Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Fine di un'era, Contest Marzo 2016 - Crollo

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view post Posted on 26/3/2016, 11:38
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nuova%20era



Brezza sopita e ardore svanito, la città riprese coscienza come dopo un lungo incubo.
Il sommesso bisogno di vita si ridestò con tutta la propria potenza, sorprendendo finanche gli stessi abitanti di Ladeca. Invero, la guerra era passata così come era arrivata. Qualcuno aveva avvertito della morte di Caino e, mano a mano, gli eserciti nemici avevano ripiegato, fino a lasciare del tutto le porte della città.
Quello che si lasciarono dietro, però, aveva il puzzo stantio della risacca di acqua salmastra, quando lascia sulla riva una lunga scia di alghe marce e pesci morti. Ovunque c'erano cadaveri, sangue e dolore. Agli angoli delle strade le donne piangevano ancora le morti dei propri mariti, contadini o artigiani prestati alla milizia cittadina che nella loro impavida inesperienza avevano trovato la morte. Allo stesso modo, piccoli pargoli sfrecciavano in lacrime le strade del mercato, chiamando a gran voce nomi sonanti dei propri genitori. Spesso, senza trovare alcuna risposta.
Il suo sguardo ne soffrì. Per poco fu tentato di distoglierlo, salvo poi farsi forza in senso contrario. Indugiò ancora, ma poi si pose al pari di un piccolo bambino in lacrime. Una mano sulla fronte e una parola gentile furono sufficienti a calmarlo, fino a quando la madre non lo ritrovò al di là della calca che si era creata lungo il vicolo.
Il bambino sorrise. E la madre pure: « Grazie --- Grazie mille! » Poi stette immobile, indecisa su come proseguire. « Come posso ringraziarla, signor... »
Rimase ferma, in attesa di una risposta. « ...signor? »

Lui non disse niente. Fece sono un leggero inchino col capo, sorridendo di gusto con gli occhi e con la bocca. Poi, semplicemente tornò a passeggiare con l'altro.
Fianco a fianco ripresero le vie del mercato. Nonostante tutto, i garzoni delle botteghe ripresero la loro quotidiana attività, consegnando il cibo ovunque ve ne fosse bisogno. E, per un giorno, a prezzi estremamente modici.
Nel mentre, anziani artigiani ricostruivano ciò che era rimasto delle loro bancarelle: due legni grezzi messi insieme da chiodi storti; poi, una lunga tenda rammendata alla meglio che scendeva sopra i meloni gialli dell'Estate, venuti fuori con diversi mesi di anticipo. Sorridenti oltre il necessario: d'altronde, si tornava a lavorare.
Finalmente il chiasso della via sembrava aver parzialmente sommesso i singhiozzi d'ansia di qualche ora prima. I due, da par loro, continuavano a passeggiare nell'indifferenza generale e - con loro grande sorpresa - non poterono che immaginare un regalo migliore di quello.

« Quella signora aveva ragione » disse l'altro, rivolto al primo. « Come dovrei chiamarti? »
L'uomo sorrise. I suoi tratti parlavano apertamente di una sincerità riguadagnata, come non ne conosceva da tempo. Eppure, occhio attento non avrebbe fatto fatica a riconoscere quei lineamenti così nobili, un volto smunto circondato da ciocche lunghe di capelli neri. Così familiare e così noto, che un tempo sarebbe bastato a incutere timore in gran parte della strada con la sua sola presenza. Ora, però, dopo anni, battaglie e troppe sentenze, il popolo sembrava averli finalmente perdonati quei tratti infami. O forse il tempo gli aveva reso finalmente giustizia.
« Faust...? » Incalzò l'altro, ancora, con volto crucciato. « O... Zeno? »
Faust sorrise, battendosi la fronte con la punta delle dita. Il suo passo si fece più rapido, quasi temendo che quel nome potesse comunicare qualcosa alla gente che li circondava. E che tutto potesse ricominciare. Eppure, inspiegabilmente, nulla accadde. Nessuno udì e chi udì, non diede peso alle chiacchiere. Sorrise di gusto, Faust, accorgendosi di quell'evento. Ora era finalmente libero.
« Che ne dici di... padre? » Gli rispose e un brivido di emozione gli divorò le viscere. Poteva fare il padre, finalmente. Poteva concedersi un dono che nessuno gli aveva concesso prima: né Rainer, né Caino. E nemmeno lui stesso. Ora, però, il tempo gli aveva reso grazia. L'aveva finalmente perdonato e il popolo sembrava essersi dimenticato di loro.
« Hai ragione » sorrise l'altro, annuendo. « Tu --- sei mio padre! »
E gli prese la mano, stringendola con vigore. Quella mano giovane e affusolata non aveva ancora maturato i calli ai polpastrelli, classici dei guerrieri di lungo corso. Non si era ancora aggrinzita per il sangue e la polvere, né era diventata tozza al rintuzzare delle nocche contro le ossa e le carni dei nemici. Erano mani ancora giovani, ancora sottratte all'impietosa arroganza della guerra. Era ancora in tempo per salvarsi.
Nel mentre, ripresero il cammino. Il vento che sferzava da sud era caldo e più piacevole; non mancava di sollevare gonne e tendaggi, ma comunicava speranza e ardimento nei cuori di coloro che si sforzavano di riprendere la via.
Giunti all'intersezione col corso principale, i due si arrestarono sul ciglio. Dinanzi a loro sfrecciavano carri e carrozze, portando aiuto e cibo a chiunque in città ne avesse bisogno. Attesero che nessuno passasse, poi attraversarono fino al vico successivo.
Il ragazzo al suo fianco scrutava attento la vita che riprendeva. Scrutava la gente: fissava intensamente quelli che un tempo lo indicavano come colpevole. Li vedeva oggi ignorarlo del tutto e - anzi - sorridergli e omaggiarlo di un fiore o un frutto, come ringraziamento per una parola gentile o uno sguardo benevolo. Senza pregiudizi o pretese. Solo affetto.
« Sei sicuro che è quello che vuoi? » Chiese Faust, fissando la scena. « È davvero questo quello che preferisci? »
Lo sguardo dell'altro si fece perplesso, strabuzzando gli occhi come se avesse vomitato la più incredibile delle scemenze. « Scherzi? » Ribatté, sorridendo. « Questa gente ha bisogno della speranza di qualcuno che possa donargliela » asserì, sereno. « Io voglio solo la mia vita. »
Faust sorrise, di rimando. « Dunque come dovrei chiamarti, ora? » Chiosò, sornione. « Vostra ex maestà? »
Rise e i due risero insieme. « Julien andrà benissimo » rispose, poco dopo. Poi si massaggiò la fronte, sistemandosi i capelli. La folta e lunga chioma di un tempo, che richiamava così tanto quella del padre, ora non esisteva più. Al suo posto c'era soltanto uno sparuto ciuffetto di capelli neri che gli partiva dalla fronte con un timido arco, incapace, però, di disegnare alcuna reale forma geometrica. Quei pochi capelli erano timidi e facili da sistemare, ma lui continuava a spostarseli come se fossero ancora lunghi e setosi. Non si era ancora abituato, evidentemente.
« Basta un nuovo taglio per convincere la gente che non esisto più? » Chiese poi all'altro, quasi deluso.
Faust sospirò, attendendo qualche istante. Poi gli prese la mano, con ancor più vigore. « Alla gente basta una speranza » ripeté, serio. « Gli basta sapere che un nuovo domani è possibile e che la guerra è alle spalle. » Poi lo fissò, abbozzando un timido sorriso. « In qualche modo, Re Julien è stato il simbolo di un presente tormentato; passato lui, forse passerà il tormento. »
« Non lo è stato solo per loro. » Annuì, sereno. Poi si guardò intorno, con un pizzico di commozione. « Questa nuova vita da speranza a loro, ma anche a me. »
Faust sorrise e restituì al mondo una lacrima vagante. Gli strinse la mano con quanta più forza avesse in corpo e se la portò al petto. Era un padre e aveva finalmente un figlio.
« Dove andiamo, dunque? » Chiese di rimando. Julien sorrise, di risposta: « Mi stai chiedendo di darti un ordine? »
Risero ancora, di gusto. « Andiamo dove ci porta la strada --- se sei d'accordo » aggiunse, sereno. « Dopo tanto tempo, sento finalmente di essere libero. »
« Anch'io figlio mio » gli fece eco Faust. « Anch'io. » E ripresero la strada, mentre la brezza del mattino accompagnava i rumori del mercato.

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Diversi chilometri più lontano, qualcuno fissava la città dal punto più alto dell'Edraleo.
Medeo se ne stava a cavalcioni sul cornicione del tetto, ciondolando le gambe come uno scolaro sull'altalena. Fissava il mondo tra un sospiro e un grugnito, cercando di distrarsi dalle ferite del corpo.
« Ti stai rammollendo, Testlat. » Dulwig se ne stava immobile alle sue spalle, in piedi poco distante, fissando il sole del mattino che baciava la città ancora fumante. « Un tempo non avresti esitato. »
Medeo sorrise di rimando. La risata, però, gli causò una fitta alla costola e fu costretto a interromperla per massaggiarsi il costato. « Aahhh.... » sussurrò, dolorante. « Piantala Dulwig; parli così, ma intanto ti sei cagato sotto... » gli rispose, fissandolo. « Confessa! »
Dulwig lo guardò con la coda dell'occhio, ostentando sufficienza. Poi, con un lato della bocca non trattenne un tenue sorriso. « Ammetto che per un momento mi sono davvero spaventato. »
« Ah-Ah! » Sbottò Medeo, indicando il suo volto anemico che si scioglieva in una timida emozione. « Questo è il segno Dulwig! ANCHE TU SEI UMANO! » Urlò, ostendando stupore. Poi, allungò le braccia in segno di festeggiamento; nelle mani teneva ancora il lungo coltello ricurvo, che qualche ora prima aveva abbattuto sul volto di Re Julien. Nell'altra mano, invece, stringeva ancora la lunga ciocca di capelli neri che gli aveva portato via.
« Hai idea di cosa succederà adesso? » Aggiunse Dulwig, facendo un passo avanti. « Si, certo » gli rispose Medeo. « Tu tornerai da quei pazzi scatenati dei Corvi color pece per spiegargli il motivo per cui il loro folle capo non tornerà a casa per cena » spiegò, agitando il coltello come una bacchetta, « mentre io tornerò a casa per dormire fino alla prossima decade, almeno. »
Dulwig sorrise ancora, per la seconda volta in poche ore. « Intendevo al Regno. »
« Regno? Quale regno? » Sorrise Medeo, sornione. « Il Regno è morto e sepolto con Re Julien, mio caro » asserì, serioso. « Questa è la fine di un'era! » Prese fiato per qualche istante, poi riprese. « Il Regno cade sotto il peso delle proprie colpe e la morte del Re porrà fine alla sua vita. » Attese un altro istante, concludendo. « Il Regno è crollato, ormai. Finito. »
Dulwig tornò più serio, fissando quel racconto quasi come il delirio di un folle. « Teslat, hai idea di quello che significhi? » Asserì, con tono preoccupato. « Ci saranno altre guerre, lotte per il potere... »
« ...e tanto altro sangue, si - lo so » concluse lui, annuendo. « Ma tu credi che ci fosse un modo per evitarlo? » Domanda Medeo, rivolgendosi all'altro. « La natura dell'uomo non si può cambiare in nessun caso. »
« Eppure, almeno ora queste persone saranno artefici del proprio destino » aggiunse, indicando verso il basso. « Saranno loro a decidere come andare avanti e nessuno imporrà loro qualcosa dall'altro. » Poi stette in silenzio, con un pizzico di preoccupazione. « Non è molto, ma è più di quello che hanno avuto fino a oggi. »
Dulwig sorrise, ponendo una mano sulla spalla del fratello. « Mi preoccupi Teslat, stai diventando saggio. »
Medeo fissò la mano dell'altro con orrore. « Dì un po'... non vorrai abbracciarmi, adesso?! » Sbottò, sciogliendosi poi in una grassa risata.
Subito dopo tornò a fissare l'orizzonte prender forma nelle luci del mattino. Distese il braccio oltre il cornicione e, aprendo la mano dinanzi a se, lasciò che la ciocca di capelli neri di Re Julien scivolasse nel vento di Ladeca. Questa prese a volteggiare, in una danza sinuosa. Poi cadde già, distendendosi per qualche metro come cenere di un Sovrano morto che versa le proprie spoglie sul futuro incerto della propria terra.
« Una nuova era ci aspetta, Teslat » concluse Dulwig, a metà tra emozione e preoccupazione. « Già » gli fece eco Medeo, « ...e non vedo l'ora di viverla. »
« La nuova era » aggiunse, con un pizzico di fierezza, « sarà l'era dei Regni del Dortan. »

 
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