| ¬K a h ø r i |
| | L'odio. Il suo piano funzionò: come aveva previsto, le guardie restarono ammaliate da quella semidea apparsa dal nulla e dalle sue movenze seducenti. Non ne rimase troppo sorpresa, perché aveva ormai imparato che gli uomini cedevano facilmente alle tentazioni, specialmente quando si trattava della lussuria. Gli schiavi fecero esattamente cosa gli era stato ordinato, riuscendo ad entrare tutti incolumi nella città, raggiungendo infine il resto del gruppo e il loro condottiero. Aveva portato a termine il suo compito e non vedeva la necessità di approfondire quel legame che, forse, si stava creando con loro, per cui se ne tornò silenziosa tra la massa, ricominciando a fare quello che più le interessava: osservare ed imparare. Quando tutti ebbero oltrepassato le mura, il viaggio riprese per le vie di Qashra, alla ricerca di qualcuno che potesse – e volesse – ospitare quell'enorme numero di persone. Jahrir decise di rivolgersi alla chiesa, o meglio, ad un sacerdote di T'al della tanto famigerata Moschea d'Oro della città e nessuno discusse quella sua idea, tanto meno lei, a cui la cosa non interessava minimamente. Non perché li volesse morti, ma a parer suo non importava che fosse un uomo di fede o qualcun altro ad accoglierli, sarebbe bastato trovar loro un posto dove stare al sicuro. Il nano si diresse quindi verso la sua prima meta e non ebbe problemi a farsi accompagnare dalle sue guardie, a patto che non fossero entrate con lui nel momento in cui avrebbe dovuto accordarsi con l'officiante. Quando arrivarono, la folla ammassata nella piazza antistante la moschea era tanta, forse troppa anche per uno spiazzo di quelle dimensioni e dovettero scivolare tra la gente e spintonare qualcuno in qua e in là per riuscire a raggiungere la scalinata dall'altra parte. A quel punto, come prestabilito, il Kahraman entrò da solo nell'edificio, mentre gli altri lo avrebbero atteso lì fuori. La Tentazione si mise da una parte, in un angolo, cercando di imprimere nella sua memoria quanto più gli era possibile: la piazza era davvero grande, di forma circolare, e molte vie confluivano fin lì. Al centro c'era una statua in bronzo raffigurante Jahrir, almeno da com'era scritto nel piedistallo, ma lei non riusciva a cogliere tutta quella somiglianza. Poi la scalinata, su cui gli altri stavano aspettando il ritorno del loro capo, in marmo bianco e infine la moschea, che si stagliava imponente dietro di lei. Era enorme, alta diverse decine di metri, con le mura di un bianco candido ed un gigantesco portone di legno all'ingresso, alto circa dieci metri, placcato in oro e minuziosamente lavorato, con disegni arabeggianti sparsi un po' ovunque. Il corpo centrale aveva forma circolare, diviso in tre ordini di monofore che si facevano più grandi scendendo verso il basso, ognuno con al lato due torrette cilindriche senza finestre. A destra e a sinistra, due minareti ancora più alti spiccavano sul resto della struttura, anch'essi a forma di cilindro, ma più slanciati ed eleganti, con delle terrazze lavorate e piene di archetti in basso. Il tutto circondato da un muraglione più basso con archi a sesto acuto e coperto da cupole di un blu ceruleo, con i dettagli ed i pinnacoli dorati, così come tutti gli infissi. Guardarla da lì, con il naso rivolto all'insù, le provocò una strana sensazione in una parte imprecisata del corpo, a cui non seppe dare un nome. Forse quella era la bellezza di cui tutti parlavano. Fu un qualcosa che non le piacque affatto, perciò distolse lo sguardo e tornò a fissare il popolo ammucchiato di fronte a lei, rilassandosi con quel brusio di voci in sottofondo, come fosse una ninna nanna. Dopo un tempo imprecisato, il nano sbucò fuori dal portone, ancora più basso di quello che ricordava se messo a confronto con tutto quello che li circondava, e si sedette sul primo gradone, iniziando a fumare la sua pipa. L'ombra gli si avvicinò fluttuando come al solito e lo osservò in volto: era visibilmente irritato. Sapeva che gli esseri viventi usavano parlare in certe situazioni, per sfogare la loro rabbia, quindi decise di sedersi anche lei, per quanto le era possibile, e tentare. - Che ha detto il sacerdote? - - Non ci aiuterà, quel figlio di una lucertola zoppa. Ha paura di attirare l'attenzione. - Si interruppe così, senza proseguire. Forse non era quello il miglior discorso per incominciare una conversazione. Fece un altro tentativo. - Perché ti interessano gli schiavi? - - Non lo sai? Ah... Forse è meglio così. I nani un tempo erano tutti gitani o schiavi. Qualche anno fa si è combattuta una grande battaglia per conquistarci l'indipendenza, e grazie a ciò siamo stati in grado di creare tutto questo. – Mosse la pipa intorno a sé per indicare Qashra nel suo complesso, soffermandosi sulla moschea. Poi piegò il bocchino verso la statua nella piazza. - La vedi quella statua? Sono io. Anche se qui glorificano la storia più di quanto non sia stata, ho sempre odiato la schiavitù: un uomo dovrebbe poter decidere da sé sul proprio destino: se T'al ci avesse creato perché fossimo al servizio di altri uomini, non ci avrebbe dato il libero arbitrio. – Lei ascoltò il suo discorso in silenzio, annuendo, e si ricordò di una battaglia a cui l'uomo aveva accennato prima di entrare in città. - Una battaglia, mh? La Gloriosa Rivoluzione di cui parlavi fuori dalle mura? - Non le rispose, ma alcuni dicevano che chi tace acconsente e lo prese per un sì. Si voltò verso la statua. - Tu sembri più basso. - Il nano tirò un'altra boccata dalla sua pipa, senza voltarsi a guardarla. - E più brutto. – La nera creatura rimase in silenzio per qualche istante, poi si decise a chiedere quella cosa che tanto la interessava, perché altrimenti non avrebbe potuto comprendere i discorsi del suo interlocutore. - Cos'è l'odio? - Non appena sentì quelle parole Jahrir si alzò rapidamente, come se la sua rabbia fosse improvvisamente aumentata, e si pulì le mani sulle vesti. - Ma che domanda è? Ti sembro un dannato psionico? – - Mmmh... No, immagino di no... - - L'odio è... Quando qualcuno o qualcosa ti da fastidio, ti fa infuriare, e faresti qualsiasi cosa per impedirla, no? Bah! Non sono qui per spiegare queste cose. E se non vuoi sperimentare l'odio altrui, dovresti imparare a formulare domande più intelligenti. – Aveva alzato il tono di voce e, anche se non capiva il perché, l'ombra capì che ormai quella discussione era terminata e si alzò a sua volta. Neanche un uomo famoso e con tanta esperienza come lui era riuscito a capirla. Non avrebbe insistito, no. Dopo tutto aveva ottenuto la risposta che cercava. - Grazie lo stesso. Me ne ricorderò. - E si allontanò lentamente, dirigendosi verso l'entrata della moschea.
La Moschea d'Oro. Non appena varcò la soglia un fortissimo odore di incenso e di fumo la invase, disorientandola per un momento. Non era mai stata in una moschea prima d'ora, né in qualsiasi altro luogo di culto, ma quella doveva essere la sala principale: era ampia e rettangolare, divisa in tre navate, separate da file di colonne alte e circolari in marmo bianco, con i capitelli decorati con delle foglie dorate. Il pavimento era ricoperto da grossi tappeti colorati, sicuramente molto costosi, con decorazioni e disegni arzigogolati e particolari, rappresentanti fiori, animali e figure geometriche di vario tipo. L'oro dei candelabri e dei lampadari, che scendevano dal soffitto, luccicava e rispecchiava la luce del sole, che entrava dalle vetrate delle finestre in alto, anche se l'atmosfera restava abbastanza cupa. Diversi sacerdoti, tutti incappucciati e silenziosi, si muovevano in qua e in là, adoperandosi per mantenere accesi i vari bracieri sparsi in tutto il salone. Un arco trionfale, alto più o meno quanto il portone, separava quella stanza da un'altra più piccola, in cui si ergeva un gigantesco braciere d'oro, unico simbolo di T'al e del suo culto. Non vi erano infatti altre rappresentazioni fisiche del dio, perché gli uomini consideravano offensivo ritrarre le sembianze di un essere superiore, di una divinità. L'ombra non avrebbe certo potuto sapere tutte quelle cose sulla religione, se uno degli ex-schiavi non gliele avesse raccontate durante il cammino: T'al, anche detto il Creatore, era considerato uno dei Daimon più potenti ed importanti fra tutti, come se gli altri si fossero originati da lui; era il padrone della creazione e della distruzione, della vita e della morte e gli venivano attribuiti tanti aggettivi che lei ancora non riusciva a comprendere. Gli esseri viventi sembravano però dipendere molto da quella cosa che chiamavano fede, per tutte le divinità in generale, ed era proprio per questo che aveva deciso di addentrarsi in quel luogo sconosciuto. Trovava interessante l'idea che potessero basare le loro brevi vite su qualcosa di sconosciuto e forse inesistente, e che si aggrappassero a quelle entità nel bene e nel male, come dicevano loro. “Aspettare l'intervento di qualcuno o qualcosa, senza essere certo della sua esistenza... È forse la cosa più divertente di cui sono venuta a conoscenza fino a qui...” Dopo aver curiosato un po' in giro, osservando tutti quegli oggetti minuziosamente lavorati, si accertò di avere l'aspetto di un uomo incappucciato ed avvolto in un mantello per non spaventare nessuno e si avvicinò ad un officiante. - Buongiorno. E così questa è la famosa moschea di Qashra. È molto grande. – Si guardò attorno, soffermandosi sulle fantasie delle vetrate ed i loro colori. - Qui si venera T'al, dico bene? - Il sacerdote si voltò verso di lei, chinando il capo in segno di saluto, le dita delle mani incastrate fra loro e nascoste dalle lunghe maniche del suo abito. - Esattamente; sei il benvenuto. Le nostre preghiere si alzano in favore del Creatore, sopra a ogni altro Daimon. - Ricambiò il saluto, chinando anche lei il capo. - Mmmh... E il Creatore vi ascolta? – Le parole del nano riaffiorarono improvvisamente, rimbombandole nella testa. “Se non vuoi sperimentare l'odio altrui, dovresti imparare a formulare domande più intelligenti.” - Perdoni la domanda. Sono solo affascinato dalla fede ed i suoi misteri. – Si apprestò quindi ad aggiungere. L'uomo la fissò, accennando ad un sorriso, ed allargò le braccia per indicare la maestosità dell'edificio, come se le stesse mostrando la grandezza di T'al stesso, iniziando a camminare. - T'al ascolta le nostre preghiere e ci dona prosperità, perizia, senso artistico e amore per la vita. Senza i suoi doni niente di ciò che vedi a Qashra sarebbe stato possibile: gli esseri umani non sarebbero che gusci vuoti; macchine prive di un'anima spirituale e guidati solamente dalle loro funzioni biologiche. Le parole di T'al ci insegnano a vedere e apprezzare i colori del mondo, pur senza trascurare i nostri compiti e la nostra fisicità. - La Tentazione ascoltò con attenzione ed iniziò a seguirlo, mantenendosi sempre a debita distanza. “Amore per la vita...?” Non sapeva cosa fosse, ma dal tono dell'anziano officiante sembrava qualcosa di positivo per loro, una sicurezza. Eppure là fuori quasi mille persone erano state appena rifiutate da quelli come lui. Forse T'al aveva altro da fare, piuttosto che ascoltare le loro richieste. - Le sue parole sono davvero molto... Belle. Sa, io vorrei imparare ad amare la vita come mi ha appena descritto. – Si fermò e si voltò verso di lui. - Potrebbe suggerirmi qualcosa? Forse T'al saprebbe guidarmi in questo cammino. – Era ovvio che non sapesse se quelle parole fossero belle o meno, ma era abbastanza intelligente da capire che quella recita stava funzionando, per cui avrebbe dovuto continuare su quella linea. - Naturalmente. T'al non pretende lunghe preghiere o una partecipazione attiva alle funzioni, sebbene il calore dei fedeli sia sempre apprezzato; per entrare nelle sue grazie è sufficiente combattere l'indolenza mentale e fisica dalla quale siamo tentati ogni giorno. Chiunque lavori e si operi di continuo per aiutare gli altri non potrà fare a meno che divenire sempre più sensibile alla realtà che lo circonda, percependone le virtù artistiche e le preziosità grandiose e complesse della natura. Come uno scalpellino che impara a conoscere e apprezzare le pietre su cui batte ogni giorno, così l'essere umano può conoscere la grazia solamente attraverso il lavoro e l'impegno. Il servizio, a favore degli altri o di sé stessi, è un dono di T'al, e in quanto tale non va sprecato. Ti basti pensare questo: la vita di ciascun essere è limitata per natura, ma durante il suo corso egli può realizzare opere illimitate. T'al ci spinge a impiegare il nostro potenziale di essere viventi, sempre, piuttosto che lasciarci morire senza mai conoscerlo. O peggio ancora, lasciarci vivere in uno stato indolente di non-morte abominevole, come ricercano alcuni negromanti. - Capì a quel punto che quel povero uomo sapeva forse meno cose di quante ne sapesse lei. In primis, lei non si sentiva parte di quella cerchia di esseri dalla vita limitata per natura e, di conseguenza, non vedeva il bisogno di affannarsi a fare tante cose in così poco tempo. Ma questo lui non poteva saperlo. In ogni caso lei e gli altri mercenari stavano svolgendo il loro lavoro di scalpellino in quel momento, ma quel dio non sembrava volerli aiutare in nessun modo; al contrario, li aveva cacciati fuori dal suo tempio. Sorrise e continuò comunque la sua recita. - Aiutare gli altri, mh? Allora credo che T'al mi abbia già mostrato la via... Grazie per essere stato così esauriente. – Fece per andarsene, ma quando fu sull'uscio della moschea si fermò. - Vorrei chiederle un'ultima cosa: nella mia vita ho incontrato molte persone che provavano... Mmmh... Odio. Sì, odio. Ma, allo stesso tempo, che si prodigavano per aiutare gli altri. C'è secondo lei una spiegazione a tutto questo? – L'officiante ricongiunse le mani e si lasciò sfuggire un risolino, osservandola con sguardo comprensivo, come se avesse già sentito e risposto a quella domanda già centinaia di volte. - L'odio è un'emozione naturale: per quanto possiamo illudercene, è impossibile evitare che ci avviluppi fra le sue spire, di quando in quando. Ciò che possiamo evitare, però, è che ci conduca sul percorso del nichilismo, del pessimismo e della nullafacenza. La via che ci insegna T'al è quella di incanalare l'energia che proviene dalla rabbia e dall'odio nel lavoro; in qualcosa che possa essere utile a noi stessi o agli altri, evitando di abbandonarcisi. - L'ombra annuì e chinò il capo, uscendo ed infilandosi tra le vie di Qashra. Probabilmente non avrebbe più messo piede in un posto come quello, poiché non temeva l'odio e nemmeno T'al e tanto meno credeva di aver bisogno del suo aiuto; nonostante questo c'era una cosa importante che aveva capito. “Gli esseri umani considerano l'odio come la peggiore delle emozioni... Eppure, dall'odio di un uomo ha preso vita questa missione, per salvare la vita di molti altri... Forse gli uomini non hanno capito... Forse non è come dicono loro...”
Il bazar di Qashra. Nella settimana a seguire il Kahraman si diede molto da fare per trovare un rifugio a quella gente, rivolgendosi a tutti i sacerdoti di sua conoscenza. Nel frattempo, lei e gli altri ebbero la possibilità di visitare liberamente la città, come semplici viaggiatori, cosa di cui approfittò per imparare e conoscere nuove cose. Le vie si sviluppavano in tutte le direzioni, seguendo le forme del terreno, creando una complicata rete di comunicazione attraverso i quartieri della città e brulicavano di gente di tutti i tipi a tutte le ore del giorno. I colori delle costruzioni e la loro architettura la incuriosivano in un qualche modo, con quei giardini pensili che spuntavano ogni tanto dalle mura, dando al tutto un tocco di vita in più. Gli abitanti, le case, i profumi ed i suoni. Tutto era vario ed omogeneo allo stesso tempo in quella città. La cosa che la stupì di più però, fu che non tutti la guardavano con sospetto: forse erano abituati a viaggiatori di tutti i tipi, forse le ombre erano creature più comuni di quanto credesse, fatto sta che riuscì a passare quasi inosservata anche immergendosi tra la folla, comportandosi come una di loro. Quello che però attirò di più la sua attenzione furono i bazar, giganteschi mercati in cui si poteva trovare di tutto e di più, sparsi in giro un po' dovunque. Erano come delle città in miniatura, nascoste sotto grandi teli colorati e rettangolari, appesi e sostenuti da diversi fili che si intrecciavano in modo da far penetrare la luce del giorno ed illuminare i vari banchi con le merci esposte. Là sotto ogni mercante aveva una sua postazione, circondato da ceste e bancali contenenti la mercanzia, creando un percorso preciso da seguire dopo esservi entrati. Ognuno di loro vendeva un qualcosa di particolare, di unico, e cercava di richiamare l'attenzione dei passanti con grida, gesti, esposizioni di qualsiasi genere e così via. C'erano frutti, spezie, verdure, ortaggi, cereali, legumi, formaggi, carni di diverso tipo, negozi di tè e caffè e persino qualche banco che vendeva vesti di seta preziosa o oggetti di artigianato, come bigiotteria e ceramiche. Fu proprio mentre l'ombra e gli altri mercenari, assieme a Jahrir, giravano per uno dei bazar più affollati di Qashra che accadde qualcosa di inaspettato, almeno per lei. In un attimo, vide il nano tuffarsi di lato improvvisamente e rotolare per terra, poi una voce non troppo lontana che urlava – Il nano! Uccidete il nano! - e subito dopo la mandria di gente che correva via in preda al panico, lasciando deserto quel luogo pieno di vita fino ad un secondo prima. Quando la polvere si abbassò, finalmente poté scorgere sette uomini, o meglio, sette giovincelli di fronte a loro, con le armi in mano e gli sguardi minacciosi. Dicevano di essere stati mandati da un certo Nu'man e il Kahraman era il loro bersaglio. “Poveri sciocchi...” Non ce l'aveva con loro, no. Come tanti altri si erano venduti, forse per soldi o chissà cos'altro, e stavano solamente svolgendo il loro lavoro. Purtroppo per loro però, anche la Tentazione aveva una missione da portare a termine e, per la prima volta dalla sua comparsa sul mondo di Theras, stava iniziando a capire qualcosa di quelle che chiamavano emozioni. Non avrebbe permesso a sette assassini da strapazzo di rovinare quell'esperienza. Non appena vide un'altra delle guardie fiondarsi su uno dei nemici, iniziò a concentrarsi, richiamando a sé tutte le sue energie: chiuse gli occhi ed unì i palmi delle mani, come i sacerdoti della moschea durante le loro preghiere, poi iniziò a recitare una lenta litania. - Andelu ih ven... Andelu ih ven... Andelu ih ven... - Il suo corpo iniziò a tramutarsi: la luce gialla che fuoriusciva dalla sua bocca si fece sempre più vivida ed intensa e dalla parte inferiore del suo corpo, prima più compatta, comparvero lunghi fasci di tenebra nera, che iniziarono a strisciare a terra come dei serpenti. Si stava rendendo vulnerabile, lo sapeva bene, ma quella procedura era inevitabile al suo scopo. Era quasi al culmine della concentrazione, quando sentì dei passi veloci dirigersi verso di lei. Aprì gli occhi e vide uno di quei giovani correrle incontro come una furia, la spada alta e pronta per un fendente. Lo attese, immobile, e quando questi caricò il colpo, lei sgusciò via di lato, riuscendo ad evitare il colpo quasi del tutto: un strascico nero si staccò, svolazzando leggero fino a toccare terra, come un fazzoletto lasciato cadere dal tetto di una casa. Per l'impeto del colpo il ragazzo cadde e fu quello il momento in cui l'ombra decise di contrattaccare: allargò le braccia e le mani con i palmi aperti, emanando il suo potere nello spazio circostante, stando ben attenta a non intaccare i suoi alleati. Il bazar si oscurò improvvisamente, riempendosi di una nebbia fitta e densa, quasi da poter essere tagliata con la lama di un pugnale. Subito dopo iniziarono ad udirsi delle urla strazianti, come degli ululati, le urla di uomini che venivano straziati e torturati ferocemente, senza alcuna pietà. Infine un odore molto intenso ed inequivocabile iniziò ad espandersi: sapeva di muffa, di cibo avariato, di fogna, di cadavere putrefatto. Odore di morte. Allora poteva sentirli, quei poveri ragazzini: non riuscivano più a vedersi, non capivano dove si trovassero, se ne stavano fermi e tremanti con le mani premute sulla faccia, a dondolare avanti e indietro senza alcuna via di scampo. I loro occhi erano sbarrati e i loro suoni che uscivano dalle loro bocche erano gemiti di paura e terrore. Sì, quello era il potere degli incubi. Solo quando fu certa di averli sistemati tutti quanti riavvolse le sue tenebre e si diresse verso Jahrir e gli altri mercenari. - Mmmh... Siete ancora tutti interi. – Si guardò attorno esaminando gli assassini, ormai neutralizzati. - Certo non si può dire lo stesso di loro... Mmmh... - Rimase lì in piedi, cercando di recuperare le forze e assumere nuovamente le sembianze di un uomo quasi normale, attendendo nuovi ordini. |
la Tentazione.Corpo: 80% Mente: 75% Energia: 80% Riserva CS: 4 velocità Passive utilizzate: // Attive utilizzate:CITAZIONE »Mondo d'incubo. Tecnica di natura psionica che modifica l'aspetto del campo di battaglia per due turni consecutivi e lo trasforma in un luogo lugubre, ricoperto di nebbia e in cui riecheggiano urla strazianti, ingannando tutti e cinque i sensi di tutte le persone lì presenti. Essendo un mondo congeniale all'ombra, al momento del lancio essa aggiunge 4CS alla sua riserva di velocità, mentre i suoi avversari dovranno difendersi o perderanno tutti 2CS. Il lanciatore si causerà un auto danno del 10% al corpo, 15% alla mente e 15% all'energia per il mantenimento della tecnica. [Pergamena Mentalista Mondo di Sogno] Note: la parte opzionale è compresa nel secondo paragrafo e in parte del terzo, quindi si tratta dell'esplorazione della moschea e dei bazar della città in generale. Per quanto riguarda il combattimento la Tentazione non difende, ma contrattacca soltanto con la psionica Mondo d'incubo e intrappola tutti i nemici nella sua illusione. I 4CS di velocità vengono utilizzati per schivare l'attacco, che comunque non può essere evitato del tutto, perché per preparare la tecnica l'ombra si concentra e resta immobile, quindi la spada dell'avversario le provoca un Basso al Corpo.
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