Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Ysbrydion; Ra

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view post Posted on 3/4/2016, 23:30
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Mezzanotte, l'ora dei fantasmi.
I rintocchi del vecchio campanile spazzano le strade, come a volerle ripulire da ogni forma di vita in preparazione di ciò che deve accadere. Gli scuri sono fissati alle finestre, nessuna luce resiste nei vicoli e il silenzio regna nella cittadella. Se non fosse per il suono delle campane e le luci rossastre che vengono proiettate sul lastricato dalle finestre della taverna, sembrerebbe di trovarsi in un curioso cimitero pieno di mausolei a forma d'abitazione.
La taverna è un luogo di ritrovo e aggregazione come tanti altri sparsi per il continente, sebbene da quelle parti, nel cuore dell'Ystfalda, ci sia ben poco da aggregare. Gli avventori sono sempre gli stessi: quattro o cinque giocatori incalliti che si ritrovano allo stesso tavolo da anni, accompagnati da una manciata di monete d'argento e delle pinte di birra. Poco distanti, l'oste e sua moglie fanno il conto della serata mentre la figlia, in un angolo vicino alla scala che porta al piano superiore, si limita a pulire le stoviglie cercando di non attirare l'attenzione.
Quel luogo sperduto e sovente tartassato dalle tempeste di neve raramente ospita dei forestieri, ma questo è uno di quei giorni - pensate che fortuna!
Un vecchio barbogio male in arnese, avvoltolato in una coperta a scacchi, guarda tristemente il fondo vuoto del bicchiere mentre intrattiene la sua platea, composta di pochi stranieri in viaggio per raggiungere le montagne. Lo fa spesso, ogni volta che qualche forestiero capita in quella taverna, il vecchio Iliev è lì, con i suoi denti marci e il naso rubizzo, pronto a svendere le sue storie per un bicchierino.
La notte è lunga e bisogna trovare un modo di trascorrerla, possibilmente al caldo.
L'ultimo rintocco si spegne lontano, nella piazza centrale.
Il vecchio Iliev sorride con le sue gengive sdentate.
Mezzanotte, l'ora dei fantasmi. Una nuova storia da raccontare.







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« il vecchio delle favole nere »

Conoscete un villaggio chiamato Ultima Casa?
Si tratta di un posticino particolare, situato nella vallata ovest di un picco innevato che gli abitanti del luogo chiamano Picco degli Esuli. Il monte, che chiaramente non è fra i più alti della catena montuosa e si trova sul versante dell'Edhel, deve il suo nome a una curiosa leggenda: pare che lì, nelle viscere della montagna, si fossero riuniti e stabiliti gli esiliati di due razze differenti: umani ed elfi. I primi sarebbero incappati nel monte nel tentativo di attraversare l'Erydlyss, spesso portandosi sulla coscienza qualche cadare; i secondi, sebbene in numero inferiore, allontanati dalle proprie genti per motivazioni simili, si sarebbero ritrovati lì nel tentativo di condurre una vita di eremitaggio fra le nevi. Così sarebbe nata la comunità degli esuli che, con il passare degli anni e l'irrigidirsi degli inverni, ai tempi della Bianca Inquisitrice era scesa a valle, formando il primo nucleo di case che in poco tempo costituirono il villaggio di Ultima Casa, ovvero l'ultimo posto in cui, in vita loro, avrebbero mai potuto sentirsi a casa, sperduti fra i ghiacci. Proprio lì, nella valle, ultimamente boscaioli e cacciatori hanno sentito risuonare una strana canzone e in molti riferiscono di aver visto un fantasma vestito solo di bianco aggirarsi per la valle, mettendo in fuga le ombre con la sua sola presenza.
La nostra storia comincia proprio qui, a Ultima Casa, in una notte molto simile a questa.


* * *


Mezzanotte.
Nel villaggio non risuonava alcuna campana - non essendoci né una chiesa né un campanile. Al centro di quella che veniva designata come la piazza centrale - o piazza grande - pur non essendo nessuna delle due cose, una carrozza languiva abbandonata, le stanghe poggiate a terra in un equilibrio precario. Era una carrozza come tante, piuttosto malridotta, sporca di fango e incrostata, con due lanterne appese ai lati della cassetta e nessuna insegna sugli sportelli. Non una traccia di un cocchiere, né dei cavalli. Dall'interno, la luce tremula di una candela proiettava l'ombra di un uomo sulle tendine chiare che coprivano la finestrella laterale. Un uomo dalla fronte spaziosa e un poderoso paio di baffi biondi sotto il naso lungo e dritto.
Se un incauto curioso in quella notte si fosse impudentemente avvicinato alla carrozza - strisciando lungo i ciottoli della strada, fra le pozzanghere gelate e i ratti in cerca di briciole - avrebbe potuto ascoltare un dialogo di questo genere.
« Cosa hai scoperto? »
« Molto poco. Le voci che circolano nel villaggio sono le stesse che abbiamo raccolto nella regione. Si fa sempre più insistente la versione che vuole il ritorno di Eitiniel. »
« Tch. Figurarsi, popolani superstiziosi pronti a spaventarsi per un nonnulla. »
« Non ne sarei così sicura. »
« Anche tu credi a certe storie? »
« Volevo solo invitarti a prendere seriamente questa faccenda. »
« Non c'è cosa che io prenda più seriamente di-- Cos'è stato? »
L'uomo si interruppe. Un grido aveva rotto il lugubre silenzio di quel villaggio terrorizzato.
Con rapida fermezza, l'uomo discese dalla carrozza, richiudendo lo sportello alle sue spalle. Interamente vestito di nero, con un cappellaccio a tesa larga che gli copriva la parte superiore del viso, lasciando intravedere solo i baffi e la forte barba che spioveva sul petto. Si strinse nel mantello in un turbine scuro striato dall'argento della sciabola che portava al fianco con una certa disinvoltura e i suoi occhi di ghiaccio si fermarono incuriositi sulla figura di una giovinetta, non più di sedici anni, che in camicia da notte correva per la piazza. Sembrava stesse scappando da un mostro - o da un fantasma. La giovane si lasciò cadere in ginocchio appena lo vide, distante una decina di metri. Singhiozzava e gridava aiuto protendendo le mani verso di lui. Aveva lunghi capelli neri arruffati che le ricadevano davanti al viso e un corpo invidiabile.
L'uomo in nero, rimasto interdetto, quasi non si avvide della nobildonna che gli si fece da presso - la stessa con cui aveva conversato all'interno della carrozza.
« Come ti dicevo, prendi questa cosa sul serio. »
Senza scomporsi ulteriormente, l'uomo annuì.
« Meglio che io vada, qualcuno potrebbe farsi coraggio e venire fuori a vedere cosa succede ed è meglio che non ci vedano insieme. »
« Come preferisci, milady. »
Un istante dopo, la donna si era già persa nei vicoli. E la ragazza era ancora lì, in ginocchio.
In quel momento, alcune finestre -ed alcune porte- si aprirono.
Cosa stava succedendo?



QM POINT
Benvenuti a questa prima avventura che riguarda il ciclo di Ysbrydion. Come avete appreso dal bando, si tratta di una quest aperta (e di una storia di fantasmi). Sapete tutti cosa significa questo, quindi bando alle ciance e passiamo alle indicazioni. Si tratta di un semplice turno introduttivo, potrete spiegare cosa fanno i vostri personaggi a Ultima Casa e perché; non è necessario che si siano avvicinati per indagare sulla storia del fantasma, potrebbero anche non esserne a conoscenza, per quanto la voce sia di pubblico dominio e si sia espansa rapidamente nell'Erydlyss (e anche nell'Ystfalda). Ciò che è importante, invece, sono i seguenti due punti:

Il sogno: Da alcune notti, tutti i vostri personaggi fanno un sogno, che nella sostanza è uguale per tutti (ma ovviamente nel sogno siete soli, non in gruppo): vi trovate in un luogo che per voi rappresenta l'orrore, un luogo in cui il vostro personaggio si troverebbe a disagio se non addirittura terrorizzato. E benché non ci siano mezzi di costrizioni, non riuscite a muovervi. Vedete un uomo, vestito di bianco e con numerose chiavi al collo, che viene verso di voi. Non riuscite a scorgerne il volto (se non gli occhi dorati) e non sapete cosa possa volere da voi, ma sentite che è esattamente voi che sta cercando. Ogni volta che il sogno si ripete, l'uomo riesce ad arrivarvi un po' più vicino e sapete che quando riuscirà a raggiungervi sarà troppo tardi. Inutile dire che con dei sogni così, potreste essere leggermente ansiosi e poco socievoli.

La piazza: Non è obbligatorio per i vostri personaggi raggiungere la piazza nel momento in cui sentite l'urlo -quel che è certo è che tutti riuscite a sentirlo, che alloggiate in una locanda o vi siate messi a dormire su un albero. Il villaggio è molto piccolo e l'urlo nel silenzio ha avuto il riverbero di una cannonata. Sentitevi liberi di scegliere cosa fare -potete pure girarvi e continuare a dormire.

Ovviamente, se decidete di raggiungere la piazza, trovate la ragazza ancora in ginocchio e l'uomo nero davanti a lei.
Avete facoltà di rivolgere la parola a entrambi i png ma non potete essere autoconclusivi nei loro confronti.
Se doveste avere domande, potrete porle nel topic di confronto che verrà aperto a breve.
Il prossimo post arriverà indicativamente giorno 10 aprile.
Buon divertimento (e buoni brividi) a tutti.
 
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view post Posted on 5/4/2016, 07:42
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Cavalier Fata
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Ysbrydion ~ Racconti del Terrore.
« C'è chi teme i propri fantasmi e chi teme quelli degli altri. Io temo entrambi. »

L'acqua scorreva lenta, silenziosa, ai lati della barca. Il lago sembrava quasi una gigantesca macchia d'inchiostro immersa nella notte più oscura, priva di luna e di stelle. Anche se non potevo vederne i confini, il piccolo villaggio e le sue reti da pesca, dentro di me qualcosa sapeva perfettamente dove ero e incontro a quale fato stavo nuovamente andando. La barca si fermò, come trattenuta da una mano invisibile, lasciandomi nel più completo e sepolcrale silenzio con l'unica eccezione fatta per quel lento e sistematico battito che veniva dalle acque. Chiudendo gli occhi potevo sentirlo ancora più vicino, pulsare dapprima con forza e poi lentamente, sempre più lentamente, sino a fermarsi del tutto. Spinta da un desiderio che non riuscivo a controllare mi sporsi per guardare nell'oscurità del fondale: era come una lastra di nera ossidiana, priva di imperfezioni e perfettamente piatta. Non saprei spiegarlo con le semplici parole, ma sentivo il bisogno di avvicinarmi sempre di più, come se una voce mi richiamasse nelle profondità, sin quasi a toccare la superficie con la punta del naso... e in quel momento, come ogni volta, una mano smunta e putrescente mi afferrava per i capelli trascinandomi con sé nelle profondità. Non riuscivo né a urlare né a dimenarmi, quasi avessi mani e polsi legati e un bavaglio sulla bocca. Sentivo solamente il freddo pervadermi, dirmi di lasciarmi andare, di smettere di lottare. La paura attanagliava il mio cuore, ma non lo faceva in maniera diretta, era come se quel sentimento arrivasse a me attraverso qualcun'altro, un'altra me stessa. Sentivo freddo, non riuscivo a respirare, ma nonostante tutto faticavo a provare quel senso di panico, di lotta per la vita, come se il mio corpo e la mia anima si fossero già rassegnate a sprofondare in quelle nere acque.
E poi c'era quella figura, indistinta e fumosa, che nel buio avanzava verso di me scrutandomi con i suoi occhi dorati, cercandomi tra le alghe del fondale, preciso come un segugio e implacabile come il destino. Più si avvicinava e più riuscivo a distinguere piccoli particolari della sua figura, ora una serie di chiavi appese al collo, ora il vestito bianco, ma mai i lineamenti, mai un volto. Voleva trovarmi, voleva prendermi, e ogni volta arrivava sempre più vicino, sempre di più.
Poi tutto finiva, in un singolo istante, lasciandomi tremante e impaurita nel mio letto.

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« Perché rimani se provi tanto dolore? »
« Non posso andarmene. »
« Allora lasciati andare. »
« Non posso. »
« Perché ti fai questo? »
« Ho così tanta paura... »
♪ ♫ ♪ ♫

Aprii gli occhi, ad accogliermi il soffitto a cassettoni del mio piccolo appartamento, mentre dalla finestra socchiusa entrava un raggio del primo sole mattutino. Avevo la testa, il collo e i seni madidi di sudore freddo, le coperte rese umide dall'ennesimo incubo. Rimasi lì qualche minuto aprendo e chiudendo gli occhi lentamente, cercando di tranquillizzarmi e smettere di ansimare, il cuore batteva così forte da dolermi sotto al seno, avevo mal di stomaco e mi sembrava che qualcuno mi avesse preso a pugni l'addome per i forti crampi che mi erano venuti. Ogni notte - quelle in cui dormivo - ero tormentata dallo stesso incubo e niente, almeno tra i rimedi comuni, pareva riuscire a mandarlo via.
Mi tirai a sedere, notando che durante il sonno mi ero agitata così tanto da arrotolare la vestaglia da notte sin sopra l'ombelico, lasciando scoperte le gambe: al freddo pungente dell'aria mattutina un brivido mi percorse la schiena, svegliandomi definitivamente da quella disastrosa notte. Alzandomi spalancai la finestra, salutando un nuovo giorno che sorgeva stancamente su Lithien ed i suoi abitanti, ma i miei pensieri non erano rivolti alla magnificenza del paesaggio o al tepore del sole, ma a quella figura bianca e misteriosa che continuava a comparire nei miei sogni. Non riuscivo a capire chi fosse e, almeno i primi giorni, avevo continuato a credere si trattasse del mio patrigno desideroso di vendetta, ma sentivo che c'era di più, qualcosa che mi sfuggiva e che non riuscivo a capire affatto. Di tutto il sogno, che si ripeteva sempre uguale, quell'uomo in bianco era l'unica variabile che cambiava, che continuava ad avvicinarsi ogni volta di più, sin quasi a potermi ghermire. Una di quelle notti, temevo, mi avrebbe raggiunta e solamente gli dei sapevano quel che sarebbe potuto succedere. Del resto io ero un errore nell'equazione, un problema insoluto all'interno del mondo, la mia stessa esistenza era un insulto a gran parte delle credenze e dei dogmi di Theras... avere gli incubi faceva parte del prezzo da pagare. Forse.

[ ... ]


Un suono secco, di legno spezzato, mi costrinse a girare la testa verso il bosco. La strada per il villaggio di Ultima Casa che avevo preso, tra le tante, passava attraverso una piccola macchia verde che s'insinuava tra le valli ed i crinali dell'Erydlyss e rumori come quello erano la norma, per quanto ogni volta mi obbligassero a portare mano alla spada, allarmata. Dopo più di un mese nel gelo dell'Edhel ancora non mi ero abituata a quella vita, né alle superstizioni e alle leggende che arricchivano quella cultura per me così aliena, ma forse quella notte avrei potuto capire qualcosa in più. Nei giorni precedenti, facendo ricerche in merito alla mia particolare condizione, uno degli apprendisti maghi mi aveva parlato di una voce, una diceria, in merito a presunte presenze che sembravano tormentare quello sperduto villaggio in mezzo al nulla. Fantasmi, ombre, in qualunque modo le volessero chiamare erano le uniche entità in grado di darmi risposte sulla mia situazione, di farmi capire ciò che ero e come affrontare la mia vita. Onestamente, vista la tendenza a ingigantire anche le più torbide minuzie, non credevo di trovare altro che ululati creati dal vento attraverso finestre rotte, nel migliore dei casi qualche Ombra perduta intenta a terrorizzare poveri contadini.
In lontananza, lungo la strada, notai i primi tetti delle case del villaggio spronando la mia giumenta ad aumentare il passo. Avevo impiegato più del previsto ad arrivare a destinazione, complice la mia sempreverde abilità nel perdermi, a occhio e croce forse era la ventitreesima ora, magari mezzanotte. Fu in quel momento, a pochi passi dal cento abitatro, che un urlo agghiacciante spezzò il silenzio della notte.
Trasalii.
La mia cavalcatura sbuffò, muovendo nervosamente la testa di lato, mentre con una certa decisione le impedivo di indietreggiare. Quell'urlo aveva spaventato anche lei, oltre che me, soprattutto perché non mi sarei mai aspettata niente del genere, non così all'improvviso. La esortai a muoversi in avanti schioccando le redini e, dopo un attimo di titubanza, obbedì cavalcando di gran carriera dentro alla cittadina. Mentre entravo nella piazza, tirando le redini per rallentare, diverse candele si accesero nelle abitazioni e altrettante finestre si aprirono allertate da quel grido.
La figura di una ragazza in camicia da notte stava in ginocchio vicino ad un uomo, probabilmente accorso a vedere cosa fosse successo. Doveva essere stata lei a lanciare quell'urlo: qualcosa l'aveva spaventata al punto tale da spingerla a sfidare il freddo delle montagne con solo quel velo di stoffa addosso. Saltai giù dalla giumenta, camminando a passo svelto verso la ragazza. Con il cappello nero calcato sulla testa per nascondere gli occhi e lo spolverino del medesimo colore che svolazzava per la corsa, dovevo apparirle come una specie di spettro, dato anche il mio pallore.

Mi sfilai il soprabito, rimanendo in maniche di camicia, per offrirlo alla ragazza.
« Signorina copritevi, morirete di freddo qui fuori. » poi, alzando lo sguardo all'uomo, chiesi. « Ho sentito urlare, cosa è successo? »
Nel fare quel gesto automatico di cortesia mi resi conto di aver mostrato a quella gente, già terrorizzata dalle storie di fantasmi, tutto il mio arsenale prima nascosto dalla giacca. Del resto loro potevano saperlo meglio di chiunque altro quanto fosse pericoloso l'Edhel.
Non ero una stupida: io avevo paura dei fantasmi.



B. 5% - M. 10% - A. 20% - C. 40%



Capacità Speciali: 0
Riserva Fisica: 50%
Riserva Energetica: 100%
Riserva Mentale: 150%
Stato Emotivo: Spaventata.
Equipaggiamento:
• Pugnali da lancio.
• Flintlock .58
• Stocco.

Passive Utilizzate: //


Attive Utilizzate: //



Note: Ho scelto come sogno l'idea di annegare, di finire su una barca proprio nel lago dove Allegra è morta. Non avrei saputo trovare uan scena migliore, visto che mi aiuta anche ad approfondire un certo background narrativo. E sì, Allegra è un fantasma ma è comunque una persona tangibile, quindi suda e sente dolore come tutti, il che rende il tutto più tragico per lei. Poor child.
Ps: le note musicali sono esprimenti di divider, usare sempre i [ ... ] non mi dispiace ma è ripetitivo!

TL;DR - Allegra arriva in città specificatamente per i fantasmi, volendo sapere di più su se stessa, offre il suo cappotto alla ragazza nel vederla praticamente ignuda al freddo Edheliano.
 
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