni qualvolta il petto si alzava. Non rimaneva molto tempo, dovevo agire in fretta, ma ciò non significava per forza dimenticarsi delle buone maniere.

"Salve, mi chiamo Axel. Sono qui perché sua figlia mi ha detto..."

"So chi sei. Nyssa mi ha detto che sei un negromante..."

La voce del ferito era ridotta ad un sussurro, tant'è che ci misi qualche attimo per comprendere quella frase. Sorrisi gentilmente al sospetto nella sua voce; ormai ero abituato al disprezzo che la gente provava per chi sapeva far muovere i cadaveri.

"Tecnicamente il termine negromante è ricco di sfaccettature, difatti potrei affermare..."

"Sei qui per uccidermi?"

Silenzio. Nessuno riesce veramente ad affrontare con serenità la morte eppure negli occhi e nell'animo di quell'uomo percepivo ben poco timore. Lo rispettai per questo, e capii da chi Nyssa avesse ereditato il suo carattere. Mi appoggiai ad uno scaffalo tenendo entrambe le mani sul bastone davanti a me.

"Penso che lei sia abbastanza intelligente da sapere che, anche senza il mio aiuto, non vedrà l'alba, vero?"

Lui stette qualche istante immobile, fissandomi di sottecchi. Poi annuì stancamente.

"Se posso...com'è successo?"

"Mpf...un fottuto cinghiale.
I guaritori hanno detto che la zanna ha colpito in profondità, causando un'emoraggia."


Cercò di muoversi, come se fosse infastidito dalla cosa, ma il dolore della ferita lo fece ricadere tra le lenzuola con un gemito.

"Che modo stupido per morire!"

"Se la consola, ho visto modi ben più stupidi di questo..."

"Fai spesso...queste cose?"

"Quando posso."

"Beh Axel...come lo definisci allora un uomo che è sopravvissuto a diverse guerre combattendo per il suo paese per poi morire a causa di un maiale con le zanne?!"

Stetti qualche istante zitto, grattandomi la nuca e fissando il soffitto con aria pensierosa.

"Probabilmente un uomo che ha visto troppi orrori in vita sua e che troverà la pace piuttosto che affrontare di nuovo l'ennesima guerra incombente."

Calò di nuovo il silenzio. Sapevo di aver ragione: da giorni si diceva che un certo Caino avrebbe attaccato la capitale con un esercito di mercenari; molti sarebbero morti, troppe anime che non sarei riuscito a salvare. Lui invece non avrebbe assistito di nuovo all'orrendo teatro della guerra finendo invece tra le amorevoli braccia della Gentile Signora.
Ma sapevo anche che dal punto di vista mortale non era così semplice. Non vedevano la morte come liberazione ma solo come conclusione di ogni cosa. Stavo per scusarmi quando lui parlò di nuovo.

"Sei amico di Nyssa?"

Quella domanda così fuori luogo mi colse di sorpresa. Che stesse cercando di pensare ad altro che non fosse il dolore?

"Mi piace considerarmi tale!"

"Allora concedimi un ultimo desiderio..."

Fece cenno di avvicinarmi ed io obbedii, sinceramente incuriosito da quella strana reazione. Arrivato al fianco del letto, mi chinai poggiando un ginocchio a terra. La voce dell'uomo si era fatta ancora più flebile.

"Quella sciocca ragazza si farà ammazzare! Pensa di dover seguire il mio esempio e difendere il regno; perciò quando Ladeca sarà assaltata lei ha deciso che sarà lì. Tra i combattenti."

La notizia non mi stupì più del dovuto. Da diversi giorni avevo percepito il disgusto della mia amica per ciò che stava per accadere alla capitale ma non pensavo che non si sarebbe spinta a fare qualcosa di concreto a riguardo.
A quanto pare mi sbagliavo.

"Beh Nyssa è in grado di difendersi perfettamente da sola..."

"Saper ammazzare qualche lupo non significa riuscire a sopravvivere in guerra!"

"Lei è...testarda. Anche se cercassi di fermarla, non mi ascolterebbe!"

"Allora accompagnala."

Probabilmente dovevo sembrare stupido con la bocca così spalancata ma non riuscii a trattenermi. Andare in guerra? Io?
Un ammasso informe di violenza e crudeltà pronto a sommergermi da un momento all'altro. Non potevo rischiare di lasciarmi controllare da quelle emozioni negative, sarebbe stato troppo pericoloso. Per tutti.

"Lei mi ha detto molte cose sui tuoi poteri e sul tuo buon cuore. Se sei davvero così potente, allora non sarà così pericoloso per te; se sei anche così buono, allora ti prego...proteggi mia figlia."

No, assolutamente no. Era troppo pericoloso. Non volevo uccidere delle persone.
Questo avrei dovuto dire. Ma la preoccupazione che provava per Nyssa mi inondò con la violenza di un fiume in piena finché il suo timore divenne il mio. Resistetti per qualche seconde ma poi dovetti cedere.

"Va bene. Lo farò!"

Al sentire delle mie parole il suo volto si distese assumendo un'espressione più rilassata.

"Grazie, ora posso andarmene un po' in pace con me stesso!
Quindi ora...devo fare qualcosa?"


Gli sorrisi gentilmente scuotendo la testa.

"Pensa solo ad un momento felice della tua vita."

Annuì ancora poco convinto ma chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro. Io cominciai a cantilenare una preghiera composta da sibili e sospiri, incomprensibile per le orecchie umane. Afferrai il bastone da passeggio e glielo poggia sul petto mentre il manico si illuminava di una luce verdastra.

Calore. Tranquillità. Gioia.
Il fuoco scoppietta nel camino illuminando la stanza fievolmene la stanza.
Mia moglia si avvicina a me dandomi un bacio. Felice, giovane, senza alcuna preoccupazione.
Come me.
Mi posa un fagotto in grembo.
Tra le vesti arrotolate fa capolino un ciuffo di capelli biondi, un volto sorridente e delle piccole manine che cercano di raggiungermi.
Esaudisco il suo desiderio e lei mi afferra la barba con una risata cristallina.
Nyssa, mia amata figlia.
Ti proteggerò. Sempre.


Lacrime di commozione bagnarono gli occhi dell'uomo. Silenziosamente mi alzai e mi incamminai verso l'uscita.
Sarebbe morto prima che mi fossi chiuso la porta alle spalle.

9vgNB

Ladeca, Ambasciata

La situazione era precipitata prima di quanto immaginassi.
Io e Nyssa eravamo arrivati un paio di giorni prima dell'assedio offrendoci come volontari nella difesa della città. Due braccia in più naturalmente non vennero rifiutate. Durante la battaglia poi eravamo stati reclutati da quello che pareva a capo dell'esercito di Ladeca, un certo Mark Smith, per una missione speciale.
Stipati come acciughe in quella carrozza, avevamo ascoltato lo sfogo personale di Smith sul tradimento di un certo ambasciatore. Dal canto mio ero troppo occupato a massaggiarmi le tempie per poterlo ascoltare attentamente; la battaglia attorno a me era così intensa, così pregna di emozioni negative, da dovermi concentrare con tutto me stesso per non finirne travolto.
Accanto a me Nyssa, con l'arco a tracolla, cercava di farmi pensare ad altro ma alla fine anche lei finì per ascoltare silenziosa le parole del comandante. Pochi attimi dopo l'annunciato tradimento mentre cercavo di non vomitare udii il nitriio dei cavalli e sentì la carrozza sbandare.
Feci appena in tempo a pensare quanto portasse sfiga Mark Smith che finii catapultato fuori dal finestrine impattando contro la dura pietra. Restai qualche istane a terra in completo silenzio per metabolizzare ciò che era appena successo, poi mi alzai con un mano contro il petto. Tastando notai con un gemito che probabilmente mi ero incrinato qualche costola.
Il mio sguardo spaziò sulla zona passando dalla strada all'Ambasciata, ed infine ai resti malconci di quelli che erano in carrozza con me. Qualche metro più in là Nyssa si stava rialzando e non pareva essere messa meglio di lui. Avrebbe voluto sincerarsi delle sue condizioni nello specifico ma non ne ebbe il tempo materiale.

"ATTENTO!"

L'avvertimento della mia amica mi salvò appena in tempo facendomi notare con la coda dell'occhio un bagliore rossastro alla mia sinistra. Probabilmente la mia espressione non fu delle più eroiche (ma del resto una freccia a pochi centimetri dal volto non ti lascia molto tempo per la mimica facciale) ma piegai il collo a sufficienza per evitare di venire infilzato, limitandomi a sentire un lieve spostamento d'aria accanto al mio orecchio.
Sfortunatamente i problemi erano appena iniziati. Come formiche che difendono un formicaio, diversi soldati fuoriuscirono dai portoni dell'Ambasciata avvicinandosi a passo svelto a quelli che erano sopravvissuti alle frecce. Uno di quelli, un energumeno armato di spadone, parve addocchiarmi; mi caricò con un grido alzando l'enorme arma nella speranza di aprirmi in due.
Io avevo ormai perso la concentrazione che mi ero imposto fino ad un attimo prima ma riuscìì comunque in quel mare di rabbia e odio. Presi un profondo respiro per calmarmi ed attesi il mio nemico. Quando vidi la lama abbattersi su di me ruotai su un piede spostandomi di lati e lasciando che le forza dell'avversario facesse sbattere il colpo per terra. Con un movimento del polso lanciai in alto il bastone per poi afferrarlo alla base, con un movimento fluido infine lo mossi verso il volto del soldato per far sbattere il manico contro i suoi denti.
Non pensai a nulla in quell'istante, né al rischio di lasciarmi andare troppo né a come stesse Nyssa.
Mi limitai ad un sorrisetto beffardo, lasciandomi cullare dall'adrenalina dello scontro mentre il campo si illuminava di una luce dorata.



Axel


- Basso: 5% - Medio: 10% - Alto 20% - Critico: 40%

Fisico: 75%

Mente: 75%

Energia: 150%-10%-10%= 130%


Passive:
- Può trasformarsi in una creatura mostruosa alla luce del sole (6)
- Comprendere stato d'animo di qualcuno e condividerne le emozioni (6)
- Ispirare fiducia e senso di protezione negli altri (6)
- Castare tecniche difensive istantaneamente (5)

Attive:

Gli Eletti Della Signora
Noi Nekrari siamo gli emissari della Gentile Signora, portavoce della sua magnanimità, estensioni della sua potenza. Oscuri sono i motivi per cui scelse di reclamare proprio le nostre anime dagli abissi del Vuoto, tutto ciò che sappiamo è che per lei siamo preziosi. E ce lo dimostra in molteplici modi: sia dalle barriere che siamo in grado di creare sia dalla velocità che ci contraddistingue.
Siamo i suoi figli prediletti e incontreremo la morte solo alla fine dei tempi.
Passiva di Talento "Accortezza": Castare tecniche difensive istantaneamente (Utilizzi: 6) - Abilità Personale 3: Natura Magica, Consumo Medio di Energia, Difesa Media da Tecniche Magiche - Abilità Personale 4: Natura Fisica, Consumo Medio di Energia, Difesa Media da Tecniche Fisiche


Note:

Nel combattimento subisco il primo danno da impatto(che poi verrà curato), poi uso due volte la tecnica difensiva per difendermi dagli attacchi critici, con l'accompagnamento di un utilizzo della passiva del talento guardiano potendole così castare istantaneamente.
EDIT: Ho aggiunto il danno medio, come richiesto da Verel, data l'assenza della sua tecnica di guarigione.
2°EDIT: Ho nuovamente tolto il danno medio data la notifica di Janz di contare comunque la tecnica di guarigione.



Edited by Numar55 - 15/1/2016, 20:27
 
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view post Posted on 12/1/2016, 00:37
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Caino era arrivato. Rispettando le più terribili previsioni il Priore si era presentato alla testa di un temibile esercito; gli uomini di Lhissra’had Essien erano almeno diecimila -i vessilli degli Occhi del Serpente erano diventati distinguibili accanto a quelli dei Corvi quando gli assedianti si erano avvicinati alle mura della città- e le sicurezze di Ladeca erano vacillate davanti ad un nemico così numeroso.
I festeggiamenti per il nuovo anno si erano conclusi da giorni, la nuova Capitale era sembrata speranzosa verso il futuro e così Caino calpestava il sogno degli uomini liberi del Dortan.
Una città cresciuta però così in fretta che Mark Smith e tutto l’Edraleo non avevano potuto tenere a bada la criminalità: l’Adel-Numestàra era stata sconfitta da una banda di vampiri che aveva seminato il panico in città per poi sparire nell’ombra facendosi credere lontani; un quartiere di mafiosi dove le scommesse coprivano i giri di prostituzione e droga. Cos’era diventata Ladeca?
Forse per la prima volta i cittadini non si stavano combattendo tra di loro, uniti dal nemico comune. Poteva anche quella crisi essere la base di un domani più consapevole? Quante difficoltà avrebbero dovuto affrontare? Gli uomini avrebbero mai conosciuto la pace?

Il Demone aveva la testa tra le mani, seduto sul letto i pensieri gli martellavano nel cervello e la testa gli scoppiava. L’esercito era comparso all’orizzonte e lui era corso nella sua stanza a prepararsi per la battaglia.
Davakas l’aveva abbracciato senza dire nulla, anche lui avrebbe combattuto. Zeira era scoppiata in lacrime, per lei stava piovendo sul bagnato. Le armi erano posate alla rinfusa sul materasso accanto a lui, dalla finestra aperta si sentivano i rumori dell’esercito che si avvicinava.
Era ormai dalla caduta di Basiledra che l’Eterno combatteva cercando in sé stesso e negli uomini che incontrava la forza per andare avanti: il suo passato era confuso, avvolto dall’oscurità dell’oblio, e appena un anno dopo l’inizio di quella che aveva sempre chiamato “lucidità” era diventato un Silenzioso Sussurro. Kuro l’aveva preso per mano e condotto in un mondo sconosciuto regalandogli la verità che si celava dietro le quinte, l’aveva guidato nelle battaglie semplicemente dandogli la capacità di discernere il bene e il male -se non in maniera assoluta almeno nei confronti del Dortan-.
Almeno nei ricordi Montu era sempre stato un Sussurro, e la Mano era stata chiara: “Una volta che un uomo entra nei Silenziosi Sussurri non smette mai più di farne parte.”
Una verità scolpita nel cuore di fuoco del Demone, che non aveva mai smesso di guardare la Voce sperando di veder comparire anche poche parole, perfino dopo la caduta della Mano a Basiledra.

Il nemico era ormai alle porte, Montu era pronto e fissava la città dalla finestra. La sua vita era di nuovo appesa ad un filo. Afferrò la copertina rigida della Voce, posata sullo scrittoio, e la strinse forte con entrambe la mani. La gettò contro un muro urlando. Perchè gli uomini erano diventati così stupidi? Perché anche se i Sussurri erano stati sconfitti nessuno aveva nemmeno tentato di ricreare una rete simile? L’Adel-Numestàra, nonostante l’intenzione, era lontana dagli ideali degli uomini che avevano vissuto nell’ombra del Dortan per anni. I vampiri, luride creature, nemmeno potevano essere prese in considerazione.
Il prodigio del Pipistrello rimbalzò sulla parete e cadde a terra aprendosi, Montu si avvicinò lentamente scoraggiato e impaurito dall’imminente battaglia. Si bloccò a fissare dall’alto quella che doveva essere una pagina bianca uguale a tutte le altre. Doveva… Ma non lo era. Non lo era! Al centro della pagina ingiallita c’erano poche parole scritte con tanta cura quanta evidente fretta.
La Voce era tornata a parlare. Il Demone cadde in ginocchio in lacrime, poteva ricominciare a vivere.
Corse di nuovo nella sala della locanda, uscì in strada e non badò a nessuno di quelli che incrociandolo tentavano di convincerlo a dirigersi verso le mura. No, il suo posto non era quello. Correva senza pensare ad altro se non alla sua mèta e a quello che poteva comportare un simile evento. Ora perfino Caino sembrava un minuscolo problema di fronte all’immenso potere dei veri liberatori di Basiledra, di coloro che avevano sconfitto i Lorch pur pagandone il caro prezzo. Ora Ladeca poteva tutto.

Non molto distanti dalla Ferriera di Lenigrast, cresciuta esponenzialmente durante l’alba della città, Nicolaj, Sergey e Ilyr attendevano chiunque potesse rispondere alla loro chiamata. Montu arrivò con il fiato corto, non aveva smesso un secondo di correre. I suoni della battaglia già iniziata erano lontani, sembravano provenire da un mondo distante di cui i presenti potevano non curarsi.
Si inchinò davanti a tre e seppur felice non riuscì a trattenere la preoccupazione per chi mancava:
-Il mio cuore si riempie di gioia nel rivedervi. Ero con voi a Basiledra e ho viaggiato con Ludmilla per ritrovare Re Julien; non ho mai smesso di guardare la Voce. Che ne è stato della Mano? Kuro, Ludmilla, Yuri... stanno bene?-
Gli rispose Nicolaj: -Kuro e Ludmilla stanno bene, per fortuna; questa missione ha la loro benedizione.- Poi di colpo divenne triste. -Yuri, invece, è stato giustiziato da Caino all'indomani della distruzione di Basiledra.-
Un macigno colpì il cuore del Demone che affranto si portò una mano sul petto stringendosi i vestiti.
L’aria arrivava a stento ai polmoni, sembrava stesse per soffocare.
Riuscì a rompere il silenzio calato tra i presenti, ma dal tono si riusciva a percepire il dolore.
-Pagherà anche per questo.-

Il perché la scelta era caduta sulla Ferriera venne chiarito dai tre quando, poco dopo, arrivarono un ragazzo dagli occhi azzurri che ben si accompagnavano al biondo scuro dei capelli e una bambina. Aveva imparato a dubitare sempre delle apparenze, specie pochi mesi prima quando era partito al servizio dell’Ammiraglio: un bambino che partecipava alla spedizione era in realtà un burattino guidato dal coniglio di pezza che stringeva in braccio.
Theras era un mondo tanto ricco di sfumature quanto strano, qualunque Creatore non sembrava aver messo limiti alla propria fantasia nel modellare le sue creature. Senza dubbio anche quella bambina nascondeva più segreti di quanti se ne potessero immaginare.
Laurent Majoral il nome del ragazzo, reclutato da un uomo che gli aveva consegnato un frammento di Voce appartenuto ad un Sussurro chiamato L.S.D. Un Sussurro “impegnato a fare altro” a sentire Laurent, ma era improbabile che un Sussurro evitasse di rispondere alla chiamata della Voce mandando qualcun altro. Poi le iniziali non lasciavano presagire nulla di buono: la S. portava il Demone fuori strada, inoltre dubitava che qualcuno potesse firmarsi con un soprannome, ma aveva conosciuto un solo Sussurro che potesse avvicinarsi a quelle lettere: il nano Lothar, detto “Doppielame”. Aveva combattuto a cavallo del suo drago contro un Lorch durante l’assedio di Basiledra e non l’aveva più visto da allora.
Il piano: portare un sacco carico di armi dentro la città; ormai Ladeca era circondata ma anche precedentemente sarebbe stato impossibile farlo passare per le vie principali: i controlli non avrebbero lasciato scampo, inoltre il ritorno dei Sussurri doveva rimanere ancora segreto. Avrebbero usato un tunnel scavato sotto la Ferriera che portava direttamente all’Edraleo. Abbastanza semplice se non fosse stato per le guardie rimaste a guardia della fabbrica, chiaramente un punto sensibile della città. Ma nonostante ciò gli uomini a pattugliare le strade erano meno di una decina: quattro sulla via principale, ben visibili; uno sul fianco della montagna e forse altri lungo il perimetro.
-Porto io il sacco, passerò dalla via principale. Le guardie non sono un problema e non avrò nemmeno bisogno di combattere.-
Laurent sembrava voler seguire il Demone. Poteva usare una sorta di invisibilità, o qualcosa del genere che avrebbe impedito alle guardie di trovarlo. Montu temeva solo di doverlo togliere dai guai.
-Posso illudere le guardie che vada tutto bene. Per quanto mi riguarda crederanno che il paesaggio non muti minimamente, e io potrò tranquillamente passeggiare davanti ai loro occhi.-
Amava poter governare le menti di chi gli stava intorno, e nell’ultimo periodo si era specializzato proprio nell’uso delle illusioni.

Preso il sacco sulle spalle si mossero ognuno verso la strada scelta. La bambina avrebbe scalato una tubatura dall’interno, ricadendo all’interno del complesso per poi andare verso il tunnel.
Montu e il ragazzo camminarono fianco a fianco per qualche minuto senza dire una parola. Quando giunsero in vista dell’ingresso principale il Demone si voltò per raccomandarsi col giovane, e fu sorpreso di non trovarlo al suo fianco: qualunque cosa fosse sembrava funzionare.
Anche l’Eterno si concentrò per un secondo, poi ricreò nelle menti delle guardie lo stesso identico ambiente che avevano visto fino a quel momento. Potevano continuare con la loro ronda ma non avrebbe visto né sentito Montu. E così fu: il Demone superò le guardie senza problemi, entrò nella Ferriera senza che nemmeno si rendessero conto che un uomo alto quasi due metri gli era passato praticamente accanto con in spalla un sacco pieno di armi.
Raggiunse l’ingresso del tunnel e guardò dentro. Certo non sarebbe stata una comoda passeggiata: all’imboccatura il canale era tanto basso da costringere l’Eterno a camminare con la schiena e le ginocchia piegate trascinando il suo carico. Il piano dei Sussurri si andava lentamente disegnando.



Energia: 150 -20 =130%
Fisico: 75%
Mente: 75%
Riserva CS: 8 [+2 Forza; +1 Velocità; +1 Intelligenza; +3 Mira; +1 Maestria nell'uso delle Armi]

Equipaggiamento:
Shokan: Riposta
Pistola: Riposta

Armature:
Pelle Coriacea [Arma Naturale]

Oggetti:
Biglia Stordente: 1
Biglia Tossica: 1
Biglia Deflagrante: 1
Corallo [+1 Forza, +1 Velocità, +2 Maestria nell’uso delle Armi]
Corallo [+2 Forza, +1 Velocità, +1 Intelligenza]
Gemma della Trasformazione
[Anello del Tuttofare - Immortalità]

Pergamene Usate:
Illusione amplificata fortificante. Consumo Energetico: Alto (20%)
Il mentalista crea sul campo di battaglia un'immagine che inganna tutti i cinque sensi, in grado di spostarsi ed emettere suoni, e che può essere percepita da tutte le persone sul campo di battaglia, invece che solamente da una. Tale illusione può rappresentare una persona, una creatura, un avvenimento o persino modificare l'aspetto del campo di battaglia stesso per intero. Influenza tutti i presenti, per un turno. Inoltre, al momento del lancio di questa illusione, il mentalista aggiunge 4CS (+3 Mira +1 Maestria nell'uso delle Armi) alla propria riserva, come se trasportasse l'avversario in un mondo nel quale lui è più potente.

Abilità Usate:
//

Passive Usate:
Immortalità. Passiva (Numero di utilizzi: ∞)
Il Demone sfonda lui stesso la barriera della non vita, divenendo un immortale e sconfiggendo la morte una volta per tutte.
La tecnica ha natura magica e conta come un'abilità passiva - si potrà dunque beneficiare dei suoi effetti in qualsiasi momento nel corso di una giocata. Il caster diviene a tutti gli effetti immortale, rimanendo in vita indipendentemente dalla quantità di danni subiti. Non potrà comunque continuare a combattere con una somma di danni mortali sul corpo, non sarà immune al dolore né agli effetti dei danni - ad esempio, con una gamba spezzata non potrà camminare. La tecnica garantisce una difesa dalle scene in cui è possibile perdere il proprio personaggio o al termine di un duello con Player Killing attivo: i personaggi possedenti questa passiva non potranno essere uccisi in nessun caso.
[Il Demone potrebbe comunque essere ucciso qualora gli si cavassero gli occhi]

Note: Nulla di particolare da segnalare oltre l'utilizzo della Pergamena e del Corallo. Buona Quest a tutti! :lul:
 
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view post Posted on 13/1/2016, 14:24

Lamer
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Circa 1 settimana prima dell'assedio




Il cielo stellato sopra Ladeca quella notte era più limpido del solito. Le varie stelle e costellazioni risplendevano nitide sullo sfondo blu scuro della notte mentre all'estremo ovest un piccolo spicchio di luna appariva illuminando il tragitto che poche ore prima aveva percorso il sole e mentre la brezza notturna spirava tra i capelli biondi di Laurent la sua mente elaborava un piano.

Era da giorni ormai che al calare della notte si rintanava sopra quell'edificio a nord di Ladeca a cercare una soluzione o uno scopo preciso. Presto Caino e gli Occhi del Serpente avrebbero messo a ferro e fuoco quella città e lui non poteva rimanere inerme a guardare la sua nuova casa e capitale bruciare senza provare a far nulla.

Aveva riflettuto molto, errando per la sua mente alla ricerca di risposte che continuavano a sfiorarlo senza mai farsi realmente vedere, come se i suoi pensieri avessero imparato da lui l'abilità di sfuggire allo sguardo altrui. Mentre cercava una risposta però la sua mente avvertì una presenza alle sue spalle. Non era una minaccia, riusciva a percepirlo, ma non era neanche una persona che conosceva.

"Chi sei?" disse il ragazzo dagli occhi azzurri senza voltarsi "Cosa ti porta sopra questi tetti?"

Un'altra brezza di vento proveniente da Nord rinfrescò la faccia del ragazzo mentre l'uomo che lo stava osservando entrò nel suo campo visivo da destra. Era alto sul metro e novanta, vestito di rosso, con degli occhiali dalle lenti stranamente scure, probabilmente costruite da nani dell'Akeran, e con capelli nero grigi.

"Tu, ad essere sincero." Disse il suo interlocutore sorprendendolo con una voce quasi da ventenne. "Ho una cosa da proporti."

Immediatamente la prima reazione di Laurent fu mettere la mano sul suo fioretto, ma per non insospettire il suo interlocutore decise di fermare quell'impulso e di girarsi invece completamente verso l'uomo che aveva davanti iniziando a guardarlo nelle lenti dei suoi occhiali.

"Una cosa da propormi?" Disse il Majoral con aria sarcastica. "E cosa vuoi propormi di così buono? Droghe? O forse altre cose ancora più pericolose di quelle sostanze. Be, non sono interessato colosso, ora sparisci prima che ti pianti un paio di pugnali nel torace."

Silenzio, un silenzio innaturale che non faceva presagire niente di buono. Vide chiaramente nonostante l'oscurità della notte un sorriso sulla faccia del suo interlocutore che lentamente aveva iniziato a camminare avanti e indietro sopra le tegole del tetto sorseggiando un liquido da una fiasca che aveva portato appesa alla cintura.

"Laurent, fidati se affermo con tranquillità che non ti sarebbe così facile uccidermi." Lo disse conscio dell'effetto provocato dal fatto che sapere il suo nome lo avrebbe spiazzato, continuando comunque a tenere il suo maledetto sorriso. "Non sono qui per venderti droghe o altro, ma per proporti un modo di salvare questa città." Fece un attimo di pausa, soppesando l'effetto delle sue parole, poi continuò. "Vuoi sapere di cosa parlo?"

Il Majoral rimase spiazzato. Come sapeva il suo nome? Come sapeva che cercava un modo per salvare quella città? Sentì il cuore perdere un battito mentre la sua mente cercava delle risposte a quei quesiti inutilmente. Percepì il flusso di pensieri scivolargli ancora una volta tra le dita, senza trovare una soluzione hai suoi dubbi.

"Come fai a sapere il mio nome?"

"Non rispondere ha una domanda con un'altra. Sei furbo, dubito che tu sia tanto ingenuo da sperare di ricevere una risposta."
Disse l'uomo in tono pacato fermando il suo moto. " Ti posso dire, se vuoi, che sono qui in vece di un sussurro."

I Silenziosi Sussurri. Quell'organizzazione che aiutò il regno durante l'invasione della Guardia Insonne, quell'organizzazione che la maggior parte credeva fosse caduta dopo la riconquista di Basiledra. Sapeva qual'era il loro obbiettivo e sapeva che se erano venuti da lui c'era una ragione.

"Perchè hai cercato me? Perchè non altri?"

Erano domande spontanee. Non stava riflettendo su ciò che diceva. Era il flusso dei suoi pensieri a porre quelle frasi sulla sua lingua e la curiosità di conoscere il perchè quel'uomo che aveva davanti avesse riposto la sua fiducia in lui per quella missione di cui ancora non sapeva nulla.

"Laurent, tu vuoi salvare questa città e non puoi farlo combattendo in prima linea come tuo fratello."
Lo disse estraendo un foglio di carta dalla tasca. "Tra qualche giorno su questo foglio appariranno delle istruzioni impartite dalla mano. Se loro riusciranno nel loro intento Ladeca avrà più possibilità di salvarsi e vincere contro l'esercito guidato da Caino."

L'uomo si avvicinò a lui tendendo il braccio verso il Majoral. Il foglio era stato visibilmente strappato dal libro da cui proveniva e le uniche lettere incise su quel pezzo di carta erano tre consonanti; L.S.D.. Laurent rimase qualche istante fermo ponderando sulla scelta che stava per fare. Se quell'uomo aveva detto il vero, se realmente i sussurri erano tornati ad agire, allora c'era qualche possibilità di rendersi utile.

"In cosa consiste questa missione? Cosa dovrei fare io?" E mentre lo diceva afferrò il foglio focalizzandosi sulle lettere che erano scritte sul foglio. "E dov'è il sussurro a cui appartiene questo pezzo di carta?"

L'uomo davanti a lui sorrise dando le spalle al giovane e iniziando a camminare. Avanzò qualche metro per poi fermarsi come se avesse cambiato idea. Ruotò leggermente la testa mostrando la cicatrice che gli attraversava l'occhio verticalmente e poi, dal nulla, apparvero cinque enormi spade che muovendosi all'unisono nell'aria entrarono in cinque foderi riposti sulla schiena dell'uomo che ricominciò a parlare.

"Nessuno sa di preciso cosa dovrai fare e riguardo al sussurro che possedeva quel foglio si può dire che è impegnato in un'altra missione che lo sta trattenendo lontano da questo posto, ma sento che prima o poi lo incontrerai. é il tuo destino intrecciare la tua avventura con la sua."

Pochi secondi dopo l'uomo era sparito dal tetto, lasciando di nuovo il ragazzo dagli occhi azzurri solo. Quell'uomo gli aveva dato un obbiettivo da seguire anche se era un piano con troppe incertezze e domande. Dentro di lui però sapeva che se su quel foglio sarebbero apparsi degli ordini lui gli avrebbe seguiti.

Con quella consapevolezza si incamminò verso casa saltando da un tetto all'altro mentre la sua mente elaborava quello che era successo. L'uomo, le spade, i sussurri, la voce e quelle tre consonanti erano ciò che più lo incuriosivano. Eppure, nonostante tutti quei dubbi che gli attanagliavano il cuore, se poteva aiutare quella città l'avrebbe fatto senza esitare e il giorno dopo durante la cena con suo fratello Frederich avrebbe potuto dirgli finalmente che aveva un piano per salvare Ladeca.









Tempo attuale




La voce di Kuro aveva parlato pochi giorni dopo che l'uomo gliela aveva consegnata. Erano apparse poche frasi sul pezzo di carta firmato L.S.D. . In particolare in quel messaggio era stato detto che tre membri della mano gli avrebbero aspettati nei pressi delle ferriera per l'inizio della missione. Laurent si era preparato per quel giorno allenando al massimo le sue abilità fisiche e mentali, combattendo con suo fratello una ventina di volte prima dell'inizio dell'assedio.

Quando arrivò sul posto si ritrovò con altre cinque persone. Una bambina che da un certo punto di vista aveva un qualcosa di inquietante, e già lo era solo il fatto che si trovasse lì con loro, un uomo sul metro e ottanta di corporatura possente e dai capelli corvini, un vecchietto decrepito che sembrava più morto che vivo data l'assenza di una parte del braccio destro, uno sguercio dal fisico allento e un uomo dal fisico esile e di bell'aspetto.

Il primo a parlare fu l'uomo dalla corporatura possente che rivelò che il vecchio, lo sguercio e l'altro uomo erano membri della mano. Non ascoltò i discorsi di quegli uomini, non gli interessavano e in quel momento si concentrò a reprime l'euforia che sentiva dentro di se per via di quella missione.

Era la prima volta che Laurent partecipava a qualcosa di così importante. Poteva essere un modo per mostrare le sue doti o per distinguersi dagli altri suoi coetanei andando fiero della sua impresa, oppure vantarsi con qualche donzella del fatto che aveva salvato Ladeca. In quei pensieri fu la voce di Nicolaj a riportarlo alla mente mentre spiegava la prima parte del piano; entrare nella ferriera.

Sia lui che l'uomo dalla corporatura massiccia decisero di passare dalla via principale prendendo anche il sacco pieno di armi che bisognava trasportare all'interno dell'edifico. Poco dopo che i due si erano incamminati verso la via Laurent iniziò a parlare con il suo compagno di avventura scoprendo il suo nome; Montu.

Continuando a parlare scoprì anche che l'uomo a fianco a lui era un sussurro. Appena Sentì quelle parole uscire dalla bocca del suo interlocutore Laurent sentì il desiderio di risolvere l'enigma del sussurro che gli aveva donato la voce di Kuro.

"Signor Montu, io ho ricevuto questo foglio. " Disse il Majoral usando un tono fin troppo gentile per i suoi standard "Il signore che me lo diede mi disse che apparteneva a un sussurro in questo momento impegnato a fare altro. Per caso voi sapete chi é questo L.S.D?"

Laurent sperava di scoprire chi fosse sopratutto perchè nella sua mente rimbombavano ancora le ultime parole dell'uomo che gli aveva consegnato il frammento della voce. "é il tuo destino intrecciare la tua avventura con la sua.". Cosa intendeva con ciò? Come poteva un uomo con cui aveva parlato un'unica volta conoscere il suo destino?

"Un Sussurro impegnato a fare altro? In un momento come questo e con la Voce che riprende a funzionare? Mi sembra molto strano. Temo che la verità sia ben peggiore. In ogni caso non ho mai sentito di un certo L.S.D. O meglio, è la S. a portarmi fuori strada."

Forse Montu sapeva qualcosa. Alla fine era un sussurro da prima della conquista di Basiledra da parte della Guardia Insonne da come si era comportato con i tre membri della mano, forse lui poteva dissipare i suoi dubbi e togliergli quel peso di non avere in mano il proprio destino fino in fondo. Era una cosa che lo faceva incazzare, nessuno era padrone del suo futuro o poteva conoscerlo a parte egli stesso o almeno così aveva sempre creduto.

"Che nome ti viene in mente con al L e la D?"

"C'era un nano tra i Sussurri, un certo Lothar." Disse Montu in tono tranquillo. "Si faceva chiamare "Doppielame" ma non so altro e l'ultima volta che l'ho visto è stato durante la riconquista di Basiledra."

Laurent finì il discorso ringraziando il suo interlocutore. Dubitava fortemente che fosse un nano il sussurro che lo aveva voluto lì, già era assai strano che un nano fosse diventato un sussurro. Eppure in quella riflessione che durò alcuni minuti sentiva che c'era qualcosa che non quadrava e che lo stava portando fuori strada.

Passò ancora un pò di tempo prima che i due giungessero all'imboccatura del sentiero dove quattro guardie controllavano l'ingresso. A quanto pareva Montu poteva vantare capacità illusorie di discreta potenza e avrebbe potuto passare inosservato tra le guardie. Laurent invece avrebbe usato la sua mente per superare l'ostacolo.

Osservò i quattro uomini vestiti con delle armature e armati di lance o alabarde più la solita spada in dotazione a tutti i soldati. Due di quelle guardie dovevano avere all'incirca la sua età se non qualche anno in meno mentre i due che rimanevano andavano ormai oltre i cinquant'anni, ma nessuno dei due sembrava pratico delle arti mentali almeno a una prima occhiata.

Si era allenato per anni a non farsi vedere, ad espandere la sua mente per distrarre su altro i suoi obbiettivi, per essere talmente silenzioso da non emettere rumori, da reprimere la sua aura talmente tanto da non essere percepita e da essere così delicato da non lasciare orme. Era fiero di ciò che era riuscito ad imparare e ora dopo quasi due anni da una vera sfida poteva dimostrare a se stesso quanto era migliorato.

"Si va in scena signore."

Sentì corpo e mente agire all'unisono mentre nei suoi pensieri rideva dell'affermazione da ragazzino che aveva pronunciato poco prima con un filo di voce. Percepì il suo corpo che si muoveva furtivo dietro i vari nascondigli che quel luogo gli forniva e la sua mente faceva in modo che quando passasse da un punto all'altro scoprendosi alla vista delle guardie per quei pochi secondi essi fossero attirati da qualcos'altro distogliendo lo sguardo da dove lui passava. Silenzioso come la morte si mosse veloce fino a quando non fu sicuro di essere uscito dal campo visivo di tutte e quattro le guardie.

In quel momento tornò a camminare tranquillo tenendo comunque in allerta i sensi e lasciando attive quelle capacità che gli permettevano di non emettere aure o orme. Era fiero di quello che aveva fattoe sicuramente si sarebbe vantato con Frederich appena tutta quella storia sarebbe finita, anche se non era certo che nessuno lo avesse visto, ma dato che non aveva alabarde o lance che puntavano sul suo didietro si sentì abbastanza tranquillo.

Era starno come quelle capacità spesso venivano usate da altri per scopi ben meno nobili e ciò lo aveva fatto adirare più volte con coloro che sprecavano quel dono e mentre questo pensiero scemava, camminando sentiva dentro di se l'ansia che ogni ragazzo sente per la sua prima avventura e la voglia di rendersi utile a quella città e di cambiare per sempre l'opinione su quelli dotati dei suoi stessi doni.





Laurent:

Corpo : 100%
Mente :95 %
Energia : 100%


Costi: Basso = 5% | Medio = 10% | Alto = 20% | Critico = 40%




Passive :

Celarsi
Nascondere il proprio corpo e la propria presenza agli altri è una delle caratteristiche fondamentali di un Ladro. Consumando un utilizzo di questa passiva egli sarà in grado di celare la propria presenza anche a coloro che dispongono di abilità di auspex. Conta come una passiva ad utilizzi di anti - auspex.
consumo: passiva; 6-1 utilizzi

Velo Sonoro
Il Ladro può camminare, muoversi e correre senza emettere alcun suono, evitando di essere scoperto dagli avversari. Consumando un utilizzo di questa passiva egli sarà in grado di non emettere alcun rumore o suono quando deambula in qualsiasi contesto.
consumo: passiva; 6-1 utilizzi

Velo d'Ombra
Il Ladro può muoversi in qualsiasi ambiente senza lasciare traccia del proprio passaggio, evitando che altri possano seguire i suoi movimenti. Consumando un utilizzo di questa passiva egli sarà in grado di non lasciare alcuna traccia del suo passaggio, indipendentemente dall'ambiente d'azione del Ladro.
consumo: passiva; 6-1 utilizzi


Attive:


Distrazione
Il Ladro potrà tentare di distrarre gli avversari attraverso le proprie capacità d'ombra. Egli potrà infatti tentare di attirare l'attenzione dei presenti con una creazione di natura psionica - inducendo i presenti a focalizzare la propria attenzione su una distrazione che esiste solo nella loro mente -.
consumo: basso alla mente




Oggetti usati:



Riassunto:
Utilizzo la pergamena e le passive nello specchietto per superare le guardie



Note:
I dialoghi tra Laurent e Montu sono stati concordati in privato, le azioni sono quelle descritte nel post e citate in confronto a part per la tecnica attiva( avevo sbagliato tecnica in confronto, intendevo usare questa). Chiedo scusa per il leggero ritardo ma la prima sessione di esami di ha tolto più tempo del previsto.

Inoltre la prima parte del post è collegata direttamente alla free (avviene la sera prima dei fatti della free) di presentazione del mio pg alla quest

 
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view post Posted on 15/1/2016, 05:32
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Castello di Carte ~ Apocalisse.
« Chi, se non un mostro, deve lottare per fermare un altro mostro? »

Il cappello, rinforzato da sottili bande metalliche, mi scivolò sul naso. Con la mano lo riportai in posizione mentre Mark Smith finiva di spiegarci il motivo di tanta fretta mentre, stretti come sardine, sfrecciavamo per le strade della città a bordo di un carro. Negli sguardi di molti presenti c'era apprensione, in alcuni paura, ma dentro di me sentivo solo montare la curiosità per quello che sarebbe successo dopo. Il comandante sembrava un uomo esperto, avevo sentito molto parlare di lui durante i miei viaggi prima della guerra e della rivoluzione, eppure a guardarlo da vicino non avrei scommesso un soldo bucato su di lui o sulle sue capacità militari. I soldati apparivano già sconfitti anche all'occhio inesperto e completamente alieno al mondo militare come il mio, potevo solamente immaginare quanto Caino ed il suo esercito stessero gongolando all'idea di schiacciarli sotto le suole delle scarpe. Non mi ero unita per chissà quale spirito patriottico, anzi, per quanto mi riguardava erano state la paura e l'immenso razzismo del Dortan a spingere quell'idiota del mio patrigno ad uccidermi, ma bensì perché ero convinta che, a prescindere dal risultato dello scontro, sarebbe avvenuto qualcosa degno d'essere ricordato per sempre. E chi, meglio di una musicista poteva archiviare quella storia per l'eternità?

Ma, dovendo dirla tutta ed in onestà, avevo vissuto per anni accanto a pastori, contadini e lavandaie di ogni sorta e mi ero resa conto di quanto difficile fosse la loro esistenza già in quel modo, tra malattie, fame e povertà. L'avvento di un secondo regno del terrore avrebbe semplicemente distrutto ogni cosa di buono che c'era rimasta nel territorio. Chiamatemi romantica, ma non avrei voltato le spalle a quella gente per niente al mondo.
Mi sistemai meglio il cappello, ascoltando il prosieguo del discorso. Il mondo umano era così capriccioso che la presenza di traditori non mi sorprendeva. Forse erano stati in decine a disertare nella notte per unirsi alle fila di Caino, e nessuno avrebbe dovuto biasimarli per aver avuto paura della morte. Quello che mi sfuggiva è che vantaggi potesse avere un ambasciatore dal far instaurare un regime nel Dortan: il Priore non era noto al mondo per aver compiuto grandi miracoli ma, anzi, per essere fuggito a gambe levate durante l'assalto della Guardia Insonne, non certamente il tipo di individuo che un regno avrebbe voluto al suo comando. Ma, evidentemente, sbagliavo. Il soldato seduto accanto a me mi rifilò una piccola gomitata distraendomi. Aveva la gorgiera decisamente troppo grande per la sua statura e per poco non gli copriva anche tutto il mento, ma dai capelli grigi intuii che non fosse propriamente una recluta alla prima battaglia.

« Le tue armi, soldato? »
Bisbigliò, indicandomi le mani vuote che tenevo appoggiate sopra le ginocchia.
« Io... » non avevo armi con me, non mi erano mai servite sino a quel momento. « Oh cazzo siamo messi così male? »

Mi strinsi nelle spalle, imbarazzata. Non avevo pensato nemmeno per un secondo all'idea di procurarmi delle armi per apparire, almeno minimamente, credibile come soldato. Non era la prima volta che uccidevo, no, però non mi erano mai serviti strumenti di sorta per compiere un atto semplice e immediato come ammazzare qualcuno. Dovevo iniziare ad entrare nell'ottica che non mi trovavo più in mezzo alle bettole di qualche sperduto villaggio, dove i briganti più pericolosi sono solo stupratori alcolizzati il cui collo si rompe più facilmente di un bastone secco, lì ci sarebbero stati soldati, in armatura, esperti veterani di guerra. Le mie affusolate mani non avrebbero mai potuto competere con l'acciaio delle spade o la forza dei martelli da guerra. Sospirai.
Avevo, sopra le vesti, un farsetto imbottito color crema che odorava di umidità e muffa, ma era pur sempre meglio che presentarmi da Mark Smith vestita di tulle nella beata speranza che, mosso a compassione dallo stato pietoso del suo esercito, decidesse che non c'era niente di meglio a cui affidarsi se non l'esile mostriciattolo pallido.

Man mano che il comandante andava spiegando l'accaduto, nella mia testa appariva chiaro come il sole che qualcosa, in quell'intricato sistema politico, si fosse incastrato ed avesse smesso di funzionare correttamente almeno da vent'anni. Come potevano dei nobili essere così stupidi da rimanere fedeli ad un serpente come Caino? Non che avessi nulla contro di lui direttamente, non mi aveva fatto del male, ma persino io che ne avevo sentito solamente parlare avrei evitato, accuratamente, di stringergli la mano per paura che mi accoltellasse poco dopo. Figuriamoci aprirgli le porte di casa facendogli massacrare tutti quanti.
Il nostro compito era piuttosto semplice: rintracciare l'ambasciatore Arthur Kalamesh e scoprire l'ubicazione della lista dei traditori - o presunti tali - che aveva con sé. Proprio mentre iniziavo a pensare quanto sciocco potesse essere avere una lista con scritti tutti i nomi dei responsabili di un complotto, e a come rendere questo all'interno di una ballata per raccontare l'evento, qualcosa fece precipitare drasticamente la situazione. All'improvviso, con la coda dall'occhio, notai un bagliore rosso venire nella mia direzione poco fuori dal finestrino e, nemmeno un istante dopo, la corsa della carrozza si trasformò in un inferno.
Una delle ruote del carro si staccò, o forse si spezzò, non riuscii a capirlo, ma la carrozza prese a capovolgersi con un violento scossone. Un gomito mi raggiunse in pieno petto spezzandomi il fiato, mentre il mio corpo veniva schiacciato contro il finestrino, violentemente. L'urto fu così forte che, quando ci ribaltammo completamente, volai fuori assieme ad altri commilitoni, rovinando sul terreno per qualche metro. Se non avessi avuto il cappello, probabilmente, una miriade di schegge di legno e vetro mi si sarebbero conficcati su tutta la testa, ma per mia fortuna la maggior parte dei danni li fece il contatto brusco col suolo, lesionandomi gomiti e ginocchia. Frastornata e confusa per l'impatto faticai non poco a rimettermi in piedi, trovandomi davanti agli occhi una scena agghiacciante: il gruppo di traditori si era asserragliato nell'ambasciata e, una volta messo fuori gioco il carro e dispersi i nostri ranghi, stavano uscendo decisi a finirci. Mark Smith, uscito tutt'altro che incolume dall'impatto, ci fece chiaramente capire quale era il nostro compito. Ucciderli tutti.
Non avevo nemmeno un'arma per difendermi, stupidamente mi ero immaginata di andare ad acciuffare qualche obeso riccone incapace persino di correre giù per le scale, non di dover affrontare faccia a faccia un gruppo di soldati professionisti. Forse era stata una cosa stupida da parte mia, ma mi ero arruolata in quella missione con più leggerezza di quanto avrei dovuto. Troppa leggerezza. Eppure oramai ero nei guai fino al collo e prima di farmi ammazzare, per la seconda volta, dovevo agire.
Una seconda salva di frecce scoccate - ora potevo vederlo - dal primo piano del palazzo, volò verso di noi. Alcuni dei miei compagni si erano già buttati ferocemente nella lotta, sprezzanti del pericolo e dei dardi, ma io non ero così coraggiosa: corsi verso quello che rimaneva del nostro mezzo di trasporto per trovare riparo, ma gli arcieri furono più veloci di me. Mi girai appena in tempo per vedere la freccia che volava dritta verso di me, alzai il braccio per difendermi il volto, irrigidendolo perché non venisse perforato. La punta trapassò la manica e rimbalzò sulla pelle, dura come il marmo, sottostante.

Pur da morta, con le sensazioni notevolmente ovattate e quasi immune - credevo - alla paura, in quel momento avrei decisamente voluto essere altrove. Poco distante, rimasto schiacciato dal carro, uno dei soldati agonizzava nei suoi ultimi istanti di vita. Mi inginocchiai accanto a lui guardando se c'era qualcosa che potessi fare, ma era troppo tardi. Sentivo, dentro di me, una sorta di tristezza per quella sua misera fine, ma oramai avevo smesso di vedere la morte, quella vera e definitiva, come un qualcosa di brutto. Ovunque stesse andando quell'uomo, indubbiamente, era migliore dell'inferno che lo avrebbe aspettato a Ladeca. Gli poggiai rapidamente la mano sul collo ruotando il polso di scatto: un rumore secco e inconfondibile mise fine alla sofferenza di quel poveretto.

« Ci vediamo dall'altra parte. » gli sussurrai, mentre afferravo la sua spada da terra.
« Questa serve più a me che a te. »
Rubare ai morti era indegno, ma quella l'avrei considerata un prestito momentaneo. Inoltre l'avrei vendicato, speravo, spargendo il sangue dei suoi nemici.

Il combattimento infuriava, duramente, sulla strada. I soldati del palazzo e quelli di Smith lottavano aspramente per guadagnare il portone d'ingresso, mentre gli arcieri sul tetto restavano una minaccia mortale per chiunque di noi. Uno dei traditori, vedendomi staccata dal grosso delle forze e palesemente meno prestante di chiunque altro all'interno di quello scontro, mi caricò selvaggiamente. Aveva un elmo calcato sul viso, di quelli da fanteria, con la tesa larga e la gorgiera prominente, tanto che riuscivo a scorgerne solo gli occhi scuri e piccoli che puntavano dritti contro di me. Vibrò un paio di colpi di spada nella mia direzione, costringendomi ad arretrare sin quasi al relitto della carrozza. Io, come una recluta disadattata, tenevo la spada dritta davanti a me aspettando il momento buono per attaccare, ma senza riuscire a capire come ferirlo, protetto com'era dalla corazza. Presi la spada a due mani, facendomi coraggio, per tentare un colpo mirato alla testa: andò a segno, ma fu troppo debole anche solo per essere avvertito oltre lo spesso metallo protettivo. La risposta fu pronta e immediata, troppo perché mi rendessi conto con il giusto preavviso.
Agguantò la mia mano armata con la sua, spingendola lontano e nel mentre, usando l'elsa della sua lama, mi rifilò un violento montante sotto al mento, aprendomi un taglio sanguinante sin sul labbro e costringendomi a retrocedere di diversi passi.

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L'urto mi fece scivolare il cappello dalla testa, rivelando alla luce gli occhi vitrei e opachi che vi nascondevo sotto.
« Cosa cazzo sei? » esclamò il soldato, fermandosi un secondo a quella visione non proprio comune.
« Arruolano pure i mostri in questa città di merda! »
Sputò a terra, disgustato dalla mia sola presenza, poi caricò di nuovo.
Cercò l'affondo e lo trovò, ma tutto quello che ottenne fu di trapassarmi da parte a parte senza che battessi ciglio. Feci in modo di colpire la sua spada con la mia, allontanando la minaccia.
« Sei un abominio! » strillò, sovrastato dal rumore dello scontro.
« Almeno io non sto cercando di rimettere sul trono un serpente. »
Lo incalzai con un paio di colpi, ma quello era decisamente superiore a me in quanto ad abilità marziale e mi tenne testa senza sforzi. Non aggiunse niente dopo quella frase, probabilmente non ero il primo mostro che vedeva in vita sua ma, per certo, sarei stato l'ultimo.
Spalancai la bocca prodigandomi in un urlo che solamente quel bastardo avrebbe sentito. I miei occhi diventarono completamente opachi, perdendo ogni parvenza di umanità e lunghi denti acuminati spuntarono sopra quelli normali, dando alla bocca un aspetto ripugnante. Non mi piaceva ricorrere a quei metodi, ma non avrei mai potuto vincere diversamente, non in quella circostanza. Vibrai un altro colpo, cercando di coglierlo di sorpresa, per porre fine alla sua ignobile vita.

[ ... ]

Perché i residui mortali di una mezzelfa dovrebbero difendere il cuore pulsante della monarchia umana? Non saprei rispondere. Quello a cui saprei rispondere, però, è se lascerei volentieri il mondo in balia dei pazzi e dei malvagi. E no, non lo farei. Posso accettare ogni cosa, incluso l'omicidio, la violenza, il tradimento, ogni gioco di potere ed ogni forma di magia, buona o cattiva che sia, ma non posso accettare di vedere il mondo in mano a chi distruggerebbe casa propria pur di non darla ad altri. La cosa più pericolosa in questo mondo non sono i cattivi, perché chi è cattivo si vede, si riconosce e si può anche uccidere se necessario. Ma i pazzi, coloro la cui mente è annebbiata dalla follia e dalla disperazione, dalla sete di potere, spesso restano invisibili e silenti sin quando non è troppo tardi. Qualcuno, molti anni fa, ha commesso l'errore di lasciare che Caino diventasse il bastardo che è adesso, e spetta a noi tutti impedire che torni nuovamente a tormentare i nostri incubi. E chi più di un mostro ha il compito di fermarne un altro?



B. 5% - M. 10% - A. 20% - C. 40%



Capacità Speciali: 0
Riserva Fisica: 50% -10% - 10% + 10% = 40%
Riserva Energetica: 100% -10% = 90%
Riserva Mentale: 150% -10% = 150%
Stato Emotivo: Combattiva.
Equipaggiamento:

• Spada da Fanteria.
• Farsetto imbottito.

Passive Utilizzate:
Prendimi la mano, se ci riesci: Essere morti ha i suoi privilegi. Una volta, ammetto sfidando la sorte, decisi di andare a fare un piccolo viaggio dentro i boschi, dove ero conscia vivessero svariati branchi di lupi ferali. Mi trovarono, nonostante le mie rinnovate abilità, e per qualche istante credetti di essere spacciata, di riuscire a trapassare realmente, ancora illusa che la mia situazione fosse solamente temporanea. Quelle belve mordevano, azzannavano e ringhiavano, ma ogni volta il mio corpo risultava intangibile per loro. Serravano le fauci, letteralmente, nell'aria. Alla quindicesima volta che tentavano uno di loro si sedette davanti a me, mi guardò negli occhi e poi si portò dietro tutto il branco, sparendo come erano arrivati, dal nulla.
[Passiva delle Ombre "Forma Eterea" - Limitato potere di incorporeità a discrezione dei qm, a parità di CS i colpi trapassano il corpo senza causare danni.] (Utilizzi: 6-1 = 5)

Attive Utilizzate:
Corrente ♪: A volte la volontà è più forte del metallo e del fuoco. Quando sono particolarmente arrabbiata o concentrata posso trasformare il mio rammollito corpo in una statua, dura come la pietra e impenetrabile come l'acciaio. È qualcosa che riesco a fare solo per brevi istanti, ma è più che sufficiente per respingere qualsiasi assalto abbia mai subito in vita mia. Magari, un giorno, troverò il modo di tornare completamente in vita.
[Personale 11/25 - Consumo Medio, natura Magica, consuma Mente e difende Fisico. Si tratta di un irrigidimento di una parte del corpo, quella generalmente colpita, che impedisce all'attacco di cagionare danni]

Moderato ♪: Una volta ho conosciuto un'altra ragazza fantasma, lontano da casa, sulle coste scoscese del nord. Era morta in un naufragio, ma il suo spirito non era rimasto quieto come il mio, era intrappolata in un limbo di sofferenza che a stento riuscirei a immaginare. Mi parlò a lungo di questa sua condizione, di quanto la facesse soffrire e, infine, volle insegnarmi l'urlo della Banshee. Non sapevo cosa fosse all'inizio, credevo si trattasse semplicemente di qualche pianto isterico teatrale, ma quando la vidi gridare contro di me a pieni polmoni si trasformò in un vero e proprio incubo. Denti acuminati le spuntarono dalla bocca, occhi rossi pieni di capillari esplosi e ogni altro macabro dettaglio della sua morte riaffiorò per tormentarmi. Se non fossi stata già morta, probabilmente, mi sarebbe venuto un infarto seduta stante.
[Personale 2/25 - Consumo Medio, natura Psionica, consuma Energia e colpisce Mente. Si tratta di un vero e proprio urlo, molto acuto, a cui fanno seguito alcuni cambi d'aspetto che ricordano il tipo di morte subito da Irene, nel tentativo di spaventare l'avversario]

Note: Eccomi, scusate l'orario e la corsa feroce all'ultimo secondo, ma non volevo perdermi la partecipazione. Irene viene sbalzata fuori e subisce il danno da urto, poi blocca la freccia che le viene sparata contro nella salva ed infine subisce un altro medio da un pugno castato dal soldato nemico. Lo contrattacca cercando di spaventalo con una malia psionica per poi finirlo con la spada. L'uso della passiva testimonia il fatto che uno degli attacchi fisici del soldato la trapassi senza farle danno, essendo a parità di CS. Love ya all.
Editato,col permesso del QM, in base alle azioni di Verel con la cura. Domando scusa se non v'è traccia nel post, ma nel prossimo farò presente la guarigione.


Edited by Last Century - 15/1/2016, 21:01
 
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view post Posted on 15/1/2016, 20:59
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« Cosa me ne posso fare di un ragazzino menomato? »
Alexander Terghe alzò i suoi occhi di ghiaccio verso Verel, poggiò i pugni chiusi sulla scrivania davanti a sé e si alzò poco cerimoniosamente. Sovrastava quasi completamente il Vagabondo, guardandolo dall'alto verso il basso come faceva con i bambini che incrociava per strada. « Apprezzo il sentimento, davvero. Ma questa è una guerra vera. Non c'è spazio per i bambini. »
Verel sentì un certo senso di familiarità verso quella scena.
« Me lo dicono spesso. »
Sorrise beffardo quando il capitano cerco di incenerirlo con gli occhi. Prima che l'idea di buttarlo fuori a calci potesse attraversare la mente del soldato però, Verel rivelò una lettera recante il sigillo di un casato ormai dimenticato da tutti -o quasi. Il Terghe infatti strabuzzò gli occhi. « Sono venuto a riscuotere il vecchio debito di un amico. »
Alexander gliela strappò dalle mani. « Gli Sharif... » poi aprì la busta e ne lesse rapidamente il contenuto. Verel vedeva i suoi occhi schizzare da una parte all'altra del foglio, passare a guardarlo per un istante, tornare sul foglio per alcune volte. Subito dopo aver finito il Capitano si arrese, abbandonandosi su quella sedia fin troppo piccola per la sua stazza, e pronunciò una singola parola: « Grano. » La sua mente ancora faticava a comprendere il contenuto di quella lettera.
« Ho trentasei anni. » annunciò Verel per difendersi, anche se si vergognava del suo aspetto innaturalmente giovane. « Ho servito questo regno da più tempo di voi. Ho combattuto nella Guerra del Crepuscolo e sono sopravvissuto. Sono morto e risorto. Sto cercando di fare le cose per bene, ma se preferite allora combatterò per conto mio quando busseranno alla porta. » sospirò. « Quelle sono le mie credenziali -aggiunse poi, indicando il foglio che Alexander stringeva tra le mani - non crederete nemmeno alle parole di un amico? »
Verel vide le possenti mani del soldato stringere quel foglio come se volesse strozzare il collo di Grano. Non seppe mai cosa legava i due, ma era sicuro che quel credito che il Guaritore di Campi Duri aveva detto di poter riscuotere non fosse cosa da poco.
Alexander Terghe mise da parte il suo orgoglio e il regolamento, o quasi. Gettò quella dannatissima lettera e si mise a scavare tra le scartoffie sulla sua scrivania, scovando un registro in cui poi iniziò a scarabocchiare qualcosa, lasciando il Vagabondo in attesa. « Nome completo? » disse poi, arrendevolmente. Verel corrugò le sopracciglia. « È davvero necessario? » Alexander gli rispose con uno sguardo severo. « Ti sembriamo selvaggi delle Hooglans? » Verel aprì e chiuse le labbra un paio di volte, poi alzò gli occhi al cielo e per la prima volta ammise: « Verel Orlànd. Così basta? »

Alexander Terghe annuì e chiuse il registro, quindi scacciò il Vagabondo con un gesto distratto della mano.
« Congedato. »
____________________

Attraverso i finestrini di quella fin troppo stretta carrozza, Verel vedeva il grigiore e la tristezza di Ladeca.
Aveva camminato brevemente nelle vie della città prima, non aveva compreso. Ma in quel momento i palazzi scorrevano sotto il suo sguardo: porte barricate, finestre sbarrate, grate chiuse e catene. All'interno di quelle piccole prigioni c'erano famiglie strette dal terrore, come se già stritolate dalla grande e invisibile mano di Caino. Verel ammise a sé stesso di non poter capire Ladeca e la tristezza di quel giorno, in cui un uomo nel quale molti si erano affidati decide di attaccare quella che dovrebbe essere la sua casa per pura bramosia di potere. Le parole di Shakan ancora risuonavano forti nella mente del Vagabondo, ricordandogli di combattere l'egoistico spargimento di sangue, eppure nel riflesso di quel finestrino non poteva che vedere lo sguardo apatico di un uomo che non ha ancora ritrovato la sua via.
Era giusto, per lui, combattere? Ne aveva diritto?

Con un rapido sguardo, il Vagabondo constatò che non era l'unico ad essere fuori posto lì. C'erano altri come lui, figure diverse dal normale soldato Dortaniano stretto in un'armatura fin troppo economica, che il Comandante Mark Smith aveva preso con sé per una missione di vitale importanza. Una missione che aveva spiegato in tono greve, pesando come un macigno sulla coscienza di Verel: una spedizione punitiva. Si strinse nel suo mantello nero, come per scacciare quell'orrenda e glaciale sensazione che lo attanagliava ogni volta che pensava di dover uccidere. Le sue promesse, la sua intenzione di percorrere una strada nuova, erano tutte parole vuote?
Le sue preoccupazioni furono presto stravolte così come il mondo che lo circondava, che iniziò a vorticare pericolosamente, Aveva solo potuto udire un sibilo prima che un'onda di scintille investisse la carrozza, frantumandone le ruote e facendola precipitare nel mezzo della strada. La confusione fu tale che il Vagabondo riuscì a rendersi conto di dove fosse soltanto quando un dolore sordo alla schiena si fece sentire, permettendogli di capire che era stato scaraventato fuori e che si ritrovava steso su una delle strade di Ladeca. Si rimise faticosamente in piedi ma quella confusione gli fu doppiamente fatale: udì lo sferragliare di una corazza e un grugnito, vide un uomo venire verso di lui brandendo un martello argentato e dunque impugno la sua fidata Narada per difendersi da quella che pareva essere un'imboscata. Ma quando il soldato gli sventolò l'arma verso il viso, Verel si ricordò troppo tardi che il passato era passato -Narada ora era una spada spezzata, proprio come i suoi giuramenti verso il regno, dunque l'acciaio nemico non incontrò nemmeno quella resistenza e si schiantò contro la sua guancia scaraventandolo a terra e mandando di nuovo il mondo intero in subbuglio. Nonostante quel colpo avesse fracassato anche i suoi pensieri, Verel si mise per la seconda volta in piedi, questa volta solo per vedere un'altra marea di frecce infuocate piovere su di lui e sui suoi compagni. Il Vagabondo fece solo in tempo ad alzare il suo unico braccio per difendersi; l'onda di frecce si abbatté con un suono sinistro e una di quelle si conficcò nel mantello di Verel, che prese rapidamente fuoco. Imprecando, il ragazzo cercò di toglierselo in gran fretta, sentendo il calore delle fiamme conquistare il suo addome e bruciarlo. Soffocò un centinaio di imprecazioni quando capì di non riuscire a disfarsene rapidamente per via della sua menomazione, quindi con un urlo di dolore fece appello al potere della sua magia e dalla punta spezzata di Narada sgorgò la luce, che si proiettò in avanti e ne completò la lama. Con un rapido movimento, Verel tranciò il suo mantello e invocò un altro incantesimo: alzando la spada rinata verso il cielo sprigiono un'onda di luce che si cosparse sui suoi compagni e lui stesso, curando dolore e ferite. La bruciatura sul suo addome scomparì in pochi attimi e molti dei soldati che erano stati colpiti si rialzarono in piedi, pronti a combattere di nuovo.

Guardò il soldato di fronte a lui, quello col martello. Sembrava deciso a finire il lavoro. Verel puntò la spada verso di lui ed immediatamente dopo una manciata di schegge luminose si formò sopra la sua testa, pronte per cadere ed entrare nelle sue spalle. Il Vagabondo si slanciò immediatamente in avanti brandendo la sua spada magica, e mirò due rapidi fendenti verso la gola e la fronte del suo avversario. Questi attacchi, impregnati con il potere di Narada, non avrebbero ferito la carne ma lo spirito: avrebbero lacerato le energie del suo avversario, privandolo anche della forza di reggersi in piedi.
In fondo, non voleva uccidere.

Energia: 80%
Fisico: 80% (Contusioni sulla schiena e sul viso)
Mente: 90%
CS: 0
Armi: Narada (spada spezzata)

Abilità passive:
La Spada del Dubbio - Verel fin dalla nascita possiede una naturale propensione per l'elemento sacro, e riesce ad invocarlo con facilità estrema. Questa forma di magia è considerabile al pari di un dono, una caratteristica affinata unicamente attraverso anni e anni di esperienza diretta in combattimento, di certo non è frutto di intensi studi. Basterà un solo comando e la volontà del Vagabondo si materializzerà in filamenti luminosi tutt'attorno a lui, condensandosi poi nelle sagome bianche di armi come spade e scudi. Verel utilizza questa capacità principalmente per ricostruire la sua amata spada Narada, ma ha avuto modo di servirsene anche quando era sprovvisto di equipaggiamento. Se adoperato per scopi offensivi o difensivi questo incantesimo ha la potenza di un semplice attacco fisico, in modo non dissimile da armi normali e basato dunque sulla quantità e tipologia di CS posseduta al momento. (Numero di utilizzi: 5/6)

Pacifismo - vivendo per anni lontano dalla civiltà, i possessori di questo talento hanno oramai perso interesse per i conflitti delle persone comuni. Consumando un utilizzo di tale passiva, questi asceti riusciranno a esporre al mondo le loro idee attraverso una malia psionica che indurrà le persone attorno a loro ad abbandonare la violenza e ad abbassare le armi. (Numero di utilizzi: 5/6)

Divergenza - anni di meditazione hanno cambiato il corpo e la mente dei possessori del talento, mettendoli al servizio della loro ferrea volontà. È così che, consumando un utilizzo di questa passiva, i possessori del talento saranno in grado di scegliere quale risorsa danneggiare con i loro attacchi fisici. Nel caso di Verel, gli attacchi fisici potranno danneggiare l'energia alternativamente al fisico. (Numero di utilizzi: 5/6)

Guarigione vigorosa - Le tecniche di guarigione usate dal campione sono molto più potenti di quelle usate da altri. Consumando un utilizzo di questa passiva, il campione può rendere la propria successiva tecnica di guarigione di potenza pari al consumo. Riprendendo l'esempio fatto precedentemente, se spenderà il 10% in una risorsa per lanciare una tecnica di guarigione, recupererà il 10% in un'altra risorsa. (Numero di utilizzi: 5/6)
Abilità attive:
Cura moderata amplificata - Il campione è in grado di risanare un danno di moderata entità a tutti i suoi compagni contemporaneamente. Utilizzando questa pergamena è possibile curare danni al fisico fino ad una portata alta non solo per il caster, ma anche per i suoi compagni. Se si possiede la tecnica passiva "guarigione vigorosa" o la tecnica passiva "guarigione amplificata", o equivalenti, questa tecnica permetterà di risanare un danno Medio a tutti i propri compagni. Se si possiedono entrambe le passive o equivalenti, questa tecnica permetterà di risanare un danno Alto a tutti i propri compagni. Se non si possiede alcuna di queste passive, la tecnica risanerà un danno Basso a tutti i propri compagni. La tecnica ha natura magica. (Consumo alto energetico/mentale)

Schegge di luce - Il Vagabondo genera dalle cinque alle dieci schegge di luce che cadono sull'obiettivo a gran velocità. La tecnica ha natura magica, elemento luce. Adoperata per fini generalmente offensivi, la tecnica permette al paladino di generare dalle cinque alle dieci schegge, simili a grandi stalattiti, sopra l’avversario. Una volta che queste avranno assunto la loro forma definitiva, le schegge cadranno sull’avversario trapassando qualsiasi genere di protezione fisica come armature o simili, provocando ustioni di entità Media nella loro totalità senza lasciare ferite di altro genere nei punti interessati. (Consumo energetico medio)
Riassunto azioni: Verel incassa tutti i colpi, attiva La Spada del Dubbio per creare un prolungamento della sua spada spezzata (cool factor), Cura moderata amplificata per curare sé stesso e i compagni di un medio e infine Schegge di luce sul suo avversario, un soldato casuale. Dopodiché attiva Divergenza per permettere ai suoi attacchi fisici di ferire l'energia e mena un paio di fendenti sempre allo stesso povero cristo. Anche la passiva Pacifismo è attiva, tuttavia non la descrivo nel post perché è semplicemente l'aura di non-violenza che circonda il personaggio.

Edit: mi ero scordato di citare la passiva Guarigione vigorosa, ho corretto.


Edited by Verel - 16/1/2016, 12:14
 
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view post Posted on 17/1/2016, 18:07
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Uno sbuffo lontano.
Un sussurro disperso tra le polveri discese dal soffitto e i legni di mogano adagiati sui marmi bianchi.
L'Edraleo rimaneva confinato in un limbo indecifrabile; un passaggio eterno tra la notte e l'alba, sommerso in un silenzio inverosimile nel quale i rimbombi lontani della città apparivano soltanto come un contraltare alquanto amorfo e sconnesso.
La sala permaneva in una dimensione sua propria: un monologo di rancori del quale soltanto in pochi avrebbero potuto percepire l'entità.
Uno di quei pochi era il Re, seduto sul suo scranno al centro del grosso salone.
Se ne stava scomodo, camuffato in una grossa palandrana bianca che lo rivestiva per intero, coprendogli anche il volto. Dall'ultima sua frase si era quasi ridestato dall'inedia; il corpo si era piegato leggermente in avanti, e la stesa aveva ruotato verso destra di quarantacinque gradi, prestando l'orecchio a quel silenzio atavico.
Come se volesse percepire un suono, una frase o un'emozione.
Come se volesse ascoltare il silenzio.

E pregno di tanta agonia, ebbe l'impressione di udirlo distintamente il suono che cercava.
Fu come un sospiro lontano, un'impercettibile ghigno della bocca che qualcuno si era fatto scappare non troppo distante.
Forse nei banchi qualcuno sorrise, denigrando la sacralità di quel limbo con un disdegno profano.
Subito dopo, tornò a regnare il silenzio assoluto.
E il Re non tardò a credere di essersi immaginato tutto.

« C-c'è qualcuno? » Chiese, con aria spaurita.
Il busto si inarcò ancora più in avanti, cedendo di qualche altro centimetro sotto il peso della sua apprensione.
Poi, un altro rumore lo fece sobbalzare. Più netto e distinto del precedente, ma profondamente diverso.
Il cigolio secco di una sedia che striscia sul pavimento fece da apertura a una serie di ulteriori rumori; lo sfregamento della seta sul legno, lo stridio delle panche che si allontanano e alcuni passi, con un incedere crescente che rintoccava nel suo cuore come una melodia di morte.
« Non ti si può nascondere nulla, Julien » disse una voce, comparendo dal buio come un fulmine a mezzogiorno.
« Ormai, sei diventato un uomo » aggiunse ancora, melenso. « Un uomo piuttosto attento. »
Il buio si delineò in una sagoma ormai nota. Una veste ricamata in nero e oro scendeva lungo le gambe e le maniche, risalendo sulle spalle con un manto interamente in oro e un bavero lungo, che gli abbracciava il collo e parte del volto.
Oltre di esso, poi, scendevano i lunghi capelli neri, setosi, a incorniciare un volto lineare, sottile, con portamento e toni regali. E, sopratutto, occhi grandi, con pupille color oro.
« Dobbiamo ammettere che ti sei costruito un bel posticino da queste parti » aggiunse Caino, serafico.
Julien smise di parlare. Il suo respiro si fece affannoso, rapido; nel mentre, elaborava strategie e pensieri su come reagire a quell'affronto così rapido. Così veloce.
Così inaspettato.
Aveva immaginato quel momento così tante volte, in così tanti modi diversi.
Eppure, mai avrebbe pensato di affrontarlo così rapidamente.

I passi si scandirono con l'ansietà del minuto. Il tacco fermo del Priore rimbalzò con alterigia sui gradini che portano al trono.
« Li senti li fuori, Julien? » Chiosò Caino. « Senti le loro urla che si spargono sulle mura, insieme al fiato e al sangue che li ha resi soldati? »
« Quanto credi resisteranno? » Aggiunse ancora, con un sorriso beffardo. « Quanto credi che potranno rimandare la loro fine inevitabile? »
Subito dopo, fu davanti a lui. Si ergeva in tutto il suo imperio, con gli occhi fissi dinanzi a se e un'espressione altezzosa di chi sa di aver già vinto.
« Dacci quello che vogliamo, Julien » ribadì, senza vergogna, « ...e nessuno si farà più male. »
Rise, di una risata beffarda.

Seguì qualche istante di silenzio.
Un fremito di angoscia tremò nel corpo del Re, mentre tra i due sembrava scorrere una linea inflessibile di tensione e rimorso.
« Come preferisci » tagliò corto Caino. « Vorrà dire che faremo adesso quello che avremmo dovuto fare tanto tempo fa. »

Solo in quel momento il corpo di Julien si smosse con decisione. Si fece ancora di poco più avanti, fino a ergersi sulle gambe e porsi in piedi dinanzi al suo interlocutore.
Fu li che l'espressione di Caino cambiò. Il corpo del ragazzo parve raggiungere quasi la sua altezza e le sue spalle allargarsi di una dimensione che a stento ricordava tale.
Gli occhi dorati del Priore si allargarono di sorpresa, cercando di scrutare all'interno del cappuccio tirato sul viso.
« Julien? » Chiese, in un eco di perplessità. E subito dopo, il cappuccio si allargò di quel poco sufficiente a lasciarvi entrare la luce delle fioche lanterne a olio.
In quell'attimo, il Priore ammirò i tratti del suo interlocutore. Aveva capelli lunghi e lisci, rigorosamente neri oltre che un viso fine e leggero che faceva da cornice a due occhi che più che azzurri si direbbero grigi. Dei tratti così poco comuni da quelle parti, così simili a quelli del Re che non perde mai. Propriamente eletti per il figlio del fu Re invincibile, se non fosse che sembravano incassati in un volto di un uomo sulla trentina, piuttosto che in quelli di un giovane.
« ...tu?! » Chiese Caino, incredulo.
Un nuovo sorriso seguì subito dopo. Ma fu quello dell'uomo sotto il cappuccio bianco.
E una lama corta sbucò da sotto di una delle due tuniche, per conficcarsi con forza nell'altra.

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Apocalisse
II Turno

Ferriera di Lenigrast
Il primo giocatore


L'ingresso della ferriera sembrava una bocca aperta direttamente dall'inferno.
I bagliori delle fucine risplendevano come decine di bulbi rossi, che fissavano ogni avventore con sguardo famelico e raccapricciante. Invero, il calore sollevato generava fumi ardenti e si scioglieva sulle pareti laminate e grezze della struttura principale, che si spandeva ai lati con travi, pensili, piattaforme e livelli in maniera sparsa e tentacolare. A fissarla sembrava una grossa rete che si spandeva a cono, partendo dall'unico foro di ingresso e allargandosi all'interno, fino a scavare nelle profondità della montagna.
Nonostante la guerra affliggesse la città, la maggior parte dei lavoratori batteva il ferro come fosse un giorno qualunque. Il rumore dei clangori si disseminava ovunque; a un clangore ne seguivano altri due. A due, ne seguivano quattro. E così via, in un ritmico incedere di rimbombi ferrosi, che generavano una melodia altisonante e concentrica.
Nel mentre, i tre Sussurri giunsero per primi, aprendo la strada al piccolo gruppo che seguiva.

Ilyr viaggiò con decisione entro il tubo, discendendo con leggiadria sulla terra battuta. L'impatto col suolo, però, fu per poco tragicamente fatale: la fuliggine che lo investì gli risalì su per il naso, riempiendogli i polmoni e cavandogli dalla gola un colpo di tosse strozzato. Con la sua esperienza, riuscì ad attutire il rumore nel mantello. Eppure, la circostanza attirò l'interesse di una guardia particolarmente curiosa e, di conseguenza, delle altre due che la accompagnavano.
Dall'interno della ferriera, Nicolaj e Sergey fissarono con orrore la scena. Squadrarono il volto rosso di Ilyr gonfiarsi per il fastidio ed espellere il fragoroso colpo di tosse nel proprio manto, generando in rintuzzo atono e ottuso. Allo stesso modo, poterono vedere lo sguardo della guardia che si voltava verso la fine del tubo e si avvicendava negli altri due, in un misto di curiosità e preoccupazione.
Nell'esatto attimo in cui i tre soldati si chiamarono per spostare il luogo della loro ronda, i due Sussurri chiamarono il terzo, esortandolo a raggiungerli.

In questo modo, i tre scivolarono velocemente in un livello interrato.
Il ventre della montagna si espandeva ulteriormente, in un declivio scavato nella roccia che si dipanava in un ulteriore antro, di un livello inferiore a quello principale. Il sentiero inizialmente ricoperto di lamiera e fuliggine, poi diveniva uno sterrato di terra rossa, di quando in quando interrotto da residui di rame, zinco e piombo che cadevano dai livelli superiori. Infine, la crosta rocciosa scadeva in un profondo burrone e si ricollegava all'altro lato con un ponte di ferro e ottone, assemblato alle bene e meglio e sorretto da dei filamenti in ottone e dei sostegni in acciaio.
Oltre il ponte, si espandeva un altro antro, ricavato in una nuova parete di roccia. I residui di terra e pietra ricavati dallo scavo erano ancora tenuti in una rete di ferro di poco oltre la soglia, sorretta con corde di canapa. L'antro era più piccolo e ricavato quasi fosse un ripostiglio: ovunque, infatti, erano appoggiate lastre di metallo, tubi di piombo, lamiere, reti e altri elementi di scarto in attesa di essere riutilizzati.

Quando i tre si erano rifugiati nel ripostiglio, tutti tirarono un sospiro di sollievo.
Il rumore dei clangori riempiva la stanza come un rantolo assordante, coprendolo le loro voci e - con esse - gran parte della loro presenza.
« Uff, ci è mancato poco... » sospirò Ilyr, tenendosi il petto con entrambe le mani. Sergey lo fissava con aria spazientita, indeciso tra un tono di vergogna e uno più saccente.
Alla fine, virò verso uno più pragmatico. Gli si avvicinò e cercò di urlare un poco, per farsi sentire. « Non prendertela, Ilyr » asserì l'uomo, sforzandosi di mantenere un'aria più distinta, « ma non hai davvero più l'età per certe cose. »
E lo fissava, fiero di avergli detto una frase che - probabilmente - aveva sempre sperato di dire.
Dal suo canto, Ilyr divenne rosso paonazzo, più rosso delle scintille di fuoco che rimbalzavano dai livelli superiori, scendendo sulla terra rossa come una pioggia infernale.
« Cazzo vuoi oh » sbottò, accompagnandosi con un gesto piuttosto eloquente delle mani, « voglio vedere cosa avresti fatto tu se ti si fossero riempite le budella di --- schifo. »
Nel mentre, Nicolaj - come sempre - si estraniava dal dibattito, fissando il sentiero dietro di lui.
Il clangore ricopriva richiami delle guardie e passi, ma le sue abilità distinsero nettamente le ombre dei tre uomini che discendevano il declivio, proseguendo la ronda ovunque il loro sospetto li trasportasse.
« Smettetela » sbottò dunque l'uomo, facendo segno agli altri di stare zitti, « il tuo scherzetto non è passato inosservato. »
« Dobbiamo trovare l'ingresso per il tunnel e - nel frattempo - distrarre le guardie » seguitò, indicando il sentiero. « Oppure non andremo molto lontano. »
Immediatamente dopo, Sergey si mise a rovistare tra le lamiere e, dopo poco, scoprì una pesante botola di ferro, seminascosta sul pavimento tra grumi di terra e fili di rame.
« La chiave, maledizione » disse, guardandosi intorno. « La chiave sarà qui da qualche parte...! »
« Tu! » Aggiunse poi, indicando uno dei Sussurri nel gruppo che li aveva seguiti « aiutami a trovare la chiave! »
Ilyr fissò la scena e fece seguito anch'esso, fissando a sua volta il gruppetto. « Gli altri con me » disse, serioso « dobbiamo trovare un modo per distrarre le guardie. »

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L'Ambasciata
Il secondo giocatore


L'artiglieria più elevata faceva piovere frecce sulla piazza a cascata.
A più riprese, gli arcieri incoccavano nuove frecce e sparavano verso il basso, incuranti di cogliere un commilitone o un nemico.
E i fregi del reame piangevano sulle loro casacche, sfregiate da quella guerra civile senza campo o ragione.
Nel mentre, il forte dell'Ambasciata se ne stava imponente, mirando il disastroso spettacolo dei suoi figli che si trucidavano tra loro, lambiti da un pavido moto di opulenza che interessava l'una o l'altra parte, distintamente, per motivi contrapposti.
Mark Smith gridò la carica ancora una volta, levando il braccio armato della propria spada corta, dopo averlo estratto dal corpo trucidato di un soldato dell'ambasciatore. La lama sporca di sangue svirgolò nel vento, lasciandosi indietro una coda di sangue e dolore, come fosse una cometa di morte che si levava sotto un cielo di dardi velenosi.
Accorrete dicevano le sue labbra sporche di terra, sotto un volto sfregiato e una barba incolta che decoravano guance e zigomi sofferenti. L'occhio sinistro era tumefatto, quasi del tutto chiuso e sanguinante, sotto l'elmo spaccato a metà dalla caduta. L'armatura era danneggiata in più punti, con buchi e bozzi che se la contendevano, nel numero, con le medaglie appese al suo petto. E che ora dimoravano inermi sotto le macerie della carrozza.
I più poterono notare il braccio sinistro ciondolante, appeso vicino al suo corpo grassoccio e frapposto tra uno stato comatoso e uno stato ferito proprio di un corpo prossimo alla caduta. Era sfregiato e, presumibilmente, impresso in un dolore atavico che si spargeva nel suo corpo e finiva all'altezza del gomito, come se non esistesse più alcuna ragione di vivere che quella di combatterlo.
Nonostante tutto, li chiamò uno a uno. Coi loro nomi e i loro grati; si rivolse a ciascuno di loro e boccheggiò i loro connotati, scandendoli distintamente.
Sommersi dalle urla, dalle frecce e dalla battaglia, nessuno di loro poté sentirsi chiamare davvero. Eppure, l'odore della virtù risuonò nei loro corpi come un profumo di vigore e a quelle parole scandite tutti fecero seguire un unico urlo di risposta.

« Avanziamo. »
Urlò qualcuno, dando sfogo alle parole di tutti.
E la prima linea nemica fu liquidata con un unico assalto, che la fece indietreggiare e spostare ai lati della piazza. In quell'istante Mark Smith urlò qualcos'altro, dirigendo la propria lama corta in direzione del portone principale. Il pesante torrione situato al centro dell'ambasciata, infatti, finiva con due ante di legno spesso, oro e ottone; su di esse erano disegnati ghirigori, fregi e simboli del Reame, accompagnati dalla torcia infuocata della giustizia e dalla pena argentata della diplomazia.
Simboli e fregi di pace e verità, propri di un'armata e un ufficio votato alla parola, più che alla guerra, e che prendeva le mosse da quel bisogno di pace così radicato nelle coscienze di tutti.
Quello stesso portone fu violato dall'ennesima volgare blasfemia; due soldati dell'ambasciatore urlarono parole turpi in direzione dei vigorosi uomini del Re, mentre richiamava a se i suoi compagni e si prodigava per richiudere le pesanti ante del portone davanti agli occhi dei valorosi.
Un soldato prese la balestra e sparò in direzione dei due, cogliendo il leggero spacco tra le ante e la fronte del soldato stesso, seminascosta sotto l'elmo di ferro.
Questo strabuzzo gli occhi, mirando la morte e spaventandosi di essa. La presa sulle ante si alleggerì, mentre il corpo ricadeva all'indietro.
Guadagnarono dunque secondi preziosi, che il Comandante Smith colse con estremo coraggio. Gli bastò una ginocchiata all'anta destra, aprendo il cordone di soldati che gli seguiva. Gli bastò frapporsi tra loro e qualunque cosa fosse all'interno, per ricordare ai presenti che non sarebbero usciti a mani nude da quel forte nemico.
Sarebbero usciti con l'Ambasciatore, o non sarebbero usciti affatto.

Il cortile interno era un quadrato, circondato da un colonnato e un porticato sottostante. Al centro c'era un piccolo chiosco di pietra bianca; attorno a esso un prato un tempo rigoglioso, adesso riverso in uno stato di abbandono e coperto di erbacce e rampicanti, dislocati in ordine sparso tra buche e piccoli ammassi di terra, ammucchiati tipo trincea. Al loro ingresso li accolse un altro gruppo di soldati, dislocati all'altezza del chiosco.
Una recluta si avventò sul comandante, con un affondo al petto. Mark Smith schivò di esperienza sul lato, lasciando che la lama lunga penetrasse l'aria e sbilanciasse il corpo del suo assaltatore. Di risposta, allungò il gomito con cui teneva l'arma e lo agitò sotto il mento della recluta, stordendolo per un istante. Poi passò la lama corta sotto la pancia, con un taglio orizzontale che lo riversò in un lago di sangue.
Subito dopo lo assaltò un secondo, poi un terzo. Mark Smith colpì il secondo alla gamba destra, tagliandola di netto. Infine, scostò il capo verso sinistra, per evitare il fendente del terzo soldato, che si abbatté all'altezza della sua fronte.
Il fendente mancò la testa, ma si conficco sulla spalliera destra dell'armatura, tra il metallo e la carne. La maglia di ferro trattenne appena la lama, ma il dolore raggiunse lo stesso in nervi, tanto che il comandante Smith urlò di dolore, per la prima volta dall'inizio del combattimento.
Il soldato dietro di lui non perse tempo; affondò la lama sulla guardia distratta e abbatté l'altra con un calcione, liberando il comandante dalla stretta.
Quando la seconda ondata fu respinta, tutti si nascosero sotto il capanno al centro del cortile.

« Quanti ne siamo? » Chiese Smith, fasciandosi alla bene e meglio il braccio e la spalla. I suoi occhi attenti balzarono da uno sguardo all'altro dei suoi uomini, fino a constatare che erano sopravvissuti poco più della metà di quelli che aveva portato con se.
Successivamente, passò lo sguardo oltre il capanno, fissando l'interno del palazzo. Sopra di loro, c'era un passatoio di legno, sorretto da un totale di sedici pilatri il resistente legno di faggio; sopra il passatoio c'erano gli arcieri infami, rei di aver abbattuto gran parte dei suoi uomini. In quel frangente, ricaricavano gli archi con veemenza, prima di lasciarsi andare a una nuova ondata di frecce.
Oltre di loro, c'era il primo piano del palazzo. Un piano rialzato con una grande terrazza, ricollegata al piano terra da due scalinate interne, una a destra e una a sinistra.
Davanti a loro, poi, c'erano ancora le pesanti porte di legno. Ancora aperte, ancora pronte ad accogliere rinforzi propri o nemici, a seconda di chi avrebbe risposto per primo.
Considerando, però, che gran parte dei soldati nemici era corso fuori per accogliergli, ben presto avrebbero ripiegato verso l'interno, per finire il lavoro iniziato.
« Dunque » disse Smith, ancora dolorante. Con un movimento dell'unico braccio buono, cercò qualcosa all'interno del pettorale; una smorfia di dolore si disegnò sul suo volto, per poi lasciarsi andare a una di parziale gioia, non appena ebbe trovato ciò che cercava.
Fece spazio sul terreno e dispiegò con perizia una mappa del luogo.
« Uno di voi si occuperà del portone; dobbiamo bloccarlo con più forza possibile, onde evitare il ritorno nemico » disse, indicando davanti a loro. Poi buttò un occhio al passatoio superiore. « Un gruppo, invece, si occuperà degli arcieri » asserì, sicuro. « Non c'è tempo di tirar giù le scale, quindi saltate sul passatoio o trovate un modo per sbarazzarvi di loro. »
Nel mentre, un vociare indistinto subentrò dall'interno delle scalinate. Due gruppi di soldati si sarebbero presto palesati sul cortile interno, chiudendoli a tenaglia.
« Un altro gruppo, insieme a me, si dividerà tra destra e sinistra » aggiunse Smith, indicando ai lati. « Ci chiuderanno; se li teniamo nelle scalinate, potremo affrontarli uno per volta. »
« Alla fine della festa, ci divideremo » disse infine, fissando la mappa. « Salone di rappresentanza, dispensa, dormitori o mensa » disse ancora, serio, « l'ambasciatore non può che essere in uno di questi posti. »
Poi li fissò, uno a uno. « Il primo che lo trova, mi avverte » concluse.

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Bazar di Mahyas
Il terzo giocatore


Era bastato poco, molto poco.
L'arrivo di Medeo era stato anticipato da una serie di discorsi piuttosto lunghi sull'indifferenza, sul bisogno di apparire inosservati e sulla necessità di non portare armi per non destar sospetti.
« Vedrete » aveva detto, più a se stesso che agli altri « non ci sarà bisogno di combattere. »
« Andrà tutto liscio. »

E ci ripensava, mentre il Comandante lo fissava da sotto l'elmo, con aria sospetta.
Aveva allargato le spalle, quasi per irrigidire la sua figura dinanzi a quello che riteneva un potenziale sospetto. Nel mentre, gli altri soldati lo fissavano con aria spavalda, attendendo che il loro superiore trovasse una scusa qualunque per trascinarli tutti in qualche prigione lontana.
Lontana dalla città, dal Re e dal casino. Magari più rivolta verso sud, dove gli uomini di Caino avrebbero potuto trovarlo.
Forse. O forse no. Forse quel complotto se lo stava immaginando; forse quei rompipalle vestiti da cerimonia erano li per fare il loro dovere. E tra una mazzetta e l'altra avevano disgraziatamente deciso che il loro premio per impiegato dell'anno avrebbero dovuto conquistarselo proprio quel giorno. Proprio col boss Vid Quarion a un centimetro dal loro naso.
E proprio nel bel mezzo di una guerra civile.

Si certo. Pensò Medeo, trattenendo una risata.
E io sono verginello.

« Che ridi, idiota? » Sbottò il comandante, sbattendogli in faccia la sua arroganza, i suoi gradi e un fiotto di saliva umidiccia. « Ti faccio tanto ridere? »
« Vogliamo scoprire quanto ti fanno ridere le prigioni del Re? » Ribatté poi, suscitando l'ilarità generale degli altri soldati che lo circondavano.
Medeo lo fissò, mandando giù un grumo di saliva pesante come il marmo. Poi inarcò la lingua, di modo da camuffare la sua voce; gli occhi li piegò verso il basso, sforzandosi di assumere uno sguardo pietoso e vinto. Infine, si tenne il pisello tra le cosce, immaginando come premersi le palle lo avrebbe aiutato a sembrare più idiota di quanto già non lo fosse.
« No signore, io sono solo un umile mercante dell'Alcrisia » disse, piegando le labbra come il culo di una gallina. « Non farei mai del male a---- »
Si arrestò, udendo la sua stessa voce rimbombare nelle orecchie. E provò schifo. Schifo e vergogna.
« No, raga » sbottò poi, rivolto ai suoi compagni. « Davvero, non ce la faccio. »
E tutti risero.

« Ma, cos--? »
Il capitano non fece in tempo a capire cosa stesse accadendo. Medeo pose entrambe le mani dietro la sua nuca e spinse il volto del soldato contro il suo ginocchio.
Nella sala si udì un poderoso crack, per poi seguire le urla del soldato, che si teneva entrambe le mani sul volto, col naso riverso in un lago di sangue.
Subito dopo, si scatenò l'inferno. Tutti i soldati sfoderarono le armi e i tre compagni di Medeo si avventarono su ciascuno di loro, cercando di rubargli le armi.
Medeo fu assaltato da altri due soldati. Uno di loro tentò di affettarlo con un fendente orizzontale, all'altezza del collo, mentre l'altro gli fece seguito con un affondo al braccio destro. Medeo piegò il busto all'indietro, lasciando che il fendente orizzontale gli passasse oltre, dinanzi al viso. Poi piroettò sulla sua sinistra, facendo scivolare l'affondo accanto a se e portandosi immediatamente dietro al secondo soldato.
Infine, afferrò entrambe le braccia del soldato e virò la sua spada in direzione del compagno che aveva tentato di decapitarlo poco prima, pugnalandolo alle spalle.
« Pugnalare alle spalle i tuoi compagni » commentò, ironico. « Ma che gente siete?! »
Infine, piroettò sul posto, abbassandosi, di modo da sgambettare il soldato dinanzi a lui. Infine, caricò di potenza la mano destra e la affondò sul volto del nemico, facendo sprofondare la testa nella pietra del pavimento.
Eppure, nella foga del momento non si accorse che il capitano si era ridestato, a fatica, dal dolore. Con una mano si teneva ancora il naso distrutto, mentre con l'altra impugnò la propria lama. Mentre Medeo era ancora curvo sul soldato che aveva appena ucciso, il capitano lo affondò all'altezza del fianco sinistro. Medeo scorse il colpo con la coda dell'occhio e fece un passo indietro all'ultimo secondo; nonostante ciò, il fendente gli disegnò un lungo taglio orizzontale sull'addome, squarciandogli anche i vestiti e rivelando la sua grossa ferita sanguinante.
Per il dolore, Medeo ebbe un momento di vertigini, che il capitano non tardò a cogliere. Infatti, si avventò su di lui, caricandolo arma in pugno.
Il capitano urlò tutta la propria rabbia, col volto sporco del suo stesso sangue; Medeo vite la punta della lama raggiungerlo allo stomaco e non riuscì a difendersi.

Ma il capitano si arrestò.
Mentre la lama era a un centimetro da Medeo, sbarrò gli occhi. E, inerme, ricadde su di un fianco.
Dietro la sua testa, una lama ricurva gli aveva penetrato il cranio; oltre di lui, l'elfa teneva la mano aperta davanti a se, visibilmente soddisfatta del risultato.
« Molte grazie, ma chère » ringraziò Medeo, ripresosi, « il mio culo ti deve la vita. »
L'elfa scosse il capo, smuovendo la lunga chioma bianca. « Non cantare vittoria, ne arriveranno altri » disse, perplessa « sarebbe stato più furbo farsi arrestare. »
« Mi spiace, mia cara » rispose Medeo, a tono, « non sono uno che si lascia sottomettere facilmente. »
Nel mentre, il grosso volto rosso di Vid divenne ancor più paonazzo. « C-CHE COSA DIAVOLO FAI » prese a urlare, superata la paura, « BRUTTA IDIOTA DI UN'ELFA, MI HAI CAUSATO UN MUCCHIO DI GUAI. »
« Smettila ciccione » sbottò la donna, di risposta, « ormai non mi servi più. »
E li assesto un destro all'altezza del mento, che lo fece svenire.
Medeo le si avvicinò, visibilmente impressionato. « Dunque sei tu la mia donna? » Chiese, sottolineando il doppiosenso sollevando le sopracciglia.
« Sono Eloise » ribatté la donna, di risposta. « Mi hanno chiesto di condurti dal Re; ma mi sembra evidente che il piano principale sia saltato. »
« Piano secondario, quindi? » Chiese l'altro, fingendo di parlare sottovoce. « Sai, adoro i piani secondari. »
Seguimi, disse a mezza bocca. Lo prese per mano e scattò in direzione dei magazzini.

I due fuggirono su di un passatoio che sovrastava i magazzini dall'alto.
Sotto di loro, altri due gruppi di guardie raggiunsero il luogo del combattimento e, subito dopo, si sparpagliarono in giro per tutto il quartiere, in cerca dei fuggitivi.
« Dobbiamo raggiungere il fiume » chiosò Eloise, conducendo Medeo nei pressi di una piccola finestra. Dall'alto si vedeva l'intera zona, col Bazar, le Scuderie i templi e i grossi palazzi. Dall'altro lato, invece, si poteva ammirare il corso del Lagùno, il fiume fatto deviare verso Ladeca per irrigare i campi. « Il Lagùno arriva nei pressi dell'Edraleo, dove è stato approntato un piccolo molo » disse, indicandolo a Medeo, « se raggiungiamo la sponda ovest, c'è una piccola barca che ci attende. »
L'uomo fissò, con aria interessata. « Bene, gambe in spalla dunque » disse, dandole una vigorosa pacca sul sedere, « chi parla troppo, scopa poco. »
« Fermati, non è così facile » ribatté lei, trattenendolo per un braccio. « Le guardie ci stanno cercando. »
« Dobbiamo evitare le strade » aggiunse, con aria seriosa.
Attese qualche istante, riflettendo sul da farsi. Poi riprese, secca « Abbiamo tre vie di fuga. »
« Il magazzino è collegato con tre posti, in cui potremmo nasconderci per qualche ora e raggiungere i moli appena le acque si saranno calmate. »
Medeo sorrise, di rimando. « Sono tutt'orecchi, madamigella. »
« Il Tempio di Yffrie » asserì lei, indicando una grossa cupola in lontananza, « è il più lontano dal fiume e il più difficile in cui entrare, ma una volta li le guardie non potranno raggiungerci in nessun modo. »
Medeo storse la bocca, piuttosto perplesso. « Una chiesa? » Sbottò, perplesso. « Sicuro che non prenderò fuoco non appena messo piede li dentro? »
« Malsana, quartiere dei bordelli » proseguì la donna, senza ascoltarlo. « Media distanza e media difficoltà nell'ingresso, in quanto c'è solo il pericolo che qualche spia di venda ai soldati; eppure, i torti cunicoli dovrebbero tenerci al riparo dai problemi, almeno per un po. »
Medeo scosse il capo, ancora non convinto. « Nah, qualche tua collega potrebbe riconoscerti » rispose e rise, praticamente da solo.
« Il Bazar » terminò, indicando i locali proprio sotto di loro. « Il più vicino al fiume e il più semplice in cui entrare, ma potremmo essere scoperti abbastanza facilmente. »
Medeo rimase dubbioso, grattandosi il mento con la mano destra. « Non so, non mi convince. »
« Non hai altra scelta, simpaticone » ribatté lei, spazientita.
« Scegli » aggiunse, seria, « e scegli in fretta. »



CITAZIONE
QM Point
Innanzi tutto scusate il ritardo. È davvero un periodo molto difficile per me, tra lavoro e altri problemi. Non escludo che ci siano ritardi anche nei prossimi turni, ma farò di tutto per contenerli. Sfruttate questi tempi per ragionare attentamente sul da farsi. Ho notato che nei turni precedenti qualcuno si è trattenuto più del dovuto, sfruttando uno slot in meno o contenendo le proprie azioni. Vi faccio presente che la selezione del finalista non durerà troppi turni, quindi dateci dentro.

Il primo giocatore. Dunque. Le vostre azioni coprono grosso modo le tracce; eppure, qualcuno ha agito con leggerezza, evitando di coprire i propri rumori o non giustificando come le guardie possano aver ignorato la vostra presenza. Questa circostanza l'ho illustrata come un'azione maldestra di Ilyr, che tossisce nei pressi di una guardia. Questa cosa, dunque, ha insospettito le guardie - benché non le abbia allarmate - con la conseguenza che si stanno dirigendo verso di voi. Uno di voi, che sceglierete, è stato scelto da Sergey per cercare la chiave della botola. Quindi, uno di voi si dovrà sacrificare e potrà utilizzare tecniche apposite al fine della ricerca, ma senza poter fare altro. Gli altri, invece, dovranno collaborare ed elaborare una strategia al fine di distrarre o bloccare le guardie. Il fatto che riusciate o meno in queste azioni, avrà ripercussioni sulla quest. Ultima circostanza: il rumore assordante della ferriera copre quasi totalmente le vostre voci e i rumori. Quindi per organizzarvi in quest dovrete tener conto di questo particolare; allo stesso modo, potrete sfruttare questa circostanza come preferite. Ma occhio alla sportività.

Il secondo giocatore Entrate con successo nel palazzo, ma non senza problemi. Il vostro assalto doveva essere più "incisivo" e molti si sono limitati quasi esclusivamente a difendersi; per questo, ciascuno di voi subisce autoconclusivamente un danno Basso al fisico. Una volta nel chiosco, Mark Smith vi da istruzioni. Dovrete occuparvi di varie cose e ciascuno di voi potrà farne soltanto una (ma una cosa può essere fatta da più persone, come indicato).
Il portone. Il pesante portone va chiuso e bloccato, per evitare che arrivino da li altri soldati nemici. Dovete spendere un totale di risorse almeno medio per chiudere il portone per un turno; alto per chiuderlo per più tempo. Minimo 1 pg, massimo 2.
Il passatoio. Sul passatoio ci sono gli arcieri. Il passatoio circonda tutto il cortile interno e si erge a un'altezza cui non potete arrivare con un salto normale. Chi di voi si occuperà di questo dovrà raggiungere il passatoio e uccidere gli arcieri (autoconclusivamente, gli arcieri non hanno armi da mischia). Per sbarazzarvi di loro dovrà essere speso un totale di risorse almeno critico (medio per ogni lato). Minimo 2 pg.
Le due scalinate. Le scalinate sono a chiocciola, incassate in due ambienti stretti ai lati destro e sinistro del cortile. Da li stanno scendendo due gruppi di soldati. Dovrete affrontarli, spendendo almeno un alto per gruppo. Minimo 2 pg.

Naturalmente, le risorse indicate specificano il "quantum" richiesto per una risposta efficace al problema. Sta a voi decidere in che forma spenderlo e la strategia da adottare. Questa determinerà l'efficacia della vostra azione e influenzerà il vostro voto nel post. Inoltre, alla fine del post dovrete decidere (anche specificandolo nei commenti, se non volete argomentarlo narrativamente) il luogo in cui si dirigerà il vostro pg per cercare l'ambasciatore, a scelta tra quelli proposti da Smith. Dovrete cercare in più posti possibili, ma siate coscienti che ciascuno di voi affronterà "qualcosa" in ciascun posto scelto, quindi andare in gruppo è anche un'ottima idea.

Il terzo giocatore. Avete voluto il sangue e il sangue è stato. Ovviamente la copertura di Medeo è saltata tipo al primo turno e ha speso un quantitativo di risorse pari al 40% (un danno basso al fisico e una tecnica bassa), per un totale residuo del 260% su 300%. Ora vediamo se riuscirete a fare meglio col prossimo turno! Qui bisognerà scegliere che strada Medeo prenderà per raggiungere il Laguno, il fiume di Ladeca. Tre posti in cui può nascondersi e trovare un modo di raggiungere il fiume, distanti in maniera diversa dal fiume stesso ma più o meno al riparo dalle guardie. In particolare:
Numero uno. Medeo ed Eloise si rifugiano nel Tempio di Yffrie (Molto lontano dal fiume, ma molto al riparo dalle guardie).
Numero due. Medeo ed Eloise si rifugiano nel quartiere Malsana (Media lontananza dal fiume, medio riparo dalle guardie).
Numero tre. Medeo ed Eloise si rifugiano nel Bazar (Poco lontano dal fiume, ma molto poco al riparo dalle guardie).

Chi si unisce in questo turno. Chiunque può unirsi alla quest, specificando la sua presenza in uno dei due scenari (primo o secondo giocatore). In questo caso, limitatevi a seguire le prescrizioni indicate per questo post, ma sappiate che l'assenza dei post precedenti influenzerà il voto finale (quindi, dovrete sforzarvi di fare post migliori degli altri per compensare). Come lettori, invece, chiunque può votare in ogni momento.

Tempi. Dieci giorni circa. La votazione chiuderà sabato prossimo, però. Domande o dubbi, dove sapete.
 
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view post Posted on 21/1/2016, 08:04
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Castello di Carte ~ Apocalisse.
« Chi, se non un mostro, deve lottare per fermare un altro mostro? »

Quella situazione non accennava a migliorare. Sì, ero riuscita a mettere fuori combattimento il bruto che mi voleva uccidere, ma le cose andavano di male in peggio e gran parte di noi era morta nel primo assalto. Barcollai, cercando di evitare l'ennesima salva di frecce, sino a ritrovarmi a pochi passi da Mark Smith che, in quel mentre esortava, con la spada in pugno, tutti i suoi uomini - me compresa - a caricare il portone. Mi resi conto che, qualora fossero riusciti a chiuderci fuori, nulla avrebbe potuto evitare che ci massacrassero come animali. Seppure a vederlo al di fuori di quel contesto non sembrasse proprio un uomo degno di chissà quale merito lì, nel centro della battaglia, la sua disciplina ed il suo valore erano di esempio per tutti quanti. Persino io, da quasi incapace, mi sentii spinta a combattere con maggiore ferocia e coraggio di quanto non avessi mai fatto. In quei pochi secondi decine di fendenti, colpi di ogni genere e tipo, bastonate e dardi ruppero le fila dei ribelli, aprendoci un corridoio momentaneo per entrare nel palazzo.
Con non poca fatica, date anche le sue ferite non trascurabili, il comandante riuscì a farci guadagnare l'ingresso, barricandoci all'interno.

Avevo il fiatone, il farsetto pieno di tagli e bruciature ed un labbro spaccato a metà, ma ero viva. Mark Smith sbaragliò, quasi da solo, le forze che rimanevano dietro all'ingresso, portandoci al sicuro dentro un piccolo capanno al centro del cortile interno del palazzo. Era tutto trascurato, dalle piante agli interni, ma se non altro gli arcieri non ci avrebbero potuto crivellare di dardi sin quando non fossimo usciti. Rimasti in pochi e quasi tutti malconci, la situazione non sembrava volgere affatto a nostro favore, anzi, qualcuno meno virtuoso di Smith si sarebbe semplicemente ritirato a quel punto, piuttosto che rischiare uno scontro in pesante inferiorità numerica e senza vie di uscita... ma lui, oramai l'avevo capito, non era quel tipo di uomo che si faceva indietro rispetto al dovere. L'unica cosa che ero riuscita a recuperare, prima della carica, era il mio cappello, ora ben calcato sulla testa. Non volevo sbandierare eccessivamente quella mia particolarità, non in quel momento.
Sbirciai fuori dal capanno, osservando il passatoio da dove gli arcieri ci tenevano sotto scacco, rimuginando su come sarebbe stato possibile farli fuori senza rischiare. Nel mentre il nostro condottiero si era messo a darci indicazioni più specifiche su cosa fare: bloccare la porta, sistemare gli arcieri e fermare il contrattacco dei ribelli. Abbassai per un attimo lo sguardo, pensierosa. Non era facile fare tutto quanto, soprattutto in quel numero estremamente esiguo, ma dovevamo fare del nostro meglio dato che nemmeno da morti - nel mio caso soprattutto - Smith ci avrebbe permesso di ignorare i suoi ordini. Era la prima volta, da quando ero tornata, che qualcuno mi ordinava di fare qualcosa e, senza pensarci troppo, annuii ad ogni sua parola. Come un riflesso condizionato afferrai la spada, guardando nuovamente il ballatoio di legno che proteggeva i tiratori.

« Mi occuperò del passatoio, ho i miei mezzi per raggiungerlo. Qualcuno è con me? »
A rompere il silenzio dei miei pensieri fu la voce, lievemente ovattata, di uno dei miei compagni. Indossava una maschera particolarmente strana, simile a quella di certi dottori che avevo visto durante le epidemie nei villaggi, ma sembrava sapere bene il fatto suo. Da solo avrebbe faticato eccessivamente a liberarsi di tutti gli uomini quindi, immediatamente, risposi.
« Sono con voi. » con la mano libera dalla spada mi calcai meglio il cappello in testa. « Togliamoli di mezzo. »
Non sapevo quale fosse il motivo, se il suo aspetto inusuale o il suo modo di combattere, ma andare con lui in una certa maniera mi rendeva più sicura. Guardai i miei compagni un'ultima volta, soffermandomi un istante in più su Mark, per poi uscire rapidamente dal capanno raggiungendo i pali di sostegno del passatoio.


Mentre correvo quei pochi metri che mi separavano dai sostegni un paio di dardi mi sfiorarono le gambe, arrivando tanto vicini da riuscire a sentirli oltre la stoffa. Non avevo mai vissuto qualcosa del genere e, nonostante le emozioni che mi attraversavano come un fiume in piena, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era la mia missione, il mio obiettivo, con la stessa tenacia e determinazione che avevo visto nei gesti e nelle parole del nostro comandante. Quella sensazione, quel momento, era l'essenza stessa del soldato, il bisogno di agire, reagire talvolta, prima che la mente possa perdersi, impaurirsi, giustificarsi. Spiccai un piccolo salto non appena uno dei pilastri fu alla mia portata, iniziando a scalarlo come niente fosse, sino ad arrivare sotto al pavimento del passatoio. Gli stivali degli arcieri battevano sulle assi in maniera scoordinata, cercando di raggiungere la mia posizione prima che riuscissi a sporgermi e salire. Se lo avessi fatto, probabilmente, mi avrebbero rifilato un sonoro pugno facendomi cadere sin al suolo, ma per mia fortuna potevo fare qualcosa che nessuno di loro, mai, si sarebbe aspettato.
Chiusi gli occhi per un momento, riaprendoli poco dopo completamente bianchi, e in quell'attimo mi spinsi verso l'alto trapassando senza sforzo il pavimento alle spalle di due arcieri, affacciati verso il basso, che cercavano di capire dove fossi finita. Immediatamente ne afferrai uno per la giubba, alle spalle, spingendolo verso un volo alla fine del quale, impattando con la testa sul terreno, trovò la morte. Il secondo, invece, cercò di reagire afferrandomi per il bavero, ma le sue dita si chiusero nell'aria, penetrando di qualche centimetro nel mio corpo. Sgranò gli occhi, terrorizzato, ma anziché darsi per vinto cercò di colpirmi con l'arco alla testa e, se fossi stata un poco più lenta, ci sarebbe anche riuscito, ma per sua sfortuna reagii prontamente trapassandolo da parte a con la mia spada. Cadde al suolo gorgogliando nel suo stesso sangue. A quel punto una parte del ballatoio era stata messa in sicurezza, ma alcuni soldati si erano radunati dopo avermi vista e stavano caricando una salva nella mia direzione. Mi buttai al suolo pochi istanti prima che un paio di frecce si conficcassero nel parapetto del ballatoio.

Mi sporsi mentre incoccavano nuovamente le frecce, scagliando una fiammata in direzione del primo che i miei occhi videro, e mentre la sua corazza imbottita andava, letteralmente, a fuoco iniziai a correre all'impazzata verso di loro. Per raggiungerli avrei dovuto arrivare alla fine di quel lato del ballatoio e svoltare l'angolo, ma avevo paura di non essere abbastanza rapida da colmare la distanza prima che mi raggiungesse una nuova salva... e allora decisi di fare quella che, a conti fatti, era una grande sciocchezza. Invece di raggiungere l'angolo e svoltare decisi di saltarlo, trapassando il parapetto senza rallentare la mia corsa, finendo letteralmente addosso a quegli uomini. Erano in quattro di cui uno, oramai avvolto dalle fiamme, cercava disperatamente di togliersi il farsetto che, a quel punto, lo aveva ustionato in tal maniera da costringerlo a emettere un singolo e continuato urlo di dolore, ignorato dai suoi compagni la cui attenzione, giustamente, era rivolta a me. Con un calcio raggiunsi il grugno di uno di loro, stordendolo, mentre il secondo ricevette un colpo di taglio all'altezza del viso, ritrovandosi il volto squarciato e il naso quasi amputato. Afferrai di prepotenza quello a cui avevo rifilato il calcio scagliandolo contro il disgraziato in fiamme ed entrambi, complice anche la violenza del mio gesto, finirono per rompere il parapetto e volare giù schiantandosi al suolo.

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Forse sembrerà strano, per certi versi anche immorale, ma non provavo niente per quegli uomini, non in quel momento almeno. Erano una minaccia per me, una minaccia per gli altri e, come se non fosse già abbastanza, stavano vendendo il regno ad un tiranno. Magari, se le cose fossero state diverse, avrei provato compassione per la loro morte o, quantomeno, avrei sentito dentro di me quella voce sottile e lontana che mi invitava a fermarmi, a riflettere prima di menare l'ennesimo fendente, ma non era così. Mi resi conto, mio malgrado, che la morte si era portata via qualcosa di importante dalla mia anima e che, se non avessi fatto attenzione, nulla mia avrebbe fermato, un giorno, dal diventare un mostro peggiore di quello che stavo combattendo.

L'ultimo soldato, colto dal panico, tentò la fuga verso le scale ma io raccolsi l'arco di uno dei caduti, incoccai la freccia e, praticamente impossibilitata a fallire un colpo a distanza tanto ravvicinata, lo centrai nella schiena a meno di un metro dal primo gradino, facendolo rotolare di sotto in preda al dolore. L'istinto mi suggerì di finirlo, ma mi opposi a quel desiderio. Non c'era bisogno di infierire: mortalmente ferito e probabilmente gravemente contuso dalla caduta non sarebbe riuscito nemmeno più a muoversi, figuriamoci a combattere. L'odore ferroso e pungente del sangue che mi aveva sporcato una guancia mi raggiunse mentre cercavo, con lo sguardo, il mio compagno. Non temevo per la sua vita, anzi, ero piuttosto sicura che fosse riuscito a cavarsela molto meglio di me e, di fatti, qualche istante dopo ci riunimmo. Avevamo completato la nostra missione ed il ballatoio era sicuro, ma di sotto la battaglia era appena cominciata.

Per la mia sicurezza, data la fatica che avevo fatto nell'affrontare un singolo uomo armato, decisi che la cosa migliore che potevo fare era seguirlo alla dispensa. Andando in due, inoltre, scongiuravamo il pericolo di venire circondati o, comunque, di essere isolati dal resto dei nostri compagni. Non potevamo continuare a chiamarci con appellativi come "hey" o "tu", non dovendo rischiare la pelle fianco a fianco, e fu lui a presentarsi per primo, dicendo di chiamarsi Jorge Louis Joyce. Era strano, molto formale con me nonostante la situazione, tanto che faticavo un minimo a tenere quel linguaggio in mezzo alla battaglia, ma cercai di sforzarmi per non infastidirlo.

« Irene Allegra Malavolti. Ma Allegra andrà benissimo. » poi feci per seguirlo. « Fate strada.»
« Mi permetta una domanda personale Allegra. » Si guardò intorno, cercando la strada per la dispensa o, forse, sforzandosi di ricordare la mappa di Smith. « Cosa è lei, esattamente? Quanto è pericolosa? » Mi dedicò un paio di sguardi indagatori, tanto da mettermi molto a disagio in un primo momento. « Lei mi ricorda una mia conoscenza. »
Non avevo la più pallida idea di come rispondere ad una domanda del genere. Avevo cercato mille volte di rispondere io stessa a quell'interrogativo, ma riuscire a farlo in quella specifica situazione mi era oltremodo impossibile. Non volevo mancare di rispetto dando una risposta falsa o dicendogli di farsi gli affari suoi, ma il profondo disagio di quella discussione mi spinse a cercare una via di mezzo, forse azzardata.
Sorrisi, dissimulando al meglio quel mio malessere interiore, buttando il discorso su toni meno seri.
« Una violinista amatoriale. »
Poi, per non sembrare davvero così indisponente, mi affrettai ad aggiungere le risposte più sincere ed immediate che mi venivano alle labbra. Se avessi potuto ancora arrossire, in qualche modo, probabilmente sarei diventata paonazza.
« Nell'ordine: non ne sono sicura, molto poco e mi dispiace per chiunque sia la persona che il mio aspetto possa ricordare. Non è piacevole. »
Infine provai a stemperare la situazione, per fargli capire che non ero una minaccia, anzi, lo avevo seguito esattamente perché non mi sentivo in grado di reggere di nuovo uno scontro testa a testa con qualche guardia ben armata.
« Visto che dobbiamo rischiare la pelle assieme, propongo di darci del tu. »
Jorge non parve apprezzare quelle risposte. Forse era una persona sospettosa per natura, forse non gradiva la mia presenza, non avrei saputo dirlo.
« Ed è normale per un musicista arrampicarsi su pareti e uccidere persone? »
Disse, acido e piuttosto scontroso nei miei confronti, aggiungendo che avrei dovuto restare a distanza visto che non volevo dirgli la verità. Quella cosa, nel dettaglio, mi colpì molto perché non credevo di avergli fatto un torto o di averlo in qualche modo messo in imbarazzo. Certo, non che il mio umorismo fosse rifiorito dopo cinque anni di morte, ma non pensavo di essere così in basso nella scala sociale da riuscire a farmi disprezzare con quelle poche parole.
« Non gradisco le persone che hanno comportamenti foschi. »
Non riuscivo a capire se mi stesse prendendo in giro o fosse davvero offeso dal mio comportamento. Sospirai, abbozzando una specie di sorriso divertito ma che, in realtà, non era altro che un riflesso condizionato con cui cercavo di nascondere il mio imbarazzo. Una sottospecie di sorrisetto isterico, potevo definirlo.

Questa volta provai a rispondere seriamente.
« Se sei una ragazza sola nel Dortan devi imparare ad uccidere anche facendo la balia ai neonati. » poi provai a muovermi, nel tentativo disperato di uscire da quell'argomento.
« Mantenere le distanze, messaggio ricevuto. »
La sua risposta, sprezzante, fu un ruvido "non faccia la spiritosa" a cui rimasi, letteralmente, basita.
« Ma... » non provai nemmeno a continuare il discorso, chiudendomi nel silenzio.

Non ero ancora pronta, forse, per integrarmi nel mondo degli uomini senza destare sospetti e disprezzo per il mio aspetto. Mi calcai meglio il cappello sulla testa sperando che nessun'altro, quel giorno, si facesse domande sui miei occhi, sulla mia pelle o su qualsiasi altra cosa mi riguardasse. Avevamo ancora un regno da salvare, i miei stupidi problemi di integrazione sociale potevano tranquillamente scomparire dalla faccia della terra sin alla fine di quel giorno.

Mi rendevo conto, ogni momento sempre di più, che tutte le mie paure, i dubbi sulla mia esistenza, le incertezze e - come in quel caso - la sfiducia, facevano solamente da corollario ai veri problemi che affliggevano il mondo. Se mi fossi impegnata per fare qualcosa, non necessariamente qualcosa di buono o di cattivo, ma semplicemente qualcosa perché le cose cambiassero, allora avrei potuto dimostrare a me stessa che non era l'assenza di sensibilità per la morte altrui, la paura e il disprezzo che incutevo come persona o i miei poteri a definirmi, ma le mie scelte e le mie azioni. Chiamatela redenzione, chiamatelo scopo, quel giorno seguire gli ordini di Mark Smith mi avrebbe tenuto lontana dalla pazzia.
Serrai le dita attorno all'impugnatura della spada, iniziando a camminare verso la dispensa.


B. 5% - M. 10% - A. 20% - C. 40%



Capacità Speciali: 2 Forza - 2 Forza = 0
Riserva Fisica: 40% -5% (Basso Autoconclusivo) = 35%
Riserva Energetica: 90% -5% = 85%
Riserva Mentale: 150% - 10% -5% = 135%
Stato Emotivo: Combattiva.
Equipaggiamento:

• Spada da Fanteria.
• Farsetto imbottito.

Passive Utilizzate:
Prendimi la mano, se ci riesci: Essere morti ha i suoi privilegi. Una volta, ammetto sfidando la sorte, decisi di andare a fare un piccolo viaggio dentro i boschi, dove ero conscia vivessero svariati branchi di lupi ferali. Mi trovarono, nonostante le mie rinnovate abilità, e per qualche istante credetti di essere spacciata, di riuscire a trapassare realmente, ancora illusa che la mia situazione fosse solamente temporanea. Quelle belve mordevano, azzannavano e ringhiavano, ma ogni volta il mio corpo risultava intangibile per loro. Serravano le fauci, letteralmente, nell'aria. Alla quindicesima volta che tentavano uno di loro si sedette davanti a me, mi guardò negli occhi e poi si portò dietro tutto il branco, sparendo come erano arrivati, dal nulla.
[Passiva delle Ombre "Forma Eterea" - Limitato potere di incorporeità a discrezione dei qm, a parità di CS i colpi trapassano il corpo senza causare danni.] (Utilizzi: 5-1 = 4)

Arrampicarsi sull'aria: Correre sui muri, scalandoli rapidamente, nascondersi negli angoli del soffitto, insinuarsi in stretti pertugi sono per me parte integrante della vita. Per burla una volta sono sgusciata lungo la parete della casa di un vecchio mercante, arrivando comodamente sino alla finestra del secondo piano, per poi rannicchiarmi sopra il mobilio del suo soggiorno. Ho passato gran parte della notte a fare versi di animale di ogni genere, dagli ululati ai cinguettii, sentendolo bestemmiare e imprecare in ogni lingua. Sì, le persone fanno bene a interdire le case ai fantasmi...
[Passiva livello II del Talento Acrobata "Scalatrice" - Capacità arrampicarsi su qualsiasi superficie, anche quelle prive di appigli, senza difficoltà] (Utilizzi: 6-1 = 5)

Attive Utilizzate:
Chi vuol Vendetta...: C'era qualcosa, però, che non riuscivo a togliermi dalla testa. Mio padre, il mio patrigno, quel borioso arrogante bastardo continuava a dire a mia madre, povera donna, che la sua amata figlioletta era fuggita e che non avrebbe dovuto preoccuparsi, che stava sicuramente bene in qualche villaggio del remoto nord, sopra Lithien o chissà dove. Non aveva neppure avuto il coraggio di dirle che mi aveva ucciso accusandomi di infamia. Sì, avevo praticato qualche rito di magia nera, ma sempre e solo a scopo didattico, non meritavo certo di morire in quel modo orribile. Impiegai quasi il primo intero mese della mia non vita a escogitare un modo per entrare nel castello e uccidere il Barone Zeti. Imparai che, se mi concentravo abbastanza, potevo far slittare il mio corpo nell'aldilà diventando intangibile per qualche istante. E non solo, quando ritornavo ad avere una parvenza di corporeità il mio corpo riceveva una scarica inaspettata di forza, quasi come se il passaggio mi avesse donato un vigore oramai assente dalle mie piccole e fragili ossa.
[Pergamena del Ladro "Incorporeità Fortificata" - Consumo Medio, Risorsa Mente. Consente di superare ostacoli solidi di qualsiasi genere per due turni, diventando incorporea. Guadagna inoltre 2 CS alla Forza]

Maestoso ♪: Dentro di me c'è ancora tanto potenziale magico e la non morte non ha fatto che acuirlo. Un tempo riuscivo a controllare scarsamente le fiamme di qualche candela o le scintille del camino, ma oggi riesco a piegare e creare il fuoco dalle mie stesse mani. Non ne sento affatto il calore, non potrei anche volendo, ma chi mi sta vicino può avvertirlo e, talvolta apprezzarlo. Non ho mai incenerito qualcuno completamente, ma non esiterei a farlo se fossi costretta. Finché posso suonare il mio violino e cantare le mie canzoni nessuno dovrà bruciare vivo.
[Personale 4/25 - Consumo Variabile Medio, natura Magica, consumo suddiviso Mente/Energia e colpisce Fisico. Si tratta di una fiamma estremamente calda che si dirama dal corpo di Irene e cerca di lambire gli avversari. A consumo nullo, come effetto scenico, può essere usata per trasmettere una sensazione di calore alle persone circostanti]

Note:Bidibibibodibipost! La prima parte ho voluto farla passare velocemente, sia per non appesantire il post, sia perché Janz aveva già descritto ogni cosa in maniera molto dettagliata e non volevo tediare riscrivendola >_<. Quello che fa Irene è molto semplice: siccome il ballatoio è sorretto da questi pali di sostegno, decide di usarli: li scala grazie alla sua passiva di scalata facilitata e, una volta arrivata in cima, invece di arrampicarsi sul ballatoio decide di trapassarlo, usando una sua abilità che la rende incorporea e la fornisce CS, per cogliere di sorpresa due e dei soldati. Ne fa cadere uno di sotto e uccide l'altro. Poi lancia un incantesimo di fuoco sul secondo gruppo di arcieri e li raggiunse, sempre sfruttando la sua incorporeità per tenersi fuori dal raggio di fuoco e li uccide. L'uomo che viene "tirato giù" dall'altro è lanciato da Irene con 2 cs in forza, il che significa che lo fa letteralmente volare di sotto assieme al compagno. Il resto è concordato con Alb per rendere più realistica la nostra squadra, che si dirigerà alla dispensa.
 
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Alb†raum
view post Posted on 22/1/2016, 10:21




Mark Smith sfondò la porta con una ginocchiata prima che venisse serrata dalle guardie all'interno, e il piccolo esercitò stormì con impeto verso la struttura. Jorge scavalcò il corpo di un armigero accasciato con ancora l'arma in pugno per raggiungere gli altri. Dall'alto una freccia lo colse alla spalla destra e rimbalzò contro il meccanismo metallico; l'urto fu sufficiente a far digrignare i denti al tossicologo. Sollevò il braccio per schermarsi per riflesso, come se quello che stava cadendo loro addosso non fosse un nugolo di frecce, bensì una scrosciata di pioggia; e pioggia pareva essere, perché era una burrasca di corpi che trascinava Jorge vicino e poi lontano la porta d'entrata come un marinaio caduto dalla nave. Puntò i piedi per non lasciarsi buttare a terra, ma la corrente lo smuoveva a proprio piacere, in base all'una o l'altra parte che stesse vincendo. Le ginocchia gli bruciarono in preda allo sforzo. Un suo vicino gli venne inavvertitamente contro il braccio destro ferito. Lampo rosso. Jorge si lasciò sfuggire una bestemmia. L'aria era disgustosamente satura di metallo e sangue, pesante e calda, e quando finalmente la prima linea nemica si ruppe, Jorge sentì come se un nodo nello stomaco gli si fosse appena sciolto.
Colpì con un gomito una guardia che gli veniva in contro e la spinse a terra con un calcio. Il disgraziato si trovò sotto la carica dei soldati e scomparve dalla vista. “Una volta dentro non potrò tirarmi fuori” gli viaggiò nella testa per un istante. Se aveva intenzione di lasciare tutto, doveva farlo ora, prima di ritrovarsi invischiato in faccende inutili; ma a che pro? La città era cinta d'assedio, e non poteva permettersi di giocare a dadi sugli ordini che Caino aveva dato riguardo ai fuggitivi. Non per sua figlia, non per suo nipote. Stare a guardare, d'altronde, non gli era mai piaciuto, non era vero?
Eppure tutte quelle gli sembravano patetiche spiegazioni di un individuo che si era lasciato spingere dalla foga e che ora il destino teneva in pugno. Come era successo trent'anni prima quando aveva iniziato a vendere omicidi sottobanco, con i suoi genitori che morivano e la retta dell'Accademia da pagare; o come quando si era lasciato invischiare da quei mercanti nomadi. Lui aveva la tendenza a trovarsi nell'acqua fino al collo, e uscirne poi fuori solo con qualche morto alle spalle; e spesso più d'uno.

Varcò la soglia stando alle spalle del manipolo. Il cortile dell'ambasceria era un quadrato di verzura morente circondato da colonne. Un chiosco bianco in mezzo dava alloggio a un gruppo di soldati traditori che li attendevano. Questi avanzarono verso di loro calpestando nella corsa i rovi secchi e saltando le buche, le armi pronte di fronte a sé per l'impatto. Jorge non fece in tempo a intervenire che quella sparuta guarnigione, reclute o pusillanime rimasti dentro, venne macellata senza scampo. Davanti al portone d'ingresso del palazzo vero e proprio, su un passatoio di legno rialzato, un gruppo di arcieri teneva puntata la loro posizione aspettando che venissero a portata di tiro. Smith raccolse a sé i propri uomini e si inginocchiò a terra, cavando al contempo una mappa al di fuori della corazza. La spiegò nel terreno in modo che tutti potessero vedere, e con le perdite che avevano subito Jorge non dovette sbracciarsi.

«Uno di voi si occuperà del portone; dobbiamo bloccarlo con più forza possibile, onde evitare il ritorno nemico» indicò sulla mappa un punto, e Jorge rimase basito nel constatare che loro erano al centro della struttura, circondati sia dalle truppe che avevano sorpassato per entrare che da quelle che erano rimaste di guardia all'interno del castello. Erano chiusi in un muro di ferro, e anche con l'ambasciatore in mano dubitava che la faccenda si sarebbe risolta in poco tempo. Non gli serviva ricordare alcun addestramento militare per rendersi conto che, per quanto il comandante fosse silenzioso a riguardo, erano in una specie di trappola scavata con le loro stesse mani.
«Un gruppo, invece, si occuperà degli arcieri. Non c'è tempo di tirar giù le scale, quindi saltate sul passatoio o trovate un modo per sbarazzarvi di loro».
Le istruzioni successive furono: dividersi e cercare, e in fretta. Perché quella era diventata una caccia assurda, in cui loro erano sia bracconieri che prede della propria selvaggina; un po' come quel gioco che faceva da bambino a Shirazamar, “il ghul”: come un nascondino, ma colui che catturava, se preso alle spalle, poteva essere catturato.
«Mi occuperò del passatoio, ho i miei mezzi per raggiungerlo. Qualcuno è con me?» domandò, cercando con gli occhi qualcuno del gruppo. Una ragazzina minuta e con un gran cappello calcato sul volto come un vagabondo del deserto si fece avanti; aveva in mano una spada e nessun muscolo in grado di usarla, o almeno il tossicologo non ne vide trasparire da sotto il farsetto che indossava. “Cosa diavolo è?” borbottò qualcosa dentro Jorge, ma scosse la testa per scacciare quella paranoia. Per ora si era offerta di aiutare, e nient'altro. In quel momento, oltretutto, era lui che agli occhi di tutti appariva come un grande automa scuro, ricoperto di tubature e valvole gracchianti come uno stormo di corvi.
Si limitò ad annuire brevemente. Inspirò. Il meccanismo di respirazione alle sue spalle – una dannata diavoleria, questo lo doveva riconoscere a Rowald – turbinò con crescente veemenza. Due salti in direzione del passatoio, poi un getto di vapore lo sollevò in aria. Con la coda dell'occhio vide la ragazza arrampicarsi su una colonna fin sopra la piattaforma in pochi, sinuosi movimenti, una scimmietta ammaestrata.

Ora Jorge era sopra gli arcieri. Questi tesero gli archi e scoccarono. Un soffio. Una nube nera inghiottì la figura di Jorge, che precipitò sopra uno degli uomini spaccandogli il torace di peso. Scricchiolio come di legna che brucia, un verso soffocato. Il tossicologo puntò il braccio verso il gruppo di tiratori poco più avanti di lui, azionò il meccanismo e sparò un pugnale. Il metallo esplose digrignando e le schegge disegnarono fori rossi sui tre corpi. Si accasciarono a terra, e Jorge li diede per morti.
Avrebbe voluto dire qualcosa di divertente, sagace. Sputare una minaccia o una sentenza. La verità è che non aveva nulla da comunicare, non disprezzo, non felicità, ma nemmeno apatia o pietà. Le macchie sanguinolente gli ricordavano i topi uccisi dal veleno emorragico che suo padre gli faceva sezionare, e quelli per lui non erano nient'altro che questo, animali infestanti: forse rubare grano non era un crimine che meritasse la morte, ma lui era solo incaricato di svolgere la sentenza, non di dare un giudizio.
E a chi gliene poteva importare del parere di un vecchio agonizzante?

Una freccia gli sibilò accanto all'orecchio. Jorge si volse verso gli arcieri rimasti. Uno gli venne in contro caricandolo a testa bassa. Il tossicologo strinse i pugni. Uno stantuffo sospirò mentre la maschera gli veniva riempita di vapori con l'odore intenso di menta, erba tagliata, caffé. Afferrò per il cranio l'uomo e lo schiacciò contro la parete. Cocci che si rompono. Gettò il corpo giù dall'impalcatura senza guardarlo. L'estasi dei veleni che gli si agitavano in corpo gli fece girare la testa.
“Io... sto davvero morendo?”. Sfoderò i pugnali e li piantò nello stomaco del soldato successivo. Le rune che aveva impresso esplosero, e pezzi di carne e detriti finirono sul volto di un altro compare, che cadde accecato dalla piattaforma.
Quella non era la forza di un vecchio, la velocità di un malato di woromhabes. Nell'afferrare il collo dell'arciere successivo non arrivò a chiedersi se fosse il caso di ascoltare qualche richiesta di resa. Non si fece impressionare dal sangue che gli sporcò i guanti nello stringere la trachea al poveretto e, una volta sentite le vertebre spezzarsi, dall'idea di avere un cadavere fra le mani. Lui era superiore alle paranoie, superiore anche alle minaccie reali, lui era
«Tu sei un mostro, Jorge» mormorò Rowald alle sue spalle. Il tossicologo si voltò sfoderando le lame, e solo l'istante successivo si rese conto che il suo amico si trovava ancora a Shirazamar, e che, se anche fosse venuto sino lì, non sarebbe stato carino coronare la loro amicizia con uno sventramento.
“Attacco isterico”. Jorge stava ansimando rumorosamente, e tutto il macchinario con lui. Aveva la palandrana e le lame sporche di sangue; non gocciolanti ma arrossate. Tirò fuori un fazzoletto e le pulì come faceva con gli attrezzi da chirurgia, con movimenti meccanici, eppure tremanti. Si portò una mano alla testa e la trovò spoglia: del cappello a cilindro, nessuna traccia. “Le droghe... le sostanze sì... sono psicoattive, le ho fatte apposta così” ragionò, trovandosi quasi a ridere. Era stato lui a fare in modo che lo esaltassero, no? Aveva aggiunto la Fronula alla maggior parte dei composti. Lui non stava impazzendo, aveva sotto controllo tutto.
Fissò i cadaveri alle proprie spalle, sperando di provare senso di colpa, così come lo prova un folle omicida quando riemerge dal raptus.


Si riunì con la ragazza qualche minuto dopo, quando dei tremori non sentiva più che un leggero dondolio dei polsi.
«Jorge Louis Joyce» si presentò senza pensare e le fece cenno di camminare nel mentre. Si avviarono per i corridoi a passi svelti, con il rumore echeggiante delle scarpe sul marmo che confondeva quello di battaglia che proveniva dalle altre stanze del castello; o almeno così a Jorge piacque pensare. «Lei ha un nome?».
«Irene Allegra Malavolti. Ma Allegra andrà benissimo. Fate strada».
La scrutò per un istante, come se dovesse ricatturare di lei ciò che non lo aveva convinto la prima volta. Non lo aveva pugnalato alle spalle, e questo era un bene – ma quella sua corporatura sottile gli dava l'idea che nascondesse qualcosa. Qualcosa che aveva ucciso tutti gli altri arcieri sul ballatoio, per giunta.

«Mi permetta una domanda personale Allegra». Si guardò attorno per prendere tempo, e in parte perché doveva ricollegare quelle sale alla mappa che il comandante Smith aveva mostrato loro una singola volta. «Cosa è lei, esattamente? Quanto è pericolosa?». La osservò sottecchi, cercando di capire cosa vi fosse dietro quel ridicolo cappello. “Due occhi come crateri di vulcani” fu la risposta che si diede. Selhades, Lenja e Karen che ridevano di lui fu l'immagine che si creò. «Lei mi ricorda una mia conoscenza».
«Una violinista amatoriale». Jorge si portò una mano alla fronte, incredulo. Lo stava prendendo per i fondelli? Cosa diavolo credeva, che lui fosse un completo idiota?
«Nell'ordine: non ne sono sicura, molto poco e mi dispiace per chiunque sia la persona che il mio aspetto possa ricordare. Non è piacevole. Visto che dobbiamo rischiare la pelle assieme, propongo di darci del tu».
«Ed è normale per un musicista arrampicarsi su pareti e uccidere persone?». Il tossicologo si sollevò di fronte a lei. «Se vuole tenere i suoi segreti per lei, faccia pure, ma le consiglio altresì di mantenere le distanze. Non la pensi come una richiesta ostile». Si voltò indulgiando un istante con gli occhi, come se volesse cogliere le movenze di una qualche rivalsa. «Non gradisco le persone che hanno comportamenti loschi».
«Se sei una ragazza sola nel Dortan devi imparare ad uccidere anche facendo la balia ai neonati» rispose l'altra, probabilmente non rendendosi conto di quanto suonasse ridicola. Lei non aveva nemmeno il fisico per uccidere, non aveva muscoli e a malapena pareva allenata a impugnare l'arma che aveva in mano. E se usava magia, Jorge non voleva averci a che fare.
«E faccia poco la spiritosa» grugnì, avviandosi.

Energia: 60%% (-10% Blade Prowess; -5% Diffraction)
Corpo: 70% (-5% Danno basso interpretato come freccia; -5% Diffraction)
Mente: 100%
CS: 1 CS alla velocità +4CS alla forza fisica (diffraction+blade prowess) + 2CS alla velocità (passive) - usati 2 CS alla velocità + 2CS alla forza fisica (rimanenti 3CS velocità + 2CS Forza fisica)
Passive attivate:
[Passiva dell'umano: ogni volta che Jorge guadagna CS, ne guadagna 1 in più alla velocità (3/6)]
[Amuleto dell'auspex: capacità di percepire le auree passivamente (5/6)]

Attive:

Diffraction
[Personale magica media (11/25); Consumo: energetico basso, fisico basso; immunità agli attacchi fisici per un turno, +2 CS alla forza fisica]

Blade Prowess
[Personale magica media (9/25); Consumo: energetico medio; +2 CS alla forza fisica e tutti gli attacchi lanciati per due turni rilasceranno frammenti metallici ad alta velocità che causeranno danno ad area; vengono considerati come attacchi portati dall'arma e mantengono le proprietà velenose se quest'ultima lo è]



Note:
Per affrontare le guardie, Jorge fa uso di Blade Prowess e Diffraction, che lo rendono immune dagli attacchi fisici, rendono i suoi attacchi esplosivi, e gli conferiscono CS (che utilizzo subito per sfruttare al meglio il consumo speso). Si riunisce poi con Allegra e si dirige verso la dispensa, utilizzando la passiva auspex per accertarsi che non ci sia nessuno a tendere agguati.

Enjoy it :8):
 
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view post Posted on 25/1/2016, 11:33
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Time Lost Centurion (3dh Economic Crisis Edition)
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Regni del Leviatano - Ferriera di Leningrast
«Out of time»

Non importa quanto tu sia preparato, quanto i tuoi talenti siano valido, o i tuoi sensi affinati. Non importa quanto tu sia determinato nel raggiungere il tuo obbiettivo, o quanto abilmente forgiato sia il tuo equipaggiamento. Per riuscire in un'impresa, un pizzico di fortuna è sempre indispensabile. La fortuna non è malevola come molti danno a vedere, il più delle volte le cose volgono sempre per il verso giusto. Il problema nasce quando si è in tanti, maggiore il numero, maggiore le possibilità che qualcosa vada storto. Ed in fondo, si sa, a volte anche i migliori possono sbagliare. Nonostante l'assordante clangore del metallo, il cocente soffiare delle fornaci, qualcuno ha fatto un passo falso. Ma non c'è ragione di andare nel panico, il numero fa comunque la forza, l'unica cosa di cui siamo a corto adesso è il tempo. Diverse guardie in arrivo, non ci sono vie di fuga ad eccezione di una minuscola e significativa botola posta strategicamente sotto lamiere e fuliggine. L'ingresso che dovrebbe condurci sin sotto la struttura dell'Erdaleo, la grande salvezza di Ladeca a detta dei capi. Non è che non mi fidi di loro, comprendo anche perché non ci abbiano resi partecipi dell'interezza del piano, eppure... non posso non sentirmi un pochino avvilita da tutta questa segretezza. Caino è un gran figlio di puttana, che abbia persino cercato di infiltrare delle spie tra gli stessi Sussurri non è poi qualcosa di impensabile. Se così fosse, allora posso veramente fidarmi degli altri due? Devo, pur se con incertezza. Spero solo che il tempo possa darmi ragione. Una chiave nascosta? In mezzo a tutti questi rimasugli e scarti non credo proprio che ci siano grosse possibilità di trovarla, ed in fondo a me non servono certo chiavi.



« Non si preoccupi, monsieur sussurro. Non c'è bisogno di alcuna chiave. » Certo, non mi sarei mai aspettate che le mie doti da scassinatrice sarebbero tornate utili nel bel mezzo di un assedio, ma in fondo più si sa e meglio è, per tutti. Metto mano ai miei attrezzi, comodamente disposti sotto l'avambraccio del guanto. La serratura non sembra una delle più complesse, ma faccio comunque uso della mia vista acuta e della mi agilità manuale per localizzare i punti di pressione corretti. In fondo la botola era nascosta, dubito fortemente che abbiano usato un lucchetto magico per chiudere la botola. Non per questo non devo stare attenta. Scassinare non è il semplice forzare una serratura, ma il farlo senza danneggiarla in alcun modo, per evitare di attirare i sospetti di chi di quella serratura ne è proprietario. O di romperla e bloccarla, vanificando ogni sforzo. Le cose non sono mai semplici come l'apparenza da a vedere! « Ci sono quasi... »



Nel mentre non posso non pensare a cosa stia succedendo a Ladeca. Una parte di me spera per il meglio. Che le mura reggeranno l'impeto dell'assalto nemico, che la popolazione sia al sicuro nella parte più interna della città, che pur pagando un enorme prezzo in vite umane la speranza dei Regni possa sopravvivere all'avarizia del Priore. Ma la verità dei fatti è ben diversa, non eravamo preparati ad una simile eventualità. Come potevamo esserlo, del resto? Nel Dortan l'esercito più grande si trovava direttamente sotto gli ordini del Re e di Smith, la gente era felice e di certo non prona a rivolte o ribellioni di sorta. Di certo qualche nobile scontento si sarà schierato con lui, ma questo non giustifica come egli sia stato in grado di assemblare un simile esercito in così poco tempo. Li ho visti, tornando verso casa dall'Akeran, intere colonne armati di mercenari e soldati di ventura. Per smuovere un simile numero di spade non basterebbero tutti i soldi delle casse nobiliari. No, c'è sotto qualcos'altro, o per essere precisi qualcun'altro. Qualcuno che possa trarre profitto dalla vittoria del priore, qualcuno che ha un accordo ben preciso. Ma, in fondo, quando hai tu le truppe che cosa importa degli accordi? Devo sbrigarmi, più tempo passa e più probabilità ci sono di trovare l'Erdaleo distrutto e razziato.






¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯ ¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
Riassunto

CS { 0 }

Fisico {95%} ~ Mente {95%} ~ Energie {100%}




Passive:

» Amuleto dell'Auspex: (5/6)
» Passiva Razziale - Scurovisione: (5/6)
» Passiva Razziale - Sensi Migliorati: (5/6)
» Passiva Razziale - Mira precisa: (5/6)
» Passiva Acrobata - Funanbolo: (5/6)
» Passiva Acrobata - Caduta Lenta: (5/6)
» Passiva Acrobata - Scalatore: (5/6)
» Passiva Acrobata - Contorsionista: (5/6)
» Passiva Ladro - Celarsi: (5/6)
» Passiva Ladro - Velo Sonoro: (5/6)
» Passiva Ladro - Velo d'Ombra: (5/6)


Attive & Oggetti:

Poi, beh, forse sto solo sottolineando l'ovvio ma molti vampiri sono tendenzialmente ben più rapidi delle comuni razze mortali. Oh, ci sono sempre i cavalieri pronti a votarsi alla pura forza bruta, ma i più furbi sanno che la velocità è alla base di ogni scontro. Qual'è il miglior modo per difendersi? Non farsi colpire, ovvio! Il cavarsi d'impiccio è un'arte a se stante, a dirla tutta. Ho speso qualche decennio di vita nella vecchia Tanaach e li ho conosciuto un ragazzino, uno dei molti orfani mendicanti che si trovano li. Mi ha insegnato un sacco di cose interessanti. Sfilare soldi dalle borse altrui, scassinare porte e divincolarsi dalle manette della guardia cittadina. Ahhhh... quelli si che erano bei tempi.
Spendendo un prezzo equi-diviso fra Energia e Mente pari al danno in arrivo, Odette sarà in grado di evitare o bloccare qualunque offensiva di natura Fisica rivolta verso di lei, consumando l'Energia in caso di consumo Basso. A consumo Nullo la tecnica può essere usata per scassinare serrature e forzare manette che non siano protette da incantesimi o effetti specifici.

[Consumo Nullo]






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view post Posted on 25/1/2016, 17:37
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Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
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Incredibilmente in mezzo al frastuono della Ferriera quel colpo di tosse, che Ilyr aveva soffocato nel mantello, era arrivato alle orecchie delle sentinelle.
Non che un pugno di soldati potesse essere considerato un pericolo per i cinque uomini, tre dei quali membri della Mano, ma avevano con loro quella bambina e poco tempo a disposizione. Non potevano rischiare di allarmare la città, tanto meno perdere tempo a neutralizzare i soldati; Ladeca stava cercando di resistere ad un esercito spaventoso, e nessuno di loro sapeva come stavano andando le cose in quel momento. La bambina poi… nel rosso dell’acciaio fuso i suoi occhi avevano brillato di un oro intenso, e la sua carnagione chiarissima fece balenare nella mente del Demone la possibilità che appartenesse alla razza che aveva ucciso il suo amico Shimmen: si stavano portando dietro una vampira.
Non c’era da fidarsi di quelle creature, e se solo la cosa non avrebbe ulteriormente ostacolato la missione Montu le avrebbe tagliato di netto la testa in quell’istante.
L’Eterno la osservò meglio, si muoveva con delicata leggiadria e le mani si agitavano velocemente anche mentre camminava: una borseggiatrice provetta, ci avrebbe scommesso. E poi… poi qualcosa nel suo aspetto suggeriva che fosse una creatura estremamente veloce ed agile, e la cosa avvalorava la tesi del vampiro.
-Perchè i sussurri si portano ancora dietro il vecchietto Montu? Non sarebbe meglio far entrare in azione persone un pochino più giovani?-
Laurent gli si era avvicinato per sussurrargli quell’affronto. Come osava quel ragazzino illudersi di poter tenere testa ad Ilyr?! Lui che aveva creato la Voce e il Cercasussurri! Lui che aveva letteralmente sciolto le mura di pietra di Basiledra! Doveva restare calmo.
-È grazie al Pipistrello che i Sussurri possono comunicare per mezzo di quel foglio che hai anche tu. E sempre grazie a lui il nostro esercito è riuscito ad entrare a Basiledra quando Mathias Lorch era al potere. Non sottovalutare Ilyr, tirerà fuori qualche asso dalla manica e ne rimarrai sorpreso.-
Rispose freddamene il Demone.
-Ho sentito delle sue gesta, ma l'età avanza. Lui è come i veterani che abbiamo visto all'ingresso, il suo tempo di essere in prima linea è passato.-
Insisteva lo stolto.
Ma i problemi erano altri: le guardie si stavano avvicinando e Sergey, che nel frattempo aveva trovato la botola del tunnel che conduceva all’Edraleo, non aveva la più pallida idea di dove fosse la chiave che apriva il pesante lucchetto.
-Tu!- Aggiunse il Sussurro indicando la bambina -Aiutami a trovare la chiave!-
-Gli altri con me.- Disse Ilyr -Dobbiamo trovare un modo per distrarre le guardie.-
Così Laurent avrebbe avuto una prova di quale fosse il potenziale del Pipistrello.
-Non disperare, saprà cavarsela. Potrebbe anche riuscire a tirare fuori dai guai noi... giovani... con qualche suo aggeggio.-
Continuò a sussurrargli Montu.
-Speriamo, perchè sinceramente non ho idea di come aprire la botola.-
E l’unica altra candidata a farlo sembrava essere la vampira. Mai il Demone l’avrebbe persa di vista, e anche se lei non avesse avuto bisogno di aiuto sarebbe rimasto per controllare le sue mosse.
-La bimba sembra sicura di riuscire a scassinare la serratura, ma non possiamo correre il rischio che fallisca... E io non vedo l'ora di usare un nuovo trucchetto che potrebbe tornare utile. Tu piuttosto, pensi di poter distrarre le guardie?-
-Credo di si, Montu. Questo posto è pieno di oggetti pesanti che vengono trasportati tramite carrucole. credo proprio che tagliando uno di quei fili potrò creare scompiglio, sopratutto se le guardie non potranno vedere per un po’.-
Rise, poi aggiunse:
-Sai, nel mio campo mi considero il migliore.-
-Quale sarebbe il tuo campo di preciso?-
Un altro agile ladro, come la vampira, ma senza dubbio il ragazzo era umano, almeno a giudicare dal colorito.
-Il mio campo? Be ne ho diversi, diciamo che però fare casino è un talento naturale. Un'altra delle mie svariate capacità è non farmi vedere mentre li faccio.-
Tante parole che potevano riassumersi in, appunto, “ladro”.
-Due abilità che vanno necessariamente a braccetto.-
Montu forzò una risata.
-Beh, allora buona fortuna. Credo che ora bisogna sbrigarsi, Sergey sembra impaziente.-

Sparirono alla vista e Montu rimase in piedi dietro alla vampira inginocchiata sulla botola e al Sussurro che rovistava tra le lamiere in cerca della chiave.
-Ci sono quasi...-
Quasi? Il Demone sperava solo che il grimaldello della ladra non si spezzasse dentro la serratura, altrimenti infilarci la chiave sarebbe stato un problema.
Davanti agli occhi dell’Eterno passavano, eteree, decine di figure: vedeva quegli uomini, simili a fantasmi, aggirarsi per la Ferriera nello stesso punto in cui si trovavano loro. Trasportavano sacchi, carriole e legna; i movimenti erano velocizzati, Montu stava cercando una persona solamente: quella che aveva nascosto la chiave. Poi lo vide: quando gli altri fabbri erano lontani vide un uomo inginocchiato proprio lì dov’era la non-morta, aveva appena chiuso la botola. Quando si alzò il Demone vide nella sua mano la chiave della botola, l’uomo si guardava intorno per assicurarsi che fosse solo, cercava con gli occhi un luogo dove nascondere la chiave. Un sorriso si dipinse sul suo volto bluastro e trasparente e Montu capì che aveva trovato il luogo perfetto, ora doveva solo aspettare, osservare e recuperare la chiave lì dov’era. A colpo sicuro. Amava la sensazione di avere la situazione già in pugno nel caso in cui il vampiro avesse fallito.
L’uomo mosse un passo verso il nascondiglio, ancora pochi secondi.
Il Demone sorrise beffardo.



Energia: 130%
Fisico: 75%
Mente: 75%
Riserva CS: 8 [+2 Forza; +1 Velocità; +1 Intelligenza; +3 Mira; +1 Maestria nell'uso delle Armi]

Equipaggiamento:
Shokan: Riposta
Pistola: Riposta

Armature:
Pelle Coriacea [Arma Naturale]

Oggetti:
Biglia Stordente: 1
Biglia Tossica: 1
Biglia Deflagrante: 1
Corallo [+1 Forza, +1 Velocità, +2 Maestria nell’uso delle Armi]
Corallo [+2 Forza, +1 Velocità, +1 Intelligenza]
Gemma della Trasformazione
[Anello del Tuttofare - Immortalità]

Pergamene Usate:
//

Abilità Usate:
//

Passive Usate:
Immortalità. Passiva (Numero di utilizzi: ∞)
Il Demone sfonda lui stesso la barriera della non vita, divenendo un immortale e sconfiggendo la morte una volta per tutte.
La tecnica ha natura magica e conta come un'abilità passiva - si potrà dunque beneficiare dei suoi effetti in qualsiasi momento nel corso di una giocata. Il caster diviene a tutti gli effetti immortale, rimanendo in vita indipendentemente dalla quantità di danni subiti. Non potrà comunque continuare a combattere con una somma di danni mortali sul corpo, non sarà immune al dolore né agli effetti dei danni - ad esempio, con una gamba spezzata non potrà camminare. La tecnica garantisce una difesa dalle scene in cui è possibile perdere il proprio personaggio o al termine di un duello con Player Killing attivo: i personaggi possedenti questa passiva non potranno essere uccisi in nessun caso.
[Il Demone potrebbe comunque essere ucciso qualora gli si cavassero gli occhi]

Intuito: Passiva (Numero di utilizzi: 64)
Abituati da sempre a barcamenarsi tra i rischi del continente, i possessori di questo talento hanno sviluppato un intuito fuori dal comune che gli permette, con una semplice occhiata ad un interlocutore, di capire cosa sia in grado di fare, di fatto apprendendone la classe e il talento di appartenenza.

Onniscienza: Passiva (Numero di utilizzi: 32)
Le capacità investigative dell'Eterno vanno oltre le umane possibilità: il suo essere Demone gli consente di analizzare indizi che altri trascurerebbero per riuscire quasi a vedere cos'è successo in un determinato ambiente. Anche se ciò che Montu cerca di scoprire è avvenuto non recentemente e gli indizi sono quindi perduti, ogni evento lascia una potente aura che supera i limiti temporali; grazie alla lettura di questa aura il Demone riesce quasi a vedere cose anche molto lontane nel tempo.

Note: Casto subito la Passiva del Talento Intuito sulla bambina capendo Classe e Talento che, insieme alla carnagione pallida e agli occhi dorati (ancora non ho visto i canini), mi fanno pensare che sia una vampira. Mentre parlo con Laurent attivo la stessa Passiva e di nuovo apprendo Classe e Talento, questa volta escludo l'ipotesi secondo vampiro proprio per via del colorito.
Vado con Sergey e Odette a cercare la chiave, mentre la vampira cerca di scassinare la botola e Sergey cerca la chiave io attivo la Passiva Onniscienza per vedere cos'è successo in quel luogo negli ultimi tempi. Fabbri che lavorano, trasportano cose, e un tizio che chiude la botola e poi cerca un nascondiglio per la chiave. Ancora qualche secondo e saprò dov'è.
In Game: se Odette fallisce l'apertura del lucchetto vado a prendere la chiave dal nascondiglio scelto dal tizio e apro la botola.
 
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Numar55
view post Posted on 27/1/2016, 00:04




Percepii con chiarezza lo spostamento d'aria provocato dalla spada a pochi centimetri dal volto, il fluire del sangue dal taglio sulla guancia, lo schiantarsi del mio pugno sulla mascella dell'uomo che non era riuscito ad uccidermi. I miei sensi si erano espansi nell'ambiente circostante negli ultimi minuti, quasi come se fossi sotto l'effetto di una qualche droga. Una reazione comune per un Nekrari in battaglia: abituati a percepire le emozioni altrui, veniamo soverchiati dalla violenza del momento percependo dentro di noi l'adrenalina che scorre in ogni combattente. Una sensazione piacevole all'inizio, e spesso alcuni cercano lo scontro come drogati in astinenza, ma se percepita in dose massiccia ci conduce all'inevitabile declino nel nostro Io Oscuro. Una situazione che avrei preferito evitare...
Steso l'ennesimo nemico, mi guardai attorno e l'adrenalina venne un po' smorzata dalla preoccupazione. Nyssa non era più vicino a me; la scorsi poco dopo ad una decina di metri più in là con qualche alleato ed una freccia incoccata. Ma tra me e lei c'erano fin troppo uomini dell'ambasciatore, raggiungerlo era diventato infattibile. Il mondo attorno a me divenne molto meno rumoroso.

"AVANZIAMO!"

L'urlo giunse ovattato e voltandomi vidi miei compagni che cercavano una disperata sortita all'interno dell'ambasciata. Un ragionamento abbastanza giusto, considerando che se fossimo rimasti lì ancora un po', saremmo morti. Ma ciò significava lasciare Nyssa indietro e non ero sicuro di essere disposto a farlo, dopotutto ero andato fin lì per proteggerla.
Anche lei tuttavia doveva aver sentito il richiamo perché si guardo preoccupata in giro, calcolando la situazione. L'ultima volta che l'avevo vista così stava decidendo se valesse la pena attaccare un branco di lupi feroci, con annessi rischi. Quando mi intravide mi fece un rapido cenno con la testa indicandomi il palazzo, io di scatto risposi con un diniego. Lei insinstette e questa volta percepii le emozioni che quel gesto portava con sé. Anche lei voleva la mia salvezza e non avrebbe mai accettato che io rimanessi in quel fuoco incrociato di spade e frecce per ostinazione.
Questo lei voleva, ed improvviso lo volli anch'io.
Detestavo quando i sentimenti degli altri non coincidevano con i miei; la volontà di un Nekrari è debole poiché deboli sono le nostre emozioni.
Strinsi i denti mentre lentamente mossi qualche passo all'indietro. Con un sospiro poi mi misi a correre raggiungendo in fretta gli altri soldati al portone. Mark Smith era riuscito a tenerlo aperto nonostante le sue ferite, come testimoniavano i cadaveri ai suoi piedi.
Ci condusse al cortile interno del palazzo dove ci rifugiammo in un capanno al rifugio dagli arcieri sulle balaustre. Solo in quell'attimo di relativa tranquillità mi resi di quanto bruciasse il taglio al volto di poco prima. Mi passai una mano sulla guancia per valutarne la situazione: il taglio fortunatamente non era profondo ma perdeva molto sangue tant'è che nel mentre mi sporcai completamente la mano di rosso. Ma non avevo il tempo per piangermi addosso, Mark Smith aveva cominciato a stendere il piano per trovare l'ambasciatore ed uscire da lì con la testa ancora attaccata al collo. Il numero di uomini era abbastanza esiguo ma ci saremmo dovuti separare per svolgere tutte le mansioni.
Il problema principale consisteva nell'eliminare gli arcieri e per questo lavoro si offrirono una giovane ragazza con un grande cappello ed un uomo col volto nascosto da una specie di maschera antigas, i restanti avrebbero dovuto occuparsi di chiudere il portone dal quale erano entrati per evitare che i nemici tornassero all'interno e bloccare i nemici che arrivavano dalle scalinate.
Per quella volta preferii restare al di fuori del combattimento.

"Io mi occupo del portone!"

Lasciai partire i primi due verso gli arcieri per distrarli e poi mi lanciai come un razzo verso l'ingresso, ove fortunatamente le truppe nemiche non erano ancora tornate. Feci un breve preghiera alla Signora sperando che Nyssa fosse riuscita a ritirarsi, e poi mi guardai intorno cercando qualcosa con cui bloccare le pesanti porte, ma l'unica cosa attorno a me al momento erano i cadaveri.
Mi fermai un istante, pensieroso, e mi abbassai a controllare i corpi. Sì, erano decisamente morti.
Altre anime abbandonate al Vuoto purtroppo, ma perlomeno ora avevo del materiale con cui poter lavorare. Sbattei il bastone a terra per tre volte e il suono del metallo contro la fredda pietra risuonò innaturalmente attorno a me. Lentamente i corpi si alzarono, silenziosi, fino a rimettersi completamente in piedi, le armi strette senza convinzione tra le fredde mani. Come al solito, quando la carne era ancora attaccata alle ossa, non erano propriamente un bello spettacolo: uno aveva una freccia conficcata in un occhio, uno stava perdendo delle budella dal ventre squarciato, un altro stava ancora a terra perché gli mancava una gamba. Già, lì preferivo di gran lunga quando c'erano solo ossa.
Ogni loro movimento spargeva sangue per tutta la zona ma al momento l'estetica del palazzo non era il problema principale.
Fissandoli uno ad uno negli occhi vitrei indicai il portone.

"Chiudetelo e fate in modo che resti tale."

In vita avrebbero sentito solo un'incomprensibile cacofonia di sibili ma ora che erano morti i resti delle loro anime, ancora attaccati alle ossa, avrebbero compreso ed eseguito l'ordine senza fiatare. E così fu.
I cadaveri si mossero verso la porta spingendola con forza fino a richiuderla con un pesante tonfo. Con un pensiero poi li spinsi anche ad infilare le proprie armi nelle maniglie del portone, così da poter sfruttare anche la minima resistenza. Infine quelli si appoggiarono al legno continuando a spingere, come se qualcuno dall'altra parte stesse cercando di entrare. Cosa che fortunatamente al momento non era ancora accaduta.
Dopo essermi accertato che ogni cadavere stesse facendo il proprio dovere, mi allontanai a passo spedito all'interno del palazzo per eseguire la seconda parte del piano: trovare l'ambasciatore. Non avevo idea di dove cercare quindi mi limitai a vagare in quei corridoi nella speranza di trovare lo stronzo che mi aveva costretto a separarmi da Nyssa.




Axel


- Basso: 5% - Medio: 10% - Alto 20% - Critico: 40%

Fisico: 75%-5%= 70%

Mente: 75%

Energia: 130%-10%-10%= 110%


Passive:
- Può trasformarsi in una creatura mostruosa alla luce del sole (6)
- Comprendere stato d'animo di qualcuno e condividerne le emozioni (6)
- Ispirare fiducia e senso di protezione negli altri (6)
- Castare tecniche difensive istantaneamente (5)

Attive:

Il Dominio Sulla Carne
Dopo la morte l'anima, sia che venga salvata sia che finisca nel Vuoto, lascia delle tracce di sé nel corpo che un tempo abitava. Entrando in contatto con le anime noi Nekrari siamo in grado di manipolare questi residui, e di conseguenza possiamo controllare i cadaveri.
Non è una pratica che molti sembrano apprezzare, probabilmente a causa di stupide superstizioni, ma non vi è nulla di sbagliato in ciò. Tolto lo spirito i corpi sono solo ammassi di carne senza importanza, strumenti da utilizzare; alla pari di un fabbro che incudine e martello per creare armi ed armature, noi usiamo i cadaveri per creare utili costrutti atti a difenderci.
E in tutti questi secoli non abbiamo mai ricevuto lamentele dai loro proprietari.
Pergamena "Richiamo Comune": Natura Magica, Consumo Medio, 2 CS Forza - Pergamena "Richiamo Supremo": Natura Magica, Consumo Critico, 4 CS Forza\ 2 CS Velocità\ 2 CS Resistenza

Note:

Uso due evocazioni a costo medio per bloccare le porte, sfruttando inoltre le 2 Cs a testa che hanno (per un totale di 4 Cs di Forza) e le armi nella speranza di raggiungere il massimo della difesa.
Infine, anche se nel post dico di andare a caso in giro, scelgo di dirigermi verso i dormitori.
EDIT: Modifico solo per specificare che la parte in corsivo è Gergo delle Ombre.



Edited by Numar55 - 27/1/2016, 16:02
 
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