Maestro ········ - Group:
- Administrator
- Posts:
- 12,736
- Location:
- Bari
- Status:
| |
| Uno sbuffo lontano. Un sussurro disperso tra le polveri discese dal soffitto e i legni di mogano adagiati sui marmi bianchi. L'Edraleo rimaneva confinato in un limbo indecifrabile; un passaggio eterno tra la notte e l'alba, sommerso in un silenzio inverosimile nel quale i rimbombi lontani della città apparivano soltanto come un contraltare alquanto amorfo e sconnesso. La sala permaneva in una dimensione sua propria: un monologo di rancori del quale soltanto in pochi avrebbero potuto percepire l'entità. Uno di quei pochi era il Re, seduto sul suo scranno al centro del grosso salone. Se ne stava scomodo, camuffato in una grossa palandrana bianca che lo rivestiva per intero, coprendogli anche il volto. Dall'ultima sua frase si era quasi ridestato dall'inedia; il corpo si era piegato leggermente in avanti, e la stesa aveva ruotato verso destra di quarantacinque gradi, prestando l'orecchio a quel silenzio atavico. Come se volesse percepire un suono, una frase o un'emozione. Come se volesse ascoltare il silenzio.
E pregno di tanta agonia, ebbe l'impressione di udirlo distintamente il suono che cercava. Fu come un sospiro lontano, un'impercettibile ghigno della bocca che qualcuno si era fatto scappare non troppo distante. Forse nei banchi qualcuno sorrise, denigrando la sacralità di quel limbo con un disdegno profano. Subito dopo, tornò a regnare il silenzio assoluto. E il Re non tardò a credere di essersi immaginato tutto.
« C-c'è qualcuno? » Chiese, con aria spaurita. Il busto si inarcò ancora più in avanti, cedendo di qualche altro centimetro sotto il peso della sua apprensione. Poi, un altro rumore lo fece sobbalzare. Più netto e distinto del precedente, ma profondamente diverso. Il cigolio secco di una sedia che striscia sul pavimento fece da apertura a una serie di ulteriori rumori; lo sfregamento della seta sul legno, lo stridio delle panche che si allontanano e alcuni passi, con un incedere crescente che rintoccava nel suo cuore come una melodia di morte. « Non ti si può nascondere nulla, Julien » disse una voce, comparendo dal buio come un fulmine a mezzogiorno. « Ormai, sei diventato un uomo » aggiunse ancora, melenso. « Un uomo piuttosto attento. » Il buio si delineò in una sagoma ormai nota. Una veste ricamata in nero e oro scendeva lungo le gambe e le maniche, risalendo sulle spalle con un manto interamente in oro e un bavero lungo, che gli abbracciava il collo e parte del volto. Oltre di esso, poi, scendevano i lunghi capelli neri, setosi, a incorniciare un volto lineare, sottile, con portamento e toni regali. E, sopratutto, occhi grandi, con pupille color oro. « Dobbiamo ammettere che ti sei costruito un bel posticino da queste parti » aggiunse Caino, serafico. Julien smise di parlare. Il suo respiro si fece affannoso, rapido; nel mentre, elaborava strategie e pensieri su come reagire a quell'affronto così rapido. Così veloce. Così inaspettato. Aveva immaginato quel momento così tante volte, in così tanti modi diversi. Eppure, mai avrebbe pensato di affrontarlo così rapidamente.
I passi si scandirono con l'ansietà del minuto. Il tacco fermo del Priore rimbalzò con alterigia sui gradini che portano al trono. « Li senti li fuori, Julien? » Chiosò Caino. « Senti le loro urla che si spargono sulle mura, insieme al fiato e al sangue che li ha resi soldati? » « Quanto credi resisteranno? » Aggiunse ancora, con un sorriso beffardo. « Quanto credi che potranno rimandare la loro fine inevitabile? » Subito dopo, fu davanti a lui. Si ergeva in tutto il suo imperio, con gli occhi fissi dinanzi a se e un'espressione altezzosa di chi sa di aver già vinto. « Dacci quello che vogliamo, Julien » ribadì, senza vergogna, « ...e nessuno si farà più male. » Rise, di una risata beffarda.
Seguì qualche istante di silenzio. Un fremito di angoscia tremò nel corpo del Re, mentre tra i due sembrava scorrere una linea inflessibile di tensione e rimorso. « Come preferisci » tagliò corto Caino. « Vorrà dire che faremo adesso quello che avremmo dovuto fare tanto tempo fa. »
Solo in quel momento il corpo di Julien si smosse con decisione. Si fece ancora di poco più avanti, fino a ergersi sulle gambe e porsi in piedi dinanzi al suo interlocutore. Fu li che l'espressione di Caino cambiò. Il corpo del ragazzo parve raggiungere quasi la sua altezza e le sue spalle allargarsi di una dimensione che a stento ricordava tale. Gli occhi dorati del Priore si allargarono di sorpresa, cercando di scrutare all'interno del cappuccio tirato sul viso. « Julien? » Chiese, in un eco di perplessità. E subito dopo, il cappuccio si allargò di quel poco sufficiente a lasciarvi entrare la luce delle fioche lanterne a olio. In quell'attimo, il Priore ammirò i tratti del suo interlocutore. Aveva capelli lunghi e lisci, rigorosamente neri oltre che un viso fine e leggero che faceva da cornice a due occhi che più che azzurri si direbbero grigi. Dei tratti così poco comuni da quelle parti, così simili a quelli del Re che non perde mai. Propriamente eletti per il figlio del fu Re invincibile, se non fosse che sembravano incassati in un volto di un uomo sulla trentina, piuttosto che in quelli di un giovane. « ...tu?! » Chiese Caino, incredulo. Un nuovo sorriso seguì subito dopo. Ma fu quello dell'uomo sotto il cappuccio bianco. E una lama corta sbucò da sotto di una delle due tuniche, per conficcarsi con forza nell'altra.
Apocalisse II Turno
Ferriera di Lenigrast Il primo giocatore
L'ingresso della ferriera sembrava una bocca aperta direttamente dall'inferno. I bagliori delle fucine risplendevano come decine di bulbi rossi, che fissavano ogni avventore con sguardo famelico e raccapricciante. Invero, il calore sollevato generava fumi ardenti e si scioglieva sulle pareti laminate e grezze della struttura principale, che si spandeva ai lati con travi, pensili, piattaforme e livelli in maniera sparsa e tentacolare. A fissarla sembrava una grossa rete che si spandeva a cono, partendo dall'unico foro di ingresso e allargandosi all'interno, fino a scavare nelle profondità della montagna. Nonostante la guerra affliggesse la città, la maggior parte dei lavoratori batteva il ferro come fosse un giorno qualunque. Il rumore dei clangori si disseminava ovunque; a un clangore ne seguivano altri due. A due, ne seguivano quattro. E così via, in un ritmico incedere di rimbombi ferrosi, che generavano una melodia altisonante e concentrica. Nel mentre, i tre Sussurri giunsero per primi, aprendo la strada al piccolo gruppo che seguiva.
Ilyr viaggiò con decisione entro il tubo, discendendo con leggiadria sulla terra battuta. L'impatto col suolo, però, fu per poco tragicamente fatale: la fuliggine che lo investì gli risalì su per il naso, riempiendogli i polmoni e cavandogli dalla gola un colpo di tosse strozzato. Con la sua esperienza, riuscì ad attutire il rumore nel mantello. Eppure, la circostanza attirò l'interesse di una guardia particolarmente curiosa e, di conseguenza, delle altre due che la accompagnavano. Dall'interno della ferriera, Nicolaj e Sergey fissarono con orrore la scena. Squadrarono il volto rosso di Ilyr gonfiarsi per il fastidio ed espellere il fragoroso colpo di tosse nel proprio manto, generando in rintuzzo atono e ottuso. Allo stesso modo, poterono vedere lo sguardo della guardia che si voltava verso la fine del tubo e si avvicendava negli altri due, in un misto di curiosità e preoccupazione. Nell'esatto attimo in cui i tre soldati si chiamarono per spostare il luogo della loro ronda, i due Sussurri chiamarono il terzo, esortandolo a raggiungerli.
In questo modo, i tre scivolarono velocemente in un livello interrato. Il ventre della montagna si espandeva ulteriormente, in un declivio scavato nella roccia che si dipanava in un ulteriore antro, di un livello inferiore a quello principale. Il sentiero inizialmente ricoperto di lamiera e fuliggine, poi diveniva uno sterrato di terra rossa, di quando in quando interrotto da residui di rame, zinco e piombo che cadevano dai livelli superiori. Infine, la crosta rocciosa scadeva in un profondo burrone e si ricollegava all'altro lato con un ponte di ferro e ottone, assemblato alle bene e meglio e sorretto da dei filamenti in ottone e dei sostegni in acciaio. Oltre il ponte, si espandeva un altro antro, ricavato in una nuova parete di roccia. I residui di terra e pietra ricavati dallo scavo erano ancora tenuti in una rete di ferro di poco oltre la soglia, sorretta con corde di canapa. L'antro era più piccolo e ricavato quasi fosse un ripostiglio: ovunque, infatti, erano appoggiate lastre di metallo, tubi di piombo, lamiere, reti e altri elementi di scarto in attesa di essere riutilizzati.
Quando i tre si erano rifugiati nel ripostiglio, tutti tirarono un sospiro di sollievo. Il rumore dei clangori riempiva la stanza come un rantolo assordante, coprendolo le loro voci e - con esse - gran parte della loro presenza. « Uff, ci è mancato poco... » sospirò Ilyr, tenendosi il petto con entrambe le mani. Sergey lo fissava con aria spazientita, indeciso tra un tono di vergogna e uno più saccente. Alla fine, virò verso uno più pragmatico. Gli si avvicinò e cercò di urlare un poco, per farsi sentire. « Non prendertela, Ilyr » asserì l'uomo, sforzandosi di mantenere un'aria più distinta, « ma non hai davvero più l'età per certe cose. » E lo fissava, fiero di avergli detto una frase che - probabilmente - aveva sempre sperato di dire. Dal suo canto, Ilyr divenne rosso paonazzo, più rosso delle scintille di fuoco che rimbalzavano dai livelli superiori, scendendo sulla terra rossa come una pioggia infernale. « Cazzo vuoi oh » sbottò, accompagnandosi con un gesto piuttosto eloquente delle mani, « voglio vedere cosa avresti fatto tu se ti si fossero riempite le budella di --- schifo. » Nel mentre, Nicolaj - come sempre - si estraniava dal dibattito, fissando il sentiero dietro di lui. Il clangore ricopriva richiami delle guardie e passi, ma le sue abilità distinsero nettamente le ombre dei tre uomini che discendevano il declivio, proseguendo la ronda ovunque il loro sospetto li trasportasse. « Smettetela » sbottò dunque l'uomo, facendo segno agli altri di stare zitti, « il tuo scherzetto non è passato inosservato. » « Dobbiamo trovare l'ingresso per il tunnel e - nel frattempo - distrarre le guardie » seguitò, indicando il sentiero. « Oppure non andremo molto lontano. » Immediatamente dopo, Sergey si mise a rovistare tra le lamiere e, dopo poco, scoprì una pesante botola di ferro, seminascosta sul pavimento tra grumi di terra e fili di rame. « La chiave, maledizione » disse, guardandosi intorno. « La chiave sarà qui da qualche parte...! » « Tu! » Aggiunse poi, indicando uno dei Sussurri nel gruppo che li aveva seguiti « aiutami a trovare la chiave! » Ilyr fissò la scena e fece seguito anch'esso, fissando a sua volta il gruppetto. « Gli altri con me » disse, serioso « dobbiamo trovare un modo per distrarre le guardie. »
L'Ambasciata Il secondo giocatore
L'artiglieria più elevata faceva piovere frecce sulla piazza a cascata. A più riprese, gli arcieri incoccavano nuove frecce e sparavano verso il basso, incuranti di cogliere un commilitone o un nemico. E i fregi del reame piangevano sulle loro casacche, sfregiate da quella guerra civile senza campo o ragione. Nel mentre, il forte dell'Ambasciata se ne stava imponente, mirando il disastroso spettacolo dei suoi figli che si trucidavano tra loro, lambiti da un pavido moto di opulenza che interessava l'una o l'altra parte, distintamente, per motivi contrapposti. Mark Smith gridò la carica ancora una volta, levando il braccio armato della propria spada corta, dopo averlo estratto dal corpo trucidato di un soldato dell'ambasciatore. La lama sporca di sangue svirgolò nel vento, lasciandosi indietro una coda di sangue e dolore, come fosse una cometa di morte che si levava sotto un cielo di dardi velenosi. Accorrete dicevano le sue labbra sporche di terra, sotto un volto sfregiato e una barba incolta che decoravano guance e zigomi sofferenti. L'occhio sinistro era tumefatto, quasi del tutto chiuso e sanguinante, sotto l'elmo spaccato a metà dalla caduta. L'armatura era danneggiata in più punti, con buchi e bozzi che se la contendevano, nel numero, con le medaglie appese al suo petto. E che ora dimoravano inermi sotto le macerie della carrozza. I più poterono notare il braccio sinistro ciondolante, appeso vicino al suo corpo grassoccio e frapposto tra uno stato comatoso e uno stato ferito proprio di un corpo prossimo alla caduta. Era sfregiato e, presumibilmente, impresso in un dolore atavico che si spargeva nel suo corpo e finiva all'altezza del gomito, come se non esistesse più alcuna ragione di vivere che quella di combatterlo. Nonostante tutto, li chiamò uno a uno. Coi loro nomi e i loro grati; si rivolse a ciascuno di loro e boccheggiò i loro connotati, scandendoli distintamente. Sommersi dalle urla, dalle frecce e dalla battaglia, nessuno di loro poté sentirsi chiamare davvero. Eppure, l'odore della virtù risuonò nei loro corpi come un profumo di vigore e a quelle parole scandite tutti fecero seguire un unico urlo di risposta.
« Avanziamo. » Urlò qualcuno, dando sfogo alle parole di tutti. E la prima linea nemica fu liquidata con un unico assalto, che la fece indietreggiare e spostare ai lati della piazza. In quell'istante Mark Smith urlò qualcos'altro, dirigendo la propria lama corta in direzione del portone principale. Il pesante torrione situato al centro dell'ambasciata, infatti, finiva con due ante di legno spesso, oro e ottone; su di esse erano disegnati ghirigori, fregi e simboli del Reame, accompagnati dalla torcia infuocata della giustizia e dalla pena argentata della diplomazia. Simboli e fregi di pace e verità, propri di un'armata e un ufficio votato alla parola, più che alla guerra, e che prendeva le mosse da quel bisogno di pace così radicato nelle coscienze di tutti. Quello stesso portone fu violato dall'ennesima volgare blasfemia; due soldati dell'ambasciatore urlarono parole turpi in direzione dei vigorosi uomini del Re, mentre richiamava a se i suoi compagni e si prodigava per richiudere le pesanti ante del portone davanti agli occhi dei valorosi. Un soldato prese la balestra e sparò in direzione dei due, cogliendo il leggero spacco tra le ante e la fronte del soldato stesso, seminascosta sotto l'elmo di ferro. Questo strabuzzo gli occhi, mirando la morte e spaventandosi di essa. La presa sulle ante si alleggerì, mentre il corpo ricadeva all'indietro. Guadagnarono dunque secondi preziosi, che il Comandante Smith colse con estremo coraggio. Gli bastò una ginocchiata all'anta destra, aprendo il cordone di soldati che gli seguiva. Gli bastò frapporsi tra loro e qualunque cosa fosse all'interno, per ricordare ai presenti che non sarebbero usciti a mani nude da quel forte nemico. Sarebbero usciti con l'Ambasciatore, o non sarebbero usciti affatto.
Il cortile interno era un quadrato, circondato da un colonnato e un porticato sottostante. Al centro c'era un piccolo chiosco di pietra bianca; attorno a esso un prato un tempo rigoglioso, adesso riverso in uno stato di abbandono e coperto di erbacce e rampicanti, dislocati in ordine sparso tra buche e piccoli ammassi di terra, ammucchiati tipo trincea. Al loro ingresso li accolse un altro gruppo di soldati, dislocati all'altezza del chiosco. Una recluta si avventò sul comandante, con un affondo al petto. Mark Smith schivò di esperienza sul lato, lasciando che la lama lunga penetrasse l'aria e sbilanciasse il corpo del suo assaltatore. Di risposta, allungò il gomito con cui teneva l'arma e lo agitò sotto il mento della recluta, stordendolo per un istante. Poi passò la lama corta sotto la pancia, con un taglio orizzontale che lo riversò in un lago di sangue. Subito dopo lo assaltò un secondo, poi un terzo. Mark Smith colpì il secondo alla gamba destra, tagliandola di netto. Infine, scostò il capo verso sinistra, per evitare il fendente del terzo soldato, che si abbatté all'altezza della sua fronte. Il fendente mancò la testa, ma si conficco sulla spalliera destra dell'armatura, tra il metallo e la carne. La maglia di ferro trattenne appena la lama, ma il dolore raggiunse lo stesso in nervi, tanto che il comandante Smith urlò di dolore, per la prima volta dall'inizio del combattimento. Il soldato dietro di lui non perse tempo; affondò la lama sulla guardia distratta e abbatté l'altra con un calcione, liberando il comandante dalla stretta. Quando la seconda ondata fu respinta, tutti si nascosero sotto il capanno al centro del cortile.
« Quanti ne siamo? » Chiese Smith, fasciandosi alla bene e meglio il braccio e la spalla. I suoi occhi attenti balzarono da uno sguardo all'altro dei suoi uomini, fino a constatare che erano sopravvissuti poco più della metà di quelli che aveva portato con se. Successivamente, passò lo sguardo oltre il capanno, fissando l'interno del palazzo. Sopra di loro, c'era un passatoio di legno, sorretto da un totale di sedici pilatri il resistente legno di faggio; sopra il passatoio c'erano gli arcieri infami, rei di aver abbattuto gran parte dei suoi uomini. In quel frangente, ricaricavano gli archi con veemenza, prima di lasciarsi andare a una nuova ondata di frecce. Oltre di loro, c'era il primo piano del palazzo. Un piano rialzato con una grande terrazza, ricollegata al piano terra da due scalinate interne, una a destra e una a sinistra. Davanti a loro, poi, c'erano ancora le pesanti porte di legno. Ancora aperte, ancora pronte ad accogliere rinforzi propri o nemici, a seconda di chi avrebbe risposto per primo. Considerando, però, che gran parte dei soldati nemici era corso fuori per accogliergli, ben presto avrebbero ripiegato verso l'interno, per finire il lavoro iniziato. « Dunque » disse Smith, ancora dolorante. Con un movimento dell'unico braccio buono, cercò qualcosa all'interno del pettorale; una smorfia di dolore si disegnò sul suo volto, per poi lasciarsi andare a una di parziale gioia, non appena ebbe trovato ciò che cercava. Fece spazio sul terreno e dispiegò con perizia una mappa del luogo. « Uno di voi si occuperà del portone; dobbiamo bloccarlo con più forza possibile, onde evitare il ritorno nemico » disse, indicando davanti a loro. Poi buttò un occhio al passatoio superiore. « Un gruppo, invece, si occuperà degli arcieri » asserì, sicuro. « Non c'è tempo di tirar giù le scale, quindi saltate sul passatoio o trovate un modo per sbarazzarvi di loro. » Nel mentre, un vociare indistinto subentrò dall'interno delle scalinate. Due gruppi di soldati si sarebbero presto palesati sul cortile interno, chiudendoli a tenaglia. « Un altro gruppo, insieme a me, si dividerà tra destra e sinistra » aggiunse Smith, indicando ai lati. « Ci chiuderanno; se li teniamo nelle scalinate, potremo affrontarli uno per volta. » « Alla fine della festa, ci divideremo » disse infine, fissando la mappa. « Salone di rappresentanza, dispensa, dormitori o mensa » disse ancora, serio, « l'ambasciatore non può che essere in uno di questi posti. » Poi li fissò, uno a uno. « Il primo che lo trova, mi avverte » concluse.
Bazar di Mahyas Il terzo giocatore
Era bastato poco, molto poco. L'arrivo di Medeo era stato anticipato da una serie di discorsi piuttosto lunghi sull'indifferenza, sul bisogno di apparire inosservati e sulla necessità di non portare armi per non destar sospetti. « Vedrete » aveva detto, più a se stesso che agli altri « non ci sarà bisogno di combattere. » « Andrà tutto liscio. »
E ci ripensava, mentre il Comandante lo fissava da sotto l'elmo, con aria sospetta. Aveva allargato le spalle, quasi per irrigidire la sua figura dinanzi a quello che riteneva un potenziale sospetto. Nel mentre, gli altri soldati lo fissavano con aria spavalda, attendendo che il loro superiore trovasse una scusa qualunque per trascinarli tutti in qualche prigione lontana. Lontana dalla città, dal Re e dal casino. Magari più rivolta verso sud, dove gli uomini di Caino avrebbero potuto trovarlo. Forse. O forse no. Forse quel complotto se lo stava immaginando; forse quei rompipalle vestiti da cerimonia erano li per fare il loro dovere. E tra una mazzetta e l'altra avevano disgraziatamente deciso che il loro premio per impiegato dell'anno avrebbero dovuto conquistarselo proprio quel giorno. Proprio col boss Vid Quarion a un centimetro dal loro naso. E proprio nel bel mezzo di una guerra civile.
Si certo. Pensò Medeo, trattenendo una risata. E io sono verginello.
« Che ridi, idiota? » Sbottò il comandante, sbattendogli in faccia la sua arroganza, i suoi gradi e un fiotto di saliva umidiccia. « Ti faccio tanto ridere? » « Vogliamo scoprire quanto ti fanno ridere le prigioni del Re? » Ribatté poi, suscitando l'ilarità generale degli altri soldati che lo circondavano. Medeo lo fissò, mandando giù un grumo di saliva pesante come il marmo. Poi inarcò la lingua, di modo da camuffare la sua voce; gli occhi li piegò verso il basso, sforzandosi di assumere uno sguardo pietoso e vinto. Infine, si tenne il pisello tra le cosce, immaginando come premersi le palle lo avrebbe aiutato a sembrare più idiota di quanto già non lo fosse. « No signore, io sono solo un umile mercante dell'Alcrisia » disse, piegando le labbra come il culo di una gallina. « Non farei mai del male a---- » Si arrestò, udendo la sua stessa voce rimbombare nelle orecchie. E provò schifo. Schifo e vergogna. « No, raga » sbottò poi, rivolto ai suoi compagni. « Davvero, non ce la faccio. » E tutti risero.
« Ma, cos--? » Il capitano non fece in tempo a capire cosa stesse accadendo. Medeo pose entrambe le mani dietro la sua nuca e spinse il volto del soldato contro il suo ginocchio. Nella sala si udì un poderoso crack, per poi seguire le urla del soldato, che si teneva entrambe le mani sul volto, col naso riverso in un lago di sangue. Subito dopo, si scatenò l'inferno. Tutti i soldati sfoderarono le armi e i tre compagni di Medeo si avventarono su ciascuno di loro, cercando di rubargli le armi. Medeo fu assaltato da altri due soldati. Uno di loro tentò di affettarlo con un fendente orizzontale, all'altezza del collo, mentre l'altro gli fece seguito con un affondo al braccio destro. Medeo piegò il busto all'indietro, lasciando che il fendente orizzontale gli passasse oltre, dinanzi al viso. Poi piroettò sulla sua sinistra, facendo scivolare l'affondo accanto a se e portandosi immediatamente dietro al secondo soldato. Infine, afferrò entrambe le braccia del soldato e virò la sua spada in direzione del compagno che aveva tentato di decapitarlo poco prima, pugnalandolo alle spalle. « Pugnalare alle spalle i tuoi compagni » commentò, ironico. « Ma che gente siete?! » Infine, piroettò sul posto, abbassandosi, di modo da sgambettare il soldato dinanzi a lui. Infine, caricò di potenza la mano destra e la affondò sul volto del nemico, facendo sprofondare la testa nella pietra del pavimento. Eppure, nella foga del momento non si accorse che il capitano si era ridestato, a fatica, dal dolore. Con una mano si teneva ancora il naso distrutto, mentre con l'altra impugnò la propria lama. Mentre Medeo era ancora curvo sul soldato che aveva appena ucciso, il capitano lo affondò all'altezza del fianco sinistro. Medeo scorse il colpo con la coda dell'occhio e fece un passo indietro all'ultimo secondo; nonostante ciò, il fendente gli disegnò un lungo taglio orizzontale sull'addome, squarciandogli anche i vestiti e rivelando la sua grossa ferita sanguinante. Per il dolore, Medeo ebbe un momento di vertigini, che il capitano non tardò a cogliere. Infatti, si avventò su di lui, caricandolo arma in pugno. Il capitano urlò tutta la propria rabbia, col volto sporco del suo stesso sangue; Medeo vite la punta della lama raggiungerlo allo stomaco e non riuscì a difendersi.
Ma il capitano si arrestò. Mentre la lama era a un centimetro da Medeo, sbarrò gli occhi. E, inerme, ricadde su di un fianco. Dietro la sua testa, una lama ricurva gli aveva penetrato il cranio; oltre di lui, l'elfa teneva la mano aperta davanti a se, visibilmente soddisfatta del risultato. « Molte grazie, ma chère » ringraziò Medeo, ripresosi, « il mio culo ti deve la vita. » L'elfa scosse il capo, smuovendo la lunga chioma bianca. « Non cantare vittoria, ne arriveranno altri » disse, perplessa « sarebbe stato più furbo farsi arrestare. » « Mi spiace, mia cara » rispose Medeo, a tono, « non sono uno che si lascia sottomettere facilmente. » Nel mentre, il grosso volto rosso di Vid divenne ancor più paonazzo. « C-CHE COSA DIAVOLO FAI » prese a urlare, superata la paura, « BRUTTA IDIOTA DI UN'ELFA, MI HAI CAUSATO UN MUCCHIO DI GUAI. » « Smettila ciccione » sbottò la donna, di risposta, « ormai non mi servi più. » E li assesto un destro all'altezza del mento, che lo fece svenire. Medeo le si avvicinò, visibilmente impressionato. « Dunque sei tu la mia donna? » Chiese, sottolineando il doppiosenso sollevando le sopracciglia. « Sono Eloise » ribatté la donna, di risposta. « Mi hanno chiesto di condurti dal Re; ma mi sembra evidente che il piano principale sia saltato. » « Piano secondario, quindi? » Chiese l'altro, fingendo di parlare sottovoce. « Sai, adoro i piani secondari. » Seguimi, disse a mezza bocca. Lo prese per mano e scattò in direzione dei magazzini.
I due fuggirono su di un passatoio che sovrastava i magazzini dall'alto. Sotto di loro, altri due gruppi di guardie raggiunsero il luogo del combattimento e, subito dopo, si sparpagliarono in giro per tutto il quartiere, in cerca dei fuggitivi. « Dobbiamo raggiungere il fiume » chiosò Eloise, conducendo Medeo nei pressi di una piccola finestra. Dall'alto si vedeva l'intera zona, col Bazar, le Scuderie i templi e i grossi palazzi. Dall'altro lato, invece, si poteva ammirare il corso del Lagùno, il fiume fatto deviare verso Ladeca per irrigare i campi. « Il Lagùno arriva nei pressi dell'Edraleo, dove è stato approntato un piccolo molo » disse, indicandolo a Medeo, « se raggiungiamo la sponda ovest, c'è una piccola barca che ci attende. » L'uomo fissò, con aria interessata. « Bene, gambe in spalla dunque » disse, dandole una vigorosa pacca sul sedere, « chi parla troppo, scopa poco. » « Fermati, non è così facile » ribatté lei, trattenendolo per un braccio. « Le guardie ci stanno cercando. » « Dobbiamo evitare le strade » aggiunse, con aria seriosa. Attese qualche istante, riflettendo sul da farsi. Poi riprese, secca « Abbiamo tre vie di fuga. » « Il magazzino è collegato con tre posti, in cui potremmo nasconderci per qualche ora e raggiungere i moli appena le acque si saranno calmate. » Medeo sorrise, di rimando. « Sono tutt'orecchi, madamigella. » « Il Tempio di Yffrie » asserì lei, indicando una grossa cupola in lontananza, « è il più lontano dal fiume e il più difficile in cui entrare, ma una volta li le guardie non potranno raggiungerci in nessun modo. » Medeo storse la bocca, piuttosto perplesso. « Una chiesa? » Sbottò, perplesso. « Sicuro che non prenderò fuoco non appena messo piede li dentro? » « Malsana, quartiere dei bordelli » proseguì la donna, senza ascoltarlo. « Media distanza e media difficoltà nell'ingresso, in quanto c'è solo il pericolo che qualche spia di venda ai soldati; eppure, i torti cunicoli dovrebbero tenerci al riparo dai problemi, almeno per un po. » Medeo scosse il capo, ancora non convinto. « Nah, qualche tua collega potrebbe riconoscerti » rispose e rise, praticamente da solo. « Il Bazar » terminò, indicando i locali proprio sotto di loro. « Il più vicino al fiume e il più semplice in cui entrare, ma potremmo essere scoperti abbastanza facilmente. » Medeo rimase dubbioso, grattandosi il mento con la mano destra. « Non so, non mi convince. » « Non hai altra scelta, simpaticone » ribatté lei, spazientita. « Scegli » aggiunse, seria, « e scegli in fretta. »
CITAZIONE QM Point Innanzi tutto scusate il ritardo. È davvero un periodo molto difficile per me, tra lavoro e altri problemi. Non escludo che ci siano ritardi anche nei prossimi turni, ma farò di tutto per contenerli. Sfruttate questi tempi per ragionare attentamente sul da farsi. Ho notato che nei turni precedenti qualcuno si è trattenuto più del dovuto, sfruttando uno slot in meno o contenendo le proprie azioni. Vi faccio presente che la selezione del finalista non durerà troppi turni, quindi dateci dentro.
Il primo giocatore. Dunque. Le vostre azioni coprono grosso modo le tracce; eppure, qualcuno ha agito con leggerezza, evitando di coprire i propri rumori o non giustificando come le guardie possano aver ignorato la vostra presenza. Questa circostanza l'ho illustrata come un'azione maldestra di Ilyr, che tossisce nei pressi di una guardia. Questa cosa, dunque, ha insospettito le guardie - benché non le abbia allarmate - con la conseguenza che si stanno dirigendo verso di voi. Uno di voi, che sceglierete, è stato scelto da Sergey per cercare la chiave della botola. Quindi, uno di voi si dovrà sacrificare e potrà utilizzare tecniche apposite al fine della ricerca, ma senza poter fare altro. Gli altri, invece, dovranno collaborare ed elaborare una strategia al fine di distrarre o bloccare le guardie. Il fatto che riusciate o meno in queste azioni, avrà ripercussioni sulla quest. Ultima circostanza: il rumore assordante della ferriera copre quasi totalmente le vostre voci e i rumori. Quindi per organizzarvi in quest dovrete tener conto di questo particolare; allo stesso modo, potrete sfruttare questa circostanza come preferite. Ma occhio alla sportività.
Il secondo giocatore Entrate con successo nel palazzo, ma non senza problemi. Il vostro assalto doveva essere più "incisivo" e molti si sono limitati quasi esclusivamente a difendersi; per questo, ciascuno di voi subisce autoconclusivamente un danno Basso al fisico. Una volta nel chiosco, Mark Smith vi da istruzioni. Dovrete occuparvi di varie cose e ciascuno di voi potrà farne soltanto una (ma una cosa può essere fatta da più persone, come indicato).
• Il portone. Il pesante portone va chiuso e bloccato, per evitare che arrivino da li altri soldati nemici. Dovete spendere un totale di risorse almeno medio per chiudere il portone per un turno; alto per chiuderlo per più tempo. Minimo 1 pg, massimo 2. • Il passatoio. Sul passatoio ci sono gli arcieri. Il passatoio circonda tutto il cortile interno e si erge a un'altezza cui non potete arrivare con un salto normale. Chi di voi si occuperà di questo dovrà raggiungere il passatoio e uccidere gli arcieri (autoconclusivamente, gli arcieri non hanno armi da mischia). Per sbarazzarvi di loro dovrà essere speso un totale di risorse almeno critico (medio per ogni lato). Minimo 2 pg. • Le due scalinate. Le scalinate sono a chiocciola, incassate in due ambienti stretti ai lati destro e sinistro del cortile. Da li stanno scendendo due gruppi di soldati. Dovrete affrontarli, spendendo almeno un alto per gruppo. Minimo 2 pg. Naturalmente, le risorse indicate specificano il "quantum" richiesto per una risposta efficace al problema. Sta a voi decidere in che forma spenderlo e la strategia da adottare. Questa determinerà l'efficacia della vostra azione e influenzerà il vostro voto nel post. Inoltre, alla fine del post dovrete decidere (anche specificandolo nei commenti, se non volete argomentarlo narrativamente) il luogo in cui si dirigerà il vostro pg per cercare l'ambasciatore, a scelta tra quelli proposti da Smith. Dovrete cercare in più posti possibili, ma siate coscienti che ciascuno di voi affronterà "qualcosa" in ciascun posto scelto, quindi andare in gruppo è anche un'ottima idea.
Il terzo giocatore. Avete voluto il sangue e il sangue è stato. Ovviamente la copertura di Medeo è saltata tipo al primo turno e ha speso un quantitativo di risorse pari al 40% (un danno basso al fisico e una tecnica bassa), per un totale residuo del 260% su 300%. Ora vediamo se riuscirete a fare meglio col prossimo turno! Qui bisognerà scegliere che strada Medeo prenderà per raggiungere il Laguno, il fiume di Ladeca. Tre posti in cui può nascondersi e trovare un modo di raggiungere il fiume, distanti in maniera diversa dal fiume stesso ma più o meno al riparo dalle guardie. In particolare:
Numero uno. Medeo ed Eloise si rifugiano nel Tempio di Yffrie (Molto lontano dal fiume, ma molto al riparo dalle guardie). Numero due. Medeo ed Eloise si rifugiano nel quartiere Malsana (Media lontananza dal fiume, medio riparo dalle guardie). Numero tre. Medeo ed Eloise si rifugiano nel Bazar (Poco lontano dal fiume, ma molto poco al riparo dalle guardie). Chi si unisce in questo turno. Chiunque può unirsi alla quest, specificando la sua presenza in uno dei due scenari (primo o secondo giocatore). In questo caso, limitatevi a seguire le prescrizioni indicate per questo post, ma sappiate che l'assenza dei post precedenti influenzerà il voto finale (quindi, dovrete sforzarvi di fare post migliori degli altri per compensare). Come lettori, invece, chiunque può votare in ogni momento.
Tempi. Dieci giorni circa. La votazione chiuderà sabato prossimo, però. Domande o dubbi, dove sapete.
|