Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Moonmist ~ The hunt is on

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Lul~
view post Posted on 7/3/2016, 12:26




prosegue da qui.


la cacciatrice di lupi
pov. Alva Erykah Abe; Ranike, tardo pomeriggio.


« Avete mai provato paura? Quella sensazione di formicolio? ». Il signor Champman era riuscito a ricevere udienza dal consiglio del villaggio di Ranike, con la sua paffuta moglie - come di consueto - al suo fianco. Entrambi avevano poi dato le spalle ai membri del consiglio, per rivolgersi alla cittadinanza del villaggio, riunita nelle anguste sale comuni dei locali alle spalle della chiesa. Willard osservava la scena dallo scranno più vicino alla porta, con Alva di fianco a sé.
« Sembra un insetto che si arrampica sulla tua schiena, fin sulla nuca ». Chapman sussultò a quelle parole. « Proprio dalla base della nuca fino all'attaccatura dei capelli ».
Era strano, pensò Willard, che descrivesse quella sensazione proprio in quel momento, proprio quel giorno: non avvertiva una sensazione del genere da mesi, forse anni, addirittura. Non fino a quella mattina. L'aveva avvertita sin dal risveglio, qualcosa che si era arrampicato sulla sua spina dorsale fino ad inquietarlo, e chi lo conosceva bene sapeva che non era un fatto normale. Esattamente come il fatto che quella sensazione, che era continuata da quando si era alzato dal letto nell'accampamento nella foresta fino alla città, venisse raccontato di nuovo, immediatamente dopo averla provata, al punto da richiamarla alla mente. Cercò di controllare un sussulto. « Qualcosa di spaventoso potrebbe nascondersi sotto la vostra pelle e voi potreste non saperlo neanche ».
L'anziano Burgers tagliò corto per evitare che l'empatia affliggesse anche gli altri cittadini: « Certo, certo », disse facendo oscillare una delle sue spesse mani come se stesse scacciando una mosca. « Conosciamo tutti quella sensazione, Joe, ma che cosa ha a che fare con il motivo per cui ci hai chiesto udienza? ».

« Una delle nostre bestie è posseduta! » Gridò d'un tratto Wanda, la moglie del contadino. « È impazzita! Nel mezzo della notte. E ne ha divorata un'altra! Prima l'ha trascinata in tutto il pascolo. Ho visto le tracce io stessa. Il dolore che quel povero animale ha dovuto subire. Poi quella impazzita l'ha divorata. Non è rimasto nulla se non ossa e denti ».

Per placare i sussulti dei cittadini, ormai a metà fra lo scosso e l'incredulo per ciò che avevano ascoltato, l'Anziano cercò di simulare un atteggiamento paziente e controllato. « E - di grazia - come sai che è stata proprio una delle tue vacche a mangiare l'altra, Wanda? », chiese, ma la risposta lo lascio di stucco. « Ho visto che aveva il muso insanguinato il mattino dopo! »

Willard si voltò verso Alva. Non avevano bisogno di scambiarsi alcuna alcuna parola. Sapevano entrambi che la fattoria dei Chapman si trovava vicino al confine. Sapevano entrambi che era a breve distanza dalla foresta che separava Ranike dall'Ystfalda, e quindi dai territori oltre Dortan. Da Gavony. E sapevano entrambi il tipo di belve che erano recentemente risorte in quelle regioni. Nel giro di due settimane, Willard e Alva avevano eliminato tre licantropi a testa e, in aggiunta, ne avevano sterminato insieme un branco... era piccolo, ma era sicuramente un branco... proprio la notte prima. Quegli incontri erano però stati sufficientemente lontani da Ranike da non destare preoccupazione: Alva aveva seguito un ululato distante verso il varco nei recessi ombrosi e quello che aveva eliminato Willard si trovava oltre i confini della foresta del Kessig. Ma ora il loro sguardo mostrava che vi era motivo per ritenere che le bestie fossero diventate sfrontate, che si fossero avvicinate ai limiti della foresta, fino alle città e alla popolazione. Inaccettabile.
Il popolino non poteva e non doveva sapere. Non vivevano nella stessa realtà di Will e Alva. Quei cittadini non potevano vedere ciò che succedeva nell'oscurità, nella foresta. Loro vivevano in un mondo protetto dalla luce della ragione, sebbene fosse stata imposta dai Corvi o dai Pari. Loro credevano di essere al sicuro da esseri come le creature della notte.

Ripensando ai loro ululati, Will si mosse a disagio sulla sedia; la sensazione di formicolio alla nuca tornò. Aveva udito un ululato, ed era stato quella la causa del ritorno di quella sensazione indesiderata. All'inizio credeva di averlo sognato. Il combattimento di quella notte con il branco doveva aver condizionato i suoi sogni. Era da molto che lui ed Alva non avevano affrontato un branco. Era anche da molto che non avevano affrontato così tanti licantropi in un periodo così breve. Will aveva avuto visioni dei loro musi, dei loro muscoli, delle loro cosce nella sua mente, durante il riposo, quindi non fu sorpreso di essersi svegliata credendo di aver udito un ululato.

Ma ora, osservando gli occhi gonfi della signora Chapman, considerò la possibilità che quell'ululato non fosse solo nella sua testa e che, invece di essere un ricordo o un sogno, fosse proprio il suono di una bestia vera e propria. Il suono della bestia che aveva osato entrare in città e banchettare con la mandria dei Chapman. Non avrebbe permesso che accadesse di nuovo.
« Andiamo? », disse silenziosamente Willard ad Alva.



« M O O N M I S T »
« - the hunt is on. »



il cucciolo d'oro
pov. William Ulrich; Ranike, all'imbrunire


« E sia » riprese con risolutezza. « Andremo noi; avverti gli altri fratelli che ci spostiamo in Alcrisia »

Era deciso. Barther Bishop, il lupo che considerava suo amico e braccio destro, rimase a guardarlo con sguardo interlocutorio. Non capiva come William, nonostante sapesse che l'idea di spostarsi così a Sud non sarebbe piaciuta a Tovolar, poteva prendere una decisione così contrastante col volere dell'Alpha. William sorrise al Fratello, allargando le braccia per avvicinare bicchiere e caraffa. Fece per versare del vino a sé stesso e al proprio interlocutore, poi spiegò: « Non fraintendere », disse, « la decisione finale spetterà a lui ». Poi sorrise: « Voglio solo andare a dare un'occhiata, per vedere se davvero può essere una buona idea. Da quanto so, la vicinanza col deserto dei See, l'Akeran e le Hooglans » proseguì tracciando col dito sulla cartina un ipotetico tragitto fra le regioni appena elencate « potrebbe esporci a pericoli ben più grossi di umani irascibili e sospettosi ».

Il rumore dell'agitazione della locanda e lo scalpore dei discorsi della gente ruppero quella spiegazione: un capannello, che poi scoprì essere uscito dall'assemblea cittadina e radunato proprio davanti alla locanda che li ospitava, parlava di una strage efferata di una o due vacche nella fattoria limitrofa, e di qualcosa riguardo a mutazioni, mucche pazze e bestie interiori. La cosa non gli piaceva affatto. « Che cazzo succede, Barther? » Nessun Fratello poteva resistere quando nel suo sguardo c'era quella luce dorata, quella che brilla negli occhi di un mannaro pochi istanti prima della mutazione. Essere - naturalmente - l'Alpha designato era, significava William, la possibilità di esercitare una naturale influenza tale sugli altri lupi da essere in grado di condizionarne la volontà semplicemente con la sua presenza. Un esempio, o un capo di cui aver paura. « Non ne ho la più pallida idea, Will » disse l'altro per calmare il ragazzo. « Sei stato abbastanza chiaro, col branco, sul fatto di non creare disordini. E che Rhelia mi fulmini se qualcuno ti ha disubbidito ».
La spiegazione calmò William, che fu per un attimo sull'orlo di esplodere. Non dubitava di Barther, e tanto era bastato a rincuorarlo.
« Vai, raggiungi gli altri », disse quasi con fretta. « Radunali, prima lasciamo questo posto dimenticato dai Daimon, prima eviteremo di essere costretti ad uccidere qualcuno per continuare a nasconderci ».

Aveva smesso di piovere, per fortuna. Aveva piovuto per almeno due giorni, e le strade non ciottolate di Ranike sembravano più fiumi di fango che percorsi da calcare. Doveva uscire da quella locanda silenziosamente, senza levare sospetti, perché - avesse condotto lui le indagini - non avrebbe esitato ad additare come principale sospettato chi, nel villaggio, aveva messo piede soltanto da quarantotto ora. Come una malattia, la paura si sarebbe presto diffusa negli abitanti di Ranike, e la sua missione si faceva sempre più dura. Una missione che detestava ogni giorno di più.

Sollevando lo sguardo oltre la finestra, ricordò che la foresta - quasi a un miglio di distanza - non era poi così lontana, che correre attraverso la piana sarebbe stato ancor più sospetto. Non sapeva cosa fare. Sapeva soltanto che doveva agire. Si limitò ad alzarsi e pagare il suo conto, ed ad uscire con calma dall'uscio della locanda.

Giunto a pochi metri dal capannello si convinse, per un attimo, che non sarebbe stato disturbato: erano fin troppo presi dalla loro conversazione, i paesani, che sperava - e credeva - che nessuno lo notasse, mentre a passi pesanti si dirigeva verso il buio della foresta. Verso la sicurezza di cavarsela. Grosso errore di valutazione. Improvvisamente, un uomo ed una ragazza, che ad occhio e croce doveva essere sua figlia, o la sua puttana, uscirono da quel gruppetto, e prima che potesse svoltare l'angolo e cominciare a correre, quel figuro non ebbe di meglio da fare che intimargli di fermarsi. « Tu! Fermo! ».
Non ne aveva alcuna intenzione. Sperò che fossero semplici cittadini, perché cominciò a correre nella notte, in direzione della foresta. Sperò che fossero semplici cittadini, perché due cacciatori di lupi alle calcagna non avrebbe potuto sopportarli, non quella sera.
Le cose iniziavano, forse, a mettersi davvero male.



la cacciatrice di lupi
pov. Alva Erykah Abe; Ranike, al tramonto.


Non avevano molto tempo. Il sole era già sull'orizzonte quando ritornarono all'accampamento alle porte di Ranike. Entrambi indossarono rapidamente e deliberatamente un oggetto in argento. Ovviamente, trasportavano sempre una piccola lama in argento, ma i recenti eventi sembravano consigliare di indossarne una maggiore quantità. Ora avevano trovato sia il bisogno, sia il modo per trasportarlo tutto con loro: frecce dalla punta argentata, spade, lance e pugnali. L'argento risplendeva di opportunità e vantaggi, l'unico modo di ferire in modo importante - finanche ad ucciderlo - un mannaro.

Alva fu la prima a individuare le tracce del 'ricercato'. Era spesso la prima a trovare un odore. Il suo naso, nonostante piccolo e perfettamente rotondo in un modo che le illuminava il volto quando rideva, era anche acuto e percettivo. La sua abilità era ben sviluppata. Willard trovò le tracce solo qualche istante dopo, riconoscendole dalla stanza della locanda, e vide le impronte degli stivali poco dopo. Insieme, iniziarono a seguire la loro preda.

Le tracce proseguivano intorno agli alberi contorti, ma più le seguivano, meno Alva riusciva a conciliare ciò che stavano facendo con l'impressione di gentilezza e di compassione che aveva avuto dal ragazzo quando lo aveva incrociato nella locanda. Avrebbe voluto dare all'uomo quantomeno il beneficio del dubbio, anche se c'era ben poco da ragionare con un mannaro. Come per risposta all'indecisione delle emozioni di Alva nei confronti del ragazzo, le tracce di costui mutarono. Fu evidente il momento della sua trasformazione, poiché in un momento la coppia stavao seguendo le impronte degli stivali di un uomo, e il momento - queste - apparivano come le orme di una bestia in piena corsa. Seguirono il cammino del mannaro finché, improvvisamente e in modo imprevisto, giunsero a un crocevia. Alva e Willard osservarono quella divisione delle tracce ai loro piedi, visibile soltanto grazie alla luce riflessa della luna piena. Un azzardo, quello, che avrebbero potuto pagare caro. Carissimo.

Si misero a correre.

Il luogo nel quale le tracce uscivano da Ranike era in corrispondenza dalla fattoria dei Chapman. Non fu una sorpresa. I mannari erano noti per tornare sui terreni di caccia che si erano dimostrati fertili in passato. Ma il branco, o la loro singola preda, quella notte non era ancora tornato. Almeno non ancora. La prova di ciò era che una delle due vacche dei Chapman era rimasta al bordo del campo e dava la schiena alle tracce nel pascolo. Erano come la signora Chapman le aveva descritte, spesse e incurvate come se un corpo pesante fosse stato trascinato sull'erba alta, tutto intorno, schiacciando i fili d'erba al suo passaggio. Quel povero animale.

Come a confermare le supposizioni dei cacciatori, un ululato si sollevò dalla foresta. Senza dire una parola, Alva e Willard si incamminarono verso il bosco. Prima che fossero lontani dal sentiero, però, la ragazza diede un'occhiata dietro di sé. Qualcosa di quella scena girava ancora nella sua mente. Non c'era però tempo per chiedersi che cosa fosse. Si voltò di nuovo verso gli alberi; la caccia era iniziata.

Entrando nella foresta attraverso la fattoria dei Chapman, fu facile ritrovare le tracce. Le seguirono fino al punto in cui si erano separate, questa volta dirigendosi a ovest, nel profondo della foresta. Alva comprese dove fossero dirette: al centro della foresta del Kessig, la regione più colonizzata dai mannari negli ultimi secoli. Era un luogo di geist e di mannari. Avrebbero potuto dover affrontare altri nemici oltre a quello di cui erano all'inseguimento. Correndo, Alva impugnò l'elsa del suo pugnale preferito, pronta a difendere la sua Ranike.



il cucciolo d'oro
pov. William Ulrich; Ranike, dopo il tramonto


Una delle due figure di fronte a lui balzò di lato, e in qualche modo William percepì il pericolo che poteva scaturire da quella slanciata figura di donna. Di risposta il mannaro spalancò quindi le fauci, ed emise un ruggito nei confronti dei cacciatori. Il ruggito, accompagnato dalla rabbia montante dall'essere ingiustamente braccato, volle essere un monito, oltre che una dichiarazione di guerra: un suono che avrebbe fatto gelare il sangue a chiunque, quello, a cui Alva e Willard reagirono cercano di reprimere il terrore nelle proprie viscere. A giudicare dagli occhi e dal colore del pelo, era un lupo giovane - anche se molto potente. Niente, comunque, che loro due non avessero potuto abbattere.

I pensieri di Alva, tuttavia, le fecero perdere un veloce movimento offensivo della bestia, a cui avrebbe facilmente reagito se fosse stata ben concentrata sul combattimento. Il lupo si mosse più repentinamente di quanto avrebbe dovuto e, prima che la ragazza potesse rimediare al suo calo di attenzione, quello fu vicino a Willard, e con un singolo movimento del braccio, lo scagliò addosso al tronco poco più distante.

Alva gli fu addosso prima che potesse nuocere nuovamente al suo compagno, ma il danno era ormai fatto. Il gorgoglio dell'ululato del lupo lo confermò, cantando nell'aria quello che poteva essere un grido di battaglia, un richiamo, una richiesta d'aiuto. William stava combattendo. Per sé, per il branco. Per Tovolar. Per un misfatto che né lui, né alcuno dei suoi lupi avevano mai commesso.

Non ebbe il tempo per ringhiare oltre: l'aver scaraventato così lontano il suo compagno suscitò un tremito nella ragazza, che come risvegliata dal torpore, realizzò che combattere contro quel lupo non era più questione di portare o meno a termine la loro missione missione. Stavano combattendo per la loro stessa vita. Prima che William potesse attaccarla con le proprie fauci, l'altro tornò ben più che operativo, e si gettò sulla bestia con la propria spada d'argento. L'affondo mirato al torace venne parato con il rapido movimento di braccia e artigli, ma il secondo colpo lo ferì in maniera discretamente grave al braccio sinistro. Non un bene: il taglio era profondo, e il potere che l'argento aveva contro i mannari rendeva la rigenerazione di quella ferita impossibile - quantomeno nel breve periodo. Un urlo raccapricciante squarciò l'aria, mentre la camicia, o quel che ne rimaneva, si macchiava dello scarlatto del suo sangue.

Quei due, però, dovevano saperlo: mai far incazzare una bestia. Mai. Un balzo portò William più vicino al proprio obbiettivo, che avrebbe voluto prendere e scaraventare contro la propria compagna. Quel bastardo era riuscito a farlo davvero incazzare, e sebbene i mannari siano creature forti e feroci, il loro pregio è di unire queste capacità alla lucidità mentale degli esseri umani. Era quello che ne faceva macchine da predazione pressoché perfette. Il dolore, la stanchezza e la rabbia non facevano che abbassare la soglia di quella lucidità: Willard e Alva, presto o tardi, avrebbero avuto la meglio sulla fiera.

Costretto a quel combattimento impari, William si rese conto che se non avesse messo termine a breve a quella contesa si sarebbe ritrovato a guardare il cielo, disteso sulla nuda terra: doveva reagire...ma come? Sembravano preparati, quei bastardi. Pronti a reagire ad ogni offensiva che un mannaro poteva immaginare. Dovevano averne affrontati molti e uccisi altrettanti, se avevano la fortuna di essere ancora vivi. Tentò di sollevare un masso e gettarlo contro la ragazza, che riuscì ad evitarlo con un movimento del tutto privo di grazia, ma nonostante ciò efficace. Willard, allora, quel bastardo che poco prima lo aveva ferito alla spalla, si rifece sotto, tentando un affondo al costato: Will riuscì a schivare in parte il colpo, spostandosi lateralmente; percepì distintamente la sensazione della propria pelle - resistente al pari di un'armatura, ma non tanto da resistere ad una lama d'argento - lacerarsi superficialmente, e il bruciore prodotto da quel taglio taglio non particolarmente profondo, ma assolutamente fastidioso. Agitò furiosamente le fauci, ed in un lampo nero cercò di recuperare una distanza di sicurezza da quei bastardi. Stava per cedere, ma solo allora si rese conto che per concentrarsi su Willard aveva completamente dimenticato di badare ad Alva Fece per voltarsi, ma fu troppo lento: il pugno - ricoperto da un guanto d'arme in argento - calò rapidamente sul suo viso.

William atterrò su uno spesso tronco. Il dolore si propagò da una spalla al lato della testa e crollò al suolo.

Cercò di rialzarsi, forzando le membra a muoversi e riportando a fuoco la vista annebbiata. Il dolore al lato della testa era come una lama che affondava nell'intero corpo, spingendola verso il basso. Ma non poteva farsi schiacciare, non lo avrebbe permesso, perché vedeva di fronte a sé la possibilità di morire, di non vedere più la luce del giorno.

« Fermi! ». Una voce sorprese i tre alle spalle. Una voce accompagnata dal ruggito e gli ululati di un branco. L'urlo di William, per quanto colmo di disperazione, fu un debole sussurro. Lottò contro la debolezza delle sue membra e si sollevò in piedi. Ma non fu abbastanza rapido. Il destro del cacciatore lo colpì, e lui rovinò a terra per la seconda volta.

L'urlo strangolato di Will non fu udibile, coperto dal suono del ringhio dei licantropi intorno. Prima che potessero agire, prima che potessero anche comunicare le loro intenzioni l'uno all'altra, udirono un ringhio tra gli alberi alla loro sinistra. Poi un altro alla loro destra. Poi uno dietro e due di fronte. Tutto intorno a loro videro brillanti occhi gialli che riflettevano e modificavano la luce della luna d'argento. Si ritrovarono circondate. Quanti erano? Una decina, forse due. Game over. Lupo batte uomo.

Il branco di William aveva ottenuto il risultato ottenuto: un momento di tregua, sufficiente - forse - per permettere al proprio capobranco di conferire con quei bue maledetti. Mentre se ne stavano all'erta, William mutò forma. Avvenne così rapidamente che Alva se ne accorse appena. Improvvisamente, la bestia tornò ad essere il solito teatrale ragazzo, con lineamenti duri e una forma straordinaria. La luna risplendeva sulla pallida pelle di William Ulrich, ferito e adagiato su quello che ringraziò essere una sorta di scranno naturale. Vi si sedette a fatica. Willard ed Alva non avevano mai visto un mannaro tornare alla forma umana durante una battaglia. Mai. Era impossibile. Ma questa volta era successo.
Per un istante, nessuno dei tre si mosse. Poi Willard trattenne lo stocco e, molto lentamente e mantenendo il contatto visivo con il ragazzo, lo appoggiò a terra. Alva si spostò, lanciò uno sguardo interrogativo al proprio compagno e - notando la sua sicurezza - fece lo stesso.

Parlava a fatica. Non sapeva come ringraziare i suoi Fratelli, che evidentemente erano stati raggiunti dall'ululato abbastanza in fretta da tracciare e raggiungere la sua posizione. « Non siamo stati noi », disse a stento. « A Ranike... non siamo stati noi ».
Barther, il suo braccio destro, colui che aveva gridato quel Fermi! nel pieno della battaglia, salvando di fatto la vita al proprio Fratello, raggiunse William, tornando con altrettanta fretta alla forma umana.
« Dovete crederci » incalzò. « Lasciate che sia il Branco a trovare il colpevole », disse guardando la coppia, prima di tornare a concentrarsi su William.

« Evidentemente qualcuno vuole incastrarci ».



E dunque, ecco il mio primo autoconclusivo da tanto, troppo tempo. Anni, non so quanti. Forse tre o quattro. Meccaniche diverse, patch diverse, e personaggio diverso, di cui questa - fra l'altro - è la prima giocata tutelata sul forum.
Andiamo per gradi: Alva e Willard sono due umani - cacciatori di mannari - che ho tratto dalla fazione dell'Esercito dei Nessuno. Due umani a pericolosità C, che si traduce in uno scontro impari nella foresta, che William - prima dell'arrivo del proprio branco - stava miseramente perdendo, arrivando quasi a perire.
Con le poche tecniche e abilità in scheda ho dovuto arrangiarmi, e al di là dei vari consumi - utilizza la variabile di attacco a più riprese - cercando di colpire i due cacciatori, le tecniche da segnalare sono la passiva di timore - che deriva dal dominio ammaliatore - utilizzata su Barther alla locanda e, senza successo, attraverso il ruggito subito prima del combattimento; la passiva di trasformazione e, infine, la tecnica di evocazione - attraverso gli ululati - che richiama il proprio branco e - di fatto - pone fine al duello.

A fine giocata, comunque, questa è la condizione di William:
Mente - 100%
Corpo - 30% {subisce prima un critico al torace, poi un alto al costato, infine un medio al volto}
Energia - 30% {variabile utilizzata prima come alto, poi come medio; evocazione critica}

Passive utilizzate: forma demoniaca (1 utilizzo); affascinare (2 utilizzi).
 
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view post Posted on 8/4/2016, 13:01
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CORREZIONE
k3hQPky

Molto bene. Il racconto è ben costruito e ho apprezzato particolarmente l'alternarsi dei punti di vista fra quello dei lupi e quello dei cacciatori; un espediente sicuramente funzionale. Lungo tutto il racconto dimostri di avere un ottima padronanza dell'italiano e di scrivere in maniera lineare e comprensibile; solo alcune frasi hanno una formulazione un po' confusa (ad esempio: "L'aveva avvertita sin dal risveglio, qualcosa che si era arrampicato sulla sua spina dorsale fino ad inquietarlo, e chi lo conosceva bene sapeva che non era un fatto normale. Esattamente come il fatto che quella sensazione, che era continuata da quando si era alzato dal letto nell'accampamento nella foresta fino alla città, venisse raccontato di nuovo, immediatamente dopo averla provata, al punto da richiamarla alla mente.") e c'è qualche raro errore sintattico, di certo mancato alla correzione (a un certo punto scrivi, ad esempio, "alcuna alcuna" - e occhio alla D eufonica).
Che cosa ti avrebbe portato all'eccellenza? Beh, durante tutto il racconto ho percepito il tentativo di far empatizzare il lettore sia con William e Barther che con Alva e Willard; il problema è che ci riesci solo a metà. I cacciatori rimangono un po' anonimi - se non per qualche sparuta linea di descrizione - e saranno presto dimenticati dai lettori; ciò è un grande spreco narrativo, visto e considerato l'avergli dedicato due interi PoVP (point of view paragraph): l'ideale sarebbe stato cercare di far affezionare i lettori ai due - magari ricordando qualche episodio del loro passato, oppure indicando qualche abitudine particolare, anche attraverso un dialogo - per poi arrivare al finale, questo, almeno, per la formula narrativa che hai adottato.
In generale, la prima metà del racconto mi sembra più riuscita della seconda, più silenziosa, sotto il punto di vista narrativo.

RICOMPENSA:
325G

k3hQPky

 
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