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Sotto un nuovo sole; rivoluzione industriale

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view post Posted on 21/1/2016, 18:31

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Racconti di un Nano volante
- Sotto un nuovo sole -
Rivoluzione Industriale




“In mattina sono arrivato con la ciurmaglia a Qatja-yakin, l’ultima tappa verso il Dortan, ma credo che qualcosa mi tratterrà nell’Akeran ancora per un po’. Ho incontrato un uomo in una locanda, un vecchio pazzo che dice di chiamarsi Besil. Beveva come un orco e si comportava da matto: con la testa immersa nei fogli, mi parlava di una formula alchemica per restare sobri, un unguento miracoloso, capace di mantenere sveglio anche il più incallito degli ubriaconi. Sinceramente, non ho capito se volesse vendermi questo miracoloso portento alchemico o fosse solo un ubriacone vaneggiante, so solo che quanto gli ho chiesto il prezzo, m’ha additato come ladro ed è fuggito urlando “maledetto demone nano” o qualcosa del genere.
I miei lo hanno catturato, pensavano mi fossi messo nei guai e che quel vecchiaccio volesse allertare le autorità. Son rimasto sorpreso di vederlo, imbavagliato e legato, a bordo della Küçük tranquillo e senza un graffio. La ciurma mi disse che avrebbe parlato solo col capitano e così fu. Dopo l’iniziale diffidenza, si sciolse e abbiamo chiacchierato per tutta la notte. È venuto fuori che Basil è rimasto impressionato dal mio archibugio personalizzato e che gli piacerebbe se diventassi il suo “pupillo”, non c’è stato modo di rifiutare la sua offerta, però. A quanto pare, è un famoso Alchimista (personalmente, non ho mai sentito il suo nome) e ha passato gli ultimi anni a studiare il volo e i venti, quando non lavorava sulla divisione alchemica degli elementi naturali, ora vuole far volare qualcosa lui stesso. Ha riconosciuto in me “una grande mente e un gran carpentiere” e gli serve una mano per il suo prossimo progetto. Non ha chiesto nulla, neanche se fossi d’accordo, mi ha detto solo di incontrarlo in questo porto fra due mesi, prima di andarsene, come se nulla fosse. Quell’uomo mi spaventa.
Non so dove sia ora e non mi interessa. Non sono neanche sicuro di voler restare nell’Akeran o muovermi verso nord. Spero solo che i giorni che passerò a far rifornimento e la notte mi portino consiglio.”


Diario del Capitano Aruj Shadak ; 2° giorno dopo il 6° Plenilunio - Qatja-Yakin



Erano passate già nove settimane da che Aruj aveva conosciuto Besil, prima che i due si incontrassero allo Stretto di Qatja. L’attempato umano era un luminare che per anni aveva studiato il volo degli uccelli, solo per esser cacciato via da qualunque accademia del Sultanato, quando aveva iniziato a proporre l’idea di “carrozze semoventi volanti”. A detta del vecchio, lo discriminavano perchè fosse solo un umano, nonostante “tutto quello che aveva fatto per loro”. Chi fossero “loro” e cosa fosse “tutto quello” di cui dovessero esser grati, il pirata se lo chiedeva ogni volta che sentiva quella frase ma, ogni volta che lo chiedeva a Besil, la versione cambiava ed, ormai, era stanco di domandare. Quello che sapeva del bacucco era che aveva ormai superato la settantina ma non osava chiedere di quanti decenni e che aveva parecchie rotelle fuori posto. Da giovane aveva studiato magia a Lithien, senza esser mai diventato un vero mago, anche perchè, in realtà, non riusciva neanche ad invocare un piccolo globo di luce innocua, eppure ne sapeva a pacchi di quella roba. A vent’anni circa era già consigliere e saggio in un piccolo principato nel Dortan ma venne scacciato quando uno degli uomini, da lui etichettati come “affidabili”, tentò di prendere il potere, a capo degli altri “affidabili”, con un colpo di stato. A sud, invece, era diventato gran alchimista e maestro de “le cose naturali”, grazie al suo trattato giovanile “Su l’Alchimia e le cose naturali”, in cui spiegava come fosse possibile scomporre elementi naturali, come l’acqua, il terriccio o i metalli, nei loro composti basilari.
Tutto questo, però, era avvenuto molti anni prima che Aruj venisse alla luce e prima che Besil incendiasse il proprio studio in un “incidente di laboratorio”, come ama definirlo il vecchio, in realtà voluto e mirato a bruciare tutti i progetti su cui stava lavorando, per timore che il suo “arci-rivale accademico” rubasse le sue idee. Quando il nano lo conobbe, era solo un arzillo paranoico, con la testa immersa in una pila di pergamene e libri, intento a calcolare, bicchiere dopo bicchiere, una strana formula per mantenersi lucido. Alla domanda “Che fai, vecchio?” lui si limitò a fuggire, lasciandosi dietro una scia di fogli volanti che si incenerivano appena toccato il suolo.
Besil era un pazzo e solo Volijund sa perché mai il pirata si fosse fidato di lui, in primo luogo. Però, quel pazzo, era un genio che adorava definirsi il maestro del giovane nano, tanto da affibbiargli il titolo di “pupillo”, forse perché incapace di ricordarne il nome.
Besil era un pazzo ma diceva di essere capace di far volare una nave. Dopo una settimana, chiuso nel suo buco stracolmo di tomi ammuffiti, ne era uscito con un modellino in legno e carta che fluttuava su una fiamma rosa. Aruj ascoltò con occhi pieni di meraviglia mentre il maestro spiegava quale fossero i principi alla base di quel prodigio, prima di veder il minuscolo vascello avvilupparsi nelle fiamme e cadere rovinosamente al suolo. I due fissarono il legno contorcersi e scoppiettare e mentre il vecchio si limitava ad un “Oh, beh!” sommesso e disilluso, il giovane esclamava “Si può fare!” con un sorriso grosso quanto tutto Zar. Aruj non credeva ai suoi occhi, non tanto per il portento a cui stava assistendo, quello lo comprese al volo, nonostante le frasi ingarbugliate e sconclusionate del maestro, quanto per quel sogno che aveva fin da bambino di solcare i cieli: lui sarebbe stato il primo nano a librarsi libero; il primo nano volante.

“Io e il vecchio siamo chiusi in questo studio da settimane, ormai, e non riesco più a distinguere il giorno dalla notte. Viviamo al buio, illuminati solamente dal fuoco delle torce e dalle candele, acqua e cibo sono le provviste avanzate da un mio viaggio e credo che la carne secca sia andata a male. Niente vino, birra, rum, neanche una goccia di grog dalla mia riserva personale tascabile; Besil dice che la sua “formula per la lucidità” non è ancora pronta e vuole che io sia sobrio, nel caso le spie e i ladri d’idee vengano a cercarci. La cosa peggiore, però, è che non c’è niente da leggere, se non il trattato “Sul volo degli uccelli e i venti”, riscritto di proprio pugno da Besil stesso per me. In tutto questo, ho dovuto allontanare la ciurma intera, perché il vecchio ha troppa paura che qualcuno venda i nostri progetti a qualche rivale. A quest’ora dovrebbero essere nell’Ystfalda, pronti a riportale la vecchia carcassa della nave, che quel bastardo di Erein m’ha bruciato, fin qui.
L’unica cosa che mi rende felice è che il nostro studio sui vascelli in miniatura ha fatto grossi passi avanti, dopo la mia ultima modifica, e forse usciremo da questo studio polveroso prima di veder cambiare la stagione o il colore della mia barba.”


Diario del Capitano Aruj Shadak ; 16° giorno dopo l’ 8° Plenilunio - Qatja-Yakin



Quando Besil e Aruj uscirono dal minuscolo tugurio, in cui erano stati isolati dal mondo per più di un mese, il sole e il mondo di giorno erano abbacinanti ai loro occhi. Niente di nuovo per il vecchio, più che abituato a vivere al barlume di una candela, senza uscire, per intere stagioni. Per il nano, invece, era come svegliarsi da una sbronza di parecchie settimane: la luce, i rumori della città, persino l’odore del pane, erano sensazioni dolorose. Il pirata dovette usare le lenti oscuranti, finché il sole non fu tramontato, per riuscire a tener gli occhi aperti. Eppure, nonostante il fastidio di dover tornare a vivere nel mondo, il nano era felice. Tutto quel tempo passato in un cubicolo claustrofobico, senza poter vedere l’orizzonte che divideva il cielo e il mare, senza poter assaporare l’odore salmastro dell’oceano o gustare un pasto decente, accompagnato da un bel bicchiere di un qualunque alcolico, n’era valsa la pena. Gli studi e i calcoli del vecchio s’erano rivelati corretti e i modelli di legno e carta avevano retto ai vari, di volta in volta, sempre meglio, fino ad ottenere un vascello che fosse stabile. L’unico problema, ora, era riuscire a sfruttare tutto quello che avevano imparato e sperimentato al buio e in piccolo, applicandolo a grandezza naturale e alla luce del sole. Aruj camminava meditabondo lungo le strade di Qatja e, a testa bassa, attraversava i mercati all'aperto, senza prestare orecchio a chi gli si parasse difronte o alle urla incessanti dei venditori. A riempire i suoi pensieri solo le immagini di quei vascelli, sospesi in aria, alla luce di una candela e quella visione diventava subito realtà, nei suoi sogni, e un sorriso illuminava il suo viso, quando si vedeva già al timone della Eski a sorvolare la città e poi il grande deserto dell’Akeran, le pianure verdi del Dortan, le cime innevate dell’Edel. Rideva da solo Aruj e, agli occhi dei passanti, sembrava un pazzo o, forse, un innamorato e in quel momento, sentiva di essere entrambe le cose.
A quel punto, il grosso era fatto e non restava che aspettare il ritorno della ciurma e della vecchia barcaccia. Quella stessa barcaccia, che il capitano aveva abbandonato perché incapace di solcare i placidi fiumi del Dortan, avrebbe volato, si sarebbe alzata da terra e avrebbe raggiunto quei limiti che solo i giganti, gli uccelli e gli dei avevano superato. Almeno questo era quello che sperava.
Così, felice e spensierato, il nano si infilò in una locanda. Gli toccava aspettare il ritorno dei suoi, nel frattempo, avrebbe recuperato ogni singolo istante che aveva passato lontano dal buon cibo e dalle bevute e si sarebbe goduto ogni singola scazzottata che s’era perso, in settimane passate nell'oblio, al barlume di una fiammella.

“La Eski Fahişe ha attraccato all’alba al porto. Io e i miei uomini l’abbiamo nascosta in un’insenatura non lontana da qui. il vecchio Besil non vuole che qualcuno veda su cosa stiamo lavorando e, personalmente, preferisco non avere nessuno intorno, quando ho un martello in mano: sventrarla e smantellare ciò che è di troppo sarà difficile, per me.
A guardare la nave, sembra impossibile che sia arrivata dalla Ystfalda senza cadere a pezzi: la chiglia è un macello e molte travi sono marce e sembra quasi inutile rinforzarle; il ponte superiore è bruciacchiato e le travi cedono solo poggiandoci un piede, bisogna star attenti ad ogni passo o la gamba sprofonda e si rischia di rimanere incastrati. C’è molto lavoro da fare ma non credo possa mai prendere il mare e, per quanto mi fidi di quello squilibrato di Besil, non posso non farmi un paio di domande.
Questa nave potrà mai volare?”


Diario del Capitano Aruj Shadak ; 27° giorno dopo il 9° Plenilunio - Qatja-Yakin


Ammainate quel che restava delle vele e tirato giù il falso vessillo del sultanato, Aruj fece ormeggiare la Eski lontano da occhi indiscreti e, accanto a quella, c’era la Küçük. Fra le due, fu subito installato un sistema di teleferiche e carrelli. Besil arrivò saltellando gioioso al porticciolo improvvisato, mentre il capitano urlava ordini a destra e manca, fra le mani una grossa fune che tirava con tutta la forza che aveva in corpo.
“Oh! Eccola! Ma è stupenda! Perfetta, perfetta!” esordì il vecchio, che già non stava più nella pelle di mettersi all’opera. “Non è poi così malconcia come mi avevi detto …” Il nano mollò tutto e raggiunse il maestro, continuando a tener d’occhio la ciurma. “Si, certo! Vallo a dire al mozzo che è rimasto con una gamba incastrata nel ponte” Il pirata sorrise, mentre il suddetto mozzo gli passava accanto a testa bassa, quasi volesse farsi piccolo per la vergogna. “Sempre meglio di quel rottame che usi come ammiraglia” Aggiunse il vecchio, indicando l’imbarcazione più grande, con un cenno di capo. “Quella è la Eski” Gli fece Aruj calmo e Besil si limitò ad osservarlo, con lo sguardo di a chi viene tenuto nascosto qualcosa di veramente importante. “Quella è la nave che dovremmo far volare?” Iniziò a farsi i conti sulle dita, con gli occhi che vagavano di qua e di là. “M-Ma, ma è più grande di come l’avevi descritta.”
“È esattamente come l’avevo descritta”
“Tu avevi detto ventidue metri”
“Quelli sono ventidue metri…”
“Quelli sono ventidue metri?!”
E Basil tornò a masticare numeri, sussurrando calcoli incomprensibili, mentre puntava il dito in alto e lo muoveva a ritmo dei suoi pensieri. “No, no, no! È tutto da rifare!” Il nano si voltò verso il vecchio, guardandolo con sguardo truce. “Che vuol dire che è tutto da rifare?” E quello, ormai perso nei pensieri, rispose in preda al panico “I calcoli, mio caro pupillo, i CALCOLI! La fornace e il carbone … Più grande … Di più!”
Fu così che Aruj guardò il vecchio Besil abbandonare il porticciolo, per andare chissà dove, in preda ai suoi pensieri. Inutile fermarlo quando faceva così, entrava in un mondo tutto suo e ne usciva giorni dopo con un “Buone notizie, gentaglia”, quando nessuno se lo aspettava. Il nano, d’altro canto, era più il tipo che si dava da fare senza chieder niente a nessuno, per questo aveva già costruito una fornace abbastanza grande, sulla scorta dei calcoli del maestro, e raccolto carbone a sufficienza per più di un paio di voli. Erano queste le sorprese che il vecchio Besil gradiva e, forse, dava un po’ per scontate da parte del suo pupillo. Era per questo che i due lavoravano bene insieme: il ragionar troppo di uno era sempre spalleggiato e compensato dal senso pratico dell’altro; mentre il nano si sarebbe dato da fare, il vecchio avrebbe pensato a qualche modo per migliorare tutto quanto, ritornando, eventualmente, al porto con qualche buona notizia.

“Dover smantellare la Eski è stato come macellare il mio primogenito. Veder cadere l’albero maestro, sul quale un po’ tutti avevano passato almeno una notte da ubriachi, è stato un colpo per l’intera ciurma. Infondo, nonostante fosse quasi del tutto inutilizzabile, era bello sapere che fosse lì, pronta ad uscire in mare, anche se per poco. L’unica cosa che m’alleggerisce il cuore è sapere che la nave, che per prima mi ha dato la libertà, ora sarà la prima a farmi alzare in cielo, più in alto di tutti.
In una settimana, abbiamo quasi finito tutti i lavori necessari. I tre alberi sono stati tagliati tutti, per far spazio al pallone. Abbiamo alleggerito poppa e prua, per far spazio ai contrappesi e le vele che muoveranno la nave in volo. Il ponte centrale è stato rinforzato, ora può reggere la fornace e nessuno rischia più di finire col bucare il pavimento con un piede. La ciurma si è rivelata più collaborativa del previsto e non ho dovuto ancora tirare il martello in testa a nessuno. Alcuni si sono proposti di cucire il pallone: abbiamo usato più stati di cotone misto a lino. Gli altri hanno costruito le penne, i nuovi alberi laterali e il timone. La portata della Eski è stata ridotta di molto ma credo che potremo rinunciare ad un paio di cannoni, per il varo; manterrò gli altri per simulare il peso di una nave carica. Sono davvero sorpreso che i miei abbiano voluto riutilizzare quel che era stato tolto dalla Eski, non tanto per limitare i costi, quanto per una questione d’ affetto.
Ora, dobbiamo solo aspettare Besil e finire di installare la fornace e le penne laterali.”


Diario del Capitano Aruj Shadak ; 5° giorno dopo il 10° Plenilunio - Qatja-Yakin



Il giorno che Besil tornò al porticciolo, Aruj e la ciurma erano già pronti a varare la prima nave volante e ad alzarsi in cielo. Secondo i progetti, sarebbe stata qualcosa in piccolo, un volo di prova: la Eski sarebbe rimasta ben ancorata al suolo, in modo da evitare di perdere il controllo e ritrovarsi a galleggiare in aria, senza poter tornare a terra, sospinti dal vento, come una di quelle lanterne volanti usate ad est.
Nei suoi giorni di ritiro, il vecchio era così preoccupato della potenza della fiamma e la grandezza della fornace, da arrivare a produrre un estratto di fuoco alchemico. Questo estratto, si presentava come una polvere di colore purpureo, da mescolare al carbone, per farlo bruciare più intensamente. Per sua grande sorpresa, però, le dimensioni del forno e le quantità di combustibile erano sufficienti a far sollevare in aria la nave, ormai alleggerita, senza grandi problemi. La buona notizia, era che quella polvere poteva essere ancora usata per risparmiare sul carbone necessario per le lunghe tratte o, in alternativa, per far alzare più velocemente la nave, in caso di necessità; una novità che rese Aruj ancor più contento: poter fuggire, laddove nessuno lo avrebbe mai raggiunto e poterlo fare nel minor tempo possibile era una manna per un pirata attaccabrighe come lui!
Quando gli ultimi preparativi furono completati, il nano salì a bordo della Eski, con lui solo altri 5: Besil, il timoniere, il navigatore e due dei suoi uomini più fidati. A terra, la ciurma esultava e festeggiava, ancor prima che la fornace fosse accesa. Il pirata e il vecchio, mescolarono il carbone con l’estratto, per poi accendere il composto. Una fiammata bluastra con sfumature arancioni, fece sobbalzare i due, mentre un’altra ovazione s’alzava nel porticciolo, riempiendo l’aria con urla di gioia. Fortuna che il capitano aveva vietato di portare armi in quel cantiere aperto, altrimenti qualcuno avrebbe di sicuro sparato al pallone, preso dai festeggiamenti e quello sarebbe stato un problema.
Pochi istanti dopo che il fuoco venne acceso, la nave iniziò a sollevarsi dai sostegni in legno, che caddero, senza nulla a porre resistenza, non appena l'imbarcazione ebbe raggiunto un metro dal suolo. A tre metri, la corda che ancorava la Eski a terra e valeva come unica misura prese a srotolarsi, mentre Aruj e Besil si avvicinavano alla balaustra per osservare dall'alto lo spettacolo. A cinque, il nano soffriva già di vertigini, mentre il maestro lo consolava con un gioviale “Passerà” e una pacca amichevole sulle spalle. A dieci metri dal suolo, gli uomini a terra avevano tutti il naso puntato all’insù, mentre il loro capitano faceva segno alla ciurma sulla nave di ridurre la fiamma. La fune segnalatrice segnava quindi metri, quando i quattro ebbero finito di girare le manovelle, per limitare le fiamme.
A quell’altezza, il pallone rimase sospeso per qualche minuto. Era stabile, la nave poteva volare. Fu solo in quel momento che il nano si diede ai festeggiamenti e abbracciò il maestro, che aveva reso tutto ciò possibile. Furono solo pochi istanti, attimi di gioia, prima che il pirata desse il segnale di iniziare a sopprimere le fiamme e iniziare la discesa.
La Eski volava. Era tempo perché tutti vedessero quel portento.
Era tempo, che Qatja-yakin, che l'Akeran vedesse il nano volante!

“Col volo della Eski stabile, il maestro ha acconsentito ad una dimostrazione pubblica.
Non sono mai stato così felice in vita mia! Non solo potrò realizzare il sogno di una vita ma potrei anche diventare famoso per questo. Lascerò i trattati e il lavoro di pensiero a Besil, non ho voglia di diventare un accademico, ora che ho conquistato il cielo. Con una bellezza del genere, io e la mia ciurma scriveremo la storia della pirateria o, chissà, inizieremo un libro tutto nuovo, diventato i pionieri della pirateria aerea.

Nota sulla Eski: abbiamo dovuto usare la Küçük per trainare la nave lungo la costa e ci son voluti due giorni. Il vecchio mi ha detto, però, che è l’ultima volta che ci toccherà trascinare la nave in mare. A quanto pare, è riuscito a dividere alchemicamente l’acqua in quelli che ha definito “vapori”: uno è pesante quanto l’aria, l’altro è più leggero. Dice che è possibile usare il vapore leggero per mantenere la nave in sospensione stabile, con un chilo di carbone, mescolato all’estratto, al giorno. L’unico problema sembra essere l’infiammabilità del vapore, per questo dovremo dividere il pallone in due comparti separati: uno avrà più strati, ognuno ricoperto da entrambi i lati di cera, per evitare che il vapore si disperda e venga a contatto con le fiamme o le scintille della fornace; l’altro verrà mantenuto vuoto così com'è.
Ci serviranno tre giorni per modificare la tela ma vale la pena di rimandare il varo, visto quello che c’è in gioco.”


Diario del Capitano Aruj Shadak ; 9° giorno dopo il 10° Plenilunio - Qatja-Yakin



La Eski Fahişe era attraccata al porto di Qatja-yakin da alcune ore, quando Besil e Aruj decisero che era arrivato il momento giusto per mostrare alla gente del canale di cosa fossero capaci le menti di un pirata e di un vecchio alchimista pazzo. Quello era il giorno in cui due reietti, derisi e rinnegati da tutti coloro che rispettavano e amavano, si sarebbero alzati al di sopra degli altri, compiendo ciò che nessuno prima di loro aveva compiuto, diventando leggende. Avrebbero potuto guardare dall’alto i nobili, i paladini, le grandi menti del loro tempo e avrebbero riso e sbeffeggiato tutti.
Era mezzogiorno, quando il nano salì a bordo della nave, assieme a lui c’erano, ancora una volta, il timoniere, il navigatore e i due sottoposti su cui il capitano riponeva più fiducia. Besil sarebbe rimasto a terra, col resto della ciurma, in attesa dei suoi collegi intellettuali e accademici, che era riuscito a richiamare al porto. Se la dimostrazione fosse stata fatto sotto i loro occhi, diceva il vecchio, nessuno avrebbe messo in dubbio la loro parola, dando maggior peso ai loro successi. “Le nostre facce finiranno sui bollettini del giorno, domani, e poi sui libri di storia!” Aveva annunciato il maestro e il pirata si lasciò persuadere dalle sue parole, lasciando che l’alchimista coinvolgesse gli esperti di quel mondo che, fino a pochi mesi prima, Aruj neanche conosceva. Quando la piccola folla di bizzarri uomini e nani in tunica si era finalmente radunata, Besil fece un breve cenno col capo e lo spettacolo ebbe inizio.
“Buon giorno, signori e signore e autorità del mondo accademico” Il nano, in piedi sulla balaustra della nave, iniziò il proprio discorso, sprecandosi in teatrali inchini, rivolto ad un pubblico freddo come le cime dell'Edhel. “Quest’oggi, potrete ammirare il primo vascello volante …” La verve da mercante sembrò aver suscitato l’interessi di un paio, quando il pirata prese una pausa, scrutando i presenti per incuriosirli. “Avete sentito bene, signori! Quella su cui sono a bordo è una nave volante!” La ciurma iniziò a far baccano, come concordato, e i pesci iniziarono ad abboccare; i vecchi trucchi da venditore e da truffatore tornavano sempre utili. “Ma lasciate che vi dia una dimostrazione …” Detto questo, il nano scomparve quasi del tutto dietro la balaustra, mentre a terra il maestro iniziava la sua lezione su come funzionasse il vascello. Aruj seguiva passo dopo passo le istruzioni che Besil declamava ai suoi colleghi, rendendoli ben palesi a tutti i presenti ed enfatizzandoli. Quando i due ebbero finito il rituale preparatorio, il capitano si accese un sigaro e concluse il discorso. “Ora, se mi permettete, è tempo che io voli!” Abbassò le lenti oscurate, prendendo un ultima profonda boccata e sorridendo agli spettatori, prima di voltarsi e avvicinarsi alla fornace. “Quando vuole, maestro!” Urlò il pirata e, non appena il vecchio ebbe rotto una bottiglia di buon vino contro la nave, macchiando la fiancata di rosso, il capitano lasciò cadere il tizzone ardente in mezzo ai carboni.
La fiammata azzurra e arancio lasciò i presenti ammutoliti e Besil riprese la sua spiegazione accademica.
Quando la nave iniziò ad alzarsi, la folla che s’era radunata, incuriosita dallo spettacolo che mastro e pupillo avevano messo su, esplose in un brusio chiassoso, mentre la ciurma guardava soddisfatta il capitano prendere il volo, sulla creazione a cui avevano lavorato tutti loro. Infondo, non era solo il sogno di Aruj ma di tutto l’equipaggio: nessuno più di loro aveva desiderato la libertà e il cielo era solo l’ultimo limite.
La Eski era già a venti metri dal suolo, quando il nano si rese conto che, questa volta, non c’era nessuna corda ad ancorarlo al suolo, nessun limite a quanto in alto potesse salire.
In quell’istante, mentre il pirata guardava in basso la folla diventare via, via più piccola, si sentì per la prima volta libero. Nessuna catena o cerniera lo avrebbe più trattenuto, niente e nessuno avrebbe più potuto dirgli quali erano i confini o i limiti di ciò che avrebbe potuto compiere. Era semplicemente libero.
E guardando Qatja-yakin dall’alto, il suo sguardo si posava sull’orizzonte, lontano, oltre il canale. Da lì, più in alto del più alto edificio della città, poteva vedere dove l’Akeran finiva e il Dortan iniziava e il suo pensiero corse a ciò che c’era in quella regione.
Una promessa, un’amica.
Fino a quel momento, non c’aveva pensato. Troppo impegnato, troppo pensieroso, troppo ambizioso. Aveva dimenticato la donna che, prima di tutti, aveva creduto in lui, la donna che gli aveva dimostrato che anche una canaglia come lui, un nano ritenuto da tutti un mostro, poteva essere umano, forse più di altri.
E così, dal cielo, Aruj ammirava il panorama e si perdeva nei pensieri e nei ricordi, finchè qualcosa non ruppe quel momento.
“Capitano!” Gridò l’ufficiale in seconda. “Venite a vedere!”
Con grandi passi, il nano s’avvicinò per capire quale fosse il problema ma non ci fu bisogno che qualcuno rendesse la situazione più evidente di quanto non fosse. Ai suoi piedi, diverse macchie di cera e il pallone sopra di lui che gocciolava.
“Smorzate la fiamma! Iniziamo la discesa.” Cercava di mantenere un tono calmo e l’atteggiamento di chi sa quello che fa, in realtà non sapeva come comportarsi in quella situazione. Un’incidente in mare lo affronti facilmente, puoi buttarti in acqua se la nave non regge, altrimenti usi l’imbarcazione come una grossa zattera e speri di raggiungere la terra ferma, prima che le provviste finiscano. In cielo, invece, è tutt’un’altra cosa, puoi solo pregare Volijund, o qualunque sia il tuo dio, e sperare che perdoni la tua tracotanza, perché sotto di te c’è solo il vuoto e la morte.
La discesa era ancora a metà, quando la macchia di cera aveva assunto le dimensioni di una pozzanghera. Come aveva fatto a non pensarci? Come gli era potuto passare di mente? La trovata della cera poteva essere buona se quella bella messinscena fosse stata fatta di notte o a nord, ma non lì e certamente non a mezzogiorno. Il sole Akeranianno batte forte e loro avevano scelto l’ora più calda della giornata per dar sfoggio del loro acume.
Erano a venticinque metri dal pelo dell’acqua e la discesa era lenta, quando Aruj diede l’ultimo ordine. “Abbandonare la nave!” Gridò, sapendo che non c’era altro modo per salvarsi. I quattro si guardarono a vicenda e ribatterono in coro “Ma, capitano …” Il pirata, ribadì l’ordine a denti stretti, prima di buttare di persona il timoniere fuori bordo. Questi fece un tonfo, toccando il mare e riemerse subito, mentre gli altri lo seguivano. Il nano osservò i propri uomini cadere in acqua uno ad uno, proteso in avanti, aggrappato alle corde che legavano lo scafo al pallone, e sapeva già che il suo volto sarebbe stato sui bollettini del giorno dopo, anche se non nel modo in cui si sarebbe aspettato.
“Il primo a volare. Il primo a morire!” Ecco quale sarebbe stato il titolo che avrebbe incoronato la usa folle superbia.
Si voltò un’istante, per dare un ultimo saluto alla Eski Fahişe, conoscendo già il destino che attendeva la cara nave, ma fu tardi.
Lo sguardo di Qatja-yakin era rivolto verso l’alto quando la prima nave volante mai costruita da un nano esplose a mezz’aria. La città intera rimase basita nel vedere il cruento spettacolo pirotecnico e il fallimentare disastro di quel giorno, mentre il corpicino tozzo del capitano Aruj Shadak veniva catapultato in mare, avvolto nelle fiamme. Nel porto, la ciurma si strinse in un abbraccio di cordoglio, mentre guardavano il nano, che li aveva liberati ed era diventato la loro guida, veniva trascinato a riva dalle onde. Besil pianse, straziandosi l’ampio abito da alchimista, lasciando cadere le sue lacrime, su quel che restava degli occhiali scuri del pupillo. Quello verrà ricordato come il momento più triste, per l’equipaggio della Küçük Fahişe, per il mondo, però, quello non fu che l'inizio di qualcosa di più grande: l'avvento della tecnologia a Qatja-Yakin; l'inizio della rivoluzione industriale.



-Epilogo-



“Nel caso dovesse succedermi qualcosa, che io sia buttato in una cella buia o che muoia, a terra o a bordo di una nave, voglio che questa pagina di diario sia il mio testamento.
Non oso immaginare di lasciare la mia ciurma abbandonata a se stessa e, tra l’altro, ho promesso che non l’avrei mai fatto. Quindi, se state leggendo questo diario, ragazzi, a voi lascio la Küçük Fahişe, perché ne facciate quello che volete. La mia parte del bottino, qualunque esso sia, è vostra, ricordate solo di tenere qualcosa da parte per il funerale. Se ciò non dovesse bastare, e avrete voglia di portare a mio padre e alla mia famiglia la cattiva notizia, ho messo da parte qualcosa per quando fossi diventato vecchio e avrei abbandonato il mare. Parlate con Yakup e mostrategli questa pagina: per quanto non sia stato il migliore fra i padri, mi ha sempre voluto bene e son sicuro che anche lui si lascerà andare ad un ultimo segno di benevolenza, anche nei confronti di un figlio degenere come me. Semmai becchiate in giro quello scellerato di mio fratello Hizir, che batte bandiera pirata lungo le coste del sud, raccontategli tutto quello che ho fatto e ditegli che siete la mia ciurma, non vi negherà una mano, qualsiasi cosa sia. Trattatelo come trattereste me perchè, in fondo, senza di lui non sarei diventato mai neanche la metà del nano e del pirata che sono stato e che rispettavate.
Infine, semmai incontriate Azzurra, ditele che mi dispiace di non aver potuto mantenere la mia promessa e che, anche se non sarà la stessa cosa, voi l’accoglierete come uno dei vostri e non rifiuterete mai di darle un passaggio.
In bocca al lupo, vecchi canaglie e che il vento e Volijund vi siano sempre a favore.

Aruj Shadak



Nota personale: Dopo il disastroso incidente della Eski, ho sentito il bisogno di scrivere queste quattro righe. Questa volta, ci sono andato davvero vicino e non so quando più mi capiterà l’occasione di buttar giù un testamento. Sono stato fortunato già tante volte, chissà quanto ancora a lungo continuerò ad esserlo.
Sono felice che Besil non ci sia rimasto male, che sia andato tutto in cenere, e mi ha fatto piacere che mi abbia portato i migliori medici che conosce, per farmi rimettere in piedi il prima possibile. Mi ha anche detto che sa quanto la barba sia importante per un nano e che posso restare a letto finchè quei quattro peli bruciacchiati che mi son rimasti non saranno ricresciuti. Almeno tutta questa storia gli ha fatto imparare il mio nome, anche se mi manca esser chiamato “pupillo”. Mi chiedo solo con quale diavoleria salterà fuori la prossima volta. Nel frattempo, imparerò a scrivere con la sinistra, per quel che posso.
Un ultima cosa, la mia ciurma era così felice di sapermi in vita che tutti loro hanno organizzato una bella bevuta in mio onore. È stato bello festeggiare, col mio faccione appeso al muro, su un bollettino, per una volta senza una taglia, e la scritta a caratteri grossi “il primo a volare. Il primo a ...” ... “


Diario del Capitano Aruj Shadak ; 21° giorno dopo il 10° Plenilunio - Qatja-Yakin



Stava scrivendo le ultime righe del proprio diario, quando Besil spalancò la porta, facendo spezzare la penna fra le grosse dita tozze del nano, nel sussulto di paura che colpì Aruj. Non ebbe il tempo il povero capitano che, ancora con le dita coperte di nero di seppia, dovette afferrare un piccolo vascello di legno e carta, sotto lo sguardo luminoso del vecchio che, sorridendo, gli chiese: "Ti va ancora di volare?"


Edited by The Jedi Doctor Hobbit Who Lived - 22/1/2016, 15:22
 
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