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De Civitate Dei - La rinascita di Aelia, Contest Febbraio 2016, Dortan

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A.Beck
view post Posted on 29/2/2016, 12:47




Dolore, dolore sempre più forte. Partiva dalle spalle e scendeva giù fino ai piedi. E la testa, oh la testa, quanto mi doleva! La puzza di sangue, poi, mi stava nauseando.
Avevo appena ripreso i sensi. Il mio corpo strusciava sulla terra incolta di quella zona. Le pietre graffiavano la schiena e dilaniavano quei quattro stracci che indossavo: presto si sarebbero distrutti. Presto loro mi avrebbero vista nuda. Strinsi i denti per evitare che il dolore mi facesse urlare, mentre il pensiero di ciò che mi aspettava cominciò a spaventarmi a morte. Mi sentii violata, costretta, umiliata. Tutto ciò era una violenza, un'insensata ed insana violenza. Li odiavo, con tutta me stessa.
Uno di loro stringeva con un'incredibile forza la mia caviglia, e continuava a trascinarmi, neanche fossi la peggiore delle spazzature. Perché stavano facendo questo? Non gli avevo fatto nulla!
Iniziai a piangere, celandolo malamente per evitare che capissero che mi ero risvegliata. Ero troppo debole per liberarmi, troppo debole per fare qualsiasi cosa. Inutile, ecco cosa ero. Dovevo pensare ad un modo per scappare, o al massimo per prendere tempo in attesa che i miei amici venissero a salvarmi, ma la nuca sbatté con forza su un sasso fin troppo sporgente, e di nuovo precipitai in un vuoto. Di nuovo, persi i sensi.



...

Tac... Tac... Tac...

Assurdo quanto è buia la notte se non c'è nessuna stella ad illuminarla. Non si vede nulla. Nulla. Sei nell'oscurità totale, incapace di orientarti, di muoverti, di camminare, di scappare. Sei inerme. Sei una patetica ragazzina in balia degli altri. Così debole, così vulnerabile..."



Tac... Tac...



"E non puoi sperare che qualcuno ti venga a salvare. No, non puoi. Sei sola, nella notte. Ed è in quel momento, in quell'attimo in cui le lacrime cominciano a scendere copiose dal tuo volto che comprendi l'essenziale: nessuno può vederle. Nessuno udirà mai il tuo lamento..."



Tac...



"Capisci di aver toccato il fondo quando tutto ciò che ti rimane è aspettare che la notte passi. E allora stringi i denti, ti rannicchi e cerchi di tranquillizzarti. Ti dici che va tutto bene, sì, che presto arriverà l'alba. Menti a te stessa dicendo che dopo sarà tutto finito. Non è così. La notte torna sempre. Ci sarà il giorno dopo, e quello dopo ancora. E di nuovo, sarai sola. E di nuovo, sarai inerme. Arriverai al punto che la notte ti inghiottirà. E morirai, finalmente."



Pioveva.
Il cocchiere continuava la sua corsa e la carrozza sobbalzava seguendo le irregolarità della strada. Andava veloce, tanto che dovevo tenermi al sedile per evitare di perdere l'equilibrio. Osservavo dalla finestra il paesaggio. Grandi foreste, probabilmente, immerse nella nebbia e da cui emergevano solo pochi alberi spogli. Così triste, così desolato. Ritirati ed inermi, quegli alberi parevano rispecchiare la mia anima.
Delle mani accarezzarono la mia coscia nuda. Erano ruvide al tatto, sudice: le ignorai, ero abituata. Non sapevo cosa mi attendeva alla fine del tragitto, ma sperai che la carrozza non arrivasse mai. Avevo paura.
Voltai lo sguardo all'intero. Non c'era nessuno. Mi guardai intorno. La carrozza era elegante, dominava il nero, ma i contorni rossi davano un aria regale. I sedili erano un po' duri, ma tutto sommato comodi. Quella non somigliava a nessuna delle carovane che avevo visto nella mia vita. Non mi era mai capitato di assaltarne di così belle. Era degna di un re.
La pioggia aumentò d'intensità, poi l'inaspettato. Qualcosa divelse la parte d'avanti della carrozza, separandola da dove ero io. In un attimo mi ritrovai per terra, coperta da fango e sangue, sotto quell'incessante pioggia.
Urlai qualcosa. Cominciai a provare una profonda angoscia, mentre la vista si appannava: la nebbia mi circondava sempre di più e ben presto non riuscii a vedere altro che contorni sfigurati e sagome indistinte.



Mi sentii stringere. Davanti a me prese forma un volto terrificante. Il viso di un demone, no, quello della morte in persona. I miei occhi erano vuoti, i suoi carichi di sentimenti. Ci fissammo a lungo.
Avevo paura, tremavo, ma non mi mossi di un millimetro. In quel momento compresi tutto. Ero sola e non potevo fare affidamento su nessuno. Sì, l'avevo capito: ero debole. Dovevo cambiare, sarei cambiata. Non sarei stata più un peso per i miei amici. Li avrei supportati, da quel momento. C'era solo una cosa che mi restava da fare: sopravvivere.
Il demone scomparì, sciogliendosi nella nebbia, mentre la pioggia incrementava d'intensità. Diventava sempre più potente, al punto che in pochi secondi venni sommersa dall'acqua. Annaspai, cercando di tenermi a galla e nuotare verso l'alto. L'angoscia cresceva sempre più, la paura di morire andava di pari passo. Di fronte a me comparì un ennesimo demone, enorme. Era quello che aveva distrutto la carrozza (non chiedetemi come facevo a saperlo, ma era così). La sua faccia era grossa quanto il mio intero corpo. Mi fissò, ruggì. Poi fece per colpirmi con i suoi immensi artigli.



"Ma tu non vuoi morire, non ne hai il coraggio. Sei incapace anche in questo. E allora hai solo una possibilità: alzarti e proseguire alla cieca. Una strada improbabile ti attende, un cammino oscuro. Non sarà vivere, il tuo, ma mero sopravvivere. Perseguirai la tua esistenza di notte, lottando e graffiando con tutta l'energia che ti resta. Ti rotolerai nel fango e annasperai nel tuo stesso vomito. Di giorno, poi, potrai riposare. Non sarai felice, sappilo, ma avrai l'opportunità di dare senso alla tua vita."



...



Aprii gli occhi di soprassalto, mentre sobbalzai. Loro l'avevano notato. Quello che mi teneva la caviglia la lasciò cadere a peso morto. Un altro rise di gusto; altri ancora si avvicinarono. Uno pronunciò con uno strano accento:

"Oh, la ragazzina si è svegliata. Forse vuole scappare, ma noi non possiamo permetterglielo."

Tutti risero, ma lui estrasse un coltello e continuò.

"No, non possiamo. No, no, no, no."

Ero sola. Non potevo contare sui miei amici. Lo avevo già pensato, lo avevo già capito. In quel momento lo accettai. Non sarei neanche scappata, né sarei morta, ovviamente.
Dovevo fare una cosa che non avrei mai fatto prima: affrontarli ed ucciderli. Non avevo mai ucciso nessuno, prima. Appunto, prima. Prima ero diversa.
Quel giorno, Aelia Decia Muse era morta.
Quel giorno, Aelia Decia Muse era rinata.
Mi librai nell'aria, alzandomi con la sola forza della mente, mentre il demone – lo stesso che aveva sfasciato la carrozza – prese forma dietro di me. Il demone ero io.



Inspirai profondamente, giovandomi del terrore che provavano i miei avversari. Sì, perché ora erano avversari e non più carnefici. Avevo risvegliato i miei poteri e tutto sarebbe cambiato.

"Addio."

Sussurrai, rivolgendomi sia a me stessa che a loro.

"Benvenuta."

Aggiunsi nella mia mente.
Espirai. Che buon profumo aveva ora l'aria!



La protagonista di questo contest è Aelia: una descrizione sommaria può essere vista nella mia scheda.
Rinascita. La ho immaginata come un cambiamento estremo della persona, inteso proprio come la morte della persona vecchia e la rinascita della persona nuova. Pensando al cambiamento, ho voluto sottolineare le differenze sia nel testo (ad esempio la puzza prima, il profumo poi), che nelle immagini (vestiti e capelli chiari prima, scuri dopo). La parte in cui mi sono più divertito, però è stato il sogno. Ho detto prima che ho inteso la rinascita come morte/nascita. Ecco, nel simbolismo freudiano, il viaggio nei sogni (in questo caso usando la carrozza) rappresenta la morte; l'essere immersi nell'acqua, invece, simboleggia il partorire/essere partoriti. E quindi è proprio durante il sogno che avviene la rinascita di Aelia!
Spero che lo scritto sia piacevole!


Edited by A.Beck - 29/2/2016, 14:13
 
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