Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Il Giorno Profondo

« Older   Newer »
  Share  
Caccia92
view post Posted on 19/1/2016, 14:33






Il Giorno Profondo
Questa è la storia di una libertà indesiderata. La storia di un uomo che si è fatto carico delle sue sfortune.
E di voi, inaspettati ospiti, dispersi in un mondo che credevate invisibile e ininfluente per la superficie.

Il Baathos è vivo e pulsante come il cuore della civiltà.






« Bekâr-şehir; Cava di durargilla, detta "Triparte" »
Sezione 4; campo dei minatori; secondo ciclo lunare; 22:35.


La terra continuò a borbottare per un bel po', scandendo un ritmo stranamente regolare e vicino ad una melodia. Il pavimento si scuoteva e faceva sobbalzare gli oggetti del campo, generando un caos di tintinnii e rumori metallici. Qualche legno di sostegno, troppo marcio per resistere ad una sollecitazione così intensa, si spezzò, lasciando crollare tende, camminamenti e depositi di materiale. La conseguente nube di polvere oscurò la maggior parte della miniera.
Laskano tossì ripetutamente. Le particelle di durargilla erano nocive per i polmoni e respirarle in tale quantità poteva uccidere anche il più coriaceo degli uomini. Frugò per terra in cerca di un panno, una benda, qualcosa per coprirsi la bocca. Dopo pochi secondi trovò un fazzoletto sudicio e fece per afferrarlo: un'altra mano, piena di calli, oppose resistenza dall'altro lato dell'oggetto. In quel momento non contavano amicizie, onore o clemenza, solo l'istinto di sopravvivenza e l'adrenalina potevano salvarlo da una morte orrenda. Tirò con tutte le energie concesse dal suo corpo e strappò il fazzoletto dalla presa di Ghindor. Si annodò la tela intorno alla bocca e riprese a respirare. Da qualche parte, nella nebbia color ocra, il vecchio minatore analfabeta era preda di rantoli e spasmi causati dalla durargilla. Laskano pregò in silenzio per la sua anima.
Il passo successivo era capire dove si trovava. Il crollo improvviso di una parte di soffitto della caverna lo aveva spinto in là, in direzione delle gallerie di scavo. La nube di polvere si insinuava negli occhi, li faceva bruciare, rendendo difficoltoso l'orientamento. Siccome non aveva idea di quale strada prendere, allungò un braccio nel vuoto per scovare a tentoni un punto di riferimento.
Un masso grande quanto un bue si staccò da una parete e rotolò verso di lui. Con un balzo felino evitò di essere schiacciato, ma si spinse ancora più in là nella miniera. Laskano si rialzò e venne colto dal panico. Tutt'intorno sentiva grida di aiuto, uomini che vomitavano, tonfi sordi, legni che si frantumavano, suoni viscidi di membra spappolate dalla roccia. Poi, nettamente più vicina, esplose una voce familiare.
« Chi c'è qui davanti? » ululò « Dove sei? »
« Laskano? Sei tu? »
Laskano artigliò la nube girando su se stesso finché non incontrò un corpo solido. Cinse quindi il braccio dell'altro e lo tirò a sé. Un Koman visibilmente scosso e con i cappelli arruffati gli andò a sbattere sul petto. Anche il giovane aveva un fazzoletto sulla bocca.
« Che cazzo succede? »
« Secondo te? Stiamo per essere sommersi da tonnellate di pietra! »
« Oh per tutte le monete di Loec! Stiamo per morire! Moriremo! »
Laskano afferrò Koman per le spalle e lo scosse con violenza. Poi, per rinfrancare la dose, gli diede un potente schiaffo sulla guancia.
« Calmati, idiota! Adesso muoviamoci, credo di aver visto il magazzino. »
In realtà non aveva visto nulla, ma non voleva perdere la speranza. Cominciò a correre tra i detriti di durargilla, i corpi sanguinolenti degli altri minatori e le aste spezzate delle tende. Mentre avanzava a casaccio in mezzo a quel pandemonio, si rese conto che il tempo stava scadendo e che le pareti della miniera non avrebbero retto a lungo. Senza fiato per la respirazione limitata, schivò alcuni macigni in caduta libera e si gettò disperatamente all'interno di un casolare. Per una fortuna incredibile o il volere di T'al, lui e Koman si ritrovarono nel magazzino. Accanto ad una catasta di strumenti da lavoro.
Laskano lanciò un piccone a Koman e ne afferrò un secondo.
« Bene. » che diavolo stava facendo? « Cominciamo a scavare. »
Koman lo fissò con la classica espressione ebete. Con il fazzoletto sulla bocca, sembrava ancora più stupido.
« Sei impazzito? Scavare...per quale motivo? » domandò allibito.
« Non possiamo risalire, quindi dovremo andare più in basso. » rispose Laskano, che nel frattempo aveva già cominciato a spaccare le assi del pavimento del magazzino. Presto avrebbe incontrato la roccia. Poi altra roccia. Poi il Baathos.
In quel momento, un potente rombo annunciò il crollo di un'altra sezione della miniera.







« Taanach; Palazzo Roarrhad »
Studiolo; terzo ciclo lunare; 20:30.


Appoggiata allo schienale di avorio, la donna sedeva a gambe incrociate. Portava una maschera d'oro che lasciava scoperti soltanto gli occhi e una ciocca di capelli fini. Di fronte a lei, in piedi, stava un altro individuo che indossava una maschera simile, eppure molto diversa. Anche se entrambi si conoscevano, l'usanza del palazzo imponeva che l'identità degli ospiti rimanesse celata.
« Il crollo della miniera era un'eventualità prevista. » sussurrò la donna « Ma la sopravvivenza dei minatori è una questione assai seccante. »
« Solo due o tre soggetti non assumevano il veleno. » rispose l'altro con un filo di voce « Le probabilità che siano riusciti a scampare al crollo sono estremamente basse. »
« Ma esistono! »
Sul grande tavolo posto al centro della sala quadrata giacevano due bicchieri di cristallo. Erano stati riempiti con un liquido scuro, ma il contenuto non era ancora stato toccato. C'era anche un piccolo piatto ricolmo di frutta secca, anch'essa perfettamente intatta.
La donna si alzò dallo scranno e si voltò. I suoi occhi si soffermarono sulla parete, che era stata tappezzata con dipinti dalle cornici dorate rappresentanti i paesaggi dell'Akeran. Uno in particolare catturò la sua attenzione: la veduta di un edificio all'apparenza estremamente antico e in rovina. L'autore lo aveva abbellito con decorazioni a forma di scaglie di rettile.
« Anche nel caso di una fuga, nessuno esce vivo dal Baathos. »
La risposta giunse dopo qualche secondo. Il silenzio nel palazzo era pressoché assoluto.
« Tu non conosci la forza di un uomo disperato. »
« Non possiamo sprecare soldati per un'operazione del genere. »
« Non sprecheremo soldati. »
« Non comprendo lo scopo di questa conversazione, allora. »
La maschera d'oro ruotò appena rispetto al collo delicato.
« Attento, Sithoras. Il tuo tono va oltre i tuoi privilegi. »
L'uomo non si era mosso, eppure il suo corpo appariva più teso. Indossava un lungo abito bianco ricamato d'argento e sontuosi stivali neri. Faceva certamente parte dell'aristocrazia di Taanach.
« Chiedo perdono. » si esibì in un lieve inchino « Come intende procedere? »
La donna tornò a fissare i dipinti. Nel suo sguardo trasparivano emozioni differenti e contrastanti, ricordi, pensieri. Orrori passati. Durò un attimo, poi svanì nell'abituale indifferenza.
« Sebo, Arman, Coy. »
Ad ogni nome pronunciato, una figura si palesava dall'ombra dello studiolo. Erano sempre stati lì, nascosti, in attesa di un ordine. Avevano la stessa altezza, lo stesso rigido portamento. Persino i vestiti, scure giacche di seta scura, erano identici. Soltanto gli intarsi sulle luminose maschere bianche contraddistinguevano i tre individui.
« Soggetti non comuni, possibilmente privi di legami in questa terra. Una fiala a testa. »
Sebo, Arman e Coy mossero la testa impercettibilmente e simultaneamente. Nell'istante successivo svanirono nuovamente nelle tenebre. La luce, proveniente dalle fiaccole incassate nei muri, risultò invariata dallo spostamento. Erano forse privi di ombra?
Sithoras aveva seguito la scena con apparente disinteresse.
« Cosa le fa pensare che uomini disperati ammazzino uomini altrettanto disperati? »
La donna si voltò e tornò a sedersi. Aveva ammirato abbastanza il quadro per quel giorno. I ricordi facevano male almeno quanto la lama di uno stiletto piantato nel cuore.
« Perché l'odio fra vittime è il più grande di tutti. »









CITAZIONE

QM.POINT



Benvenuti alla giocata "Il Giorno Profondo". Per questo primo turno non ho molto da spiegarvi, ogni cosa è ben descritta nel testo. Ricollegandosi all'antefatto, seguiamo le vicende del minatore Laskano e del suo compagno Koman nell'ardua prova di sopravvivere al disastroso crollo della Sezione Quattro. Ci spostiamo poi in un palazzo a Taanach, dove due misteriosi figuri - solo un nome, neppure molto importante ora, viene svelato - scambiano qualche battuta sulla distruzione della miniera. Se avete letto con attenzione la prefazione nel bando quest, probabilmente avrete compreso l'ambito organizzativo in cui spaziano i due personaggi. Se, oltre a questo, possedete una buona memoria visiva, forse riuscirete anche ad intuire l'identità della donna. Ma, al momento, tutto ciò passa in secondo piano rispetto ai tre individui con le giacche scure e le maschere bianche.
Il vostro lavoro è semplice e, solo per questa volta, strettamente legato ai miei comandi (in futuro cercherò di lasciarvi la maggior libertà possibile): scegliete luogo e circostanza in cui i vostri personaggi stanno vivendo - al presente, ovviamente - e aggiungete l'agguato di uno dei tre uomini mascherati. Vi lascio ampia scelta: una città, una taverna, una strada, un vicolo, un'abitazione, siete voi a decidere in che posto; mentre bevete, fate il bagno, combattete, rubate, mangiate, siete voi a decidere il momento. L'importante è che, ad un certo punto, veniate storditi senza possibilità di replica. Suggerisco, inoltre, le modalità con cui si approcciano gli aggressori: se avete ben in mente il soggetto di fantasia Slenderman, allora saprete già cosa intendo; in caso contrario, si tratta di un lento avvicinamento, con il progressivo avvistamento delle maschere in mezzo alla folla, nell'ombra o da qualche finestra.
Interrompete il post con il vostro personaggio che sviene, colpito alle spalle. Penso sia tutto, utilizzate il confronto per le domande. Cinque (5) giorni per completare il lavoro. Buon gioco!

 
Top
Alb†raum
view post Posted on 20/1/2016, 16:42




La ricerca per la cura aveva spinto Jorge prima a Masut e successivamente a Merakh, dove aveva incontrato sir Melanius Kolle, suo passato cliente ed esponente di rilievo nell'esoterismo akeraniano. Jorge ottenne il permesso di farsi accompagnare dall'Afrit che Kolle aveva evocato con il proprio circolo con mezzi decisamente poco ortodossi e che non elenchiamo in questa sede; bisognerebbe tuttavia spiegare che in quel momento il tossicologo aveva già attirato diverse attenzioni da parte di diversi individui non raccomandabili. Vuoi per l'aspetto poco confortante o per i modi bruschi, pochi lo avevano accolto come amico, e nessuno era rimasto dispiaciuto quando aveva levato i tacchi.

Per questo quando giunse dall'Afrit una persona (?) lo teneva già d'occhio, e gli eventi presero rapidamente una piega imprevista e sgradita.



«C'è qualche problema, signor Joyce?»
Jorge si voltò verso il giovane seduto di fronte a lui sulla portantina, un individuo dai tratti scuri e sottili, come fosse fatto di pezzi di corteccia sbucciata e rametti sparsi. Teneva tra le mani due ossi di capra e li faceva scivolare fra le dita, sopra e sotto il palmo, veloce e preciso, come se una corrente trasportasse gli astragali attorno alla mano.
«Solo un attimo di spaesamento» borbottò, accompagnato da un piccolo fischio del respiratore sulla schiena. L'altro sollevò un sopracciglio.
«Le devo ricordare i termini del nostro accordo? Si sporga ancora una volta dalla finestra e noi la lasceremo qui». Gli ossicini si fermarono, come a sottolineare le parole, poi li lanciò in aria, e senza guardare li afferrò al volo entrambi.
«È bravo» commentò Jorge, poco convinto. L'altro ridacchiò senza rispondere, un sorriso che, come quello dei serpenti, aveva solo due denti visibili. Doveva far parte della feccia degli stregoni o di qualche setta del genere. Kolle glielo aveva presentato come accompagnatore e gli aveva detto di non doverlo temere; ma nomi non ne aveva fatti, e il giovane aveva risposto alla mano che Jorge gli aveva freddamente teso sfoderando quei due giocattolini.
Dopo un'ora di viaggio che quell'idiota non faceva nient'altro che giostrarli, Jorge aveva idee ben chiare su cosa avrebbe voluto farne.
Forse era per questo che cominciava a vedere... cose fuori dalla finestra.
Poggiò la testa contro il sedile di velluto con il macchinario che lo costringeva a piegare la schiena tanto da sentire male alla vita. Era da dopo l'intervento che stava scomodo in piedi, seduto, coricato su un fianco; delle notti il rumore lo teneva sveglio, a ricordargli che lui non aveva più i polmoni, che se li era cavati per inseguire quella follia, e solo quando l'esaurimento lo prendeva cadeva in preda a un sonno spasmodico, senza sogni. A ricordarsi come era stato prima, prima della malattia, a volte gli veniva da piangere.
Eppure cos'era tutto quello in confronto alla morte?

«Siamo arrivati. Scenda» intimò l'accompagnatore.
Jorge aprì gli occhi quando i servi avevano già avevano già abbassato la passerella e ora stavano fermi e immobili ai lati, sull'attenti, un branco di scimmioni scuri e dalle facce luccicanti di sudore. Davanti al tossicologo si apriva un arco di pietra, e oltre un corridoio scarsamente illuminato. Uscì dalla passerella puntellandosi con calma col bastone per permettere alle ginocchia sovraccaricate di sostenerlo. Il muro di schiavi gli impediva di vedere cosa ci fosse attorno, e la struttura che aveva davanti, una palazzina popolare con i mattoni d'argilla incrostati di polvere, era completamente anonima. Jorge sospirò seguendo l'accompagnatore, che gli faceva strada a passi lunghi, tintinnanti per gli anelli metallici che aveva appesi alla cintura.
“Non sono minimamente stupidi quanto avessi sperato” masticò fra i denti il tossicologo. Kolle era stato suo cliente regolare una decina di anni prima, quando assieme al veleno per uccidere la sua terza moglie aveva comprato alcune fiale di salnitro e rena rossa, senza peraltro nascondere l'uso esoterico che ne avrebbe fatto. Non era affatto un individuo brillante; gli uomini per cui lavorava, d'altro canto...
Si fece scivolare fra le dita una fialetta che aveva nascosto nella manica; con una leggera pressione essa si aprì, versando una leggera polverina a terra, indistinguibile dalla sabbia che sporcava il pavimento. Si guardò indietro un istante per assicurarsi che non si vedesse, ma un altro particolare attirò la sua attenzione: tra le file di schiavi, dove erano appena passati, una figura nerovestita lo fissava. Non riuscì a vederne i capelli o il viso; ma non ebbe neppure il tempo per notarli, perché l'accompagnatore gli tirò una gomitata nei reni, costringendolo a voltarsi.
«Non faccia l'idiota ora, Joyce» la voce del ragazzo era un sussurro. «Si attenga a quello che abbiamo detto».
Jorge fece una smorfia per la botta. Avrebbe voluto far saltare gli ultimi canini a quell'arrogante a suon di bastonate, ma sapeva bene che quelli della sua cerchia non gliel'avrebbero fatta passare liscia. Trattare con i maghi era una faccenda delicata: poteva sempre succedere di svegliarsi una notte circondati da serpenti o demòni affamati, o di delirare in preda qualche febbre misteriosa e improvvisa nel caso essi non fossero contenti dell'accordo. Francamente, con la woromhabes che lo stava divorando, Jorge avrebbe potuto infischiarsene e spaccare la faccia a quel presuntuoso; tuttavia c'era sempre il timore che gli rendessero un inferno persino i pochi mesi che gli rimanevano da vivere.
«Qui, a destra. Si tolga le scarpe» ordinò il giovane, congiungendo le braccia al petto. Erano di fronte a una porta nascosta da dei tappeti sottili; ne usciva un odore forte e dolce, tanto che il debole stomaco del tossicologo si strinse dolorosamente. Squadrò il ragazzo accigliato. Cos'era, una sorta di pantomima religiosa? A quale dio rendeva giustizia, di grazia, al loro smisurato orgoglio? Non discusse e si sfilò gli stivali appoggiandoli accanto alla porta.
«Tenga pure le armi» ridacchiò poi l'accompagnatore. «So che le ha addosso. Non serviranno a nulla».
Jorge lo squadrò di bieco, poi con l'aiuto del bastone si arrampicò sul gradino ed entrò scostando la tenda.

All'interno della stanza l'atmosfera era densa. Fu il primo pensiero che venne in mente al tossicologo. I piedi tastarono un tappeto soffice, che tuttavia non riusciva a vedere, perché come una sottile patina di fumo invadeva l'ambiente, e alle caviglie essa si faceva tanto densa da apparire uno specchio d'acqua torbida.
Jorge si sentiva osservato, eppure lui stesso non riusciva a intravedere neppure le mura della stanza; solo una luce pendeva dall'alto; e l'ombra che essa proiettava sembrava quasi umana, che gli veniva in contro. Indietreggiò con un groppo in gola, ma l'immagine sparì, dissolvendosi fra la nebbia.
«I miei omaggi, Jorge» mormorò una voce. Una fiamma si accese di fronte al tossicologo, che si parò un braccio di fronte agli occhi. Le tempie gli pulsarono di un dolore intenso mentre la luce si avvicinava.
«Non aver paura, Jorge. Non ti voglio fare del male». La fiamma prese una sagoma, una consistenza. Essa era una donna anziana ricoperta con un sudario, e le forme del cadavere trasparivano attraverso i veli; era una ragazza giovane e dalla pelle nera come l'ebano, i capelli rossi, lunghi che le incorniciavano il corpo come una fiamma viva. Era una e l'altra cosa assieme. Jorge aveva letto qualcosa sulla natura degli afrit, ma la sintesi era: sono creature ambigue, pericolose, capricciose; ma, soprattutto, estremamente pericolose.
«Perché questa pagliacciata?» ringhiò il tossicologo fra i denti. «Ho chiesto un'udienza, non un fottuto spettacolo da circo».
La donna sorrise, il cadavere della vecchia gorgogliò qualcosa. «È un'occasione speciale, Jorge, lo capirai presto. E dammi del tu, perché la cortesia è affare mondano. Io sono oltre queste cose, mi capisci?»
La luce che la avvolgeva si affievolì, e Jorge potè abbassare il braccio. L'afrit non indossava nulla, eppure era come se la nebbia disegnasse attorno a lei veli e vesti; prima un'ampia gonna a campana, come quelle per i gran balli, ora gli stracci di una pezzente, e un istante più tardi quelli di una prostituta. Era bella, con gli occhi a mandorla e le labbra ; ma lei era anche la vecchia morta, ed essa ghignava sotto il sudario sporco di sangue e saliva.
«Chi sei?» le domandò. L'afrit si portò una mano al seno.
«Mi chiamano Selhades, che nella lingua degli antichi vuol dire prima scintilla. Sono la madre di tutti gli afrit, e ogni afrit è parte di me».
“Per questo sono tutti così terribilmente spocchiosi” pensò Jorge, ma scacciò l'idea subito: Lenja e Karen sapevano leggere nel pensiero pur essendo sostanzialmente due scarafaggi rispetto a Selhades; ma la regina degli afrit non fece nemmeno cenno di reagire.
«Dimmi, Jorge, perché mi hai cercata?»
«Sto morendo». Fece un passo verso di lei, ma gli sembrò di viaggiare in avanti per chilometri a una velocità esorbitante. La testa gli girò, ma non si lasciò distrarre. Tutti giochetti per intimorirlo. «Ho una piaga chiamata woromhabes. Mi ha preso i polmoni, e da lì il cervello. I miei veleni non stanno riuscendo a uccidere il tumore, e non mi rimane molto prima che...». Si bloccò con l'aria che gli rimase in gola e le lacrime spingevano per uscire. Prima di cosa? Prima che il suo cervello finisse schiacciato? Prima di una crisi epilettica che l'avrebbe ridotto a un bambolotto di carne balbettante? L'orrore gli strinse il cuore. Una mano di Selhades, calda, lo carezzò sul volto, ma lui si ritrasse.
«Tu sei un'afrit, giusto? Tu hai il potere di guarirmi. Non importa che maledizione mi lancerai per legarmi a te, cosa farai della mia anima o in quale mostro mi trasformerai. Farò quello che desideri. Solo ti chiedo di farmi vivere».
Selhades gli sorrise dolcemente. «Ma Jorge» sussurrò, ed era uno zefiro caldo e pregno di profumo come di cacao. «Tu sei già morto».
Il sudario del cadavere si sollevò, e lui si rese conto che non era mai stata una vecchia. Di fronte a lui c'era il proprio corpo contorto in un'espressione di dolore. Il volto era gonfio e chiazzato di rosso, la belle giallastra e molle, e fili di sangue scorrevano dalle narici. Selhades si mise a ridere mentre accanto a lei una schiera di figure ammantate di bianco agitavano degli aspersori fumanti bianco.
“Un'occasione speciale” aveva detto. Già, la messinscena del suo funerale.
«Troia!» strillò Jorge, sfoderando le lame. Selhades ora era al suo fianco e gli aveva afferrato il braccio. Con l'indice, uno per uno, reinserì i pugnali nel bracciale meccanico.

«C'è questa cosa in te che non comprendo» il sorriso dell'afrit si era fatto feroce, e lingue di fuoco scaturivano dai suoi occhi incandescenti. «Ovvero la completa rassegnazione al tuo destino, e allo stesso tempo il tuo desiderio di vincerlo».
Jorge le sferrò una ginocchiata, ma Selhades era scomparsa. Gli uomini incappucciati lo stavano circondando.
«Vuoi essere ucciso, vuoi sopravvivere» lo canzonò canticchiando. Jorge caricò uno dei dervisci, ma gli passò attraverso come con nebbia sottile.
«Taci!» urlò. «Piantala con i tuoi giochi del cazzo! Rispondimi. Io voglio vivere, vivere Selhades! Hai capito?» lacrime gli scorsero sulle gote. Aveva fatto due passi per entrare, e ora stava correndo da dieci secondi e la porta nemmeno la vedeva. Solo vapore e ombre mascherate nascoste fra i veli.
«La verità è che tu sei già morto, Jorge, ti sei ucciso per diventare questo orrore di ingranaggi e valvole e giustificare ogni crimine che tu possa mai realizzare per capriccio» la voce di Selhades era ora un incendio. «O forse molto prima, quando hai mesciuto il primo veleno per un uomo. Tu sei la peggior fattispecie di individuo che questo mondo possa creare: un malato, un pazzo ossessionato da un singolo pensiero, ovvero che tutto ciò che lo circonda sia un suo strumento. È una fortuna che tu sia semplicemente un verme. L'ultimo come te che è stato Re ha quasi distrutto il mondo».
Jorge si fermò ad ansimare, curvandosi sulle ginocchia. Fumo gli usciva dagli occhi a ogni battito di ciglia e il macchinario sulle sue spalle fischiava impazzito.
«Stai delirando, puttana! Cosa vuoi da me? Vuoi sentirti una dea giocando in questo modo?»
«No, Jorge». Selhades era di nuovo di fronte a lui. «Vorrei che tu capissi che al momento sei inutile. Tu non sei nulla e non mi serviresti a nulla. Ti ho fatto venire qui per essere certa che tu lo capissi».

Una voluta di fumo dietro di lei si scostò per far passare una creatura nera, simile agli incappucciati ma con il volto scoperto, mascherato con quella che sembrava una maschera liscia d'avorio. Jorge si ritrasse, ma l'ombra gli fu addosso e gli serrò le braccia strettamente.
«Ah, e i padroni di Lenja e Karen hanno iniziato a cercarti. Non molto aggressivamente perché sei solo uno stupido vecchio, ma ci tenevo ad avvertirti di persona prima che te le trovassi alle spalle e dessi la colpa a me. E non incolparmi nemmeno per questo simpatico signore».
Jorge avrebbe voluto urlare, chiedere cosa aveva intenzione di fare di lui, ma la maschera bianca gli si impose di fronte con forza, e un rumore come di raffiche di vento che spazzano un oceano di foglie gli raschiò le orecchie. Strinse i denti scalciando, ma ogni movimento era pesante, sonnolento.
Un istante dopo, buio.

Energia: 100%
Corpo: 100%
Mente: 100%
CS:
Passive attivate:
Attive:


Note: Jorge viene rapito mentre parla con Selhades, madre degli Afrit. Con il capitoletto sopra non voglio dire che Jorge sia stato esplicitamente notato dalle menti dietro il rapimento, semplicemente la voce si è sparsa e il narratore (che può benissimo sbagliarsi) crede che sia per questo che l'ombra scelga proprio Jorge da rapire.

Enjoy it :8):
 
Top
view post Posted on 21/1/2016, 17:57
Avatar

Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
·····

Group:
Member
Posts:
1,940
Location:
Roma

Status:




Il Demone passeggiava per gli stretti vicoli della città insieme al ragazzo che da più di un anno gestiva un dormitorio per chi ancora non riusciva a permettersi una casa nella nuova Capitale.
Montu a testa alta camminava con la mano poggiata sull’elsa della katana, non come se fosse in allerta ma evidentemente rilassato; aveva imparato a guardare la città, sapeva quando e dove poteva succedere qualcosa di spiacevole e senza dubbio nel quartiere del mercato poteva stare tranquillo.
La leggera camicia nera e il mantello dello stesso colore non nascondevano il suo corpo possente, e i delicati disegni rosso sangue sul tessuto rendevano l’imponente figura straordinariamente affascinante. Era come se gli occhi non volessero staccarsi dall’uomo che passava davanti ai negozi e ai banchi; non si poteva evitare di cercare di catturare nella memoria ogni singolo dettaglio, ogni ricamo, ogni oggetto che disegnava l’Eterno: il suo vestiario tanto semplice quanto ricercato, la sua lunga spada orientale, l’anello al mignolo della mano sinistra.
Accanto a lui il Sacerdote invece aveva il capo chino, una lunga tunica di un marrone più scuro della iuta ma che sembrava avere lo stesso intreccio dei sacchi fatti di quel materiale. Si guardava i piedi mentre camminava, senza prestare attenzione ai colori che la città restituiva ora che il Sole era alto e illuminava le spezie e gli oggetti esotici. Era evidentemente assorto nei suoi pensieri, sempre profondi riguardo la vita e la morte nonostante la sua giovane età.
-Kayris, ti vedo triste.-
-Montu, amico mio, le voci di ciò che è successo nello Sürgün-zemat sono giunte a Ladeca. È vero tutto ciò che dicono?-
-Cosa dicono?-
- Un esercito di mostri ha massacrato i pochi uomini che erano lì, i fratelli si sono combattuti posseduti da una forza malvagia… si dice persino che un Dio sia sorto dalla terra e abbia portato morte e distruzione.
Tu c’eri Montu… è vero tutto questo?-

-È vero. Non è stata una battaglia, piuttosto una carneficina; eravamo meno numerosi, peggio equipaggiati e non avevamo la furia cieca degli abomini del Baathos.-
-Per T’al! Creature del Baathos?!-
-Per quanto riguarda il Dio… beh devo essere sincero, non ho mai visto una cosa del genere. Era grande quasi quanto una montagna, ha squarciato il campo di battaglia comparendo dal sottosuolo, senza nemmeno accorgersi di quelli che schiacciava. La terra ha tremato e non si riusciva a stare in piedi; la sua sola presenza era un peso per l’anima, il suo potere era tanto grande da essere percepibile tanto quanto la gravità, e come la gravità credo che regolasse l’equilibrio del mondo.-
Kayris osservava rapito il racconto del Demone, nei suoi occhi puro terrore come se in quell’istante fosse stato trasportato nell’Akeran, mesi prima.
-Ma è successo qualcosa: una luce accecante all’orizzonte e il Dio è scomparso; ho sentito la forza tornare in me, avrei potuto ricominciare a combattere immediatamente ma la luce aveva spinto le creature a tornare nel Baathos. Alcune sono addirittura tornate normali. Ma… perché me lo chiedi?-
Passarono accanto ad un vicolo e Montu volgendo il capo riconobbe tra la folla, immobile, un’inespressiva maschera bianca che lo fissava. Ripensò a Loc Muinne, dove aveva visto per la prima e unica volta a Theras maschere di pregevolissima fattura, ma se non per l’istante di quel ricordo non badò a ciò che aveva visto.
Il Sacerdote rispose dopo qualche attimo di silenzio, la voce era rotta e aveva gli occhi lucidi.
-Durante un pellegrinaggio sono diventato molto amico di un ragazzo, un mamelucco. Mi ha scritto che sarebbe partito insieme alla sua tribù per combattere… e temo non sia sopravvissuto. E se ti dicessi di non soffrire molto la sua mancanza mentirei, nonostante siamo stati vicini meno di un anno.-
Il Demone fu sorpreso da quella rivelazione.
-Non essere angosciato dalla morte del tuo amico. Non gli è accaduto nulla di male, anche qualora fosse caduto in battaglia. Tu stesso mi hai insegnato che, quando qualcuno muore, l’anima… si stacca, torna al mondo dei Daimon, da cui proviene. E allora non dovresti gioire per il tuo amico che si è riunito ai Creatori di tutto? Banchetta con T’al, Zoikar e Yffrie. Non è forse questo un qualcosa di cui essere felici?-
-Tu come fai, tu che sei immortale?-
La domanda, tanto semplice, purtroppo non prevedeva una risposta altrettanto facile. Già, lui come faceva? Come aveva fatto ogni volta che aveva perso qualcuno che amava? Era un ipocrita, lui si era disperato ogni singola volta e ora diceva a Kayris di non farlo.
Mentre stretti uno contro l’altro attraversavano la folla nella piazza centrale del mercato di Ladeca Montu si bloccò. Il ragazzo pensò che fosse una conseguenza dei suoi pensieri ma il Demone stava di nuovo fissando quella maschera bianca. Ora più vicina ancora sembrava fissarlo, ed era un’inquietante coincidenza. Ma l’Eterno non credeva alle coincidenze. Strinse la mano sull’elsa, qualcosa di impercettibile che però lo rendeva una macchina da guerra pronta ad esplodere.
Un ragazzino che correva gli andò a sbattere sul gomito, Montu lo guardò male ma quello sparì tra i passanti senza nemmeno accorgersene e quando il Demone si voltò di nuovo… la maschera era scomparsa.
Cosa stava succedendo?
-Montu?-
-Scusami. Io, beh… l’immortalità si paga cara Kayris: ho visto morire tantissime persone, e ho affrontato ogni dolore com’era giusto fare.-
Imboccarono un vicolo secondario, angusto, isolato e senza anima viva a percorrerlo; era perfino più buio tanto i tetti delle case convergevano uno verso l’altro. La bottega che cercava il Sacerdote era ben nascosta. Rigattiere aveva detto Kayris ma ricettatore sarebbe stato più corretto, trafficante di reliquie per il mercato nero quasi sicuramente. Che ragazzo… audace.
-Sognano tutti di sconfiggere la morte e ottenere l’immortalità, ma a me sembra la peggiore delle condanne. È terrificante.-
-Una volta un generale ci disse che la vera immortalità è il ricordo che si lascia nella memoria degli uomini. E che sarebbe stato meglio non vivere piuttosto che non lasciare traccia del nostro passaggio.
Spronava gli uomini a combattere con naturale e disarmante semplicità.-

Il Sacerdote si limitò ad annuire pensieroso, forse il Demone era riuscito a distrarlo dal pensiero dell’amico.
-Siamo arrivati. Grazie per avermi accompagnato ma veramente non serve che resti. Non so quanto potrei metterci lì dentro.-
-Sei sicuro che possa andarmene tranquillo? Non è un problema restare.-
-Pensa a stare tu lontano dai guai! Cosa vuoi che combini un ragazzino come me, no?!-
Gli strizzò l’occhio ed aprì la porta poi si voltò di nuovo.
-Grazie, veramente di tutto.-
Entrò senza lasciare al Demone il tempo di rispondere. Un profumo di incensi e pergamena antica sbuffò fuori dalla “bottega” nell’attimo in cui la porta rimase aperta, e Montu restò impalato lì davanti sorridendo.



Si voltò.
Una maschera bianca a tre metri da lui.
Una nube di polvere viola.
Le narici e la gola bruciarono.
Gli occhi si appannarono.
Un dolore improvviso dietro la testa.
Un rivolo di sangue caldo sulla nuca.
La terra in bocca.
Il buio.



Energia: 150%
Fisico: 75%
Mente: 75%
Riserva CS: 0 []

Equipaggiamento:
Shokan: Riposta
Pistola: Riposta

Armature:
Pelle Coriacea [Arma Naturale]

Oggetti:
Biglia Stordente: 1
Biglia Tossica: 1
Biglia Deflagrante: 1
Corallo [+1 Forza, +1 Velocità, +2 Maestria nell’uso delle Armi]
Corallo [+2 Forza, +1 Velocità, +1 Intelligenza]
Gemma della Trasformazione
[Anello del Tuttofare - Immortalità]

Pergamene Usate:
//

Abilità Usate:
//

Passive Usate:
Immortalità. Passiva (Numero di utilizzi: ∞)
Il Demone sfonda lui stesso la barriera della non vita, divenendo un immortale e sconfiggendo la morte una volta per tutte.
La tecnica ha natura magica e conta come un'abilità passiva - si potrà dunque beneficiare dei suoi effetti in qualsiasi momento nel corso di una giocata. Il caster diviene a tutti gli effetti immortale, rimanendo in vita indipendentemente dalla quantità di danni subiti. Non potrà comunque continuare a combattere con una somma di danni mortali sul corpo, non sarà immune al dolore né agli effetti dei danni - ad esempio, con una gamba spezzata non potrà camminare. La tecnica garantisce una difesa dalle scene in cui è possibile perdere il proprio personaggio o al termine di un duello con Player Killing attivo: i personaggi possedenti questa passiva non potranno essere uccisi in nessun caso.
[Il Demone potrebbe comunque essere ucciso qualora gli si cavassero gli occhi]

Note: Nulla di particolare da segnalare. Buona Quest a tutti! :lul:
 
Top
view post Posted on 23/1/2016, 18:15
Avatar

Studioso
····

Group:
Member
Posts:
1,082

Status:



“Creazione”
- Blackout!





L’occhio di Àlfar scivolava lento dal bancone alla porta al boccale di birra semivuoto, cercando di catturare le piccole macchioline che la stanchezza faceva danzare in giro per la stanza: la locanda era poco frequentata a quell’ora e gli avventori erano per lo più ubriaconi sprofondati nell’alcool fino alle orecchie o qualche lavoratore appena rientrato dalla segheria. Quella sera non riusciva ad appassionarsi a nulla, la giornata era iniziata con il piede sbagliato. Aveva passato una notte quasi insonne e per tutto il giorno si era sentito osservato. La birra era quasi priva di sapore, lo spezzatino di cervo si stava raffreddando nella ciotola di legno...
Le sue orecchie faticavano a concentrarsi e tutto ciò che sentiva era un ronzio interminabile.
Di fronte a lui era seduto un frate grassoccio, intento a biascicare tra un boccone e l’altro: fagocitava i bocconi a una velocità tale da lasciare il dubbio che ne sentisse il sapore e la sua voce ricordava l’ozioso russare di un vecchio cane. Sta ancora parlando? il Viandante si alzò di scatto, impegnandosi per mantenere il corpo stanco su due piedi. Fissò il commensale e lo apostrofò con stentata cortesia. ”Va bene. Va bene! Purché tacciate. Mi occuperò dei briganti che danno noia al vostro tempio.” Fece per uscire e, dopo qualche attimo di esitazione, il frate accennò a seguirlo ”Non. Alzatevi. Ho bisogno di aria fresca. Mangiate pure e, per gli dei, cercate di gustare quello che avete davanti!”

Scivolò oltre l’uscio e si appoggiò al muro. Inalando a pieni polmoni l’aria notturna che risaliva dalla pineta poco lontana Le notti dell’Edhel sono sempre le più belle…un po’ fredde, forse, ma sempre rassicuranti. Le tempie gli pulsavano meno violentemente nella pace notturna. La piazza era vuota, ad eccezione di un pozzo in pietra leggermente decentrato e i banchi chiusi del mercato, illuminata dalla luna piena nella notte priva di nubi. Solo l’occasionale cirro, trasportato dal vento proiettava la propria ombra sul terreno battuto, una cresta d’onda su di un mare calmo.
In lontananza le ombre delle vie deserte inghiottivano lo sguardo.
Àlfar si voltò di scatto, con la coda dell’occhio aveva colto un movimento inconsulto: qualcosa si muoveva nell’ombra.
Quando una seconda ombra apparve e scomparve al limitare del suo campo visivo, il giovane decise di rientrare nella locanda. C’era qualcosa di strano.

L’atmosfera della locanda era cambiata.
Lo stanzone era vuoto, illuminato solo dalla luce che filtrava dalle tende logore. I tavoli erano coperti come se nessuno vi si fosse seduto da mesi. Non c’era nessuno dentro. Una musica d’archi si insinuava delicatamente nella scena.
L’unico oggetto fuori posto era un boccale di birra, sul bancone.
Qualcosa lo spinse a bere un sorso dal boccale.
Fu come svegliarsi da un incubo. La stanchezza e il mal di testa svanirono completamente e fu come se qualcuno avesse sollevato un mantello di piombo dalle sue spalle. Le fiaccole e il focolare tornarono a crepitare, gli ubriaconi cantavano senza melodie a supportarli e i lavoratori chiacchieravano e facevano a scommesse su chi avrebbe bevuto più birra. Àlfar era ancora in piedi al bancone, col boccale in mano.
La porta si aprì con un cigolio istantaneo e un colpo secco.
Si voltarono tutti.
Il silenzio cadde come la scure di un boia.
Una nebbia rossastra si espandeva sul pavimento.
Si udì un colpo sordo e il Domatore vide il pavimento avvicinarsi rapidamente.
Sentì il freddo della pietra e il ruvido della polvere.
Nessun suono.
Nessuna luce.
Tutto sbiadì in una nebbia grigia e, in fine, nel buio.




Note:
Sono arrivato anche io! Un po' in ritardo, ma sono comunque contento di quello che sono riuscito a produrre. Let's go! :D

Dialoghi:
Parlato / Pensato - Àlfar

 
Top
Caccia92
view post Posted on 25/1/2016, 20:12






Il Giorno Profondo
II








« Bekâr-şehir; Ex cava di durargilla, chiamata "La Linea Spezzata" »
Perimetro esterno; decimo ciclo lunare; 00:21.


La figura apparve all'improvviso, seguita da un lieve fruscio provocato dalla candida veste scura. Si affiancò all'altro personaggio che stava in piedi sul bordo del cratere, dritto come un fusto, a contemplare gli orrori sepolti della vecchia cava di durargilla.
« Abbiamo completato il lavoro. Attendiamo un vostro ordine. » bisbigliò il nuovo arrivato.
Sithoras non diede segno di averlo sentito. Gli occhi marroni si intravedevano appena oltre i buchi della maschera dorata, occhi fissi di un rapace collinare.
Per quanto disprezzasse schiavi e minatori, la sua mente non poteva restare impassibile di fronte ad uno spettacolo di cotanta devastazione: della Sezione Quattro non rimanevano che macerie. Anche se avevano operato con attività di scavo per recuperare i corpi e individuare i soggetti mancanti, il macabro susseguirsi di pietrisco e chiazze scure ricordava perfettamente agli osservatori quanta morte era stata disseminata in quel luogo. Sithoras riusciva in qualche modo ad individuare con facilità i punti in cui erano stati rinvenuti i cadaveri, forse perché aveva diretto lui stesso gli scavi. Di tanto in tanto il suo sguardo si posava su un lembo di tessuto, su una pentola o sul frammento di una tenda. Ed ora stava mandando altri uomini a morire nelle profondità del Baathos. Gli importava? Certamente: l'anima pagava il prezzo di ogni singola azione perpetrata sulla terra. Per quel motivo andava frequentemente a pregare al tempio.
Anche in quel momento stringeva tra le mani un'anello recante il simbolo del suo dio.
« Gli avete somministrato il veleno corretto? » chiese, senza ruotare il capo.
L'altra figura, uno dei sicari del Serpente, era rimasto pazientemente in attesa.
« Veleno di Cobra Alcrisiano, tre gocce a testa. »
« Bene. Portate qui le gabbie. »
Dopo qualche istante in cui tutto tacque, un pesante sferragliare si attaccò alla brezza notturna. Non vi era motivo di temere visitatori inopportuni, viaggiatori o altri disturbatori: in quella cava non giungeva mai nessuno. Raramente comparivano lupi del deserto che venivano ad annusare tra i massi e le pietre, ma svanivano quasi subito.
Sithoras concesse le spalle alla voragine solo quando il rumore metallico spezzò quello del suo respiro. Allora si voltò, con lentezza, per ammirare le tre gabbie e i tre prigionieri.
« Avete seguito dei canoni precisi? » chiese, osservando uno dei due uomini massicci svenuti all'interno dei contenitori di ferro « Uno dei tre pare già risentire del veleno. »
Si riferiva al terzo, un vecchio malaticcio che pareva sul punto di abbandonare la vita.
« No, è un tossicomane. Era già in questo stato quando lo abbiamo preso. »
Sithoras allungò appena il collo per squadrare l'anziano. Chissà di quali capacità era in possesso per essere selezionato come prigioniero. Forse aveva straordinarie capacità di sopravvivenza, sapeva preparare speciali psicofarmaci con pochi ingredienti, oppure...
Ma che diavolo stava facendo? Il suo compito era quello di soprintendere alla calata delle gabbie all'interno de buco che conduceva al Baathos. Non doveva interessarsi alle sorti delle vittime, sebbene avrebbe potuto mandare un seguito per verificare che tutto procedesse secondo i piani. Lei aveva assicurato che i tre uomini si sarebbero incontrati con i tre minatori scomparsi. Ricordava perfettamente le parole:
"Le persone disperate si ritrovano sempre in luoghi desolati e ricolmi di odio. Ma la natura umana è assai stramba...come le Iene di Yuktan: vivono in comunità, eppure si mangiano fra loro."
Ecco a cosa conducevano gli scavi illeciti. Quante vite sarebbe ancora costata l'esplorazione delle vene di Theras?
« D'accordo. Buttatele giù. » sussurrò, infine.
Sebo, Arman, Coy, vestiti esattamente come il giorno in cui li aveva visti per la prima volta, afferrarono saldamente le sbarre di metallo. Poi, senza un apparente sforzo, condussero i gusci fino al bordo del foro prodotto dalle scavatrici dell'Occhio del Serpente. Sotto, chilometri e chilometri in profondità, attendeva un mondo fatto di cristalli, caverne, lava e mostri. E minatori scampati all'inferno.
Sithoras pregò che non si incontrassero mai.







« Baathos; un luogo imprecisato sotto il territorio del Sultanato »
Una galleria scavata con i picconi; decimo ciclo lunare; 00:37.


Laskano si bloccò e allungò un braccio per fermare il piccone di Koman.
« Aspetta. Hai sentito? »
« Cosa? Chi è? »
Restarono in silenzio per alcuni minuti. Laskano era quasi certo di aver percepito un tonfo sordo in lontananza, come di qualcosa che cadeva pesantemente nel vuoto. L'eco era ancora udibile lungo le pareti della galleria che stavano scavando ininterrottamente da giorni.
Siccome non ci furono altri rumori sospetti, i due minatori si distesero. Ne approfittarono per fare una pausa.
Koman si sdraiò con poca eleganza sul pavimento roccioso e addentò di malavoglia le fettine di Skruman - non sapevano come chiamare i ratti dai molti piedi del Baathos, così avevano utilizzato il nome di un Guascon dell'ormai estinta Sezione Quattro - che aveva conservato tra le pieghe della tunica.
« Sono stufo marcio di questo posto, Laskano. » si lamentò il ragazzo « Carne di ratto sudicio, fatica, polvere e nemmeno un cazzo di diamante nel raggio di chilometri. »
« Le pietre preziose non ti aiuteranno a sopravvivere. Siamo stati già abbastanza fortunati con quella creatura borbottante. »
Si riferiva a qualche giorno prima: mentre andavano in cerca di cibo commestibile, lui e Koman si erano improvvisamente ritrovati faccia a faccia con un rettile dalle dimensioni considerevoli. Assomigliava ad una gigantesca lucertola che emetteva sbuffi di vapore caldo. Vapore blu. L'ignoranza era una cosa brutta, ma i colori vivaci erano sempre sinonimo di pericolo. I due erano fuggiti a gambe levate, perdendosi nei cunicoli del Baathos.
Per quel motivo erano stati costretti a scavare una nuova galleria.
« Non possiamo basarci sulle nostre conoscenze. Cosa ne sai che qui non è diverso? Cosa ne sai che questo tipo di pietra non conduce più in profondità, invece che in superficie? »
« Non lo so, infatti. »
La Thalamite, la roccia dei grandi complessi monumentali antichi, era un tipo di materiale che si estraeva a basse profondità. Avevano scelto una vena stranamente regolare di Thalamite come punto di partenza per la loro ipotetica via d'uscita. Tuttavia Koman aveva ragione: le regole del sottosuolo non coincidevano con quelle del mondo di superiore.
« Mi arrenderò solo quando le gambe cesseranno di reggere il mio peso. »
« Allora, considerando il tuo peso, accadrà preso. » sogghignò Koman.
Laskano sbuffò, pronto ad un pugno ben assestato sulla spalla dell'indesiderato compagno. Ma qualcosa lo fermò sul nascere; un nuovo rumore, molto più leggero, alle loro spalle.
« Questa volta l'ho sentito anche io. Credi sia quella bestiaccia? »
Erano fottuti. Non avevano scappatoie nello stretto tunnel di Thalamite.
« Prendi il piccone e prega il tuo ingrato dio. »









CITAZIONE

QM.POINT



Eccoci al secondo turno. Mi sono piaciuti i vostri lavori, spero continuerete nel medesimo modo anche per i prossimi giri.
Dunque, come avete probabilmente intuito, venite imprigionati e trasportati nella regione Akeraniana del Bekâr-şehir. Questo lo leggete dal testo, ma i vostri personaggi non lo sanno in quanto erano svenuti durante il viaggio. Siete rinchiusi in gabbie di ferro provviste di un lucchetto facilmente rimovibile dall'esterno, più difficilmente dall'interno; tuttavia potrebbe risultare relativamente semplice liberarsi dalla prigionia. La sconveniente aggiunta riguarda il vostro percorso, che comprende una spiacevole caduta di qualche centinaia di metri nel sottosuolo di Theras. Vi sveglierete quasi certamente durante il precipitoso salto nel vuoto, tuttavia le gabbie vi garantiranno una sorta di protezione dalla morte. Sbatterete contro rocce, spigoli e spuntoni, ma alla fine giungerete a terra più o meno integri (con qualche botta superficiale).
Non sapete per quale ragione vi è stato fatto questo. Indossate ancora tutto il vostro equipaggiamento (con equipaggiamento si intende tutto il corredo di oggetti presenti nella vostra scheda) con l'aggiunta di una piccola fiala di vetro contenente un liquido giallognolo. Non avete idea di cosa sia (anche se Alb†raum, vista la natura del personaggio, potrebbe intuirlo). Avete una fiala a testa.
In questo turno il vostro compito è quello di descrivere la caduta, l'arrivo nel sottosuolo, l'apertura della gabbia e le prime ore di sopravvivenza. Vi avevo preannunciato una certa libertà per questa giocata ed è questo che vi presento ora: non v'impongo alcun limite descrittivo e d'azione. Potete descrivere il luogo nella maniera che ritenete più opportuna e fare ciò che vi sembra più corretto. Cercare cibo? Cercare acqua? Orientarsi? Esplorare un cunicolo? Rilevare alcune impronte? Insomma, penso abbiate capito. Date sfogo alla vostra creatività.
Le uniche cose che mi sento di dirvi sono più che altro disposizioni generali e consigli.
Dove siete: nel sottosuolo di Theras, il Baathos. Si tratta di un articolato e immenso complesso di gallerie, caverne, grotte, laghi sotterranei, tane e fiumi lavici. Potete descrivere particolari più interessanti come gemme di un colore particolare o strane formazioni rocciose, ma cercate di rimanere nel contesto. Tuttavia nulla vi vieta di inventare un'isola fluttuante nel bel mezzo di una caverna.
Fauna e flora del Baathos: animali e piante sono molto più rari, eppure presenti in egual misura. Vi suggerisco i ratti dalle molte zampe descritte nel post, oppure strani pipistrelli provvisti di sei paia di ali, oppure piccoli bovini completamente pelati. Insomma, siate fantasiosi, ma niente di troppo pericoloso al momento. Ricordate che siete a digiuno da circa tre giorni. Per le piante vale lo stesso discorso, tenente conto che siete nel sottosuolo.
Nessun altro vincolo! Non esagerate e ricordate che i vostri lavori verranno valutati. Spero vi stuzzichi l'idea di una completa libertà. Interrompete il post quando ritenete di aver prodotto abbastanza materiale.
Sei giorni per postare, salvo eventuali problemi.
 
Top
view post Posted on 31/1/2016, 21:19
Avatar

Studioso
····

Group:
Member
Posts:
1,082

Status:



Il Giorno Profondo
- Caduto nell'ignoto.





Fu il senso di vuoto a svegliarlo.
Spalancò gli occhi, il sangue gli pulsava nelle tempie, non vide altro che buio. Percepiva il ferro delle sbarre che gli premeva contro la schiena.
Urtò qualcosa di solido simile a roccia e la gabbia sussultò sbattendolo da una parte all’altra, ancora e ancora. In qualche modo le rocce avevano frenato la caduta, palleggiandosi la gabbia, ma doveva pensare a un modo per non lasciarci le penne.
Provò ad aggrapparsi al ferro freddo delle sbarre, puntando i piedi, cominciò a dondolarsi seguendo i ritmi degli urti: le rocce di rompevano contro il metallo e la caduta rallentava un po’.
Il buio che lo aveva inghiottito si punteggiava ora di piccole lucette azzurre e verdi avvolte dalla nebbia. Con ogni urto le lucette aumentavano, la galleria si stringeva, sotto di lui una luce bianca si faceva sempre più grande.
Una pietra vagante lo colpì alla nuca e gli fece perdere la presa.
Per un istante tutto tornò buio.

Il fragore dello schianto lo scosse dal torpore, era coperto di lividi e ogni articolazione si lamentava abbondantemente. La gabbia aveva urtato un grosso cristallo bianco che ne aveva divelte le sbarre, sfiorando per un soffio il cranio del viandante.
Uscì dal suo “guscio”: per qualche metro attorno al punto dell’impatto si estendeva una specie di pozzanghera, profonda appena qualche centimetro. Tutto attorno, rischiarata dalla bioluminescenza di alcuni muschi e dal cristallo bianco, la cavità semisferica era coperta da uno spetto strato di muschi e piante morbide. Quindi queste piante hanno attutito la caduta…un bel colpo di fortuna. Ma non credo potrò uscire da dove sono arrivato. Aggirandosi per la grotta inciampò sulla sua bisaccia. Ad una prima ispezione sembrava tutto integro e presente, un'altra cosa positiva. E questa? Un regalino del genio che mi ha buttato di sotto? produsse una piccola fiala di vetro dai suoi averi: un liquido giallino di origine ignota si agitava all’interno. La aprì, la annusò, richiuse il tappo più confuso di prima. ”Beh, stare fermi qui non risolverà la situazione. Dunque, dunque, dunque…ah!” Si avvicinò a un mucchietto di licheni luminescenti. Piccole tracce di roditore erano rimaste sulla vegetazione circostante, scostò l’ostruzione e trovò un piccolo buco. Infilò la mano e un paio di piccoli denti affilati affondarono intorno al pollice. Soppresse con una smorfia l’istinto di ritrarre la mano e strinse invece la presa intorno al cranio di una creatura di piccole dimensioni. Tirò con forza e dal buco spuntò una specie di coniglio glabro, con due piccoli occhi rossi e le orecchie molto lunghe. Era grande quasi come un procione e per nulla contento dell’incontro con il Domatore. ”Buongiorno, cena!” ne spezzò il collo senza fatica. Non aveva un fuoco con cui cuocere la carne, ma tanto l’animale quanto l’aria avevano un leggero odore di zolfo. Una qualche fonte di calore doveva essere vicina.
Le luci sulle pareti proseguivano in una specie di galleria naturale, da cui l’odore di zolfo proveniva più intensamente.
Si avviò in quella direzione, rimpiangendo di non aver finito quello spezzatino quando ne aveva avuto l’occasione…

Per quelle che percepì come ore, ma che avrebbero potuto essere minuti senza adeguati riferimenti per la misurazione del tempo, camminò nella pallida luce appoggiandosi alle pareti gelide. L’odore di zolfo aumentava.
Svoltò a destra, poi sinistra e ancora a sinistra. La vegetazione si chiudeva come il tunnel in cui si trovava. Il pavimento scendeva bruscamente. Un leggero calore emergeva dal sifone. ”Andiamo, piccoletto, è ora di mangiarti. O trovo qualcosa per cuocerti o ti mangio crudo in barba alla salmonella.” Saltò giù per la discesa, il muschio scivoloso gli diete una mano non indifferente.
Il buio incontrò un bagliore rossastro, il freddo cedette il posto al tepore, il muschio umido alla nuda pietra. E Àlfar si sentì improvvisamente minuscolo.
Davanti ai suoi occhi si apriva un lago sotterraneo, profondo e smeraldino, tra le cui acque guizzavano creature acquatiche di ogni sorta e dimensione: al centro del lago emergeva una piccola isola alberata, attorno alla quale saltavano dentro e fuori dall’acqua cose simili a delfini. L’odore di zolfo emergeva da pozze di lava, che scaldavano l’ambiente con piccole fiammate. Senza pensarci due volte si avvicinò ad una di quelle e cominciò a cuocervi la sua preda. Un pasto più che benvenuto.
Terminatolo si dedicò a studiare l’ambiente.
Sembrava uno snodo. Le pareti della cavità ospitavano centinaia di cunicoli di piccole o medie dimensioni, non tutte adatte a far passare un uomo delle dimensioni di Àlfar. In un certo senso era confortante. Qualcosa di piccolo poteva mangiarlo senza fatica e poche creature di grosse dimensioni potevano cogliere qualcuno di sorpresa.
Si avvicinò all’acqua: odore e colore non avevano niente a che vedere con le sorgenti pure dell’Edhel, ma erano comunque invitanti. Ne prese una manciata e assaggiò con attenzione. Dolciastra…ma non potevo certo sperare in un lago di birra scura. Farà alla bisogna. Ne riempì la borraccia e proseguì a dissetarsi.
Per qualche minuto si perse nell’ammirazione della caverna, cercando di capire in che direzione andare per uscire e tornare al mondo esterno…
Un rumore aspro, raschiante e frammentato, risuonò nella caverna.
Portava qualcosa di familiare con sé, era un suono che Àlfar aveva sentito molte volte nei villaggi della sua terra natia.
La possibilità di non essere solo in quella situazione era al contempo una preoccupazione e una gioia: cercò la cavità da cui veniva il suono e la infilò senza pensarci due volte. Amico o nemico era una questione per dopo.






Note:
Mi sono appena reso conto che nel post precedente ho lasciato il titolo di un'altra giocata^^ Per favore non fate caso all'errore di trascrizione. ^^

Comunque, ci sono un paio di puntualizzazioni: in tutto il tempo tra la caduta e la corsa verso Jorge dovrebbe essere circa 5 ore, ma sono rimasto vago proprio perché non sapevo esattamente gli altri cosa avrebbero fatto in termini di "tempo trascorso". Altra cosa: la tosse di Jorge. Ero in dubbio fino alla fine se usarla subito o fare diversamente, ma alla fine mi stavo andando ad impantanare e ho preferito fare così. Spero che ad Alb non dispiaccia troppo ^^

A parte queste due cose spero solo che sia venuto bene come sembrava a me.

Buona lettura.

Dialoghi:
Parlato / Pensato - Àlfar

 
Top
Alb†raum
view post Posted on 31/1/2016, 22:05




Jorge era a tavola e tagliava un pezzo della bistecca che aveva davanti. Non c'era piatto e la carne ancora cruda gocciolava sangue man mano che ne incideva la molliccia superficie. Si portò il boccone alla bocca e lo innaffiò con un sorso di acqua fangosa dal proprio calice di vetro scheggiato. Un dolore bruciante: si era tagliato le labbra. Tamponò il sangue con un tovagliolo, e quando lo allontanò si trovò di fronte al corpo di suo padre, sdraiato su un tavolaccio di ferro; un uomo con la barbetta bianca e due guanti che gli arrivavano fino a metà braccio stava aprendo il cranio con una piccola sega, spargendo polvere d'osso e schegge.
«Guardi» disse l'uomo, infilando le mani dentro il teschio e cavando fuori una massa di carne informe, simile a melma, immersa in un siero rosso diluito che colava a terra. Un odore di marciume penetrante fece rivoltare le budella al tossicologo. «Lo ha completamente divorato dall'interno. Non è orribile?».
Jorge tese una mano per allontanare da sé quell'orrore, ma la vide amputata, con ematomi nerastri dove ci sarebbero dovute essere le dita e un intreccio di vene pulsanti sul dorso, come budella esposte all'aria.
Il terreno gli mancò sotto i piedi, e con un grido strozzato cadde nel vuoto.

Aria fredda gli soffiò in faccia; un mal di testa gli bruciava le tempie come se stessero pompando acido nel cranio, e quando aprì le palpebre pesanti non intravide che altro buio.
Fu la sensazione di avere le budella schiacciate contro la gola che gli fece intuire cosa stesse accadendo.
Uno stridore metallico gli fece serrare i denti. Jorge batté con la spalla destra contro una parete, tanto vicina che non riuscì a distendere il braccio per attutire l'urto. Di fronte a lui sprizzarono scintille, e il tossicologo intravide un costone roccioso che premeva con forza contro quella che sembrava una gabbia.
“Cosa... diavolo...?”. Un'altra botta. Si ritrovò capovolto con le braccia schiacciate dietro la schiena. Strillò. La gabbia continuava a cadere e rotolare contro la parete, e lui venire sbattuto da una parte all'altra, incapace di mantenersi fermo, tanto che smise di contare le volte in cui urtò con testa, schiena o ginocchia il ruvido metallo. L'angoscia gli compresse il petto e in mente aveva solo quel clangore continuo e la domanda: “quando finirà?”.
Un ultimo urto, poi la gabbia si mise a scivolare su un pavimento di calcare e infine si bloccò. Jorge rimase immobile, con le ginocchia premute sul petto in quell'angusto spazio. Il respiro meccanico si infrangeva sulle pareti come un'eco lamentosa. Sollevò un poco la testa tenendosela con una mano, e il dolore gli colorò la vista di rosso. Dov'era? Cosa era successo? L'ultimo ricordo che possedeva era vago, distante: Selhades che gli mormorava quella frase strana, dicendogli che lei non c'entrava nulla, poi il sonno nero in cui era stato inghiottito. Eppure era certo che quella troia c'entrasse, che lo avesse scagliato in qualche abisso profondo per vederlo strisciare fuori a fatica. Strinse i denti con rabbia, e sferrò un calcio alla gabbia. Questa scivolò per qualche metro, poi ci fu il suono di sassi che scivolano. Un rimbombo. Lo stomaco di Jorge si serrò.

Tastò alla ricerca di un'apertura, una serratura o quant'altro. Le dita disegnarono finalmente il contorno di cardini; la chiusura, poco distante, non era che una barra orizzontale che la teneva serrata. La afferrò con due dita dall'interno della gabbia e la strattonò. Scivolò senza smuoverla di un centimetro. Gli urti dovevano averla bloccata, dannazione! Tentò di stringerla con le unghie per avere più presa, ma il freddo metallo resistette e gli si piegarono, con un dolore acuto e bruciante che gli si propagò per le dita. Se le portò alla bocca per succhiarle, le allontanò con senso, pensando a tutte le porcherie che potevano aver accumulato, poi lo fece comunque. Sapore metallico, sangue. Era quella la fine, allora? Ucciso da una serratura bloccata, costretto a crepare di stenti in quello spazio dove non aveva nemmeno modo di sdraiarsi per dormire? Alla fine lui sarebbe morto comunque, preso dalla woromhabes o dai propri stessi veleni, ridotto a uno scheletro rantolante con poca carne attaccata alle costole.
Rimanere immobile, tuttavia, a lasciare che quella sete e quella fame che già lo tormentavano lo divorassero era un'idea inaccettabile, che gli fece montare raccapriccio.
Estrasse una lama dal bracciale e la fece scorrere dove il metallo si era incastrato. Il perno che sigillava la gabbia si era piegato verso l'interno e bloccato fra le sbarre, così che non riusciva a scorrere; Jorge infilò il pugnale tra questo e la gabbia e fece leva. Si sentì uno scricchiolio, e il tossicologo pregò che non si trattasse dell'arma.
La serratura cedette di colpo. Ci fu il clangore del ferro divelto, un tintinnio. La prigione era ora aperta.

Jorge strisciò fuori lentamente, con le gambe che dolevano in ogni giuntura. Erano le botte? No, sembrava più quella sensazione causata dal rimanere fermo troppo a lungo. Chissà per quanto tempo lo avevano imprigionato, drogato e incosciente, prima di gettarlo in quel buco senza luce.
Sfilò le gambe dalla gabbia, assestando un calcio per sfilarsela. Uno stridore, e poi un clangore echeggiante, più volte, come se ci fossero diversi urti. Le scintille contro una parete rocciosa illuminarono per un istante l'abisso alle spalle di Jorge.
“Stai calmo” mormorò fra sé e sé. Il suo respiro rantolante si faceva raschiante man mano che il disagio aumentava. Strisciò in avanti, piano, tastando con le mani il terreno di pietra calcarea per essere sicuro di non essere capitato su un'isoletta circondata da un precipizio. Le ginocchia sfregavano contro la roccia e imploravano che si mettesse in piedi, ma aveva paura. Aveva paura di perdere l'equilibrio e cadere, di andare a sbattere con la testa contro un soffitto acuminato, di disturbare una qualche bestia di quelle profondità.
Avanzò ancora come un verme. Le dita toccarono qualche cosa di umido e molliccio. Le ritrasse con un gemito. Un'esplosione di scintille illuminò per un istante la sua mano contratta.
“Cosa diavolo...?”. Sfiorò il mucchio molle. Un altro piccolo bagliore.
“Una pianta, un animale?”. Conosceva una manciata di specie comuni che potevano emettere luce, e qualche altra creatura più rara in grado di utilizzare la magia o il fuoco; ma pochissime piante, e perlopiù alghe, emettevano luce. Poteva essere velenoso? Probabile, tuttavia il burrone che si trovava accanto forniva una più facile via di morte che qualsiasi tossina nell'aria o spore letali che potessero mangiargli il cervello.
“Potrebbe uccidermi lentamente. In due, tre mesi deteriorarmi i nervi”. No, non poteva rischiare, era pericoloso, troppo pericoloso. Anzi: l'aveva già toccato! Non sentiva le vene del braccio pulsare e trasportare le tossine, l'acido corrodergli i tendini e i muscoli, il cervello diventare poltiglia? Portò una mano verso lo scomparto degli antidoti del bracciale e lo fece roteare freneticamente. Una cura, un placebo, qualsiasi cosa che potesse fermare quel...
C'era una boccetta di forma strana fra quelle agganciate; una che di solito non usava. Se la rigirò fra le dita. Cos'era? Tolse il tappo, la annusò, arricciò il naso. Un odore acido, penetrante; non qualcosa di buono. Lo richiuse e lo ripose nello scompartimento. Cos'era, l'opportunità che Selhades gli dava di farla subito finita? Perché era stata quella troia a lanciarlo laggiù, non era vero, quantunque abbia detto. Voleva farlo impazzire o provare a vedere se fosse in grado di sopravvivere, e lui sarebbe sopravvissuto e tornato da lei. Questa volta per la sua testa.
Sfilò il bastone dalla cintura e lo usò per tastare l'erba – o mucillagine, o qualunque cosa fosse – e ogni volta che la premeva un soffio di luce simile a fumo scaturiva dai filamenti. C'era qualcosa di più duro in mezzo, come un guscio di noce. Jorge si sollevò lentamente e schiacciò con il proprio peso, e con il rumore di qualcosa che si spezza il terreno rimase infangato di quella sostanza luminescente, abbastanza forte da abbagliarlo dopo quell'infinito buio.
Jorge stracciò un pezzo di mantello e lo imbevette di sostanza, poi lo avvolse attorno al bastone. La torcia realizzata non pareva di lunga vita o grande forza, ma almeno lo avrebbe condotto fuori di lì senza che inciampasse oltre l'orlo del burrone.
“Ora ho bisogno di acqua” pensò leccandosi le labbra secche. “E cibo. Ma soprattutto acqua”. Scartò di potersi dissetare del composto luminescente e cominciò a camminare zoppicando, con crampi che gli ricordavano la prigionia a cui era appena sfuggito. Con la torcia si faceva luce dove metteva i piedi, e senza una meta precisa proseguì verso un cunicolo.
“Una fonte sotterranea. Anche con zolfo dovrebbe andar bene”. Rimase in silenzio per un istante, sperando di udire in lontananza uno scrosciare; ma il suono dei meccanismi copriva qualunque altro rumore, e non distinse nulla.
“Quanto sono in profondità?”. Si portò una mano alla tempia. “Magari è solo una grotta superficiale” guardò la propria torcia improvvisata e si ricordò della pianta con cui l'aveva costruita, mai vista prima nonostante gli innumerevoli anni trascorsi nello studiare erboristeria. “Una grotta dalla flora bizzarra”.
Un chiarore in lontananza, poco dopo una svolta. Rosso, come il fuoco di una torcia o un tramonto. Jorge accelerò il passo sperando che si trattasse di un'altra persona, o magari anche dell'uscita. “Potrebbe essere qualche malintenzionato” pensò, ma in quel momento non importava: se anche fosse stato aggredito avrebbe potuto difendersi e depredare il corpo di quello sventurato una volta che lo avesse ammazzato; e se fosse stato Jorge a morire, non ci sarebbe stato più alcun problema.
Fu nello svoltare l'angolo che comprese che, forse, non era solo una grotta superficiale.

Davanti a lui c'era un fiume incandescente. Il magma scorreva denso e poi cadeva con scintille in un pertugio fra le rocce; sopra, una sottile crosta nera si induriva e poi scioglieva alternamente, creata dall'aria e poi distrutta da quel moto continuo. Jorge si allargò il colletto della giacca, allontanandosi di qualche passo.
“Questo è... il Baathos?”. Le budella gli si strinsero. No, non poteva essere. Le profondità di Theras erano state scavate in più punti da fenomeni naturali; poteva trovarsi in qualunque cava o in qualsiasi altro buco sulla faccia della terra...
“Ciò che sappiamo del Baathos lo abbiamo ricavato soprattutto tramite la tortura su demoni o divinazioni magiche” le parole del libro De Profundis gli echeggiarono in testa. “Nessuno è mai sopravvissuto a un'esplorazione prolungata nell'abietto sottosuolo del continente”.
Barcollò contro una parete, la torcia gli cadde a terra. “Lava cade in laghi di portata pari a quelli acquatici in superficie; scorre liquida per chilometri, senza raffreddarsi o seccarsi, come se un cuore di roccia fusa infinita lo alimentasse”. Poi pagine di calcoli per tentare di capire il diametro di un tale nucleo magmatico, e la conclusione che doveva esserci invece un qualche fenomeno magico in atto.
Nel leggere quel libro Jorge aveva pregato di non essere mai costretto a giungere in un inferno del genere.
Si chinò a raccogliere la torcia tentando di mettere in ordine fra i pensieri, decidere un piano o perlomeno non soccombere al desiderio isterico di trattenere il fiato fino a scoppiare. Qualcosa oscurava la torcia. Senza badarci avvicinò una mano per pulirla... prima di rendersi conto che una bestia, simile a un insetto e grossa come un ratto, si era arrampicata sul bastone e succhiava avidamente il fazzoletto imbevuto con una piccola proboscide.
D'istinto il tossicologo schiantò la punta come una parete; l'animaletto saltò giù prima dell'impatto e avanzò verso Jorge soffiando come un gatto imbestialito. L'addome gli si gonfiò in una viscida e scura tumefazione, e caricò Jorge con le lunghe zampe che ticchettavano sulla roccia.
Lui sollevò un piede e lo schiacciò quando fu a portata.
Ci fu lo scricchiolio dell'esoscheletro e degli arti che si spezzavano, poi puzzo di uova marce si sparse nell'aria. Uno scatto vicino alla caviglia; Jorge sobbalzò. Due mascelle appuntite si erano chiuse sul lembo dei pantaloni e lo stavano strattonando con le ultime energie che rimanevano alla bestiaccia. Il tossicologo sollevò la gamba e colpì il corpo una, due, tre volte, e la testa saltò via portandosi appresso uno straccetto delle brache.
Ansimò piegandosi in due. A terra, i fluidi corporei dell'animale imbevevano un mucchietto di vermetti sottili e bianchi, probabilmente parassiti che fino a quel momento erano vissuti al suo interno. Con una smorfia di disgusto li scavalcò, cercando di ricordarsi quale fosse la strada da cui era venuto; inciampò, e nel riprendere l'equilibrio per un istante rivolse lo sguardo verso l'alto.

Una fila di insetti giganti camminava sopra di lui, tre o quattro metri in alto, silenziosi. Altri zampettavano lungo le pareti, e parevano una grottesca e orripilante parodia delle formiche. Anche il loro comportamento era simile: portavano fra le zanne pezzi di roccia lavica, larve, mucillagini fluorescenti, e camminavano in file ordinate, seguendo forse scie di odori, forse l'istinto.
Una di loro tastò con le antenne il calcare, poi, trovato il punto giusto, lo incise con le proprie chele e penetrò senza difficoltà nel foro. E pensare che quella morsa terribile gli aveva quasi tranciato una gamba...!
Un'altra formica si calò verso di lui per annusare la pezza luminescente e tese una proboscide. Jorge la allontanò bruscamente, e l'animale rimase confuso, ad agitare le antenne come cercando qualcosa. L'istante dopo Jorge aveva trasformato la sua testa in una chiazza sulla parete.
“Devo andarmene”. Corse indietro, sperando di arrivare dal luogo da cui era venuto, ma cinque gallerie gli si aprirono di fronte, e lui non ricordava di averne viste così tante. Ne imboccò una. Tornare al precipizio non era meno pericoloso che essere persi.

Sopra di lui ancora zampettavano quei mostri. Sembravano tuttavia all'erta: agitavano le antenne contro le pareti e si spostavano sui muri, tastando nella completa cecità. Quando lui passava, si allontanavano di gran lena, presi dalla paura.
Imboccò un cunicolo, poi un altro. Un animale simile a un equino dalla viscida pelle bianca e non più grande di un cane era smembrato in un angolo del cunicolo, le budella srotolate simili a una gelatina trasparente. La carcassa di un pipistrello accoglieva delle larve che, senza mangiarlo, si godevano il calore corporeo dalle orbite degli occhi e da innumerevoli fori nel corpo.
Era un inferno assurdo, senza senso, e più proseguiva più la mostra si faceva disgustosa, con vermi enormi nei cui cuori trasparenti si intravedevano nuotare dei parassiti; una creatura che pareva una talpa dalla pelle viscida e le zampe di rana che fuggiva inseguita da una formica. Le ramificazioni di cunicoli vennero presto sostituite da delle cuccette in cui erano ammassati corpi, e una spalmata di liquido fluorescente in cui larve si contorcevano affamate.
Il corridoio poi si concluse in un'altra curva. Un bagliore; altra lava? Jorge avanzò con cautela.
Mezzo centinaio di insetti erano appesi al soffitto per le tenaglie in un'ampia insenatura scavata nella roccia. Il loro addome era gonfio, pesante, e pendeva pigramente mentre altre formiche si avvicendavano attorno a loro per staccarli. Emettevano una luce abbastanza forte perché Jorge non avesse bisogno della propria torcia per rischiarare.
“Sacche di nettare” balenò nella mente di Jorge. Anche le formiche comuni si trasformavano in depositi viventi di acqua e zucchero per conservare nutrimento durante le carestie. Da bambino a volte aveva scavato la terra della palude per cercare quei palloncini dolci e mangiarli, con l'orrore di sua madre che continuava a sgridarlo; ma erano buoni, e in assenza di dolciumi era il meglio che potesse trovare.
Adesso, con la bocca arida e la testa che gli girava per la fatica e la fame, erano letteralmente una manna.
Mirò con il bracciale e sparò; tranciò la testa di una formica che stava trasportando una sacca di miele, e l'insetto deforme cadde a terra, annaspando con le zampe ma incapace di muoversi.
Un muro alle spalle di Jorge esplose. Due zanne gigantesche fecero capolino.
Guerrieri. Doveva sbrigarsi: se le operaie erano in grado di fare buchi nella roccia, non era in grado di prevedere cosa potessero fare questi esemplari. Afferrò la sacca di miele e se la caricò sulla spalla. Era pesante, ma perlomeno non tentò di difendersi. Prese la strada al contrario senza guardarsi alle spalle, tentando di resistere alla nausea mentre le zampe del bottino si contorcevano spasmodicamente.
Tutto il formicaio gli stava alle calcagna; la luce emessa dal suo carico rischiarava il soffitto abbastanza perché intravedesse le formiche saltare da una parete all'altra e scendere in colonne simili a colonne. Ne scansò di pochi centimetri, mentre due chele gli si chiudevano a un palmo dal naso. La parete di fronte a lui esplose; una guerriera zampettò fuori serrando le fauci; Jorge la scavalcò con un salto. Non erano così grosse, tutto sommato.
Fu fuori, in un altro spazio aperto. Lì un burrone lo separava da un'altra parete rocciosa; bestie la costellavano, attendendolo.
Due tenaglie eruppero dal terreno sotto di lui. Jorge saltò nel vuoto, il respiratore fece soffiare le ventole posteriori e l'istante dopo fu in volo.

Il terreno sotto di lui era illuminato da qualche formazione di cristallo fluorescente; e nell'abbassarsi, Jorge notò depositi di questa sostanza bianca sempre più grossi. Il fondo si rivelò essere una miniera di grosse formazioni appuntite, di forma esagonale, che sporgevano in varie direzioni. Era forse opera umana? Lì nel profondo aveva visto sufficienti assurdità per non dubitare che, forse, anche questi fossero reali. Ne sfiorò uno. Emetteva un leggero tepore, come un fuocherello o una carezza.

Posò l'insetto a terra, che non aveva smesso di dimenarsi e gli tastò l'addome, tanto pregno che un poco di melata gli unse le dita. Era mollo, umido, simile al latte della Gerba, quello che uccideva in tre notti.
“Vale la pena rischiare?” pensò. L'odore dolce della sostanza gli comprimeva lo stomaco di fame, e anche la sete lo tormentava. Era come quell'imperatore, Ahasuerus, che una volta visto il proprio regno crollare aveva vagato nel deserto e si era ritrovato a bere una pozza di piscio di cammello e ad affermare di non aver mai assaggiato bevanda più squisita. Si portò alla bocca il nettare e lo succhiò, e gli ricordò il sugo delle pesche mature. Perlomeno era meglio di urina.
Affondò un pugnale nel dorso della bestia e si mise a bere il liquido prima prendendolo con le dita, poi leccandolo, infine sorbendolo direttamente dalla ferita inferta. Si fermò una volta calmata la sete e zittita, per il momento la fame.
Si sedette contro uno dei cristalli e si guardò attorno. “Se questo è il Baathos, ci saranno demoni” pensò di sfuggita. Probabilmente già queste formiche erano tali. Tirò un calcio alla sacca di miele, e questa ronzò indispettita. Aveva davvero ben poco di diabolico quella creatura; eppure era un abbozzo deforme, una caricatura fatta carne, così come tutte quelle bestiacce morte ammassate nel deposito di quelle della sua stirpe. Il Baathos nascondeva molto più che quelle formiche scavatrici di roccia, questo era certo. C'era un'uscita da quell'inferno o sarebbe morto lì, divorato da un abominio o sfiancato dal ricercare nutrimento?
Avvertì dei passi avvicinarsi. Jorge si alzò, estrasse i pugnali e rimase in attesa, con il rumore del respiratore che nascondeva il ritmo impazzito del suo cuore.

Energia:100%
Corpo: 100%
Mente: 100%
CS:
Passive attivate:
[Passiva del secondo livello del talento eremita; capacità di volare (5/6)]

Attive:


Note: Jorge affronta uno sciame di formiche giganti e fugge con una Sacca di miele (una mutante riempita di melata) grazie al jet-pack. Nient'altro, suppongo.

Enjoy it :8):
 
Top
view post Posted on 1/2/2016, 13:41
Avatar

Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
·····

Group:
Member
Posts:
1,940
Location:
Roma

Status:




Uno scossone lo fece svegliare, ma aprendo gli occhi sperò di star vivendo ancora un incubo. Il forte dolore alla nuca arrivò di colpo privandolo della sua speranza: si trovava in una gabbia metallica e precipitava verso un abisso dove non sembrava potesse arrivare la luce. Il budello era poco più largo della gabbia, ad ogni spuntone roccioso questa si ribaltava e il Demone cozzava contro le spesse sbarre; cadde, dopo l’ennesimo scossone, con la schiena verso il buio e le terrorizzò il fatto di non riuscire a vedere l’inizio della foiba. Le pareti rocciose si avvicinarono e la gabbia iniziò a sgretolarle rallentando progressivamente la sua corsa; improvvisamente Montu si rese conto che se si fosse schiantato al suolo in quell’istante si sarebbe rotto le gambe, era difficile perfino tenersi in piedi dato che le piattaforme metalliche che fungevano da tetto e fondo della gabbia le aveva ai lati ed era costretto a poggiare i piedi sulle sbarre scivolose. Riuscì ad alzarsi poggiando le mani contro le lastre piegate dagli urti e aggrappandosi alle sbarre che davano verso l’alto; piegò le ginocchia verso il petto sperando che l’urto non distruggesse completamente la gabbia. La pareti si piegavano verso di lui, sempre più deformate, finchè una sbarra non schizzò fuori dalla sua posizione e precipitò anch’essa.
Poi di colpo la caduta si arrestò, le mani del Demone cedettero sotto tale sforzo e rovinò sulle sbarre sbattendo le costole sul metallo: il fiato gli si mozzò e il dolore gli esplose nel petto, un braccio penzolava nel vuoto e sulla fronte un piccolo rivolo di sangue dal taglio che si era fatto sbattendo contro il metallo, era stordito e dolorante ma almeno vivo.
Perché si era bloccata di colpo? E perché senza raggiungere il fondo? Non vedeva nulla intorno a sé ma era sicuro che la gabbia si fosse incastrata contro le pareti.
Ora doveva uscire.
Aveva sentito una delle sbarre saltare durante la caduta, forse le pareti piegate ne avevano indebolite altre.
Cercò a tastoni quella mancante per poi verificare che quelle vicine potessero cedere con qualche colpo ben assestato. Una delle due ai lati del buco che si era creato si muoveva molto, si era piegato l’alloggio e un’estremità era stata spinta leggermente verso l’esterno, se fosse riuscito a rimuoverla sarebbe potuto passare. Rimaneva solo da capire quanto si trovava in alto rispetto al suolo.
Cominciò a calciare di peso il ferro indebolito, l’eco dei colpi si propagava nel tunnel verticale.
Quando finalmente la sbarra cedette Montu la sentì toccare il suolo quasi immediatamente e il rimbalzo del metallo lo convinse che si trattava di una superficie piana: poteva calarsi senza paura.
Si sedette sulle sbarre rimaste con i piedi nel vuoto, poi aiutandosi con le mani saltò giù. Toccò la roccia poco meno di tre metri più sotto e ammortizzò l’urto piegando le ginocchia.
Era fuori.
Già… era fuori. Ma fuori dove?
Non vedeva ad un metro, sapeva solamente che la gabbia in precario equilibrio pendeva come una spada di Damocle sulla sua testa. Il fuoco invase le sue membra, gli arti si allungarono e i muscoli si svilupparono ulteriormente, due corna spuntarono dalla sua fronte e gli occhi lasciarono spazio a due bocche di vulcano.
Le venature illuminavano debolmente l’ambiente che lo circondava, ma poteva usare una delle sue mani -avvolta dalle fiamme- come torcia.
Muoveva il palmo aperto verso il punto che voleva illuminare, e si rese conto che c’era solo una via di fuga dalla piccolissima grotta in cui era caduto: un basso tunnel -questa volta orizzontale- che si allontanava nell’oscurità, avrebbe dovuto percorrerlo con gambe e schiena piegate, ma poteva andare solo in quella direzione visto che la scalata del buco da cui proveniva era sicuramente impossibile.
Ad un tratto, calata l’adrenalina dovuta al pericolo mortale, arrivò la lucidità: dov’era? Perché era lì? Chi l’aveva condannato a quell’abisso?
Gli tornò alla mente l’ultima cosa che aveva visto: la maschera bianca. Ma chi fosse quell’uomo e perché l’avesse scaraventato laggiù non poteva immaginarlo.

Si infilò nella spaccatura brandendo la sbarra divelta e acuì i sensi per evitare di essere colto impreparato da qualche creatura, camminò per una trentina di metri prima di sbucare in una grotta molto più ampia. Le fiamme sulle mani non riuscivano ad illuminare molto di quello che sembrava essere un ambiente immenso; l’aria era fredda e sembrava esserci un fiume che scorreva veloce da qualche parte lì vicino.
Il Demone si rese conto di avere fame, e quello poteva essere un problema non facilmente risolvibile in una grotta chissà quanti metri sotto terra. Decise di andare verso il fiume, forse poteva trovare qualche mollusco commestibile che poteva cuocere semplicemente tenendolo in mano. Raggiunse quello che era poco più di un rigagnolo ma capì subito che qualcosa non andava: non era un ruscello d’acqua, quello che scorreva era uno strano liquido argentato che veniva illuminato ma non rifletteva le fiamme. Quando l’Eterno avvicinò la mano per vedere meglio e cercare di capire il liquido acquistò velocità ed uscì dai suoi argini. Sentì dietro di sé lo scalpiccio di piccole zampe sulla roccia, forse topi che sarebbero potuti diventare un pasto. Sgradito ma necessario vista la mancanza di acqua.
Si voltò e puntò la mano nell’oscurità, ma quello che vide gli fece trattenere il fiato per lo stupore.
Aveva davanti a sé un ratto grande quanto un piccolo cane, gli occhi completamente bianchi sembravano fissarlo mentre il muso glabro annusava l’aria cercando di capire cosa fosse l’intruso. La rosea pelle esposta e l’evidente cecità potevano essere normali per un animale cresciuto sotto terra, ma le numerose paia di zampe che facevano presa sul pavimento roccioso erano decisamente innaturali. Montu riuscì a contare sette arti prima che l’animale schizzasse via. Una preda che non poteva farsi scappare, qualunque cosa fosse. Gli corse dietro cercando di raggiungerlo, sapeva che lì sotto poteva essere difficile trovare altro, quindi prendere o meno quell’essere avrebbe potuto fare la differenza tra vita o morte.
Si infilò in una spaccatura, si mosse più veloce che poteva lungo il fianco, sentiva le zampe correre via, scavalcò quello che sembrava un tronco fossile e poi sbatté contro una parete. Ginocchia e mani sulla roccia fredda, alzò la testa e fece forza sulle braccia per rimettersi dritto, puntò i piedi e cominciò di nuovo a correre verso la bestia che sentiva sempre più lontana.
Poi si bloccò di colpo. D’un tratto perdere quell’occasione di recuperare energie non era più così importante.
Cos’aveva appena fatto? Aveva sbattuto contro una parete, ma non era mai caduto. Si era rimesso in piedi? Era certo di non aver nemmeno mai svoltato una volta colpita la roccia, aveva semplicemente continuato a correre. Si guardò intorno, cercando di spingere la vista fin dove poteva, ma era un faro nell’oscurità. Solo in un luogo che sfuggiva dalla logica; la sua mente razionale gli impediva di analizzare oggettivamente cos’era successo. Al naso gli arrivò un forte odore di pece calda, si accucciò sul pavimento per scoprire che la roccia era percorsa da una vena dell’appiccicoso liquido nero, le stranezze non sembrava dovessero avere fine. Poteva però sfruttare quel giacimento per illuminare maggiormente il luogo in cui si trovava, così lo toccò e le fiamme si propagarono lungo tutta la vena: la fiamma correva lungo la roccia, si diramava e seguiva ogni direzione consumando il combustibile. Luce.
Montu era in piedi al centro di una grotta sulle cui pareti si aprivano altre grotte e tunnel, era come trovarsi all’interno di un gigantesco blocco di una qualche roccia molto porosa.
Riconobbe, in alto su una parete, la spaccatura che aveva attraversato poco prima e la sua arma rubata alla gabbia.
Era lì, dove non sarebbe dovuta essere, e cercava nella sua metallica staticità di disegnare nella mente del Demone una realtà che forse non voleva accettare.
Stava veramente in piedi su una parete verticale?
Non gli restava che sfidare la fisica per far sfumare quella stupida domanda. Si avvicinò ad una parete in cui si apriva un cunicolo a circa sei metri d’altezza, e poggiò un piede contro la roccia; sentì il suo baricentro spostarsi e quasi perse l’equilibrio, era impossibile! Fece forza con l’altra gamba e si ritrovò a fare un passo sulla parete, ma la sua mente ora la percepiva come fosse il pavimento.
Cadde seduto, era scosso, incredulo, spaventato.
Dove diavolo era finito?
Un pipistrello con troppe ali gli svolazzò vicino infastidito dalla luce che il Demone emanava, e si appollaiò sulle zampe un po’ più lontano. In piedi…
Montu scivolò all’indietro come se l’animale assopito rappresentasse un enorme pericolo.
Poi l’evidente risposta a tante domande arrivò, esplose nel cervello con un misto di paura e felice sorpresa.
Non c’erano luoghi su Theras in cui le leggi della fisica non la facevano da padrone, nessun Re poteva vantare stanze in cui la gravità era plasmabile, nessun medico aveva aggiunto zampe o ali ad animali per divertimento; dovevano averlo gettato nel Baathos.
Rimaneva da capire il perché. Di sicuro non era con l’idea di una vacanza che l’avevano rapito e spedito lì sotto. Somigliava tanto ad una condanna a morte, ma perché? Era un fanatico purista che in qualche modo era venuto a sapere del suo essere un Demone? Uno psicopatico che godeva nel rapire persone e gettarle in quell’inferno?
La sopravvivenza, d’un tratto, non era più così scontata.

Sentì qualcosa sbattergli contro la gamba, qualcosa che aveva in tasca: infilò la mano nella stoffa e tirò fuori una boccetta di vetro, con dentro uno strano fluido giallognolo; senza dubbio non era sua, era stato l’uomo con la maschera a dargliela? Mosse il contenitore davanti agli occhi per cercare di capire cosa fosse o a cosa servisse, ma nel dubbio era meglio lasciarlo chiuso.
Il suo boia gli concedeva una possibilità per salvarsi la vita?
-Non dovresti avere paura, sei a casa.-
-Speravo di scendere nel Baathos sulle mie gambe, non dentro una gabbia senza sapere come tornare su.-
Quella figura nera, con mani scheletriche, non era la prima volta che parlava con il Demone: era simile ad un ombra, Montu non riusciva a fissare con precisione i suoi contorni quasi fosse eterea.
Forse era la Morte stessa, presenza costante accanto ad ogni uomo su Theras, o molto più facilmente l’Eterno soffriva di una qualche forma di schizofrenia.
-Bah! Non conta lo strumento, quanto il fine.-
-Non ti facevo tipa da aforismi.-
Però quella maschera aveva veramente soddisfatto uno dei suoi più grandi desideri.
-Chi sono?-
-Sei un Demone.-
Non era la risposta che voleva. Era certo che provenisse dal Baathos, come tutti i Demoni, ma perché i suoi ricordi iniziavano con la sua ascesa su Theras?
-Chi ero?-
-Questa è la domanda giusta.-
Immaginava che la risposta, però, l’avrebbe dovuta trovare da solo. Forse proprio lì sotto… a casa.
Si voltò ma la figura era scomparsa. Si era incredibilmente calmato, pensare a ciò che avrebbe potuto scoprire nel Baathos su sé stesso l’aveva distratto perfino dalla fame.
Fame che tornò a farsi sentire quando lo stomaco brontolò: erano sicuramente giorni che non mangiava, e anche se sarebbe potuto resistere ancora le sue forze ne avrebbero risentito.
Si rialzò mentre il fuoco consumava l’ultima goccia di quel liquido nero che aveva illuminato fino a quel momento la grotta. Era di nuovo lui, solo, contro l’oscurità che lo circondava senza riuscire a spegnere le sue fiamme.

Sfruttò la sua scoperta riguardo la strana gravità di quell’ambiente per raggiungere senza paura luoghi altrimenti irraggiungibili, per guardarsi intorno con un occhi diversi, consapevole di non avere limitazioni di sorta.
Due pipistrelli, identici e strani come il primo che aveva visto, divennero il suo pasto.
Volare è una difesa piuttosto inutile se il tuo cacciatore può camminare sulle pareti o sul soffitto su cui dormi, e se quello stesso cacciatore ha i pugni avvolti dalle fiamme e ha bisogno solamente di toccarti il risultato è quasi scontato.
Mangiò i pipistrelli cuocendoli sulle sue mani, seduto sul soffitto o parete o quel che era; li spolpò come si spolpa una gallina e sentì le energie tornargli mentre assumeva le proteine. Le ali membranose cotte diventavano croccanti, certo qualche condimento sarebbe stato gradito ma il sapore era buono, e sottoterra non c’era nemmeno da fare tanto gli schizzinosi. Conservò il petto e le ali di uno dei due animali per un eventuale pasto futuro, poi si avviò nuovamente percorrendo l’ennesima grotta.
Dopo qualche ora in cui camminava sfidando e vincendo le leggi della fisica sentì un altro rumore arrivargli alle orecchie: l’aria era piena dei cigolii metallici di un qualche essere meccanico.
Un’altra strana creatura del Baathos? Improbabile. Nonostante gli abomini che quell’immenso luogo poteva generare non potevano di certo nascere creature di metallo e ingranaggi. Era senza dubbio un’opera degli uomini, forse abbandonata lì sotto dal suo creatore?
Una minaccia o un alleato in quell’inferno?
Montu decise di rischiare, avrebbe potuto seminare il nemico in quelle grotte se fosse stato necessario. Continuò a camminare seguendo il rumore, la grotta diventava sempre più piccola fino a che fu costretto a tornare in forma umana e strisciare per poter proseguire; vedeva non molto lontano una tenue aura biancastra. Arrivò all’apertura della grotta e vide sotto di sé una distesa di cristalli bianchi, che restituivano quella leggera luce fluorescente. Sentiva i cigolii sempre più vicini, ora insieme a sbuffi di vapore come se la macchina sospirasse pesantemente.
Saltò giù e camminò per qualche metro fino a che non fu sicuro che la cosa che emetteva quei suoni metallici, qualunque cosa fosse, si trovava dietro un grosso cristallo esagonale.
Montu alzò le mani, voleva evitare che qualcuno ovviamente sulla difensiva in quel luogo gli sparasse contro qualche diavoleria. In fondo non aveva certo bisogno delle mani per neutralizzare un avversario.
-C’è qualcuno?-



Energia: 150%
Fisico: 75%
Mente: 75%
Riserva CS: 4 [+2 Forza, +1 Velocità, +1 Intelligenza]

Equipaggiamento:
Shokan: Riposta
Pistola: Riposta

Armature:
Pelle Coriacea [Arma Naturale]

Oggetti:
Biglia Stordente: 1
Biglia Tossica: 1
Biglia Deflagrante: 1
Corallo [+1 Forza, +1 Velocità, +2 Maestria nell’uso delle Armi]
Corallo [+2 Forza, +1 Velocità, +1 Intelligenza]
Gemma della Trasformazione
[Anello del Tuttofare - Immortalità]

Pergamene Usate:
//

Abilità Usate:
//

Passive Usate:
Immortalità. Passiva (Numero di utilizzi: ∞)
Il Demone sfonda lui stesso la barriera della non vita, divenendo un immortale e sconfiggendo la morte una volta per tutte.
La tecnica ha natura magica e conta come un'abilità passiva - si potrà dunque beneficiare dei suoi effetti in qualsiasi momento nel corso di una giocata. Il caster diviene a tutti gli effetti immortale, rimanendo in vita indipendentemente dalla quantità di danni subiti. Non potrà comunque continuare a combattere con una somma di danni mortali sul corpo, non sarà immune al dolore né agli effetti dei danni - ad esempio, con una gamba spezzata non potrà camminare. La tecnica garantisce una difesa dalle scene in cui è possibile perdere il proprio personaggio o al termine di un duello con Player Killing attivo: i personaggi possedenti questa passiva non potranno essere uccisi in nessun caso.
[Il Demone potrebbe comunque essere ucciso qualora gli si cavassero gli occhi]

Forma demoniaca [Per alcune razze di Theras, il concetto di "forma" è limitato. I demoni possono apparire agli altri sia con l'aspetto di umani qualunque che con la forma più consona di creature mostruose come li si rappresenta solitamente, a seconda della necessità. Consumando un utilizzo di questa passiva e soltanto se durante la notte, una progenie dei demoni può assumere una forma che manifesti la sua discendenza: per alcuni si tratterà di trasformarsi in un mostro vero e proprio, mentre per altri di assumerne solo alcuni tratti tipici (corna, ali, ecc.).] (Numero di utilizzi: 65)

Note: Appena esco dalla gabbia prendo una sbarra come ulteriore arma (che poi lascerò), mi trasformo in Demone e uso un Corallo. Nel finale mi avvicino a Jorge seguendo il rumore dell'artefatto: all'inizio sento solo i cigolii ma avvicinandomi inizio a sentire anche il respiratore. Ovviamente in forma umana.
 
Top
Caccia92
view post Posted on 3/2/2016, 19:54






« Baathos; una caverna calcarea »
Una sala con un trono di pietra; decimo ciclo lunare; 03:16.


Kroot'Aremon sedeva imperioso sul suo scranno scolpito nella roccia, contemplando le prede cacciate dai guerrieri. Ai suoi piedi scuri e muniti di artigli giacevano quattro Ghdei, due Pfijo e un solo Muukon. Un bottino veramente scarso per un ciclo intero di Ghuumus, la giornata delle prede succulente. Organizzava abitualmente quelle battute di caccia per distrarre i suoi sottoposti e alimentare la dispensa di viveri alle sue spalle. E solitamente chiudeva uno dei suoi quattro occhi per non generare attriti nelle tribù di demoni neri che si erano raccolte sotto il suo comando. Ma quel misero tributo richiedeva una sfuriata. Una di quelle che metteva in riga i cuccioli e faceva tremare le madri gravide.
« Karolisha, stupidi corni! » borbottò Kroot'Aremon, agitando le grandi ali scure « Voi non avete fatto la Ghuumus! Queste non sono prede da Ghuumus! »
Afferrò la pesante carcassa di Muukon e la gettò contro uno dei demoni che si trovava di fronte al trono.
« Dite ora perché non dovrei sacrificarvi alla grande Sfera di Fuoco! »
Si avvicinò, con la testa cornuta china in segno di sottomissione, un guerriero dalle spalle ampie e la pelle di colore rosso. Aveva strisce di plasma violaceo che percorrevano le righe degli zigomi e delle tempie, segno indistinguibile dell'appartenenza al clan dei Mangiamuschio. Quando si trovò di fronte al colossale Kroot'Aremon, fece un inchino profondo.
« Io ti saluto, Kroot'Aremon il Crudele. Sono Brothis, figlio dei Mangiamuschio. »
« Parla pure, Brothis dei Mangiamuschio. »
Il guerriero sollevò il cranio, mostrando occhi luminescenti. Era il tipico effetto collaterale di chi si nutriva di piante cresciute sulle distese laviche del Baathos.
« Le prede erano all'erta durante la Ghuumus. Fuggivano ancor prima di sentirci arrivare, come se fossero spaventate. »
Kroot'Aremon rimase in silenzio per diversi istanti, rimuginando su quella rivelazione. I guerrieri demoniaci non emettevano rumori quando andavano a caccia e le bestie della zona non rappresentavano un pericolo per la fauna locale. Persino i borbottanti Muukon, seppur massicci e dall'aspetto minaccioso, erano predatori di scarso livello. Per trovare qualcosa di realmente pericoloso bisognava spingersi più in profondità, verso il nucleo lavico e le gallerie di pietra - teschio. Forse uno dei Nerindh, le grandi lucertole con tre teste, aveva risalito una galleria. In quel caso, tuttavia, se ne sarebbero accorti molto prima.
« Persino le Formiroccia sono in agitazione. »
Cosa? Le Formiroccia si agitavano solo quando venivano rimosse le sacche di nettare dai loro nidi. In quel caso, se non raggiungevano il ladro, utilizzavano una sciagurata tecnica difensiva: cominciavano a spruzzare liquido incandescente nelle vene sulfuree del terreno, provocando rigetti di lava in tutta la zona circostante. Era un'azione che metteva a repentaglio l'intero ecosistema delle gallerie e provocava disastri per alcuni cicli.
Solo un idiota rimuoveva le sacche nutritive delle Formiroccia. Oppure...un Senzacorna.
Kroot'Aremon si alzò e diede una poderosa testata a Brothis. Era un segno per dire che aveva apprezzato l'informazione e reputava il guerriero degno di fiducia.
« Chiudete le porte e buttate l'acqua sulla terra vicino alle caverne. Dopo questo ciclo manderemo i Figli delle Tenebre ad esplorare le gallerie. »







« Baathos; un luogo imprecisato sotto il territorio del Sultanato »
Una galleria scavata con i picconi; decimo ciclo lunare; 01:03.


Laskano fissava incredulo il minatore sopravvissuto. Non lo aveva mai visto al lavoro nella cava di durariglla, quindi doveva essere uno dei rifornitori o un inserviente dei Guascon. Lui e Koman lo avevano quasi ammazzato a picconate, pensando ad un agguato della bestia borbottante da cui erano fuggiti qualche giorno prima. Erano trascorsi alcuni secondi - e diversi colpi - prima che si rendessero conto del madornale errore che avevano commesso.
L'individuo scampato alla loro furia cieca, un uomo sulla cinquantina molto magro e con radi capelli neri, stava disteso sul pavimento di pietra. Sembrava incosciente. Era comprensibile, viste le profonde ferite a forma di buco che aveva sul torace e sulle cosce. Laskano tentava in tutti i modi di fermare l'emorragia tamponando il sangue con la sua veste, mentre Koman cercava qualcosa per ricucire i tagli.
« Chi...diavolo...poteva...immaginarlo... » bofonchiò il ragazzo nell'intento di sradicare una radice sottile come un capello « ...di trovare...quanto cazzo è resistente questa pianta filacciosa... » con un ultimo strattone recuperò l'intero corpo giallognolo « Andrà bene, per ora. »
Laskano tolse il panno pregno di sangue, rivelando la ferita più grave. Il piccone - il suo - era penetrato con facilità nella pancia, bucando anche i tessuti interni. Lui non sapeva nulla di chirurgia, ma il padre di Koman lavorava come medico in un villaggio ai confini del Sultanato. Non che questo lo rendesse un esperto del corpo umano, tuttavia era meglio di niente.
« Lo abbiamo proprio ridotto male... »
« Credo sia naturale, lo abbiamo preso a picconate. Ora spostati e fammi luce con la torcia. »
Laskano recuperò la fiaccola improvvisata dal terreno asciutto, sollevandola oltre la testa di Koman. Nel frattempo si guardò intorno, sperando che l'odore del sangue non attirasse qualche bestia immonda. Il Baathos era un luogo oscuro e stranamente rumoroso. Di tanto in tanto si percepiva il ribollire di un geyser, lo squittio di un roditore o il ronzare di un insetto; il tutto si accompagnava al calore insopportabile.
"Un momento. Ha sempre fatto così caldo?"
Si accorse di avere le mani sudate. I capelli sporchi erano schiacciati contro la fronte e i pantaloni parevano bagnati fradici.
« Non credi che la temperatura si sia alzata improvvisamente? »
Koman, intento a ricucire l'uomo malridotto con una scheggia di metallo e la radice, non badò alla sua domanda. Si limitò a tenere più indietro la testa per non far gocciolare il sudore sul taglio.
« Stai un po' più lontano con quella torcia, mi stai facendo sudare. »
« Non è la torcia. Qui dentro è un forno. »
Poi esplose il primo getto di lava.









CITAZIONE

QM.POINT



Ecco il terso giro! Prima di tutto, una nota personale: state facendo davvero un gran bel lavoro; sono molto soddisfatto delle vostre iniziative e non posso che augurarvi di mantenere lo stesso livello! Oltre a questo, segnalo che in questa giocata tenterò di seguire il più possibile le trame proposte da voi, richiamando dettagli e/o situazioni di vostra creazione.
Visto che state per riunirvi tutti e tre nella zona con i cristalli bianchi creata dalla mente di Alb, direi che il punto di partenza per il post successivo potrebbe essere quello. Ho presentato due scene, entrambe necessarie per spiegare cosa sta per accadere. Nella prima abbiamo una riunione di demoni - Ramses, se vuoi dare dei nomi, un passato o altro a questi demoni per far coincidere il tuo background o la tua idea originaria per questa giocata, ti prego di mandarmi un mp...sarò lieto di modificare il tutto a tuo favore - appartenenti a piccoli clan del Baathos che capiscono, seguendo alcuni indizi, che ci sono intrusi nella galleria; la scena successiva riguarda Laskano e Koman, impegnati a soccorrere un minatore che loro stessi hanno aggredito credendo ad un attacco di una bestia.
Cos'è avvenuto nel frattempo? L'alveare di insetti - a cui ho dato un nome - depredato da Jorge era più pericoloso di quanto aveva intuito. Le strane formiche, infatti, hanno un meccanismo di difesa piuttosto bizzarro che agisce direttamente sul terreno del Baathos. La temperatura sale vertiginosamente e piccoli geyser di lava liquida cominciano ad eruttare dalla pavimentazione rocciosa. In questo turno vi chiedo di sopravvivere al fenomeno catastrofico, salvandovi dalle ustioni e da una morte orribile. Ovviamente Montu è avvantaggiato in questa situazione, ma non eccessivamente. Ecco la scheda "tecnica" dei tre getti incandescenti che vi esplodono a fianco (tre per ognuno di voi):
- 1° getto: potenza Bassa, improvviso.
- 2° getto: potenza Alta, intuibile dal gonfiore.
- 3° getto: potenza Media, è preceduto da un fischio.
Potete evitarli nella maniera che preferite e non in questo ordine. Non è necessario che equipariate una difesa di uguale potenza per ogni getto, se vi spostate abbastanza velocemente con un Basso potete evitare anche il getto Alto. Non è necessario evitare tutti i getti, ma questi provocheranno danni in base alla loro potenza. Potete aiutarvi a vicenda con cose tipo strattonare un altro/generare combo/difendere un compagno. Le tecniche basate sul gelo o la neve utilizzate per difendersi valgono il doppio della potenza. Le parti del corpo già percorse dalle fiamme non subiscono danni. Le parti metalliche del corpo subiscono invece il doppio dei danni. Tutte le tecniche di spostamento valgono come difese assolute.
Cinque giorni per postare, buon divertimento!
 
Top
view post Posted on 8/2/2016, 22:59
Avatar

Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
·····

Group:
Member
Posts:
1,940
Location:
Roma

Status:




BAATHOS
Migliaia di anni prima.



Azazel camminava febbricitante nella grande grotta illuminata da tre cascate d’oro fuso; il prezioso metallo rifletteva la fiamma delle numerose torce accese.
Camminava avanti e dietro senza riuscire a fermarsi sul suo scranno e gli altri tre, impassibilmente seduti sui cristalli bianchi, lo osservavano, muovevano la testa senza proferire parola, e il Demone di fuoco si sfregava le mani pregustando l’imminente battaglia.
-Anche questa volta vuoi combattere?-
Chiese uno dei tre.
-Io mi meraviglio di te Ahet, così comodo sul tuo trono quando potresti scendere in battaglia con me.-
I quattro avevano moltissimi nomi, con cui venivano chiamati dai popoli che venivano a conoscenza della loro esistenza, e Azazel aveva scelto di usare quello che avrebbe ricordato al suo interlocutore una grande battaglia a cui entrambi avevano preso parte, contro delle palmipedi creature marine.
Ahet si limitò a scuotere la testa vagamente equina accarezzando il mastino glabro accucciato sotto i suoi piedi da drago; toccava la bestia dalla lunga coda serpentina usando proprio un serpente, mentre muoveva distrattamente le grandi ali membranose.
Sibili e fruscii provennero da un altro dei tre troni occupati.
-Enlil, sai che nessuno di noi parla il gergo delle bestie tranne te. Cosa vuoi?-
Enlil era un Demone Vespa: un gigantesco esemplare dell’insetto, aveva ali trasparenti, forti mascelle e un pungiglione letale.
-Propongo una mozione affinchè Azazel non combatta.-
Azazel in tutta risposta scoppiò a ridere, lasciando che le fiamme avvolgessero ulteriormente il suo corpo.
-Stupido insetto, non mi meraviglio che tu abbia solamente cinque nomi! Pensi che me ne starò con le mani in mano in un momento come questo? È un’occasione che non dovremmo lasciarci sfuggire. Nessuno di noi! Abbiamo la possibilità di farci conoscere da ogni creatura vivente in superficie!-
-Non darmi dello stupido Azazel! È vero, gli umani potrebbero diffondere i nostri nomi ovunque, ma non sono certo dei Muukon, tantomeno quegli anfibi che avete decimato trecento anni fa tu e Ahet; sono armati e addestrati, per non parlare del fatto che hanno una forza di volontà superiore a qualunque altra creatura.-
-Si dispereranno più forte quando li decimerò.-
-Tu sei il responsabile della sicurezza del sottosuolo! Ogni volta che esci in superficie lasci sguarniti gli ingressi, potrebbero invaderci!-
-Per farlo dovrebbero prima distruggere il mio esercito ed uccidermi. Impossibile, lo sai bene.-
-La nostra immortalità non ci salverà per sempre, c’è un incant…-
-Basta Enlil.-
Aveva parlato il quarto, l’unico a poter sembrare interamente umano se non per la pelle nera come la pece e le ali da pipistrello.
-Azazel vuole combattere. Combatterà se crede sia giusto. Noi rimarremo qui e difenderemo il sottosuolo se ce ne sarà bisogno. Non c’è altro da aggiungere.-
-Grazie Enki.-
-Non ringraziarmi Azazel, sono pienamente d’accordo con quanto detto da Enlil riguardo gli uomini; qualsiasi cosa succederà sarai il solo responsabile. Tienilo bene a mente.-
I quattro si ammutolirono, tutti gli occhi erano puntati sul Demone di fuoco.
-Salirò in superficie. Posso contare su di voi, fratelli?-
L’irruzione di un quinto demone impedì agli altri di rispondere. Una risposta non data che avrebbe segnato il futuro di tutti.
Il nuovo arrivato era ricurvo sotto la gobba, gli arti superiori tanto lunghi da toccare terra, e tra le spalle spuntavano due teste.
-Ossequi miei signori!-
-Ossequi.- Gli fece eco l’altra testa.
-Padron Moloch è pronto con le sue legioni.-
-Ventisei legioni.-
-Disposizioni miei signori?-
-Altri ordini?-

Azazel si voltò, essendo l’unico a combattere spettava a lui pianificare il primo attacco. Rimase in silenzio qualche istante disegnando nella sua mente il campo di battaglia.
-Moloch sa già cosa fare. Ditegli che insieme a lui Zagan e le sue trenta legioni attaccheranno dal mare. Andate.-
-Zagan… trenta legioni…-
-Dal mare… stupido mezzo pesce…-

Il bicefalo uscì dalla grotta camminando all’indietro, senza alzare lo sguardo in segno di riverenza.
-Azazel, non rischiare troppo.-
Di nuovo il Demone di fuoco si voltò verso Enki, occhi negli occhi.
-Distruggeremo l’umanità.-






BAATHOS
Oggi.



-Montu?! Che ci fai qui? È passata un'epoca dall'ultima volta che siamo stati spalla a spalla!-
-A...Alfar? Cosa ci fai qui?-
Il Demone andò incontro al mezzo drago. Avevano affrontato insieme un’aquila gigante sui pendii dell’Erydlyss, e Alfar aveva addirittura parlato con un drago di ghiaccio impedendo che la creatura tentasse di ucciderli. Episodi difficili da dimenticare.
-È vero, sembra sia passata una vita! Dalle cime dell'Erydlyss alle profondità del Baathos eh.
Io... devo aver avuto un problema con qualcuno, perchè mi hanno buttato qui sotto dentro una gabbia. Tu piuttosto, come ci sei arrivato?-

Poche erano le persone che scendevano volontariamente nel sottosuolo di Theras, la maggior parte erano folli o esiliati, nessuno tornava in superficie.
-Un monaco con un problema di briganti mi stava stordendo di chiacchiere...e qualcuno mi ha stordito sul serio. Poi un tuffo in gabbia ed eccomi qui. Sembra che abbiamo irritato lo stesso tipo. Eh?-
Possibile che chiunque fosse il rapitore c’entrasse qualcosa la loro missione comune?
-Avevo questa in mezzo alle mie robe? Se ne hai anche tu una siamo decisamente nella medesima barca.-
Aveva tirato fuori una fialetta trasparente contenente un denso liquido giallo.
Montu fece altrettanto.
-Siamo nella stessa barca.-
In silenzio ripose la sua ampolla nella tasca.
-Rimane da capire il perchè mandarci nel Baathos, potevano lasciare un messaggio insieme a questa roba.-
Sorpreso dal familiare incontro l’Eterno si era però dimenticato che se era lì era per scoprire cosa facesse quello strano rumore metallico, e la risposta arrivò quando un uomo scavalcò non senza fatica uno dei cristalli, presentandosi.
-Signori!- Si fermò a qualche metro di distanza, evidentemente non fidandosi dei due. -Il mio nome è Jorge Louis Joyce. Tossicologo. Da quello che ho compreso, voi siete giunti qui per il medesimo motivo. Se volete un parere sul contenuto di quella boccetta, si tratta di veleno, ma senza i miei strumenti qui non posso esserne certo.-
Un tossicologo? Veleno? Tutto ciò non aiutava a capire cosa stesse succedendo.
Le presentazioni erano importanti lì sotto per provare a stabilire qualche legame, ma la fiducia nei confronti dello sconosciuto poteva considerarsi nulla.
Alfar propose ai due nuovi compagni un’alleanza temporanea per riuscire a tornare in superficie, e il Demone non poteva che essere d’accordo.
Non fecero in tempo a muovere un passo che l’imprevedibilità del Baathos li anticipò: un fortissimo fischio riempì la grotta in cui si trovavano e la temperatura aumentò considerevolmente in un istante.
Stava succedendo qualcosa, ma cosa? Il Demone acuì i sensi pronto a difendersi da qualsiasi nemico, osservava le pareti cercando di penetrare l’oscurità. Da una spaccatura tra due cristalli eruttò un potente getto di lava proprio accanto a Montu, che si alzò in volo appena un istante prima che il getto gli perforasse il petto uccidendolo. Non riuscì però a impedire che gli sbuffi di magma gli arrivassero sulle gambe provocandogli dolorose ferite.
Atterrò poco più lontano, sopra un cristallo particolarmente massiccio.
-Formiroccia.- Sussurrò.
Formiroccia? Cosa significava? Perché gli era venuto spontaneo associare l’evento a quella parola?
Dov’erano i suoi compagni? Li aveva persi di vista. Una cenere luminosa si era sollevata appena dopo l’esplosione e si stava attaccando sulla pelle del Demone; era uno di quei cristalli ridotto in frantumi dal getto di lava?
Improvvisamente un altro fiotto proprio sotto i piedi di Montu, che non riuscì ad evitarlo.
Troppe domande gli ronzavano in testa, non riusciva a ragionare lucidamente e questo non era un bene. Si era lasciato sorprendere e ora stava per morire, ma perché ci impiegava così tanto tempo? Era sicuro che la lava potesse intaccare più velocemente la sua carne e i suoi organi interni, ma non stava succedendo.
Che quella polvere l’avesse protetto?
Una piccola pozza di lava si era formata poco distante e una bolla si stava formando su di essa; il terzo getto era imminente.
Il Demone riuscì ad erigere un muro composto dei cristalli della grotta appena prima che il getto esplodesse, un enorme costruzione che di fatto lo escluse dalla vista degli altri.
Il terzo getto era evidentemente più potente degli altri due, il muro non resse completamente e i cristalli vennero perforati dal magma incandescente.
Ancora istinto, ancora un gesto naturale seppur nella mente non ricordava di averlo mai compiuto: il getto puntava dritto contro il suo viso ma in un istante il Demone si liberò nella sua vera forma e alzò una mano infuocata contro la lava. Il colpo venne fermato e solo alcune gocce schizzarono sull’addome e sul braccio teso.
Mentre il muro diventava polvere tornò alla sua forma umana, che ne era dei suoi compagni? Piccoli fuochi si erano accesi ovunque, la temperatura era ancora altissima e i filoni di lava si riflettevano ovunque lungo il pavimento.
-Alfar! Jorge! State bene?-



Energia: 150 -10 =140%
Fisico: 75 -5 -5 =65%
Mente: 75%
Riserva CS: 7 [+3 Forza, +21 Velocità, +1 Intelligenza, +2 Maestria nell’uso delle Armi]

Equipaggiamento:
Shokan: Riposta
Pistola: Riposta

Armature:
Pelle Coriacea [Arma Naturale]

Oggetti:
Biglia Stordente: 1
Biglia Tossica: 1
Biglia Deflagrante: 1
Corallo [+1 Forza, +1 Velocità, +2 Maestria nell’uso delle Armi]
Corallo [+2 Forza, +1 Velocità, +1 Intelligenza]
Gemma della Trasformazione
[Anello del Tuttofare - Immortalità]

Pergamene Usate:
//

Abilità Usate:
Personale 10/25 Muro d'Ossa. Consumo Energetico: Medio (10%)
Il negromante richiama davanti a sé una barriera invalicabile composta dalle ossa dei suoi nemici, bloccando gli attacchi che gli sarebbero rivolti contro.
La tecnica ha natura magica. Il caster richiamerà un muro di ossa dal terreno per bloccare le offensive rivolte contro il suo Fisico; a seconda della personalizzazione, la barriera potrà essere composta da ossa, carne, lame o qualsiasi altro materiale solido che possa essere utilizzato per la stessa funzione. La tecnica ha potenziale difensivo pari a Medio e nessun potenziale offensivo. Le dimensioni coperte dal muro potranno essere particolarmente grandi, permettendo di generare una difesa non solo potente, ma anche di grande portata.

Passive Usate:
Immortalità. Passiva (Numero di utilizzi: ∞)
Il Demone sfonda lui stesso la barriera della non vita, divenendo un immortale e sconfiggendo la morte una volta per tutte.
La tecnica ha natura magica e conta come un'abilità passiva - si potrà dunque beneficiare dei suoi effetti in qualsiasi momento nel corso di una giocata. Il caster diviene a tutti gli effetti immortale, rimanendo in vita indipendentemente dalla quantità di danni subiti. Non potrà comunque continuare a combattere con una somma di danni mortali sul corpo, non sarà immune al dolore né agli effetti dei danni - ad esempio, con una gamba spezzata non potrà camminare. La tecnica garantisce una difesa dalle scene in cui è possibile perdere il proprio personaggio o al termine di un duello con Player Killing attivo: i personaggi possedenti questa passiva non potranno essere uccisi in nessun caso.
[Il Demone potrebbe comunque essere ucciso qualora gli si cavassero gli occhi]

Personale 16/25 Volo. Passiva (Numero di utilizzi: 54)
La naturale capacità del Demone di volare grazie alle sue ali è permeata nella sua forma umana, permettendo così a Montu di levitare anche quando non appare con il suo vero aspetto.

Forma demoniaca [Per alcune razze di Theras, il concetto di "forma" è limitato. I demoni possono apparire agli altri sia con l'aspetto di umani qualunque che con la forma più consona di creature mostruose come li si rappresenta solitamente, a seconda della necessità. Consumando un utilizzo di questa passiva e soltanto se durante la notte, una progenie dei demoni può assumere una forma che manifesti la sua discendenza: per alcuni si tratterà di trasformarsi in un mostro vero e proprio, mentre per altri di assumerne solo alcuni tratti tipici (corna, ali, ecc.).] (Numero di utilizzi: 54)

Note: Nel prologo c'è una scena tra quattro personaggi di cui dirò qualcosa in Confronto. Per quanto riguarda i tre getti:
1° Getto: Potenza Media: difeso parzialmente tramite Passiva di Volo più il consumo di 1CS in Velocità - Subisco un danno Basso;
2° Getto: Potenza Bassa: difeso totalmente grazie alla difesa di Alfar;
3° Getto: Potenza Alta: difeso parzialmente tramite la Personale 10/25 (Potenza Media) più la trasformazione in Demone per qualche istante - Subisco un danno Basso.
 
Top
Alb†raum
view post Posted on 10/2/2016, 16:37




Due figure emersero dalla distesa di cristalli, probabilmente attirati dal cigolare del respiratore. Jorge, inizialmente pronto a difendersi, si ritirò dietro uno dei cristalli: aveva appena assaltato un formicaio di demoni-insetto, e i due sconosciuti potevano essere altrettanto, se non di più, pericolosi di quelle creature immonde. Udì tuttavia l'inizio di una piacevole conversazione, tanto più in lingua comune. “Un'illusione?” gli sovvenne per un istante, sporgendosi per vedere meglio.
«Un monaco con un problema di briganti mi stava stordendo di chiacchiere...e qualcuno mi ha stordito sul serio. Poi un tuffo in gabbia ed eccomi qui. Sembra che abbiamo irritato lo stesso tipo. Eh?» disse un giovane corpulento. Di fronte a lui, un altro ragazzo nerovestito cercava con gli occhi la fonte del rumore che doveva averli condotti sino lì. Jorge, con un mezzo ghigno, si rese conto che era diventato suo malgrado una sorta di faro in quell'abisso dove erano stati esiliati. Era tuttavia sicuro delle buone intenzioni di quei due? Ripensò alle immagini create da Selhades, quegli uomini avvolti dalla stoffa che gli erano sembrati così reali; e non era la prima volta che si trovava di fronte a prodigi del genere.
«Avevo questa in mezzo alle mie robe? Se ne hai anche tu una siamo decisamente nella medesima barca» aggiunse quello che pareva un boscaiolo, estraendo dalla tasca una piccola fialetta, del tutto identica a quella che Jorge aveva rinvenuto nel proprio bracciale. Anche l'altro ne tirò fuori una medesima. Un impulso, quasi più per dovere professionale che umano, lo fece quasi uscire allo scoperto. “È veleno!» avrebbe voluto gridare, ma stette invece in silenzio. Poteva essere sempre una recita a regola d'arte per stanarlo, un trucchetto... ma chi si sarebbe scomodato a imbrogliarlo in questa maniera? Le formiche? Erano tutto ciò che aveva fatto arrabbiare lì sotto.
Venne quindi allo scoperto con cautela. Se anche fossero stati fantocci non importava: di lì non sarebbe mai riuscito a uscire da solo, e non aveva una mappa, cibo o acqua sufficienti anche per solo pensare di voler raggiungere la superficie.

«Signori!» gridò, per farsi notare e sperando di non attirarsi addosso una fucilata sorpresa. Aveva sentito diversi racconti di soldati crivellati da posti di guardia amici, e sin dalla leva era stato messo in guardia di non sorprendere un uomo armato all'erta.
Scavalcò un cristallo nel farsi vicino, ma mantenne comunque uno, due metri di distanza per essere sicuro che, per quanto uomini, non si trattasse di individui deprecabili. La corporatura possente di uno, con abiti semplici, quasi rozzi, era in contrasto con il modo di vestire del secondo. Jorge non era sicuro se si trovasse davanti a dei banditi o ad avventurieri come quelli che a volte si erano venuti a rifornire alla sua farmacia di Shirazamar; ma i secondi non erano una fatta migliore dei primi.
«Il mio nome è Jorge Louis Joyce. Tossicologo» si presentò, senza tendere né stringere mani. «Da quello che ho compreso, voi siete giunti qui per il medesimo motivo». Si aggiustò gli occhiali tondi, avvicinando la boccettina che il ragazzone teneva ancora in mano. Era lo stesso liquido, del medesimo colore; non chiese nemmeno di annusarla, perché immaginava che l'esito sarebbe stato simile.
«Se volete un parere sul contenuto di quella boccetta, si tratta di veleno, ma senza i miei strumenti qui non posso esserne certo» commentò. Effettivamente aveva portato con sé una valigia di alambicchi e soluzioni rilevatrici con cui determinare i veleni, ma erano rimasti nella portantina con lo stregone, e al momento non osava immaginare quanti chilometri di roccia li separava da lui.
Il giovane vestito di nero gli tese la mano. «Salve Jorge, io sono Montu. Veleno? Ci fanno scegliere come morire, così oppure per "mano" del sottosuolo. Codardi!» diede voce alle frustrazioni dell'intero gruppo. Jorge si chiese quale intelletto malsano avesse progettato di gettare tre sconosciuti nelle profondità della terra dando loro solo la scelta di come morire; e la boccetta era ben poco utile, in un luogo dove la morte pareva essere un gradevole passatempo per gli abitanti.
Il tossicologo, tuttavia, preferì non esporre questi pensieri, e si limitò a ricambiare la stretta con un istante di esitazione. Lo sguardo di Montu fissava il mantello, dietro il quale il macchinario sbuffava e ansimava; dentro la grotta, quei rumori metallici, diventavano un'eco spettrale. Jorge comprese benissimo i timori dell'altro; e, probabilmente, per il bene comune, avrebbe anche esposto il problema, ma l'altro ragazzo, quello di corporatura più grande, gli si fece vicino per presentarsi a sua volta.
«Salve! Puoi chiamarmi Buonsangue». Fece un ampio gesto della mano a cui Jorge non seppe sinceramente come rispondere se non sollevando timidamente due dita, come un sacerdote benedice la folla.
Gli venne chiesto perché si trovava lì, al che Jorge rimase un istante a pensare.
«Sono stato tramortito mentre ero alla ricerca di una cura per la malattia che mi affligge» spiega, indicandosi il meccanismo cigolante, e sperò che quella mezza verità rispondesse anche alla muta domanda che gli aveva fatto Montu. «Un'ombra con una maschera bianca mi ha afferrato, ed è tutto ciò che ricordo. Ho ripreso conoscenza mentre stavo cadendo in un baratro»

«A quanto pare questo posto è più frequentato di quanto ci si aspetti» commentò il Buonsangue. «È ragionevole supporre che non siamo soli qui. Potrebbe essere conveniente spalleggiarci a vicenda fino a quando non saremo tornati su. Tutti a favore?» Jorge annuì in silenzio, seguito dall'esclamazione di assenso di Montu. Due giovani al proprio fianco potevano fargli comodo, dopotutto.
Un gran calore riempì improvvisamente il crepaccio. Jorge strinse i denti mentre il meccanismo metallico si scaldava, scottandogli i muscoli e la pelle con cui era in contatto.
«In nome di dio, cosa...?». Ci fu rumore di frana, roccia che si sgretola.
Poi una colonna di roccia fusa scaturì dal terreno, proprio sotto il tossicologo. Un comando istintivo, e le rune impresse nel respiratore generarono una coltre metallica che lo avvolse dalla testa ai piedi. Percepì il bollore dello scudo che si scaldava sulla pelle, e con terrore quasi desiderò di dissolverlo prima che una colata di acciaio fuso gli ricoprisse le cavità oculari. Venne sbalzato indietro dalla forza della colonna, e caduto a terra, dove si credeva al sicuro, la difesa finalmente si dissolve facendolo respirare.
“Una zona vulcanica?” gli attraversò la mente; ma tutto il Baathos era un'immensa fornace di lava, e ogni luogo era stato modellato dal flusso incandescente che, prima o poi, era corso sulla sua superficie. Per causare un'eruzione così repentina cosa doveva essere accaduto, però? Un terremoto, uno smottamento, un...
“Le formiche”. Sbarrò gli occhi per l'orrore mentre una seconda colonna si ergeva poco distante da lui. I getti di lava si gettarono sul suo corpo, quando una cenere fine, simile a pulviscono nella luce, si parò a deflettere la pioggia incandescente. Jorge benedisse mentalmente chiunque fosse stato a generare quel miracolo e tirò un pugno alla propria cintura. Le rune difensive si illuminarono di una luce turchina; l'istante successivo Jorge si trovava in volo sopra un cristallo, lontano dall'ultima, disastrosa esplosione che lo avrebbe inghiottito. Le turbine del respiratore lo tenevano sospeso in volo. Sotto di lui c'era il Buonsangue, anche lui sfuggito al disastro, e Montu che lo stava raggiungendo. Anche Jorge atterrò, riunendosi al gruppo.
«Chi devo ringraziare di cuore per averci difeso?» abbozzò un sorriso cordiale, che sul suo volto invecchiato doveva apparire come una smorfia imbarazzata.

Energia: 80% (-20% tecnica difensiva dell'artefatto [senza nome])
Corpo: 100%
Mente: 100%
CS:
Passive attivate:

[Passiva del secondo livello del talento eremita; volo (4/6)]

Attive:

03.
[Fisica alta; consumo alto energetico; patina di metallo che difende da un attacco di potenza alta]

Defensive Rune
[difesa assoluta magica (4/25): difesa assoluta a costo nullo sotto forma di teletrasporto a breve raggio]



Note:
Jorge si difende dal getto medio con la difesa alta (che lo avvolge nel metallo, quindi è come se difendesse un alto) e dal secondo con la difesa assoluta. Si riunisce quindi al gruppo.

Enjoy it :8):
 
Top
view post Posted on 10/2/2016, 22:59
Avatar

Studioso
····

Group:
Member
Posts:
1,082

Status:



Il Giorno Profondo
- Un incontro...acceso!





La navigazione attraverso i cunicoli non era per nulla agevole.
Strettoie, abbassamenti e improvvise salite si susseguivano in uno spazio fin troppo claustrofobico. A fargli da guida era il rantolare meccanico sempre più forte.
Poco più avanti.
Sempre più nitido.
Rallentò appena per non finire dritto nella trappola di chissà chi. Forse avrebbe incrociato il genio che l’aveva buttato di sotto. Serrò le dita della mano destra attorno a un piccolo guscio nero. Si va in scena… inspirò a fondo l’aria pesante ed uscì dal cunicolo. La stanza era delicatamente illuminata da formazioni di cristalli e nella luce sfusa erano delineate due figure: la prima era palesemente la fonte del rumore, l’altra…
Non può essere… “Montu?! Che ci fai qui? È passata un’epoca dall’ultima volta che siamo stati spalla a spalla!” Dalla grotta di Calon Iâ a quell’insieme di cunicoli… Salutò il vecchio compagno di scalate con una solida stretta di mano e proseguì con un paio di convenevoli; il guscio che teneva nella mano sinistra era solo polvere inerte a quel punto. Quindi siamo almeno in due…direi tre, se consideriamo Steel-Guy lì…mi ci gioco il cappello del monaco grasso che siamo tutti sulla stessa barca. Qui nel Baathos. Gli raccontò del monaco e della caduta, poi si mise a rovistare energicamente nella propria bisaccia, la sua mente attraversata da un’idea come uno spiacevole flashback. Trasse la fiala giallognola e la tenne in bella vista. ”Avevo questa in mezzo alla mia roba. Se ne hai una anche tu siamo decisamente nella medesima barca…” L’assenso di Montu pose più dubbi che risposte, ma almeno era chiaro che si poteva fare fronte comune.
A quel punto anche il tizio con il respiratore si fece avanti.
Sembrava un professore universitario che si fosse svegliato la mattina di un esame con il piede giusto per bocciare tutti gli iscritti, ma chi poteva biasimarlo? Uno non è mai troppo attento quando è sotto terra e le cose passano dallo stallo messicano a un due contro uno.
Il suo nome è Jorge. Ne capisce di veleni. Non è colpa sua se siamo qui...quindi è automaticamente assunto.
Prese la situazione per i fianchi, con decisione e con un ampio saluto presentò se stesso e il suo piano. ”Puoi chiamarmi Buonsangue.” cominciò ”E a quanto pare questo posto è più frequentato di quanto ci si aspetti. È ragionevole supporre che non siamo soli qui. Potrebbe essere conveniente spalleggiarci a vicenda fino a quando non saremo tornati su. Tutti a favore?”

In qualche modo, il Baathos prese una decisione al posto loro, quando il terreno si aprì in grosse crepe a pochi passi dal Domatore. Magma e fiamme fluivano come sangue da un taglio fresco, raccogliendosi in una pozza che chiudeva la via per il lago sotterraneo. ”Ok. Chi ha tirato la leva?” Con i nervi sull’attenti e ogni fibra pronta a scattare, la scelta fu quasi istantanea: mormorò qualche parola e disegnò un cerchio nell’aria, i suoi occhi divennero bianchi, poi completamente neri, cadde in ginocchio con la sola mano destra volta verso l’alto.
Il primo fiotto, un lento rigurgito di lava, investì il corpo di Àlfar come una secchiata di acqua ”ATTENTI!” provò a gridare, ma le sue parole furono soffocate; la materia incandescente attecchì e cominciò a divorare la carne immobile, ma tutto quello che ottenne fu un pasto magro di cenere, la stessa cenere che si adagiava su Montu e su Jorge in ampi pezzi simili a foglie. Al secondo cedimento seguì uno spruzzo leggero. Poi un fischio assordante e un’altra esplosione di liquido rovente. Buonsangue aveva reciso ogni contatto con la realtà circostante. La sua mente fluttuava nella stessa cenere che veniva strappata dal suo corpo, la sua essenza vitale si diramava nella roccia e tra i cristalli come le radici di un albero primordiale e cullava i fiotti di magma affinché si quietassero.
Percepiva gli sforzi dei compagni e la loro gratitudine per il piccolo dono cinereo.
Ma scindere corpo e mente è un’impresa ardua anche per il Domatore più esperto e Àlfar non era certo a tali livelli.
Quindi dopo pochi momenti tutto tornò al proprio posto, come risucchiato da un vuoto improvviso, tatto e olfatto per primi e a seguire la vista e il gusto. Da ultimo l’udito, accompagnato da un fischio acuto…Buonsangue si contorceva per scrollarsi il magma incrostato dal corpo e con fragorosi schiocchi l’ossidiana in via di formazione precipitava al suolo e si ricongiungeva alla propria matrice calda e gorgogliante. Sospirò pesantemente, come qualcuno che esce da una doccia bollente in una stanza molto fredda: un nuovo strato di cenere sostituì la pelle precedente ormai distrutta.
Qualcos’altro? No. Sembrerebbe di no. Ah, tutti sani e salvi. Per un momento mi sono preoccupato… Gli occhi vibravano di una fervida luce azzurra, mentre il suo sorriso riacquistava a poco a poco un tono accettabile.

”Chi devo ringraziare di cuore per averci difeso?” il vecchio tossicologo sembrava sollevato, per Àlfar era una vittoria di per sé. ”Direi che puoi indirizzare il tuo ringraziamento a me. Comunque, non c’è di che: si parlava di collaborare e io ho fatto la mia piccola parte. Àlfar “Buonsangue”, Lanterna dell’Edhel e Figlio della cenere. Direi che abbiamo fatto tutte le presentazioni formali del caso e possiamo avviarci verso l’uscita.” si guardò attorno perplesso. ”Ehi, Montu…tu hai detto che siamo nel Baathos…da che parte si va?” Con un’espressione semplicemente smarrita si rimise nelle mani del compagno d’arme ritrovato.






Scheda Tecnica
RISORSE
Fisico 75%
Mente 100%
Energia 125 - 10 - 0 = 115%

Passive

Fratello della Cenere {1/6} - Resistenza a dolore e ustione a contatto con il fuoco. (Razziale)

Attive

1) “Irrobustire” Consumo: Medio (10%)
  • Natura: Magica
  • Tipologia: Difesa ad Area
  • Descrizione: “Il Domatore si concentra ed impone la propria volontà sul mondo circostante: piume di luce coprono come un velo gli alleati e garantiscono una difesa da tecniche di Natura Fisica Basse o inferiori e riducendo i danni inflitti da tecniche fisiche di livello superiore. ”


2) "Comunione con la natura" Consumo: Nullo (0%)
  • Natura: Magica
  • Tipologia: Difesa Assoluta
  • Descrizione: “L’allenamento e l’isolamento hanno donato al Domatore una straordinaria simbiosi con la natura: Qualora dovesse trovarsi ad affrontare una situazione eccessivamente pericolosa, sarà infatti in grado di affidare il proprio spirito a tutto ciò che lo circonda. Il corpo lasciato in balia delle avversità verrà avvolto prontamente da un muschio scarlatto, che ne preserverà le condizioni fino al ritorno dell’anima.”


Evocazioni (e loro Azioni)

Note:
Sono molto contento di quello che ho partorito e ci tengo a scusarmi per il ritardo.

Detto questo, una piccola puntualizzazione sulle tecniche mi sembra d'uopo. La prima tecnica utilizzata è "Irrobustire" anche se nel testo sono utilizzate praticamente all'unisono e ho anche dato una descrizione "contestualizzata" nell'aspetto (non variano gli effetti).

In fine ho giustificato anche l'ultimo dei miei dubbi nei confronti della mia decisione di non segnare danni con l'utilizzo della passiva "Fratello della cenere" che di norma rende maggiormente resistente al fuoco (e unita alla difesa assoluta e ad Irrobustire faceva una bella scena e una valida - per me - giustificazione).

A parte questo, spero che il brano sia piacevole, buona lettura e scusate ancora per la proroga :)

Dialoghi:
Parlato / Pensato - Àlfar
Jorge
Montu - non ancora presente (ho preferito sintetizzare i dialoghi per non eccedere nelle ripetizioni, scusate ^^)



 
Top
Caccia92
view post Posted on 5/3/2016, 14:32






« Baathos; una caverna calcarea »
Una sala con un trono di pietra; decimo ciclo lunare; 05:03.


Kroot'Aremon rilassò le colossali natiche sulla dura roccia lavica, percependo il lieve torpore che il materiale trasmetteva alle sue vene. Tutt'intorno si alzavano volute di fumo e vapore, mentre l'acqua gelida che avevano gettato sulla terra si trasformava in gas a causa dell'innalzamento della temperatura. Ai demoni come lui non dispiaceva il calore, ma doveva ammettere che i getti di lava erano un eccesso in tal senso. La caverna era stata bucata in più punti e parte delle prede raccolte durante la Ghuumus si era trasformata in un cumulo di cenere. Non che quel dettaglio importasse più di tanto, avevano scorte a sufficienza per altri sessanta cicli; tuttavia era alquanto fastidioso sapere che intrusi di non precisata natura gironzolavano liberamente per i territori attorno alla caverna. Kroot'Aremon si fidava delle parole di Brothis dei Mangiamuschio e del suo istinto da Rukozeka, grancapo delle tribù di quella regione. E se c'erano intrusi nel Baathos, magari Senzacorna, era suo dovere scacciarli o sacrificarli alla grande Sfera di Fuoco. Sì, la Sfera di Fuoco era soddisfatta quando riceveva carne fresca in sacrificio.
Per un mestiere del genere, occorrevano i Figli delle Tenebre. A Kroot'Aremon non piaceva chiedere favori al clan degli antichi demoni neri, ma la situazione lo richiedeva. I demoni neri erano silenziosi, bravi ad uccidere, veloci. I suoi guerrieri non potevano competere con loro.
Inviò uno sgherro alle caverne più giù del Baathos e attese.
Passarono alcune manciate di decimi di ciclo. Non sentì arrivare l'emissario dei neri, una creatura estremamente magra, con tendini e muscoli sporgenti; la faccia era un misto di zanne, aculei e protuberanze ossee. Gli occhi erano bianchi, tipici delle creature perennemente in contatto con l'oscurità.
Per fortuna la sua reazione non fu interpretata come paura o disgusto.
« Tlaka a te, Ghoron delle Caverne Nere. Avete accettato il mio dono. »
Il dono era l'emissario stesso. I demoni delle Caverne Nere erano cannibali e si nutrivano degli altri discendenti della genealogia demoniaca. Uno degli aspetti che Kroot'Aremon detestava maggiormente.
« Il dono era misero. Parla, signore dei Pighir. »
Kroot'Aremon represse un grugnito e ignorò l'insulto. Purtroppo aveva bisogno di quell'aberrante creatura.
« Ci sono intrusi nel mio territorio. Chiedo al grande Brazinga un aiuto per scacciare i nemici. »
« Il prezzo della richiesta ti è noto. »
Sì, gli era fin troppo noto. Per ogni attimo di ciclo in caccia, i Neri chiedevano un demone come pasto. Era uno scambio estremamente svantaggioso in termini di quantità, ma il Rukozeka contava sulla rapidità dei mercenari profondi e sulla loro irrefrenabile sete di sangue.
« Accetto il prezzo. Chi manderà il grande Brazinga? »
La faccia aguzza di Ghoron si distese in quello che poteva essere interpretato come un sorriso. Denti estremamente brillanti comparirono tra le scaglie scure e le ossa sporgenti.
« Da troppo tempo Sifilli è fermo. »
Sifilli era uno dei demoni più pericolosi del Baathos, nonché il cacciatore più esperto dell'intera regione.






« Baathos; un luogo imprecisato sotto il territorio del Sultanato »
Una grotta cristallina; decimo ciclo lunare; 04:03.


Erano messi male. Il suo braccio sinistro era completamente ricoperto da ustioni, la caviglia si era slogata durante la corsa a perdifiato attraverso le gallerie. Koman aveva la schiena punteggiata da bolle e il volto ricoperto di fuliggine. Il terzo minatore, quello di cui non avevano appreso il nome, era stato lasciato indietro. Una decisione sofferta per Laskano, ma necessaria per la sopravvivenza. Non sarebbero mai riusciti a trasportare un corpo sulle spalle e contemporaneamente evitare i getti di lava che esplodevano attorno a loro. Il Baathos si stava lentamente rivelando per il posto che era: un'imprevedibile gabbia di tormenti.
Si erano infine fermati vicino ad una formazione cristallina luccicante, più che altro perché non avevano più fiato. Il posto era stato scelto casualmente. Forse il freddo colore azzurrognolo delle pietre aveva attirato la loro attenzione, magari inconsapevolmente convinti di trovare refrigero. Ma l'aria era bollente e la pelle scottata.
Laskano si distese per terra con una smorfia, annusando l'odore della carne bruciata. Il dolore al braccio era insopportabile.
« Dobbiamo uscire da questo inferno. Perché abbiamo mollato i picconi... »
Koman, ansimando poco più avanti, lo fissò con compassione.
« Tra i fiumi di lava e magma non ho pensato al piccone. » replicò ironicamente.
Laskano si guardò intorno. Ovviamente voleva replicare che i picconi erano la loro unica speranza di salvezza, ma al momento non aveva nemmeno la forza di camminare. Cominciò a riflettere sulle possibili soluzioni: scavare a mano era un suicidio, girovagare senza meta per il Baathos era altrettanto controproducente, per non parlare del rimanere fermi troppo a lungo in un posto. Cosa potevano fare?
« Tu credi...credi che non ci siano altri umani qui dentro? » chiese ad un certo punto Koman.
Laskano si immobilizzò. Quella era una constatazione tanto sciocca quanto probabile. Potevano esserci altre persone dentro il Baathos? Perché no? Le caverne erano talmente grandi che non era difficile evitare altre presenza. E quanto tempo era passato dal crollo della miniera? Chissà cos'era successo nel frattempo.
« Per una volta sono d'accoro con te, Koman. Non è una brutta idea cercare un aiuto, invece di fare tutto da soli. »
Koman sorrise. Un sorriso ebete. Laskano rispose al sorriso.
Entrambi sapevano che la disperazione stava lentamente attecchendo nelle loro menti.









CITAZIONE

QM.POINT



Ecco il quarto giro! Chiedo nuovamente perdono per l'immenso e ingiustificato ritardo nel presentare questo post, spero di andare spedito fino alla fine - non manca molto - e di non avere altri imprevisti. Riprendiamo le due scene principali, con il signore demoniaco Kroot'Aremon che ormai è certo della vostra presenza nel suo territorio. Parlando di demoni minori e comunque non troppo dediti alla guerra, il Rukozeka decide di chiedere aiuto ai famigerati cacciatori delle Caverne Nere. Dopo un breve colloquio con un emissario dei Neri, gli viene concesso il supporto di una delle bestie più pericolose della regione: Sifilli. Ovviamente questa è la parte che più vi interessa del post e che vi riguarda direttamente. In questo giro dovrete sostenere un combattimento autoconclusivo con Sifilli. Sifilli è un demone nero gigante (molto più grande di un essere umano) cosparso di fuoco luccicante e privo di qualsivoglia emozioni o sentimento. Per farvi un'idea, potete immaginare un Balrog. Si tratta di una pericolosità Fuori Scala, quindi sufficientemente potente per mettervi al tappeto se affrontato uno alla volta. Tuttavia voi siete in tre; inoltre, quello che i Neri non sanno è che non siete semplicemente umani allo sbando. Vista l'impronta che ho deciso di dare alla quest, sarete voi ad organizzare il combattimento in tutto per tutto: deciderete modalità d'incontro, tecniche utilizzate dal nemico, strategie (sia vostre, sia di Sifilli) e la conclusione dello scontro. Vi lascio piena libertà per verificare quanto riuscite a cooperare e qual'è il vostro livello di organizzazione. Come suggerimento posso dirvi che il Nero è un cacciatore e utilizza tecniche elusive, subdole. Probabilmente è abbastanza intelligente da preparare anche delle trappole. Se avete domande, sono disponibile nel topic di confronto.
C'è un problema aggiuntivo. Il veleno che vi hanno somministrato prima di gettarvi nel Baathos sta cominciando a fare effetto. Subirete quindi un decremento del 10% alle energie e avvertirete un senso di spossatezza, unito alle vertigini e alla nausea. Se non curati, questi danni saranno crescenti e permanenti. L'unico modo che avete per rallentare il progredire del veleno è assumere il contenuto della boccetta che vi è stata fornita. Il contenuto di una fiala è sufficiente per bloccare i sintomi più lievi. Per curarvi completamente avrete bisogno di due dosi. Questo è il dilemma, a voi la decisione (so che è una situazione...stronza, ma così deve essere).
Ramses, a te lascio un'ulteriore libertà, cioè quella di trattare Sifilli come preferisci. Lo conoscevi? Si tratta di un discendente degli antichi compagni? Ha a che fare con la guerra antica? Quello che desideri, ti ho solamente dato lo spunto.
Vista la natura del lavoro e il ritardo fatto dal sottoscritto, vi concedo sette (7) giorni per postare.
Buon lavoro!
 
Top
view post Posted on 18/3/2016, 01:32
Avatar

Studioso
····

Group:
Member
Posts:
1,082

Status:



Il Giorno Profondo
- Grande. Grosso. Brutto!





Il magma si diradava e solidificava in un pavimento di ossidiana.
Erano sopravvissuti.
L’intera zona si era fatta buia come la pece.
Uno strano silenzio era sceso sul gruppo come in uno scenario da incubo: Àlfar sentiva persino il proprio sangue rimbombare nelle vene; qualcosa non andava.
Come se non bastasse si sentiva sfiancato, molto più di quanto si aspettasse…non aveva fatto altro che stendere una mano a proteggere i propri compagni, ma era come se avesse faticato il doppio.
Un conato di vomito punteggiò il forte senso di nausea che lo permeava in maniera crescente.
Si alzò in piedi barcollando…Ci scommetto l’anima, che sto quasi certamente per buttare fuori, che è colpa di quei maledetti figli di buona donna che mi hanno buttato di sotto. Eccheccazz… sul pavimento nuovamente ricostruito si distribuì la cena di dell’ultima settimana in una bella pozzanghera irregolare. ”Lo sapevo…”

E poi la temperatura si innalzò violentemente, accompagnata da un ruggito dissonante. Colonne di fuoco si accesero intorno al gruppo, descrivendo un’ampia arena circolare. Di fronte a loro si ergeva una bestia grande e grossa. Completamente fusa con le ombre che la circondavano e delineata appena dalle fiamme che il suo stesso corpo sembrava produrre.
Il domatore prese le redini del proprio istinto e costrinse la sua mente a placarsi anche di fronte alla bestia, mentre quella sbatteva piedi e mani contro le pareti della grotta e facendo crollare sull’intero gruppo dei grossi macigni. Spiccò il volo tentando di schivare le pietre: un paio sfiorarono le gambe, ma in generale era il caldo a dare più problemi. Era abituato a saune più calde, ma nemmeno quella era una doccia fresca. Girò attorno all’energumeno sfruttando lo slancio dello stesso e si abbatté come uno sciame di api violente sulle sue articolazioni: spalle, ginocchia, nuca. Un piccolo regalino. Ma vedi di farti una doccia per la prossima volta Liberò l’energia che aveva predisposto e il demone si gonfiò come un pallone di carne e muscoli, gridando come una bestia ferita e menando fendenti con una colossale spada infuocata. Un primo tentativo di Montu era andato a vuoto, quando il demone si era trasformato in una nube di fumo e faville. Il primo colpo prese Àlfar sulla schiena, lanciando una scia di fuoco e sangue nell’aria. Il secondo fendente invece lo attraversò come il fumo.
"Montu! Gli serve una rinfrescata! Diamogli un'idea di cosa può fare la coppia che ha dominato l'Erydlyss!" E con quel grido si lasciò cadere verso la nuca del demone, raggiunse la fiasca al proprio fianco e bevve tutto d’un fiato. Gli occhi si iniettarono di un rosso intenso e fulmini neri esplosero sulla schiena del demone. Una doccia di affondi con le dita tese per convogliare le scariche elettriche direttamente nei centri nervosi del demone. Qualcosa aveva distratto il demone e doveva averlo spaventato, perché per la seconda volta si tramutò in ombra e fumo: lasciò dietro di sé una fetida nube di un qualche tipo di gas ignorando completamente l’offensiva combinata dei due. Riuscendo a malapena a respirare in quel miasma, convocò istintivamente un piccolo uovo blu come il cobalto.

La creaturina dalle molte teste si inerpicò sulla spalla del padrone e identificò chiaramente il demone.
Bastò appena un flash.
Àlfar si girò di colpo con un ghigno sulle labbra: fulmini neri alla punta delle dita e i pugni serrati.
”Buonanotte, stronzo!” E una assordante scarica di elettricità sibilò nell’aria.

Il demone crollò.
Àlfar crollò. Con mano tremante raggiunse la bisaccia e consumò la fiala di liquido giallo e la tracannò per mandare giù le sue erbe. Non aveva tempo di capire se la cosa lo avrebbe aiutato o meno.

La nausea sembrò arginarsi, così come la stanchezza particolare. Era stato fortunato...




Scheda Tecnica
RISORSE
Fisico 75 - 10 - 10 - 5 - 5 = 45%
Mente 100 - 5 - 5 = 90%
Energia 115 - 10 - 10 - 0 - 10 - 20 - 5 - 10 - 20 + 5 + 10 = 45%

Oggetti

Erba ricostituente = +5% Energia
"Bibitone Giallino" = Neutralizza effetti del veleno.

Passive

Fratello della Cenere {2/6} - Resistenza a dolore e ustione a contatto con il fuoco. (Razziale)
Viandante {1/6} - Resistenza a sbalzi di temperatura, intemperie, sete, fame. (Talento)
Sfinire {1/6} - I danni inferti dai colpi fisici non tecnica danneggiano l'energia. (Talento)
Volo senz'ali {1/6} - Volare (Talento)
Istantanea {1/6} - Evocazioni a tempo zero. (Classe)

Attive

1)
  • "Serenità" Consumo: Medio (energia)
    • Natura: Psionica
    • Tipologia: Difesa (Bersaglio singolo)
    • Descrizione: “Àlfar chiude gli occhi ed entra in una trance temporanea che gli permette di ignorare i danni provenienti da offensive psioniche di livello Medio o inferiore o mitigare gli effetti di potenza superiore.”


  • 2)
  • "Risvegliare il potenziale sopito"
    Consumo: Nullo
    • Natura: Fisica
    • Tipologia: Power-Up con danno al Fisico. (Bersaglio singolo)
    • Descrizione: “Fiamme d’oro avvolgono le mani del Domatore. Questi procede immediatamente a colpire il bersaglio, che vedrà la propria struttura fisica subire un ingrossamento dei muscoli repentino e incontrollato: la modifica è dovuta al rilascio di energie a seguito della stimolazione di particolari punti di pressione e comporta un incremento della Forza di ben 8 CS a fronte di un danno al Fisico pari ad Alto.”


  • 3)
  • “Sfumatura protettiva”
    Consumo: Basso (Mente)
    • Natura: Magica
    • Tipologia: Difesa contro attacchi a 0 o più CS
    • Descrizione: “Il Domatore avvolge il proprio corpo o quello di un compagno d’arme con la benedizione dei draghi: un mantello di nebbia incuba il corpo del bersaglio coprendolo di scaglie robuste che vanificano gli attacchi non tecnica per tutto il turno di utilizzo.”
    • Durata: 1 turno


  • 4)
  • “Elisir dei Draghi”
    Consumo: Alto (Distribuito come in descrizione)
    • Natura: Fisica
    • Tipologia: Power-Up
    • Descrizione: “Un elisir simile a idromele tramandato di generazione in generazione in alcune zone dell’Erydlyss, incrementa le capacità fisiche di chi lo consuma, ma causa emicranie e intorpidimento del corpo. Con un dispendio energetico Medio, Àlfar è in grado di limitare gli effetti collaterali ad un danno Medio distribuito a fisico e mente. Scenico: per qualche momento gli occhi diventano rossi e compaiono venature verdi sulla pelle.”
    • CS: 8 – Forza (x3) Destrezza (x2) Velocità (x1) Riflessi (x1) Precisione (x1)


  • 5)
  • “Calma glaciale”
    Consumo: Alto (Energia)
    • Natura: Psionica
    • Resistenza: Alto
    • Tipologia: Difesa Psionica
    • Descrizione: “Nulla può scalfire la mente di un Domatore, sempre saldo nelle proprie convinzioni e fermo anche di fronte alla paura. Questa capacità richiede concentrazione per essere usata efficacemente in battaglia, ma assorbirà un massimo Alto di danni diretti alla Mente del Domatore.”


  • 6)
  • "Provocare"
    Consumo: Basso (energia)
    • Natura: Psionica
    • Tipologia: Offensiva (Bersaglio singolo)
    • Descrizione: “Àlfar imprime la propria volontà in un gesto repentino volto a creare un suono secco, come uno schiocco o un rintocco. Tale suono agirà da interruttore nella mente dell’avversario, liberando l’istinto di lotta e obnubilando il giudizio dell’individuo: questi si vedrà spinto a utilizzare tutte le proprie CS nel singolo turno in cui subisse la tecnica. La tecnica non infligge danno e ha potenza Bassa, di conseguenza è contrastabile con opportune difese psioniche di livello Basso o superiore.”


  • 7)
  • “Sentinella Blu” (Colore: toni di blu) Consumo: Medio
    • CS: 1 – Precisione
    • Resistenza/Durata: Basso/2 Turni (Evocazione inclusa)
    • Abilità: Auspex – Lo sguardo di zaffiro trascende i limiti della vista comune, tanto che può identificare il battito cardiaco di chiunque – nascosto o meno che sia.
    • Aspetto: “Una serpe dalle molte teste piumate, solo un paio di zampe dotate di ventose in corrispondenza del torace. Dopo essere stata evocata, si avviluppa al busto del caster con la lunga coda e con le zampe si mantiene stabile. Le cinque testoline scrutano ogni direzione con i propri occhi di zaffiri in cerca di prede su cui far piovere i dardi cartilaginei prodotti e sputati con la lingua. Attacca dalla distanza. Su comando del Domatore può anche allontanarsi dal caster per difendere una diversa postazione.”
    • Quantità: 1 esemplare


  • 8)
  • “Debilitare”
    Consumo: Variabile Alto (Energia)
    • Natura: Magica
    • Tipologia: Danno all’Energia
    • Descrizione: “Un colpo poderoso e rapido, o somma di tali, carico di energia condensa l’aria in un fascio di scariche elettriche. A contatto con il corpo dell’avversario l’elettricità addensatasi nel fascio viene rilasciata all’interno dell’organismo e interferisce con il controllo del bersaglio sul proprio mana disperdendone una quantità identica a quella impiegata per generare la carica. Rune nere compaiono sul punto colpito.”


  • Evocazioni (e loro Azioni)

    “Sentinella Blu” (Colore: toni di blu) Consumo: Medio
    • CS: 1 – Precisione
    • Resistenza/Durata: Basso/2 Turni (Evocazione inclusa)
    • Abilità: Auspex – Lo sguardo di zaffiro trascende i limiti della vista comune, tanto che può identificare il battito cardiaco di chiunque – nascosto o meno che sia.
    • Aspetto: “Una serpe dalle molte teste piumate, solo un paio di zampe dotate di ventose in corrispondenza del torace. Dopo essere stata evocata, si avviluppa al busto del caster con la lunga coda e con le zampe si mantiene stabile. Le cinque testoline scrutano ogni direzione con i propri occhi di zaffiri in cerca di prede su cui far piovere i dardi cartilaginei prodotti e sputati con la lingua. Attacca dalla distanza. Su comando del Domatore può anche allontanarsi dal caster per difendere una diversa postazione.”
    • Quantità: 1 esemplare


    In questa situazione fa solo da vedetta (Turni: 1/2)

    Note:

    Scusate il ritardo...ma è stata una giornata pateticamente tragica. A partire dal fatto che ho quasi lasciato QUESTO PC sul treno. Con tutte le conseguenze del caso...ancora, scusatemi ^^

    Non mi sembra ci sia molto da dire riguardo al testo. A parte questo spero che ve lo godiate. visto che Alb non ci ha più detto nulla ho pensato di consumare subito la parte di "bibitone giallo" di Àlfar. Eventualmente se troviamo ancora la porzione di Alb la lascio a te, purché mi porti fuori in spalla ^^

    Scusami ancora, Caccia...

    Dialoghi:
    Parlato / Pensato - Àlfar
    Jorge
    Montu - non ancora presente (ho preferito sintetizzare i dialoghi per non eccedere nelle ripetizioni, scusate ^^)



     
    Top
    view post Posted on 18/3/2016, 02:25
    Avatar

    Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
    ·····

    Group:
    Member
    Posts:
    1,940
    Location:
    Roma

    Status:




    Il Demone si appoggiò ad un cristallo, per un attimo la grotta aveva girato su sé stessa e ora sentiva i conati salirgli in gola. Cercò con gli occhi i suoi compagni e vide Alfàr nella sua stessa situazione, poi si rivolse al tossicologo: -Dubito sia la profondità a farci questi scherzi; potrebbe essere un veleno somministratoci da chi ci ha mandato qui giù?-
    Si, senza dubbio un veleno. Ma perché dargliene ancora una boccetta? Era veramente quella l’unica via per fuggire dal Baathos? Morire avvelenati, suicidi.
    Ma laggiù non potevano permettersi di abbassare la guardia, nemmeno per cercare di vomitare fuori quella sensazione di acido che attanagliava i loro stomaci, nemmeno per riprendere fiato e cercare di ragionare più o meno lucidamente. La temperatura si alzò ancora improvvisamente, ma i gradi aumentarono molto più vertiginosamente rispetto a poco prima.
    -Fate attenzione ai getti di lava!-
    Montu urlò ma il suo avvertimento valse poco; dall’ombra comparve un pericolo molto più grande: un gigantesco demone dalla pelle nera, i tratti si distinguevano perché illuminati dalle fiamme accese su varie parti del suo immenso corpo. I suoi occhi di brace incontrarono i riflessi di fuoco di Montu, che provò qualcosa di familiare in quel terrore: Leraje il Distruttore. Sifilli nella lingua degli uomini.
    -AZAZEL! FINALMENTE AVRO’ LA TUA TESTA!-
    Aveva parlato nell’antica lingua dei demoni. La frase sembrava solamente un ruggito ma era intrisa del potere degli Antichi. Cosa ci faceva un Marchese lì? Ma… cos’era un Marchese? Perché Montu conosceva il nome di quel demone e… chi diavolo era Azazel?!
    Sifilli iniziò a battere le mani sulle pareti e dal soffitto crollarono pezzi di pietra e cristalli. L’Eterno si mosse il più velocemente possibile per evitare ogni roccia, quasi finì schiacciato da un enorme pezzo di basalto ma riuscì a superare indenne la pesante pioggia di detriti. Ma aveva perso di vista il demone: Sifilli gli arrivò addosso con una potenza inaudita, Montu venne scaraventato a diversi metri di distanza rotolando sul pavimento coperto di macerie; rimbalzò più volte prima di arrestarsi bruscamente contro la parete di roccia nera. Si rialzò sorridendo mentre il suo corpo duro come il metallo riacquistava le naturali proprietà.
    -Ci vorrà molto di più per prendere la mia testa.-
    Piantò i piedi a terra e volò verso l’avversario. Il demone nero gli dava le spalle, distratto mentre attaccava le due prede rimaste. Montu lo caricò cercando di imprimere al colpo quanta più energia riusciva a sfruttare, e arrivò tra le scapole di Sifilli. Scapole fumose, calde, intangibili. Il Demone le attraversò e si ritrovò ancora a fissare il nemico negli occhi, a pochi metri di distanza dal suo volto lavico.
    -Patetico insetto, non puoi toccarmi!-
    Un sussurro, ancora nella loro lingua madre, che aveva fatto vibrare le pareti della grotta.
    Un lunghissimo spadone di fiamme comparve tra le mani del mostro che lo abbatté su Alfàr, poi ruotò su sé stesso e tento di colpire anche Montu, che levitava davanti ai suoi occhi.
    La spada stava per tagliare in due l’Eterno, che però frappose le mani tra la lama e il corpo. La forza impressa da Sifilli in quel colpo era impressionante, ma il Demone riuscì a bloccare l’arma con entrambe le mani: la sua pelle dura non era stata tagliata, e la forza dei due si eguagliava.
    Montu rise ancora immaginando la frustrazione del suo nemico in quell’istante, ma il Distruttore alzò l’altra mano e schiantò le nocche sul corpo scoperto del piccolo uomo che lo stava fronteggiando. Montu di nuovo venne spazzato via, atterrando dolorosamente una decina di metri più lontano.
    -Montu! Gli serve una rinfrescata! Diamogli un'idea di cosa può fare la coppia che ha dominato l'Erydlyss!-
    Alfàr! Sembrava se la stesse cavando, ma ce l’avrebbero fatta a superare anche quella? Non stavano di certo affrontando un Rock, e quel demone non sembrava nemmeno così bendisposto alla diplomazia come lo era stato il Drago sulle montagne.
    Una rinfrescata… già, forse un po’ di neve avrebbe spaventato e distratto abbastanza quel mostro da permettere all’Eterno di sparargli contro tutta la sua potenza.
    L’immagine di una valanga riempì la mente del Demone, e in un attimo fu anche in quella di Sifilli, che per un secondo smise di attaccarli cercando di evitare l’onda bianca che credeva lo stesse per investire.
    Intanto Montu era di nuovo in piedi, le mani unite davanti a lui con i palmi aperti e una sfera di fuoco che cresceva sempre più tra le sue dita; la sfera divenne grande quanto l’intero corpo del demone nero, vorticava su sé stessa attirando al suo interno i piccoli frammenti delle rocce distrutte nello scontro. Poi partì. Sifilli la vide quando ormai era troppo tardi, allargò le braccia e venne colpito dal fuoco in pieno petto. Ora toccava a lui essere sbattuto a terra.
    Per la prima volta Leraje assaporava il gusto del suo sangue. Se il demone avesse potuto provare emozioni in quell’istante nel suo cuore non ci sarebbe stato posto per altro che non fosse il terrore.
    Il Distruttore si rialzò e osservò i suoi avversari. Chi erano? Come avevano potuto metterlo in difficoltà? Quei due uomini non sembravano avere paura di lui, si muovevano veloci e riuscivano a fare molti danni, eppure sembravano appena stanchi.
    Sul corpo di Sifilli si aprirono numerosi pori e del gas giallognolo fuoriuscì di getto quasi fosse sotto pressione. La testa si fece d’un tratto più pesante ma il Demone era certo di poter continuare a combattere al massimo del suo potenziale, tuttavia lo stesso non si poteva dire del gargantuesco essere che aveva cambiato atteggiamento, come se si sentisse con le spalle contro un muro. Un pugno del demone aprì una voragine nel soffitto e un fiume di lava gli colò lungo il corpo ma piuttosto che danneggiarlo sembrò donargli nuovo vigore.
    Montu avanzò nella nebbia gialla, e il suo corpo si quadruplicò: l’Eterno originale si alzò di nuovo in volo emergendo dal gas e tossendo via le tossine, mentre le quattro copie avanzavano inesorabili verso il nemico.
    Il Demone stringeva nel pugno la katana, poi contemporaneamente le cinque figure si abbatterono su Sifilli.
    Ma il demone nero scomparve, fumo nel fumo, le scie di fuoco lasciate dalla sua pelle si confondevano con i piccoli incendi accesisi ovunque nella grotta. La creatura aveva così evitato gli attacchi di Montu e di Alfàr, che ora cercavano di individuarlo tenendo i sensi all’erta.
    -Dietro di noi!-
    Alfàr l’aveva trovato. Prima che il Distruttore potesse fare alcunché subì in pieno il colpo del drago. Montu gli volò incontro e lo colpì sul petto, all’altezza del cuore.
    Sifilli sgranò gli occhi, vomitò sangue quando l’organo gli esplose nel petto e poi cadde a terra, le braccia larghe.
    Il fumo si diradò e l’Eterno atterrò accanto al compagno. Tossì sangue:
    -Ce l’abbiamo fatta anche stavolta eh.-
    Abbozzò un sorriso prima di crollare sulle ginocchia.



    Energia: 140 -10 -10 -20 -5 -40 -10 -10 -20 =15%
    Fisico: 65 -5 -5 -5 =50%
    Mente: 75 -10 -10 -5 =50%
    Riserva CS: 3 [+4 Forza, +1 Velocità, +1 Intelligenza, +2 Maestria nell’uso delle Armi]

    Equipaggiamento:
    Shokan: Riposta
    Pistola: Riposta

    Armature:
    Pelle Coriacea [Arma Naturale]

    Oggetti:
    Biglia Stordente: 1
    Biglia Tossica: 1
    Biglia Deflagrante: 1
    Corallo [+1 Forza, +1 Velocità, +2 Maestria nell’uso delle Armi]
    Corallo [+2 Forza, +1 Velocità, +1 Intelligenza]
    Gemma della Trasformazione
    [Anello del Tuttofare - Immortalità]

    Pergamene Usate:
    Illusione Consumo Energetico: Basso (5%)
    La tecnica base di ogni mentalista è quella di creare sul campo di battaglia un'immagine per ingannare tutti i cinque sensi dell'avversario, in grado di spostarsi ed emettere suoni. Tale illusione può rappresentare una persona, una creatura, un avvenimento o persino modificare l'aspetto del campo di battaglia stesso per intero. Influenza solamente un bersaglio, per un turno.

    Abilità Usate:
    Sembra che l'addestramento durerà meno del previsto, dobbiamo partire: il nostro Regno è stato invaso, lotterò per la mia terra e la mia famiglia.
    Il Capitano ha iniziato ad addestrarci sulla difesa non appena è arrivata la notizia, forse pensa sia troppo presto per la nostra prima battaglia. È incredibile come -con un consumo Energetico Medio- riesco a rendere il mio corpo resistente come il ferro. Che sia l'intero corpo, la testa, il petto, un arto o anche solo un dito, sono in grado di parare i colpi che ricevo. Quando la lama colpisce la parte mutata si alzano delle scintille e il punto colpito diventa rosso come fosse incandescente, ma non sento nessun dolore e dopo un istante tutto torna come prima.
    Inoltre ci è stato detto che alcune subdole creature potrebbero cercare altri punti deboli, ma siamo addestrati per fronteggiarle: il nostro plotone possiede una determinazione ed un coraggio senza pari e -con un consumo Energetico Alto- possiamo impedire a chiunque di manipolare le nostre menti.
    [Resistenza (4/25) - tecnica fisica; difende da un attacco rivolto al Fisico di potenza Media o inferiore.]

    Il Capitano ci ha tolto le spade, ha detto che non sempre possiamo contare sul nostro equipaggiamento: potrebbe spezzarsi la lama o peggio potremmo venir catturati. Abbiamo fatto lezioni di lotta; il Capitano sembra eccellere in ogni disciplina bellica. Dopo nove giorni di duri allenamenti posso -con un consumo Energetico Alto- scagliare lontano o respingere violentemente il mio nemico, sia travolgendolo che eseguendo una delle prese che ho imparato.
    [Travolgere (3/25) - tecnica fisica di potenza Alta; danneggia il Fisico.]

    [19/25] Figlio del Fuoco. Consumo Energetico: Variabile (Critico - 40%)
    Il Demone può generare una sfera di fuoco tra le sue mani, modificandone aspetto e grandezza secondo la sua volontà, e scagliarla contro il nemico.
    Tecnica di natura Fisica. Potenza pari al consumo speso, infligge danni da ustione al Fisico. (A consumo Nullo il fuoco generato sarà sempre una piccola sfera e potrà essere usata solamente come fonte di illuminazione; Montu potrà inoltre trattenerla nella mano)

    La più grande forza di un soldato sono i suoi commilitoni. Questa è l'unica cosa che sono sicuro di aver imparato al campo di addestramento. So di poter contare sui miei fratelli, so che in caso di pericolo ci saranno loro al mio fianco. Forza e ferocia, combattere prima per gli altri e poi per sè stessi. Se non sei pronto a morire per un altro soldato non sei degno del nostro plotone.
    [Plotone (6/25) - evocazione fisica di potenza Media - Consumo Energetico Medio; Consumo Fisico Basso; Consumo Mente Basso; 4CS (+2 Forza; +2 Ferocia). Sparirà dopo due turni, o dopo aver incassato un danno totale pari a Medio.]

    Sembra passata una vita da quando sono arrivato. Ci preparano per la guerra ma vorrei tornare a casa. Il Capitano non accetta inetti, ripete sempre: "Una cosa è saper maneggiare elegantemente una spada, un'altra è saper essere efficaci."
    Se l'eleganza mi è stata data da mio padre quand'ero bambino, devo solo al Capitano l'efficacia dei miei colpi: ora sono in grado -con un consumo Energetico Medio- di affondare un colpo, a mani nude o con qualsiasi arma bianca, in grado di ferire gravemente l'avversario; inoltre -con un consumo Energetico Alto- posso sferrare un'offensiva tanto precisa quanto letale, a mani nude o con qualsiasi arma bianca, in grado di infliggere danni interni all'organismo del nemico, non visibili dall'esterno. Il Capitano infatti ci ha fatto vedere come causare lesioni interne facendo sì che il contraccolpo si ripercuota sugli organi, i tessuti e la muscolatura del bersaglio.
    [Affondo (1/25) - tecnica fisica di potenza Media; danneggia il Fisico.]
    [Colpo Lesionante (2/25) - tecnica fisica di potenza Alta; danneggia il Fisico.]


    Passive Usate:
    Immortalità. Passiva (Numero di utilizzi: ∞)
    Il Demone sfonda lui stesso la barriera della non vita, divenendo un immortale e sconfiggendo la morte una volta per tutte.
    La tecnica ha natura magica e conta come un'abilità passiva - si potrà dunque beneficiare dei suoi effetti in qualsiasi momento nel corso di una giocata. Il caster diviene a tutti gli effetti immortale, rimanendo in vita indipendentemente dalla quantità di danni subiti. Non potrà comunque continuare a combattere con una somma di danni mortali sul corpo, non sarà immune al dolore né agli effetti dei danni - ad esempio, con una gamba spezzata non potrà camminare. La tecnica garantisce una difesa dalle scene in cui è possibile perdere il proprio personaggio o al termine di un duello con Player Killing attivo: i personaggi possedenti questa passiva non potranno essere uccisi in nessun caso.
    [Il Demone potrebbe comunque essere ucciso qualora gli si cavassero gli occhi]

    Personale 16/25 Volo. Passiva (Numero di utilizzi: 432)
    La naturale capacità del Demone di volare grazie alle sue ali è permeata nella sua forma umana, permettendo così a Montu di levitare anche quando non appare con il suo vero aspetto.

    Forma demoniaca [Per alcune razze di Theras, il concetto di "forma" è limitato. I demoni possono apparire agli altri sia con l'aspetto di umani qualunque che con la forma più consona di creature mostruose come li si rappresenta solitamente, a seconda della necessità. Consumando un utilizzo di questa passiva e soltanto se durante la notte, una progenie dei demoni può assumere una forma che manifesti la sua discendenza: per alcuni si tratterà di trasformarsi in un mostro vero e proprio, mentre per altri di assumerne solo alcuni tratti tipici (corna, ali, ecc.).] (Numero di utilizzi: 4)

    » Mente fredda: una delle capacità dei possessori di questo talento è quella di mantenere la lucidità, la ragionevolezza o la propria fede in qualsiasi caso, anche quando la loro mente è incredibilmente danneggiata. In termini tecnici questa passiva, quando utilizzata, garantisce al possessore l'immunità dal dolore psionico e nega gli effetti che le tecniche nemiche dovrebbero avere sulla mente del possessore, seppur non negando i danni. Dovesse l'avversario - ad esempio - lanciare una potente tecnica per spaventare il possessore del talento, quest'ultimo subendola verrà comunque danneggiato dalla tecnica, ma non sarà mai spaventato dal proprio avversario, (Numero di utilizzi: 654)

    Mentre massacravo il mio villaggio ho scoperto che alcuni avevano poteri mentali, insignificanti paragonati al mio, ma degni di nota. Ma durante il mio addestramento ho imparato a preservare e focalizzare la mia attenzione sul bersaglio, accrescendo le mie abilità di discernimento e di analisi nei momenti di confusione.
    Ogni volta che usavano i loro poteri mentali mi sentivo più forte. Mi nutrivo dei loro patetici tentativi di ostacolarmi o di difendersi.
    Mi sono sentito… invincibile.
    [Nutrirsi (12/25) - Passiva - Numero di utilizzi: 654. Con il consumo di un utilizzo di questa passiva il caster sarà in grado di aggiungere 1 CS alla propria riserva quando l’avversario utilizza abilità di natura psionica.]

    Note: Oltre le varie tecniche elencate specifico l'uso delle Passive: due utilizzi di Volo (seppur in un solo post ho considerato più turni, così come da Confronto); due utilizzi di Mente Fredda sull'uso delle tecniche psioniche da parte di Sifilli; due utilizzi di Nutrirsi, sempre sulle tecniche psioniche avversarie, con cui guadagno 1CS in Forza e 1CS in Velocità.
    Riguardo le CS: evito le rocce a 0CS con 1CS in Velocità, i due attacchi a 4CS vengono neutralizzati uno con 4CS in Forza, mentre l'altro lo subisco ammortizzando il colpo grazie alla Pelle Coriacea e subendo quindi un danno Basso. Un ulteriore CS in Velocità lo uso nel momento dell'attacco finale, per giustificare il repentino attacco da parte di Montu, dopo l'avvertimento di Alfàr.
     
    Top
    18 replies since 19/1/2016, 14:33   397 views
      Share