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Moonmist ~ Leggende

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Lul~
view post Posted on 2/3/2016, 14:02




il capobranco

L’Alpha era stranamente irrequieto. Era al mondo da così tanti secoli che ormai aveva perso il conto: cinque, seicento anni passati a guidare una masnada di bestie che non era mai nemmeno riuscita a destituirlo. Doveva ammettere, però, che quelle bestie cacciavano bene, e obbedivano anche meglio: un Alpha non avrebbe potuto chiedere un branco migliore. Eppure, c’era qualcosa che non tornava, come se, d’improvviso, i suoi calcoli si fossero rivelati in qualche modo errati. Nelle ultime Lune – a differenza di quanto succedeva da tempo – il branco aveva riportato delle perdite: nonostante i fratelli sapessero bene come il villaggio aveva deciso di difendersi dagli attacchi della notte, la strategia pensata da Tovolar non era riuscita ad evitare di incappare nelle pallottole e nelle lame argentee delle guardie. Due dei fratelli più avventati erano caduti, altri erano rimasti feriti, e le ingiurie causate dall’argento richiedevano molto, ma molto più tempo per lenirsi. Aveva ancora negli occhi quelle scene che non vedeva da mesi e mesi, anni forse: i lupi colpiti che reagivano esattamente come ci si aspetta dalle bestie, in maniere furiosa, raccapricciante, ma confusa e impacciata. Come di un mostro che avesse perso il senno. I dardi argentei delle torri di guardia di Gavony fecero il resto. Scoppiò col tuonare della sua voce: « Chiamatemi William. Lo voglio qui. Subito »

Quando il ragazzo arrivò, scortato dai due fratelli più fedeli e più risalenti che Tovolar avesse nell’ulubranco, fece cenno proprio a costoro di abbandonare la stanza, quella che una volta era stata la camera del padrone nella locanda che era diventata il covo dei lupi di Mondronen. Indicò col mento la sedia al di là del largo tavolo dietro al quale sedeva. Fece scivolare un grosso e polposo acino d’uva fra le dita, prima di lanciarlo in aria e recuperarlo con la bocca al termine della parabola. Versò in un calice qualche dita di amaro e cominciò a far oscillare la coppa, imprimendo un fluido movimento al liquido ambrato. « Sai perché mi chiamano l’Ingrato, ragazzo? ». Nessuno fra i suoi fratelli lo chiamava così, ma secoli indietro, quando non era altro che uno dei tanti, quel nomignolo aveva cominciato anche a piacergli. « Secoli fa, quando fui trasformato, altri fratelli si erano divertiti con me, torturandomi in ogni modo immaginabile. Quando si stancarono delle angherie, uno di loro provò su di me, per la prima volta, il rito dell’Abbraccio. Non fallì, no. Ma non potevo fargliela passare liscia. Nonostante mi avesse, di fatto, benedetto con questa maledizione, è morto sbranato durante la mia prima trasformazione. Uno per uno, ho ridotto i loro corpi a brandelli. Uno per uno ».

Omise di dire che ne lasciò vivo uno soltanto, perché vedesse la furia di Tovolar e scappasse, perché corresse a chiamare rinforzi dai Figli del Primo, per instillare la paura in chiunque avesse sentito quella storia dalla bocca di un Lupo sopravvissuto alla follia di un fratello. Finì di trangugiare l’amaro rimasto nel calice e tornò a guardare dritto negli occhi del ragazzo.
« Andrai in Roesfalda » – il tono di Tovolar non ammetteva repliche.
William non capiva: l’ulubranco di Mondronen non aveva mai messo la testa al di fuori del Kessig, e un improvviso interessamento ad altre regioni, seppur limitrofe, era inspiegabile per chi, come lui, era stato trasformato da troppo poco tempo per comprendere i meccanismi e i ritmi biologici di un branco. L’Alpha comprese lo sguardo pieno di interrogativi del ragazzo, e proseguì, quasi spinto da un voler erudire quello che vedeva – un giorno molto lontano – come proprio successore: « Non puoi ricordartene, ma Mondronen non è sempre stato insediato qui nel Kessig. Siamo come ogni altro predatore, William: ci spostiamo dove le prede abbondano. E » concluse

« abbiamo rosicchiato il Kessig fino all’osso ».


il cucciolo d'oro

La fiamma che ardeva nel caminetto in mattoni venne percorsa da un brivido, proiettando il suo gioco di luci ed ombre sulle teste impagliate delle bestie elette a trofeo del locandiere. Aveva scelto come base quella locanda nel villaggio di Ranike, appena dentro i confini della Roesfalda, perché era abbastanza vicino e altrettanto superstizioso. A differenza degli altri suoi fratelli, William era uno dei pochi ad aver avuto un’istruzione sufficiente a conoscere luoghi e geografia dei Quattro Regni, oltre che a parlare perfettamente la lingua comune. Gli altri membri dell’ulubranco erano per la maggior parte fabbri, guardie, trovatelle, bottini di guerra. Conoscevano ogni singola inflessione del dialetto del Nord, ma poco altro. Solo i lupi più risalenti, nati secoli addietro, vantavano un’istruzione sufficiente a confondersi anche con l’alta borghesia delle regioni in cui riuscivano a stanziarsi. Forse per questo fu scelto. Forse per questo toccò a lui andare al villaggio di Ranike per fare qualche domanda agli abitanti. Tovolar era interessato a sapere se altri branchi cacciavano nella zona, per evitare scontri fratricidi che avrebbero semplicemente portato morti e – cosa ben più grave – qualche mortale a scoprire la verità. Le creature della notte non andavano d’accordo fra loro per una ragione ben più semplice di quanti molti non sostengano: il cibo. Le prede stavano lentamente diminuendo: demoni, vampiri, mannari e – non di meno – guerre stavano decimando la popolazione. Presto – e Tovolar ne era ben cosciente – si sarebbe arrivati a uno scontro senza quartiere per le poche risorse a disposizione. Selezione naturale. Nulla di più, nulla di meno.
Quasi divertito, dentro di sé, dall'ostentazione di quel misero bottino di caccia, William, appoggiato con i gomiti sul tavolo di legno nella zona più in ombra del locale, osservò per alcuni istanti quei volti distesi attaccati a scudi di legno, resi inquietanti dalle ombre proiettate del fuoco, prima di tornare a concentrarsi sulla figura del suo interlocutore. Chi gli stava davanti era un uomo sulla trentina, non molto alto, con lunghi capelli neri e occhi di un verde simile a quello delle foglie. Il suo nome era Barther Bishop, ed era uno dei Fratelli più fidati. Uno dei pochi a non averlo odiato subito dopo la sua prima mutazione, tanto per cominciare. Essendo stato trasformato direttamente da Tovolar, pur essendo uno dei Lupi più giovani, William aveva la fortuna di essere legato al Primo in maniera molto più stretta di altri, facendone un esemplare - se così si può semplificare - col sangue più puro del resto del branco, e per questo probabile designato a prenderne la guida alla dipartita dell'Alpha. Grazie alle sue incredibili doti come cartografo e osservatore, Barther era divenuto il suo braccio destro in quel compito. Una risorsa preziosa, che probabilmente avrebbe sfruttato anche più avanti, quando sarebbe stato il momento della sua ascesa.
« Sei sicuro che sia la mossa giusta? » domandò, davvero poco informato sulla faccenda.
« Eccome », rispose l'altro. « I beni informati la dipingono come non più di uno scarto per l'Impero, un coacervo di piccoli nobili e violenza »
Non gli sembrava vero. Quello che aveva letto e studiato sui libri di storia non poteva essere spazzato via da pochi mesi di guerra e distruzione. « Laddove un tempo c'erano fiorenti mercati domenicali ed eleganti palazzi, oggi sorgono solamente risse e guerriglie. Una popolazione povera e mal difesa, e proprio per questo... »
« Continua » lo incalzò William. Si fidava di lui. « Non credo che a Tovolar piacerà. È troppo a Sud... », sentenziò l'altro.
« E sia » riprese con risolutezza. « Andremo noi. »

« Avverti gli altri fratelli che ci spostiamo in Alcrisia »


« M O O N M I S T »
« - preludio. »


Da qualche parte, nel Kessig, a mezzanotte. Solo pochi individui potevano permettersi di girarsi indisturbati a quell'ora, nella riserva di caccia di un ulubranco. Ciò che nel Kessig non è occupato da pascoli umidi, freddi terreni agricoli e strade e villaggi fangosi, è immerso in oscure macchie di vegetazione, l'habitat perfetto per le creature della notte, arrivate al compromesso di dividersi chirurgicamente le 'zone di caccia'. Gavony ai Fratelli, Stensia ai vampiri. Havengul alle progenie demoniache. Un patto che veniva ormai rispettato da anni, decenni. Secoli. Finché quel sottile equilibrio sarebbe rimasto inalterato, le creature della notte avevano ben poco da temere l'una dall'altra. Ma la 'fame', si sa, spesso dà adito a nefandezze e azioni avventate, finanche invadere le regioni di caccia altrui. L'ombra si appoggiò contro il fusto del Grande Acero e rimase così, in una silenziosa attesa, aspettando. Non un movimento, non un rumore ne tradiva la presenza, non un solo respiro. Persino il suo ventre, al caldo dentro il panciotto damascato, era fermo, immobile, mentre il volto scrutava una delle tante creature che osava addentrarsi nella macchia boscosa di notte.
Nel silenzio che regnava, dopo un sorriso molto simile a un ghigno, l'ombra abbassò lo sguardo fino a guardare negli occhi il suo interlocutore, aggiunto con lo stesso silenzio di cui si era fregiata la prima.
« Saranno secoli che non ti fai vivo, Zachariah. » disse in tono divertito al vampiro che aveva davanti, quasi aspettandosi che questi cogliesse la sua ironia. « Falla breve. » rispose stizzito l'altro. Farsi trovare a complottare con un mannaro era il modo migliore per mettere fine alla sua non-vita. Era il modo migliore per finire in pasto al Signore dell'una o dell'altra stirpe. Insomma, un modo non proprio divertente di finire i propri giorni.

« A che punto sei? » chiese tornando improvvisamente serio. Aveva notato l'assenza totale di voglia di scherzare nel suo interlocutore, e per lui valeva lo stesso rischio dell'altro. Insomma, o c'era in ballo qualcosa di grosso, o quei due erano dei poveri sprovveduti. « È tutto organizzato. » rispose l'altro, « Devi solo fare in modo che sia al posto giusto al momento giusto ».
Sorrise pervaso quasi da eccitazione, il mannaro. Da quando Tovolar aveva trasformato il ragazzo, alcuni membri fra i più anziani del branco erano inquieti: non potevano permettere che un lupo così giovane, un cucciolo, potesse essere l'erede designato dell'Alpha, e più il tempo passava, più l'uno e l'altro sembravano condividere qualcosa di grosso, come se il primo volesse trasmettere al secondo ogni sua minima conoscenza. Come se volesse istruirlo. Lasciare in vita anche solo uno dei due non era una condizione accettabile. Dovevano morire, entrambi.
William Ulrich avrebbe visto la sua ultima Luna, presto o tardi.
E così anche il branco di Mondronen.



Edited by Lul~ - 7/3/2016, 11:46
 
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