Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Sotto un nuovo sole; incipit

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view post Posted on 1/2/2016, 12:59
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Latif Çelik
sotto un nuovo sole

— incipit —

OIErGs9

Casa di Ayla è l'ultima della via, non ci si può sbagliare. Un cascinale colonico quadrato, piccolo, d'argilla bianca, strangolato dai giardini delle ville e dei palazzi che gli stanno intorno. Non è un brutto edificio; lo sembra soltanto rispetto a tutto il resto. Se fossi l'assistente del califfo, convincere i coloni a occuparlo sarebbe il mio incubo.
Caezavi è una città magnifica, molto moderna. — dovrei glissare. — Il casolare resta separato dalla via principale. Il sole bacia il chiostro e le cantine sono molto ampie. A essere del tutto onesti ritengo che i suoi unici difetti siano la posizione defilata e la presenza del sangue.
Quale sangue?
L’odore mi brucia le narici. Non riesco a pensare ad altro. Nemmeno a una fantasia così banale. Strattono la veste di canapa e abbasso gli occhi. È nera. Fradicia. Poche ore fa era del suo consueto colore giallognolo. Ho sempre creduto che il sangue avesse un colore più acceso di così. Grazie a T'al non è del mio sangue che stiamo parlando.
Raggiunte le mura del cascinale faccio scorrere gli occhi su tutte le finestre, alla ricerca di quella di Ayla. Quando la trovo sollevo un sasso da terra e ce lo lancio contro.
Nessuna risposta.
Ayla!
Un'altro sasso.
Un fuoco si accende alle mie spalle, dalla porta di un palazzetto. Io stringo la veste per nasconderla. Non si sa mai. Se mi capitasse di vedere un uomo insanguinato che si aggira per la via, chiamerei le guardie. Lo scambierei per un ladro. Ma se fossi un ladro non mi preoccuperei di chiamare qualcuno alla finestra.
...Come ci sono finito in questa situazione?
Mi mordo le labbra e infilo il pugnale tra il sedere e i pantaloni, come fanno gli assassini. Sfrego le mani tra loro e guardo il muro. È alto due volte più di me. Quando salto per aggrapparmici per poco non mi scivolano le dita. Mi accorgo che i capelli mi si sono appiccicati alla fronte e mi entrano negli occhi. Sbuffo per spostarli, ma quelli si oppongono alla mia decisione. Mi tremano le mani, mi fa male la schiena e non vedo un cazzo. Ho ventisei anni e non sono né un ladro né un atleta, anzi, è soltanto da quando ho compiuto il primo quarto di secolo che ho iniziato a percepire la massa reale del mio corpo. E peso settanta chili, non cento. Nessuno mi crederebbe se raccontassi questa storia. Fino a un mese fa, avrei anche potuto raccontarla.
Dopo aver raggiunto la finestra di Ayla, busso quattro volte.
Nessuna risposta.
Mi lancio a terra, accucciandomi per attutire l’impatto, ma picchio lo stesso un ginocchio contro il terreno. Penso che dovrei urlare, ma il dolore non arriva: la gamba si addormenta. Al posto del ginocchio mi sembra di avere un grosso pallone pieno d’aria. Mi hanno detto che è questo l’effetto dell’adrenalina. Quando mi rialzo è come se un getto d’acqua fredda mi attraversasse le tempie, le guance e le orecchie.
Dal chiostro interno si vedono le scale che portano agli alloggi superiori. Buie. Non hanno messo una torcia.
Zoppico su per i gradini, prendendomi il doppio del tempo per non fare rumore. Quando busso alla porta il suono riecheggia per tutto il chiostro, come se i vicini fossero usciti di casa e mi stessero venendo dietro.
Ayla non apre ma so che è in casa.
Busso più forte. Le nocche formicolano ogni volta che si staccano dal legno.
Dopo mezzo minuto sento girare la serratura dall’altra parte.
Latif? — Ayla indossa un velo ampio color crema, che le copre il viso per intero. Ha la pelle bagnata e le sue sopracciglia sono grosse, precise e arcuate in un cipiglio di infastidita sorpresa. Profuma di agrumi. Sarei eccitato, se non fosse per le circostanze. — Cosa vuoi a quest’ora? Che cosa…? — Quando nota il sangue sulla veste alza una mano alle labbra e si fa da parte. — Chiudi la porta.
Non ho tempo di togliermi le scarpe, il pavimento capirà. Non ci sono luci e non mi preoccupo di tirare le tende. La casa è quasi del tutto vuota: pochissimi soprammobili aldilà dell’essenziale. Non avrei agito diversamente, date le circostanze.
L’abitazione è composta di sole tre stanze: un salotto ampio e illuminato che fa da atrio, una piccola camera da letto e un bagno ampio quanto quest'ultima. Mi dirigo verso la poltrona davanti a me e mi ci butto sopra perdendo l’equilibrio a metà della caduta. È come sprofondare in un cesto pieno di piume.
Sulla parete vicino all’entrata noto il solito maledetto quadro del sacerdote nel mezzo di una campo di battaglia. Non è strano che Ayla l'abbia conservato. I soldati sono tutti impegnati a combattersi, urlare a squarciagola e disperarsi; tutti a eccezione di quel sacerdote, che contempla l’apocalisse intorno a sé con un’espressione di rassegnata serenità.
Ho sempre odiato quel quadro. Il sacerdote non dovrebbe essere il primo a muoversi per salvare i feriti? Se fossi al suo posto non esiterei a raggiungere i compagni e prestare loro le prime cure. Quel minuscolo personaggio a olio, invece, guarda la battaglia estasiato, come se vi trovasse una parte di sé dimenticata.
Invidi la sua mancanza di fantasia?” mi aveva chiesto Ayla quando le avevo confessato le mie impressioni. “Il sacerdote è un uomo pratico, affidabile, laborioso e professionale. Viziato dalla propria conoscenza teorica. Qui è paralizzato dal verificarsi di un evento che sfugge alle sue aspettative. Non ti consola sapere che a te non succederà mai?
Le avevo risposto che mi faceva soltanto arrabbiare. Se fosse “professionale” si preoccuperebbe della battaglia come tutti gli altri. Più di tutti gli altri. Ma non sono venuto qui per discutere del quadro. Ayla non mi ha ancora chiesto nulla.
Dobbiamo andarcene.
La mia voce è ferma e imprecisa, come la superficie della luna. Lei mi guarda e sospira. Passato lo shock iniziale il suo viso riprende la consueta espressione di compostezza che stride con i lineamenti da bambina.
Che cos’hai fatto questa volta? — mi chiede con voce strascicata. — Dove hai trovato il pugnale? E che cos’è successo alla gamba?
E il sangue?
Passo una mano dietro alla schiena e sfioro l'impugnatura della lama. È un khukurī con l'elsa cesellata. Ho letto che rappresenta il coraggio e il valore del guerriero. A me è sembrato soltanto storto e pesante.
Sono caduto. Senti, dobbiamo andarcene.
Nel frattempo lei ha raggiunto il caminetto nell'altra stanza e la sento scuotere le braci ancora calde con un attizzatoio. La sua voce mi raggiunge da lì.
Caduto? — Riempie un pentolino d’acqua. Lo appende sopra i tizzoni. — Niente invenzioni strane, questa volta? Niente futuro che ci attende dietro alla porta? Niente progresso garantito, evoluzione dell'uomo e scienza che ci farà arricchire e andarcene da questo posto?
Ascolta! — Vorrei scattare in piedi, ma ho paura che crollerei a terra poco dopo. Invece mi alzo piano piano, aggrappandomi alla veste. Arrivo fino allo stipite del caminetto. — Non è un gioco! Lo vedi questo? — Lei si tiene al velo allo stesso modo. — È sangue! Non ti dice niente?
Mi si avvicina con fare distratto, poi piega il viso verso i miei vestiti. I capelli corti emanano un profumo che mi inebria; il collo nudo sfugge alla presa dell’accappatoio. Vorrei affondarci i denti; sento il sapore della pelle pulita sulla lingua.
Sembra proprio sangue.
Perché lo è!
Hai fatto arrabbiare la persona sbagliata, finalmente?
La prendo per un braccio stringendola più che posso e ripeto l’ammonimento che mi sono preparato, come una preghiera. Lei sobbalza per il dolore, ma al di là di ciò non ha la minima reazione.
Ayla, non sto scherzando. Dobbiamo andarcene. È finita. Per davvero, questa volta. Non posso più rischiare.
Si divincola dalla mia presa e torna al caminetto.
E dove vorresti andare, di preciso?
Il più lontano possibile da qui. È successo un casino; ti spiegherò strada facendo.
Il più lontano possibile. È successo un casino. Strada facendo. — ripete, con un sorriso di inarrivabile perspicacia. — È tutta qui la soluzione che mi proponi? Fantasie come queste si realizzano a malapena nei romanzi, figuriamoci qui. T'al non è mai stato dalla nostra parte, te l'ho sempre detto.
Cerco con lo sguardo la grossa collezione di libri di Ayla, ma non la vedo. Forse è nell'altra stanza.
Qui ho trovato la libertà e la fede, e non ho intenzione di andarmene. — continua, mentre l’acqua inizia a bollire all’interno del pentolino. La versa in una tazza e ci infonde una busta di tè rosso. Non ne ha preparata una seconda per me. — Dovrai garantirmi qualcosa di meglio, per convincermi.
L’agitazione non sta giovando alla mia causa. Riprendo una posizione eretta e un espressione civile, abbandonando le mani lungo i fianchi; anche la voce torna a essere piatta e didascalica, priva di tono.
Ayla, sono solo preoccupato per la nostra incolumità. Sta a te decidere se fidarti o meno.
Lei prende un lungo sorso dalla tazza, senza nemmeno sedersi o togliere la bustina.
Non mi fido di te.
Ayla...
E un’altra cosa:

toccami di nuovo e chiederò a T'al la forza per usare quel coltello khukuri contro di te, visto che tu non sai nemmeno da che parte si impugna.

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Mi allontano dal cascinale con passo più lento di quello con cui sono arrivato, strappandomi la veste gettandola a un angolo della strada, assieme al pugnale. Il petto nudo soffrirà per il freddo, ma perlomeno è esente da sospetti.
Nella mia testa inizio a mescolare un nuovo mazzo di carte false.



Edited by Ray~ - 1/2/2016, 15:49
 
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