Llusern~ Il bosco dei sogni

La madre dei cretini

Rientrò barcollando con i fasci di legna in braccio. Uno, due passi, poi non ce la fece più e la fascina si schiantò sulle assi del pavimento. Dietro di lei, lo scroscio del temporale; dalla porta aperta un fulmine tracciò di azzurro i profili di un tavolo, qualche sedia, un letto grande e uno piccolo. Maledizione. Quello era stato il compito di Jaas, non il suo. Mathilde bofonchiò qualcosa contro T’al e l'ingiustizia di essere donna, affrettandosi ad aggiustare i ceppi per non far morire di freddo la gallina.
Pochi minuti dopo, Dolcina riposava in grembo alla sua padrona accanto a un bel fuoco scoppiettante. Mathilde la teneva tra le braccia nude, sotto quei cuscinetti di ciccia appena accennati che la sua quarantesima primavera le aveva regalato. Stropicciò gli occhi infossati, guardando il fuoco; prima della morte di Herl non si era mai dovuta preoccupare di tagliare la legna, oltre che aggiustarla nella rimessa. Ora invece, due anni dopo che suo marito l’aveva lasciata, si ritrovava con due spazi vuoti nei letti e il tetto che grondava acqua da tutte le parti, sotto quello stupido temporale senza fine. E il ragazzo - il ragazzo.
C’era un errore. Non poteva essere stato lui.
Lui era la ragione della sua vita.
Dolcina la punse sul polso col becco, con delicatezza. Mathilde sapeva che, conti alla mano, la dispensa era quasi vuota, ma per i giorni che restavano dare un nome al pennuto la faceva sentire meno sola. Tese l’orecchio ai rumori dall’esterno. Dalle voci in strada gli uomini si stavano radunando, e da lì a un’ora avrebbero parlato nella Sala Grande. C’era ancora tempo.
Abbandonò lo sguardo alle fiamme, scaldandosi a un solo pensiero: il suo ragazzo sarebbe tornato.