Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Ysbrydion; Presenze

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view post Posted on 2/4/2016, 00:32
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YSBRYDION
« laggiù qualcuno ti ama »






« Era un merlo rosso e cantava solo per sé ♪
ma poi un giorno mi ha vista piangere.
»

——

Il sole si piega sull'orizzonte, oltre la frastagliata teoria delle montagne del nord. Tutto si tinge di rosso e arancio, dal cielo straziato di nuvole alla pavimentazione della piccola sala in cui risuonano le ultime note di un'arpa. La voce argentina della donna dai capelli rossi seduta sulla panca coperta di porpora si incrina sull'ultimo verso, lasciando intuire un qualche tipo di sofferenza. La mano si stringe, le dita contratte sembrano tremare e i segni delle unghie penetrate nel palmo si coprono di viola. Due dita esitanti arrivano alle labbra dischiuse, raccolgono un sospiro.
La donna è vestita da un semplice abito nero, a lutto, con un cappuccio e un velo dello stesso colore. A spezzare la monocroma figura sono solo dei fregi in filigrana d'oro tessuti sul bordo esterno della veste e sullo scapolare -nero anch'esso- che le avvolge morbidamente la gola. Ha lunghi capelli, lisci e di un rosso vivo, simili a una cascata di fiamme che venga fuori da quella voragine oscura che è il cappuccio, calato sul viso a nasconderle gli splendidi occhi verdi e il naso piccolo e dritto. Del suo volto si intravede solo la parte inferiore, la bella bocca dalle labbra raccolte come un bocciolo, l'ovale del viso leggermente allungato.
Una voce alle sue spalle la coglie di sorpresa, la fa sussultare.
« Spero tu sia felice, ora. »
La donna si volta, sconvolta. Vede un uomo anziano ma ancora fermo sulle sue gambe, il fisico asciutto, un circolo di capelli bianchi a incoronarne il capo, un naso adunco conficcato fra i due occhi di un azzurro gelido che dominano il viso. Suo padre.
Tutto il calore sembra essere improvvisamente fuggito dalla stanza, perfino i caldi colori del crepuscolo sembrano essersi ritirati, sostituiti da tinte gelide come il tono usato dal genitore.
« Padre... » prova a replicare la giovane, ma l'altro la ferma con il solo gesto di una mano.
« Non una parola, Laene. »
Fremendo, la donna si morde le labbra.
Il padre, prima di continuare, attraversa la sala con fare deciso, fino a trovarsela davanti. La guarda come fosse sorpreso di vederla lì, minuta e apparentemente indifesa -quella donna che aveva già provocato più morti di una piccola battaglia.
« Sanhor non ce l'ha fatta. Le ferite erano troppe e troppo gravi, è spirato poco più di un'ora fa. Vengo adesso da casa sua, i suoi genitori sono molto addolorati, ti compiangono per la perdita del tuo promesso. »
L'uomo stende le labbra in un sorriso amaro, i suoi occhi restano freddi, la sua mano come un artiglio di ferro intorno all'elsa della spada da cerimonia.
« Vedo che non hai perso tempo a indossare il lutto, me ne compiaccio. »
Fa una pausa, i suoi occhi paiono tremare ma in realtà è solo il furore che a stento riesce a trattenere.
« Ti compiangono... poveri stolti. Loro forse non sanno chi è stata la causa di questa tragedia, ma io sì. »
« Padre... »
« Non illuderti di potermi ingannare come hai fatto con quel giovane imbecille che ha dato la vita pur di liberarti dal tuo impegno. »
« La vita? »
Di nuovo, il vecchio sorride di un sorriso senza gioia -ma stavolta il suo tono è beffardo, si prende gioco di quell'incredulità.
« Le guardie della scorta lo hanno trucidato subito dopo l'esplosione -quelle poche rimaste vive, chiaro. »
Laene abbassa il capo. Davanti a quella verità le si palesa l'orrore di ciò che ha provocato. Tutto quel sangue, tutto quel dolore -solo a causa sua. Adesso dimostra non un istante di più dei suoi ventuno anni.
Per nulla intenerito, il padre prosegue.
« Ti sei spinta troppo oltre. Prenderai parte alle esequie, domani, come si conviene al tuo ruolo. Subito dopo lascerai questa casa per non farvi più ritorno. Io ti bandisco dal mio tetto e dalla mia tavola, ti privo del tuo titolo ma non del tuo nome. Che il mondo sappia che razza di figlia io abbia generato. »
Laene singhiozza, stringe i pugni chiusi al petto. Giace così, spezzata dal dolore, per un lasso di tempo che sembra interminabile. Lei non voleva, non voleva. O forse sì, ma non in quel modo. Quando finalmente rialza il capo, suo padre è già andato via. Due occhi verdi si sollevano a scrutare l'ultimo spicchio di sole che fa capolino da dietro le montagne e una lacrima -una sola- ruzzola giù per le guance calde.
È libera, finalmente.


*


Due occhi dall'iride dorato si spalancano di colpo.
Tutto intorno è buio. L'uomo si mette a sedere, il suolo è freddo ma non riesce a distinguere nulla -non una forma, non un materiale. Il nero è ovunque, più che coprire le cose sembra pervaderle, avvicinandole a un concetto di non esistenza. L'uomo non ricorda chi è, non sa dove si trova. Potrebbe essere ovunque o in nessun luogo, sarebbe poi la stessa cosa. Con qualche perplessità si ritrova a toccare il proprio corpo e sotto le dita avverte il tocco morbido di una stoffa ben lavorata ma leggermente umida. All'altezza del suo petto, una luce pulsante. Lentamente, andando a tentoni, indovina gli alamari della giubba e i bottoni della camicia che indossa e ogni volta che scioglie uno di quei legacci la luce soffusa che viene da sotto gli abiti sembra pulsare, come a voler uscire rivendicando una propria libertà.
Quando anche l'ultimo bottone viene rilasciato, la luce si espande, riesce finalmente a vedere - a vedersi. Indossa uno spolverino bianco, con una larga banda azzurra sul braccio destro. Al di sotto, una giubba e una camicia, bianche entrambe -sebbene intrise di sangue. Dai polsi penzolano due catene di cui però non avverte il peso. Ha mani curate ma anch'esse sporche di sangue rappreso. Dal collo, come un ciondolo prezioso legato a una catenina d'oro bianco, pende la fonte luminosa che gli batteva sul petto: una chiave dalla foggia particolare; sembra antica eppure in ottimo stato, nemmeno un graffio, è solo leggermente opaca ora che la luminosità si è dispersa. Brilla ancora, però.
Qualcosa si muove dentro di lui, vede la sua mano muoversi in maniera quasi autonoma, andare al collo, cercare il contatto con la chiave. Fredda e liscia, eppure queste sensazioni gli giungono ovattate, come venissero da un altro mondo -un mondo che non gli appartiene più. La stringe fra le dita e un rumore come di vetri spezzati lo avverte che l'oggetto è andato in frantumi con estrema facilità, quasi fosse stato di cristallo.
Un'esplosione di luce che sembra bruciarlo, la mano che si apre incapace di contenere quel bagliore e tutto improvvisamente bianco. Poi il ritorno a una fumosa penombra che suscita delle immagini, figure che appena si riescono a distinguere, avvolte dal fumo e dalla caligine. Si sovrappongono fra loro, raccontano una storia in cui prima e dopo si confondono.
Una giovane donna dai capelli rossi che piange, sconsolata. Un uomo barbuto, sulla quarantina, vestito elegantemente. Una carrozza, dei cavalli neri. Una decina di barili ammassati in un angolo dimenticato di una strada troppo stretta, davanti a una grossa porta di legno con un segno di vernice bianca. L'esplosione, le urla, i corpi straziati, il sangue -tanto sangue, troppo. Tutto quel dolore. L'argento delle spade, poi ancora sangue. Buio. La consapevolezza, finalmente.
L'uomo è sconvolto, il suo corpo rifiuta ciò che ha visto -ciò che ha ricordato. Si porta entrambe le mani a coprire il volto, è scosso da tremori orrendi. Le unghie affondano nella carne fino a farne fuoriuscire stille di sangue che rigano il volto ancora giovane. Gli occhi si chiudono mentre la schiena piegata è scossa dai singhiozzi.
« N-non sono un... mostro. » balbetta.
« Ma allora che cosa sono? »
Già, Gwynn: cosa sei diventato?



Edited by Apocryphe - 2/4/2016, 23:56
 
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